I Greci e gli dei

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Estratto della pubblicazione
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Anthropos 11
Collana diretta da Vittorio Lanternari
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Angelo Brelich
I Greci e gli dèi
a cura di
Vittorio Lanternari e Marcello Massenzio
ISSN 0391-3163
Liguori Editore
Estratto della pubblicazione
Le foto del testo sono state fornite dal Deutsche Archaeologische Institut di Roma
Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo
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© 1985 by Liguori Editore, S.r.l.
Tutti i diritti sono riservati
Prima edizione italiana Novembre 1985
Brelich, Angelo :
I Greci e gli dèi/Angelo Brelich
Anthropos
Napoli : Liguori, 1985
ISBN-13 978 - 88 - 207 - 1419 - 2
ISSN 0391-3163
1. Storia delle religioni
2. Grecia classica e arcaica
I. Titolo
II. Collana
III. Serie
Aggiornamenti:
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
20 19 18 17 16 15 14 13 12
10 9 8 7 6 5 4 3
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INDICE
1
Prefazione di Marcello Massenzio
5
Introduzione di Vittorio Lanternari
13
Bibliografia di A. Brelich limitata ai saggi sulla religione greca
(a cura di M. Massenzio)
15
Premessa
17
I.
Formazione della grecità
19
Il.
Creta preellenica
21
III.
La religione nella civiltà micenea
25
IV.
Dal «miceneo» al «greco»
29
V.
Le «epoche oscure» e l’emergere della civiltà greca
35
VI.
La documentazione della religione greca
43
VII.
Pluralità e unità della religione in Grecia
47
VIII.
Il politeismo greco
59
IX.
La mitologia greca
73
X.
Riti privati
77
XI.
Il culto pubblico
87
XII.
Oracoli e culti di guarigione
95
XIII.
L’agonistica sacra
105
XIV.
Il teatro ateniese del 5° secolo
113
XV.
I misteri e il misticismo
125
XVI.
I primordi del pensiero filosofico
131
XVII. Sguardo alla religione in epoca ellenistica
147
Bibliografia
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PREFAZIONE
di Marcello Massenzio
Il testo dattiloscritto di questo libro è stato rintracciato tra le carte
dell’autore dopo la sua morte (1977). Si sa che era destinato ad una
casa editrice straniera la quale si era impegnata a pubblicarlo anche
in italiano; ma questo impegno non fu mantenuto. Pertanto per noi
sostanzialmente si tratta di un inedito; ed è doveroso ringraziare pubblicamente la vedova Brelich per avere recuperato e messo a disposizione questo importante scritto.
Angelo Brelich non ha bisogno di presentazione, essendo uno dei
massimi storici delle religioni, di collaudata fama internazionale: per
un profilo scientifico-biografico dell’Autore, ci limitiamo in questa
sede a fornire al lettore le seguenti segnalazioni bibliografiche: 1) A.
Brelich, Storia delle religioni: perché?, Liguori, Napoli 1979; 2) L’introduzione a Religioni e Civiltà. Scritti in memoria di A. Brelich promossi
dall’Istituto di Studi storico-religiosi dell’Università di Roma, a cura di V.
Lanternari, M. Massenzio, D. Sabbatucci, Dedalo, Bari 1982; 3) D.
Sabbatucci, Angelo Brelich, in: «Grande Dizionario Enciclopedico», vol.
III, UTET, Torino 1985; Id., Angelo Brelich, in: «Dizionario Biografico degli Italiani», vol. 34. Aggiornamento, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, Roma 1988.
Ai fini di una presentazione di questo libro, occorre innanzi tutto
dire che esso contiene una sintesi, fatta con eccezionale acume e lucidità, delle problematiche connesse alla storia della religione greca: una
sintesi articolata e profonda, quanto mai lontana dalle convenzionalità
dei manuali, quale solo un Maestro di storia delle religioni, che studia la cultura greca con lo sguardo aperto alla comparazione storica,
poteva darci. Si tratta di un’opera che proponiamo all’attenzione di
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PREFAZIONE
tutti coloro che sono interessati, in generale, ai problemi di storia delle
culture: studiosi e studenti, dell’università e anche dei licei.
Brelich attribuiva un carattere divulgativo a questo suo scritto, differenziandolo così da altri suoi lavori specialistici sulla religione greca
come Gli eroi greci, Roma 1958, o Paides e parthenoi, Roma 1969. Come
può essere formulato il criterio che, nell’ottica di Brelich, consente di
distinguere un’opera divulgativa da un’opera specialistica? Partendo,
a titolo orientativo, dalla seguente considerazione: l’opera divulgativa
è rivolta, almeno potenzialmente, a tutti i lettori (ragione per cui non
può dare nulla per scontato) e deve far comprendere, nelle linee essenziali, problemi di grande portata storica. L’opera specialistica è rivolta
ad un’élite culturale già introdotta nelle tematiche affrontate (ragione
per cui un rimando bibliografico può sostituire una dissertazione) e
si concentra su aspetti particolari di grandi problemi storico-culturali,
analizzati in tutta la loro complessità.
Ma, al di là delle divergenze, sia che si tratti di un’opera divulgativa, sia che si tratti di un’opera specialistica, il rigore critico e l’impegno
scientifico per Brelich devono essere gli stessi. La differenza risiede
nella diversa «tecnica» utilizzata nel porgere gli argomenti – oltre che
nella scelta degli argomenti stessi – e non nella serietà della riflessione metodologica, nella capacità di sollevare dubbi e di instaurare
un serrato dibattito autore-lettore. In effetti, ponendo a confronto
questo lavoro di Brelich con quelli precedentemente citati, non si
avverte nessuna caduta di tensione intellettuale: come in tutti i suoi
scritti, anche in questo Brelich non rinuncia a stimolare l’intelligenza
del lettore, fornendogli materiale documentario e, al tempo stesso, gli
strumenti metodologici per intendere quel materiale nella prospettiva
decisamente innovativa della storia delle religioni. L’inscindibilità dei
tre fattori (i dati, il metodo, l’ambito disciplinare) costituisce il segno
distintivo dell’attività scientifica di Brelich, sia che scrivesse per gli
studiosi, sia che scrivesse per un pubblico vasto, sia che tenesse una
lezione normale di un normale corso universitario. Dall’autobiografia
scientifica («Verità e scienza: una vita», in Storia delle religioni: perché?,
cit.) si può ricavare un’idea precisa della quantità delle energie intellettuali che Brelich impegnava nelle sue lezioni: il momento delle lezioni
universitarie è stato chiamato qui in causa ad hoc, perché è quello che
appare meno distante dall’opera scritta con intento divulgativo.
Come si può arguire da quanto è stato detto, il modo di fare
divulgazione da parte di Brelich non s’intona affatto alla prassi corrente, che, in generale, fa leva su due regole più o meno tacitamente
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sottoscritte: 1) compilare repertori di fenomeni a priori «importanti»,
scissi dal processo dinamico del loro concreto prodursi; 2) evitare
quanto più è possibile di sollevare problemi, di incrinare certezze tradizionalmente acquisite.
Il lettore de I Greci e gli dèi non si troverà posto di fronte alla successione delle varie fasi del «miracolo greco» come dati aridi e scontati,
ma sarà chiamato a confrontarsi con problemi storiografici. Prima di
tutto, il problema concernente il processo storico di formazione della
religione greca, esaminata tanto nella dinamica dei rapporti che la
legano al contesto socio-politico via via rinnovantesi, quanto alla luce
della dialettica, ad essa interna, tra momento popolare e momento
colto. Quindi, il problema relativo alla dinamica conservazione-rivoluzione in seno alla religione e alla civiltà greche; il problema della
genesi e della specificità del politeismo greco, visto come prodotto
storico di una particolare fase dello sviluppo della civiltà. Una simile
impostazione storico-critica vale, naturalmente, per tutte le voci che
ricorrono nell’indice del presente volume.
I problemi a cui si è fatto cenno trovano adeguate risposte grazie ad un illuminato impiego del metodo storico-comparativo, che fa
comprendere le origini e la qualità peculiare dei prodotti della religione greca – e della cultura greca nel suo complesso – collocando
preliminarmente quest’ultima in un vastissimo ambito di riferimenti
interculturali, che investono soprattutto il mondo etnologico.
Il comparativismo storico di matrice pettazzoniana trova nelle opere di Brelich una delle espressioni più alte nella duplice prospettiva
dell’approfondimento teorico e dell’applicazione pratica. Il saggio I
Greci e gli dèi, proprio in virtù del suo carattere di sintesi, lascia trasparire tutte le complesse articolazioni del discorso metodologico con
un’efficacia forse maggiore rispetto alle opere specialistiche: anche in
considerazione di ciò, ne ribadiamo la grande importanza, come veicolo di diffusione critica di un metodo di ricerca che ha determinato
una svolta fondamentale nel campo degli studi umanistici.
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INTRODUZIONE
di Vittorio Lanternari
Come ha detto M. Massenzio, questo è un libro di alta divulgazione
scientifica, che rende accessibile a un vasto pubblico di non specialisti, nella forma più rigorosa ma anche nel tono suadente di chi si
avvale di un amplissimo corredo di conoscenze specialistiche senza
ostentarle, di un’eccezionale capacità di approfondimento critico e di
una straordinaria volontà di «capire» l’uomo greco nella sua interiorità
e nei suoi mutamenti, un grandioso capitolo di storia culturale. È
un capitolo che tocca direttamente una delle principali radici della
nostra civiltà europea e occidentale. Brelich ci offre il modo dunque
di capire qualcosa di più su certe matrici del nostro mondo culturale
di oggi.
Ma Brelich, studioso orgogliosamente arroccato nella torre di uno
scientismo rigoroso ed elitistico, aristocraticamente alieno dal cedere
agli allettamenti della divulgazione, si decise a scrivere questo libro
solo per condiscendenza verso un editore straniero che poi mancò alle
promesse di pubblicarglielo in più lingue. E soprattutto si decise a
comporre questo lavoro, con il suo carattere divulgativo, quasi contro
voglia e come «sfida a sé stesso». Egli infatti si propose – lo dichiara
nell’autobiografia – di sperimentare se mai «sarebbe stato capace di
condensare in 120 pagine comprensibili anche ai non specialisti, tutto
ciò che gli sembrava essenziale per dare un’idea della religione greca:
lui che in 500 pagine di grande formato e strettamente tecniche (Paides
e parthenoi) non era riuscito ad esaurire un singolo aspetto!».
Siamo noi oggi a cogliere il sorprendente risultato dell’«esperimento»
da lui fatto, il cui valore egli neppure ebbe modo di verificare con
piena consapevolezza, poiché l’opera rimase praticamente sconosciuta. Pubblicando dunque in Italia il manoscritto lasciato da Brelich,
autore verso il quale nutriamo un sostanziale debito culturale e alla
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cui memoria siamo profondamente legati, siamo convinti di assolvere
un debito verso di lui. Ce lo dice il fatto che non esiste, a quanto
sappiamo, in Italia un libro italiano nel quale si offra una così coerente, articolata, organica sintesi di storia della religione greca svolta
secondo il metodo del comparativismo storico, e in una prospettiva
antropologica nutrita da un’amplissima e aggiornata conoscenza di
opere di etnologia religiosa. L’opera di un Gernet ora tradotta da
noi (Antropologia della Grecia antica), forse l’unica comparabile con
quella di Brelich, certamente presenta spunti storiografici di grande
interesse. Gernet insiste molto sui fattori di tensione che percorrono
l’intero sviluppo della civiltà greca, tra il tono dominante della religione della polis volta alla prudenza, alla moderazione, alla subordinazione
agli dèi, e le risorgenze del background arcaico e preellenico, proteso verso il misticismo, la magia e l’individualismo. È il background
che più tardi, nel declino della polis provocato – lo sottolinea proprio
Brelich – dall’avvento del dominio macedone, sarebbe sboccato nelle
espressioni di una cultura marcatamente individualistica e cosmopolita, con la filosofia, il culto divino del sovrano, i culti iniziatici dei
misteri. Orbene, questa idea-base di Gernet viene ripresa e condivisa
da Brelich; ma è soltanto in quest’ultimo che viene indicata la radice
storica del processo che avrebbe rotto e rovesciato a un certo momento – appunto con il crollo del regime della città-stato e quindi con
la crisi della religione ad esso legata – la «continuità» d’un equilibrio
dinamico fin allora prevalso, verso un deciso e definitivo «mutamento». Gernet evidentemente è legato al filone della sociologia francese,
particolarmente a Mauss, e perciò egli fa principalmente attenzione a
quegli aspetti – come la nozione di «valore» in senso socio-economico,
il complesso del sacrificio-dono e del dono-obbligazione, dello spreco
festivo, i rapporti tra ritualità e diritto (o prediritto e diritto) – che,
pur dando luce a certi rapporti fra religione e vita sociale, lasciano
da parte i processi di trasformazione storica, e quindi religiosa. Ma
proprio l’individuazione di tali processi dinamici e di trasformazione
religiosa, nella stretta interrelazione con la dinamica della società nei
passaggi dall’età preellenica a quella classica e poi all’ellenismo, segna
la linea di base del lavoro di Brelich. Ed è la linea che colloca l’opera
come pietra miliare nella storiografia religiosa della scuola italiana.
Del resto, per dire ancora del confronto con Gernet, l’opera di quest’ultimo non svolge una trattazione sistematica e organica della storia
social-religiosa greca. Essa riunisce insieme (l’opera postuma è curata
da J.P. Vernant) saggi separati e autonomi, relativi a momenti singoli
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e particolari: un mosaico di tessere che spetta al lettore d’integrare e
cucire tra loro nei modi possibili.
Anche Brelich, certamente, ha potuto compendiare in forma volutamente densa e sintetica i risultati di sue penetranti ricerche perseguite nel corso della sua produzione specialistica di livello «dotto».
Basta pensare al saggio su Gli eroi greci, che sta dietro alla sintesi
raccolta nel cap. IX, o al massiccio volume Paides e parthenoi, che si
riflette nel cap. XV sulle iniziazioni; per non parlare dei vari originali
contributi su miti e sulla mitologia in generale, che si nascondono
dietro numerosi capitoli del libro.
Tuttavia questo libro si diversifica in modo originale da ogni altro del genere, per la sua unità e organicità. Unità e organicità che
trovano la loro base nell’impostazione storicistica. Lo storicismo di
Brelich si fonda, potremmo dire, su tre principi strettamente connessi
tra loro fino a costituire nell’insieme un’unica e coerente linea teorica
e metodologica: la prospettiva che chiamerei globalistica, il metodo
del comparativismo e il criterio dinamistico. Con la prospettiva globalistica la religione è trattata e vista nell’ampio contesto della civiltà
complessiva e nell’intreccio con le più diverse manifestazioni di questa,
cioè struttura sociale, organizzazione politica, arte, letteratura, poesia,
filosofia. Brelich infatti sottolinea che la religione greca non esiste
come categoria autonoma rispetto alle rappresentazioni che d’essa
sono date nella libera produzione individuale d’arte, poesia, letteratura: per cui quanto noi moderni attribuiremmo al mondo profano,
nell’antica Grecia s’intreccia inestricabilmente con il mondo del sacro.
Evidente che, sotto tale riguardo, la religione diventa non più che un
punto di riferimento di un’intera civiltà, e non più che un punto di
partenza per un ripensamento globale circa lo sviluppo, in tal caso,
di quella civiltà che si muove nel Mediterraneo da Creta a Micene
all’intera Grecia nell’arco di tre millenni. D’altronde, nella prospettiva
globalistica assume luce la rete di rapporti sociali e d’influenze culturali
fra élites dominanti e strati popolari «marginali», fin dall’epoca cretesemicenea e la seguente «epoca oscura», quando masse di Greci con la
«migrazione ionica» raggiungevano le coste dell’Asia Minore o quando,
ancor prima, influenze fenicie, per il tramite delle navigazioni, fecero
sentire i loro effetti sull’alfabeto greco. Brelich ha ognora l’occhio
attento alla presenza degli strati sociali inferiori e si sforza di uscire
dalla mera contemplazione di monumenti e di documenti emananti
dalla cultura «di palazzo», cioè propri della religiosità «ufficiale», per
porre in risalto il fatto che «la civiltà dell’élite dominante non poteva
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non filtrare in qualche misura anche negli strati sociali più bassi [fin
dall’epoca oscura della “crisi”], poiché la gente, per quanto impegnata
in una dura lotta per la sopravvivenza, non era completamente tagliata
fuori dall’ambiente più ampio con cui i Micenei, come già i Cretesi,
avevano intrattenuto rapporti». Questa attenzione data ai rapporti fra
classi sociali, la si ritrova anche nelle osservazioni circa l’importanza
della scrittura come fattore di acculturazione tra vari strati sociali: un
problema che oggi – per esempio con gli studi promossi da Jack Goody
– è emerso con urgenza a livello di antropologia culturale e sociale.
Ma la prospettiva globalistica permette a Brelich di fornirci un quadro
interpretativo abbastanza luminoso anche per i capitoli più incerti e
bui della storia antica. Per esempio egli indica le non poche affinità
tra Micene e Creta, poi significativamente viste nelle loro differenze
rispetto alla cultura greca classica: idoletti e sigilli ma non la grande
statuaria; architettura palaziale ma non templi né città-stato: tutti segni d’una cultura curtense di palazzo, adeguatasi ai modelli minoici e
tuttavia portatrice di una nuova scrittura, la «lineare B» che avrebbe
conquistato la Grecia continentale. Dunque, ancora una volta «continuità», scambi culturali, ma anche «discontinuità» e trasformazione.
Ma lo storicismo di Brelich è uno sviluppo criticamente approfondito, a sua volta, del comparativismo storico propugnato da Raffaele
Pettazzoni e al quale la scuola italiana di storia delle religioni – almeno la più consapevole e aperta – non può non riferirsi come suo
contrassegno il più originale. La comparazione storica, nel caso greco,
è poi tanto più necessaria, fa notare Brelich, per rompere gli effetti di
quella particolare abitudine, culturalmente determinata, di leggere i
miti greci in una prospettiva estetizzante o addirittura univocamente
poetica, e d’intenderli quasi come un unicum nella storia universale:
mentre con questo libro Brelich ci dimostra come racconti mitologici, esseri mitici, feste greche antiche si debbono rapportare, per una
parte dei loro caratteri ad altrettanti caratteri comuni a tante culture
«primitive» di popoli coltivatori (culti agrari, ecc.) e perfino cacciatori
(trickster), mentre altre caratteristiche sono specificamente legate alla
storia della società e della civiltà greca nella sua peculiarità e nei suoi
svolgimenti.
Nell’ambito del comparativismo storico perseguito da Brelich assume significato per esempio il confronto tra la figura del poeta greco
narratore di miti, e la figura del veggente o del sacerdote guaritore
delle società tradizionali di livello etnologico, nella loro funzione di
comunicazione con il mondo sovrannaturale (perciò vedi anche Dod-
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ds). Ma il comparativismo qui non è un criterio formale o avulso dalla
realtà storica; è soprattutto un comparativismo di processi dinamici.
Perciò si rende comprensibile il processo che spinge un mitico Essere
supremo celeste, comune a tante culture «primitive», a diventare lo
Zeus dei Greci; ovvero il processo (parallelo al primo) che induce il
passaggio di un trickster dei miti primitivi, al dio Hermes dei Greci.
Sono processi collocati entro lo sviluppo storico-sociale-culturale che
produce, nel caso greco come presso le altre civiltà mediterranee e
vicino-orientali, quel complesso religioso che si raccoglie nel nome di
politeismo: un complesso il quale costituisce di per sé uno dei problemi storici d’ordine generale e più impegnativi tra quelli affrontati da
Brelich. È un problema posto da lui, nuovamente, nella prospettiva
globalista di intere civiltà che si muovono nella storia e che assumono,
nei loro remoti sviluppi da forme primitive e protostoriche, i connotati generali delle cosiddette «civiltà superiori» (cfr. la sua Introduzione
alla storia delle religioni). In questo contesto dinamico e comparativo
vengono valorizzate le differenze costitutive tra i vari livelli e le diverse categorie di figure mitiche, nonché le differenziate relazioni tra
ciascuna di esse (categorie e figure singole) e le società corrispondenti
che le assumono nel loro pantheon. Perciò si rende utile non solo il
confronto con le religioni e le culture di livello etnologico. V’è una
pagina del libro in cui si rivela la magistrale capacità di Brelich nel
confronto sintetico tra le più grandi religioni antiche, rispetto a quella
greca. Le religioni dell’India, del vicino-Oriente e l’Ebraismo possiedono una caratteristica comune – la documentazione «diretta» data da
fonti sacerdotali, teologiche, dottrinali, normative ufficiali – dunque
fonti redatte da personale specializzato, istituzionalmente addetto al
culto o alla sua difesa e propagazione.
La religione greca spicca per una sua caratteristica – per così dire
– «in negativo», ossia per la mancanza costituzionale di ogni tipo di
documentazione «diretta» nel senso proprio delle fonti «ufficiali». Le
fonti di essa sono – osserva Brelich – tutte di tipo «indiretto», cioè
arte, letteratura, poesia, iscrizioni: dunque fonti non normative, non
sacerdotali, non dottrinali, non ufficiali. Ecco pertanto la caratteristica
primaria della religione greca – che non si poteva cogliere senza confrontarla con le altre –: essa «è inestricabilmente legata ad ogni settore
dell’esistenza, alla vita quotidiana di ognuno», per cui «non c’era bisogno di trasmetterla in testi sacri redatti da autori specializzati». Ma ciò
è quanto basta, noi osserviamo, per legittimare i sistematici confronti
fatti da Brelich con le religioni cosiddette «primitive». Infatti proprio
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nelle civiltà di livello etnologico, come noto, si osserva il medesimo
carattere onnipervasivo e capillarmente diffuso della prospettiva religiosa. Possiamo ben dire pertanto che la religione dell’antica Grecia
bene si colloca a confronto con le religioni dei popoli che l’etnologia
generalmente ci descrive e ci illustra: salvo le enormi differenze che
discendono da una civiltà letterata anziché illetterata, per cui da essa
doveva uscire il germe della civiltà moderna. Ma, proprio come nelle
società tradizionali premoderne del Terzo Mondo, «la religione greca
– nota Brelich – non era emanazione o imposizione di una particolare
componente sociale, classe sacerdotale o classe dirigente politica che
fosse». Per esempio, Brelich sottolinea che il tempio di Asklepios a
Epidauro, dedicato alla divinità della salute, era meta di pellegrinaggi
e luogo rinomato di guarigioni miracolose notoriamente frequentato
da tutte le classi sociali. Ciò pone questo culto antico su un piano
distinto da quello proprio di certi culti folklorici moderni, tipici degli
ambienti contadini. Questo carattere sociologicamente indiscriminato dei culti greci d’epoca classica consente di vedervi un’omologia
con le forme della religione tipica delle società tradizionali del Terzo Mondo avanti all’introduzione dei modelli occidentali e cristiani.
Può essere interessante in proposito il quadro qui fatto della mantica
greca nelle varie sue configurazioni, coesistenti tra loro senza essere
particolarmente legate a differenti ambienti o strati sociali. Così la
mantica d’ispirazione dell’oracolo apollineo di Delfi – secondo il mito
derivato esso stesso da un culto oracolare tellurico, dedicato già a
Pythor, mitico predecessore di Apollon che lo spodestò nella sede – fa
pensare ai culti di possessione africani, o ai culti sciamanici d’Asia
e d’America. Così la cleromanzia, altra forma della mantica greca,
ricorda le molteplici e varie pratiche divinatorie basate sulla tecnica
del sorteggio – per getto di conchiglie o pietruzze ecc., per sorteggio di
elementi da un mazzo, per osservazione di eventi o movimenti fortuiti
o della casuale postura di una vittima sacrificale (come nell’aruspicina
classica) –: tutte pratiche diffuse tra le più varie culture cosiddette
«primitive». Perfino l’oniromanzia greca e la mantica per incubazione vigente presso l’oracolo di Zeus in Dodona, trovano sostanziali
corrispondenze nella funzione profetica e nel ruolo vaticinatorio che
si riconosce, presso molte società tradizionali, ai sogni, e agli spiriti
dei morti che appariscono in visione. Tutto ciò forma, sia nell’antica
Grecia che presso le società tradizionali del Terzo Mondo in età moderna, un complesso di riti che prescindono da ogni classificazione
sociologica.
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Nell’insieme la religione greca sembra dunque riflettere quello spirito di democrazia che appunto partendo da questa matrice culturale
doveva assurgere a modello della civiltà occidentale. Ma la situazione
dovette evidentemente mutare in età ellenistica. Trent’anni or sono
Raffaele Pettazzoni (La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Torino 19542) segnalava l’antinomia di quest’età, tra la religione
olimpica e le religioni misteriche, interpretandola come spia di un’antinomia culturale, tra cultura dominante e cultura delle classi popolari. In realtà l’adesione, diffusa in epoca classica, alla religione della
polis, capace d’integrare e assorbire nei propri schemi anche le spinte
misticheggianti e individualistiche del dionisismo che affioravano ai
margini della cultura comunitaria, con l’ellenismo viene contrastata
da quella corrente che abbraccia la religione tanto quanto la filosofia,
e che guarda alla salvezza del soggetto singolo, fuori dal contesto comunitario. Proprio Brelich ci indica la ragione storica e psico-sociale
del grande mutamento, nella crisi dell’uomo come soggetto culturale
e sociale. «All’individuo viene a mancare – egli scrive – quel solido
e rassicurante terreno sotto i piedi, che fin allora era costituito dalla
città-stato». Ora, a noi pare di poter ravvisare, nella contrapposizione
da lui postulata di «individuale/comunitario», anche i segni di un’altra
contrapposizione, che gramscianamente si usa indicare con i termini di
«popolare» e «ufficiale». È una contrapposizione non esistente dunque,
come Brelich ci dice, nella Grecia classica.
I pochi richiami fin qui fatti a temi e problemi affrontati nel libro
sono sufficienti forse a giustificare la nostra premessa, secondo la
quale il criterio dinamista costituisce uno dei fulcri dello storicismo
di Brelich. Lui stesso, del resto, programmaticamente enuncia una
sua preoccupazione di fondo, di delineare – come storico – i fattori
di continuità, discontinuità e mutamento, partendo dalla premessa
che nulla nasce dal nulla, in qualsiasi civiltà e in qualsiasi momento.
Neppure certe analogie esteriori o nominali tra elementi di civiltà
differenti si debbono dunque assumere acriticamente come segni di
analogie sostanziali, ci avverte Brelich: e ciò per segnare la distanza dal
vecchio comparativismo formale totalmente superato. Per intenderci,
basta ripensare al problema, da lui posto, dei nomi divini di comune
origine indo-europea, diffusi (per esempio Dyaus, Zeus, Iuppiter) dall’India alla Grecia ecc., e che «possono avere assunto nuovi significati
nel corso del processo di acculturazione, mentre in origine potevano
designare entità mitiche di tipo differente da quello delle divinità politeistiche». Sintomatico pare il richiamo al concetto di «acculturazione»,
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INTRODUZIONE
per indicare la sensibilità aperta agli aspetti della dinamica culturale
in un ampio contesto storico-antropologico.
Ma dopo avere chiarito i criteri d’impostazione seguiti dall’autore,
non possiamo non dedicare una parola al suo intenso sforzo di approfondimento critico ed autocritico. A questo proposito, il primo obiettivo cui risponde la ricostruzione di questa storia culturale e religiosa
dei Greci consiste nel penetrare nel vivo dei valori di base dell’intera
civiltà greca classica, per misurarne quindi la crisi e il travolgimento
in un sistema di valori nuovi, più prossimo agli sviluppi moderni.
Illuminanti, perciò, sono le pagine dedicate all’agonistica cultuale,
concluse con la citazione d’un passo di Pindaro che dà la misura del
«valore» sociale, civile, religioso attribuito all’agonismo con il suo culto della bellezza, mentre anche spiega la funzione della poesia come
servizio liturgico.
Altrettanto illuminanti ai fini della fedele individuazione dei «valori»
ellenici, ci sembrano le pagine nelle quali a proposito della letteratura
tragica del V secolo, si ammonisce il lettore moderno a non cedere
a criteri di valutazione inconsciamente e acriticamente etnocentrici
– sulla base di nostri concetti morali – prescindendo dai ben diversi
valori sociali, civili e religiosi operanti nella società della polis e a cui
s’ispirano sostanzialmente le tragedie di un Eschilo o di un Sofocle.
In questo senso, ossia nella puntualizzazione precisa dei «valori» della
civiltà greca fatta attraverso l’analisi delle sue diverse manifestazioni
culturali, I Greci e gli dèi può essere qualificato come un originale
contributo di antropologia storica.
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(a cura di M. Massenzio).
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Estratto distribuito da Biblet
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