Romanizzazione

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27/08/2013 |
Romanizzazione
La romanizzazione, fenomeno evolutivo e diversificato che interessò la maggior parte dei popoli sottomessi da
Roma, può essere definita come una trasformazione più o meno profonda delle società indigene a seguito
dell'assimilazione di una cultura straniera. Processo complesso nato dall'incontro fra due culture, la
romanizzazione non si limitò a una semplice acculturazione imposta dal vincitore: nella progressiva adozione
di nuovi modi di vita le società celtica e retica (Celti, Reti) non furono passive ma diedero prova d'iniziativa,
ridefinendo i modelli culturali e creandone di nuovi pur rimanendo fedeli ad alcune tradizioni ancestrali. Il
mondo Galloromano si presenta dunque come il risultato di un profondo cambiamento delle condizioni di vita,
dove, a causa di una conoscenza ancora lacunosa della civiltà celtica, è difficile stabilire quanto si conservò di
quella tradizione. Il processo di romanizzazione, che precedette di molto l'integrazione politica, venne favorito
dalla rapida adesione delle élite al modello romano, ma anche dal realismo politico dei Romani, che seppero
mantenere il quadro identitario dei popoli sottomessi e integrare l'aristocrazia gallica nelle nuove forme di
potere. Il ritmo e l'intensità della romanizzazione variarono a seconda delle regioni e delle circostanze. Il
bacino lemanico e il basso Vallese appaiono così più permeate dal mondo romano rispetto all'Altopiano
nordoccidentale e alle valli alpine, che rimasero legate più a lungo alle loro tradizioni. Le colonie romane di
Nyon (Colonia Iulia Equestris), Avenches (Aventicum) e Augst (Augusta Raurica), ma anche il Ticino
meridionale, risultano maggiormente romanizzati della Svizzera nordorientale, meno popolata e più distante
dalle principali vie di comunicazione.
Autrice/Autore: Daniel Paunier / gbp
1 - Gli inizi della romanizzazione
Prima ancora che si manifestasse l'influenza di Roma, l'espansione greca in Occidente, e in particolare la
fondazione della colonia focese di Marsiglia verso il VI sec. a.C., contribuirono largamente all'evoluzione della
società celtica, sia nel campo dei modelli urbanistici e architettonici e delle tecniche agricole, sia in quello
delle nuove pratiche commerciali, sociali, artistiche e religiose. Le migrazioni dei Celti nel IV sec. a.C., che
conquistarono Roma nel 387 e si insediarono nell'Italia settentrionale, l'intensificazione delle relazioni con le
civiltà urbane del bacino mediterraneo dal III sec. a.C., l'arruolamento di numerosi mercenari celti negli
eserciti ellenistici, la conquista romana della Gallia Cisalpina e poi della Gallia transalpina stimolarono i
contatti, comportarono la trasformazione della società gallica e la formazione della civiltà degli Oppida, primo
segno di un processo di urbanizzazione. Da quel momento, gli scambi con il mondo romano si intensificarono:
Roma stipulò delle alleanze per controllare le grandi vie di comunicazione mentre mercanti romani
percorrevano la Gallia. Una vera e propria rivoluzione economica ebbe luogo quando diversi popoli, tra cui gli
Elvezi, adeguarono la loro valuta al sistema monetario romano. Durante la guerra gallica membri
dell'aristocrazia celtica entrarono a far parte dello Stato maggiore di Cesare e indigeni si arruolarono nelle
truppe ausiliarie romane. Si crearono così numerose opportunità di incontro e di scambio. Quando
l'imperatore Augusto prese il potere, la romanizzazione era dunque già in corso da diversi sec.
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2 - L'integrazione del territorio della Svizzera nell'Impero romano
2.1 - Organizzazione territoriale, politica e amministrativa
Dal II sec. a.C. la regione dei laghi it. e ticinesi e parte del territorio di Ginevra passarono sotto il controllo di
Roma. Due colonie, primi fulcri della romanizzazione, vennero fondate a Nyon verso il 50/46 a.C. e ad Augst
nel 44 a.C. Fu tuttavia solo con la conquista delle Alpi, iniziata nel 25 a.C. e conclusa probabilmente nel 13
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a.C., che l'insieme della Svizzera odierna venne annesso all'Impero romano. L'insediamento di postazioni
militari legate all'offensiva romana contro i Germani e, in seguito, la ritirata delle truppe sul Reno dopo la
disfatta subita da Publio Quintilio Varo nel 9 d.C., mostrano come fosse marcata la presenza dell'Esercito
romano sul territorio. Mentre alcuni oppida vennero progressivamente abbandonati, altri rimasero occupati
senza apparente soluzione di continuità.
Probabilmente fra il 16 e il 13 a.C. Augusto iniziò a riorganizzare la Gallia introducendo la suddivisione in
Province, il censimento della pop., la costruzione di un'ampia rete stradale, la fondazione di città principali e
di località secondarie. Ogni territorio degli antichi popoli gallici divenne un'unità amministrativa e politica - la
"città" (Civitas) - dotata di un capoluogo, un centro urbano conforme ai criteri romani dell'urbanitas, dove le
élite indigene esercitavano il potere. Aventicum divenne così la capitale degli Elvezi, Augusta Raurica la caput
gentis dei Rauraci e Martigny (Forum Claudii Vallensium) il capoluogo delle popolazioni del Vallese,
raggruppate dall'imperatore Claudio in una sola entità. Alcuni popoli (Elvezi, Allobrogi) conservarono sotto
l'Impero le antiche circoscrizioni (Pagus), rimanenze del periodo dell'indipendenza. Località secondarie (Vicus)
subordinate a livello amministrativo al capoluogo, che facevano da tramite fra città e campagna, vennero
ripristinate o create ex novo a partire dall'epoca di Augusto, probabilmente a seguito di una decisione
imperiale. Nelle campagne le Villae, aziende rurali di tipo romano che rimasero perlopiù di proprietà delle
grandi fam. dell'aristocrazia gallica, soppiantarono progressivamente una parte delle fattorie indigene.
L'introduzione di un nuovo Catasto permise di determinare l'ammontare dell'imposta fondiaria e di procedere,
all'occorrenza, a una ridistribuzione delle terre.
Ricalcate su quelle di Roma, le istituzioni municipali comprendevano un senato locale (ordo decurionum) e
due duumviri, eletti per un anno e incaricati della gestione generale. Edili, questori e prefetti completavano il
potere esecutivo delle colonie. Gli ab. dei vici (vicani), dal canto loro, si riunivano in assemblee, presiedute da
curatores o magistri, designati anche loro per un anno. Complesso e perfettamente codificato, il Diritto
romano riuscì a imporsi, completato, in particolare nel caso dei non cittadini, dalle regole locali. La giustizia
veniva amministrata sia da magistrati superiori (duumviri jure dicundo) nell'ambito delle città, sia dal
governatore della provincia e, per i casi più gravi, dall'imperatore, giudice supremo. Nonostante i Galli
disponessero già di leggi e tribunali, il nuovo sistema giur. costituì una fondamentale cesura con il passato.
L'organizzazione territoriale dell'epoca augustea non segnò invece un cambiamento radicale: la comparsa
simultanea, già dal II sec. a.C., degli oppida e di insediamenti sparsi (aziende agricole, residenze
aristocratiche), così come l'esistenza, oggi ben attestata, di una vasta rete stradale e di parcellazioni,
prefigurarono la marcata strutturazione del paesaggio del periodo galloromano.
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2.2 - Presenza e ruolo dell'esercito
Il ritiro delle truppe romane sulla sponda sinistra del Reno nel 9 d.C. e il consolidamento della frontiera renana
ad opera prima di Tiberio e poi di Claudio, ebbero quali conseguenze la realizzazione di un campo legionario a
Windisch (Vindonissa) e di presidi militari (castella), in particolare ad Augst e Zurzach. La successiva
permanenza di tre legioni e di truppe ausiliarie, con uno stazionamento costante di circa 6000 soldati, costituì
un importante fattore di romanizzazione. Tramite l'esercito, la pop. indigena entrò in contatto diretto con la
cultura e gli usi romani. Assicurò il rifornimento delle truppe, collaborò al trasporto delle merci venute da
lontano, fornì ai soldati beni e servizi e beneficiò quindi di un evidente sviluppo economico aprendosi alla
civiltà del vincitore. Anche l'arruolamento di autoctoni nelle truppe ausiliarie contribuì all'adozione di nuovi
stili di vita. Le fonti epigrafiche menz. coorti formate da Elvezi, Rauraci o da soldati appartenenti alle tribù
vallesane e attestano a più riprese la morte in terre lontane di soldati provenienti dal territorio sviz. Terminato
il servizio (che durava solitamente 20 o 25 anni), i peregrini delle coorti ausiliarie ricevevano un diploma
dall'imperatore che conferiva loro, così come ai loro discendenti, lo statuto di cittadino romano. Le legioni
furono invece costituite perlopiù da cittadini romani, e solo di rado vennero comandate da nobili indigeni,
come nel caso dell'elveta Caio Giulio Camillo, tribuno militare.
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Gli ex soldati (veterani) si stabilirono spesso nella regione dove avevano prestato servizio, divennero
proprietari fondiari e allacciarono stretti legami con l'aristocrazia municipale. Talvolta l'esercito fu coinvolto
nello sviluppo della regione mettendo a disposizione delle autorità locali ingegneri e specialisti per la
costruzione di strade, ponti, acquedotti o monumenti pubblici. Dopo l'abbandono del campo di Vindonissa nel
101 d.C. in seguito allo spostamento più a nord della frontiera dell'Impero (Limes), la presenza dell'esercito
diminuì sensibilmente fino al basso Impero. Rimasero solo alcuni distaccamenti incaricati della sorveglianza
delle strade, in particolare a Ginevra, Vevey e Soletta.
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3 - Popolazione e società
L'occupazione romana ebbe un influsso determinante sulla civilizzazione e potrebbe far supporre un rinnovo
completo della pop. Le fonti letterarie, epigrafiche e archeologiche confermano invece sia l'origine indigena
della pop. sia la romanizzazione dei ceti dirigenti, spec. tramite l'ottenimento della cittadinanza romana. Alla
vigilia della conquista, la società gallica comprendeva tre classi principali: l'élite aristocratica (cavalieri e
druidi) che deteneva il potere, il popolo, quasi del tutto privo di diritti, e gli schiavi. Nell'Impero romano la
società era suddivisa - fatta eccezione per l'imperatore e la sua fam. - negli ordini senatoriale, equestre e dei
decurioni, in liberti ricchi e infine nei ceti inferiori (uomini liberi, liberti, schiavi). Nei territori sottomessi da
Roma, gli uomini liberi divennero dei "peregrini".
La cittadinanza romana, che costituiva uno dei maggiori stimoli della romanizzazione, poteva essere ottenuta
tramite una concessione individuale o collettiva. Nelle città di diritto lat. come Avenches, oppure in Vallese, i
notabili che avevano ricoperto tutte le cariche municipali ricevevano ipso facto i diritti e i privilegi del
cittadino romano; anche l'esercito permetteva inoltre una promozione analoga. Sin dagli inizi dell'Impero,
l'aristocrazia locale si integrò nella struttura sociale romana assumendo magistrature civili e funzioni militari.
Alcuni membri dell'importante fam. dei Camilli di Aventicum, che ricoprì le più alte cariche nella civitas degli
Elvezi, ottennero ad esempio la cittadinanza già dall'imperatore Augusto, forse persino da Caio Giulio Cesare.
Uno di loro, Caio Giulio Camillo, ebbe il raro privilegio di accedere all'ordine equestre per concessione di
Servio Sulpicio Galba. Questa élite di proprietari fondiari, propensa ad assimilare il modello romano, contribuì
ampiamente alla mutazione rapida e profonda della società indigena.
Progressivamente, e in misura sempre crescente, i ceti superiori e medi ottennero la cittadinanza romana,
fino a quando, nel 212 d.C., l'editto dell'imperatore Caracalla conferì questo diritto a tutti gli ab. liberi
dell'Impero. Le donne, che in generale avevano lo stesso rango sociale del marito, potevano accedere solo ad
alcune cariche ufficiali, come il sacerdozio del culto delle imperatrici (otto attestazioni). Nel diritto romano,
che valeva solo per i cittadini dell'Impero, a seconda del regime matrimoniale la moglie era sottoposta alla
tutela del marito, del padre o di un parente. Fatta eccezione per il culto imperiale, sull'attuale territorio sviz. le
testimonianze di attività femminili (commercianti, medici, impiegate o domestiche) sono rare; si può tuttavia
citare Pompeia Gemella ad Aventicum, balia e forse educatrice del futuro imperatore Tito.
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4 - Città e campagne
4.1 - Lo spazio urbano
Negli oppida, considerati attualmente in prevalenza come città celtiche, si concentrava il potere economico,
amministrativo, politico e religioso. Non sono tuttavia da paragonare agli insediamenti mediterranei, il cui
aspetto urbanistico costituiva l'espressione più tipica della civiltà greco-romana. Nella Gallia il tracciato delle
cinte urbane, di concezione e carattere assai eterogenei, non rispondeva sempre alle esigenze di una difesa
efficace, le vie e le piazze non si inserivano in un sistema rigorosamente ortogonale, i monumenti pubblici
(templi e luoghi di raduno) erano modesti, l'approvvigionamento idrico non costituiva una priorità e le
abitazioni delle persone abbienti si distinguevano più per la qualità degli oggetti di uso quotidiano e la
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raffinatezza della cucina che non per l'architettura sfarzosa. Espressione della volontà del potere centrale, il
processo di urbanizzazione, che andò di pari passo con la riorganizzazione della Gallia sotto Augusto, fu
stimolato in larga misura dai ceti dirigenti locali, disposti a creare, spesso a proprie spese, un contesto di tipo
romano per esercitare il loro potere. Pur sviluppandosi a un ritmo variabile in funzione delle circostanze
politiche ed economiche, le città vennero dotate - sin dall'epoca di Augusto e di Tiberio per Nyon, Avenches e
Augst e dal regno di Claudio per Martigny - delle strutture monumentali necessarie al funzionamento della
vita politica, religiosa, economica e sociale imposte dal modello romano: una trama urbana caratterizzata da
ampie vie fiancheggiate da portici e dotate di canali di scolo, il Foro con il Tempio romano classico su podio e
la Basilica, le Terme, i luoghi di socializzazione e di ricreazione (Anfiteatro, Teatro), i mercati, gli acquedotti e
le reti fognarie (Approvvigionamento idrico), le fontane e i ninfei, la raccolta dei rifiuti e delle immondizie.
Accanto alle abitazioni più modeste, le case (domus) dei benestanti vantavano una corte interna di ispirazione
mediterranea ed erano riccamente decorate a testimonianza del rango sociale dei loro proprietari. In questi
centri urbani, la progressiva sostituzione delle costruzioni in terra e legno dalla seconda metà del I sec. d.C.
trasformò profondamente il paesaggio, conferendogli quell'aspetto di romanità che incentivò il cambiamento
dei modi di vita e delle mentalità.
Anche i vici, dove le tradizioni indigene erano più radicate, tentarono di assumere un aspetto urbanistico di
tipo romano, che rimase però più modesto a causa del loro statuto inferiore e della mancanza di mezzi
finanziari: la trama viaria era meno rigorosa, mancavano i templi di tipo romano, le case avevano
generalmente una struttura allungata e ospitavano sia le attività artigianali sia quelle domestiche. Le domus
erano presenze isolate. Nelle Alpi le borgate come Gamsen-Waldmatte (com. Briga-Glis), che risalgono quasi
tutte all'età del Ferro, cercarono a loro volta di adottare un piano regolatore, anche se meno rigido. Qui
prevalevano le tecniche di costruzione tradizionali (terra e legno), perfettamente adattate all'ambiente, che si
tramandarono ben oltre l'epoca galloromana.
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4.2 - Lo spazio rurale
Le villae, fulcri della romanizzazione, trasferirono lo stile e il benessere urbano nelle campagne. Dall'epoca di
Augusto e Tiberio le prime tenute agricole, costruite inizialmente in legno e poi in muratura (dalla metà del I
sec. d.C.), spesso inserite in nuove parcellazioni, cominciarono a diffondersi progressivamente sul territorio.
Sostituirono, nello stesso luogo oppure a una certa distanza, le fattorie indigene in terra e legno circondate da
un recinto con fossato. La loro densità e le loro dimensioni raggiunsero il culmine nel corso del II sec. d.C. Fu
in quell'epoca che lo spazio abitativo (pars urbana), allestito lussuosamente, assunse l'aspetto di un vero e
proprio palazzo di campagna (Orbe-Boscéaz) mentre l'area destinata alla produzione agricola e all'artigianato
(pars rustica) conobbe il suo maggiore sviluppo.
Le principali attività delle villae erano la cerealicoltura, l'allevamento, l'arboricoltura e l'orticoltura. La
romanizzazione segnò anche l'introduzione di nuove piante, quali il coriandolo, il finocchio, l'aneto, la segale,
l'avena, il frumento e la vite. L'arboricoltura si sviluppò grazie alla tecnica dell'innesto e alle specie già
conosciute si affiancarono in particolare il noce e il prugno. La varietà degli animali domestici si arricchì con
l'introduzione dell'asino, del mulo, del gatto e dei piccioni; le dimensioni del bestiame aumentarono grazie alle
condizioni di allevamento più favorevoli e a seguito di incroci selettivi con razze originarie dell'Italia o della
Gallia meridionale. Le tecniche agricole registrarono diversi progressi (miglior rendimento del suolo tramite
marnatura e concimazione, perfezionamento dell'aratro, selezione delle semenze, comparsa dei mulini
idraulici, utilizzazione delle botti, degli affumicatoi per la carne e degli essiccatoi per la frutta e i cereali).
Nelle regioni alpine le villae si diffusero nella bassa valle del Rodano e del Reno, dove la configurazione e
l'estensione del terreno consentivano uno sfruttamento agricolo su grande o media scala. Nelle alte valli, la
conquista romana non comportò un sostanziale cambiamento dell'economia, a carattere essenzialmente
agro-pastorale e dipendente dalle condizioni topografiche e climatiche. Fu mantenuta la costruzione degli
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edifici secondo le tecniche tradizionali (legno o pietra a secco) e come già nel Neolitico predominò
l'allevamento caprino che si perpetuò almeno fino al V sec. d.C.
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5 - La vita quotidiana
Il Latino, lingua amministrativa ma anche culturale dell'Impero, si affermò rapidamente. Ebbe larga diffusione
grazie alle scuole che avevano sostituito l'insegnamento dei druidi ed erano aperte a tutte le classi della pop.,
ai ragazzi e alle ragazze. Ciò nondimeno, l'uso della lingua vernacolare, in particolare per la comunicazione
orale, è attestato almeno fino al basso Impero. Anche la scrittura, adottata in Gallia nel II sec. a.C. per
rispondere alle esigenze del commercio, si diffuse molto velocemente. Le Iscrizioni ufficiali o private scolpite
nella pietra o nel bronzo (che rappresentavano una novità), così come le tavolette, gli oggetti recanti iscrizioni
oppure i graffiti costituiscono un'evidente testimonianza del processo di alfabetizzazione degli autoctoni sin
dall'epoca augustea. Il quadro della vita quotidiana, con nuove forme urbanistiche e un rinnovamento del
paesaggio rurale, conobbe una profonda trasformazione. Nelle abitazioni private, i segni della romanità si
manifestarono nelle tecniche di costruzione (muratura, tegole), nella decorazione (pitture murali, Mosaici,
scultura, stucchi), nell'organizzazione degli spazi (saloni, sale da pranzo, camere da letto, cucine) e nelle
comodità (impianti di riscaldamento a ipocausto). Si diffusero le lampade a olio e le lanterne per
l'illuminazione come pure l'uso della mobilia (solitamente, nella casa celtica, non si usavano né panche né
tavoli, né letti, né focolari sopraelevati: tutte le attività si svolgevano al livello del suolo). Il vasellame riflette
un'evoluzione delle abitudini culinarie, che variavano comunque a seconda delle classi sociali e delle regioni.
Dal I sec. a.C. nuovi modelli importati dal bacino mediterraneo o imitati nei laboratori locali (mortai, brocche,
vasellame da tavola in terra sigillata) coesistettero con le stoviglie autoctone tradizionali. Assieme alle
importazioni di anfore testimoniano l'adozione di abitudini alimentari mediterranee, dove l'olio d'oliva, il vino
e i condimenti saporiti, come l'aceto e le salse di pesce (garum), ma anche gli stufati e i brasati riscuotevano
un grande successo. Il cucchiaio entrò in uso molto prima della forchetta.
La toga romana veniva indossata dai cittadini durante le cerimonie ufficiali. Altrimenti la tunica e il mantello,
spesso fermato con una fibula, e le scarpe generalmente chiodate costituivano gli elementi essenziali
dell'abbigliamento. Le donne seguivano la moda diffusa dalle imperatrici (pettinatura, trucco, gioielli). L'igiene
e il benessere conobbero un notevole miglioramento grazie all'uso delle terme e alla pratica dello sport,
all'introduzione di fognature e latrine, ma anche tramite lo sviluppo della medicina e il perfezionamento della
farmacopea. La speranza di vita, sebbene mediamente modesta, aumentò sensibilmente. Anche le attività di
svago si romanizzarono, specialmente attraverso il teatro, luogo di diffusione della cultura romana. Accanto
alla lira e al carnyx gallico, la gamma degli strumenti musicali fu ampliata con l'adozione del flauto, del
cimbalo, del liuto, della cetra e dell'organo idraulico.
Autrice/Autore: Daniel Paunier / gbp
6 - La vita economica
Nonostante già in epoca preromana siano riscontrabili alcune tendenze di sviluppo, quali l'intensificazione
degli scambi commerciali sulla lunga distanza verso la fine del II sec. a.C. (peraltro già praticati sin dall'epoca
di Hallstatt) e, nello stesso periodo, l'adeguamento da parte di alcuni popoli gallici della loro moneta al
sistema romano, e sebbene sia ormai comprovata l'esistenza di una solida rete stradale preromana, è solo in
epoca augustea che si consolidò la crescita economica che raggiunse poi il suo apice nella seconda metà del I
e nel II sec. d.C. Gli scambi furono stimolati dall'adozione del sistema ponderale e monetario romano, da
un'amministrazione flessibile ed efficace, dall'introduzione di regole giur. precise e dalla riorganizzazione della
rete delle vie di comunicazione terrestri e fluviali, che divenne inoltre più sicura. Le vie principali erano
costellate di stazioni di sosta (mansio o mutatio), di uffici doganali per il prelievo delle tasse che sostituivano i
pedaggi preromani e di posti di controllo del traffico affidati a distaccamenti dell'esercito. Grazie
all'allestimento di infrastrutture portuali (Ginevra, Losanna-Vidy, Avenches), pure le vie fluviali e lacustri si
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svilupparono.
I lavoratori specializzati si organizzarono in corporazioni, come i battellieri del lago di Ginevra, dell'Aar e della
Thielle o i negotiatores cisalpini et transalpini e i negotiatores salsarii et leguminari (mercanti di verdura e di
olive) che assunsero il controllo degli scambi commerciali. Numerose merci giungevano dal Mediterraneo,
dall'Africa, dall'Oriente, dalla Gallia o dalla Bretagna (derrate alimentari, stoviglie, vetro, metalli, marmi,
macine, ma anche tessuti e spezie, prodotti che si sono conservati in rari casi). In cambio si esportavano
vivande conservate sotto sale, legname, recipienti in pietra ollare, cristalli di rocca e manufatti, spec. in
bronzo. Situato all'incrocio delle grandi vie di scambio che valicavano le Alpi e il Giura, attraversato dal
corridoio del Rodano che sotto l'Impero divenne preponderante, il territorio della Svizzera attuale fu ben
presto integrato nella rete commerciale intern.
Autrice/Autore: Daniel Paunier / gbp
7 - Tecnica, arte e artigianato
Durante tutto il periodo dell'Impero furono utilizzate le tradizionali tecniche di costruzione con la terra e il
legno. La romanizzazione si manifestò tuttavia nell'adozione della muratura, delle pietre da taglio, del marmo
(proveniente perlopiù dal bacino mediterraneo), delle tegole, dell'intonaco a calce e dei pavimenti duri (malta,
cocciopesto, lastre di pietra o terracotta). Oltre a pitture murali e mosaici, per le decorazioni si ricorreva a
rivestimenti in pietra, a intarsi e stucchi. Le abitazioni divennero più confortevoli grazie al riscaldamento ad
aria calda (ipocausto) e a una sapiente gestione idrica (drenaggi, tubazioni in muratura, in legno, piombo o
terracotta, fognature). La pietra veniva sistematicamente estratta nelle cave e utilizzata per le costruzioni, la
realizzazione di macine oppure la fabbricazione di recipienti in pietra ollare.
Si affermarono nuove tecniche, come la fusione a stampo per realizzare lampade, statuine e decorazioni in
rilievo, la fabbricazione delle stoviglie in terra sigillata, la soffiatura del vetro che consentiva una produzione
su larga scala e infine la lavorazione dell'osso, pratica quasi sconosciuta presso i Celti. La scultura del legno,
della pietra e più raramente del bronzo, sebbene fosse già abbastanza diffusa presso i Galli, conobbe una
generale diffusione nella vita pubblica e nella sfera privata soltanto in epoca romana. Nonostante la presenza
di reminiscenze e tratti caratteristici del gusto popolare italico o gallico, furono i canoni dell'arte grecoromana a imporsi.
Dall'epoca di Augusto vennero importate opere d'arte prestigiose, che ornavano le piazze e i monumenti
pubblici, le ricche dimore e i mausolei della classe dirigente. Ma anche i laboratori locali fornivano spesso
prodotti di grande qualità. L'arte celtica, con le sue creazioni così originali, così come la letteratura,
essenzialmente orale, scomparvero quasi del tutto. Da quel momento, i Galloromani si conformarono ai gusti
e ai canoni della cultura classica mentre la tradizione gallica sopravvisse solo nelle opere minori o
nell'artigianato.
Autrice/Autore: Daniel Paunier / gbp
8 - Religione e pratiche funerarie
Nonostante il peso delle tradizioni esistenti, la romanizzazione provocò cambiamenti fondamentali anche in
ambito religioso. I druidi e i valori che rappresentavano, incompatibili con il nuovo ordinamento romano,
vennero messi al bando, così come i sacrifici umani e la poligamia. Per garantire la coesione dell'Impero,
venne istituito il culto dell'imperatore e si allestirono nuovi spazi religiosi, segni tangibili dell'instaurazione
della religione ufficiale. Le regole liturgiche, i riti sacrificali e le istituzioni sacerdotali ricalcarono il modello
romano. Gli dei ancestrali, che conservarono spesso la loro denominazione (Cantismerta, Epona, Lugoves,
Taranis, Naria e molti altri), la loro origine naturale (per esempio Poeninus, divinità topica della vetta del Gran
San Bernardo) o animale (il toro tricorne, la dea orsa Artio) e i loro attributi, dovettero adattarsi ai nuovi
valori, anche se la corrispondenza fra gli dei gallici e le divinità romane era meno univoca di quella ravvisata
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da Cesare (interpretatio romana). In mancanza di una conoscenza particolareggiata della religione gallica, la
loro vera natura sfugge, per ora, a ogni analisi.
Alcuni santuari suburbani, come ad Avenches e Augst, consacrati alle divinità ufficiali della città, riunivano gli
dei del pantheon romano e quelli indigeni (però interpretati secondo un'ottica nuova), di cui certi, come
Caturix presso gli Elvezi, divennero divinità pubbliche. Lo stesso fenomeno è riscontrabile nei complessi
cultuali regionali, come a Studen-Petinesca e a Thun-Allmendingen, dove gli dei ancestrali assunsero nuovi
valori, compatibili con le usanze romane. L'architettura religiosa si trasformò, adottando il tempio romano
classico su podio e il Fanum galloromano con cella sopraelevata e galleria periferica, una creazione originale
fortemente influenzata da Roma che conferma la rottura intervenuta rispetto alla tradizione gallica. Da quel
momento gli dei assunsero, salvo eccezioni, sembianze umane e il tempio dove troneggiavano le loro effigi
divenne la loro dimora. La sopravvivenza di santuari di tipo celtico, come il recinto con fossati di LosannaVidy, ancora in funzione nel I sec. d.C., rimane un fatto eccezionale. Nella sfera privata, il culto domestico
romano, con il suo larario che raggruppava le statuine delle divinità, venne adottato su larga scala spec. dai
ceti superiori.
Nell'ambito funerario, che sottostava pure alla legge romana, l'incinerazione, già attestata alla fine dell'epoca
di La Tène, si impose ovunque con l'eccezione del massiccio alpino, dove il rito dell'inumazione perdurò
durante tutto l'Impero, nonostante la romanizzazione delle offerte e dell'architettura delle tombe (Ticino).
Conformemente all'usanza romana, le Necropoli si trovavano all'esterno del perimetro urbano. I defunti
venivano talvolta incinerati sul luogo stesso della tomba. Solo i neonati e i bambini non venivano cremati. Le
sepolture, che riflettevano la gerarchia sociale, potevano essere segnalate da strutture modeste (che non
hanno lasciato traccia alcuna), da steli funerarie scolpite o recanti iscrizioni che riportavano generalmente il
nome, l'età, la posizione e la carriera del defunto, da edicole in muratura o da imponenti mausolei, la cui
architettura e il cui linguaggio iconografico si ispiravano direttamente ai canoni greco-romani. Espressione di
orgoglio, questi monumenti autocelebrativi esaltavano la superiorità sociale e culturale dei notabili defunti.
Sono rari i riferimenti a pratiche celtiche precedenti, come la deposizione di armi, attestata a Remetschwil
all'inizio del I sec. d.C. in una tomba romanizzata.
Autrice/Autore: Daniel Paunier / gbp
9 - Conclusione
La romanizzazione fu all'origine di un profondo cambiamento della società celtica e delle sue condizioni di
vita, senza tuttavia comportare rilevanti modifiche del suo substrato etnico. Diversi sono i fattori che
favorirono questo fenomeno: gli scambi intercorsi da lungo tempo fra due civiltà con numerosi punti in
comune, il lungo periodo di pace e prosperità che fece seguito a una conquista condotta con determinazione,
la concessione di una larga autonomia alle civitates divenute romane a pieno titolo ma dirette dall'élite
indigena, uno spirito di apertura, ma anche l'assenza di fanatismi religiosi. Considerare la romanizzazione, un
evento eccezionale nella storia, come una riuscita è senz'altro legittimo, ma occorre operare qualche
distinguo. Se la trasformazione avvenne con l'incoraggiamento di Roma e il consenso dei notabili locali, se gli
indigeni, stando a Tacito, "divennero diversi senza accorgersene", non si può sottacere né la perdita di
identità di cui fu vittima la pop., né l'alienazione e persino l'estinzione quasi totale di una ricca cultura. La
società autoctona romanizzata ebbe una continuità storica e linguistica duratura nella Svizzera franc., nella
Rezia e in Ticino, mentre la parte germ. del Paese, colonizzata progressivamente fino alla Sarina dai Germani
a partire dal VI sec. d.C., adottò gradualmente una nuova identità culturale e linguistica (Alemanni). Le
colonie di Augst, Nyon e Avenches persero la loro importanza (vennero sostituite da Basilea, Ginevra e
Losanna), ma il retaggio galloromano rimase presente ovunque grazie in particolare alla Chiesa, che continuò
a utilizzare il lat. e sviluppò un'organizzazione amministrativa e gerarchica che ricalcava quella romana, ma
anche attraverso la perpetuazione del diritto romano che si è tramandato fino ai nostri giorni.
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Riferimenti bibliografici
Bibliografia
– C. Goudineau, Regard sur la Gaule, 1998
– D. Paunier, «Dix ans d'archéologie gallo-romaine en Suisse», in Revue du Nord, 80, 1998, 235-251
– G. Woolf, Becoming Roman, 1998
– SPM, 5
– W. van Andringa, La religion en Gaule romaine, 2002
– L. Flutsch, L'époque romaine ou la Méditerranée au nord des Alpes, 2005
– D. Paunier (a cura di), La romanisation et la question de l'héritage celtique, 2006
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