LE RIVOLUZIONI DEL 1848 UNA RIVOLUZIONE EUROPEA Nel

LE RIVOLUZIONI DEL 1848
UNA RIVOLUZIONE EUROPEA
Nel 1848 gran parte dell'Europa orientale (Francia, Italia, Impero asburgico, Confederazione germanica) fu invasa da una crisi
rivoluzionaria. Ad eccezione della Russia (a causa dell'arrettratezza della società civile e della repressione che impediva la
ricolta) e della Gran Bretagna (nonostante il sistema politico non lo impedisse). I paesi in cui vi fu la crisi erano accomunati dalla
situazione economica (in Europa nel 1846-47 vi fu una crisi economica che causò miseria, carestie e disoccupazione), dalla
attesa di un nuovo grande sommovimento rivoluzionario, richiesta di libertà politiche e di democrazia (in Italia, in Germania e
nell'Impero asburgico) e dalla emancipazione nazionale. Tutte queste giornate rivoluzionarie iniziarono con dimostrazioni
popolari nelle diverse capitali e sfociarono in scontri armati. La novità delle rivoluzioni del 1848 consiste nella partecipazione
delle massi popolari e nella presenza di obiettivi sia sociali che politici. Il testo base della rivoluzione proletaria era il Manifesto ei
comunisti di Marx ed Engels
LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO IN FRANCIA
il centro principale del moto rivoluzionario fu la Francia in cui vi era la monarchia liberale di Luigi Filippo d'Orleans, la quale
aveva imposto dei limiti sempre meno tollerabili e conduceva una politica ultramoderata. Per tale motivo si formò un opposizione
in cui erano presenti i lberali progressisti, i democratici, i bonapartisti, i socialisti e parte dell'opinione pubblica cattolica e
legittimista. Obiettivo dei democratici era il SUFFRAGGIO UNIVERSAE (secondo cui tutti i cittadini maschi potevano votare) in
modo da poter rislvere i problemi sociali del Paese. I democratici si riunivano in “BANCHETTI” ovvero delle riunioni private che
eludevano i divieti governativi. La scintilla che fece innescare la crisi rivoluzionaria fu il divieto di un banchetto previsto per il 22
febbraio a Parigi. Da ciò ne conseguì una ribellione da parte di lavoratori e studenti parigini. La Guardia Nazionale anziché
difendere la monarchia liberale di Luigi Filippo d'Orleans, si alleò con la protesta, in quanto essa salvaguardava gli interessi
della borghesia cittadina. Tale ribellione non fu placata e dopo 2 giorni il 1° ministro venne destualizzato e Luigi Filippo
abbandonò Parigi. Si formò subito un governo provvisorio a prevalenza democratica in cui per la prima volta vi erano anche 2
socialisti: il politico Louis Blanc e l'operaio Alexandre Martin. Il governo della Seconda Repubblica: abrogò ogni limitazione alla
libertà di riunione e stampa; abolì la pena di morte per reati politici; si impegnava a rispettare l'equilibrio dell'europa rinunciando
a portare la rivoluzione oltre i confini francesi; venne stabilito che in una giornata si poteva lavorare 11 ore; venne affermato il
principio di diritto al lavoro e per tale motivo vennero create delle officine nazionali che impiegavano i disoccupati in imprese di
pubblica utiità alle dipendenze del Ministero dei Lavori pubblici. Questo intervento dello Stato non venne considerato
positivamente dai moderati perché incompatibile con i principi del liberalismo economico. Il 23 Aprile 1848 ci furono le elezioni a
suffraggio universale per l'Assemblea Costituente e vinsero i REPUBBLICANI MODERATI e i socialisti venneor esclusi. Il 15
maggio il popolo parigino manifestò per appoggiare i democratici, ma tale manifestazione venne repressa dalla Guardia
Nazionale e molti capi della sinistra furono arrestati. Un mese dopo il governo chiuse le officine nazionali e obbligò i disoccupati
ad arruolarsi, il popolo si ribellò ma venne sedato con la violenza. La repessione della rivolta segnò la fine dell'ondata
rivoluzionaria europea e all'interno della Francia. Nel mese di Novembre l'Assemblea costtuente approvò una costituzione
democratica (ispirata al modello statunitense) che prevedeva un presidente della Repubblica eletto dal popolo ogni 4 anni e
un'unica Assemblea legislativa eletta sempre dal popolo. Il 10 dicembre del 1848 ci furono le elezioni presidenziali i cui candidati
erano: CAVIGNAC per i repubblicani moderati; LEDRU-ROLLIN per i repubblicani progressisti; LUIGI NAPOLEONE
BONAPARTE per la desta conservatrice. Vinse quest'ultimo anche per la forza del suo nome.
LA FRANCIA DELLA SECONDA REPUBBLICA AL SECONDO IMPERO
Con le elezioni del 13 maggio 1849 per la nuova Assemblea legislativa, si affermò alla Camera una maggioranza clericoconservatrice. Tra le prime decisioni del governo ci fu quella di correre in difesa del papato contro la Repubblica romana. Nel
1850 venne varata sia una legge che consentiva alla Chiesa di controllare l'istruzione scolastica e universitaria sia una legge
che privava del voto elettorale ai nullatenenti. Nel luglio 1851 la Camera si rifiutò di modificare un articolo della Costituzione che
impediva la rielezione di un presidente alla scadenza del mandato. Ciò avvenne perché la maggioranza moderata riteneva che
Bonaparte stesse rafforzando il potere personale. Il 2 dicembre del 1851 ci fu un colpo di Stato in quanto Bonaparte con l'aiuto
dell'esercito sciolse la Camera. Nello stesso mese, un plebiscito a suffragio universale approvò l'operato di Bonaparte e gli
attribuì il compito di redigere una nuova costituzione. Questa venne varata il mese successivo e stabiliva una durata decennale
del mandato presidenziale. Nel dicembre del 1852 ci fu un altro plebiscito che abolì la Repubblica e sancì la Restaurazione
dell'Impero. Luigi Napoleone assunse il nome di Napoleone III con il diritto di trasmettere il suo titolo ai suoi eredi.
LA RIVOLUZIONE DELL'EUROPA CENTRALE
Nel mese di marzo il moto rivoluzionario si propagò all'impero asburgico, agli Stati Italiani e alla Confederazione germanica.
Diversamente da quanto era accaduto in Francia, lo scontro era fra la borghesia liberale (appoggiata da una buona parte delle
classi popolari) e le strutture politiche dell'assolutismo. Il 1° episodio insurrezionale avvenne a Vienna il 13 marzo ma venne
represso dall'esercito. Ma il regno di Ferdinando I fu costretto ad allontanare il cancelliere Metternich il quale rappresentava l'età
della Restaurazione e aveva avuto il potere per 40 anni. A maggio l'imperatore Ferdinando I fu costretto ad abbandonare Vienna
e dovette convocare un Parlamento dell'Impero a suffragio universale. A PRAGA, dove si era formato un governo prvvisorio fu
convocato un congrasso di tutte le popolazioni slave dell'Impero che chiedevano maggiore autonomia; a pochi giorni
dall'apertura del congresso, scoppiarono degli incidenti fra la popolazione e l'esercito dando in tal modo, alle truppe imperiali il
pretesto per intervenire. La capitale boema venne bombardata e il governo ceco venne sciolto. In UNGHERIA sotto la guida di
Lajoj Kossuth venne creato un governo nazionale per agire in modo autonomo da Vienna ( si approfittarono del momento di
crisi). A suffragio universale venne eletto un nuovo parlamento, venne abolita la servitù della gleba in tutte le regioni dell'impero.
L'Impero Asburgico per venire a capo della secessione si approffitò della rivalità che c'era tra gli Slavi del Sud (Croati) e i
Magiari. I MAGIARI volevano riunire in unico regno tutti quei territori slavi chein passato avevano fatto parte del regno magiaro.
Gli SLAVI DEL SUD si schierarono con l'Impero Asburgico in quanto gli permetteva di conservare un'identità nazionale. Josip
Jelaia fu nominato governatore della Croazia e con il suo esercito enro in Ungheria unendosi alle truppe imperiali. L'impero
austriaco però momentaneamente dovette abbandonare l'Ungheria perché a Vienna scoppiò una rivolta ed era necessario
richiamare l'esercito presente in Ungheria. La rivolta che scoppiò a Vienna consisteva nell'impedire la partenza di nuove truppe
per il fronte. Tale rivolta venne sedata. Poco dopo Ferdinando I abdicò in favore di suo nipote Francesco Giuseppe che nel
marzo dell'anno successivo sciolse il Reichstag e concesse una costituzione moderata che prevedeva un Parlamento eletto a
suffraggio limitato e riaffermava la struttura centralistica dell'Impero. L'assemblea di Francoforte si bloccò sulla questione
nazionale, in quanto era divisa tra sostenitori della “GRANDE GERMANIA” (secondo cui tutti gli Stati germanici si dovevano
unificare intorno all'Austria imperiaele) e sostenitori della “PICCOLA GERMANIA” (secondo cui lo Stato nazionale dovea
costruirsi sul nucleo principale del Regno di Prussia. Vinse l'ipotesi della “PICCOLA GERMANIA” ma quando al re di Prussia gli
venne offerta la corona imperiale, questi la rifiutò perché offerta da un'assembea nata da un moto rivoluzionario. Questo rifiuto
segnò la fine dell'Assemblea di Francoforte.
LA RIVOLUZIONE IN ITALIA E LA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA
Le correnti politiche, nella rivoluzione del 1848 in Italia, avevano come obiettivo la concessione di costituenti (o statuti) ondata
sul sistema rappresentativo. In seguit alla sollevazione di Palermo nel gennaio del 1848, Ferdinando II di Borbone annunciò la
concessione di una costituzione nel Regno delle 2 Sicilia. In seguito dovettero fare lo stesso Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo II
di Toscana e Pio IX. Tali costituzioni avevano carattere moderato ed erano ispirate al modello francese. Quella più importante è
quella di Carlo Alberto e prevedeva: una CAMERA DEI DEPUTATI (che potevano essere votati da una ristretta minoranza di
cittadini di censo elevato); un SENATO (composto da elementi scelti dal re); un GOVERNO (che doveva dipendere dalle
decisioni del sovrano). Successivamente a Venezia insorse una manifestazione popolare che impose al governatore austrac di
liberare alcuni detenuti politici, tra cui il capo dei democratici: DANIEL MANIN. Dopo pochi giorni, in seguito a una rivolta degli
operai dell'Arsenale militare, i reparti austriaci dovettero arrendersi. Venne fatto un governo provvisorio presieduto da Manin e
venne proclama lata la costituzione della Repubblica Veneta. Dopo 5 giorni d'insurrezione gli austriaci vennero cacciati anche da
Milano, in cui la operazione fu guidata da Carlo cattaneo. Diverse regioni chiesero a Carlo Alberto di capeggiare il movimento
antiustriaco. Così il Piemonte dichiarò guerra all'Austria. Vi era un'agitazione patrittica e per non destabilizzare il loro trono
Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e Pio IX decisero di unirsi alla guerra antiaustriaca inviando le loro truppe che
partirono assieme a molti volontari. La guerra austro-piemontese assumeva l'aspetto di una guerra d'indipendenza nazionale.
Questa fonte nazionale però si sgretolò. Infatti di fronte all'evidente mira espansionistica di Carlo Alberto, il papa Pio IX ritirò le
sue truppe perché era preoccupato di vedersi coinvolto in uno scontro con una potenza cattolica. Successivamente stessa cosa
fecero il Granduca di Toscana e Ferdinando di Borbone. Il regno sabaudo alla fine si ritrovò solo ad affrontare l'esercito austriaco
anche se alcuni vennero in soccorso dal Sud America: GIUSEPE GARIBALDI. Le truppe sabaude vennero sconfitte alla fine del
mese di luglio a CUSTOZA (Verona) e si ritirarono oltre il Ticino. Il 9 agosto fu firmato l'armistizio con gli austriaci.
CRITICA A CARLO ALBERTO
A Carlo Alberto venne molto criticata la sua incertezza a scendere in campo contro l'Austria: egli infatti varcò i confini lomabardi
solo dopo un esito positivo dell'insurrezione milanese e gli austriaci erano stati costretti ad abbandonare la città. Dichierò guerra
il 23 marzo non nascondendo di voler ampliare i suoi domini.
LOTTE DEMOCRATICHE E RESTAURAZIONE CONSERVATRICE
Dopo la sconfitta del Piemonte rimasero a combattere contro l'Impero Asburgico solo i democratici italiani e gli ungheresi. La
maggioranza della popolazione italiana rimase estranea e ostile alle loro battaglie. Nell'autunno del 1848 la situazione in Italia
era: SICILIA (sotto il controllo dei separatisti con un proprio governo e una propria costituzione democratica); VENEZIA (era in
mano agli insorti); TOSCANA (il granduca dovette accettare un governo di stampo democratic); ROMA (in seguito all'uccisione
del 1° ministro del Pontefice il papa fuggì a Gaeta sotto la protezione di Ferdinando di Borbone. I democratici si approffitarono di
ciò per conquistare Roma).
Nel gennaio del 1849, in tutti i territori dell'ex Stato pontificio, venne eletta a suffraggio universale una Assemblea costituente.
Fra i molti eletti democratici c'erano anche Mazzini e Garibaldi. Nel mese successivo l'Assemblea annunciò la decadenza del
potere temporale e proclamò la Repubblica romana. Il governo democratico toscano rovesciò Leopoldo II che fuggì e il potere
passò nelle mani del triumvrato composto da Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni. Carlo Alberto, stretto tra le pressioni dei
democratici piemontesi e le pesantissime condizioni del pace impostagli dall'Austria, dichierò nuovamente guerra. Questa volta
la reazione austriaca fu immediata ed' Carlo Alberto, per non mettere in pericolo la continuità dinastica abdicò a favore del figlio
Vittorio Emanuele II. Quest'ultimo il giorno dopo firmò un nuovo armistizio con gli austriaci. Gli austriaci successivamente
presero d'assedio Venezia; i territori emiliano-romagnoli e marchigiani dello Stato pontificio furono occupati; la Repubblica
toscana venne abbattuta. Invece Ferdinando re di Borbone riuscì a conquisatre la Sicilia. Dopo questa disfatta Pio IX si appellò
a tutte le forze cattoliche perché abbattessero la Repubblica romana. Alla sua chiamata aderì la Spagna, l'Austria, il Regno di
Naoli, la Repubblica francese. In giugno un corpo di spedizione francese attaccò Roma ma poco prima della resa l'assemblea
costituente procamò la Costituzione della Repubblica Romana in cui venia sottolineata la laicità dello Stato ma nonostante il
Papa era libero di esercitare la sua missione religiosa. Dopo la fine della Reppublica romana l'unico focolaio acceso era
l'Ungheria anche grazie all'aiuto dello zar di Russia Nicola I il quale era preoccupato di questo focolaio rivoluzionario vicino al
suo impero. Infine capitolò anche Venezia.
6.1 Il capitalismo a una svolta: concentrazioni, protezionismo, imperialismo. L’ultimo trentennio dell’Ottocento vide delle
enormi trasformazioni dell’economia capitalistica, che diedero vita alla seconda rivoluzione industriale. Nel 1873 scoppiò una
improvvisa crisi di sovrapproduzione (non recessione, solo rallentamento), risultato delle mutazioni organizzative e delle
innovazioni tecnologiche, che permisero di abbassare i costi di produzione. Vi fu un rallentamento globale dei ritmi produttivi,
che assunse forme e durate diverse. Il commercio continuò regolare e il livello di vita in media crebbe, essendo aumentato il
potere di acquisto. Gli imprenditori, di fronte alle nuove dinamiche presentate dal mercato e alla concorrenza sempre più
accanita, cercarono soluzioni al di fuori dei canoni liberisti  grandi consociazioni (holdings), consorzi (cartelli o pools),
concentrazioni tra imprese indipendenti (trusts): queste ultime potevano essere orizzontali (se associavano aziende operanti nel
medesimo settore) o verticali (diverse fasi di lavorazione del prodotto), e spesso sfociavano in regimi di monopolio (la Standard
Oil di John Rockefeller). Naturalmente le banche giocarono un ruolo fondamentale, essendo le uniche in grado di garantire
costanti flussi di capitale di investimento  compenetrazione tra banche e imprese (capitalismo finanziario secondo i marxisti) fu
il motore del sistema economico. Vi fu una maggiore ingerenza statale nell’economia, che sfociò in misure protezionistiche molto
severe (dazi doganali), che dovevano favorire la produzione interna limitando IMP. Unica eccezione: GB, che fu doppiamente
danneggiata, vedendo da un lato ridursi gli sbocchi di mercato per le sue merci, dall’altro la crescita delle imprese straniere 
industrie tedesche e statunitensi (specializzate nelle nuove branche dell’industria) superarono quelle inglesi. Londra reagì
intensificando scambi con colonie: la corsa ai nuovi mercati di sbocco e alle materie prime non fu prerogativa inglese  età
dell’imperialismo.
6.2 La crisi agraria e le sue conseguenze. Il settore più colpito dalla crisi di fine Ottocento fu quello agricolo; l’agricoltura
europea restava frenata da squilibri impressionanti: se infatti in gran parte dell’Europa occidentale le innovazioni agricole
(fertilizzanti chimici, rotazione, nuove colture, meccanizzazione) davano già i loro frutti, nella fascia mediterranea del continente
il latifondo e l’arretratezza delle attrezzature inchiodavano la produzione su livelli bassissimi. Quando i prodotti della nuova
agricoltura americana (ogni contadino del Midwest poteva arrischiarsi ad investire) raggiunsero i mercati europei, i prezzi
crollarono bruscamente, mandando in rovina numerose aziende agricole  disoccupazione, fame, miseria  tensioni sociali e
movimenti migratori, soprattutto verso gli Stati Uniti (con il passare degli anni emigravano per lo più latini e slavi, non più
tedeschi, inglesi e irlandesi). La crisi agraria spinse i governi ad imboccare la via del protezionismo, che pur tamponando
parzialmente gli effetti del tracollo ebbe costi sociali altissimi: danneggiò i consumatori e procrastinò ulteriormente
l’ammodernamento delle tecniche  il generale declino del settore agricolo era ormai inarrestabile.
6.3 Scienza e tecnologia. La seconda rivoluzione industriale fu diversa dalla prima, in quanto fece sentire i suoi effetti su
un’area più vasta ed ebbe una diffusione più capillare, facendo un uso continuo della scienza e dei suoi grandi personaggi
(Hertz, Marconi, Edison…..), le cui scoperte mutarono le abitudini e i comportamenti futuri di milioni di persone (ascensore,
telefono, lampadina, grammofono, pneumatici, bicicletta, tram elettrico, automobile, macchina da scrivere…). Era il trionfo della
scienza, e un legame inscindibile nasceva tra essa e la tecnologia e tra la tecnologia e la produzione  quindi tra scienza e
economia.
6.4 Le nuove industrie. I rinnovamenti tecnologici più interessanti si concentrarono in industrie “giovani”, come la chimica e la
produzione dell’acciaio, insieme al settore elettrico. L’acciaio iniziò ad essere utilizzato su larghissima scala, quando grazie a
nuove tecniche fu possibile produrne in grandi quantità a prezzi inferiori  fu utilizzato nei campi più disparati, dalle rotaie dei
treni alle corazze delle navi da guerra; se ne servì molto l’ingegneria civile (1889: Tower Building di NYC e la Tour Eiffel
parigina). Anche la chimica fece passi da gigante, legandosi agli altri settori con un rapporto causa-effetto  alluminio, coloranti
artificiali, fibre tessili nuove, pneumatici, dinamite di Nobel. Grande utilità ebbe nella produzione dei prodotti “ intermedi” (acido
solforico, soda) e nello sviluppo dei settori farmaceutico e alimentare: per la prima volta nella storia fu possibile conservare cibi
deperibili e trasportarli a grande distanza dai luoghi di produzione.
6.5 Motori a scoppio ed elettricità. Macchina a vapore e carbone stanno alla prima rivoluzione industriale come motore a
scoppio ed elettricità stanno alla seconda. Il motore a scoppio fu studiato dagli anni ’50 in avanti, e le prime automobili
arrivarono nel 1885, ma fu solo nel periodo della IGM che la produzione in serie prese piede  estrazione del petrolio, molto
costoso, anche se utile  il carbone restava combustibile più usato. Altra grande protagonista del periodo fu l’elettricità: dalla
pila di Volta alle dinamo ai motori elettrici, questa forma di distribuzione della energia si fece largo nel mondo, culminando nel
1879 con l’invenzione della lampadina da parte di Edison. Nacquero così centrali termiche, che permisero per la prima volta
l’illuminazione pubblica elettrica, e non a gas. Presto si cominciò a fare ricorso alla potenza dell’acqua e vennero costruite
numerose centrali idroelettriche. Il settore elettrico svolse un ruolo di primo piano nella modernizzazione ed ebbe effetti
incredibili sull’interà società (illuminazione e trasporti, ad esempio, ma anche telefono, grammofono e cinematografo).
6.6 Le nuove frontiere della medicina. Rimasta immobile per secoli, in questo periodo anche la medicina subì delle evoluzioni
profonde, poggianti su quattro cardini fondamentali: 1) la diffusione delle pratiche igieniste  strategie di prevenzione e
contenimento delle malattie epidemiche attraverso un azione sull’ambiente, non l’individuo; 2) lo sviluppo della microscopia
ottica (Koch e Pasteur) e la successiva scoperta dei microrganismi responsabili di alcune malattie infettive; 3) i progressi della
chimica e della farmacologia  nuovi farmaci (pratica della anestesia chirurgica, scoperta dell’aspirina e del Ddt); 4) nuova
ingegneria sanitaria  osservazione sistematica del malato, seguito ora in grandi policlinici organizzati.
6.7 Il boom demografico. La rivoluzione tecnologica non migliorò solo la qualità della vita, ne aumentò anche la durata media: i
progressi di medicina e igiene, gli sviluppi dell’industria alimentare, la quasi totale eliminazione delle epidemie e delle carestie
portò la vita dell’uomo europeo a durare in media circa 50 anni, dai 40 della metà dell’Ottocento. La popolazione europea
crebbe del 60% in cinquant’anni, quella americana quadruplicò. Ma alla caduta della mortalità si accompagnava anche una
diminuzione della natalità, tendenza spesso riscontrata nei paesi più sviluppati economicante, sintomo di un atteggiamento
nuovo che mira a programmare razionalmente la famiglia e il suo futuro. Europa: 425 milioni di abitanti. Nord America: 80 milioni
di abitanti.
7 - Imperialismo e colonialismo.
7.1 La febbre coloniale. Le potenze europee sul finire dell’Ottocento e in un brevissimo lasso di tempo costituirono degli
immensi imperi coloniali, ampliando i loro possedimenti d’oltremare: ma non era la colonizzazione tradizionale, erano invece a
sfruttamento economico e ad assoggettamento politico che le colonie e i protettorati erano esposti. Non solo GB e Francia, ma
furono colti dalla febbre coloniale anche Germania, Belgio, Italia, e poi Giappone e USA. Ben presto gran parte dell’opinione
pubblica e della classe dirigente si faceva fautrice del colonialismo, che divenne preoccupazione primaria dei governi, mentre
nei decenni precedenti era stata prerogativa privata. Motivazioni economiche: materie prime a basso costo, sbocchi
commerciali, investimenti ad alto profitto; ma accanto a queste (comunque relative, visto che in realtà pochissimo si investiva
nelle colonie e la maggioranza dei commerci avveniva tra paesi industrializzati) vi erano motivazioni politico-ideologiche, che
avevano le loro radici nella cultura positivista, nel nazionalismo, nel razzismo, persino nello spirito missionario. In particolare la
GB aveva l’idea del “fardello dell’uomo bianco”, che in quanto superiore deve redimere i popoli selvaggi. Era un paternalismo
non privo di una componente positivista e umanitaria, ispirato e stimolato dalle avventure dei grandi esploratori, da Livingstone a
Burton e Speke che scoprirono le sorgenti del Nilo. Alla fine del processo di espansione, il mondo era totalmente spartito in
imperi e zone di influenza.
7.2 Colonizzatori e colonizzati. L’Europa esportò spesso nelle colonie la sua parte peggiore: la violenza era sistematica contro
i locali, vittime di crudeltà inaudite e massacri indicibili; dal punto di vista economico vi furono molte migliorie apportate dai
colonizzatori (come nuovi appezzamenti coltivati, nuove tecniche agricole, nuove attività produttive), ma questo processo di
sviluppo era in funzione dell’interesse degli europei, che in pratica non facevano che mettere in opera uno sfruttamento
coloniale, che modificò i sistemi economici locali basati su autoconsumo e commerci interni e fece passare le popolazioni
ingidene dalla povertà al sottosviluppo. La cultura, per quanto i modelli coloniali fossero molto diversi gli uni dagli altri (gli inglesi
erano rispettosi dei locali, i francesi per niente), fu brutalmente alterata o distrutta dall’arrivo dei colonizzatori, soprattutto dove vi
erano sistemi sociali meno organizzati (Africa nera, mentre Asia e Africa settentrionale si difesero meglio). Per contro, sul piano
politico gli europei portarono al risveglio dei nazionalismi locali.
7.3 L’espansione in Asia. La presenza europea in Asia era già consolidata da tempo, ma nel 1869, con l’apertura del canale di
Suez (controllato da Parigi e Londra), questa corsa all’Oriente divenne ancora più febbrile; le direttrici rimasero le stesse: UK
consolida il dominio sull’ India (la sua perla, anche se possiede anche Ceylon, Hong Kong, Singapore…), la Francia prosegue la
sua penetrazione in Indocina, l’Impero russo spinge su Estremo Oriente e Asia centrale. Intanto ai portoghesi Macao e Goa. Agli
spagnoli le Filippine. Agli olandesi l’Indonesia. India: risorsa incommensurabile per Londra, grande mercato di sbocco; era una
enorme nazione gestita dalla Compagnia delle Indie orientali. Nonostante già un secolo di presenza inglese la società indiana
non era cambiata molto: agricoltura poverissima reggeva l’economia, sistema di caste, industria cotoniera locale distrutta da
concorrenza brit, potere centrale Moghul ridicolmente debole. I brits tentarono occidentalizzazione e modernizzazione
appoggiandosi al sistema sociale già esistente  però ci sono reazioni: dopo la rivolta del Sepoys, la Compagnia delle Indie è
abolita e la colonia è amministrata dal viceré. Ristrutturazione del sistema, basata sulla collaborazione tra inglesi ed elementi
indigeni fedeli alla corona (indirect rule), le ferrovie permisero controllo militare più capillare. Vittoria proclamata imperatrice
d’India nel 1876. Come per emulare i brits, i francesi iniziano la penetrazione in Indocina, di religione buddista e divisa in regni
orbitanti attorno alla Cina: Annam, Siam e Cambogia. Inizialmente era solo una presenza commerciale in alcune basi, poi col
pretesto di difendere i missionari arriva l’intervento militare  prima fase: 1862, occupazione Cocincina; 1863, protettorato sulla
Cambogia. Seconda fase, anni ’80: dopo tre anni di guerra con Cina annettono tutto Annam. La rispettiva paura spinse Francia
e GB ad occupare rispettivamente Laos e Birmania e a stabilire come stato-cuscinetto il Siam. A nord, invece, gli inglesi erano
minacciati dalla Russia, che si spingeva da un lato verso EO e il Pacifico attraverso la Siberia (che in 50 anni vide raddoppiata
popolazione e una crescita produttiva considerevole, ad opera dello stato): alcune regioni furono cedute dalla Cina, 1860, anno
di nascita di Vladivostok, sul Mar del Giappone. 1867: Alaska ceduta a USA. 1891: avvio costruzione Transiberiana MoscaVladivostok. Entro l’’85, in Asia Centrale, lo zar conquistò il Turchestan, zona fondamentale  guerra per procura con GB
attraverso le tribù locali. 1885: accordo = Afghanistan indipendente, ma sotto influenza brit. Nel Pacifico si espandevano GB e
Germania, ma si affacciavano anche USA e Giappone. Quest’ultimo mosse guerra alla Cina nel 1894, la sconfisse di brutto e si
fece cedere Corea e Formosa. Indebolimento della Cina giovò agli europei. Il rischio di disfatta imperiale spinse in Cina alla
nascita di un movimento conservatore, nazionalista e xenofobo, i boxers, che volevano ripristinare l’antico ordine cercando di
scacciare gli stranieri, oggetto di continue violenze  1900: USA e Giappone intervennero e Pechino fu occupata. Ma la Cina
non si poteva spartire, a causa del nazionalismo fortissimo, la cui sconfittà aprì la strada ad un movimento democratico e
occidentalizzante.
7.4 Le origini dell’imperialismo americano. USA non potevano attuare il colonialismo di stampo europeo senza tradire i loro
principi di nazione nata da una rivolta coloniale  colonialismo informale, ovvero controllo economico attraverso EXP. Alcuni
volevano l’esportazione dei principi americani. Dure direttrici: Pacifico, continuazione della “corsa all’Ovest”, e America Latina,
su cui secondo una aggiornata dottrina Monroe si esercita un controllo economico e una tutela politica. 1895: intervento a Cuba,
a supporto dei locali contro la presenza spagnola. Una corazzata affondata è il casus belli  Spagna sconfitta deve cedere
Porto Rico e le Filippine. Nel Pacifico furono annesse le Hawaii, fondamentale punto di appoggio per le rotte ocenaniche  in
pochi mesi USA si erano affacciati sul mondo con forza.
7.5 La spartizione dell’Africa. Le antiche civiltà africane erano un ricordo all’arrivo degli europei, debellate da guerre,
decadenza commerciale e schiavitù, prima islamica poi europea: antichi regni del Ghana e del Mali erano scomparsi, c’erano
solo potentati locali e diverse tribù; elemento coesivo: Islam. Etiopia: impero compattamente cristiano. Alcuna coesione invece
nell’Africa centrale e meridionale: società tribali disaggregate e funestaste da guerre intestine sanguinosissime (zulu). I primi atti
dell’espansione sono nel 1881 l’occupazione francese della Tunisia e nel 1882 quella inglese dell’Egitto, entrambe formalmente
ottomani. Paesi in cui modernizzazione era fallita: per evitare la bancarotta UK e Fr li occupano. Parigi entra dall’Algeria e
impone protettorato a Tunisi  reazione in Egitto, dove Arabi Pascià nazionalista inizia una rivolta antieuropea, sedata poi dagli
inglesi che occupano il Paese. Dall’Egitto si lanciano contro il Mahdi del Sudan, integralista islamico fautore di una teocrazia 
guerra santa, sedata da Londra solo nel 1898. Azione unilaterale brit  Francia se la prende  rivalità ventennale e corsa alla
conquista dell’Africa nera. Contrasti nel bacino del Congo, dove Leopoldo II con scuse umanitarie crea una colonia personale in
pratica (minerali del Katanga). Lite con Portogallo per la foce del Congo  Conferenza di Berlino, 1884-85, stabilì i principi della
spartizione dell’Africa: effettiva occupazione, ma questa peggiorò le cose e accelerò la corsa. Spartizione totale: Congo a
Leopoldo, Togo e Camerun a Germania, Niger basso a GB mentre la Francia dopo dieci anni di guerra con islamici riuscì a
controllare immensi territori, per lo più desertici, che andavano dall’Atlantico al Sudan e dal Congo al Mediterraneo. Londra si
concentra sull’Africa orientale, importante per l’Oceano Indiano; tra 1885 e 1895 partendo dal Capo risalgono fino allo Zambesi
e al lago Nassa, prendono Kenya e Uganda  volevano un collegamento nord-sud lungo l’asse nilotico dal Capo al Cairo,
impossibile per il Tanganika tedesco; in cambio hanno Zanzibar. Incidente di Fashoda, Sudan, tra GB e Fr: niente guerra perché
Parigi desiste. Inizio Novecento: Africa tutta spartita, con confini arbitrari e sballati, che saranno gli stessi delle indipendenze.
Allora restavano liberi e autonomi Liberia, Etiopia, Marocco e Libia.
7.6 Il Sud Africa e la guerra angle-boera. Caso particolare di conflitto tra una potenza coloniale europea e un nazionalismo
locale europeo. Boeri, discendenti dei contadini olandesi del Seicento stanziatisi al Capo di Buona Speranza, era caduti sotto il
dominio inglese quando Londra ottenne la colonia del Capo. Inizialmente fuggirono verso l’Orange e il Transvaal, finchè non vi
furono scoperti i diamanti. GB di nuovo interessata: politica aggressiva di Cecil Rhodes, fautore del grande ordine inglese in
Africa e dell’asse Capo-Cairo, che finì per circondare le due repubbliche boere piazzandosi anche nello Zambesi (poi Rhodesia).
Attorno al 1885 molti inglesi si trasferiscono dai boeri quando sono scoperti giacimenti di oro  nuove tensioni, anche perché tra
inglesi e boeri c’erano visioni opposte della società, specie indigene. 1899: Kruger, presidente del Transvaal, dichiarò guerra alla
GB  conflitto lungo e violento. Vittoria inglese dopo parecchi anni, ma i boeri ottengono statuti autonomi e di fatto collaborarono
con Londra nella gestione e lo sfruttamento delle enormi risorse metallifere e minerarie dell’Unione Sudafricana.
8 - Stato e società nell’Italia unita.
8.1 L’Italia nel 1861. Dei 22 milioni di italiani pochissimi parlavano la lingua italiana, invece usavano il dialetto; del resto il 78%
di loro era analfabeta. L’Italia era uno dei paesi più urbanizzati d’Europa: il 20% della popolazione viveva nelle città, dove però
mancavano strutture produttive: il 70% della popolazione attiva era impegnato nell’agricoltura, settore che occupava il 58% del
PIL. Agricoltura povera tra l’altro, per le condizioni naturali  produttività bassa. Nell’area padana esistevano alcune aziende
capitalistiche moderne che impiegavano manodopera salariata, mentre nel centro della penisola dominava ancora la mezzadria,
un tipo di contratto che se da un lato caricava di immensi oneri il contadino impedendo uno sviluppo dell’agricoltura, dall’altro
manteneva una certa pace sociale. Nel Mezzogiorno e nelle isole c’era invece il latifondo (immensi terreni, pochi borghi), ancora
segnato dal sistema feudale da poco abolito (contratti agrari arcaici). I contadini italiani erano poverissimi, avevano un
bassissimo livello di vita, erano malnutriti (pellagra), vivevano in condizioni disumane. La realtà agricola non era affatto
conosciuta da borghesia e opinione pubblica, perché mancavano dati e comunicazioni interne alla penisola; i politici si
disinteressarono sempre del Sud, considerandolo come un pezzo di Africa. Era un realtà mal conosciuta e mal compresa.
8.2 La classe dirigente: Destra e Sinistra. I successori di Cavour continuarono la sua politica accentratrice, laica e liberista,
ma senza il suo genio politico. Nel primo quindicennio di unità il Paese fu governato da un gruppo dirigente costituito soprattutto
da lombardi, piemontesi, emiliani e toscani. Meno rappresentati erano i meridionali. Tuttavia era un gruppo piuttosto omogeneo,
di origine aristocratica e politicamente moderata: era la cosiddetta “Destra storica”. La vera destra (clericali e nostalgici dei
vecchi regimi) si era autoesclusa, di fatto come la sinistra mazziniana più radicale e i repubblicani più intransigenti, lasciando
sedere ai banchi dell’opposizione in Parlamento la vecchia sinistra piemontese e i patrioti mazziniani e garibaldini che si
inserivano nelle istituzioni monarchiche (per cambiarle). La Sinistra aveva una base sociale più ampia (piccolo e medio-borghesi
urbani e operai e artigiani)  nei primi anni si concentrò sulle rivendicazioni risorgimentali: suffragio universale, decentramento
amministrativo, completamento dell’unità. Destra e Sinistra erano espressione di un “paese legale”, poco rappresentativo del
“paese reale”. Il sistema piemontese era stato allargato a tutto il Regno, di fatto la vita politica aveva un carattere oligarchico e
personalistico. Mancavano partiti, la lotta politica era incentrata su singole personalità, dominata da pochi notabili e condizionata
dall’esecutivo. Incapacità politica di capire i fermenti della società italiana  isolamento della classe dirigente.
8.3 Lo Stato accentrato, il Mezzogiorno, il brigantaggio. Sebbene in teoria i leaders della Destra fossero favorevoli al
decentramento, le necessità incombenti del primo periodo unitario li spinsero a prediligere un modello più napoleonico,
gerarchico e accentrato. Tra il 1859 e il 1860 il ministro La Marmora, sfruttando il potere straordinario derivatogli dalla stato di
guerra, emanò una serie di leggi sui settori-chiave del paese: a volte estendeva a tutto il territorio le leggi piemontesi, altre volte
ne creava di nuove, come quelle Casati sull’istruzione o quella Rattazzi sui comuni. Leggi unificatrici, prima provvisoriamente,
poi definitivamente col secondo governo Ricasoli. Altro motivo per cui fu preferito l’accentramento era la situazione precaria del
Sud: il malessere del meridione si univa alla diffidenza verso un governo lontano geograficamente, socialmente ed
emotivamente  disordini, rivolte (sovvenzionati dalla corte borbonica in esilio a Roma), brigantaggio: queste bande mettevano
a ferro e fuoco i piccoli comuni  nel 1863 la metà dell’esercito italiano era stanziato al Sud per reprimere il fenomeno. Nelle
province interessate vigeva una sorta di regime di guerra. Nel giro di pochi anni il grande brigantaggio fu sconfitto. Ma i motivi
che lo avevano scatenato restarono tutti, in primo luogo il problema della terra: i contadini volevano la proprietà della terra, la
divisione dei terreni demaniali proseguiva invece lentissima; nemmeno la vendita dei beni ecclesiastici sortì gli effetti desiderati,
perché gli appezzamenti furono acquistati dai grandi proprietari terrieri. La questione meridionale nasce qui, quando
l’inadempienza politica della Destra accrebbe il divario tra Nord e Mezzogiorno.
8.4 La politica economica: i costi dell’unificazione. Restava il problema dell’unificazione economica, cioè da un lato
uniformare sistemi monetari e fiscali diversi e di abbattere le barriere doganali, dall’altro costruire una efficiente rete di
comunicazioni stradali e ferroviarie. I principi liberisti del Regno sardo vennero estesi a tutta l’Italia, mentre le vie di
comunicazione crescevano a ritmi vertiginosi: in dieci anni triplicarono i chilometri di binari, furono collegate le principali città 
esportazioni possibili  agricoltura si sviluppa. Castigato invece dalla concorrenza internazionale fu il settore industriale, in
particolare nel Mezzogiorno. La classe dirigente non seppe dare impulso ai settori più importanti ai fini della crescita, non
vedendo altro schema se non quello liberista, che di fatto ebbe alcuni effetti positivi, come la rapida integrazione dell’Italia nel
contesto economico europeo e la crescita del settore agricolo, con conseguente accumulo di capitali destinati alla costruzione
delle infrastrutture. Restava un Paese poco sviluppato, nonostante grandi progressi, che raramente andavano a beneficio del
popolo tutto. Tenore di vita rimane basso, schiacciato da una durissima politica fiscale, necessaria a coprire i costi
dell’unificazione. Essa inizialmente era equilibrata, e divisa in imposte dirette e indirette. Con la guerra contro l’Austria l’onere
fiscale crebbe sulle spalle degli italiani, furono introdotti il corso forzoso e la famosa tassa sul macinato, in pratica sul pane 
prime agitazioni sociali nel 1869, le più preoccupanti nella pianura Padana, represse duramente. Se non altro nel 1875 fu
raggiunto l’obiettivo del pareggio del bilancio, ma il malcontento era diffuso a tutti i livelli, e avrebbe contribuito alla caduta della
Destra.
8.5 Il completamento dell’unità. Mancavano ancora il Veneto, il Trentino, Roma e il Lazio, tutti erano d’accordo su questo.
Roma sarebbe stata capitale, già a detta di Cavour. La divergenza era sulla strategia da seguire: la Destra preferiva la via
diplomatica, la Sinistra la guerra popolare di liberazione. La presenza del Papa a Roma era il vero problema, in quanto egli era
protetto da Parigi, e la Francia era il primo partner commerciale dell’Italia. Il clero e il cattolicesimo erano radicatissimi sul
territorio italiano  questione spinosa. “Libera Chiesa in libero Stato”, diceva Cavour, che tentò la via diplomatica con Pio IX ma
senza successo, come Ricasoli. L’iniziativa democratica si rifece largo dunque, con il progetto di conquista di Roma, per poi
mettere le grandi potenze di fronte al fatto compiuto, ma l’intransigenza di Napoleone III spinse Vittorio Emanuele II a
sconfessare l’impresa garibaldina  stato d’assedio in Sicilia e nel Mezzogiorno  scontro dell’Aspromonte. Dopo vi fu la
Convenzione di settembre con la Francia: capitale da Torino a Firenze, e ritiro francese dal Lazio in cambio del rispetto dei
confini pontifici da parte dell’Italia. Intanto giunse la possibilità di liberare il Veneto: l’alleanza dell’Italia con la Prussia permise a
Bismarck di sconfiggere gli austriaci a Sadowa, nonostante le disfatte del nostro esercito incapace a Custoza e Lissa; dalla pace
di Vienna del 1866 l’Italia ottenne il Veneto. Le sconfitte però gettarono il Regno nello sconforto e gli strascichi furono pesanti sul
piano finanziario  un’altra volte i democratici approfittano della situazione di crisi e sconforto: Mazzini intensificò la propaganda
e Garibaldi progettò un nuovo attacco a Roma, cercando stavolta di sfruttare l’appoggio dei patrioti romani che avrebbero
dovuto insorgere per permettere ai corpi volontari di entrare nell’Urbe  fu un altro fallimento, a cui si aggiunse la sconfitta di
Mentana ad opera dei francesi, il che chiuse l’epoca delle imprese risorgimentali. Infatti, nel 1870 fu la caduta del Secondo
Impero in conseguenza alla disfatta di Sedan a permettere all’Italia di avviare trattative col Papa, e una volta fallite queste di
conquistare Roma (breccia di Porta Pia)  annessione di Roma e del Lazio. La successiva legge delle guarentigie assicurò al
Papa la possibilità di svolgere il suo magistero spirituale e prerogative simili ad un capo di Stato: la Chiesa era libera in uno
Stato libero, Pio IX rifiutò la dotazione annua per il mantenimento della corte papale offerta dal governo. Sciolta dal potere
temporale la Chiesa divenne più snella ed influente, ma non per questo meno intransigente con il governo italiano  il non
expedit divenne una sorta di regola per i cittadini, un divieto di partecipare alla vita pubblica  ulteriore frattura nella società.
8.6 La Sinistra al potere. Con la Destra ormai frammentata, e gli avvenimenti della Comune parigina, la Sinistra parlamentare
si fece più moderata, e accanto alla Sinistra piemontese di Depretis e a quella storica di Crispi e Cairoli, se ne fece avanti una
giovane attenta ai propri interessi. Sulla questione della statalizzazione delle ferrovie la Destra si trovò in difficoltà e cadde con
le dimissioni del governo Minghetti  Depretis formò un nuovo governo, e alla elezioni del 1876 la Sinistra stravinse  al potere
giunge una classe dirigente nuova e inesperta, un’età finiva con le morti di Mazzini e Garibaldi. I tentativi si spinsero verso una
democratizzazione della vita politica e verso un allargamento delle basi dello Stato: la Sinistra rispose bene alle necessità della
borghesia, che la Destra non aveva mai considerato. Il protagonista era il grande Agostino Depretis, esperto parlamentare
piemontese che seppe mediare abilmente tra spinte progressiste e tendenze conservatrici, governando per un decennio. Il
programma della Sinistra: allargamento suffragio universale, istruzione obbligatoria e gratuita, sgravi fiscali, decentramento
(proposito presto abbandonato). Legge Coppino sull’istruzione elementare  problema economico. Riforma elettorale del 1882:
corpo elettorale triplicato, anche se in realtà era appena il 7% della popolazione a causa dell’ancora alto analfabetismo. Più che
altro era un corpo elettorale più vario, maggiormente rappresentativo del Paese intero. Tant’è vero che alle elezioni di quell’anno
divenne deputato il socialista Andrea Costa. Le preoccupazioni per il rafforzamento dell’estrema sinistra spinsero Depretis a
stipulare un accordo elettorale con Minghetti  trasformismo  ad un modello bipartitico di stampo brit subentrò un sistema in
cui un grande centro ingloba le opposizioni moderate ed esclude le ali estreme. La maggioranza non era definita inbase ad un
programma, ma si creava giorno dopo giorno  processo politico rallentato. Principale opposizione alle maggioranze
trasformiste erano i radicali.
8.7 Crisi agraria e sviluppo industriale. La Destra era caduta anche per la sua pessima politica economica, cui la Sinistra
tentò di rimediare conciliando gli interessi della borghesia produttiva con quelli popolari. 1884: abolizione tassa sul macinato.
Venne aumentata la spesa pubblica, che ebbe due risultati: se da un lato avviò l’industrializzazione, dall’altro fece ricomparire il
deficit nel bilancio statale, senza risolvere le difficoltà economiche. Miglioramenti in agricoltura solo nelle zone più progredite, la
pianura lombarda e il Mezzogiorno delle colture “specializzate”. Bonifiche nella Bassa Padana. 1877: Inchiesta agraria di Jacini
mostrò che nulla era cambiato in venti anni al tenore di vita contadino  quadro drammatico dell’agricoltura italiana. Servivano
investimenti sostanziosi, ma mancava capitale (bonifiche, irrigazioni, razionale avvicendamento delle colture)  crisi agraria a
partire dal 1881. Per primi calarono i prezzi (a parte quelli che non subivano la concorrenza d’oltreoceano), poi la produzione 
conflittualità nelle campagne, urbanizzazione, emigrazione (1881-1901: oltre due milioni di italiani emigrano). La crisi fece aprire
gli occhi a quanti si aspettavano una crescita basata sulla sola agricoltura, e diede una bella spinta al decollo industriale, anche
se dapprima lo ritardò. Dal 1878 c’è un primo cambio di rotta dal liberismo all’introduzione di alcuni dazi doganali a protezione
del tessile. Con la fondazione poi delle Acciaierie di Terni fu chiaro che anche la siderurgica aveva bisogno di essere tutelata,
come tutta l’industria e l’agricoltura italiane  1887: grande svolta protezionistica con l’introduzione di pesanti dazi d’entrata e
nuove tariffe. Inizialmente ebbe effetti negativi: innanzitutto era sproporzionata la tutela data ai diversi settori (la meccanica e la
seta erano del tutto snobbate ed entrarono in crisi), il prezzo dei cereali crebbe quando scese quello del grano, ma a pagare le
conseguenze più pesanti fu ovviamente il Mezzogiorno, che basava la sua economia sull’export, che la rottura commerciale, poi
la guerra doganale con la Francia, suo primo partner, debellò.
8.8 La politica estera: la Triplice alleanza e l’espansione coloniale. Per uscire da un odioso isolamento diplomatico, che a
Berlino aveva mostrato quanto poco l’Italia fosse considerata all’estero (immagine ancora più chiara con l’occupazione francese
della Tunisia da tempo nelle mire italiane), anche in disaccordo con l’opinione pubblica, Depretis stipulò con Germania e AustriaUngheria la Triplice alleanza (1882)  trattato difensivo, che spinse l’Italia nel sistema di sicurezza bismarckiano, costringendola
ad un impegno concreto in cambio della rinuncia alla rivendicazione delle terre irredente e alla protezione contro un
improbabilissimo attacco francese. L’irredentismo era ancora fortissimo (impiccagione del triestino Oberdan). 1887: rinnovo della
Triplice fu più propizio all’Italia, con due nuove clausole: la promessa di eventuali ed eque spartizioni balcaniche con Vienna; e
l’impegno tedesco ad intervenire a fianco dell’Italia in caso di iniziativa francese in Marocco o Tripolitania (le aspirazioni coloniali
si facevano largo). Contemporaneamente inizia l’avventura coloniale africana: 1882, acquisto baia di Assab, occupazione di
Massaia. Si era al confine con l’Impero etiopico, l’unico Stato africano organizzato, fortissimo. Era un Paese povero, retto dal
negus, che all’Italia non sarebbe servito a nulla economicamente: era tutto fatto di prestigio. Dopo tentativi pacifici ci fu un
tentativo militare, che sfociò con il massacro di 500 italiani a Dogali  proteste in Italia, ma il Governo manda rinforzi nel Corno
d’Africa.
8.9 Movimento operaio e organizzazioni cattoliche. La composizione della classe operaia in Italia era tale per cui la maggior
parte fossero artigiani, lavoratori stagionali o a domicilio  tarda ad organizzarsi un movimento operaio. L’unico era la società di
mutuo soccorso, più uno strumento di educazione che un organismo di lotta, che iniziò a perdere terreno mano a mano che lo
scontro sociale si faceva più acceso, a favore del movimento internazionalista (socialista) che si rifaceva però più all’anarchico
Bakunin che a Marx. Il fallimento dei tentativi di insurrezione sociale spinsero Andrea Costa a cambiare rotta, sentendo la
necessità di un programma più concreto, e a fondare il Partito socialista rivoluzionario di Romagna, che rimase però sempre
formazione regionale scollegata dal proletariato industriale in via di formazione. A rivendicare i lavoratori vi erano molte leghe
operaie che nell’’82 si costituirono nel Partito operaio italiano, che però era classista e di partito aveva poco. Tuttavia
scoppiarono scioperi agricoli nella Bassa Padana; tra l’87 e il ’93 poi vi fu la nascita di federazioni di mestiere e Camere del
lavoro  necessità di organizzarsi politicamente come una forza unitaria per coordinare gli sforzi a livello nazionale. Era difficile,
per scarsa conoscenza delle teorie socialiste (a parte Labriola) e per frammentazione ideologica. Fu il milanese Turati il vero
artefice della nascita del Partito socialista (basato su principi come separazione netta tra proletariato e borghesia, lotta
economica unita a quella politica, rifiuto dell’anarchia, successiva socializzazione dei mezzi di produzione), a Genova nel 1892
(il nome è però nel 1895). Se i socialisti spaventavano il fronte cattolico non era da meno: fedele al papa, rifiutava lo Stato uscito
dal Risorgimento. Erano più pericolosi perché più radicati nella società italiana. 1874: nasce a Venezia l’Opera dei congressi,
organo che doveva collegare tra loro le associazioni cattoliche, coordinando i loro sforzi nella lorra al liberalismo laico, al
socialismo e alla democrazia. 1878: con Leone XIII il clero si spostò su istanze sociali. Difficoltà di dialogo Stato-Chiesa.
8.10 La democrazia autoritaria di Francesco Crispi. 1887: Crispi succede a Depretis: da ex-mazziniano e garibaldino era
apprezzato dalla sinistra, ma anche la destra lo vedeva bene per la sua promessa di governo autoritario ed efficiente di impronta
bismarckiana  larghissima maggioranza su cui si appoggiò per riorganizzare e razionalizzare lo Stato, nonostante le spinte
repressive. Attuò una riforma amministrativa (comuni e sindaci) ed è del suo governo un nuovo codice penale, il codice
Zanardelli, che aboliva la pena di morte e implicitamente legittimava la sciopero. Paradossalmente però fu varata la nuova legge
di pubblica sicurezza che attribuiva ampia discrezionalità alla polizia  politica repressiva nei confronti delle associazioni
operaie, cattoliche e irredentiste repubblicane (questo allontanò Crispi dall’estrema sinistra). In politica estera era molto
ambizioso: voleva fare dell’Italia una grande potenza anche coloniale  rafforzò la Triplice alleanza (insprimento rapporti con
Parigi  guerra doganale). Penetrazione coloniale nel Corno d’Africa (Colonia Eritrea). Politica coloniale ostacolata  una
votazione alla Camera persa spinge Crispi alle dimissioni  governo di Rudinì, conservatore anti-colonialista, poi Giolitti, sempre
nel 1892.
8.11 Giolitti, i Fasci siciliani e la Banca romana. Giolitti non aveva partecipato al Risorgimento, era giovane, si era fatto
oppositore della politica economica della Sinistra. Il programma giolittiano: più equa ripartizione del carico fiscale a favore delle
classi meno agiate, astensione da misure preventive-repressive nei confronti del movimento operaio. Non abbandona questa
linea nemmeno quando in Sicilia tra il ’92 e il ’93 si forma l’organizzazione dei Fasci dei lavoratori, portavoce del malessere
contadino e urbano rispetto alle tasse troppo alte e alla distribuzione delle terre. Ma non era un movimento rivoluzionario, né
socialista. La non risposta di Giolitti fu largamente criticata dai conservatori, e accelerò la caduta del suo governo, che tuttavia fu
dovuta soprattutto allo scandalo finanziario della Banca romana, che in risposta alla febbre speculativa edilizia della capitale
aveva investito tantissimo, ma che si era mancata di gravissime irregolarità per rientrare del denaro perduto dalle imprese
debitrici in seguito alla crisi economica. Intreccio tra politica e finanza, e corruzione soprattutto, crearono questo scandalo 
1893, caduta di Giolitti, certo colpevole ma usato come capro espiatorio. Si voleva il ritorno dell’uomo forte che fermasse il
movimento operaio: Crispi tornò al governo, nonostante avesse responsabilità più pesanti di Giolitti nello scandalo.
8.12 Il ritorno di Crispi e la sconfitta di Adua. Crispi rispose alla crisi economica latente inasprendo le tasse; alla
crisi bancaria riformando il sistema e fondando la Banca d’Italia; alle agitazioni in Sicilia con la proclamazione dello
stato d’assedio, misura eccezionale che si estese alla Lunigiana  repressione militare, che presto si trasformò in
una operazione di polizia contro enti facenti capo al Partito socialista di tutta Italia. Furono varate poi delle leggi
dette “antianarchiche” che però erano in realtà rivolte contro il Partito socialista e andavano a limitare libertà di
stampa, riunione e associazione. Tuttavia queste leggi non ottennero l’effetto sperato: anzi, spinsero molti
intellettuali (come Pascoli o De Amicis) verso il Partito socialista e questo a riallacciare a sua volta i rapporti con la
borghesia radicale e repubblicana. L’alleanza con i democratici permise al partito di far eleggere 12 candidati alle
elezioni del 1895. La “questione morale” intanto travolgeva Crispi, e le sue responsabilità nello scandalo Banca
romana venivano sempre più a galla. A questo si aggiungevano le critiche apportategli riguardo alle eccessive
spese militari e alla sua politica coloniale. Già nel 1889 trattatto di Uccialli con il negus Menelik: ambiguità per la non
corrispondenza tra le due lingue: l’Italia non aveva il protettorato sull’Etiopia come pensava. Quando l’equivoco si
scoprì i rapporti peggiorarono di botto e si arrivò ben presto ad uno scontro, presso l’Amba Alagi, che si risolse in
uno sconfitta per l’Italia, nulla in confronto alla disfatta di Adua (1896)  caduta di Crispi dopo manifestazioni.
12. L’Italia giolittiana.
12.1 La crisi di fine secolo. Come nella Francia del caso Dreyfus e nella GB dello scontro tra le camere, anche l’Italia fu
attraversata da una crisi istituzionale, con in ballo l’evoluzione del regime liberale. Anche qui vinsero i progressisti  evoluzione
su modello dell’Europa occidentale, non degli Imperi centrali. Dopo Crispi e di Rudinì si creò un fronte conservatore contro i
nemici delle istituzioni, socialisti clericali e repubblicani. Era ispirato alla volontà di limitare il potere parlamentare, rileggendo lo
Statuto in maniera più restrittiva, e ai metodi crespini per mantenere l’ordine pubblico. 1898: aumento prezzi del pane fece
scattare dei moti in tutta la penisola  invece che abbassare il dazio sul grano, di Rudinì rispose come ad una rivoluzione, con
la polizia e lo stato d’assedio. Fu la repressione militare: a Milano Bava Beccaris usò l’artiglieria sulla folla. Capi socialisti,
radicali e repubblicani vennero arrestati. Ristabilito l’ordine, lo scontrò si spostò in Parlamento  Rudinì si dimise nel 1898 per
dissensi con il re e con i propri alleati, Pelloux propose dei provvedimenti che avrebbero gravemente limitato sciopero, libertà di
stampa e associazione  l’estrema sinistra rispose con l’ostruzionismo, bloccando così l’operatività delle camere, che Pelloux
sciolse indicendo nuove elezioni. 1900: batosta per la compagine governativa. Vittoria dell’opposizione quando Pelloux rinunciò
nonostante l’esigua maggioranza  Umberto I nominò Saracco, prima di cadere vittima di un attentato il 29 luglio, ad opera
dell’anarchico Gaetano Bresci.
12.2 La svolta liberale. Con il governo Saracco iniziò una fase di distensione per la politica italiana, favorita anche
dall’economia in crescita, dal calare delle tensioni sociali e dalla disponibilità del nuovo re Vittorio Emanuele III verso i
progressisti. Alla dimissioni di Saracco, il re chiamò al governo Zanardelli, che fece ministro degli Interni Giovanni Giolitti, lo
stesso che aveva detto di permettere gli scioperi perché era nell’interesse di tutti permettere ai lavoratori di organizzarsi ed
esprimersi. Riforme Zanardelli: legislazione sociale più avanzata, nascita del Consiglio superiore del lavoro, municipalizzazione
di alcuni servizi pubblici. La linea seguita dal governo era di neutralità nei conflitti di lavoro  crescita a macchia d’olio delle
organizzazioni sindacali e del lavoro, come la Federterra delle leghe rosse padane  impennata degli scioperi, oltre mille nel
solo 1902  rialzo generalizzato dei salari, che nel primo quindicennio del secolo crebbero in media del 35%.
12.3 Decollo industriale e progresso civile. A fine secolo ci fu il primo vero decollo industriale italiano, che come precondizioni
ebbe i trent’anni di vita unitaria con tutti gli interventi utilissimi attuati dai vari governi: ferrovie, settore siderurgico sviluppato
grazie alla svolta protezionistica del 1887 e riforma del sistema bancaria dopo scandalo Banca romana  1894: nacquero la
Banca commerciale e il Credito italiano  afflusso di risparmio privato verso gli investimenti industriali  nuovi impianti di
lavorazione del ferro (Savona, Piombino, Bagnoli). Poche società siderurgiche, e commesse statali. Tessile: industria cotoniera.
Sviluppi interessanti nei settori non favoriti o sfavoriti dalle tariffe dell’’87: chimico (gomma alla Pirelli milanese) e meccanico,
specie il settore automobilistico. Fiat, fondata nel 1899 da Giovanni Agnelli. In vent’anni l’industria elettrica era cresciuta in modo
incredibile. 1896-1907: crescita italiana superò del 7% quella di qualsiasi altro Paese europeo. Aumentò il reddito pro capite 
gente può comprare altri beni oltre al cibo, come utensili domestici o anche biciclette, etc… Cambiava la qualità di vita. Metropoli
italiane più piccole ma sempre più simili alle altre europee (servizi pubblici). Precarie condizioni abitative, ma acqua corrente per
tutti e miglioramento delle reti fognarie  calo mortalità da malattie infettive (colera o tifo), come quella infantile. Ma il divario con
le potenze europee restava larghissimo: analfabetismo alle stelle, eccesso di manodopera impiegata in agricoltura (55% in Italia,
8% in UK!!!)  emigrazioni: otto milioni tra 1900 e 1914, soprattutto dal Sud. I meridionali andavano in Nord America
permanentemente. Effetti positivi emigrazione: calo pressione demografica e arrivo delle rimesse, ma era pur sempre una
perdita.
12.4 La questione meridionale. Lo sviluppo si concentrò nel Nord del triangolo industriale (GE-TO-MI), accrescendo il divario
di questo con il Sud, dove le grandi imprese non erano presenti. Nemmeno l’agricoltura riuscì a crescere nel Meridione: per lo
più lo sviluppo avvenne nella Pianura Padana. Da tutto questo scaturirono i mali storici del Sud: analfabetismo, disgregazione
sociale, assenza classe dirigente moderna, subordinazione borghese ai proprietari terrieri, lotta politica clientelare e
personalistica  meridionalizzazione della pubblica amministrazione italiana. Al Sud la società era molto molto arretrata.
12.5 I governi Giolitti e le riforme. Giolitti salì al governo nel 1903 e subitò ampliò la base dell’esperimento liberal-progressista
offrendo al socialista Turati un posto al governo, che però questi rifiutò. Governo di centro dunque, con influenze conservatrici 
limiti del riformismo giolittiano, che sacrificò importanti progetti se incompatibili con la maggioranza. Leggi speciali per il
Mezzogiorno, 1904: stanziamenti statali e agevolazioni fiscali per Napoli e Basilicata prima, per la Calabria e le isole poi. Esse
non curarono le cause dei mali però, anche se effettivamente erano molto veloci da applicare e permisero ad esempio l’apertura
degli stabilimenti siderurgici di Bagnoli. Volle statizzare le ferrovie, ma incontrò dura opposizione. Si dimise lasciando il governo
a Fortis. Lo faceva spesso nei momenti difficili, per poi tornare sicuro dell’appoggio della maggioranza parlamentare. Dopo le
brevissime parentesi Fortis (che fece statizzare le ferrovie) e Sonnino, nel 1906 Giolitti tornò al governo. Il “lungo ministero
Giolitti” iniziò con la conversione della rendita, riduzione del tasso di interesse ai possessori di titoli di debito pubblico 
riduzione oneri gravanti sul bilancio statale. Pochi chiesero il rimborso immediato: fiducia dei risparmiatori era evidente. La crisi
del 1907 fu arginata dalla Banca d’Italia, la crescita riprese ma si inasprirono gli scontri sociali  1910: nasce la Confindustria.
Altra “ritirata strategica” a fine 1909, parentesi Sonnino e Luzzatti, ritorno nel 1911: Giolitti era ora spostato a sinistra. Nel 1912
fece approvare le leggi sull’ampliamento del suffragio e sul monopolio statale delle assicurazioni: apogeo del riformismo
giolittiano. Ma la guerra in Libia iniziava già a mettere in crisi Giolitti.
12.6 Il giolittismo e i suoi critici. Quella di Giolitti fu una sorta di “dittatura parlamentare”, caratterizzata però da punti forti,
come: il sostegno alle forze più moderne dello stato, tentativo di coinvolgere nel gioco politico forze considerate nemiche delle
istituzioni, tendenza ad allargare intervento pubblico per correggere gli squilibri sociali. La capacità di Giolitti di controllare il
Parlamento gli permise di governare a lungo senza l’assillo di crisi ricorrenti, ma in cambio favoriva il trasformismo e le
ingerenze elettorali dell’esecutivo, specie nel Sud. Ciò finiva per contraddire le positivissime premesse del giolittismo. I critici di
tale sistema erano i socialisti rivoluzionati e i cattolici democratici, liberal-conservatori come Sonnino ( il cui programma era
buono, specie per il Sud, ma non frutto di un compromesso – era calato dall’alto) e Albertini (direttore Corriere), meridionalisti
come Salvemini (che chiamò Giolitti il “ministro della malavita”), che accusarono il Governo di favorire economicamente il Nord.
Tutte queste critiche, per quanto eccessive, mostrarono la crescente impopolarità di Giolitti, la debolezza interna del suo sistema
e il suo distacco dalla massa.
12.7 La politica estera, il nazionalismo, la guerra di Libia. Dopo Crispi la politica estera italiana subì un cambio di rotta  fu
attenuata la linea filotedesca, fu conclusa la guerra doganale con la Francia e con essa fu decisa la spartizione del Nord Africa.
All’Italia la Libia, a Parigi il Marocco. Ciò non piacque alla Germania, mentre saliva la tensione con Vienna, quando essa occupò
unilateralmente la Bosnia-Erzegovina nel 1908. Italia era alleato debole della Triplice  riscossa nazionale: sentimenti
irredentisti rispuntarono, insieme alla volontà coloniale. L’Italia non voleva essere una potenza di secondo rango. Idee di
Corradini sulla “nazione proletaria” vs. quella capitalista  movimento nazionalista in Italia, che nel 1910 si raccolse
nell’Associazione nazionalista italiana. Un suo gruppo iniziò una campagna martellante a favore della conquista della Libia,
appoggiato dai cattolico-moderati e dal Banco di Roma, parlando delle ricchezze libiche poi mai trovate, fino a spingere il Paese
sull’orlo dell’intervento. Ma la spinta decisiva arrivò dopo la seconda crisi marocchina e quando fu chiaro il controllo francese sul
Marocco  invio di un contingente in Libia nel 1911  guerra contro la Turchia (guerriglia delle popolazioni arabe), per la quale
l’Italia dovette occupare anche Rodi e il Dodecanneso. 1912: pace di Losanna, Turchia rinunciò alla sovranità politica sulla Libia.
Resistenza però continuò ed economicamente la Libia fu un pessimo affare: scarsissime risorse (non si sapeva del petrolio).
Opposizione e consenso alla guerra: la prima dai repubblicani, dai radicali, dai socialisti, il secondo dall’opinione pubblica
borghese. Tale confronto radicalizzò il confronto politico e rafforzò le ali estreme: le correnti riformiste e collaborazionisti (quindi
Giolitti) persero terreno.
12.8 Riformisti e rivoluzionari. Il Psi si mostrò vicino alla politica riformista giolittiana, vedendo le riforme come l’unico modo di
consolidare i risultati già ottenuti. Le correnti più di sinistra ed intransigenti, contrarie allo stato borghese e monarchico e a
Giolitti, si opposero ben presto a Turati e alla sua idea di collaborare con il governo; particolarmente agguerriti erano i
sindacalisti rivoluzionari. Al congresso di Bologna i rivoluzionari tolsero ai riformisti la guida del partito  1904, primo sciopero
generale nazionale della storia italiana. Opinione pubblica e borghesia scosse, ma Giolitti non intervenne aspettando che lo
sciopero di esaurisse da solo; esso mostrò al movimento operaio quanto disorganizzato fosse, rese chiara la necessità di un
migliore coordinamento nazionale  i riformisti riuscirono a creare la Confederazione generale del lavoro (Cgl) nel 1906, sotto la
guida di Rigola  i sindacalisti rivoluzionari iniziarono ad essere emarginati fino ad essere allontanati dallo stesso Psi nel 1907.
Ma tra i riformisti si creò una corrente revisionista (Bissolati e Bonomi), che voleva trasformare il Psi in un partito del lavoro non
ideologicamente schierato  situazione si scalda con la guerra libica, cui Bonomi e Bissolati non sono del tutto contrari. Essi
furono espulsi nel 1912 insieme agli altri riformisti  scissione del partito ebbe gravi conseguenze sul futuro del socialismo
italiano. La guida del Psi tornava agli intransigenti, tra cui si iniziava a distinguere Benito Mussolini, che divenne presto direttore
dell’”Avanti!”.
12.9 Democratici cristiani e clerico-moderati. In età giolittiana si sviluppò, in campo cattolico, il movimento democraticocristiano di Murri, condannato dal nuovo papa Pio X. Ebbero un grande sviluppo, contemporaneamente, le organizzazione
sindacali “bianche” (in Sicilia Luigi Sturzo guidò il movimento cattolico contadino). Sul piano politico le forze clerico-moderate
stabilirono alleanze elettorali, in funzione conservatrice e anti-sinistra, con i liberali: questa linea politica avrebbe avuto piena
consacrazione, nelle elezioni del 1913, col “patto Gentiloni”; con esso i cattolici si assicuravano una capacità di pressione
notevole sulla classe dirigente, ma contemporaneamente allontanavano il momento in cui sarebbe nato un loro movimento
autonome.
12.10 La crisi del sistema giolittiano. Le prime elezioni a suffragio universale non cambiarono gli equilibri parlamentari: i
liberali avevano confermate le loro poltrone, ma facevano ingresso nuovi gruppi, che rendevano la maggioranza più eterogenea
e difficile da controllare da Giolitti, che si dimise nel 1914 indicando al re di nominare Salandra, con l’obiettivo di riprendere il suo
posto entro poco. Ma la guerra di Libia e una nuova crisi economica nel 1913 avevano radicalizzate ed estremizzato lo scontro
politico: destra conservatrice vs. correnti rivoluzionarie di sinistra. Giugno 1914: “settimana rossa”, manifestazioni in realtà di
carattere insurrezionale in Marche e Romagna contro l’uccisione di tre manifestanti antimilitaristi ad Ancona. Il tutto si esaurì in
pochi giorni, rafforzando i conservatori nelle loro posizioni. La grande guerra avrebbe reso irreversibile la crisi del giolittismo,
mettendo in discussione i modelli, non adatti alla società di massa.
13. La prima guerra mondiale.
13.1 Dall’attentato di Sarajevo alla guerra europea. 28 giugno 1914: un irredentista serbo uccise con due colpi di pistola
Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria. Vienna volle dare una lezione alla Serbia  era un caso internazionale, e il
casus belli. Il grande conflitto era già nell’aria da tempo. 23 luglio: Vienna inviò un durissimo ultimatum alla Serbia, che però
aveva il sostegno della Russia e lo accettò solo in parte  dichiarazione di guerra, il 28 luglio. Il giorno dopo il governo russo
mobilitò le forze armate verso ovest. La Germania interpretò come preparativi per ostilità, mandò un ultimatum, che non
ricevette risposta, e il giorno dopo dichiarò guerra alla Russia zarista, in aiuto della quale intervenne naturalmente la Francia. Fu
la Germania a far crollare la situazione, a causa del complesso di accerchiamento che viveva e del piano Schlieffen, che
prevedeva l’annientamento della Francia in poche settimane per poi concentrare l’attenzione sulle truppe zariste, più lente a
muoversi. Il 4 agosto, truppe tedesche invasero il Belgio neutrale, per attaccare la Francia dal punto più debole  a GB non va
bene affatto, e il 5 agosto dichiara guerra alla Germania (ecco il suo primo grave scacco). La guerra fu sottovalutata un po’ da
tutti, i governi pensavano che la guerra avrebbe rafforzato la loro posizione: in effetti successe questo almeno all’inizio. Ci fu una
notevole mobilitazione patriottica a sostegno della guerra in gran parte d’Europa. Contemporaneamente entravano in crisi il
pacifismo e l’internazionalismo socialista: l’opposizione socialista alla guerra si conservò solo in Russia e Serbia.
13.2 Dalla guerra di movimento alla guerra di usura. Lo spiegamento delle forze dimostrò quanto fossero cambiati gli eserciti,
che erano imponenti rispetto a quelli ottocenteschi (Germania aveva un milione e mezzo di soldati al fronte, Francia un milioni,
GB due milioni di volontari). C’erano nuovi armamenti, come i fucili a ripetizione e le potentissimi mitragliatrici automatiche, ma
le strategie erano vecchie, ancora quelle delle guerra di movimento, rapida e fatta di pochi scontri campali. L’attacco alla Francia
vide una serie di clamorosi successi iniziali: nonostante resistenza belga e intervento inglese, i tedeschi in due settimane
dilagarono in Francia fino ad attestarsi a poche decine di chilometri da Parigi, che venne abbandonata dal governo e dai civili.
Intanto sul fronte orientale il generale Hindenburg bloccava i russi che tentavano di entrare in Prussica, durante le battaglie di
Tannenberg e dei Laghi Masuri. Ma l’avanzata russa preoccupava molto austriaci e tedeschi, che concentrarono forze sul fronte
orientale  controffensiva francese: con la battaglia della Marna il piano tedesco si potè dire sostanzialmente fallito. A fine
novembre gli eserciti erano attestati in trincee improvvisate lungo una linea di 750 km, che andava dal Mare del Nord alla
Svizzera. 4 mesi di guerra: 400.000 morti sul solo fronte occidentale. Guerra di movimento era in realtà una situazione di stallo
 era una nuova guerra, detta di logoramento: eserciti immobili, scontri sterili e sanguinosissimi, stasi. Importante era invece il
ruolo inglese, e quello russo, ma anche quello di quante potenze erano restate fino ad allora fuori dal conflitto  allargamento
della guerra. Giappone intervenne a sostegno di Londra, lo stesso fecero Italia, Portogallo, Grecia e infine Stati Uniti, mentre
con gli Imperi centrali si schierarono Bulgaria e Turchia. La guerra era mondiale.
13.3 L’Italia dalla neutralità all’intervento. Appena scoppiata la guerra, Salandra annunciò la neutralità italiana, visto che la
Triplice era un trattato difensivo e l’opinione pubblica detestava l’Austria  presto però iniziò a diffondersi l’idea di una guerra
contro Vienna, per completare l’unificazione e dare un sostegno alla democrazia europea in pericolo. La sinistra democratica fu
portavoce della linea interventista: repubblicani, radicali e socialriformiti di Bissolati e frange estremiste del movimento operaio;
ad esso presto si aggiunsero i nazionaliti, ideologicamente lontanissimi dalla sinistra, ma altrettanto desiderosi di vedere l’Italia
intervenire nel conflitto per affermare la sua vocazione imperialista. L’interventismo conservatore fu più prudente e cauto, invece;
Salandra e Sonnino sapevano che una vittoria avrebbe rafforzato le istituzioni. Aderivano invece al neutralismo Giolitti e i liberali,
il mondo cattolico guidato dal nuovo papa, Benedetto XV, e i socialisti, in controtendenza rispetto ai colleghi europei (l’unica
defezione fu quella di Mussolini). Il fronte neutralista era in maggioranza numerica, ma male organizzato e incapace di unirsi per
evitare il conflitto; gli interventisti invece avevano come volontà comuna la guerra contro l’Austria e, tra l’altro, la fine del
giolittismo e la nascita di una nuova poitica italiana. Naturalmente erano a favore dell’intervento soprattutto i giovani e gli
intellettuali (vedi D’Annunzio), le parti cioè dinamiche della società. Chi contava erano il re, Salandra e Sonnino, che tennero il
piede in due scarpe per mesi, ma si volsero all’Intesa non appena videro la sconfitta tedesca in Francia. 26 aprile 1915: Patto di
Londra: in caso di vittoria l’Italia avrebbe avuto cessioni territoriali necessarie a completare l’unificazione. L’ultimo ostacolo era il
neutralismo parlamentare: Salandra si dimise quando Giolitti gli oppose trecento deputati, ma il re rifiutò le dimissioni mostrando
di approvare il suo operato. In più le “radiose giornate” del maggio 1915 dimostrarono chiaramente che l’opinione pubblica era
per l’intervento. La Camera si vide costretta, per non sconfessare il sovrano, ad approvare il Patto. 23 maggio 1915: Italia
dichiarò guerra all’Austria. “Né aderire né sabotare” dei socialisti.
13.4 La grande strage (1915-16). Si pensava naturalmente ad un conflitto veloce. Non fu così. Immediatamente gli austriaci
ripiegarono di qualche chilometri fino ad attestarsi sull’Isonzo e sulle alture del Carso, le posizioni difensive più favorevoli. Le
battaglie guidate dal generale Cadorna costarono 250.000 uomini e non fecero avanzare di un solo metro l’esercito italiano. Ma
per tutto il 1915 gli schieramenti restarono fermi anche sul fronte francese; gli unici successi furono quelli tedeschi contro la
Russia sul fronte orientale, prima con l’avanzata in Polonia, poi il debellamento della Serbia. Febbraio 1916: i tedeschi ripresero
l’offensiva contro la Francia  Verdun, battaglia durata quattro mesi e troppo costosa per tutti; intervento inglese sulla Somme,
che si risolse in un’altra estenuante battaglia di logoramento  carneficina: 1.600.000 caduti tra le due battaglie. Gli austriaci
tentarono nel giugno 1916 la Strafexpedition per spaccare in due lo schieramento italiano nella pianura veneta; l’eserciti
resistette all’attacco ad Asiago, ma il contraccolpo morale fu pesantissimo: cadde il governo Salandra, sostituito da Boselli.
Ancora stasi sull’Isonzo. Sul fronte orientale la Russia riuscì a riprendersi quanto perso l’anno prima e ad indurre la Romania ad
entrare nel conflitto a fianco dell’Intesa  disastro, Romania debellata, risorse agricole ed energetiche a disposizione degli
Imperi centrali. Tuttavia essi erano sotto l’Intesa, economicamente, anche per il rigidissimo blocco navale attuato da Londra 
battaglia navale dello Jutland. Fallimento tedesco.
13.5 La guerra nelle trincee. Sul piano tecnico, la trincea fu la vera protagonista del conflitto, per quanto semplice: la vita
monotona ma pesante che vi si svolgeva era interrotta solo, di quando in quando, da grandi e sanguinose offensive, prive di
risultati decisivi (gli assalti, anticipati dal “fuoco di preparazione”, che non faceva che rovinare ogni effetto sorpresa sul nemico).
Da ciò, soprattutto nei soldati semplici, uno stato d’animo di rassegnazione e apatia che spesso sfociava in forme di
insubordinazione (non si tornava dalla licenza, fino alla peggiore, l’automutilazione). Solo alcuni reparti speciali mantennero
sempre l’entusiasmo, ma loro non erano tappati nelle trincee per settimane: le Sturmtruppen tedesche e gli arditi italiani; per gli
altri, soprattutto di estrazione contadina, la guerra era un flagello naturale da sopportare.
13.6 La nuova tecnologia militare. Tecnologia applicata alle esigenze belliche. Grande novità subdola furono le armi chimiche,
i gas tossici. Le telecomunicazioni vennero perfezionate, così come i mezzi motorizzati, il che rese più veloci ed efficienti gli
spostamenti. L’aviazione però, ad esempio, non ebbe un peso decisivo nella IGM, non essenso ancora sufficientemente sicura e
affidabile. Stentati esordi anche per i carriarmati: le autoblindo. Le potenzialità non furono capite, e gli inglesi iniziarono a
servirsene regolarmente solo nel 1917, dopo aver sostituito le ruote con i cingoli. Il sottomarino invece influì molto sul corso
della guerra: la guerra sotto il mare era molto utile, i primi ad accorgersene furono i tedeschi. Guerra sottomarina fu sospesa per
le pressioni americane sulla Germania dopo l’affondamento del Lusitania, 1915.
13.7 La mobilitazione totale e il “fronte interno”. Tutti i civili, vicini o lontani al fronte che fossero, furono vittime dirette del
conflitto, ne sentirono gli sconvolgimenti. Ad esempio gli armeni, vittime di un genocidio nel Caucaso. Rivolgimento maggiore fu
senz’altro la mobilitazione industriale per sostenere le continue consegne del cliente Stato, che doveva alimentare in
continuazione la macchina militare nazionale senza badare a spese. L’intervento statale in economia si faceva molto forte  in
Germania si arrivò a parlare di “socialismo di guerra”. Si rafforzarono anche gli apparati statali, però  aumento della burocrazia.
Si assistette ad una “militarizzazione” della società, tanto in Germania quanto in GB e Francia: lo stato maggiore aveva un
potere ampissimo nella società del primo conflitto mondiale, e si preoccupava di debellare i nemici interni. Mobilitazione
avveniva attraverso la propaganda, che però era ancora rudimentale. Contemporaneamente alle conferenze di Zimmerwald e
Kienthal i socialisti europei contrari alla guerra di riunirono per urlare il loro “no”. Col protarsi del conflitto, ovviamente,
l’opposizione socialita vedeva sempre più persone coinvolte; c’erano tensioni interne tra le sinistre riformiste e il “disfattismo
rivoluzionario”, spartachisti e bolscevichi.
13.8 La svolta del 1917. Nei primi mesi dell’anno accaddero due cose che cambiarono le sorti del conflitto e del mondo: la
rivoluzione in Russia con la destituzione dello zar e l’intervento americano nella guerra contro la Germania. Il peso americano
iniziò a farsi sentire in capo a pochi mesi. L’esercito russo intanto si dissolveva, e i tedeschi penetrarono in Russia con facilità. Il
malessere delle truppe in battaglia si fece sempre più forte: erano stanche della guerra e di ricevere un trattamento disumano,
tanto tra gli eserciti dell’Intesa quanto tra quelli degli Imperi centrali. In Austria-Ungheria l’andamento non brillante della guerra
provocò il risveglio delle “nazionalità oppresse”, e presto Carlo I tentò di portare avanti dei negoziati per una pace separata,
respinti dall’Intesa. Benedetto XV fece appello perché si ponesse fine alla “inutile strage”.
13.9 L’Italia e il disastro di Caporetto. Anche per l’Italia il 1917 fu l’anno più difficile della guerra; le truppe stanche
continuavano i tentativi di sfondare le linee austriache sull’Isonzo, invano. Lo popolazione civile era sempre più scontenta e
rabbiosa, perché iniziavano a mancare beni e cibo; a Torino la carenza di pane sfociò in moti con forte partecipazione operaia;
situazione complessa e delicata  Austria ne approfittò, e con l’aiuto delle truppe tedesche, sfondò le linee italiane a Caporetto
e tentò per la prima volta la tattica dell’infiltrazione, così efficace da prendere gli avversari di sorpresa. L’esercito italiano si riuscì
ad attestare su una linea difensiva solo in corrispondenza del Piave, dopo una tragica ritirata. Cadorna fu sostituito da Diaz. La
sconfitta era stata causata dalla demoralizzazione delle truppe, ma soprattutto dall’incapacità dei comandi di rispondere alla
tattica tedesca. Intanto però la guerra per l’Italia era diventata difensiva e aveva riacceso gli animi: intorno al governo Orlando si
strinsero tutte le forze politiche. Diaz si mostrò più sensibile alle necessità delle truppe, e cercò di sollevare loro il morale e le
loro condizioni di vita; contemporaneamente iniziava a diffondersi con il Servizio P la propaganda al fronte  si iniziò a parlare di
“guerra democratica”, lotta per un più giusto ordine interno e internazionale.
13.10 Rivoluzione o guerra democratica? La rivoluzione d’ottobre portò al governo Lenin e i bolscevichi, che volevano gettarsi
alle spalle la guerra e decisero di firmare un trattato di pace separata con gli imperi centrali  3 marzo 1918, pace di BrestLitovsk, dalle condizioni durissime per la Russia. Eppure Lenin aveva salvato il nuovo stato socialista. Per rispondere alla sfida
lanciata da Lenin, si accentuò il tono ideologico del conflitto, come lotta contro l’autoritarismo  ad opera del presidente
americano Wilson soprattutto. Sono del gennaio 1918 i quattordici punti di Wilson: non solo prevedeva diminuzione degli
armamenti o l’abolizione della diplomazia segreta, ma anche precise delineazioni dei nuovi confini europei una volta sconfitta la
Germania, nonché la fondazione della Società delle Nazioni. Da molti il wilsonismo du vissuto come una rivoluzione diplomatica,
ma la realtà era che molti governi europei non lo condividevano affatto, ma finsero di farlo perché avevano troppo bisogno
dell’aiuto americano e perché si opponeva alla rivoluzione che contemporaneamente stava avendo luogo in Russia, ben più
pericolosa ai loro occhi.
13.11 L’ultimo anno di guerra. Le posizioni degli schieramenti erano ancora le stesse. Le truppe tedesche riuscirono a
sfondare a Arras e Saint Quentin e arrivarono sulla Marna di nuovo, mentre gli austriaci attaccarono in forze il Piave  ma gli
anglo-francesi riuscirono anche con l’appoggio americano a respingerli, come gli italiani del resto. Tra l’8 e l’11 agosto i tedeschi
furono sconfitti ad Amiens: al governo di coalizione nazionale spettò l’ingrato compito di aprire le trattative di pace, anche se i
responsabili di tutto erano stati i comandi militari. Ma era tardi: i suoi alleati crollavano uno dopo l’altro, prima la Bulgaria, poi la
Turchia, infine l’Austria, travolta dai moti indipendentisti e anche dall’offensiva italiana sul Piave  battaglia di Vittorio Veneto 
armistizio Austria-Italia, 3 novembre. La Germania intanto era scossa da una rivoluzione su modello russo, con ammutinamento
dei marinai a Kiel e la formazione di consigli rivoluzionari. Ebert fu messo a capo del governo, il Kaiser trovò rifugio in Olanda.
L’armistizio fu firmato a Rethondes l’11 novembre, e impose alla Germania delle condizioni molto molto dure: consegna della
flotta, ritiro oltre il Reno, cessione unilaterale dei prigionieri, annullamento dei trattati con Russia e Romania. Germania perdeva
una guerra senza che un solo lembo del suo territorio fosse stato occupato da un esercito straniero: la perse per fame e
stanchezza. 8,5 milioni di vittime e una generazione decimata fu l’esito della guerra.
13.12 I trattati di pace e la nuova carta d’Europa. Il compito dei vincitori a Versailles era quello di ricostruire un ordine
europeo dopo la guerra e la caduta di quattro imperi (tedesco, austro-ungarico, turco e russo). Si pensava che i lavori si
sarebbero basati sui quattordici punti di Wilson, ma si scoprì in fretta che la loro messa in pratica non era così semplice, perché
in realtà l’Europa era un intreccio molto complesso di etnie e popoli, ed era difficile stabilire confini secondo l’autodeterminazione
senza creare nuovi irredentismi. Erano presenti: Wilson, Clemenceau, Llyod George e Orlando. Pace democratica o pace
punitiva per la Germania? A Parigi non bastavano Alsazia e Lorena, voleva invece il confine sul Reno, ma dovette rinunciarvi. Il
trattato di Versailles con la Germania fu una imposizione vera e propria: cessioni territoriali, come il corridoio polacco con
Danzica che andarono alla Polonia, l’Alsazia e Lorena e le colonie. Clausole economiche e militari: riparazioni altissime che
avrebbero bloccato lo sviluppo economico tedesco, abolizione del servizio di leva, Ruhr smilitarizzata  umiliazione della
Germania, che la Francia temeva tornare ad essere la potenza egemone europea. Altro problema furono i riconoscimenti delle
realtà nazionali post-Impero austro-ungarico. La Repubblica d’Austria fu ridotta ad uno Stato piccolo, senza sbocco sul mare,
impossibilitato a riunirsi con la Germania, mentre l’Ungheria si vide tolte molti territori magiari. Molte etnie godettero della caduta
dell’Impero austro-ungarico: nacquero la Cecoslovacchia (stato federale con una minoranza di tre milioni di tedeschi sudeti) e la
Jugoslavia, mentre l’Italia acquisiva territori e l’Impero ottomano si riduceva alla sola penisola anatolica. La Bulgaria fu
ridimensionata. La Repubblica socialista russa non fu riconosciuta a Versailles, anzi fu circondata da un cordone sanitario di
stato cuscinetto che impedissero un eventuale dilagare della rivoluzione in Europa occidentale (Finlandia, Estonia, Lettonia,
Lituania). Nel 1921 si aggiungeva al numero di Stati neonati anche l’Irlanda. Wilson voleva che a garanzia del nuovo equilibrio si
ponesse la Società delle Nazioni, un organismo internazionale che non aveva precedenti nella storia; ma era già minata
all’inizio, perché non comprendeva gli sconfitti e la Russia. Ma il colpo le fu dato dagli States stessi, quando il Senato votò
contro l’adesione alla Società delle Nazioni a favore dell’inizio di un periodo di isolazionismo reclamato dall’opinione pubblica.
Organizzazione inutile!!
14. La rivoluzione russa.
14.1 Da febbraio a ottobre. In Russia dopo la IGM ci fu una svolta storica: la più grande rivoluzione dopo quella francese. Fine
del regime zarista abbattuto dalla rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado. Nel marzo 1917 ci fu quindi un governo
provvisorio liberale, che voleva continuare la guerra a fianco dell'Intesa e occidentalizzare la Russia. Con loro stavano cadetti,
menscevichi e socialisti rivoluzionari. I bolscevichi invece rifiutarono qualsiasi partecipazione, perché ritenevano che solo la
classe operaia avrebbe potuto guidare la trasformazione del Paese. Ma la coalizione antizarista non bastava a tenere su il
governo: infatti, spuntarono ovunque come nel 1905 i soviet, che vennero a formare una sorta di parlamento proletario che
emanava disposizioni diverse da quelle del governo. Lenin tornò in Russia nel 1917 e iniziò a far circolare le cosiddette “tesi di
aprile” (un documento in 10 punti), che rovesciando il pensiero marxista chiamavano i proletari alla rivolta per la presa del potere
(nonostante secondo Marx la rivoluzione sarebbe prima scoppiata nei paesi più sviluppati). Lenin voleva conquistare il controllo
su più soviet possibile, dare la terra ai contadini poveri e che i consigli operai avessero il controllo sociale della produzione. E di
fatto le sue idee e la sua opposizione alla guerra valsero ai bolscevichi numerosissimi consensi tra contadini e operai. Intanto
l’opposizione socialista contraria al governo e alla guerra sfociò in un’insurrezione, presto sedata dalle truppe fedeli a L’vov, che
però presto si dimise lasciando il governo a Kerenskij, che tentò una politica personale. Ma costui era screditato in quanto aveva
fallito nell'offensiva contro gli austro-tedeschi da lui stesso promossa. Il comandante dell’esercito, Kornilov, tentò il colpo di stato,
ma fallì perché il governo ebbe l’appoggio bolscevico e delle forze socialiste, anche se Lenin ormai stava preparandosi a
insorgere contro il governo provvisorio.
14.2 La rivoluzione d’ottobre. Dopo un’accesa riunione del partito, in cui molti si opposero alle sue proposte, Lenin
(appoggiato da Trotzkij, mente militare dell’insurrezione) riuscì a far scattare la rivolta, che Kerenskij non riuscì a stroncare
perché l’esercito non gli obbedì. Il 7 novembre (25 ottobre del calendario russo) i soldati rivoluzionari e le guardie rosse (milizie
operaie armate presero i punti nevralgici della città e circondarono il Palazzo d’Inverno, per poi prenderlo la sera stessa. Nel
frattempo a Pietrogrado si riunì il Congresso panrusso dei soviet (cioè l'assemblea dei delegati dei soviet di tutte le provincie
dell'ex Impero russo). Questo Congresso approvò decreti sulla pace giusta e senza indennizzi, e sulla terra, che diede ai
contadini ciò che volevano, abolendo così la grande proprietà terriera. Venne creato dai bolscevichi un Consiglio dei commissari
del popolo ovvero un governo rivoluzionario con Lenin presidente. Nonostante questa presa di potere nelle successive elezioni,
ci fu un amara delusione per i bolscevichi. I vincitori furono i socialrivoluzionari. La successiva Costituente fu però
immediatamente sciolta dai bolscevichi e ciò pose le premesse per una dittatura di partito. Infatti Lenin era convinto che solo il
proletariato avesse il potere di guidare la rivoluzione.
14.3 Dittatura e guerra civile. La Russia aveva ereditato problemi immensi, primo tra tutti la guerra, e i bolscevichi non
godevano dell’appoggio di nessun’altra forza politica, né degli strati sociali più elavati, vi fu un emigrazione politica, un vero e
proprio esodo. Il governo volle costruire uno Stato proletario secondo il modello disegnato da Lenin nella sua opera “Stato e
rivoluzione” ovvero un autogoverno delle masse secondo i principi di democrazia sperimentati nei soviet e non ci sarebbe stato
bisogno di parlamenti e di magistratura, di eserciti e di burocrazia. Niente Stato, espressione del potere di una classe su
un’altra. Ormai il governo doveva fare la pace, e il 3 marzo 1918 firmò il durissimo trattato di Brest-Litovsk, pace separata con la
Germania. I Bolscevichi totalmente isolati in quanto corrente di sinistra ritirò i suoi rappresentanti dal Consiglio dei commissari
del popolo. A livello internazionale la pace fu interpretata come un tradimento dalle potenze l’Intesa che nel frattempo
combattevano gli Imperi centrali. La reazione dell'Intesa fu quella di appoggiare gli oppositori dei bolscevichi, quest'ultimi furono
rafforzati dagli sbarchi di truppe anglo-francesi, americane e giapponesi e in diverse zone de paese si alimentò guerra civile. Le
armate bianche controrivoluzionarie giunsero dalla Siberia al Volga con l’ammiraglio Kolciak (ci fu l'esecuzione dello zar e della
famiglia a Ekaterinenburg per ordine dei soviet) e dal Nord della Russia si mossero verso sud (per questo motivo vi fu lo
spostamento della capitale da Pitrogrado a Mosca). Il governo intanto accentuava i suoi caratteri autoritari infatti vi fu la
creazione della Ceka (polizia politica), e del Tribunale rivoluzionario centrale in questo modo ogni contestazione venne placata,
con arresti ed esecuzioni sommarie. Nel febbraio 1918 venne ricostituito l’esercito, con il nome di Armata rossa degli operai e
dei contadini. Vennero istituiti i commissari politici che assicuravano fedeltà al governo rivoluzionario. Le forze
controrivoluzionarie erano mal coordinate a causa di rivalità politica e di distanza geografica, finchè nel 1919 persero anche
l’appoggio occidentale. Entro pochi mesi la guerra civile finì. Ma vinti i nemici interni, la Russia nell’aprile 1920 fu attaccata dalla
nuova Repubblica di Polonia, insoddisfatta dal trattato di pace di Parigi. La risposta bolscevica fu travolgente, e l’Armata rossa
giunse presto alle porte di Varsavia, ma i polacchi ebbero la meglio e li respinsero. Nel 1921: trattato di pace  alla Polonia parti
di Ucraina e Bielorussia. Durante questo attacco alla Polonia, crebbe una coesione nazionale che spinse molti ad avvicinarsi al
regime sovietico.
14.4 La Terza Internazionale. Nel 1919 i vertici russi consideravano ancora necessario l’appoggio del proletariato europeo per
poter sopravvivere e vi era la inoltre prospettiva di una rivoluzione europea. Lenin volle un’Internazionale “comunista” , per
coordinare gli sforzi rivoluzionari in tutto il mondo. Già nel 1918 era nato il Partito comunista (bolscevico) di Russia. Inizio di
marzo 1919 venne convocata la Terza Internazionale, in cui venne accettata la costituzione della nuova Internazionale
comunista (il Comintern). Lenin stabilì i “ventun punti” necessari a qualsiasi partito per entrare a far parte del Comintern, tra cui
c’erano la rottura con gli oppositori, il cambio di denominazione in Partito comunista, etc. Tra ’20 e ’21 comunque in moltissimi
Paesi del mondo nascevano partiti comunisti ispirati al modello sovietico, che appoggiavano la Russia bolscevica in una rete
efficiente ed organizzata. Ma in Europa occidentale i partiti comunisti restavano minoritari rispetto a quelli socialisti.
14.5 Dal comunismo di guerra alla Nep. L’economia russa era in totale dissesto economico, aggravato dalla rivoluzione e dalla
guerra civile. Agricoltura volta solo all’autocomsumo, industrie mal gestite, banche nazionalizzate e debito con l’estero
cancellato, ma il governo non era in grado di riscuotere tasse  ritorno al baratto. Il governo nel 1918 decise una linea dura
anche in economia: il comunismo di guerra. Primo problema: approvvigionamenti alle città. Vennero creati dei comitati rurali che
dovevano ammassare e distribuire le derrate. Fu incoraggiata la nascita di kolchoz( fattorie collettive) e sovchoz (fattorie
sovietiche) gestite dallo Stato o dai soviet locali. L’industria fu nazionalizzata. Quest'ultima fu una misura di emergenza, i vecchi
dirigenti delle imprese furono affiancati a dei funzionari di partito e vi fu la reintroduzione del “cottimo” ovvero del salario legato
al rendimento (del tutto contrario all’egualitarismo salariale). Il comunismo di guerra fu però un fallimento economico:
produzione industriale del 1920 era un settimo di quella del 1913. Raccolti scarsi. Razionamenti e requisizioni  mercato nero e
malcontento popolare, sfociato spesso in sommosse. 1921: carestia nelle campagne della Russia e dell'Ucraina che uccise tre
milioni di persone. Duro colpo per l’immagine del regime sovietico. Ma il dissenso era anche degli operai, delusi dalla gestione
autoritaria dell'economia, dalla scomparsa dei sindacati e dal regime di militarizzazione imposto nelle fabbriche. Nel marzo
1921 vi fu rivolta da parte dei marinai di Kronstadt, i quali chiedevano elezioni liberi nei soviet, maggiori libertà politiche e
sindacali ma vi fu una repressione militare. Il X congresso del Partito comunista abolì ogni dialettica al suo interno e decretò la
fine del comunismo di guerra, in favore di una timida liberalizzazione nella produzione e negli scambi.
nuova politica economica (la Nep) aveva come primo scopo lo stimolo dell’agricoltura e l’arrivo di cibo nelle città. I contadini
iniziarono a vendere le eventuali eccedenze. Liberalizzati anche commercio e piccola industria, mentre la grande industria e le
banche restarono sotto il controllo statale. Vi fu una notevole ripresa produttiva, che però fece riemergere il ceto dei contadini
ricchi, i kulaki, che in poco tempo ebbero il controllo del mercato agricolo. Col commercio aperto c’erano più beni di consumo,
ma anche una nuova categoria di trafficanti ricchissimi, i nepmen. L’industria di Stato però stentava a decollare e vi fu una
crescita della disoccupazione. Salari degli operai bassissimi. La classe operaia, protagonista della rivoluzione e principale
sostenitrice del regime comunista, fu la più sacrificata dalle scelte della Nep.
14.6 L’Unione Sovietica: costituzione e società. La prima costituzione della Russia rivoluzionaria è del 1918 e stabiliva che il
potere doveva essere del popolo e dei suoi organi rappresentativi, i soviet, che lo Stato fosse federale, rispetasse le minoranze
etniche e si aprisse all'unione con altre future repubbliche sovietiche. In realtà il nuovo stato comprendeva Russia e le ex
province zariste (Azerbaigian, Armenia, Georgia, Bielorussia, Ucraina). Alla fine 1922 i congressi dei soviet delle singole
repubbliche diedero vita all’URSS (Unione delle repubbliche socialiste sovietiche). La nuova costituzione dell'URSS del 1924
dava il potere supremo al Congresso dei soviet dell'Unione, anche se in realtà era nelle mani del Partito comunista. Era in
pratica una dittatura di partito: esso guidava il governo, controllava la polizia politica, proponeva i candidati per i soviet, attuava
un rigido centralismo. Ma i capi bolscevichi non volevano solo cambiare economia e istituzioni, volevano una nuova società
compatibile con il nuovo ordine comunista  educazione della gioventù e lotta alla Chiesa ortodossa. Scristianizzazione in
pratica riuscita, l’influenza del clero era quasi del tutto scomparsa, anche perché la Chiesa ortodossa era già in crisi da tempo,
perché legata all’antico regime zarista. Fu permesso solo il matrimonio civile e semplificato il divorzio, fu legalizzato l’aborto nel
1920, proclamata l’assoluta parità tra i sessi  in generale ci fu una liberalizzazione dei costumi. L’istruzione fu posta
obbligatoria fino a 15 anni; venne favorito l’insegnamento tecnico a quello umanistico; le giovani menti si forgiavano
ideologicamente spingendone quante più possibile ad iscriversi alla Komsomol (Unione comunista della gioventù). Il regime di
partito da un lato spinse molti artisti ad emigrare, dall’altro favorì la nascita di vivaci avanguardie, almeno in un primo periodo.
Fioritura creativa, ma presto le necessità propagandistiche bolsceviche cancellarono la libertà d’espressione.
14.7 Da Lenin a Stalin: il socialismo in un solo paese. Con la malattia di Lenin e l’ascesa di Stalin alla segreteria generale
del Partito Comunista gli scontri interni al partito degenerarono. Il primo problema fu la centralizzazione e la burocratizzazione
del partito, e quindi l’enorme potere che sarebbe finito nelle mani di Stalin. L’altro protagonista, che cercò di dare spazio alla
vera democrazia sovietica, fu Lev Trotzkij. Questi era molto autorevole, e forse per questo gli altri membri del partiti fecero
blocco attorno al segretario, Stalin, che non godeva nemmeno della fiducia di Lenin. Lo scontro tra Stalin e Trotzskij iniziò dopo
la morte di Lenin. Infatti secondo Trotzskij l’Unione Sovietica doveva cercare di favorire qualche un processo rivoluzionario
nell'Occidente capitalistico e cercarsi di industrializzarsi. In Opposizione la tesi di Stalin per cui fu coniata l'espressione la
rivoluzione permanente, che invece stabilì il principio del socialismo in un solo paese, una rottura rispetto alla tradizione
bolscevica, ma un assunto molto realistico. Le potenze europee tra ’24 e ’25 si decisero a riconoscere lo stato sovietico,
favorendo così indirettamente Stalin e isolando Trotzkij che infine infine sconfitto. Dopo di lui, nuovo scontro sull’economia:
Kamenev voleva sospendere la Nep perché stava facendo rinascere il capitalismo nelle campagne. Contrario era Bucharin il
quale voleva incoraggiare la piccola impresa agricola; Stalin stette con lui, espulse Trotzkij. Stalin iniziò la sua dittatura
personale.
15. L’eredità della grande guerra.
15.1 Le trasformazioni sociali. La guerra fu la più grande, forse la prima, esperienza di massa dell’umanità, che coinvolse 65
milioni di persone e si comportò come un acceleratore di processi; inoltre i combattenti vivettero per anni in un’altra realtà e una
volte tornati fu difficile reinserirli in una società dove intanto le donne erano subentrate. La mancanza della figura paterna, al
fronte a combattere, mutò la struttura della famiglia (prima patriarcale) e la mentalità e le abitudini dei più giovani. Grandi
cambiamenti, nell’abbigliamento, negli uomini come nelle donne e nei giovani. Ricerca di nuove occasioni di divertimento,
spesso trovate nel cinema e nella musica americane. Tutti cercavano di rifarsi degli anni perduti. Sorsero molte associazioni
combattentistiche per sostenere i reduci e aiutarli a reinserirli nella società. Vi fu la tendenza della massificazione della politica
infatti per far valere i propri diritti e per affermare le proprie rivendicazioni era necessario associarsi e organizzarsi in gruppi
numerosi. Infatti vi fu un aumento di iscritti nei partiti e nei sindacati. Perdevano importanza ad esempio l’azione parlamentare.
Vi fu una maggiore frequenza di manifestazioni pubbliche basate sulla partecipazione diretta dei cittadini.
15.2 Le conseguenze economiche. La guerra creò un grave dissesto economico per tutti paesi belligeranti, eccetto USA. A
causa di ciò furono aumentate e tasse, e avevano contratto debiti con i paesi amici, soprattutto con gli USA . Venne stampata
moneta in eccedenza generando così l'inflazione. Era un fenomeno mai visto, che sconvolse la società intera. Se gli operai
riuscivano a mantenere il loro reddito reale, e se la guerra aveva arricchito industriali e speculatori, per i proprietari terrieri e il
ceto medio, l’inflazione fu la piaga peggiore. Serviva una riconversione dell’economia. La supremazia europea era intanto stata
scalzata da USA e Giappone, dalla nascita di nuove potenze sempre meno dipendente dall’Europa, e per alcuni paesi come la
GB, dalla frammentazione di vecchi partner commerciali continentali in tante realtà statuali diverse. Fu un periodo di
nazionalismo economico e protezionismo doganale soprattutto in quei Stati dove si voleva sviluppare una propria industria. Vi fu
il blocco dei prezzi dei generi di prima necessità e sui canoni d'affitto. Si rafforzò la tendenza dei pubblici poteri ad intervenire su
materie un tempo riservate alla libera iniziativa e vi fu il mantenimento di una enorme macchina burocratica per gestire tale
intervento. Ad una prima espansione “artificiale” seguì una nuova crisi. La vera ripresa si sarebbe avuta dalla metà degli anni ’20
in avanti.
15.3 Il biennio rosso. Dopo la guerra ci fu una prodigiosa avanzata del movimento operaio e dei socialisti, che videro ovunque
incrementi elettorali. Ci furono agitazioni, che culminarono con l’ottenimento della riduzione della giornata lavorativa ad otto ore
a parità di salario. Era il biennio rosso: 1918-1920  “Fare come in Russia” era il motto un po’ ovunque, recitato dai gruppi
rivoluzionari. In Francia e GB le autorità riuscirono senza problemi a tenere a bada le spinte operaie. Germania, Austria e
Ungheria furono invece teatri di veri e propri tentativi rivoluzionari. L’ipotesi rivoluzionaria però fallì miseramente: troppo diverse
erano in Europa le condizioni rispetto a quelle russe, in quanto lì vi era un capitalismo debole, una borghesia numericamente
esigua e un movimento operaio abituato alle cospirazioni. Fu allora che il movimento operaio si divise nella corrente
d’avanguandia e in quella più moderata un po’ dappertutto; fu allora che nacquero i partiti di ispirazione bolscevica che
nonostante volessero portare alla rivoluzione, invece avrebbero indirettamente aperto la strada ai conservatori.
15.4 Rivoluzione e controrivoluzione nell’Europa centrale. La rottura comunismo-socialdemocrazia fu causata dalle vicende
russe (con i bolscevichi al potere) e da quelle tedesche (con la proclamazione della Repubblica). Dopo l’armistizio l’esercito
tedesco rientrò e si disgregò in migliaia di unità armate. Il governo legale era esercitato dal Consiglio dei commissari del popolo,
ma in realtà a governare erano i consigli degli operai e dei soldati. A Berlino c’erano continue manifestazioni. Situazione simile a
quella russa del 1917, ma in realtà molto diversa. La rivoluzione era ostacolata da: la presenza degli eserciti stranieri al confine,
pronti a sedare una rivoluzione; l’indifferenza rurale rispetto ai moti rivoluzionari urbani; la solidità sociale della classe dirigente; i
particolari rapporti di forza interni al movimento operaio (diversi da quello russo). A differenza dei menscevichi russi i
socialdemocratici dopo la guerra erano l’unica forza organizzata del paese.
I leader socialdemocratici non volevano una rivolta come in Russia, ma una democratizzazione del sistema politico che rientrava
nel quadro delle istituzioni parlamentari. I capi della Spd e gli esponenti della vecchia classe dirigente appoggiarono i
socialdemocratici perché ritenevano che potesse placare le rivoluzioni. Venne stabilito un patto non scritto tra socialdemocratici
e i capi dell’esercito,lealtà in cambio di tutela dell'ordine pubblico e mantenimento della struttura gerarchica delle forze armate.
Ma la scelta della Spd si scontrò con i più radicali, come la Lega di Spartaco, che eppure non cercava uno scontro diretto,
sapendo di essere minoritaria. Tuttavia le masse spinsero gli spartachisti ad insorgere (1919), anche se al loro appello a
rovesciare il governo quasi non risposero, cosa che invece fece il governo che represse duramente il tentativo rivoluzionario
attraverso i Freikorps, i corpi franchi, e trucidò i suoi leaders, Liecknecht e Luxemburg. Il 19 gennaio si tennero le elezioni per la
Costituente, vinte dalla Spd che però non ebbe la maggioranza assoluta. Ci voleva quindi un accordo o con i cattolici o con i
liberali. L'accordo tra socialisti, cattolici e democratici permise di governare, di eleggere a presidente della Reppublica Ebert e di
stilare la nuova democratica costituzione, detta di Weimar (assetto federale, suffragio universale maschile e femminile, gov
responsabile di fronte al parlamento, presidente eletto dal popolo). Tuttavia la pace sociale non arrivò, ci furono nuovi tentativi
rivoluzionari, specie in Baviera, dove era stata proclamata una Repubblica dei consigli che però venne stroncata dall'esercito del
governo. Ma il vero pericolo era nell’estrema destra: l’esercito era sempre meno fedele alla repubblica e faceva quello che
voleva. Esso diffuse la leggenda della pugnalata nella schiena: secondo cui l'esercito tedesco avrebbe potuto vincere la guerra
se non fosse stato tradito da una parte del Paese, anche se ciò non era affatto vero. La Spd nel 1920 fu sconfitta e dovette
lasciare il governo ai cattolici del Centro. Anche in Austria i socialdemocratici furono sconfitti quell’anno dal Partito cristianosociale. Tentativi comunisti di insurrezione continuavano a fallire, mentre in Ungheria i comunisti riuscirono a tirare su un
governo di stampo sovietico, che durò quattro mesi appena, quando Bèla Kun fu destituito dall’ammiraglio Horthy, che salì al
potere scatenando un’ondata di “terrore bianco”. Il Paese cadeva nelle mani della Chiesa e dei grandi proprietari terrieri.
15.5 La stabilizzazione moderata in Francia e in Gran Bretagna. La fine del biennio rosso e la recessione economica
segnarono la sconfitta operaia e la ripresa dei moderati, che sconfitto il pericolo rivoluzionario cercarono di ristabilire l’ordine
tradizionale socio-politico, di frenare l’inflazione e di dare stabilità all’assetto internazionale. In Francia e GB l’obiettivo della
stabilizzazione politica interna fu raggiunto: in Francia la destra governò con una politica molto conservatrice dal ’19 fino al ’24,
fino a che i radicali di sinistra attraverso il cartello delle sinistre (coalizione delle sinistre) riuscirono ad avere la maggioranza e a
portare al governo il loro leader Herriot, che però sarebbe durato molto poco perché non seppe affrontare una crisi finanziaria.
Nel 1926 la guida del Paese tornò al leader moderato Poincarè, che restò per tre anni riuscendo a stabilizzare la moneta e a
risanare il bilancio statale, sempre a spese del popolo. In questi anni vi fu un boom economico in Francia. In GB il processo fu
più lento ed incerto, anche a causa della stagnazione economica che proseguì per tutti gli anni ’20. Tra il 1918 e il 1929 in GB
governarono solo i conservatori, a parte una brevissima parentesi laburista nel 1924 in cui vi fu una secca sconfitta liberale di
quel periodo rifece del sistema inglese un sistema bipartitico, con i laburisti primi antagonisti dei conservatori. I governi
conservatori tornati al potere avviarono una politica di austerità finanziaria e tagli dei salari che causò scontri con i sindacati.
Grandi manifestazioni e malcontento popolare  scioperi dei minatori ma essi non portarono a nulla, dopo sette mesi di scontro i
lavoratori non ottennero nulla. crisi dei laburisti causata dal fatto che venne dichiarata illegale la pratica per cui gli aderenti alle
Trade Unions venivano iscritti d'ufficio al Labour Party (si dimezzarono gi iscritti), che però si ripresero fino a vincere le elezioni
del 1929.
15.6 La Repubblica di Weimar. Grandi anni per la Germania, la cui costituzione era un esempio di liberalismo e democrazia
per tutti. Rigoglio attività intellettuale e della cultura. Tuttavia la Repubblica era in crisi anche perché mancava una stabilità nelle
maggioranze e nei governi, le forze politiche erano molto frammentate, incapacità di guidare il paese nella difficile crisi di
trasformazione che stava attraversando. forza che poteva aspirare al ruolo di partito egemone era la socialdemocrazia (con la
confluenza del Spd e dell' Uspd). La Spd fece sempre sentire il suo peso sia al governo sia all’opposizione, ma non riuscì mai
ad ampliare la sua base elettorale. Le classi medie, infatti, si raccoglievano attorno ai partiti della destra conservatrice e
moderata e a quello cattolico. La diffidenza verso il nuovo sistema dunque non coinvolgeva solo la vecchia classe dirigente,
ancora arroccata nella burocrazia e nell’esercito, e l’estrema destra, ma anche la piccola e media borghesia, per la quale l’età
imperiale aveva significato tranquillità e grandezza nazionale, mentre la Repubblica era sinonimo di sconfitta e riparazioni di
guerra. 1921: gli alleati dichiararono che le riparazioni ammontavano a 132 miliardi di marchi-oro da pagare in 42 rate annuali:
per 50 anni cioè la Germania avrebbe dovuto dare via un quarto del suo PIL. Popolazione furiosa  proteste. Ci fu un’offensiva
da parte dell’estrema destra nazionalista (in cui si stavano facendo largo i nazionalsocialisti guidati da Adolf Hitler) ai danni della
Repubblica considerata traditrice. Tra 1918 e 1919 furono assassinati il ministro delle Finanze Erzberger e quello degli Esteri
Rathenau. I governi tra il 1921 e il 1923 cercarono di non far pesare il problema delle riparazioni sulla popolazione, per evitare
insurrezioni, quindi non alzarono le tasse, iniziando invece a stampare carta-moneta ci fu però così un processo inflazionistico e
crollo del valore del marco. Il governo sperava che ciò avrebbe fatto desistere le potenze vincitrici dal continuare ad imporre loro
le sanzioni economiche delle riparazioni.
15.7 La crisi della Ruhr. 1923: Francia e Belgio occuparono il bacino della Ruhr (zona più ricca e industrializzata della
Germania) in modo che la Germania pagasse quelle riparazioni ancora non corrisposte. Il governo tedesco non potè reagire
militarmente ma incoraggiò la resistenza passiva: operai e imprenditori si rifiutarono di collaborare con gli occupanti. Attentati
contro i franco-belgi questi però reagirono con fucilazioni e arresti in massa. Tutto ciò provocò il definitivo tracollo finanziario per
la Germania: il marco si svalutò sino a perdere praticamente ogni potere d’acquisto. Polverizzazione della moneta. Inflazione
inarrestabile. Chi aveva beni reali (agricoltori, industriali, commercianti) o chi aveva contratto debiti era avvantaggiato; mentre
chi aveva risparmi da parte perse tutto. Gli industriali esportatori guadagnarono molto perché percepivano valuta straniera.
La classe dirigente reagì: nell’agosto ’23 nacque un governo di grande coalizione presieduto da Stresemann, convinto della
necessità di un accordo con le potenze vincitrici. Riallacciò il legami con Parigi e proclamò lo stato di emergenza, potendo così
sciogliere i governi regionali della Sassiona e della Turingia (dove erano al potere comunisti e socialdemocratici di sinistra), e
sedare le rivolte comunista ad Amburgo e dell’estrema destra a Monaco. Quest’ultima, l’8 e 9 novembre, era capeggiata da
Hitler e da Ludendorff che si opposero così al governo centrale, ma non ottennero l’appoggio sperato dei militari e delle autorità
locali e vennero fermati. Hitler fu condannato a 5 anni di carcere anche se poi ne fece meno: la sua carriera sembrava conclusa.
Nell’ottobre si tentò di risanare l’economia  emissione del Rentenmark, il marco di rendita, il cui valore era garantito dal
patrimonio agricolo ed industriale tedesco, ovvero lo Stato tedesco impegnava i suoi averi per garantirsi un credito. Fu avviata
una politica deflazionistica: ulteriori sacrifici, ma ritorno alla normalità finanziaria. Il piano Dawes: secondo questo la Germania
per pagare le riparazioni doveva essere al max della sua forma economica. Per questo la Germania si fece dare delle
sovvenzioni dagli USA da restituire in rate in modo che così la Germania si potesse riappropriassero della Ruhr. Effettivamente
vi fu una ripresa economica notevole. Nonostante questa ripresa, la crisi della Ruhr e la grande inflazione del 1923 avevano
lasciato il segno e nelle elezioni ’24 ci fu l’avanzata delle ali estremiste (comunisti e tedesco-nazionali). Fu eletto Presidente
della Repubblica von Hindenburg, vecchio maresciallo imperiale. Si susseguirono anni di stabilità. Stresemann rimase ministro
Esteri fino alla sua morte e continuò una collaborazione con le potenze vincitrici. Fino al ’28 governa il centro.
15.8 La ricerca della distensione in Europa. Dopo la guerra la Francia cercò di creare un suo sistema di sicurezza e di
alleanze (con i neo-stati dell’Est europeo), e fu molto rigida con la Germania. Il governo francese e tedesco accettarono il piano
Dawes e iniziò una fase di distensione internazionale, confermata dagli accordi di Locarno del 1925, che normalizzarono i
rapporti franco-tedeschi (grazie anche all’operato dei ministri Stresemann e Briand). Il piano Young diminuì ulteriormente le
sanzioni alla Germania, che intanto fu inserita nella Società delle Nazioni e vide gli ultimi reparti francesi lasciare la Renania nel
1930. Tale fase di distensione (culminata con il Patto Briand-Kellog, di Parigi, che rifiutava la guerra come mezzo di risoluzione
delle controversie) si interruppe alla fine del decennio in coincidenza con la grande crisi economica internazionale (nel 1930 la
Francia stava già costruendo quel cordone difensivo contro la Germania che era la linea Maginot).
16. Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo.
16.1 I problemi del dopoguerra. Alla crisi economica tipica del periodo postbellico, in Italia si aggiunsero notevoli tensioni
sociali: tutte le parti sociali erano in fermento. Gli operai volevano più potere nelle fabbriche e manifestavano, anche sotto gli
echi della rivoluzione russa. I contadini con una nuova consapevolezza volevano garantiti i loro diritti. I ceti medi iniziarono ad
organizzarsi e a mobilitarsi per sostenere i loro interessi. Ma rispetto a Francia e GB, in Italia l’economica e la
democratizzazione erano appena agli inizi, fragilissime. La classe dirigente liberale era entrata in una crisi impressionante, in
quanto venne contestata e isolata, non fu in grado di gestire le mobilitazioni di massa e per questo motivo perse la usa
egemonia. In Italia vennero favorite le forze socialista e cattoliche perché non erano ritenuti responsabili alla guerra.
16.2 Cattolici, socialisti e fascisti. 1919: nasce sotto la guida spirituale di Sturzo e legato alla Chiesa, il Partito popolare
italiano (Ppi). La Chiesa aveva un nuovo atteggiamento politico: voleva arginare il socialismo. Inoltre ci fu una crescita
incredibile del Partito socialista, al cui interno prevaleva la corrente di sinistra, chiamata massimalista, mentre i riformisti erano
forti in Parlamento. I massimalisti guidati da Giacinto Menotti erano ammiratori della rivoluzione bolscevica e volevano lo stato
socialista. Ma la rivoluzione la aspettavano e basta. Dei gruppi di estrema sinistra nacquero attorno a personaggi quali Bordiga,
Gramsci o Togliatti, i quali si battevano per un maggior impegno rivoluzionario. Tutte illusioni, visto che questo atteggiamento
non fece che allontanare i proletari dalla vita politica: la borghesia era chiaramente spaventata da tali idee, aveva paura di una
dittatura proletaria, e si teneva lontana dai socialisti. Nacquero tanti gruppi difensori dei “valori della vittoria”: come ad esempio i
Fasci di combattimento, fondati il 23 marzo 1919 a Milano da Benito Mussolini. Politicamente erano a sinistra e chiedevano
riforme sociali audaci, ma in realtà odiavano i socialisti. I fascisti furono i protagonisti del 1° grace episodio di guerra civile
dell'Italia postbellico con l’assalto e l’incendio alla sede dell’”Avanti!”.
16.3 La “vittoria mutilata” e l’impresa fiumana. Italia uscì politicamente rinforzata dal conflitto: raggiunse i confini naturali e
vide dissolto il suo acerrimo nemico, l’Impero asburgico. Secondo il Patto di Londra la Dalmazia andava all’Italia, Fiume
all'impero asburgico nonostante fosse italiana. La conferenza di pace a Versailles andava male però: Orlando e Sonnino
cercarono di ottenere anche Fiume, ma incontrarono il rifiuto alleato, in particolare di Wilson e Abbandonarono la conferenza per
protesta, ma quando vi tornarono non ottennero nulla. Il governo Orlando allora si dimise. Governo Nitti al potere, mentre nel
Paese si sviluppava il disappunto con le potenze ex alleate, che defraudavano l’Italia, e con il governo incapace di assicurare gli
interessi nazionali: Gabriele D’Annunzio, noto ormai come una sorta di vate nazionale, parlò allora di “vittoria mutilata”. Nel
settembre 1919 alcuni reparti ribelli guidati dal poeta occuparono Fiume e ne proclamarono l’annessione all’Italia. L’impresa
fiumana durò quindici mesi, durante il quale si misero in atto alcuni espedienti e si fece esperienza di alcune realtà che
sarebbero state utilizzate durante il ventennio fascista.
16.4 Le agitazioni sociali e le elezioni del ’19. Tra 1919 e 1920 l’Italia fu attraversata da aspre agitazioni sociali: l’inflazione e il
caro-viveri procurarono moti spontanei della popolazione e forti reazioni sindacali, che culminarono nelle centinaia di scioperi
che videro protagonista quasi ogni settore. Ci furono anche agitazioni agrarie, portate avanti per gli stessi scopi ora dalle leghe
rosse socialiste ora da quelle bianche cattoliche. Nel Sud invece iniziò a diffondersi l’occupazione di terre incolte e latifondi da
parte di contadini ed ex combattenti. Le lotte erano però tra loro separate e a volte si opponevano, infatti si erano accentuate le
divisioni del Paese. Novembre 1919 si ebbero le prime elezioni del dopoguerra ed ottennero successo dei partiti di massa
(socialisti 32%, e i popolari). Vecchi equilibri politici in crisi, nuovi difficili da creare, anche a causa del sistema proporzionale, su
cui si erano basate le elezioni, che difficilmente dava vita a coalizioni stabili; l’unica che fu possibile, era quella tra popolari e
liberal-democratici, governò per gli ultimi anni prima dell’avvento del regime.
16.5 Giolitti, l’occupazione delle fabbriche e la nascita del Pci. Dopo Nitti, Giolitti prese il governo con un programma molto
avanzato, anche dal punto di vista fiscale. Infatti introdusse la nominatività dei titoli azionari (cioè l'obbligo di intestare le azioni al
nome del possessore, permettendone così la tassazione) e un' imposta straordinaria sui sovraprofitti realizzati dall'industria
bellica. La questione adriatica ovvero la negoziazione con la Jugoslavia fu risolta da Giolitti nel 1920 con il trattato di Rapallo.
All’Italia conservò Trieste, Gorizia e l’Istria, alla Jugoslavia la Dalmazia eccetto Zara che fu assegnata all'Italia. Fiume, quando
venne attaccata, fu presto abbandonata da D’Annunzio. Avviando il risanamento del bilancio, il governo Giolitti stabilì la
liberalizzazione del prezzo del pane; però il suo disegno politico complessivo non era più applicabile: gli mancava la
maggioranza dell’anteguerra e non poteva fare delle piccole concessioni ai socialisti per tenerli buoni. Evento più importante:
occupazione delle fabbriche da parte dei metalmeccanici nell’autunno ’20. Era un pesantissimo scontro sindacale tra
imprenditori e operai, che conobbe anche degli accenni rivoluzionari (nacquero i consigli di fabbrica ovvero organismi eletti dai
lavoratori). Dalle attese rivoluzionarie si passò al compromesso sindacale, favorito da Giolitti e dalla sua politica di neutralità 
controllo sindacale sulle imprese. I dirigenti riformisti della Cgl furono accusati di aver svenduto la rivoluzione in cambio di un
accordo sindacale. I contrasti nel movimento operaio esplosero però solo al II Congresso del Comintern, atto di nascita di molti
partiti comunisti. Serrati si rifiutò di espellere i riformisti perché in questo modo il Psi avrebbe perso buona parte dei suoi quadri
sindacali, dei suoi deputati, dei suoi amministratori locali. Al congresso del partito, tenutosi Livorno, la minoranza di sinistra
abbandonò e fondò il Partito comunista d’Italia (Pci), con un programma leninista, ma l’ondata rivoluzionaria europea e italiana
si stava esaurendo. In più, il Psi era come bloccato dalle sue vicende interne, in cui i massimalisti tenevano fermi i riformisti 
nessun accordo con i borghesi e incapacità di ostacolare la tendenza antisocialista che si stava diffondendo in Italia.
16.6 Il fascismo agrario e le elezioni del ’21. Con il riflusso delle lotte operaie vi fu a livello europeo un aumento della
disoccupazione e un calo della capacità contrattuale degli operai, mentre in Italia si iniziò a diffondere il fascismo agrario.
All’inizio il fascismo non aveva seguaci, ma poi subì una trasformazione: iniziò una lotta spietata contro il socialismo,
abbandonò del programma radical-democratico e costituì delle strutture paramilitari, squadre d'azione. Mussolini infatti aveva
deciso di cavalcare l’onda di riflusso antisocialista che si era creata a seguito del biennio rosso. Il sistema delle leghe socialiste
nella Valle Padana era estremamente efficace, perché controllava il mercato del lavoro e aveva ampio potere contrattuale. Il
fascismo portò a galla le fratture interne al sistema: quelle tra braccianti e mezzadri. Il fascismo agrario nacque quando ci furono
i fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna, nel 1920, dove fascisti si mobilitarono per impedire la cerimonia d'insediamento della
nuova amministrazione comunale fascista. I socialisti per sbaglio spararono sulla folla tra i loro sostenitori. I fascisti da ciò
trassero il pretesto per scatenare una serie di ritorsioni antisocialiste in tutta la provincia. I proprietari scoprirono nei fascisti degli
alleati preziosi per distruggere il potere delle leghe, e li sovvenzionarono molto generosamente. Le fila fasciste intanto si
ampliavano, lo squadrismo dilagò in tutto il centro-nord. Solo il Sud per ora restava immune. Gli obiettivi squadristi erano
l’esclusione dalla vita politica ed economica del socialismo  spedizioni che andavano a devastare e incendiare camere del
lavoro, sedi delle leghe, case del popolo, e sottoponevano i socialisti a ripetute violenze. Molte giunte furono costrette alle
dimissioni. Molto leghe chiusero i battenti. Ma il successo fascista oltre a spiegarlo con fattori di ordine militare, ma si devono
attribuire delle responsabilità anche al governo e allo stesso Giolitti: i fascisti erano visti come naturali alleati nella lotta ai “rossi”.
Maggio 1921: elezioni  i fascisti sono invitati ad entrare nei blocchi nazionali, le coalizioni nate per fermare l’ascesa elettorale
dei partiti di massa. I socialisti persero relativamente poco, considerato le spedizioni contro di loro e la secessione comunista.
La vera novità furono i 35 deputati fascisti eletti, capeggiati da un Mussolini sempre più desideroso di potere.
16.7 L’agonia dello Stato liberale. A Giolitti successe Bonomi, che promosse ed ottenne una tregua tra socialisti e fascisti 
patto di pacificazione con entrambi rinunciavano alla violenza. In particolare i socialisti accettavano di sconfessare quei gruppi di
militanti di sinistra che si erano organizzati spontaneamente per opporsi allo squadrismo. Ma al patto erano contrari i fascisti più
intransigenti, che si opposero a Mussolini fino a che egli non sconfessò il patto stesso, non potendo fare a meno dello
squadrismo agrario. I ras riconobbero la guida politica di Mussolini e nacque Partito nazionale fascista (Pnf), con 200.000 iscritti.
Nel febbraio ’22 il governo passò nelle mani di Facta, il quale dimostrò una scarsa autorità politica. A causa di ciò lo squadrismo
dilagò incontrollato. Il fascismo era sempre più importante intanto: venivano attuate scorribande e occupati centri. Il fascismo
giocava da un lato sulla violenza armata, dall’altro sulla manovra politica; il socialismo non seppe rispondere in modo efficace e
quando si decise era troppo tardi. I dirigenti sindacali proclamarono lo s ciopero generale legalitario , in difesa delle libertà
costituzionali. Questo fu usato come pretesto dai fascisti per passare come garanti dell’ordine e per sferrare un attacco alle
ultime fortezze socialiste (Milano, Genova, Ancora, Parma…). Movimento operaio distrutto. Ottobre 1922: i riformisti Turati
abbandonarono il Psi, per fondare il Psu (Partito socialista unitario)
16.8 La marcia su Roma. Mussolini e i fascisti ora volevano il potere: quindi fecero buon viso a cattivo gioco e iniziarono a
prepararsi ad un colpo di Stato, mentre intanto rassicuravano il re e cercavano accordi con i moderati per formare un governo a
cui i fascisti avrebbero partecipato. La mobilitazione fascista fece i primi passi e presto si ebbe il progetto di una marcia su
Roma, con obiettivo la conquista del potere centrale, che non sarebbe mai giunta a buon fine se solo avesse incontrato
l’opposizione governativa e l’esercito spiegato. Mussolini stesso vedeva la marcia su Roma come un mezzo di pressione
politica. La mattina del 28 ottobre il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto per la proclamazione dello stato
d’assedio  le camicie nere ebbero libero accesso a Roma e Mussolini al potere. Il 30 ottobre Mussolini incontrò il re e ottenne il
compito di formare il nuovo governo, che la sera stessa fu già pronto. Il cambio di governo era in realtà di regime, ma pochi lo
capirono.
16.9 Verso lo Stato autoritario. Mussolini continuava a seguire due linee, una dura e una morbida. I fiancheggiatori (liberali e
cattolici) non capirono cosa ci fosse sotto. La normalizzazione moderata apparì presto sempre più lontana, quando il Partito
assunse ruoli incompatibili con un governo liberale. Nacque il Gran consiglio del fascismo alla fine del 1922, per delineare le
linee guida della politica fascista e il rapporto tra potere e governo; all’inizio del 1923 nacque la Milizia volontaria per la
sicurezza nazionale, che aveva come vero scopo non tanto gestire la rivoluzione, ma tenere sotto controllo lo squadrismo e
limitare il potere dei ras. La repressione divenne anche “legale”: chiusura giornali e arresti preventivi, ad esempio. Le vittime
principali furono i comunisti che furono costretti alla semiclandestinità. Crisi definitiva del movimento operaio; scomparvero
scioperi e sindacati, diminuirono i salari. La politica fascista in economia mirava a ridare libertà d’azione all’iniziativa privata. Ad
es il servizio telefono venne privatizzato, fu abolito il monopolio statale sulle assicurazione sulla vita. Si cercò di contenere la
spesa pubblica attuando dei licenziamenti. Venne attuata una politica di privatizzazione e liberista. pareggio del bilancio entro il
1925, anche se il merito era ancora degli ultimi governi liberali. Il governo di Mussolini fu appoggiato dalla Chiesa e Mussolini se
lo garantì anche con la riforma Gentile, che andava incontro ai desideri del clero in ambito dell’istruzione. La prima vittima
dell'avvicinamento Chiesa e fascismo fu il partito popolare. Mussolini impose le dimissioni dei ministri popolari. Per avere una
maggioranza più forte, Mussolini istituì la legge elettorale maggioritaria (che avvantaggiava la lista che avesse ottenuto la
maggioranza relativa assegnandole i 2/3 dei seggi disponibili). Molti liberali e alcuni cattolici accettarono di candidarsi insieme ai
fascisti nelle liste nazionali. Le forze antifasciste erano troppo divise, ed erano di fatto già condannate alla sconfitta. Le elezioni
del 6 aprile 1924 videro il trionfo del fascismo anche senza l'uso della legge maggioritaria. Nonostante fosse avvantaggiato
durante la campagna elettorale e le votazioni i fascisti usarono violenza contro gli avversari.
16.10 Il delitto Matteotti e l’Aventino. Mussolini uscì rafforzatissimo dalle elezioni. Dopo 2 mesi dalle elezioni un gruppo di
squadristi uccise Giacomo Matteotti (segretario del Partito socialista unitario) il 10 giugno 1924. Proprio egli pochi giorni prima di
morire aveva lanciato un’invettiva contro il fascismo denunciandone le violenze e i crimini e aveva contestato la validità dei
risultati elettorali. Opinione pubblica scossa e il fascismo fu isolato all’improvviso. Tutto l’edificio del regime parve per un attimo
sul punto di crollare. L’opposizione era debolissima, tutto quello che fece fu la cosiddetta secessione dell’Aventino, cioè si
astennero cioè dai lavori parlamentari attendendo il ritorno della legalità democratica. Gli aventiniani speravano in un intervento
del re e in un indebolimento della maggioranza: ma niente. Mussolini accettò di dimettersi da ministro degli Interni e di
sacrificare alcuni suoi collaboratori più coinvolti nell'affare Matteotti. L’ondata antifascista rifluì in fretta. 3 gennaio 1925: ci fu una
svolta autoritaria, Mussolini con un discorso alle Camere minacciò apertamente di usare la forza contro le opposizioni. Nei giorni
successivi infatti vi furono arresti, perquisizioni e sequestri contro partiti di opposizione e organi di stampa.
16.11 La dittatura a viso aperto. Se il “Manifesto degli intellettuali del fascismo” raccolse alcune menti tra cui Giovanni Gentile,
quello antifascista nacque per iniziativa di Benedetto Croce. L’occupazione fascista dello Stato proseguiva; all’opposizione non
restava alcuno spazio di libertà. Alla fascistizzazione della stampa italiana seguì un colpo fatale ai sindacati, con il patto di
Palazzo Vidoni, con cui la Confindustria si impegnava a riconoscere la rappresentanza dei lavoratori ai soli sindacati fascisti. Il
governò promulgò delle leggi “fascistissime”: rafforzamento del potere del capo del governo; legge sindacale che proibiva lo
sciopero e che solo i sindacati fascisti avevano il diritto di stipulare contratti collettivi; una raffica di provvedimenti repressivi
seguì ai tentati attentati alla vita di Mussolini. I partiti antifascisti furono sciolti, i deputati aventiniani furono dichiarati decaduti e
fu reintrodotta la pena di morte per chi commetteva reati contro la sicurezza dello Stato. Nacque il Tribunale speciale per la
difesa dello Stato, i cui giudici però erano ufficiali dell’esercito e della Milizia. Legge elettorale 1928: sistema della lista unica con
tanti candidati quanti erano i seggi da occupare (gli elettori potevano approvarla o respingerla in blocco) e la
costituzionalizzazione del Gran consiglio del fascismo, che divenne organo dello Stato. Il regime era completo (e diverso da
quelli del passato perché non solo voleva dominare le masse, ma anche inquadrarle nelle sue ideologie), le decisioni importanti
erano concentrate nelle mani di un solo uomo. Lo Stato liberale morto e sepolto.
17. La grande crisi: economia e società negli anni ’30.
17.1 Crisi e trasformazione. Anni ’20: ripresa per tutta l’Europa, apparente stabilità e diffusa prosperità; ma un taglio netto con
tutto ciò lo diede la “grande crisi” del 1929 che scoppiò negli USA, evento di portata storica; evento periodizzante che modificò i
destini del mondo, catalizzò procedimenti già in atto e accelerò la storia. Le trasformazioni degli anni '30 consistono
nell'affermarsi del capitalismo diretto, lo sviluppo di mezzi di comunicazione di massa, crescita di classe medie
17.2 Gli anni dell’euforia: gli Stati Uniti prima della crisi. Durante la guerra, gli USA erano non solo il 1° paese produttori ,
ma anche primi esportatori di capitali (prestiti a buona parte dell'Europa), con il dollaro una moneta fortissima. Dal 1921 per gli
USA iniziò un grande periodo di prosperità, anche grazie al boom industriale (PIL aumenta del 25%); però il numero degli
occupati nell'industria calò a causa della disoccupazione tecnologica. Aumentava invece l'occupazione nel settore dei servizi.
Numerosi mutamenti nella vita quotidiana della gente: 1 automobile ogni 5 abitanti (Europa 1 a 83), elettrodomestici diffusissimi .
Negli anni '20 ci fu l’egemonia repubblicana, e una rigida politica liberista, che favorì l’iniziativa privata, le grandi corporations,
ridusse le imposte dirette, senza preoccuparsi delle classi più povere. Infatti si pensava che l'accumulazione della ricchezza
privata costituisse la miglior garanzia di prosperità. Enormi squilibri sociali: specie gli operai comuni e quelli di colore erano
svantaggiati rispetto agli altri. Inoltre ci fu un ondata di conservatorismo ideologico: legge limitative dell’immigrazione, razzismo e
cattolici ed ebrei venivano guardati con diffidenza, discriminazione contro i neri, e nel Sud diffusione impressionante della setta
razzista Ku Klux Klan. Proibizionismo: divieto di fabbricare e vendere bevande alcoliche perchè l'ubriachezza era ritenuta un
vizio tipico di neri e proletari in genere. Tuttavia vi era ottimismo tra la borghesia americana, Wall Street lavorava
freneticamente, anche se appoggiandosi per lo più su attività speculative; in realtà l’espansione americana era problematica: i
beni di consumo durevoli saturavano il mercato, mentre il settore agricolo attraversava una crisi durissima. Fu allora che si
tentarono di penetrare con le esportazioni nel resto del mondo: da allora tra Europa e America vi fu un legame di
interdipendenza economica, perchè l'espansione americana finanziava la ripresa europea. L'Europa alimentava con le sue
importazioni lo sviluppo degli USA. Ma tutto ciò si poteva però sfaldare da un secondo all’altro, perchè i crediti statunitensi
all'estero erano generalmente erogati da banche private e dunque legati a calcoli di profitto. Quando meno investimenti giunsero
da noi, ciò si ripercosse sull’industria USA  crisi del 1929.
17.3 Il “grande collo” del 1929. Il crollo di Wall Street mise alla luce tutti gli squilibri dell’espansione. Tra il 24 e il 29 ottobre vi
fu una grande corsa alla vendite, che fece precipitare il valore dei titoli, facendo volatilizzare intere fortune (ci furono diversi
suicidi). Pur avendo colpito i ricchi e i benestanti, il crollo arrivò a toccare tutta l’economia americana e da lì quella mondiale; il
vero problema arrivò quando gli USA per difendersi smisero di inviare capitali all’estero e inasprirono il protezionismo. Tra il
1929 e 1932 il commercio mondiale calò del 60%. La recessione dilagò con la significativa eccezione dell’URSS. 14 milioni di
dissocupati in USA, 15 in Europa. Industrie e negozi chiudevano. Agricoltura non aveva mercato di sbocco. Disastro economico
che in alcuni paesi portò un senso di sfiducia che poi avrebbe attuato un mutamento politico.
17.4 La crisi in Europa. In Europa tra l’altro entrò in crisi anche il sistema finanziario (le banche crollarono in Germania e
Austria), con una conseguente crisi monetaria. Molto capitale inglese era investito in quei paesi. Le banche inglesi dovettero far
fronte a un precipitoso ritiro dei capitali stranieri ed a richieste di conversione della sterlina in oro. Esaurite le riserve aurifere, finì
la convertibilità e ci fu la svalutazione della sterlina. Molti paesi sospesero la convertibilità e ci fu la svalutazione della moneta.
Ma la crisi ebbe effetti così negativi e duraturi anche perché i politici non sapevano come gestirla, e usavano i vecchi mezzi,
come il pareggio del bilancio, facendo tagli alla spesa pubblica e mettendo nuove tasse. Politiche di austerità che però non
fecero che ridurre ulteriormente la domanda interna, aggravando il tutto. Dal 1933 qualche miglioramento, ma in realtà si uscì
dalla crisi economica solo col riarmo e lcon la guerra. La crisi in Germania fu particolarmente forte, a causa del legame
strettissimo della sua economia con quella americana: governo Spd in crisi. Nel 1930 arrivò al governo il Centro cattolico con
Brüning  politica di sacrifici, anche per mostrare al mondo la severità delle sanzioni  nel 1932 le riparazioni furono abbassate
e il pagamento fermato per tre anni, ma tali politiche avevano creato sei milioni di disoccupati  ne approfittarono i
nazionalsocialisti. In Francia la crisi arrivò tardi e durò di più, perché Parigi tentò a lungo di difendere il franco, invece che
svalutarlo (fu fatto solo nel 1937). Instabilità politica: diciassette governi tra il ’29 e il ’36. GB: ministero laburista Mac Donald
fronteggiò la crisi tagliando i sussidi ai disoccupati. Con l’opposizione delle Trade Unions, Mac Donald le mollò e fece una
coalizione con liberali e conservatori  svalutazioni e politiche che favorivano gli scambi all’interno del Commonwealth  GB
uscì dalla crisi prima degli altri Paesi.
17.5 Roosevelt e il “New Deal”. Elezioni presidenziali 1932: Hoover sconfitto dal democratico F.D. Roosevelt. Pur non avendo
un programma ben definito Roosevelt era popolarissimo, perché ispirava fiducia (“chiacchierate al caminetto” famosissime e
amatissime). All’insediamento egli parlò di un New Deal che voleva avviare nella politica economica e sociale: un nuovo stile di
governo che avrebbe visto già nei primi “cento giorni” un intervento dello Stato nei processi economici e nelle riforme sociali.
All’inizio furono stabilite le terapie d’urto per bloccare il grosso dei danni: ristabilimento sistema creditizio, svalutazione dollaro,
aumento sussidi. Inoltre il governo utilizzò nuovi strumenti d’interventi: Aaa, Agricultural Adjustament Act, che voleva limitare la
sovrapproduzione agricola; Nira, National Industrial Recovery Act, stabiliva codici comportamentali per evitare la concorrenza
troppo accanita tra imprese e tutelava i lavoratori; istituzione del TVA, Tennessee Valley Authority, per sfruttare le risorse
idroelettriche del bacino del Tennessee, producendo energia a buon mercato. Ma a parte la TVA gli altri progetti furono lenti a
partire e diedero mediocri risultati. A questo punto il governo potenziò l'iniziativa statale varando vasti programmi di lavoro
pubblici e aumentando la spesa pubblica e vasti programmi di opere pubbliche (per limitare disoccupazione). 1935: riforma
fiscale, legge sulla sicurezza sociale, che garantì alla maggior parte dei lavoratori la pensione e riorganizzò l'assistenza statale a
favore dei bisognosi. Inoltre favorì l'attività sindacale e tutelò i diritti dei lavoratori. Roosevelt si garantì così l’appoggio sindacale,
in un periodo di grandi tensioni sociali. L’opposizione rooseveltiana era notevole (persino la Corte Suprema cercò di bloccare le
riforme), ma la sua vittoria schiacciante alle elezioni del 1936 la zittì. Il New Deal dimostrò che a volte l’intervento statale è
indispensabile, però nonostante ciò riuscì a ridare slancio all’iniziativa economica dei privati.
17.6 Il nuovo ruolo dello Stato. Sia in Europa che negli USA prima della crisi l’intervento statale era visto come sporadico e
limitato ad alcune specifiche situazioni; dalla crisi del 1929 allo Stato spettarono nuovi oneri, non solo controllo e sostegno
esterno ma Stato divenne un soggetto attivo dell’espansione economica. La grande trasformazione degli anni ’30 dal
capitalismo liberale si passò al capitalismo diretto, che limitava in alcuni casi le scelte dei privati. Realtà analizzata nel 1936 da
John Maynard Keynes, già critico sull’osservanza dogmatica del liberismo. Stabilì una serie di correttivi all’instabilità capitalista,
senza mai spostarsi su soluzioni socialiste. Però da solo il capitalismo non era in grado di creare equilibrio. Secondo lui allo
Stato spettava aumentare la spesa pubblica per accrescere la domanda effettiva. Quindi andava abbandonato il mito del
bilancio in pareggio. Fu di grande ispirazione per le politiche economiche del New Deal rooseveltiano.
17.7 I nuovi consumi. Nonostante dopo il 1929 ci fu un processo di impoverimento nacquero nuove abitudini di consumo e
nuovi modelli di vita  urbanizzazione, anche a causa della crisi del settore agricolo e nonostante le teorie ruralistiche. Quindi
sviluppo del settore edilizio  case sempre migliori e più vivibili, nelle periferie e nei centri  mezzi pubblici (tram elettrici e
autobus). I salari reali di chi aveva mantenuto il lavoro nonostante la crisi non scesero  il crollo dei prezzi agricoli permetteva
loro di consumare nuovi beni, quelli del cosiddetto consumo di massa, che si era affermato in USA nei ’20 e in Europa arrivò
dieci anni dopo in piena depressione. Apparivano anche in Europa le prime vetture “popolari”, come la Volkswagen in Germania
o la Topolino in Italia. Anche l’uso di elettrodomestici (ferro da stiro, cucina a gas, radio, scaldabagni, frigoriferi) andava via via
estendendosi.
17.8 Le comunicazioni di massa. Grande successo ebbero la radio e il cinema, che divennero ben presto elementi
caratteristici della società di massa; la radio costava poco e non necessitava di manutenzione, divenne popolare con la guerra,
quando si trasformò in un mezzo per comunicare con un gran numero di persone; boom degli apparecchi, specie in USA, a
partire dal 1920, anno di inizio anche delle prime trasmissioni (in UK ad esempio gestite o su modello della BBC). Tempo libero
occupato dalla radio, nel periodo in cui i quotidiani subirono un calo notevole (nacquero così le riviste illustrate, come “Life”).
Anni di affermazione della radio, è un mezzo utilissimo, un’invenzione epocale; anche il cinema si sviluppò in quegli anni; verso
la fine dei Venti arrivò il sonoro, e con esso anche il “divismo” di massa. Inoltre attraverso il cinema si potevano divulgare anche
messaggi ideologici. Inoltre nelle sale cinematografiche venivano proiettati i cinegiornali. Radio e cinema erano mezzi di svago,
di informazione ma anche di propaganda (cinegiornali). Furono soprattutto i regimi autoritari a sfruttare appieno i nuovi mezzi di
comunicazione.
17.9 La scienza e la guerra. Negli anni ’20 e ’30 vennero fatte alcune scoperte scientifiche destinate a segnare la storia futura:
anzitutto quella dell’energia nucleare (che avrebbe portato qualche anno più tardi alla costruzione della bomba atomica). Sul
piano delle applicazioni belliche della scienza, sono da ricordare i grandi sviluppi dell’aeronautica. Arma aerea sempre più
minacciosa. Prime imprese aeree, come le trasvolate atlantiche  anche l’aviazione civile avanzò timidamente in quegli anni.
17.10 La cultura della crisi. Nella cultura europea si accentuarono allora i fenomeni di disgregazione e di perdita dell’unità,
tanto che nessuna delle correnti del periodo può essere assunta, da sola, come particolarmente rappresentativa. I maggiori
personaggi di allora, come Picasso ad esempio, non facevano parte di nessuna avanguardia. Ai movimenti già affermatisi prima
della grande guerra (astrattismo, cubismo, futurismo, espressionismo) SE NE AGGIUNSERO ALTRE COME IL SURREALISMO
Il romanzo borghese entrò in crisi. C’era una ricerca, a volte folle e delirante, di nuovi modi di esprimersi. Furono anni, per gli
intellettuali, di grandi contrapposizioni ideologiche (liberalismo-comunismo, democrazia-fascismo) e di impegno politico (essi
erano chiamati ad appoggiare apertamente certe idee e affermazioni). L’emigrazione degli intellettuali tedeschi durante il
nazismo, dopo quelli russi sotto lo stalinismo, provocò un impoverimento culturale dell’Europa, a favore degli Stati Uniti.
18. L’età dei totalitarismi.
18.1 L’eclissi della democrazia. Anni ’30: periodo più buio per la democrazia, per la quale non si aveva più alcuna fiducia. Si
aspettava soltanto l’avvento di qualche dittatura, mano a mano che esse si facevano largo in molti paesi, poveri o ricchi che
fossero. Questi regimi fascisti si facevano portatori di una rivoluzione all’inizio, e si proponevano di dare vita ad un nuovo ordine
politico e sociale. Sul piano dell'organizzazione politica, fascismo significa accentramento del potere, gerarchia rigida,
inquadramento delle masse, controllo sulla cultura e l’informazione. Sul piano economico e sociale il fascismo proponeva una
i“terza via” tra capitalismo e comunismo, cosa che intrigava molto i ceti medi, che diedero al fascismo un’ampia base sociale,
riconoscendosi in esso. Ma in realtà non ci fu nessuna terza via piuttosto ci fu la soppressione della libera dialettica sindacale.
Totalitarismo: volontà di dominare una società in modo “totale”  fascismo, nazismo e stalinismo avevano capito profondamente
la società di massa ed avevano imparato a servirsene per i loro scopi di propaganda.
18.2 La crisi della Repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo. Hitler nel novembre del 1923 venne arrestato per aver
tentato un colpo si stato a Monaco di Baviera. Hitler faceva parte del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi o nazista, il
quale fino al ’29 era un partiro minoritario e marginale a metà tra un partito e un’organizzazione paramilitare, che usava la
violenza per i suoi fini e si serviva delle SA, cioè “reparti d’assalto”. Dopo il tentato golpe di Monaco, sull’esempio di Mussolini,
Hitler volle dare un’immagine più rispettabile al partitino  programma nazista: denuncia trattato di Versailles, riunione di tutti i
tedeschi in una nuova “grande Germania”, discriminazione contro ebrei, fine del parlamentarismo corruttore. I progetti a lungo
termine erano contenuti nel “Mein Kampf”, testo sacro per i nazisti. Istanze antisemitiche e razziste (grossolana teoria
darwiniana di una razza ariana superiore). Per lui gli ariani erano i tedeschi, che un giorno avrebbero dominato il mondo: gli
ebrei erano un ostacolo, e simbolo della decadenza europea (responsabili dei misfatti del capitale finanziario e di quelli el
bolscevismo). Bisognava prima sbarazzarsi di loro e degli altri nemici interni; e poi, una volta rifatta l’unità in uno Stato nuovo, i
tedeschi si sarebbero dovuti ribellare a Versailles ed espandersi ad est, a scapito degli slavi considerati anch'essi inferiori. Simili
teorie non ebbero seguito fino all’avvento della grande crisi, che radicalizzò la lotta politica, visto che la gente non credeva più
nella repubblica. A sinistra, spostamento verso bolscevismo e speranza di una rivoluzione; a destra, le forze conservatrici
scontente dello status quo appoggiarono gli eversivi, tra cui i nazisti. L’adesione al nazismo conveniva a molti, dando protezione,
supporto, capri espiatori, prospettive esaltanti per la patria, senso di potenza. Nelle elezioni del 1930 i nazisti ebbero
un’impennata incredibile, mentre i partiti moderati e democratici (come la Spd, cattolici, etc…) venivano esclusi dal gioco
politico. Forze antisistema trionfarono. Nel 1932 la crisi fu all’apice; produzione industriale si era dimezzata in 4 anni e la metà
dei tedeschi era disoccupata. Violenza politica ovunque: scontri tra nazisti e comunisti. Crisi di governo e continua crescita del
partito nazista. Hindenburg venne rieletto (anche perché i democratici non volevano Hitler presidente), ma subito dopo cedette
alle pressioni e congedò Brüning. Seguirono i fallimentari governi Papen e Schleicher. Elezioni 1932: nazismo era il primo partito
tedesco senza cui non era possibile governare. 30 gennaio 1933: Hitler fu convocato dal presidente della Repubblica e accettò
di divenire capo del governo, leader di un partito che rappresentava 1/3 del Paese.
18.3 Il consolidamento del potere di Hitler. In pochi mesi Hitler riuscì ad imporre un potere totalitario. La prima stretta
repressiva: contro i comunisti, dopo l’incendio del Reichstag (parlamento nazionale) di cui erano stati accusati. Partito comunista
venne dichiarato fuori legge, e vennero eseguite spedizioni punitive. Alle elezioni del marzo ’33 il nazismo non ottenne la
maggioranza assoluta (ebbe il 44%), poteva avere un’ampia base parlamentare, ma Hitler già mirava all'abolizione del
Parlamento. Il Reichstag approvò una legge suicida che attribuiva al governo (Hitler) pieni poteri, compreso quello di legiferare e
quello di modificare la costituzione. Nel giugno venne abolita la Spd perché accusata di alto tradimento e di conseguenza cadde
il sistema sindacale e operaio tedesco. A luglio, Hitelr varò una legge in cui proclamava che il Partino nazionalsocialista era
l'unico consentito in Germania; mentre a novembre la consultazione di tipo plebiscitario, a lista unica, fece registrare un 92% per
i nazisti. Annientate le opposizioni restavano due ostacoli: le SA, estremisti nazisti che non erano disposti a sottomettersi al
controllo dei poteri legali, e la destra conservatrice che chiedevano ad Hitler di frenare i rigurgiti estremisti e di tutelare le
tradizionali prerogative delle forze armate(ad esempio Hindenburg). Iniziando a creare le “squadre di difesa”, SS, Hitler decise il
colpo di mano contro le SA di Röhm, le assassinò nella “notte dei lunghi coltelli”. Inoltre Hitler profittò dell'occasione per
eliminare altri elementi sgraditi, come l'ex cancelliere von Schleicher. In cambio della testa di Rohm, le forze armate
appoggiarono la candidatura di Hitler a capo dello Stato come successore di Hindenburg. Alla morte del maresciallo, nell’agosto
’34, Hitler si trovò così a coprire la duplice carica di Cancelliere e di Presidente. Ciò significava che gli ufficiali erano obbligati a
prestare giuramento di fedeltà a Hitler e quindi al nazismo. Fine autonomia dal potere politico per i generali tedeschi. Nel
febbraio del 1938 Hitler decise di assumere personalmente il comando supremo delle forze armate.
18.4 Il Terzo Reich. Così sparivano le ultime tracce del sistema repubblicano e nasceva così il Terzo Reich (il 3° impero) con a
capo il Führer, leader carismatico e in carica pressoché di ogni cosa, il quale aveva un rapporto diretto con il popolo. L'unico
tramite con le masse era costituito dal partito unico e da tutti gli organismo ad esso collegati come il Fronte del lavoro (che
sostituiva i disciolti sindacati oppure come il Hitlerjugend (organizzazioni giovanili). Obiettivo di queste organizzazioni era di fare
dei cittadini una compatta e disciplinata “comunità di popolo”, che ovviamente non comprendeva stranieri, non ariani e ebrei. Gli
ebrei tedeschi, circa 500.000, si concentravano nelle città, e ricoprivano le zone medio-alte della scala sociale  furono oggetto
di una durissima propaganda, sancita nel settembre 1935 dalle leggi di Norimberga, che tolsero agli ebrei la parità di diritti e il
divieto di matrimoni misti. Molti ebrei fuggirono, i pogrom contro di loro erano sempre più violenti ed organizzati. Tra 8 e 9
novembre 1938 ci fu la “notte dei cristalli”, uno degli attacchi più violenti e sanguinosi contro gli ebrei. Una volta iniziata la
guerra, Hitler avrebbe deciso per quella raccapricciante “soluzione finale”, deportazione e sterminio del popolo ebraico. La
difesa della razza era fondamentale nel nazismo, più importante dello Stato stesso: sterminio o sterilizzazione per i portatori di
malattie ereditarie e la soppressione dei malati di mente perché considerati incurabili.
18.5 Repressione e consenso nel regime nazista. L’opposizione al nazismo fu sempre debolissima, ed esso sopravvisse
benissimo fino alla sua distruzione in guerra. Persino i cattolici accettarono il nazismo, dopo il suo accordo con la Chiesa
cattolica, un concordato firmato del 1933 con cui lo Stato prometteva di non interferire negli affari interni del clero. Marzo 1937:
intervenne con un enciclica Pio XI per fermare le politiche razzista hitleriane. Le chiese luterane, in maggioranza nel Paese, per
lo più si conformarono alla nazificazione. Paradossalmente l’opposizione era proprio conservatrice. L’apparato repressivo era
crudelissimo, per cui non stupisce più di tanto il limitato dissenso: molte polizie (tra cui la Gestapo), campi di concentramento
per oppositori politici. Ma il consenso?! Sicuramente grazie ai successi in politica estera (abbattimento delle disposizioni di
Versailles) e alla ripresa produttiva, che in nel ’38 tornò ai livelli del ’28, senza più riparazioni da pagare, ma anche grazie ai
lavori pubblici (autostrade) e al calo della disoccupazione  piena occupazione nel ’39, alla vigilia della guerra. In qualche modo
in stile rooseveltiano, il nazismo tramite intervento pubblico cercò di rafforzare l’iniziativa privata  accordo con grande industria
e grandi proprietari terrieri. Dal punto di vista delle industrie, l’equilibrio fu sconvolto, i lavoratori persero ogni diritto contrattuale
guadagnando solo qualche concessione, come migliori servizi sociali e l'allontanamento dell'incubo della disoccupazione. Ma
c’è anche da dire che il nazismo fu in grado di toccare la gente nel profondo con miti e ideologia, sapendo anche sfruttare i
nuovi mezzi di comunicazione di massa. Utopia ruralista inculcata nel popolo; uomini sani e forti, guerrieri-contadini lontani dalle
malsane città e dalle malattie della civiltà industriale; controsenso, visto che poi il nazismo ha sempre sostenuto la grande
industria. Tale mito attecchiva perché si appoggiava agli antichi miti della terra e del sangue e al rimpianto per un passato
preindustriale dipinto in forme idilliache. Ma per questa crociata anti-moderna il regime si servì di mezzi modernissimi. Venne
istituito un ministero per la Propaganda, affidato all’abile Goebbels. Gli intellettuali vennero inquadrati nel regime o costretti
lasciare il Paese. Tecniche di spettacolo  feste e cerimonie pubbliche  erano studiate come rappresentazioni teatrali, dalle
scenografie alle coreografia, tutto doveva essere perfetto per questi sacri momenti magici. Esempio erano le “cattedrali di luce”.
18.6 Il contagio autoritario. Con la fine della Prima Guerra Mondiale (anni 20) i regimi liberali europei entrarono in crisi; il virus
autoritario arrivò sì in Italia, ma si diffuse anche nel resto del continente, a partire dall’est; Ungheria: l’ammiraglio Horthy impose
un regime conservatore e abolì le libertà politiche e sindacali. Nel 1926 in Polonia l’ex socialista Pilsudski organizzò una marcia
su Varsavia per instaurare un regime. Anche negli Stati balcanici continuarono a nascere autoritarismi o ad entrare in crisi
liberal-democrazie ancora un po’ grezze: Grecia, Bulgaria e Jugoslavia, anche se quest’ultima aveva il grande problema delle
rivalità tra le varie etnie. Non erano veri e propri fascismi ma regimi autoritari di tipo tradizionale, sostenuti dall'esercito e dai
gruppi conservatori, simili a quelli che si formarono nello stesso periodo nelle penisola iberica. Il generale Miguel Primo de
Rivera con l'appoggio del sovrano Alfonso XIII nel 1923 attuò un colpo di Stato in Spagna. Nel 1930, dopo 7 anni di governo
semidittatoriale fu costretto alle dimissioni di fronte alle masse in rivolta , mentre l’anno successivo la vittoria repubblicana alle
elezioni spinse il re a lasciare il paese. Nel 1926 in Portogallo i militari interruppero l'esperienza di una democrazia
parlamentare Antònio Salazar, il cui regime clericale e corporativo si sarebbe rivelato stabilissimo per mezzo secolo. A partire
dalla vittoria hitleriana, tutta l’Europa centro-orientale fu infestata da movimenti ispirati al nazismo (Croci fracciate o le Guardie di
ferro) e in molti casi da altri regimi autoritari e di nuove dittature di stampo monarchico-fascista (Romania e Grecia). Persino in
Austria nacque un regime di ispirazione clericale e corporativa simile al fascismo e il Partito socialdemocratico venne messo
fuori legge.
18.7 L’Unione Sovietica e l’industrializzazione forzata. Mentre l’Occidente conosceva il fascismo e la crisi economica,
l’URSS era la patria dell’antifascismo, e non era minimamente toccata dalla recessione grazie al suo isolamento economico.
Anzi stava attuando un colossale sforzo di industrializzazione. Tra il ’27 e il ’28 Stalin decise di abbandonare la Nep in favore di
un piano massiccio di industrializzazione che avrebbe fatto dell’URSS una potenza militare  lo Stato dovette quindi assumere il
totale controllo dei processi economici. Primo ostacolo all’economia collettivizzata e industrializzata erano i kulaki, i quali erano
accusati di arricchirsi alle spalle del popolo e di affamare la città non consegnando allo Stao la quota di prodotto dovuta. 
sconfitta l’opposizione guidata da Bucharin (convinto teorico della Nep), Stalin diede il via alla collettivizzazione forzata del
settore agricolo, e alla dekulakizzazione. Tra il 1929 e il 1933 ci fu una vera e propria rivoluzione dall’alto nelle campagne, i
kukaki fulono eliminati sia come classe che come persone fisiche, i contadini furono costretti a trasferirsi nelle fattorie collettive
(kolchoz), mentre chiunque si opponesse veniva deportato in Siberia. Ma la resistenza contadina, sommata all’inefficienza del
programma, causarono una terribile carestia (1933). Solo nella seconda metà del decennio la produzione agricola superò i livelli
Nep. Ma il vero obiettivo era non tanto quello di aumentare la produzione agricola, quanto a favorire l’industrializzazione del
Paese.  risultati notevoli con il primo piano quinquennale, del ’28. 1932: 5 milioni di operai e una crescita produttiva del 50%;
col secondo piano quinquennale, 1933-37, la produzione crebbe del 120% e gli operai divennero 10 milioni. Ritmi di crescita mai
visti prima. Gli operai furono convinti a fare sacrifici dalle convincenti ideologie staliniane, che premiavano l’impegno e si
mescolavano anche ad un certo patriottismo; aveva presa sulle masse lavoratrici. Chi produceva di più veniva premiato
materialmente e moralmente con onorificenze (eroe del lavoro). Nacque lo stacanovismo (da Aleksej Stachanov che era riuscito
ad estrarre un quantitativo di carbone ben 14 volte la media)), celebrato anche da giornali e cinema. Il mondo l’URSS era
ammirato per questa impresa epica, ma i costi umani e politici dei piani non si conoscevano affatto. Nelle campagna era una
tragedia. Il potere assoluto di Stalin cresceva.
18.8 Lo stalinismo. Stalin, alla stregua di Hitler, divenne il capo carismatico, prosecutore del lavoro di Lenin, era diventato il
padre e la guida infallibile del suo popolo. Depositario della dottrina marxista-leninista, dettava anche le direttive della cultura. Vi
era censura e controllo sulla propaganda. La letteratura, il cinema, la musica e le arti figurative dovevano avere una funzione
propagandistica-pedagogica che doveva rientrare nei canoni del cosiddetto “realismo socialista”, cioè la sola realtà sovietica. Fu
riscritta la storia in modo da esaltare il ruolo di Stalin e sminuire quello di Trotzkij. Stalinismo è di difficile interpretazione: per
alcuni è un’anomalia di destra nella rivoluzione, per altri una ovvia conseguenza del leninismo e del bolscevismo, per altri una
forma nuova di dispotismo industriale, per altri semplice e naturale eredità del centralismo zarista. Stalin portò agli eccessi
alcune teoria di Lenin, conducendole con arbitrio e spietatezza. Sterminò i suoi rivali politici, e con loro chiunque fosse
sospettato di “deviazionismo”. Macchina del terrore  1934: iniziarono le “grandi purghe” staliniane, era una gigantesca
repressione poliziesca. ”Arcipelago Gulag”, amministrazione dei lager in cui furono mandati i “dissidenti”. Processi arbitrari.
Vennero uccisi anche i più vicini a Stalin, vittime di una macchina da loro stessi creata. Trotzkij venne freddato da un sicario di
Stalin in Messico, nel 1940. la repressione non risparmiò nessun settore della società. Secondo certe stime, tra il ’28 e il ’39 le
vittime dello stalinismo sarebbero 10-11 milioni. Gli echi in Occidente ci furono, ma per svariati motivi non si fece nulla (l’URSS
era troppo prezioso prezioso per la lotta antifascista,; non vi erano reali informazioni su ciò che sta avvenendo; pregiudizi
ideologici come quelli di origine giacobina, secondo cui una certa dose di terrore fosse una componente indispensabile di ogni
rivoluzione).
18.9 La crisi della sicurezza collettiva e i fronti popolari. Le prime iniziative hitleriane in politica estera furono il ritiro della
Germania dalla conferenza internazionale di Ginevra e poi dalla Società delle Nazioni. La politica aggressiva tedesca destava
preoccupazione in Europa, anche nell’Italia nonostante le affinità ideologiche e il comune atteggiamento revisionista (cioè critico
dell’assetto internazionale stabilito a Versailles). Quando fu assassinato il cancelliere austriaco Dollfuss da reparti infiltrati
nazisti, l’Italia schierò le sue truppe al confine italo-austriaco e Hitler che voleva unificare la Germania e l'Austria, ancora
impreparato per una guerra, dovette far marcia indietro. Alla conferenza di Stresa del 1935 Italia, Francia e GB condannarono il
riarmo tedesco (Hitler aveva intanto reinserito la coscrizione obbligatoria vietata dal trattato di Versailles), riaffermarono la
validità dei patti di Locarno e il loro interesse all’indipendenza dell’Austria. Pochi mesi dopo l'aggressione italiana all'Etiopia
avrebbe rotto il fronte di Stresa e dato avvio a un processo di riavvicinamento italo-tedesco. Nel 1935 Stalin dovette scendere in
campo e rompere il silenzio, viste le non troppo celate idee di Hitler riguardo la Russia: entrò nella Società delle Nazioni e
stipulò un’alleanza militare con la Francia. L'URSS nel VII congresso del Comintern (1935) dichiarò il fascismo il primo e il
principale nemico. Era compito dei partiti comunisti cercare di creare ampi fronti popolari che raccogliessero tutti i governi e i
popoli intenzionati a combattere la minaccia fascista, anche quelli borghesi. L’Europa temeva il fascismo: in particolare la
Francia, nel febbraio 1934, vide l’estrema destra organizzare una marcia sul Parlamento per protestare contro il governo
Daladier, ma venne fermata dalla polizia e osteggiata da manifestazioni con socialisti e comunisti insieme. Questo anticipava e
preparava l'Internazionale comunista in Francia e in altri paesi che avrebbe portato alla firma dei patti di unità d’azione tra
socialisti e comunisti. Ciò diede l’illusione di una sinistra forte che potesse battere il fascismo, ma non fu così. Nonostante la
politica di sicurezza collettiva l’Italia attaccò l’Etiopia e la Germania inviò truppe nella Renania “smilitarizzata”. Se non altro le
iniziative dei fronti popolari ridiedero unità e speranza ai movimenti operai. Addirittura il Fronte popolare vinse le elezioni in
Spagna e in Francia; qui fu la volta del governo Blum, primo governo socialista della storia francese  gli operai iniziarono
proteste durissime che finirono con la firma degli accordi di Palazzo Matignon, (40 ore la settimana, e ferie, aumento dei salari).
Gli accordi di Palazzo Matignon crearono però notevoli difficoltà all'economia francese, che non si era ancora ripresa dalla
grande depressione. L'improvviso aumento del costo del lavoro impedì la competitività dei prodotti dell'industria e innescò un
rapido processo inflazionistico che vanificò in gran parte i vantaggi salariali ottenuti dai lavoratori. Ci fu la svalutazione del
franco. Blum nel 1937 si dimise. Il Fronte popolare ebbe vita breve.
18.10 La guerra civile in Spagna. Tra il 1936 e il 1939 la Spagna fu dilaniata dalla guerra civile. Aveva motivi interni, che però
finirono per peggiorare anche la situazione internazionale. Il Paese era stato traversato da tensioni politiche e sociali notevoli,
era molto arretrato e si trovava spaccato in due tra un ceto dominante reazionario e un proletariato vicino alle istanze anarcosindacaliste. Aristocrazia ancora forte. 1936: vittoria delle sinistre unita alla coalizione di Fronte popolare  tensione esplode in
tutto il Paese. Le masse proletarie videro la vittoria come l'inizio di una rivoluzione sociale: collera popolare contro proprietari
terrieri e il clero cattolico. La classe dominante rispose con la repressione operata dalla Falange (gruppi fascisti). Le truppe
coloniali in Marocco furono il fulcro della ribellione. Le truppe ribelli guidate da Francisco Franco assunsero inizialmente il
controllo della Spagna occidentale, il governo repubblicano riuscì a mantenere il controllo su Madrid e il Nord-est. Però i
franchismi furono aiutati parecchio da Italia e Germania (questa vi mandò aerei, per testare la sua aviazione)  aiuto fascista fu
determinante. Mentre la Repubblica non ottenne alcun appoggio dalle potenze democratiche. L’unica ad aiutare fu l’URSS che
rifornì il governo spagnolo di materiale bellico e fece sì che si costituissero delle Brigate internazionali che raccogliessero
chiunque volesse combattere i fascisti (anche Hemingway, Orwell c’erano). Tuttavia esse non erano sufficienti a fermare
l’avanzata franchista. Mentre il caudillo (duce, condottiero) Franco guadagnava consensi e attuava l’unità di tutte le destre sotto
un partito unico chiamato Falange nazionalista, il Fronte popolare perdeva terreno, anche a causa delle tensioni interne tra
anarchici e comunisti. Nel 1937 ci fu lo scontro di Barcellona, anarchici contro comunisti ed esercito repubblicano. Gli anarchico
e alcuni loro partiti scomparvero. Le divisioni nel fronte repubblicano contribuirono a far svanire il clima di entusiasmo popolare e
a facilitare l'offensiva delle forze nazionaliste. I franchisti nel 1938 riuscirono a spezzare in due il territorio controllato dai
repubblicani separando Madrid dalla Catalogna. Quando la Repubblica spagnola fu abbandonata da tutti, all’inizio del 1939,
Madrid cadde. 500.000 morti in tutto il Paese. Guerra civile preludio del conflitto mondiale perché ne prefigurò gli schieramenti
(URSS e democrazie contro gli Stati fascisti) e perché in Spagna furono adottati per la prima volta metodi e tecniche di guerra
(bombardamenti dei centri urbani, rappresaglie, rastrellamenti).
18.11 L’Europa verso la catastrofe. La politica estera hitleriana accelerò il cammino verso la tragedia della guerra. GB e
Francia avevano un atteggiamento arrendevole; la Germania aveva ormai l’amicizia dell’Italia in seguito all'impesta etiopica e
all'avventura spagnola, e Hitler si vide abbastanza forte da iniziare il suo programma: riunificare tutta la Germania ed espandersi
ad est a danno della Russia. Il Führer sperava di poter evitare lo scontro con Fr e GB. Lo stesso Chamberlain, Primo Ministro
inglese, propose l’ “appeasement” nei confronti del Reich. Proponeva cioè di dare a Hitler quello che voleva nei limiti del
ragionevole come risarcimento per Versailles, di ammansirlo. L’unico davvero contrario, insieme ad un altro po’ di conservatori,
era Winston Churchill, che voleva fermare la Germania a tutti i costi. La Francia in crisi viveva nell’ombra di Londra, non
prendeva posizione, avendo paura della Germania e domandandosi se valesse la pena di fare una guerra per difendere la
Russia comunista o i lontani alleati dell'Est europeo. Hitler aveva così campo libero senza dover ricorrere all'uso delle armi. Il 1°
successo di Hitler si ebbe nel marzo 1938: annessione dell’Austria alla Germania. Stavolta Mussolini non si oppose, e altrettanto
fece Londra, che non si interessava di Vienna. Altra questione: i tedeschi sudeti residenti in Cecoslovacchia. Lo stato
cecoslovacco era legato da trattati di alleanza con la Francia e l'Urss. L'Urss però poteva intervenire solo se lo avesse la fatto la
Francia. Però quest'ultima, influenzata dal governo britannico, accontentò Hitler. La regione dei Sudeti fu annessa al Terzo
Reich (accordi di Monaco, ‘38). La pace di Monaco era falsa, il conflitto alle porte; Hitler si sentiva forte e legittimato, perché Fr e
GB non erano più credibili, con il loro comportamento permissivo e debole.
19. L’Italia fascista.
19.1 Il totalitarismo imperfetto. L’Italia era già uno Stato totalitario nel ’20 con le sue strutture giuridiche (partito unico, milizia,
sindacati di regime), e ben riconoscibile nelle sue manifestazioni esteriori (adunate di cittadini in uniforme, amplificazione
dell'immagine e della parola del capo, quando ancora in Germania il nazismo era una forza marginale. Caratteristica del regime
erano le 2 strutture e le 2 gerarchie parallele: quella dello Stato (impalcatura monarchica) e quella del partito. Il punto di
congiunzione fra le 2 strutture il Gran consiglio del fascismo. Mussolini era invece capo del governo e duce del fascismo, potere
supremo. Nel fascismo italiano, tuttavia, lo Stato continuò sempre a prevalere sul partito (la Milizia non fu mai niente di simile
alle SS). Tuttavia il Partito fascista continuò a dilatarsi e ad inserirsi nella società civile  l’adesione al partito era una pratica di
massa, quasi una formalità burocratica per avere un posto nell'amministrazione statale. La fascistizzazione del paese fu anche
appoggiata dalle organizzazioni laterali del partito: l’Opera nazionale dopolavoro (tempo libero dei lavoratori), il Comitato
olimpico nazionale (Coni) e le varie organizzazioni giovanili (i Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti, l’Opera nazionale
Balilla). L'ONB inquadrava tutti i giovani tra i 12 e i 18 anni con un indottrinamento ideologico, ed fisica e qualche rudimento di
istruzione premilitare e questi in base all'età venivano divisi in balilla e avanguardisti. I Figli della lupa erano quelli sotto i 12 anni.
Il progetto totalitario c’era: il fascismo voleva occupare la società e riplasmarla. Ma i risultati non sempre ci furono, anche a
causa del peso della Chiesa, che fu fin da subito un ostacolo  Mussolini cercava l’accordo  dialogo portato avanti
segretamente che sfociò nel febbraio 1929 nei Patti lateranensi, comprendenti un trattato internazionale (Santa Sede
riconosceva l’Italia con capitale Roma, mentre lo Stato italiano le riconosceva il Vaticano), una convenzione finanziaria (con cui
l'Italia si impegnava a pagare al papa una forte indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontifico) e un
concordato sui rapporti tra Stato e Chiesa (sacerdoti esonerati dal servizio militare, insegnamento religione, matrimonio religioso
veniva riconosciuto civilmente, le organizzazioni dipendenti dall'Azione cattolica potevano continuare a svolgere la propria
attività, purchè sotto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche e al di fuori di ogni partito politico). Per il regime fascista i patti
lateranensi ebbero un effetto propagandistico. Prime elezioni plebiscitarie, marzo 1929: 98% di voti favorevoli. La Chiesa fu
favoritissima dai patti, perché in cambio di qualcosa che aveva già perso da decenni (potere temporale) ebbe molta libertà di
azione (ad esempio le organizzazione giovanili, che se non concorrenza rappresentavano un’alternativa a quelle fasciste). Oltre
alla Chiesa Mussolini doveva fare i conti con la monarchia, che non gli era affatto subordinata. Il re era la più alta carica, infatti a
lui spettavano il comando supremo delle forze armate, la scelta dei senatori e il diritto di nomina e revoca del capo del governo.
Nel momento in cui il regime fosse diventato debole, il re avrebbe avuto le carte migliori.
19.2 Il regime e il paese. L’immagine dell’Italia del ventennio era quella di un paese molto fascistizzato. Mussolini riprodotto
ovunque, fascio littorio su ogni edificio, libro, etc, scritte guerriere sui muri, grandi mobilitazioni, sfilate degli scolari in camicia
nera… Ma era vera questa immagine? Il Paese reale com’era? Statisticamente, si scopre che l’Italia continuò a crescere
appena più lentamente degli altri Paesi europei; dal ’21 al ’39 popolazione passò da 38 a 44 milioni, urbanizzazione,
diminuzione impiegati agricoltura. Nonostante ciò era però un paese arretrato. Reddito medio italiano era la metà di quello
francese, un terzo di quello inglese, un quarto di quello americano. Spendevano metà delle entrate per mangiare,mangiava in
quantità inferiori rispetto ad un inglese o ad un americano. Anche i beni di consumo durevoli erano molto meno diffusi, dalle
auto alle radio ai telefoni. Tutto ciò in realtà ben si coniugava con il tradizionalismo fascista, con il ruralismo convinto
propagandato dal regime; credendo che la forza di un Paese risiede nel numero dei suoi abitanti, Mussolini incoraggiò la
crescita demografica ( tasse sui celibi, assegni per le famiglie più prolifere..)  il regime era contrario all’emancipazione
femminile, anche se anche le donne ebbero le loro organizzazioni facenti capo al fascismo (piccole italiane, giovani italiane,
massaie rurali) la cui funzione principale era di valorizzare le virtù domestiche della donna, nel ribadirne l'immagine tradizionale
di “angelo del focolare”. Tuttavia il regime aveva contemporaneamente al suo tradizionalismo un’utopia dell’”uomo nuovo”, di un
sistema totalitario moderno, in cui la popolazione era pronta a combattere per la grandezza nazionale ma ne rappresentò un
ostacolo il ritardo economico e culturale del paese. Carta del lavoro non garantiva i lavoratori  calo salari. Il consenso
maggiore fu raccolto tra la piccola e media borghesia, classe più legata ai valori fascisti (nazione, gerarchia, ordine sociale) e
più favoriti dalle scelte del regime.
19.3 Cultura, scuola, comunicazioni di massa. Dopo la riforma Gentile il fascismo cercò di fascistizzare ulteriormente la
scuola: controllo sugli insegnanti, testi unici, etc. Rispetto a elementari e medie l’università restò molto più autonoma: anche se
a tutti i docenti fu imposto il giuramento di fedeltà al regime pena la perdita della cattedra.. L’adesione dell’alta cultura vide molti
nomi illustri accanto al regime, da Marconi a Pirandello. Ma il controllo su di loro fu relativo; controllatissima era la cultura di
massa, e quindi i mezzi di comunicazione. Il controllo sulla stampa era capillare, ma non era solo censura: veniva indicato cosa
scrivere. Se ne occupava il duce in persona. La radio divenne un mezzo di comunicazione di massa, in Italia, dal 1935 in avanti;
prima era poco diffusa, poi il regime la installò nelle scuole, ad esempio. Alle orecchie degli italiani arrivavano canzonette,
cronache del regime, notiziari politici, sceneggiati radiofonici, etc. Cinema, venivano censurati i film considerati sconvenienti, ma
non ne venivano prodotti di propagandistici: per questo c’erano già i cinegiornali dell’Istituto Luce. I cinegiornali si rivelarono
degli efficacissimi strumenti.
19.4 Il fascismo e l’economia. La “battaglia del grano” e “quota novanta”. Il fascismo ritenne di aver trovato la “terza via”
nel corporativismo, di ispirazione in parte medievale in parte rivoluzionaria. Sarebbe stato una gestione diretta dell’economia da
parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni distinte per settori di attività (fatti di lavoratori e di imprenditori).
Vennero istitute nel 1934, ma vennero attuate solo in parte. Qualcosa in economia il fascismo riuscì a fare, ma mai con una
politica continuativa e coerente. 1922-25 adottò una linea liberista e produttivista per incoraggiare l'iniziativa privata e allentando
i controlli statali, che però portò inflazione. Svolta del ’25 con l’avvento al ministero delle Finanze di Volpi, che attuò una politica
protezionistica, deflazionistica, di stabilizzazione monetaria. Maggiore intervento statale  inasprimento dazi sui cereali,
accompagnato da una rumorosa campagna propagandistica, quella della “battaglia del grano”, il cui obiettivo era
l’autosufficienza nel settore cerealicolo sia attraverso l'aumento della superficie coltivata a grano sia mediante l'impiego di
tecniche più avanzate. Obiettivo in parte raggiunto: fine anni 30 la produzione raddoppiata. Però le vittime furono altri settori
come l'allevamento e il settore ortofrutticolo). La seconda battaglia fu quella per la rivalutazione della lira  obiettivo di quota 90
(90 lire per una sterlina). In un anno, anche grazie ai massicci prestiti delle banche americane, l’obiettivo fu raggiunto, ma a
spese dei lavoratori dipendenti perché gli vennero tagliati gli stipendi  mercato interno favorito grazie agli sgravi fiscali e un
forte aumento delle commesse pubbliche, quello dell’export assolutamente no perché a causa del valore della lira erano poco
competitivi. In più si accentuò la concentrazione aziendale a favore delle grandi imprese.
19.5 Il fascismo e la grande crisi: lo “Stato-imprenditore”. La crisi del 1929 si fece sentire parecchio in Italia, anche se le
scelte del 1925 avevano già iniziato a far crollare l’economia. Risposta del regime fu duplice: sviluppo dei lavori pubblici (come
Hitler e Roosevelt per rilanciare la produzione e attutire le tensioni sociali) e intervento dello Stato a sostegno dei settori in
difficoltà. Nuove strade e ferrovie, nuovi edifici pubblici, “risanamento” di Roma, bonifica dell’Agro Pontino un vasto territorio
incolto perché paludoso e malarico. In meno di tre anni furono bonificate le Paludi Pontine, altro successo propagandistico.
Nacquero nuovi poderi e centri urbani (Littoria e Sabaudia). Le banche stavano attraversando poi una fase di crisi nera, erano
molto esposte  per salvarle dal fallimento venne creato nel 1931 l’Imi, Istituto mobiliare italiano, con il compito di sostituire le
banche nel sostegno all'industrie in crisi, e 2 anni dopo nel 1933 venne creato l’Iri, Istituto per la ricostruzione industriale, che
divenne principale azionista delle banche e assunse così il possesso di molte grandi aziende, come la Terni o l’Ansaldo, poi mai
più riprivatizzate come invece doveva accaedere e l'Iri diventò un ente permanente. Era uno Stato-imprenditore, che aiutò molti
gruppi a risollevarsi e fu di fatto accolto con gioia dalle aziende. L’economia non era fascistizzata: per le consulenze e i progetti
Mussolini si appoggiava a tecnici puri, non a membri del partito  burocrazia parallela, importantissima nel dopo-regime. Uscita
dalla crisi prima di altri cioè negli anni '30, l’Italia non seppe sfruttare questa sua posizione: Mussolini iniziò uan politica di
dispendiose imprese militari, sottraendo risorse ai consumi e agli investimenti produttivi e accentuando l'isolamento econimico
del paese.
19.6 L’imperialismo fascista e l’impresa etiopica. Il nazionalismo non aveva sbocchi: l’Italia non aveva rivendicazioni
territoriali, perché era uscita vincitrice dalla guerra completando l’unificazione e aveva risolto la questione adriatica. Inizialmente
il fascismo si limitò ad appoggiare le velleità revisioniste di chi non accettava l’assetto di Versailles (come Ungheria e Austria).
L’Italia “proletaria” si opponeva alle ideologie delle potenze “plutocratiche” che avevano dettato legge dopo il primo conflitto
mondiale: nonostante le tensioni con la Francia, Mussolini fu presente a Stresa con UK e Francia per denunciare il riarmo
tedesco. Fu l’ultimo accordo con le democrazie, perché il regime stava già preparando l’attacco all’Impero etiopico. Mussolini
voleva l’impresa imperialista per vendicare Adua e dimostrare di poter avere successo, ma in realtà per distogliere l’attenzione
interna dalla crisi economica. Parigi e Londra in teorie disposte a lasciar fare Mussolini, non potevano permetterlo a causa della
loro opinione pubblica. 1935: attacco senza dichiarazione di guerra all’Etiopia  sanzioni economiche, ben poco significative,
ma che accentuarono il contrasto Italia-potenze democratiche. Mussolini riuscì a mobilitare le masse, facendo passare l’Italia
per il paese bistrattato cui le grandi potenze coloniali impedivano di ottenere un “posto al sole”  il paese fu percorso da un
ondata di imperialismo popolaresco. Guerra con tinte razziste, e apparentemente umanitarie per liberare la popolazione etiopica
da un regime corrotto e schiavista. Il negus Selassié guidò per sette mesi gli etiopici, ma nel 1936 Badoglio entrava ad Addis
Abeba  Mussolini proclamò la vittoria e offrì al sovrano la corona di imperatore d'Etiopia. Se economicante l’impresa fu folle,
politicamente fu un successo clamoroso per il regime, in grado di imporsi al volere delle grandi potenze e fare dell’Italia un
Impero. Sanzioni ritirate, ma in realtà l’Italia non avrebbe vinto uno scontro con una potenza. Dopo l’impresa in Etiopia l’Italia si
riavvicinò alla Germania; fu firmato un patto di amicizia che prese il nome di Asse Roma-Berlino, che, sommato al Patto
anticomintern, subordinò l’Italia alla Germania, quando Mussolini voleva solo ottenere più vantaggi coloniali facendo pressione
sulle potenze occidentali; invece finì per essere condizionato da Hitler, e nel 1939 firmò il “patto d’acciaio”, che legava
definitivamente le sorti dell'Italia a quella dello Stato nazista.
19.7 L’Italia antifascista. In Italia la maggioranza degli antifascisti – soprattutto ex popolari e liberali – restarono in una
posizione di silenzione opposizione (Benedetto Croce era per loro un punto di riferimento). I comunisti invece si impegnarono,
benché con scarsi risultati, clandestinamente diffusero opuscoli, giornali e volantini di propaganda, a infiltrare suoi uomini nei
sindacati e nelle organizzazioni giovanili fasciste; sulla stessa linea si mosse il gruppo di “Giustizia e Libertà”, di indirizzo liberalsocialista. Gli altri gruppi in esilio all’estero (socialisti, repubblicani, democratici, federati nel 1927 nella Concentrazione
antifascista – all’estero già da anni stavano personalità eminenti come Turati, Treves, Nenni e Saragat) svolsero soprattutto
un’opera di elaborazione politica in vista di una sconfitta del regime che l’antifascismo non era in grado di provocare. I comunisti
anche erano presenti all’estero, ma Togliatti, il loro leader, era un pezzo grosso del Comintern, quindi seguiva chiaramente le
direttive di Mosca: non inserì mai il Pci nella concentrazione antifascista, nonostante molti fossero contrari. Gramsci lo era, nei
suoi “Quaderni del carcere”, che però non furono pubblicati che dopo la guerra. Le idee di chi la pensava diversamente
restarono sconosciute ai militanti. Nonostante queste debolezze, l’importanza dell’antifascismo risiedette nella funzione di
testimonianza e di preparazione dei quadri e delle piattaforme politiche della futura Italia democratica.
19.8 Apogeo e declino del regime fascista. L’apice del consenso al fascismo si ebbe con l’impresa etiopica, dopo la quale
iniziò ad incrinarsi la fiducia nei confronti del regime. Mussolini decise di adottare la politica dell’ ”autarchia” – finalizzata
all’obiettivo dell’autosufficienza economica in caso di guerra – ottenne solo parziali successi e provocando un aumento dei
prezzi suscitò un diffuso malcontento. Inoltre molte risorse furono impiegate per spegnere gli ultimi focolai in Etiopia e nella
guerra civile spagnola. La politica estera di Mussolini e Ciano era un altro problema: era impopolare l’amicizia con la Germania
nazista. Il duce prevedeva un futuro di guerre e conquiste per l’Italia, che doveva diventare un paese di guerrieri 
totalizzazione: istituzione Camera dei fasci e delle corporazioni, e altri cambiamenti (passo romano, etc). La politica
discriminatoria nei confronti degli ebrei (ricalcando quelle naziste) suscitò timori e dissensi nella maggioranza della popolazione.
Queste leggi discriminatorie crearono un contrasto con la Chiesa. Solo tra i giovani il disegno totalizzante mussoliniano ebbe
successo anche perché erano cresciuti nelle organizzazioni del regime fascista. Però con lo scoppio del conflitto e con i primi
rovesci bellici, il fascismo perse anche il sostegno dei giovani, i quali divenuti nel frattempo soldati e ufficiali videro in prima
persona il fallimento del governo nel prepararsi alla guerra
21. La seconda guerra mondiale.
21.1 Le origini e le responsabilità. A Monaco era stata negoziata una “falsa pace” tra Hitler e le forze democratiche; il mondo
si trovò ben presto coinvolto in un nuovo conflitto, la cui responsabilità è della Germania nazista per la sua politica di conquista e
di aggressione. Le democrazie occidentali si erano illuse a Monaco che a Hitler bastassero i Sudeti, ma nel marzo ’39 g il Führer
occupò la Boemia e la Moravia, ovvero la parte più grossa della Cecoslovacchia. Fu la svolta; Gran Bretagna e Francia,
abbandonato l’appeasement, cercarono di stipulare più alleanze militari possibili: Grecia, Turchia, Romania, Belgio, Olanda, ma
soprattutto Polonia la quale costituiva il 1° obiettivo delle mire espansionistiche tedesche. Hitler stava rivendicando il possesso
di Danzica e il diritto di passaggio attraverso il corridoio che univa la città al territorio polacco  ad impedire ciò c'era l'alleanza
anglo-francese con la Polonia. Per l’Italia la libertà di manovra era limitata: Mussolini fece infuriare le democrazie occupando il
piccolo Regno di Albania, per poi legarsi alla Germania nazista con il “patto d’acciaio”: il patto prevedeva che una delle 2
sarebbe dovuta scendere in campo in aiuto dell'altra in qualsiasi guerra la coinvolgesse (anche d’aggressione): ma l’Italia non
era pronta, le fu assicurato da Hitler che il conflitto avrebbe aspettato tre anni. Invece non fu così. Le trattative tra le democrazie
e l’URSS non portarono a nulla, perché c’erano troppi dubbi e troppe diffidenze reciproci. Il 23 agosto 1939 a Mosca i ministri
degli esteri tedesco e sovietico firmarono un patto di non aggressione fra i 2 paesi. Tale accordo destò indignazione e stupore in
quanto si trattava di 2 regimi ideologicamente opposti: in realtà faceva comodo ad entrambe le parti, che allontanavano il rischio
di un attacco (URSS impreparata alla guerra, avrebbe ottenuto dei territori secondo il protocollo segreto (spartizione della
Romania e della Polonia); Hitler risolveva la questione polacca evitando la guerra su due fronti). 1 settembre 1939: Germania
attaccò la Polonia. Dopo due giorni GB e Fr le dichiararono guerra alla Germania. Italia proclamò la sua “non belligeranza”. La
guerra non sarebbe stata solo mondiale, ma totale. Scontro ideologico molto aspro. Nuove armi e tecnologie. Le cause di fondo
della seconda guerra mondiale erano: il tentativo della Germania di affermare la propria egemonia sul continente europeo e la
volontà di FR e GB di impedire questa affermazione.
21.2 La distruzione della Polonia e l’offensiva al Nord. Poche settimane di guerra furono sufficienti a mostrare a tutti una
perfetta macchina da guerra; la Polonia capitolò in pochissimo, il suo esercito antiquato era niente rispetto a quello tedesco e
alla sua guerra-lampo, che prevedeva l’uso congiunto di aerei e mezzi corazzati. A fine settembre Varsavia cadde, e in
pochissimo in base al protocollo segreto i sovietici occuparono la parte est del Paese e stabilivano, esattamente come i tedeschi
ad ovest, uno spietato regime di occupazione. Per sette mesi ci fu quello che i francesi chiamarono “drôle de guerre”,la guerra fu
momentaneamente congelata, ciò demoralizzò le truppe alleate e dando a Hitler il tempo di rimettersi in forze. A fine novembre
l’URSS attaccò la Finlandia, che però resistette e nel marzo ’40 cedette alle richieste sovietiche pur restando indipendente. Il 9
aprile Hitler attaccò Danimarca e Norvegia e le travolse. Hitler così controllava buona parte dell'Europa centro-settentrionale. Il
suo prossimo obiettivo era scatenare l'attacco a occidente.
21.3 L’attacco a occidente e la caduta della Francia. L'offensiva tedesca sul fronte occidentale iniziò il 10 maggio 1940 e si
risolse in poche settimane a favore di Hitler. I francesi erano superiori per numero e armamento, ma i comandi francesi
commisero degli errori, basandosi ancora sulla vecchia concezione della guerra statica e riponendo troppa fiducia nella linea
Maginot, fortificazione difensiva che però copriva solo la frontiera franco-tedesca, lasciando scoperto Belgio e Lussemburgo 
Hitler invase ed occupò Belgio, Olanda e Lussemburgo, valicò la impenetrabile foresta delle Ardenne e sfondò a Sedan,
puntando sul mare e chiudendo in una sacca reparti francesi, belgi e l’intero contingente inglese, che riuscì a reimbarcarsi a
Dunkerque solo grazie ad un rallentamento tedesco. Per gli inglesi quel reimbarco fu la loro salvezza, mentre la Francia
capitolava e il 14 giugno i tedeschi entrarono a Parigi. De Grulle da Londra cercò di incitare i francesi alla rivolta contro gli
occupanti, ma Petàin firmò l’armistizio il 22 giugno a Rethondes luogo dove precedentemente i tedeschi si erano piegati al Diktat
nel 1918. in base all'armistizio il governo francese fu trasferito a Vichy e governava solo la parte centro-meridionale, mentre il
resto della Francia restava occupato dai nazisti. Finiva la Terza Repubblica, mentre a Vichy l’Assemblea nazionale si spogliava
dei suoi poteri e dava il compito a Petàin di promulgare una nuova costituzione; era un conservatore accanito(culto dell'autorità,
difesa della religione e della famiglia, esaltazione retorica della piccola proprietà e del lavoro nei campi, organizzazione sociale
di stampo corporativo), che fece del regime di Vichy uno stato-satellite della Germania hitleriana, un Paese guidato da una
tradizione alla ancien règime. Rapporti Fr-GB rotti.
21.4 L’intervento dell’Italia. Nell’estate 1939 l’Italia non era entrata in guerra giustificandosi per motivi economici: dipendeva
cronicamente dalle importazioni estere. Ma il crollo della Francia fece sparire le ultime esitazioni di Mussolini e vinse le
resistenze di quanti si opponevano all’intervento italiano, compresa l’opinione pubblica che inizialmente odiava la Germania
hitleriana. 10 giugno 1940: il duce annunciò l’entrata in guerra dell’Italia contro “le democrazie plutocratiche e reazionarie
dell’Occidente”. L’offensiva sulle Alpi contro una Francia già sconfitta (il giorno prima della firma dell’armistizio) fu una prova di
notevole incompetenza: molti morti, limitata penetrazione in territorio francese, ma comunque armistizio il 24 giugno. Dalla GB
l’Italia ricevette due sconfitte navali vicino alla Calabria e vicino a Creta. Altri insuccessi contro GB in Africa settentrionale a
causa dell'insufficienza dei mezzi corrazzati. Mussolini rifiuò un'offerta d'aiuto da parte della Germania perché convinto che
l'Italia dovesse combattere una sua guerra, parallela, a quella tedesca. Ma l’Italia era impreparata.
21.5 La battaglia d’Inghilterra. La GB era sola a combattere Hitler, ma non aveva intenzione di piegarsi alla sua volontà e
accettare un accordo che riconoscesse le sue conquiste. La classe dirigente inglese guidata da Winston Churchill convinse gli
inglesi a dover fare dei sacrifici per poter resistere e sconfiggere le velleità hitleriane. L'Inghilterra reagì compatta e coraggiosa
all’operazione Leone marino, quella che Hitler aveva ideato per la battaglia di Inghilterra: era necessario colpire dal cielo, per
compensare la potenza navale inglese  prima grande battaglia aerea della storia, estate ‘40: Luftwaffe vs. RAF (GB), che era
avvantaggiata per il radar. Londra e altri centri furono ripetutamente bombardati, ma la resistenza brit fu accanita e Hitler non
riuscì a piegare la GB; l’invasione dell’Inghilterra fu rimandata  prima battuta d’arresto per la Germania nazista dall'inizio del
conflitto.
21.6 Il fallimento della guerra italiana: i Balcani e il Nord Africa. 28 ottobre 1940: l’esercito italiano attaccò improvvisamente
la Grecia, stato semi-fascista che si pensava di travolgere. L'attacco fu determinato da ragioni di concorrenza con Hitler e
l’espansione tedesca  solo che la resistenza fu molto più organizzata del previsto e ricacciò gli italiani in Albania, i quali si
schierarono sulla difensiva. Grossa eco in Italia, ondata di sfiducia nei confronti del regime e del duce. Colpo all’immagine del
regime, anche perché contemporaneamente arrivava dall’Africa altre notizie di insuccessi. Con un contrattacco gli inglesi
conquistarono l’intera Cirenaica, e per non dover abbandonare la Libia Mussolini dovette accettare l’aiuto di Hitler  iniziò una
lunga controffensiva guidata dal brillante generale Rommel, che nel 1941 riprese la Cirenaica, mentre l’Africa orientale (Etiopia,
Somalia, Eritrea) italiana veniva presa dagli inglesi nella primavera. Era la fine della guerra parallela italiana-tedesca.
Simultaneamente le truppe italiane e tedesche travolsero la Grecia e Jugoslavia e gli inglesi si dovettero ritirare. In Europa Hitler
non aveva più rivali, l’unico fronte aperto era quello nordafricano. L'obiettivo di Hitler era quello di conquistare lo “spazio vitale” a
est ai danni dell'Urss.
21.7 L’attacco all’Unione Sovietica. Guerra entrò in una nuova fase con l’attacco all’URSS dell’estate 1941: si aprì un nuovo
fronte e l’ambigua alleanza russo-tedesca cadeva. Stalin sapeva che Hitler un giorno avrebbe attaccato, ma pensava che prima
avrebbe voluto la GB fuori gioco. Invece no: l’operazione Barbarossa scattò il 22 giugno 1941 e colse i russi impreparati (anche
per le purghe del ’37 che avevano decimato i comandi dell’Armata Rossa). In due settimane le forze del Reich penetrarono per
centinaia di chilometri in territorio russo (insieme ad un corpo di spedizione italiano), seguendo due direttrici: una dai Paesi
baltici e una dall’Ucraina che puntava sulle petrolifere caucasiche. Ma a Mosca i nazisti non arrivarono, perché colti dall’inverno
e dalla accanita resistenza sovietica, attiva anche in dicembre. Infinito serbatoio umano russo permise a Stalin di far ripartire le
industrie ad est del Volga, che permisero all’URSS di rimettersi in gioco: dalla guerra-lampo si passava a quella d’usura, in cui
l'elemento decisivo era costituito dalla capacità di compensare rapidamente il logorìo degli uomini e dei materiali, cui la
Germania non era avvantaggiata.
21.8 L’aggressione giapponese e il coinvolgimento degli Stati Uniti. Alla terza elezione di Roosvelt a presidente, gli USA
appoggiarono la GB con l’approvazione delle legge “affitti e prestiti” che consentiva la fornitura del materiale bellico, intesa per
sostenere la GB, ormai sola nella lotta contro il nazismo. In maggio Washington ruppe i rapporti diplomatici con Italia e
Germania, e in giugno la marina americana scortò un carico di aiuti per le potenze alleate fino all’Islanda. Gli USA volevano
diventare l’”arsenale delle democrazie” e la politica USA fu suggellata dalla Carta atlantica, firmata da Churchill e Roosvelt su
una nave da guerra al largo di Terranova nell’agosto 1941. Stabiliva l’avversione ai fascismi e il nuovo ordine democratico postbellico:rispetto dei principi di sovranità popolare e di autodecisione dei popoli, libertà dei commerci e dei mari, cooperazione
internazionale, rinuncia all'uso della forza nei rapporti fra gli Stati. La guerra era ora anti-fascista. Gli USA intervennero dopo
l’aggressione improvvisa del Giappone sul Pacifico, il Giappone potenza asiatica legata all’Asse dal patto tripartito (con Italia e
Germania). Dal 1937 il Giappone stava penetrando in Cina, ma la guerra in Europa gli permise di allargare le sue mire all’intero
Sudest asiatico; quando penetrò nell’Indocina francese, USA e UK bloccarono le esportazioni verso il Giappone, che aveva
disperato bisogno di materie prime: dovette scegliere tra sottomissione al volere occidentale o guerra. Scelse la guerra 
attacco a sorpresa a Pearl Harbor, 7 dicembre 1941, che vide distrutta buona parte della flotta americana nel Pacifico. Ora
l’espansionismo giapponese non aveva particolari ostacoli e si rivolse verso Malesia e Birmania, Filippine e Indonesia, fino a
minacciare Australia e India. Pochi giorni dopo Pearl Harbor, Germania e Italia dichiaravano guerra a USA. Il conflitto a questo
punto divenne mondiale.
21.9 Il “nuovo ordine”. Resistenza e collaborazionismo. Nell’estate ’42 le forze dell’Asse raggiunsero la loro massima
espansione; in Europa la Germania egemone governava indisturbata su 350 milioni di persone, e aveva una serie di statisatellite o alleati impressionante; all’interno di questa rete l’Italia non contava nulla. Tanto Germania quanto Giappone tentarono
nei territori sotto di loro di stabilire un ordine nuovo basato sulla supremezia della nazione eletta e sulla rigida subordinazione
degli altri popoli alle esigenze dei dominatori, ma mentre Kyoto si appoggiò per questo ai movimenti indipendentisti locali e
all’antimperialismo, il nazismo non fece concessioni di sorta alle esigenze di indipendenza e di autogoverno dei popoli ad essa
soggetta. Fu invece molto duro, specie con i popoli slavi, considerati inferiori di razza e trattati come semi-schiavi: l’Europa
orientale doveva diventare una colonia agricola del Reich. 8 milioni di civili sovietici e polacchi morirono durante l’occupazione
nazista. Naturalmente però la persecuzione più disumana fu quella contro gli ebrei, nemico principale per Hitler, che iniziarono
prima ad essere confinati nei ghetti (come quello di Varsavia) e a portare una stella al braccio, quindi deportati in campi di
prigionia, i lager (Auschwitz, Dachau…), sfruttati fino alla consunzione fisica, usati come cavie per esperimenti, uccisi se
considerati inutili. La “soluzione finale” ideata nel 1941 e affidata alle SS prevedeva l’eliminazione fisica degli ebrei: 6 milioni di
ebrei sterminati. Gli effetti del dominio nazista furono molto positivi per i tedeschi in un primo momento, che poterono mantenere
un altissimo livello di vita, ma la grande presenza militare in Europa e lo sfruttamento sistematico nazista misero i tedeschi al
centro dell’odio di molti popoli. La resistenza al nazismo si fece via via più organizzata e convinta, e se prima comprendeva
piccoli gruppi che si appoggiavano a Londra e ai governi in esilio, con l’attacco nazista all’URSS che portò i comunisti di tutta
l'Europa a impegnarsi attivamente nella lotta armata contro i nazisti. All’interno però i fronti di resistenza erano divisi, perché nei
confronti dei comunisti c’era grande diffidenza da parte degli anglo-americani. Ma la collaborazione si rivelò impossibile in quei
paesi dell'Europa orientale e balcanica dove più diffuso era il timore che i partiti comunisti fungessero da strumento per i piani
egemonici ell'Urss. Ma c’era anche il collaborazionismo, in tutti i Paesi invasi della Germania o da essi controllati, con la
popolazione e i loro dominatori e ciò accadde per convinzione o convenienza. I tedeschi trovavano ovunque sostenitori e i
governi collaborazionisti spuntavano ovunque: il più eclatante fu certamente Vichy, che cessò di esistere alla fine del 1942.
21.10 1942-43: la svolta della guerra e la “grande alleanza”. Grande svolta per il conflitto nel 1942-1943, nel Pacifico: i
giapponesi vennero sconfitti dagli americani nelle due battaglie del Mar dei Coralli e delle Midway: aerei decollavano dalle
portaerei, le flotte non si vedevano. Con la presa americana di Guadalcanal, i giapponesi rinunciarono ad espandersi ed
iniziarono a difendere i territori. Atlantico: gli americani riuscirono con il tempo a limitare i danni della guerra sottomarina
tedesca, grazie alla tecnologia (rader perfezionati, bombe di profondità, razzi antisommergibile). Ma l’episodio più importante di
questo periodo fu in agosto l’inizio dell’assedio e della battaglia di Stalingrado, che dopo mesi vide i tedeschi sconfitti dalla
resistenza sovietica. Ciò rappresentò un simbolo di riscossa per i sovietici e per gli antifascisti di tutto il mondo. Ottobre 1942,
Africa settentrionale: Montgomery comandante delle forze britanniche attaccò Rommel, generale del contingente italo-tedesco,
ad El Alamein e riuscì a cacciarlo verso la Tunisia, dove le truppe italo-tedesche furono presto intercettate da un contingente
alleato sbarcato in Algeria e Marocco. Tra due fuochi, le forze dell’Asse dovettero arrendersi. Ora gli alleati potevano occuparsi
dell’Europa. Conferenza di Washington: patto delle Nazioni Unite contro il fascismo e impegno a tener fede ai principi edlla carta
atlantica. I contrasti tra alleati, cioè tra URSS e USA-UK, riguardavano anzitutto l’apertura del fronte di battaglia in Europa: Stalin
lo voleva subito in Nord Europa in modo da alleggerire la pressione tedesca dall'Urss, Churchill voleva prima chiudere la partita
in Africa e poi sbarcare nell'Europa meridionale; la spuntò l’inglese. Conferenza di Casablanca gli inglesi e gli americani
decisero che lo sbarco sarebbe avvenuto in Sicilia, per motivo logistici e politici; e la guerra non sarebbe finita senza la resa
incondizionata della Germania, senza patteggiamenti di sorta con la Germania o con i suoi alleati
21.11 La caduta del fascismo e l’8 settembre. Il 10 luglio 1943 i primi contingenti anglo-americani sbarcarono in Sicilia e in
poche settimane conquistarono l’isola: colpo di grazia per il regime fascista, che già era messo in crisi dagli scioperi che in
marzo avevano messo in subbuglio tutto il Nord, ad opera dei comunisti in risposta al malcontento popolare. Ma a far cadere
Mussolini fu la “congiura monarchica”, ordita dalla corona e da esponenti del prefascismo che volevano preservare lo status quo
monarchico ma uscire dalla guerra. 24-25 luglio 1943: riunione del Gran consiglio; su proposta di Dino Grandi il comando delle
forze armate tornò al sovrano Vittorio Emanuele III, che al pomeriggio convocò Mussolini e lo costrinse alle dimissioni, per poi
farlo arrestare. Capo del governo divenne Pietro Badoglio. La cadute del fascismo suscitò l' esultanza popolare. Crollo repentino
e inglorioso del sistema fascista, debole all’interno e indebolito dal discredito. La gente voleva la fine della guerra, per questo
esultava, ma l’uscita dal conflitto fu più tragica del conflitto stesso: al nord si stavano accumulando forze tedesche, pronte a
punire la defezione e fermare l’avanzata alleata. Badoglio disse che l’Italia non sarebbe venuta meno ai suoi impegni, ma in
realtà allacciò contatti con le potenze alleate, con cuì però firmo un’armistizio il 3 settembre, senza garanzie sul futuro. Fu reso
noto solo l’8 settembre  caos totale: il re e il governo abbandonarono Roma, mentre i tedeschi iniziarono ad occupare la parte
centro-settentrionale dell’Italia. Mentre i tedeschi avanzavano, un esercito stanco e abbandonato a se stesso non era in grado di
opporre alcune resistenza, di fronte alla decisa e crudele determinazione tedesca a punire e fronteggiare gli anglo-americani
(un’intera divisione italiana che non voleva arrendersi fu sterminata a Cefalonia, ad esempio). I tedeschi riuscirono ad attestarsi
sulla linea Gustav (da Gaeta a Pescara – Cassino) e a bloccare lì l’avanzata alleata fino alla primavera ’44.
21.12 Resistenza e lotta politica in Italia. Nel 1943 Italia spaccata in due: monarchia filo-alleata al Sud, tedeschi e fascisti al
nord. Il 12 settembre Mussolini fu liberato da un commando di tedeschi sul Gran Sasso e iniziò ad organizzare un nuovo stato
fascista, la Repubblica sociale italiana, la cui capitale era Salò e un nuovo esercito che continuasse a combattere a fianco degli
antichi alleati; La Repubblica di Mussolini non acquistò mai una vera credibilità in quanto totalmente dipendenti dai tedeschi, che
si comportavano come un esercito di occupazione (sfruttamento delle risorse economiche e umane dei territori controllati,
applicazione delle politiche razziali). La principale funzione svolta dal governo di Salò fu quella di reprimere e combattere il
movimento partigiano che stava nascendo nell'Italia occupata per opporsi ai tedeschi. Quindi oltre alla guerra tra stranieri nel
Nord Italia si sviluppava una guerra civile, tra repubblichini e partigiani della resistenza. Iniziava la vera resistenza: i partigiani e i
soldati che aveva rifiutato la resa ai nazisti si unirono per combattere i tedeschi con azioni di disturbo e rappresaglie, specie
lontano dai centri abitati. I tedeschi furono del tutto intransigenti con loro (furono fucilati alle Fosse Ardeatine, 1944). Dopodiché
i partigiani si iniziarono ad organizzare in vere e proprie formazioni: Brigate Garibaldi, fatte di comunisti, Giustizia e Libertà,
antifascisti, Brigate Matteotti, socialisti. Rinascita dei partiti antifascisti: Partito d’azione (Pda), Democrazia cristiana (Dc), Partito
liberale e Partito repubblicano, infine Partito socialista di unità proletaria. Rappresentanti di partiti si riunirono a Roma subito
dopo l’8 settembre e fondarono il Comitato di liberazione nazionale, il Cln, incitando la popolazione alla lotta e alla resistenza. I
partiti antifascisti si proponevano come guida e rappresentanza dell'Italia democratica che si contrapponeva sia all'occupazione
tedesca, sia al sovrano responsabile della dittatura, sia al governo Badoglio. Il re e Badoglio non erano ben visti, ma il Cln non
era abbastanza compatto e organizzato per opporsi al governo di cui gli alleati si fidavano, in quanto garante degli impegni
assunti con l'armistizio. Nell'ottobre del 1943 il governo dichiarò guerra alla Germania e un corpo italiano di liberazione combattè
a fianco degli anglo-americani. Il contrasto tra Cln e governo fu sbloccato con il ritorno di Palmiro Togliatti dall’esilio in URSS.
Con la svolta di Salerno Togliatti propose un governo di unità nazionale per combattere i tedeschi e il fascismo, e per legittimare
agli occhi moderati e liberali il comunismo italiano. Questo governo di unità nazionale ci fu, insieme ad una tregua istituzionale: il
re Vittorio Emanuele III promise di passare i poteri al figlio, per poi fare sì che a guerra finita fosse il popolo a decidere se l’Italia
dovesse essere ancora retta da una monarchia. Giugno 1944: Roma liberata, re Umberto divenne luogotenente generale del
Regno, mentre al governo Badoglio successe quello di Ivanoe Bonomi  maggiore legame tra governo e resistenza, che si
rafforzò sempre più e si organizzò efficacemente. L’azione partigiana divenne sempre più diffusa, i tedeschi rispondevano con
pugno di ferro ( dove a Marzabotto venne uccisa l'intera popolazione), mentre città, come Firenze, vennero liberate prima
dell’arrivoperchèera terrorizzata. Nell’inverno tra il 1944 e il 1945 lo scontro tra tedeschi e alleati si blocctò sulla linea gotica
(Rimini-La Spezia). Gli inglesi non vedevano di buon occhio il Clnai, ma il governo alla fine lo riconobbe come suo
rappresentante nell’Italia occupata. Il movimento partigiano riuscì a sopravvivere, mentre nella primavera ’45 ci fu il crollo
tedesco.
21.13 Le vittorie sovietiche e lo sbarco in Normandia. I sovietici iniziarono a premere contro i tedeschi con una lenta ma
inesorabile avanzata verso Berlino. Prezzo altissimo in vite e risorse, ma almeno Stalin ottenne un ruolo forte nella “grande
alleanza” e alla conferenza di Teheran (nov-dic 1943, con Stalin, Churchill e Roosvelt)ottenne l’impegno alleato ad attuare uno
sbarco in forze sulle coste francesi nella primavera ’44. Con sforzo sovrumano e un’attentissima pianificazione gli angloamericani, riuscendo a superare il vallo atlantico, portarono a compimento l’operazione Overlord (generale Eisenhower), il 6
giugno 1944, facendo sbarcare in un mese un milione e mezzo di uomini. In due mesi linee tedesche sfondate, il 25 agosto
Parigi venne liberata. Tedeschi scacciati quasi sul confine del ’39, dove hanno il tempo di riorganizzarsi, ma per poco.
21.14 La fine del Terzo Reich. Mentre gli alleati della Germania si arrendevano uno dopo l’altro e il Paese era vessato da
pesantissimi bombardamenti (Amburgo e Dresda, ad esempio) volti a demoralizzare la popolazione, Hitler sperava ancora in un
rivolgimento del conflitto a suo favore, sperando nella rottura dei rapporti tra URSS e anglo-americani; invece essi tennero fede
agli impegni presi, e la grande alleanza tenne, anche in virtù delle conferenze di Mosca e Yalta, durante le quali si pianificava
una vera e propria spartizione del mondo in sfere di influenza una volta conclusosi il conflitto. Intanto l’era del Terzo Reich
volgeva al termine: l’Armata Rossa tra aprile e maggio liberava Vienna e Praga dai tedeschi, mentre più a nord proseguiva verso
Berlino, dove si ricongiunse con i reparti anglo-americani provenienti da ovest; l’esercito nazista era sfaldato, e anche in Italia si
ritirò il 25 aprile. Mussolini catturato e impiccato. 30 aprile: Hitler si suicidò. Il 7 maggio la Germania firmò la resa incondizionata
a Reims. Guerra europea finita.
21.15 La sconfitta del Giappone e la bomba atomica. Dal ’43 gli USA avevano iniziato a riguadagnare terreno nel Pacifico;
nonostante dal ’44 il territorio nipponico fosse bombardato e gli USA fossero sempre più forti, i giapponesi continuavano ostinati
a resistere (kamikaze)  Truman, presidente americano, decise di porre fine al tutto con la bomba atomica (deterrente per
l’URSS – atto di forza): due ordigni su Hiroshima e Nagasaki (160.000 vittime + conseguenze LP). Imperatore Hirohito firmò
l’armistizio senza condizioni il 2 settembre 1945 nella baia di Tokyo. Così finiva la seconda guerra mondiale.
22. Il mondo diviso.
22.1 Le conseguenze della seconda guerra mondiale. La IIGM era stata uno spartiacque storico, con conseguenze incredibili
sul mondo contemporaneo. La 2° guerra mondiale vide la vittoria delle democrazie e ridisegnò la carta d’Europa, accelerò la
crisi delle potenze europee: Germania debellata, Francia e GB indebolite e incapaci di mantenere i loro imperi coloniali. Le
uniche due che potevano aspirare ad essere potenze mondiali, o superpotenze, erano USA (superiorità economica e militare) e
URSS (padrona di mezza Europa), due entità continentali e multietniche, ricche di risorse, con interessi mondiali, portatrici di
due messaggi ben contrapposti: il messaggio americano, a sfondo individualistico, era fatto di pluralismo, democrazia liberale,
concorrenza economica e libertà. Il messaggio sovietico era quello dell’anti-individualismo, del sacrificio e della disciplina, del
modello collettivistico e centralizzato.  mondo bipolare, molto chiaro in Europa dove le sfere di influenza furono determinate da
dove gli eserciti erano arrivati. Il disastro della guerra aggiunto alle rivelazioni sull’Olocausto e alla bomba atomica (arma in
grado di distruggere l’intera umanità) segnarono molto il pensare comune. Ci furono tentativi di rifondare i rapporti internazionali:
gestione generosa della pace da parte americana, nuova fisionomia alle Nazioni Unite, codificazione e aggiornamento del diritto
internazionale, anche penale  processo di Norimberga (1945-46) contro i capi nazisti in cui molti collaboratori di Hitler vennero
condannati a morte. L’egemonia USA fece sì che gli States divennero promotori e garanti del progetto di un nuovo sistema
mondiale e per l’Europa un punto di riferimento: il “mito americano” era quello di cui l’Europa atterrita e spaventata aveva
bisogno: influenza culturale (musica, balli, etc…).
Le Nazioni Unite e il nuovo ordine economico. ONU nasce a San Francisco nel 1945 con l'obiettivo di salvare le generazioni
future dal flagello della guerra e di impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i
popoli. Ispirato ai principi della Carta atlantica, seguiva due concezioni: l’utopia democratica wilsoniana e la roosveltiana
(necessità di un unico “direttorio” per gli affari mondiali tra le potenze.
Assemblea generale (principi di universalità dell'organizzazione e di uguaglianza di tutti gli Stati) si riunisce annualmente e ha il
potere di adottare risoluzioni che però non sono vincolanti ma hanno solo il valore di raccomandazioni.
Consiglio di Sicurezza organo permanente che in caso di crisi internazionale, ha il potere di prendere decisioni vincolanti per gli
Stati e di adottare misure che possono giungere fino all'intervento armato. Il consiglio è formato 15 membri (i 5 membri
permanenti sono le maggiori potenze vincitrici e dhanno diritto di veto: Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia + 10 membri
vengono eletti a turno fra tutti gli Stati)
Consiglio economico e sociale organo dell'ONU(Unesco, Fao, etc…)
Corte internazionale di giustizia organo dell'ONU, cui spetta di dirimere le controversie fra gli Stai che vi si rimettono
volontariamente. Spesso l’ONU non è servito a niente, è stato inadempiente, paralizzato dai contrasti tra le potenze, incapace di
prevenire e contenere le crisi; però è importante centro di dialogo. Anche i rapporti economici internazionali però cambiarono:
nel 1944 nacque a Bretton Woods il Fondo monetario internazionale, con lo scopo di costruire riserve valutarie e assicurare la
stabilità dei cambi, ancorando le moneta non solo all’oro, ma anche al dollaro (con conseguente primato). Banca mondiale si
occupa invece di fare prestiti a lungo termine ai Paesi per la loro ricostruzione o sviluppo. E poi ci fu il Gatt (Accordo generale
sulle tariffe e sul commercio), 1947, che abbassò il livello dei dazi doganali. Gli USA si servirono di questi mezzi per indirizzare
la rinascita economia europea.
22.3 La fine della “grande alleanza”. Presto i contrasti tra le due superpotenze furono chiari: gli USA erano in realtà stati
toccati poco dalla guerra e ora puntavano a creare un nuovo ordine mondiale, mentre l’URSS, uscita molto più acciaccata dal
conflitto, non faceva che esigere il prezzo della vittoria (niente paesi ostili ai confini, riconoscimento del suo ruolo nel mondo,
riparazioni). Nel “grande disegno” di Roosvelt era previsto un dialogo tra le due potenza , l’URSS sarebbe stata una forza
d’ordine importante in un’area turbolenta come l’Europa orientale, dov’era la sua sfera di influenza, ma gli USA sarebbero restati
egemoni. Con Roosvelt morì anche tale progetto, e Truman fu sin dall’inizio più diffidente nei confronti dell’Unione sovietica.
L’irrigidimento c’era già alla conferenza di Postdam dell’estate ’45, quando vennero a galla i punti di frizione: la possibilità che
l'Urss avesse un influenza sulla Germania e sul'Europa orientale era inesistente. A questo punto l'Urss impose i partiti comunisti
al potere locale con l'appoggio dell'esercito sovietico. Nel 1946 Churchill pronunciò un discorso che denunciava il
comportamento dei sovietici in Europa orientale. Si ruppe la “grande alleanza” e il processo negoziale sui trattati di pace ne
subì le conseguenze. Alla conferenza di Parigi nel 1946 si raggiunse un accordo tra i vincitori e sui confini tra URSS, Polonia e
Germania: a spese di quest’ultima la Polonia si spostò a ovest, così come l’URSS annesse una parte di Polonia.
22.4 La “guerra fredda” e la divisione dell’Europa. La conferenza di Parigi del 1946 fu l’ultima atto di cooperazione tra URSS
e potenze occidentali; nell’agosto 1946 scoppiò una grave crisi tra URSS e Turchia (appoggiata dagli Usa) per lo stretto dei
Dardanelli  prima applicazione della teoria del containment (“contenimento” dell’espansionismo sovietico): invio della flotta a
sostegno della Turchia, per paura che anche la Grecia entrasse nella sfera comunista. La dottrina Truman era questo:
intervenire anche con la forza per sostenere i liberi popoli nella resistenza all'asservimento da parte di minoranze armate o
pressioni straniere. Giugno ’47: lanciato l’European Recovery Program, ovvero il piano Marshall (un programma di aiuti
economici all'Europa). Ma l'Urss rifiutarono il piano perché convinti che il vero obiettivo degli Stati Uniti era assoggettare
l'Europa a discapito dell'Urss. Tra 1948 e 1952 13 miliardi di dollari permisero non solo la ricostruzione in Europa occidentale,
ma anche un rilancio dell'economia dell'Europa occidentale. Altra provocazione staliniana nel settembre 1947: la fondazione
Cominform, una sorta di riedizione in tono minore della Terza Internazionale. Cessato il dialogo tra le potenze, iniziò la
cosiddetta “guerra fredda”  contrapposizione fortissima tra i due blocchi. In Grecia la resistenza comunista venne combattuta
e debellata. In Francia e in Italia i comunisti furono estromessi dai governi di coalizioni nel 1947. Principale terreno di scontro
restava però il destino della Germania, divisa dalla fine della guerra in 4 zone di occupazione (americana, inglese, francese e
sovietica), come Berlino che si trovava all'interno dell'area sovietica era divisa ulteriormente in 4 zone. Quando l’iniziativa angloamericana iniziò a fare delle loro zone tedesche un forte stato integrato nel blocco occidentale (riforma monetaria, liberalizzando
l'economia), Stalin reagì con il blocco di Berlino, ovvero chiuse gli accessi della città impedendone il rifornimento, nella
speranza di indurre gli occidentali ad abbandonare la zona ovest da loro occupata.  altissima tensione, ma non vi fu uno
scontro militare grazie alla costruzione di un ponte aereo americano per rifornire la città, che alla fine fece desistere i sovietici.
Sempre nel 49 furono unificate le 3 zone occidentali della Germania: Repubblica federale tedesca (con capitale Bonn). Per
risposta i sovietici costituirono la Repubblica democratica tedesca (con capitale Panlow, sobborgo berlinese). Europa divisa in
due  1949: firma del Patto atlantico che consisteva in una allenza difensiva fre i paesi dell'Europa occidentale, gli USA e il
Canada. Questo patto fondato sulla democrazia prevedeva un dispositivo militare integrato composto da contigenti dei singoli
paesi membri: la Nato (Organizzazione del trattato nel Nord Atlantico). 1955: URSS rispose stringendo un alleanza militare
ovvero il Patto di Varsavia con i paesi satelliti. Guerra fredda: compattezza dei blocchi, legame di politica estera fondamentale,
militarismo e armamenti  paradossi notevoli, infatti: USA in Occidente appoggiano regimi pur di sostenere il mondo libero.
22.5 L’Unione Sovietica e le “democrazie popolari”. Il dispotismo staliniano proseguì la sua opera, con purghe e
condizionamenti pesantissimi a vita intellettuale e artistica. La ricostruzione avvenne senza aiuti esterni diretti, se non le
riparazioni imposte ai paesi ex nemici controllati dall'Armata Rossa. Dalla Germania dell'Est, dall'Ungheria, dalla Romania e
dalla Cecoslovacchia, i sovietici prelevarono risorse finanziarie, derrate agricole, macchinari, impianti e mezzi di locomozione.
La ricostruzione economica sovietica molto rapida, con crescita industriale del 70%. però venne agevolata l’industria pesante e
bellica e non il settore dell'agricoltura dei beni di consumo. L’URSS era una grande potenza bellica, nel 1949 fece esplodere la
sua prima bomba atomica, ponendo così fine al monopolio nucleare americano. Politica estera: trasformazione dei Paesi
occupati dall’Armata Rossa in democrazie popolari, formula che cercava di mascherare il loro assoggettamento e il loro ruolo di
satelliti. Polonia: la sua difesa era questione di orgoglio inglese, ma Stalin la voleva comunista perché era stata corridoio di
passaggio per attacchi già due volte. Stalin la spuntò e nel 1945 a Varsavia s'insediò, il socialista Morawski, controllato dai
comunisti e via via più dispotico e in rotta con i borghesi. Stesse cose in Romania, Bulgaria, Ungheria (un po’ di resistenza da
parte del Partito dei contadini), Albania e Jugoslavia. Cecoslovacchia: paese democratico e sviluppato, favorevole all’URSS e
guidato dal comunista Gottwald e da una coalizione di sinistra, che si ruppe quando fu il momento di decidere se accettare o no
gli aiuti dell’ERP. All’inizio del 1948 i comunisti si imposero al governo, dopo pressioni sul presidente Beneš. In Europa dell’Est,
comunque, arrivò la modernizzazione e l’industrializzazione iniziò a dare i primi frutti: collettivizzazioni, nazionalizzazioni e piani
di sviluppo diedero un impulso deciso alla crescita economica di questi Paesi, che però restavano subalterni ai legami
economici con l’URSS  Comecon, Consiglio di mutua assistenza economica, mezzo di rigido controllo sull’economia. Modello
di crescita sovietico priivilegiava industria pesante, limitando i consumi  malcontento popolare  necessario rigido controllo sui
satelliti. In Jugoslavia, Tito attuò uno scisma da Mosca, che aveva decretato il comunismo slavo “deviazionista”. Tito pose il
paese in una posizione equidistante dai due blocchi e iniziò a cercare un equilibrio possibile tra statalizzazione ed economia di
mercato  modello jugoslavo: autogestione delle imprese + libera concorrenza. Per paura di un diffondersi delle deviazioni
comuniste, vi furono epurazioni spaventose nei regimi comunisti, con purghe ed esecuzioni.
22.6 Gli Stati Uniti e l’Europa occidentale negli anni della ricostruzione. USA non avevano il problema della ricostruzione,
ma della riconversione del sistema economico americano a scopi di pace. Il programma di Fair Deal di Truman non fu neanche
lontanamente paragonabile alla politica riformista roosveltiana. Il programma però si realizzò in parte a causa della resistenza
del Congresso contrari all'integrazione razziale. In più il costo della vita stava aumentando a causa dell'abolizione dei controlli
sulle attività industriali e del forte deficit del bilancio statale  il Congresso contro il volere presidenziale adottò il Taft-Hartley Act,
legge conservatrice che limitava la libertà di sciopero. Nonostante le conquiste del New Deal si mantennero e anzi la politica
sociale venne accresciuta, la spinta progressista dell’età roosveltiana si esaurì. In particolare dal 1949, si sviluppò una vera e
propria caccia alle streghe contro i comunisti, il maccartismo che finì nel 1955. In Europa invece c’era aria di trasformazione e
riforme; a parte Spagna e Portogallo, l’Europa occidentale era tutta democratica.
GB: 1945, Churchill fu battuto dal laburista Attlee, che promosse la nascita di un vero Welfare State (stato del benessere) di
ispirazione svedese  Servizio sanitario nazionale e nazionalizzazioni di imprese e banche. Questo però comportò dei sacrifici
per la popolazione e di conseguenza venne favorito il ritorno dei conservatori al potere nel 1951.
Francia: il governo provvisorio gaullista lasciò il posto a successive coalizioni tra i partiti di massa, comunisti, Sfio e repubblicani
popolari. Nel 1946 partì il piano Monnet, quadriennale progetto riformista e dirigistico, e fu stilata la nuova costituzione di stampo
democratico-parlamentare, simile a quella prebellica. De Gaulle si oppose, avrebbe preferito un sistema presidenziale con
esecutivo forte, e fondò un movimento per cambiare la costituzione Raggruppamento del popolo francese. La coalizione tra i
partiti di massa si ruppe a causa dei contrasti fra i comunisti ed essi furono estromessi dal governo. Si susseguirono numerosi
governi iniziava la Quarta Repubblica, con la sua instabilità cronica.
Germania: ripresa più rapida di tutte. Il Paese era uscito devastato dalla guerra: morte e distruzione ovunque, città ed
infrastrutture rase al suolo, economia al collasso, 10 milioni di profughi ad Ovest. Solo nel 1949 la Germania aveva recuperato
una teorica sovranità nazionale ma aveva contemporaneamente perso la sua unità ed era stata divisa in due stati, la Repubblica
federale governata da Adenauer e la Repubblica democratica guidata dal partito unico Sed. Eccezionale capacità di recupero:
ma nell’Est l’URSS prelevava molto e investiva poco, mentre ad Ovest gli USA garantirono l’accesso ai fondi Marshall e fecero
sì che nel ’51 il PIL fosse già al livello del 1938.
22.7 La ripresa del Giappone. Il Giappone così come la Germania uscirono sconfitti dal conflitto della 2° uerra mondiale.. in
Giappone per iniziativa degli occupanti americani, si affermò un modello di organizzazione politica e sociale di tipo liberale e
occidentale. Il Giappone era sotto la tutela del generale Mac Arthur nel 1946 si vide imporre una costituzione redatta da
funzionari americani, che trasformava l’autocrazia imperiale in una monarchia costituzionale (a queste condizioni Hirohito potè
mantenere il trono) e introduceva un sistema parlamentare. Lo stesso anno fu avviata una rifor ma agraria, anche se gli
americani non volevano indebolire troppo i ceti conservatori. In particolare con la guerra di Corea i grandi agglomerati industriali
divennero fornitori per gli USA, non vennero smantellati e l’economia potè decollare, anche grazie alla stabilità politica e agli
elevatissimi investimenti. Merito della classe imprenditoriale fu quello d puntare sui settori in crescita come: siderurgia,
cantieristica, automobile e tecnologia. Già negli anni ’60 il Giappone era terza potenza economica mondiale dopo USA e URSS.
Miracolo nipponico.
22.8 La rivoluzione comunista in Cina e la guerra di Corea. Grande svolta nel 1949 con la vittoria comunista in Cina: una
grande potenza tornata indipendente del tutto e portatrice di un modello comunista distinto da quello russo e destinato ad
attrarre molti Stati ex coloniali. La precaria alleanza del 1937 tra nazionalisti (Chang Kai-shek) e comunisti (Mao Tse-tung)
contro l'aggressione giapponese, scomparve quando il Giappone si trovò occupato nel Pacifico contro gli USA e Chang Kai-shek
riprese la sua repressione contro i comunisti. Guidava un regime impopolare, corrotto e che preferiva fare guerra ad altri cinesi
piuttosto che agli occupanti (giapponesi). Al contrario i comunisti di Mao avevano guadagnato il consenso delle masse contadine
(alternativa maoista) con riforme agrarie nell’interno della Cina da loro controllato e facevano un’accanita guerriglia ai
giapponesi. Finita la guerra, gli USA cercarono di promuovere un accordo tra Mao e il Kuomintang, ma Chang Kai-shek rifiutò
ogni compromesso e decise di attaccare i comunisti, ma le sue forze erano ormai limitate e demotivate  dopo tre anni di
vicende alterne, Mao entrò a Pechino nel febbraio 1949 e nell’ottobre fondò la Repubblica popolare cinese, riconosciuta
dall'Urss e dalla GB ma non dagli USA che continuava a considerare legittimo il governo cinese di Kai-shek fuggito a Formosa.
Ad un’ampia socializzazione seguì un accordo di amicizia e di mutua assistenza tra Cina e URSS  fronte comunista si
ampliava. Primo campo aperto di scontro fu nel 1950 la Corea, che era stata divisa in due parti dagli accordi interalleati, divise
dal 38° parallelo. In Corea del Nord c’era un regime comunista guidato da Kim Il Sung, mentre in Corea del Sud un governo
nazionalista appoggiato dagli americani. Entrambi rivendicavano l’intera penisola coreana e una serie di incidenti di frontiera
portò nel giugno 1950 all’attacco nordcoreano (nordcoreani armati dai sovietici) al Sud. Gli americani, sotto la bandiera
dell’ONU, agirono inviando delle truppe in Corea del Sud e riuscendo a penetrare nel Nord comunista  intervento cinese di
MAO a difesa dei comunisti ribaltò le sorti del conflitto, riuscendo a penetrare nella Corea del Sud. Nel 1951 Truman aprì lr
trattative con la Corea del Nord che, assieme alla guerra, durarono fino al 1953 e terminarono con il ritorno alla situazione
precedente cioè con il confine al 38° parallelo. La minaccia comunista era sentita come mai prima.
22.9 Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica. Nel giro di cinque mesi finì la presidenza Truman (1952) e morì Stalin
(1953), il confronto tra blocco occidentale e sovietico assunse nuove forme. In URSS la “direzione collegiale” mantenne la linea
dura, mentre in USA arrivò Eisenhower che con la nuova amministrazione repubblicana aveva intenzione di sfidare l'Urss 
1953-54, uno dei periodi di maggiore tensione. Eppure in quel periodo si venne formando la reciproca accettazione e le
premesse per la coesistenza pacifica fra i 2 blocchi, con la presa di coscienza della forza dell’avversario e della progressiva
scomparsa del divario tecnologico (bomba H). 1955 con la fine del maccartismo negli USA e ascesa Kruscev in URSS si ebbero
gesti di distensione. In marzo, i sovietici decisero di ritirare le proprie truppe di occupazione dall'Austria in cambio dell'impegno
occidentale a garantire la neutralità del paese. Ciò venne sancito con il trattato di Vienna. Gli americani accettavano come dato
di fatto la situazione in Est Europa, infatti non intervenirono quando i sovietici attaccarono l'Ungheria
22.10 Il 1956: la destalinizzazione e la crisi ungherese. L’ascesa di Kuscev culminò nel 1957 quando questi raccolse in sé le
cariche di primo ministro e di segretario del partito. Si fece promotore di alcune significative aperture sia in politica estera sia in
politica interna infatti si riconciliò con gli jugoslavi, sciolse il Cominform, partecipò agli incontri di Vienna e Ginevra, mentre in
politica interna rilanciò l’agricoltura con maggiore attenzione alle condizioni di vita dei cittadini e abolì le grandi purghe. Demolì
con sistematica determinazione la figura di Stalin denunciando gli errori e i crimini commessi in Unione Sovietica, pur senza
mettere in discussione il modello sovietico e la dottrina leniana; ciò si evince nel rapporto Kruscev, durante il XX congresso del
Pcus, fece luce sulle atrocità compiute da Stalin negli anni del suo governo personale e lo denunciò. Effetto traumatizzante della
destalinizzazione si ebbe soprattutto in Polonia e Ungheria, anche se all’interno dell’URSS le parole di Kuscev non mancarono
di scuotere molti animi. Polonia: con l’appoggio della Chiesa cattolica gli operai polacchi iniziarono rivendicazioni e
manifestazioni, fino ad arrivare a proclamare scioperi. L’ottobre polacco, moto di protesta a livello nazionale che voleva
democratizzazione, spinse Mosca a favorire un cambio di regime  Gomulka attuò una politica liberalizzatrice e di conciliazione
con la Chiesa, senza uscire dalla sfera comunista sovietica però. In Ungheria, invece, le proteste sfociarono in insurrezione che
fece ritirare le truppe sovietiche dal Paese e portarono al governo il comunista dell’ala “liberale”, Nagy, che il primo novembre
annunciò l’uscita ungherese dal Patto di Varsavia. Il segretario del Partito Comunista, Kàdàr, invocò l'intervento sovietico. Nel
giro di pochi mesi l'Armata Rossa occupò Budapest, Nagy venne fucilato e Kadar assunse la guida del paese.
22.11 L’Europa occidentale e il Mercato comune. Se l’Europa dell’Est aveva “sovranità limitata”, quella occidentale
dipendeva in tutto e per tutto dagli States. GB: smobilitazione dell’Impero estremamente tranquilla. Nonostante il Welfare State
fosse stato mantenuto, i governi conservatori non riuscirono a frenare un declino economico iniziato da mezzo secolo, che
presto divenne stagnazione. La ripresa più spettacolare fu quella tedesca, grazie alla sua economia sociale di mercato. I fattori
del miracolo tedesco furono: ampia disponibilità di manodopera grazie ai profughi, la mobilitazione sindacale e la stabilità
politica. In coalizione con il Partito liberale, l’Unione cristiano-democratica restò al governo con Adenauer fino al 1963, mentre
l’opposizione costituzionale era nelle mani del Partito socialdemocratico. Di fronte alla crisi europea e al fatto di essere tutte
governate da sistemi simili, le Nazioni europee si iniziarono a concentrare su quanto avevano in comune  spinta
all’integrazione europea, che iniziò concretamente nel 1951 con la nascita della Ceca (Comunità europea del carbone e
dell'acciaio) che aveva il compito di coordinare produzione e prezzi in quelli che erano i settori-chiavi della grande industria
continentale. Trattato di Roma nel 1957 Francia, Italia, Germania federale, Belgio, Olanda e Lussemburgo, che istituì la CEE
(Comunità europea economica) scopo creare un Mercato comune europeo (Mec) attraverso il graduale abbassamento delle
tariffe doganali e la libera circolazione della forza-lavoro e dei capitali. Organi principali della CEE erano: Consiglio dei ministri,
Corte di giustizia e il Parlamento europeo. Sul piano economico l’integrazione diede grande impulso alle economie nazionali,
mentre sul piano politico la spinta all'integrazione rallentò nel giro di pochi anni, frenata dal peso delle tradizioni e dagli egoismi
nazionali.
22.12 La Francia dalla Quarta Repubblica al regime gaullista. La Francia fu l’unica democrazia occidentale a subire una crisi
istituzionale nel dopoguerra: dopo la rottura tra i tre partiti di massa nel 1947 ci furono dieci anni di instabilità. Difficoltà nel
gestire una smobilitazione imperiale con l’opposizione della popolazione: nel 1958 arrivò la minaccia di un colpo di Stato da
parte delle truppe di stanza in Algeria. De Gaulle venne richiamato e invitato a redigere una nuova costituzione, con la quale
nacque la Quinta Repubblica. Rafforzò l’esecutivo, il Capo dello Stato aveva il potere di nominare il capo del governo, di
sciogliere le Camere e di sottoporre a referendum le questioni importanti. Risolse con la forza l’affare algerino, e nonostante
avesse deluso le aspettative della destra colonialista. De Gaulle si fece promotore di una politica estera che tendeva a
svincolare la Francia dagli Stati Uniti, in modo che la Francia potesse diventare la guida di una futura Europa indipendente dai
due blocchi. De Gaulle ritirò nel 1966 le truppe francesi dall'organizzazione militare della Nato, pur restando fedele all'alleanza
atlantica; contestò la supremazia del dollaro nell'economia occidentale, proponendo il ritorno al sistema della convertibilità in
oro; mise il veto all'ingresso della GB nel Mec. Ma questa politica era velleitaria anche perché non sostenuta da una base
economica, ma nonostante ciò suscitò adesioni sia a destra che a sinistra.
24. L’Italia dopo il fascismo.
24.1 Un paese sconfitto. Difficile dopoguerra; situazione economica disastrosa: industrie poco devastate, ma agricoltura e
allevamento in ginocchio  problema approvvigionamenti alimentari. Inflazione alle stelle. Infrastrutture e case in gran parte
distrutte + disoccupazione  problemi di ordine pubblico, inasprimento lotte sociali e problema dei partigiani riluttanti a ritirarsi.
Nel Sud i contadini occupavano le terre e i latifondi, ma la minaccia più grave era senza dubbio costituita dal contrabbando e
dalla borsa nera (ossia al commercio clandestino dei generi razionati), e in Sicilia da un ritorno del fenomeno mafioso, anche a
causa dell’atteggiamento americano che si servì di noti esponenti delle malavita italo-americana per stabilire contatti con la
popolazione. Nell’isola si sviluppò un movimento indipendentista composto soprattutto dalla vecchia classe dirigente prefascista
condizionato dalla presenza mafiosa, ma i suoi tentativi furono sempre stroncati dai governi postliberazione  si trasformò in
banditismo del dopoguerra. Il Paese era disgregato moralmente e la frattura Nord-Sud si faceva più profonda: essi avevano
vissuto dal ’43 in due realtà diverse, con la continuità monarchica e gli alleati nel Mezzogiorno; l’occupazione tedesca, le lotte di
liberazione e la guerra civile al Nord. La liberazione aveva poi lasciato una voglia di rinnovamento in quanti avevano combattuto
per ottenerla  ma il vento del Nord (lotta partigiana) non soffiava in tutto il Paese, ancora sconvolto dal ventennio e comunque
uscito sconfitto dalla guerra.
24.2 Le forze in campo. I partiti in campo erano in pratica gli stessi del prefascismo, però cambiato era il contesto. Si assistè ad
una crescita della partecipazione politica. Il Partito socialista, pareva destinato ad assumere un rulo da protagonista anche
grazie alla popolarità del suo leader Pietro Nenni. Il gruppo dirigent però era diviso fra le spinte rivoluzionarie e il richiamo alla
tradizione riformista. Il Partito comunista, invece, aveva guadagnato terreno grazie al contributo dato alla liberazione dai
fascismo: era un “partito nuovo”, di massa e deciso a prendere parte alle istituzioni. L’unico in grado di competere con loro era la
Democrazia Cristiana, che si richiamava al partito popolare di Sturzo e ne ereditò la base contadina e piccolo-borghese, con le
sue fila rimpinguate anche dai membri di Azione cattolica durante il ventennio. Con l’esplicito appoggio della Chiesa, la Dc era
perno dell’ala moderata, anche perché il Partito liberale vedeva ormai eroso il suo legame con la base sociale, mentre il Partito
d’azione, per quanto moderno, non aveva una base di massa. I neofascisti si ricostituirono solo a fine ’46, ma le destre
andarono a ingrossare ora i monarchici ora la Dc ora il movimento del qualunquismo. “ L’Uomo qualunque”, movimento che si
prefiggeva di sostenere e rappresentare il cittadino medio, senza alcuna caratterizzazione ideologica, che raccolse parecchi
consensi nel Sud ma che già nel 1947 iniziò a scomparire. Nel frattempo la Cgil ovvero la Confederazione generale italiana de
lavoro (tre componenti, cattolica, comunista e
socialista) fece delle conquiste sindacali: commissioni interne (che
rappresentavano il sindacato all'interno delle aziende), scala mobile, disciplina licenziamenti, egualitarismo retributivo fra i
lavoratori delle diverse categorie
24.3 Dalla liberazione alla repubblica. A Bonomi successe il governo Parri,che era stato uno dei capi militari della Resistenza.
Parri cercò di normalizzare un Paese ancora sconvolto dal regime e dalla guerra  epurazione. Inoltre affermò di voler alzare le
tasse per le grande imprese e favorire la piccola e media  i moderati si opposero, e il governo cadde. La Dc fece salire De
Gasperi (cattolici forti ormai), che fece una svolta in senso moderato, bloccando le riforme economiche e l’epurazione (troppo
complessa). La sinistra restò delusa, ma ancora sperava nelle elezioni del 2 giugno 1946 dell’Assemblea costituente. Lo stesso
giorno si sarebbe votato per il referendum istituzionale, per decidere se mantenere monarchia o instaurare la repubblica. Per la
prima volta, avrebbero votato le donne. Nonostante l’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II, la
repubblica si affermò di netto, mentre per la Costituente trionfava la Dc con il 35% dei voti, seguita dal 20% socialista con alle
calcagna il 19% dei comunisti. Sinistra rinforzata ma non abbastanza da essere maggioritaria; la nuova espressione dell’Italia
moderata era la Dc. I partiti di massa stravinsero, e le vecchie dirigenze liberali erano ormai retaggio del passato ed erano stati
sostituiti dalla Sc. Anche il voto fu spaccato in Italia: al Nord repubblica e sinistra, al Sud contrario.
24.4 La crisi dell’unità antifascista. L’Italia nei due anni successivi definì il suo ordinamento istituzionale con la Costituzione,
la riorganizzazione economica secondo schemi capitalistici e un equilibrio politico notevole; democristiani, comunisti e socialisti
governavano insieme, riuscirono a scegliere De Nicola come Presidente della Repubblica. Secondo governo De Gasperi: i
contrasti sociali e la guerra fredda iniziarono ad esasperare le differenze interne alla coalizione della Dc con le sinistre. Mentre la
Dc tendeva sempre più ad assumere il ruolo di garante dell'ordine sociale e della collocazione del paese nel campo occidentale;
i comunisti invece guidavano le lotte operaie e contadine (per il salario, per l'occupazione, per la terra) e accentuavano il loro
allineamento all'Urss. A fare le spese di tale radicalizzazione fu però il Partito socialista in cui alla fine del 1946 si erano delineati
in seno al Psiup 2 schieramenti contrapposti:
1) a capo Nenni, voleva che il Partito mantenesse i suoi caratteri classisti e rivoluzionari e puntava su una possibile
alleanza fra l'Urss e le sinistre occidentali
2) a capo Saragt ostile verso il comunismo sovietico e la politica staliniana nell'Europa dell'Est
Nel 1947 a Roma vide la scissione di Palazzo Barberini, Giuseppe Saragat e i suoi che presero le distanze da Nenni e dalla sua
alleanza con i comunisti. Venne fondato un nuovo partito Partito socialista dei lavoratori italiani che poi successivamente prese il
nome di Partito socialdemocratico italiano. Crisi politica  maggior libertà d’azione alla Dc, che finì per escludere le sinistre dal
governo, ponendo alcuni membri democristiani nei ministeri (Einaudi e Sforza).
24.5 La Costituzione repubblicana. Nonostante la crisi però, la Costituente proseguì i lavori e li ultimò il 22 dicembre 1947. La
Costituzione si ispirava alle democrazie ottocentesche: sistema parlamentare, governo responsabile di fronte alle 2 camere:
camera dei deputati e il senato della repubblica (due camere elette a suffragio universale e titolari del legislativo), Corte
superiore della magistratura, Corte costituzionale, referendum abrogativo, istituto della regione. Molte norme restarono inattuate
per anni, come molti dei contenuti sociali (che erano solo risultato dell’incontro tra interessi Dc e interessi sinistre). L’impianto
politico è stato criticato molto, perché favorisce l’agibilità e la visibilità delle forze politiche, anziché la stabilità e legittimazione
autonoma al potere esecutivo. I partiti divennero arbitri della politica italiana, anche a causa della legge elettorale proporzionale
 immobilismo, sistema italiano bloccato anche dalla guerra fredda. In realtà fu un compromesso equilibrato, tanto più in un
periodo incerto e instabile come quello. Momento di estrema asprezza: accordi Stato-Chiesa, alla fine Togliatti accetta l’articolo 7
nonostante l'opposizione dei socialisti e degli altri partiti laici, in cui si stabiliva che i rapporti fra Stato e Chiesa erano regolati dal
concordato stipulato nel 1929 fra Santa Sede e regime fascista
24.6 Le elezioni del ’48 e la sconfitta delle sinistre. I partiti iniziarono la corsa per conquistarsi i favori degli elettori; due
schieramenti opposti: l’opposizione comunista e la Dc. Quando i socialisti si unirono con il Pci sotto l'isegnna del Fronte
popolare, fu chiaro che l’alternativa era secca. De Gasperi poteva godere di due potentissimi alleati: la Chiesa cattolica da un
lato, che fece grossolana ma efficace propaganda a favore della Dc, e gli Stati Uniti, che sostennero il partito democristiano e
minacciarono una sospensione degli aiuti del piano Marshall in caso di vittoria delle sinestre. Le sinistre e i socialisti fecero
appello ai lavoratori e alle classe disagiate, ma il legame con l’URSS, estremamente malvista, non giocò a loro favore, mentre la
Dc aveva dalla sua le prospettive di sviluppo e benessere. 18 aprile 1948: la Dc stravinse con il 48,5% dei voti, bruciante
sconfitta per le sinistre i cui sogni si infransero. Egemonia del partito cattolico si rafforzava intanto. A luglio uno studente di
destra ferì con un colpo di pistola Togliatti  proteste comuniste in tutto il Paese, che in molti casi si trasformarono in
insurrezioni violente che si esaurirono in pochi giorni, ma mostrarono a tutti quanto l’Italia fosse divise. Persino nei sindacati si
vide tale contrasto la decisione della maggioranza social-comunista della Cgil di proclamare uno sciopero generale per protesta
contro l'attentato a Togliatti fornì alla componente cattolica l'occasione per staccarsi dal sindacato unitario e per dar vita ad una
nuova confederazione la Cisl (Confederazione italiana sindacati lavoratori), mentre quella socialdemocratica e repubblicana
fondò la Uil (unione italiana del lavoro)
24.7 La ricostruzione economica. Gli elettori italiani avevano anche scelto una certa impostazione economica: già dalla fine
della guerra le riforme mancarono e avvenne una sorta di “restaurazione liberista”, che i governi postbellici mantennero. Non
volevano utilizzare i mezzi economici usati dopo la grande crisi, e tra l’altro non volevano assolutamente che lo Stato ingerisse
troppo nell’economia, prerogativa questa da regime. La sinistra non seppe creare alternative credibili ma si limitarono ad
un'azione di sostegnoai sindacati, di difesa dei salari e di tutela dell'occupazione mediante il blocco dei licenziamenti. Quando la
sinistra fu esclusa dal governo, De Gasperi fece Einaudi ministro del Bilancio. La sua linea prevedeva la lotta all’inflazione, la
stabilità monetaria e il risanamento del bilancio statale. Li ottenne con inasprimenti fiscali, svalutazione della lira e restrizione del
credito, ma a costi sociali immensi  crebbe la disoccupazione in quanto venne abolito il blocco dei licenziamenti. Le politiche
keynesiane stentavano ad attecchire in Italia: i milioni di dollari arrivati da noi con il piano Marshall furono mal gestiti, e non
furono usati per sviluppare la domanda interna ma per finanziare le importazioni di derrate alimentari e materie prime.
24.8 Il trattato di pace e le scelte internazionali. A Parigi nel 1947 l’Italia fu trattata esattamente come una potenza sconfitta:
dovette pagare riparazioni ai paesi attaccati e ridurre il suo esercito. Perse le colonie, ma di questo non importò a nessuno.
Mentre grande attenzione era data ai confini nazionali: ad ovest l’Italia non perse praticamente nulla e a nord riuscì a mantenere
il Trentino Alto-Adige grazie alla maggiore debolezza austriaca, ma i problemi si presentarono a est, dove gli jugoslavi avevano
occupato Trieste e gran parte del Friuli. Sistemazione provvisoria alla fine del 1946, ma si aprì così la questione di Trieste, che
doveva essere un territorio libero divise in una zona A occupata dagli alleati e in una B dagli jugoslavi. Nel 1954 la città tornò
all’Italia, ma la questione continuò a suscitare problemi. Il contrasto tra italiani e slavi si era inasprito nella guerra dopo le
vessazioni del regime ai nostri vicini, che però si rifecero alla fine della guerra, vendicandosi degli italiani (strage delle foibe, ad
esempio). Ma l’Italia non poteva incentrare la sua politica estera sulla questione triestina; da paese sconfitto, doveva attuare una
scelta di campo  USA naturalmente: fu chiaro con l’esclusione delle sinistre e l’accettazione dei fondi Marshall. Ma questo
schieramento non significava un’alleanza militare, che eppure arrivò nel 1949 nonostante le titubanze di tutti, per scelta di De
Gasperi e Sforza, quando l’Italia aderì al Patto atlantico.
24.9 Gli anni del centrismo. 1948-53: egemonia della Dc. La Dc continuò a puntare sull'alleanza coi partiti minori laici e
appoggiò la candidatura del liberale Einaudi a presidente della Repubblica. Era la formula del centrismo, consistente nell’avere
la Dc in mezzo che escludeva dalla maggioranza la destra monarchica e neofascista e la sinistra social-comunista e portava
avanti un timido riformismo sociale, per tenersi buone le masse, specie contadine  riforma agraria del 1950: espropriazione e
distribuzione delle terre, per tenere buona la popolazione e a lungo andare per rafforzare la piccola impresa agricola (da sempre
fattore di stabilità sociale), che tuttavia fu sempre piuttosto gracile e debole. Nonostante la riforma agraria iniziarono le grandi
migrazioni verso le città. Altro intervento fondamentale fu l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, un istituto che avrebbe
dovuto coordinare lo sforzo statale per lo sviluppo e il miglioramento del livello di vita nel Meridione. Risultati deludenti però,
quando si capì che la modernizzazione non partiva e la società era statica. Altre, come la legge Fanfani (case popolari) e la
riforma Vanoni (dichiarazione dei redditi) furono osteggiate dalla destra, mentre sempre più accanita era l’opposizione delle
sinistre, che protestavano per le condizioni dei lavoratori che non erano mai migliorate. Nonostante la ripresa industriale la
disoccupazione e i salari bassi persistevano  scioperi e manifestazioni  politica repressiva (ministro degli Interni, Scelba). I
comunisti e i socialisti furono persino “schedati”. Appena prima delle elezioni del 1953 De Gasperi e la Dc riuscirono a far
passare la legge elettorale che introduceva un sistema maggioritario. Legge fatta a pennello per la Dc (soprannominata “legge
truffa” dall’opposizione), ma la cui coalizione centrista fu sorprendentemente sconfitta e non potè accaparrarsi il premio di
maggioranza. La Dc di De Gasperi subiva così la prima sconfitta.
24.10 Alla ricerca di nuovi equilibri. Si iniziarono a cercare nuovi equilibri politici, e l’esigenza era quella di legarsi alle sinistre
e di dare una spinta riformatrice al Paese e intergrarlo in Europa (Mercato unico nel 1957). I successivi governi democristiani
comunque continuarono sulle orme degasperiane e mantennero la maggioranza quadripartita. Alcune novità: piano Vanoni
(programmazione economica), nascita del ministero delle Partecipazioni Pubbliche (coordinare attività delle aziende di Stato),
insediamento della Corte costituzionale, fondamentale per adattare la vecchia legislazione alla Costituzione e distruggere
qualche ultimo ricordo del fascismo. Ma progressiva si iniziò a vedere un’emarginazione dei degasperiani e l’emergere della
nuova generazione democristiana, quella di Moro, Rumor e Fanfani insomma. Quest’ultimo cercò di strutturare meglio il partito e
di scioglierlo dal vincolo con Confindustria, legandolo maggioramente alle imprese di Stato, come l’Eni  pericoloso legame tra
partiti ed economia. La linea centrista non mutò nemmeno con Fanfani (segretario dal 1954), ma con l’elezione presidenziale di
Gronchi il partito sentì forte l’instabilità della coalizione e la necessità di una apertura a sinistra, che ovviamente non poteva che
significare un dialogo con il Partito socialista, che nel 1956 con le denunce in URSS dello stalinismo ruppe con il Pci e attuò una
svolta autonomista portata avanti dallo stesso Nenni.
26. Distensione e confronto.
26.1 Mito e realtà degli anni ’60. Si dibatte se gli anni ’60 siano davvero stati un decennio felice o se in realtà siano stati
travagliati e duri come gli altri. Infatti se da un lato vi era lo sviluppo economico dall'altro vi erano i contrasti sociali e il mondo
viveva in un equilibrio del terrore, causato dalla deterrenza nucleare. Ci furono molti scontri anche sanguinosi soprattutto in
Medio Oriente e il Sud-Est asiatico
26.2 Kennedy e Kruscev: la crisi dei missili e la distensione. 1960: diventa presidente JFK, primo cattolico alla Casa Bianca.
Molto amato, si rifece a Wilson e Roosvelt, aggiornandoli con il mito della “nuova frontiera”, ovvero una frontiera non più
materiale ma spirituale, culturale e scientifica. Il riformismo kennediano in politica interna si risolse in un incremento della spesa
pubblica e nel promuovere integrazione razziale nel Sud. In politica estera fu ambiguo: accanto a dichiarazioni di volontà di
distensione, portava avanti una intransigente difesa degli interessi USA nel mondo. Primo incontro Kennedy-Kruscev fu a
Vienna nel 1961 sul problema di Berlino Ovest (che gli americani consideravano parte della Germania federale, mentre i
sovietici avrebbero voluta trasformarla in “città libera”): ma fu un fallimento. USA mantennero il loro impegno nella difesa di
Berlino Ovest, URSS eresse un muro per dividere i due settori: simbolo della divisione del mondo in due. Ma il teatro di
confronto tragico fu Cuba, dove Kennedy tentò di far crollare il regime castrista sia boicottandolo economicamente sia
appoggiando una insurrezione di esuli che sbarcarono alla Baia dei porci nel 1961  fallimento e scacco per Kennedy. L’URSS
rispose all’intrusione americana a Cuba offrendo a Castro aiuto economico e militare, ma fece anche installare delle basi di
lancio per missili nucleari sull’isola. Quando nel 1962 le basi furono scoperte da aerei-spia americani, Kennedy ordinò un blocco
navale attorno a Cuba per impedire alle navi sovietiche di raggiungere l'isola. Il mondo fu sull’orlo della guerra totale. Alla fine
Kruscev cedette smantellando le basi missilistiche, in cambio Cuba fu lasciata in pace  distensione. 1963: firma del trattato per
la messa al bando degli esperimento nucleari nell’atmosfera (invece continuarono quelli sotterranei); poco dopo installazione
della linea rossa dalla Casa Bianca al Cremlino per scongiurare una guerra per errore. Il 22 novembre 1963 Kennedy fu
assassinato a Dallas (nel 1968 sarebbe toccato al fratello Robert, e a Martin Luther King), gli successe Lyndon Johnson, capace
uomo politico che ampliò e attuò molti progetti di legislazione sociale (assistenza medica, sussidi ai poveri..) che già erano stati
avviati da Kennedy. Però legò il suo nome all'impopolare e sfortunato impegno americano nella guerra del Vietman Vietnam.
Kruscev aveva iniziato a parlare di mera competizione economica tra le due potenze, in discorsi pacifici; sfidò l’Occidente e la
“vittoria” sarebbe andata a quello capace di assicurare al popolo il massimo benessere e la giustizia sociale. Ma nell’ottobre
1964 fu estromesso a caduta dell'andamento non brillante (come promesso) dell'economia sovietica.
26.3 La Cina di Mao: il contrasto con l’URSS e la “rivoluzione culturale”. Si vedeva un crescente contrasto tra URSS e
Cina, dovuto a molti motivi, ma principalmente a differenze ideologiche; se l'Urss voleva un mondo bipolare, Mao tendeva a
mettere in dubbio lo status quo internazionale e ad appoggiare la causa dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo. La Cina
reclamava un ruolo di maggior rilievo. Metre l'Urss voleva mantenere fermo il suo ruolo di Stato-guida e di unica superpotenza
del campo socialista. Nel 1949 la situazione del la Cina era tragica, la nazionalizzazione delle industrie era completa e il settore
industriale prosperava; meno bene andava l’agricoltura: la riforma agraria raccolse la miriade di piccole imprese agricole in
cooperative controllate dalle autorità statali. Ma non andava ancora: troppa gente da sfamare  “grande balzo in avanti”, 1958:
che prevedeva una razionalizzazione produttiva e sacrificio del popolo  le cooperative furono forzatamente riunite in comuni
popolari, unità più grandi che dovevano puntare ciascuna all’autosufficienza economica, producendo in proprio quanto era
necessario. In un’atmosfera da piani quinquennali si consumò un assurdo fallimento: la produzione agricola crollò; la situazione
con l'Urss crollò, dopo le critiche sovietiche alla politica agricola cinese e il rifiuto dei russi di sostenere i piani nucleari della Cina
(che comunque nel 1964 la Cina aveva fatto esplodere la su prima bomba l’atomica)  addirittura scontri lungo il fiume Ussuri,
ai confini fra la Siberia e la Manciuria. All’interno il fallimento del balzo in avanti aprì la strada alle forze moderate, ma a Mao non
stava bene  avviò la cosiddetta “rivoluzione culturale”, mobilitazione dei giovani contro i più moderati che impedivano l’avvento
del comunismo, imprigionamento di molti di quelli che in realtà erano semplicemente gli oppositori di Mao Tse-tung. Il primo
ministro Chou En-lai, fu garante della continuità del potere istituzionale in tutti quegli anni, nonché artefice della clamorosa
apertura cinese verso gli USA  Nixon a Pechino nel 1972, e conseguente ingresso della Cina comunista nell’ONU. Fase di
transizione della Cina aveva così inizio.
26.4 La guerra del Vietnam. Gli accordi di Ginevra del 1954 avevano diviso il Vietnam in due repubbliche : quella del Nord
dove vi erano i comunisti di Ho Chi-minh; in quella del Sud vi era un regime semidittatoriale del cattolico Diem, sostenuto dagli
americani che volevano prendere il posto dei francesi in Indocina, per impedirne un contagio comunista.
Nel sud si sviluppò il Vietcong, movimento di guerriglia, guidato dai comunisti e sostenuto dalo Stato nordvietnamita; il governo
del Sud ricevette aiuti da Washington che inviò 30.000 “consiglieri militari”. Con Johnson l’intervento divenne apertamente
bellico: per tutto il ’64 il contingente fu alimentato di uomini e risorse, nel ’65 iniziarono i bombardamenti nel Nord Vietnam. Ma
né i vietcong né le truppe di Ho Chi-minh cedettero. Crisi dell’esercito USA, che tra l’altro vedeva in patria una mobilitazione
pressoché generale contro la guerra, contro la quale muovevano milioni di persone in imponenti manifestazioni di protesta. Nel
mondo si sviluppava il senso di solidarietà ai vietnamiti. I successi del Vietcong apparvero come la prova del fatto che la più
potente macchina militare potesse essere tenuta in scacco da una guerra del popolo. Inizio ’68: i vietcong lanciarono contro le
pricipali città del Sus l’offensiva del Tet (capodanno buddista), che non fece particolari danni ma mostrò quanto potente fosse la
guerriglia. A marzo Johnson fermò i bombardamenti del Nord e annunciò che non si sarebbe ricandidato  Nixon ridusse la
presenza militare americana in Vietnam e avviò negoziati ufficiali con il Vietnam del Nord e con il governo provvisorio, ma
contemporaneamente attaccò anche Laos e Cambogia per cercare di tagliare gli approvvigionamenti ai vietcong. Gennaio 1973:
armistizio di Parigi, ritiro americano. La guerra proseguì per altri due anni dopo l’armistizio, finchè il 30 aprile 1975 i vietcong e le
truppe del Nord entrarono a Saigon ovvero la capitale del Sud. Poco prima in Cambogia, Lon nol (il cui governo era
filoamericano), era stato cacciato dai comunisti, che anche in Laos prevalevano. Indocina comunista: più grande sconfitta
americana.
26.5 L’URSS e l’Europa orientale: la crisi cecoslovacca. A Kruscev successe Brežnev, che mantenne la politica del
predecessore mutandone lo stile, e rendendolo meno aperto e ottimista. Accentuò la repressione di ogni dissenso e le riforme
che promosse in economia non diedero grandi risultati; ripartì il riarmo a spese del popolo, anche se non cambiarono né i
rapporti con la Cina né quelli con l’Occidente. Se tollerarono la dissidenza rumena e la successiva parziale autonomia della
Romania, i sovietici furono intransigenti con la Cecoslovacchia. Il riformista Dubček fece un mini-golpe e prese il potere,
avviando un esperimento di socialismo misto ad elementi di pluralismo economico e soprattutto politico  era la primavera di
Praga, una sembianza di socialismo dal volto umano. Il Paese restava comunista, ma l'Urss non potè tollerare!! Il 21 agosto
1968 Praga fu occupata e un governo filosovietico stabilito. La resistenza passiva imbarazzò Mosca e la vide costretta a
rimettere al loro posto gli artefici del nuovo corso, compreso Dubček. Ma i sovietici iniziarono a lavorare per la “normalizzazione”
del Paese e la cacciata dei dissidenti. 1969: Husàk al potere. L’intervento a Praga fu ciriticato da tutti i Pc, ma Mosca potè così
stabilire il controllo ferreo sull’Europa orientale senza rendere conto a USA, impegnati in Indocina. Disagio tra governati e
governanti anche in Polonia, con la crisi del 1970 e l’insurrezione degli operai di Danzica e Stettino.
26.6 L’Europa occidentale negli anni del benessere. Gli anni '60 furono un periodo florido per le democrazie dell’Europa
occidentale; progressi nel tenore di vita della popolazione, quindi cambiarono i costumi. In Italia, Germania e GB questa fase
coincise con l'entrata al governo dei socialisti, in Francia invece tale contesto fu garantito dai gruppi di obbedienza gaullista,
anche dopo le dimissioni di De Gaulle nel 1969, con le successive presidenze Pompidou e Giscard d’Estaing. Germania: nel
1966 si interruppe il monopolio del potere dei cristiano-democratici, che dovettero creare una grande coalizione con i
socialdemocratici di Willy Brandt. I socialemocratici, passata la contestazione e la crisi economica, abbandonarono i cristianodemocratici e si allearono con i liberali, con cui governarono per il quindicennio successivo, anni di prosperità e crescita, ma
anche di un diverso approccio in politica estera. Infatti Scheel tese alla normalizzazione dei rapporti fra la Germania federale e i
paesi del blocco comunista, e ripropose una riunificazione delle 2 Germanie attraverso un graduale superamento dei blocchi.
Questa politica orientale (Ostpolitik) si concretò nell'instaurazione di rapporti diplomatici coi paesi comunisti, nel riconoscimento,
sancito da trattati con la Polonia e l'Urss, dei confini fissati dopo la 2° guerra mondiale e in un primo scambio ufficiale di contatti
con i tedeschi dell'Est.
GB: una congiuntura economica difficile costrinse il governo laburista Wilson a imporre un periodo di austerità, proprio mentre in
Ulster (Irlanda del Nord) riesplodeva la questione irlandese che andava anche a mischiarsi con la protesta sociale 
rivendicazioni e violenze, terrorismo e guerriglia urbana. Praticamente l'Irlanda del Nord era rimasta nel Regno Unito dopo la
concessione dell'indipendenza del resto dell'isola, ciò che gli irlandesi volevano ottenere era la riunificazione. La crisi economica
e l’abbandono delle ultime colonie (es. Singapore) spinsero Londra ad abbandonare la sua genetica riluttanza nei confronti
dell’adesione britannica alla Comunità Europea, che però avvenne nel 1972 insieme a Irlanda e Danimarca. Tuttavia ciò non fu
sufficiente a risolvere i problemi economici del Regno Unito, né a rilancare il processo d integrazione politica fra gli Stati del
Vecchio continente.
26.7 Il Medio Oriente e le guerre arabo-israeliane. Anche dopo la crisi di Suez del 1956 il Medio Oriente restò un’area
complessa e di potenziale scontro tra potenze; in particolare Israele era un protetto degli USA, l’Egitto dell’URSS. 1967: Nasser
chiese il ritiro dell’ONU dal Sinai, chiuse il golfo di Aqaba, vitale per gli approvvigionamenti israeliani, e strinse un patto militare
con la Giordania. Israele lanciò un attacco preventivo contro Egitto, Giordania e Siria e in sei giorni vide capitolare l'intera
aviazione egiziana e ciò fu disastroso per gli arabi. L'egitto perse Sinai, Giordania, Siria. La “guerra dei sei giorni” cambiò molte
cose, tra cui: declino d Nassaer e della sua politica di oltranzismo panarabo; lo stesso atteggiamento dell’Olp di Yasser Arafat,
che soprattutto dopo il settembre nero (re Hussein di Giordania portò avanti un’offensiva contro i feddayn e i palestinesi profughi
per non essere nel mirino di Tel Aviv) rivolse la sua lotta terroristica al piano internazionale (attentato contro squadra israeliana
alle Olimpiadi Monaco ’72). 1970: morte di Nasser, cui succede Sadat, che voleva riprendere il Sinai e attaccò Israele il 6 ottobre
1973 il giorno dello Yom Kippur, da cui la guerra prese il nome. Fu respinto, ma riuscì a lavare l’onta del 1israele grazie agli aiuti
massicci americani riuscì a respingere gli attaccanti. La crisi assunse portata mondiale quando i Paesi arabo chiusero il canale
di Suez e decretarono il blocco petrolifero contro i Paesi occidentali amici di Israele.
La crisi petrolifera. Dopo venticinque anni di crescita incontrastata le società capitalistiche iniziarono a mettere in dubbio i
fondamenti stessi della loro esistenza; due eventi epocali provocarono questa crisi economica diversa da tutte le precedenti;
anzitutto, la decisione di Nixon nel 1971 di bloccare la convertibilità del dollaro in oro, che aveva garantito la stabilità monetaria
mondiale dal 1944, in secondo luogo la decisione dei paesi arabi di quadruplicare il prezzo del petrolio  tale shock petrolifero
colpì maggiormente quei paesi che dipendevano totalmente dalle importazioni. La produzione calò, ma a differenza del passato
vi fu una concomitante crescita inflazionistica, che prese il nome di “stagflazione”, dovuta alla cause esterne e alla rigidità dei
salari  lavoratori tutelati. Il vero problema fu infatti la disoccupazione.
Capitolo 27 – Anni di crisi
inizio degli anni '70 due avvenimenti dalle conseguenze traumatiche
1971: Stati Uniti decisero di sospendere la convertibilità del dollaro in oro.
1973: decisione presa dai paesi produttori di petrolio, in seguito alla guerra arabo-israeliana, di quadruplicare il prezzo della
materia prima.
=> Generale tensione inflazionistica (stagflazione) dovuto in parte all'origine «esterna» dell'inflazione, in parte alla maggiore
rigidità dei salari. Crescita della disoccupazione. Crisi del «Welfare State». La crescita continua della spesa pubblica costrinse i
governi a portare a livelli sempre più alti la pressione fiscale. Avvento al potere dei conservatori in Gran Bretagna, con Margaret
Thatcher (1979) e l'elezione alla presidenza Usa del repubblicano Ronald Regan (1980)
La crisi delle ideologie
Cultura di sinistra era stata la cultura egemone: si basava sul presupposto di un'illimitata capacità espansiva del sistema
economico. Queste e altre certezze cominciarono a venir meno.
incapacità dei regimi ispirati al modello leninista e collettivista di offrire soluzioni accettabili ai problemi della società
contemporanea => fine del mito Urss.
Drammatica esplosione di terrorismo politico, attuato da piccoli gruppi clandestini fortemente militarizzati (le Brigate rosse in
Italia; la Raf, ossia federazione dell'Armata rossa, attiva in Germania; il gruppo di Action directe in Francia) ispirate a una
versione estremizzata del marxismo-leninismo. movimenti di liberazione del Terzo Mondo e quelli nati dalle lotte delle minoranze
etniche nella stessa Europa (Ira ed Eta). terrorismo come fenomeno internazionale: terrorismo di matrice fondamentalista
islamica (1981: papa Giovanni Paolo II fu gravemente ferito in Piazza San Pietro da un terrorista turco).
Gli Stati Uniti e la «rivoluzione reaganiana»
Stati Uniti gli anni '70: crisi del dollaro, la guerra del Vietnam, il caso Watergate, che nel 1974 costrinse alle dimissioni il
presidente Nixon.
1976: Jimmy Carter cercò di promuovere una politica di tipo «wilsoniano», fondata sul difesa dei diritti umani => la linea di
opposizione a quella sovietica e la rivoluzione iraniana contribuirono alla sconfitta di Carter
1980: Ronald Regan, anziano esponente dell'ala destra del Partito repubblicano. in politica estera adottò una linea più dura nei
confronti dell'Urss, incarnando l'orgoglio nazionalista americano.
Fra l'83 e l'86 l'economia riprese a marciare,
Strategia di Regan: mantenimento di un alto livello di armamenti (lo scudo elettronico spaziale).
Sostegno in armi e materiali ai guerriglieri afgani in lotta contro l'invasione sovietica, sfida ai regimi intagralisti del Medio Oriente,
l'Iran e la Libia.
Regan concluse il suo secondo mandato con una popolarità pressochè intatta, grazie anche al successo dei suoi incontri con il
leader sovietico Gorbacev e all'avvio di una nuova fase di distensione.
1988: George Bush, già vicepresidente con Regan: significativo ridimensionamento dello scudo spaziale.
1989: intervento militare a Panama
1990-91: intervento massiccio contro l'Iraq di Saddam Hussein.
1991-92: dissoluzione della potenza rivale e definitiva vittoria degli Stati Uniti.
L'Urss: da Breznev a Gorbacev (1985-90 segreteria del Pcus e poi presidente dell'Urss nel '90)
Anni '70: furono gli anni del potere incontrastato di Breznev. Successo effimero fu quello ottenuto dall'Urss nel vicino Afghanistan
1975: Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa
Fine degli anni '70 i membri europei della Nato decisero l'installazione di nuovi missili a media gittata - gli euromissili - per
rispondere allo spiegamento di armi analoghe da parte dell'Urss
Fine 1979: i sovietici inviarono in Afghanistan un forte contingente di truppe che si dovette scontrare per quasi dieci anni, contro
l'accanita resistenza dei gruppi guerriglieri islamici (sostenuti dal Pakistan, dall'Iran e anche dagli Stati Uniti).
1982: morte di Breznev
1985: Gorbacev, svolta radicale: la «perestroika» (riforma) => serie di interventi nel segno della liberalizzazione, volti a introdurre
nel sistema socialista elementi di economia di mercato.
Ginevra ('85)e a Reykjavik ('86): Incontri fra Reagan e Gorbacev, inaugurarono un clima più disteso nei rapporti Usa-Urss.
1987: terzo vertice a Washington che portò a uno storico accordo sulla riduzione degli armamenti missilistici in Europa.
Emergere di movimenti autonomisti e indipendentisti fra le popolazioni non russe: le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e
Lituania) e le repubbliche caucasiche (Armenia , Georgia, Azerbaigian).
1988: l'Urss s'impegnò a ritirare le sue truppe dall'Afghanistan.
1989: nuovi incontri al vertice fra Gorbacev e Bush
1990: la Repubblica russa rivendicò la propria autonomia dal potere federale ed elesse Boris Eltsin
Nuovo ordine internazionale:
1990: Parigi. Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa
Gran Bretagna
1979: vittoria dei conservatori di Margaret Thatcher (che governò ininterrottamente per 11 anni).
1990: La presidenza passa a Hohn Major, conservatore.
Germania
1983: i governi Brandt e Smidth, ascesa al governo del cristiano-democratico Helmuth Kohl.
Francia
1981-93: presidenza il socialista Francois Mitterrand
Governi a guida socialista si affermarono, all'inizio degli anni '80 , nelle nuove democrazie dell'europa meridionale (Grecia,
Spagna e Portogallo). ulteriore allargamento della Cee, cui aderirono tutti e tre i paesi: la Grecia nell'81, la Spagna e il
Portogallo nell'86.
America Latina
quelli compresi fra la crisi petrolifera (1973) e la caduta del muro di Berlino (1989) furono anni di profonde trasformazioni.
Il Cile, da Allende a Pinochet.
L'Argentina, fra peronismo e dittature militari. 1983: vittoria del radicale Raul Alfonsin.
1984-85: si ebbero libere consultazioni in Perù, Uruguay, Bolivia.
1988: in Cile, il regime di Pinochet fu sconfitto => vittoria dei democristiani.
1989: fu rovesciata anche la dittatura del generale Stroessner in Paraguay.
1992: in Perù. Colpo di Stato, sospensione della Costituzione ed esautorazione del Parlamento.
Colombia: strapotenza dei grandi trafficanti di droga
1979: in Nicaragua il movimento sandinista rovesciò la dittatura di Somoza. 1989-90: elezioni che portarono al potere il fronte
antisandinista.
La sconfitta dei sandinisti accentuava l'isolamento di Cuba, dove il regime di Fidel Castro era messo in seria difficoltà dal
collasso dell'Urss.
Asia comunista
Negli anni successivi alla vittoria dei comunisti in Vietnam (1975) e alla morte di Mao in Cina (1976), l'Asia comunista attraversò
una fase di profonde trasformazioni e di drammatici conflitti.
tragiche vicende in Cambogia, dove i khmer rossi misero in atto, fra il '76 e il '78, uno dei più radicali e sanguinari esperimenti di
rivoluzione sociale mai tentati nella storia. i comunisti cambogiani consumarono uno spaventoso massacro, non solo dal punto
di vista umano
1978: soldati vietnamiti, invadevano il paese e vi installavano un governo «amico» rovesciando quello dei khmer rossi.
1979: i cinesi effettuarono una spedizione punitiva nel Vietnam del Nord.
Solo nell'88, grazie alla mediazione dell'Onu, le forze vietnamite cominciarono a ritirarsi dalla Cambogia, raggiungendo solo nel
'91 un precrio accordo di pacificazione.
La Cina dopo Mao
Fine anni '70: ascesa di Deng Xiaoping: furono introdotti nel sistema elementi di economia di mercato. La contestazione
studentesca: Pechino, primavera dell'89, serie di imponenti e pacifiche manifestazioni di piazza per chiedere più libertà e più
democrazia. intervento dell'esercito nella piazza Tienannen (giugno '89) che si risolse in un vero e proprio massacro, suscitò
reazioni sdegnate in tutto il mondo democratico.
il paese più popoloso del mondo divenne teatro di un inedito esperimento di liberalizzazione economica all'interno di un regime
che si proclamava ancora comunista.
Il «miracolo» giapponese
Uscito dalla guerra in condizioni disastrose, il Giappone era divetato, già negli anni '60, la terza potenza economica del mondo,
dopo Usa e Urss.
28. L’Italia dal miracolo economico alla crisi della prima repubblica.
28.1 Il miracolo economico. Tra ’58 e ’63 si ebbe il “miracolo economico”, durante il quale l’Italia crebbe a ritmi virtuosissimi. Il
settore manifatturiero nel ’61 triplicò il suo livello di produzione rispetto a quello prebellico  aumento export prodotti italiani
(elettrodomestici persino). Solidità lira, stabilità prezzi, diffusione prodotti italiani, successo Olimpiadi di Roma del 1960 
ottimismo italiano. Molti fattori hanno favorito il miracolo: la congiuntura internazionale favorevole, la politica di libero scambio,
adesione alla CEE, le poche tasse, ma soprattutto bassi salari e alti profitti. Manodopera a basso costo perché c’era molta
disoccupazione e migrazioni dal Sud al Nord. In questo periodo, di fronte ad un agricoltura ferma a livelli vecchi e che perdeva
addetti, l’Italia divenne un Paese industriale. Agricoltura ristagnava, mentre crescevano i consumi in conseguenza del calo della
disoccupazione e dell’aumento della capacità contrattuale dei lavoratori  salari più alti  battuta d’arresto del miracolo tra ’63 e
’64. Sarebbe ripreso nel 1966.
28.2 Le trasformazioni sociali. Notevoli mutamenti, Italia si lasciò alle spalle le strutture e i valori della società contadina ed
entrò nella civiltà dei consumi. Fenomeno più importante: esodo da Sud a Nord e dalle campagne alle città: Torino ad esempio
crebbe addirittura del 40%  spugne di questa manodopera in arrivo erano i settori commerciale ed edilizio. Pesanti costi umani
dell’urbanizzazione: disordine urbano e speculazione  impiantare i meridionali nelle città del Nord non era procedimento
indolore. Tuttavia in questi stessi anni le differenze nei comportamenti sociali cominciarono ad attenuarsi: ebbe inizio un
processo di integrazione legato alle comuni esperienze lavorative, favorito anche dalla scolarizzazione dalla diffusione di alcuni
strumenti di massa: diffusione della televisione principalmente, ma anche dell’automobile. 1955: avvento televisione,
programmazione Rai, ma boom arrivò con il miracolo  attraverso essa passavano la lingua comune (che iniziò a diffondersi) e
modelli culturali di massa. Automobile: utilitarie 500 e 600 della Fiat. Diffusione favorita da una politica fiscale che favoriva le
basse cilindrate e dal progetto di costruzione di una grande rete autostradale.
28.3 Il centro-sinistra. Necessaria un’apertura a sinistra da parte del governo; non era facile, osteggiata da molti della Dc, dalle
destra economica, ma anche dal Vaticano e dagli USA. La svolta ci fu dopo una serie di avvenimenti drammatici: 1960, il
democristiano Tambroni, non riuscendo a trovare l'accordo con i socialdemocratici e repubblicani, si legò ai voti del Movimento
sociale, l’unico con cui al momento riusciva ad accordarsi, e instaurò un governo “monocolore”  proteste dei laici e della
sinistra Dc. Quando Tambroni permise all’Msi di svolgere il suo congresso nazionale a Genova, città antifascista di tradizione,
scoppiarono disordini, in tutta Italia, dove l’opinione pubblica di sinistra insorse contro il governo che voleva allearsi con
l’estrema destra  Tambroni fu sconfessato e costretto a dimettersi. Fu Fanfani, più tardi lo stesso anno, ad aprire la stagione
del “centro-sinistra”. Alleanza tra Dc, Pri e Psdi nel 1962, grazie soprattutto all’operato di Aldo Moro, finchè un secondo governo
Fanfani non ottenne l’appoggio socialista ai singoli progetti legislativi. Il programma del centro-sinistra prevedeva la
realizzazione della scuola media unica, nazionalizzazione dell'industria elettrica. Enel nacque nel 1962. Era un esperimento di
programmazione economica per ridurre disuguaglianze. Fu creata tra l’altro la scuola media unica, mentre l’attuazione delle
regioni fu rinviata. La programmazione non riuscì mai sul serio, troppe divergenze tra socialisti e repubblicani, in più mancava
una base politica e sindacale sufficientemente ampia. Alle elezioni del 1963 i democristiani e i socialisti persero voti a favore di
liberali e comunisti  governo “organico”di centro-sinistra, cioè con ministri socialisti accanto a quelli democristiani,
socialdemocratici e repubblicania, nacque sotto la presidenza di Moro nel dicembre 1963. il processo riformatore fu bloccato a
causa di un rallentamento economico + forze ostili al centro-sinistra (alte gerarchie militari e presidente della Repubblica Segni).
Ma il contrasto all’innovazione era interno alla stessa Dc, in realtà. Mai scelte radicali, anche nell’operato tendenzialmente
negoziale di Moro. 1964: scissione socialista e nascita del Psiup (Partito socialista di unità proletaria); nel Psi, comunque,
restavano due linee diverse: una faceva capo a Lombardi (voleva riforme di “struttura”), l’altra a Nenni (voleva unirsi al Psdi,
unione che sarebbe durata appena un paio di anni). 1964: morte di Togliatti che lsciò un testamento politico memoriale di Yalta:
indipendenza da Mosca e proseguimento della originale “via italiana al socialismo”; nonostante ampi consensi, il Pci era isolato
politicamente, anche quando contribuì all’elezione a presidente della Repubblica di Saragat. Centro-sinistra sarebbe durato per
un bel po’.
28.4 Il ’68 e l’autunno caldo. Fine anni ’60: radicalizzazione dello scontro sociale, iniziato con la contestazione studentesca e
l’occupazione di alcune università. Accanto agli elementi classici (es anti-imperialismo, protesta contro la guerra in Vietnam,
avversione alla civiltà dei consumi), la contestazione studentesca italiana ebbe una forte componente marxista e rivoluzionaria,
che quindi sempre di più era ostile alla società borghese e sempre più si collegava per combattere le sue battaglie alla classe
operaia. Cambiarono i comportamenti, che si ripercossero sul ruolo della famiglia e sui rapporti tra sessi. Tra ’68 e ’70 nacquero
numerosi movimenti extraparlamentari di ispirazione operista e maoista in alcuni casi (es. Potere operaio, Lotta continua e
Unione dei marxisti-leninisti). 1969: lotte dei lavoratori in vista dei rinnovi contrattuali, culminate nell’ autunno caldo; protagonista
fu l’operaio massa (immigrato, poco qualificato, a disagio nell’inserirsi)  Cgil, Cisl e Uil riuscirono a pilotare le lotte e ad
ottenere ingenti aumenti salariali (18%). Si avvicinarono una all’altra, dando il via ad una stagione di nuovo peso dei sindacati
nella politica italiana: trattative dirette con il governo su molti temi anche non del lavoro, e invasione del campo d’azione dei
partiti. Il nuovo peso delle organizzazioni sindacali fu favorito, e in qualche modo sancito dall'approvazione da parte del
Parlamento, nella primavera del '70, dello Statuto dei lavoratori, una serie di norme che garantivano le libertà sindacali e diritti
dei lavoratori all'interno delle aziende. La classe dirigente fu incerta nel rispondere ai sommovimenti del ’68-’69, ma furono
approvato ugualmente leggi molto importanti: liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitarie, l’istituzione delle regioni e
successivamente del divorzio.
28.5 La crisi del centro-sinistra. Crisi del paese nei primi anni ’70, instabilità politica e terrorismo. 12 dicembre 1969: strage di
piazza Fontana  si seguiva una “pista anarchica”, ma la sinistra vedeva una matrice estremista di destra nell’attentato. Si parlò
di “strategia della tensione” portata avanti dalla destra per incrinare le basi dello Stato democratico. Estate ’70: Reggio Calabria
esasperata per non essere diventata capoluogo insorse, in pratica guidata dall’Msi. Contrasti nella maggioranza: la Dc si e Psdi
tendevano a farsi interpreti di un opinione pubblica moderata (maggioranza silenziosa) spaventata dalle agitazioni operaie e
voleva spostarsi a destra; il Psi mirava al progressivo coinvolgimento del Pci nelle responsabilità del governo. Elezioni
anticipate, 1972: né governo centrista di Giulio Andreotti (’72-’73), né quelli di centro-sinistra di Rumor (’73-’74) riuscirono a fare
scelte politiche adeguate e a superare la i problemi economici (ristagno produttivo dovuto anche alle continue conflittualità
sindacali, crescita della spesa pubblica) , che si tramutò in catastrofe nel 1973 con la crisi petrolifera. Infatti l'aumento del prezzo
del petrolio causò un calo della produzione industriale e l'avvio di un processo inflazionistico. In più, scandali politico-finanziari,
di corruzione  frattura tra società politica e società civile. Nel 1974 la nuova legge sul divorzio fu sottoposta a referendum
abrogativo voluto dai cattolici. Vittoria per i divorzisti. Mutamenti della società, donna come uomo  equiparazione dei coniugi
nel diritto di famiglia (1975), abbassamento della maggiore età. 1978: dopo aspro dibattito, aborto. Forze del cambiamento
parvero in crescita  il Pci di Enrico Berlinguer volle un compromesso storico, alleanza duratura con socialisti e cattolici per
allargare base sociale e facilitare il riformismo. Quindi stabilì contatti con i comunisti spagnoli e francesi  eurocomunismo,
diverso da quello sovietico. Il carattere rassicurante del Pci favorì i successi elettorali a livello regionale e locale, molte giunte
comuniste. Però lo spostamento a sinistra dell'elettorato accentuò i dissensi tra Dc e Psi dissensi tra Dc e Psi che portarono alla
fine dell'esperienza centro-sinistra. Ritiro socialista portò a elezioni anticipate nel 1976: crescita del Pci fino al 34,4%, rimonta Dc
e sconfitta Psi  ascesa della corrente autonomista alla cui segreteria via era Bettino Craxi.
28.6 Il terrorismo e la solidarietà nazionale. L' Unica soluzione ad una nuova formula del governo era il coinvolgimento Pci
nella maggioranza. Cos' si giunse a un governo monocolore democristiano guidato da Andreotti. Era la risposta governativa alla
crisi economica e all’emergenza terroristica, tanto di destra quanto di sinistra. Terrorismo nero (di destra): attentati dinamitardi
indiscriminati, per creare il panico e favorire una svolta autoritaria  piazza della Loggia a Brescia nel 1974 e attentato alla
stazione di Bologna nel 1980. Il potere politico fu incapace di indirizzare correttamente le indagini e scoprire come fermare il
terrorismo nero. Stato debole, terrore di un colpo di Stato, terrorismo di destra e corruzione politica  terrorismo rosso, di
sinistra: Lotta armata e clandestinità erano considerate eccezionali scelte di vita  mobilitazione operaia contro il capitalismo.
Dopo qualche attentato incendiario, le Brigate rosse iniziarono con i rapimenti e gli assassinii programmati. Sopraggiunse anche
la crisi economica nel 1975, con inflazione altissima e la piaga della disoccupazione giovanile  ondata di protesta, anche
armata, nel 1977, da parte degli studenti. Anche perché con lo sviluppo della scolarizzazione accrescevano anche le aspirazioni
dei giovani, i quali faticavano però a trovare sbocchi adeguati l titolo di studio. Nessun esito  impennata del terrorismo rosso.
Centinaia di attentati tra 1978 e 1980. 1978: più ambizioso progetto delle Brigate rosse  sequestro di Aldo Moro, presidente
della Dc. 55 giorni di prigionia, quindi l’assassinio. Cadavere ritrovato in una via del centro romano. Fu l’apogeo ma insieme
l’inizio del declino del terrorismo rosso, che già nel 1980 incassò le prime sconfitte. Il governo di solidarietà nazionale, creato
dopo la morte di Moro, iniziò la politica dell’austerità per migliorare le condizioni economiche del Paese: qualche miglioramento
ci fu, ma mancarono le riforme. L’equo canone (per regolare e calmierare gli affitti) e la riforma sanitaria che sanciva la gratuità
delle cure per tutti e riordinava la medicina pubblica, affidandone la gestione ad appositi organismo, le Usl, ma si rivelarono
fonte di inefficienza e di sprechi, furono dei fallimenti. La solidarietà nazionale fu una amara delusione, anche con l’ingresso dei
comunisti al governo non servì a molto. Continuò ad esserci cattiva gestione e corruzione che arrivarono a toccare persino il
Quirinale costringendo alle dimissioni Leone nel giugno 1978 che era stato accusato di connivenze con gruppi affaristici.
Elezione di Sandro Pertini, socialista moralmente indiscusso che ottenne subito molta popolarità. Psi insofferenti dei vincoli
imposti dalla grande coalizione che rendeva sempre più difficile la collaborazione all'interno della maggioranza e e ricreava le
condizioni per una ripresa dell'alleanza fra i partiti del centro e del Psi (interrotta nel '75 per volontà degli stessi socialisti),
mentre con l’uscita del Pci dalla coalizione la solidarietà nazionale finì miseramente.
28.7 Politica, economia e società negli anni ’80. I risultati delle elezioni anticipate del 1983: il Pci perse terreno, il Psi raccolse
risultati deludenti (non sarebbe stato il perno della politica italiana) e la Dc subì una netta sconfitta. Unica strada praticabile?
Coalizione di centro-sinistra  pentapartito (Dc, Psi, Pri, Psdi, Partito liberale: governo pentapartitica) , ma la novità fu che la
guida del governo andò nell’81-’82 al segretario repubblicano Giovanni Spadolini, dall’83 al socialista Bettino Craxi. La
presidenza di Craxi si caratterizzò per il tentativo di potenziare il ruolo esecutivo e affermare una più incisiva presenza dell'Italia
nella politica internazionale. Inoltre Craxi firmò nel 1984 un nuovo concordato con la Chiesa. Ciriaco De Mita cercò di rinnovare
internamente la Dc, ridandole credibilità. In generale, tutti i partiti maggiori erano in crisi, anche il Pci che dopo il sorpasso della
Dc alle elezioni europee del 1984 tornò sotto il 30% l’anno successivo. I sindacati furono sconfitti nella vertenza contro la Fiat
sul problema della riduzione della manodopera. La Fiat riuscì a portare avanti la sua razionalizzazione produttiva. Da questo
momento ruolo politico dei sindacati ridimensionato in negativo. Craxi tagliò alcuni punti della scala mobile, nell’ambito della sua
lotta all’inflazione  scontri sul costo del lavoro. Problema della spesa pubblica si inserì nel generale clima di sfiducia e
abbandono del Welfare State, e la denuncia dell’assistenzialismo statale. A partire dal 1984 l’economia italiana diede segni di
ripresa anche grazie al rinnovamento tecnologico di alcuni settori industriali, che comunque ebbe ripercussioni sulla collettività
(disoccupazione – cassa integrazione guadagni). Il sistema economico italiano era estremamente vitale, grazie soprattutto della
crescita dell’economia sommersa ossia quella miriade di piccole imprese con bassi costi e alta adattabilità e produttività.
Terziario in espansione, clima generale di ottimismo e risveglio, subito rallentato da nuovi scandali politici, come quello della
Loggia P2 (branca segreta della massoneria che puntava ad una ristrutturazione autoritaria dello Stato e con molti legami con
politici di quegli anni). La malavita organizzata prosperava, e la mafia arrivò persino a perpetrare attentati terroristici inizialmente
attribuiti alla destra estrema (treno Firenze-Bologna, 1984). Mafia e camorra trovarono la loro principale fonte di lucro nel
controllo del mercato della droga. La lotta contro il terrorismo rosso invece fece notevoli passi avanti, quando i cosiddetti pentiti
decisero di denunciare i compagni e collaborare con lo Stato (in seguito ai sconti di pena)  dal 1981 in avanti gli attentati
cominciarono a diminuire e i gruppi clandestini cessarono di esistere.
28.8 Le difficoltà del sistema politico. Le disfunzioni del sistema italiano (lentezza delle procedure parlamentari, l'instabilità di
una maggioranza troppo composita e logorata da continue polemiche interne, la mancanza di u alternative alla coalizione di
governo) richiedevano una riforma istituzionale. Luglio 1985: Francesco Cossiga presidente della Reppublica. Difficoltà del
pentapartito (in realtà contrasti Psi-Dc) portarono al crollo del lungo governo Craxi e alle elezioni anticipate del 1987  Psi e Dc
crebbero, Pci scese, ma la cosa importante è che apparvero nuovi gruppi, i Verdi e Leghe regionali (antimeridionalisti xenofobi).
Si riuscì a costituire una maggioranza a fatica  governi Goria e De Mita, non fecero assolutamente nulla degno di noto, non
risanarono le finanze e non riformarono le istituzioni  nuovo segretario Dc, Forlani, e non più De Mita, che nel maggio 1989 fu
anche costretto a lasciare il governo. Crisi risolta in luglio con la ricostituzione del pentapartito e un governo Andreotti, che
tuttavia dovette affrontare una crisi di maggioranza, che vide l’uscita dei repubblicani dalla coalizione (1991). I limiti strutturali del
sistema politico italiano iniziarono a venire a galla, ma furono elementi esterni al sistema a causare la crisi della prima
repubblica.
Capitolo 30 – La caduta dei comunismi
Un sistema in crisi: Sconfitta dell'Urss tanto più evidente negli anni della stagnazione brezneviana; regimi spietatamente
autoritari, o addirittura responsabili di genocidio, come quello di Pol Pot in Cambogia; il modello cubano aveva perso gran parte
del suo fascino; fatti di piazza Tienanmen.
Gorbacev e il collasso dell'impero sovietico: Nel momento in cui il riformismo gorbaceviano aprì le prime brecce nel sistema,
cercando di introdurvi dosi controllate di pluralismo e rinunciando all'uso della forza nei confronti dei satelliti, l'intera costruzione
crollò in tempi rapidissimi.
I mutamenti in atto nell'Urss ebbero immediate ripercussioni nei paesi satelliti.
1980-1981: in Polonia era nato un sindacato indipendente a forte base operaia, e di dichiarata ispirazione cattolica, chiamato
Solidarnosc («solidarietà»).
1981: Colpo di stato in cui Partito operaio polacco (l'equivalente del Partito comunista) assunse pieni poteri e mettendo fuori
legge Solidarnosc.
La Chiesa e il sindacato continuarono tuttavia a operare in semiclandestinità e dopo la svolta gorbaceviana il dialogo si
intensificò, fino al'apertura, nel 1989 di un tavolo ufficiale di negoziato.
1989: si svolsero libere elezioni, prime in un paese comunista, e videro la schiacciante vittoria di Solidarnosc, aprendo la strada
alla nascita di un governo di coalizione.
Gli avvenimenti polacchi diedero avvio a una sorta di reazione a catena che, nel giro di pochi mesi, fra il1989 e il 1990 avrebbe
messo in crisi l'intero sistema delle «democrazie popolari».
1989: anche in Ungheria si tennero libere elezioni. segnarono l'affermazione di un partito di centro-destra, e la quasi scomparsa
degli ex comunisti.
Importanti decisioni: rimozione dei controlli polizieschi e delle barriere di filo spinato al confine con l'Austria.
9 novembre 1989: la caduta del muro di Berlino, simbolo della guerra fredda => rappresentò un evento epocale e assurse a
simbolo della fine delle divisioni che avevano spaccato in due l'Europa e il mondo all'indomani del secondo conflitto mondiale.
In Cecoslovacchia: il Parlamento, presieduto da Dubcek, elesse alla presidenza della Repubblica lo scrittore Vaclav Havel, già
perseguitato dal regime comunista.
In Romania: fine della dittatura di Ceausescu, catturato e condannato a morte assieme alla moglie Elena.
In Bulgaria: fu avviato un graduale processo di liberalizzazione.
1990: In Bulgaria e in Albania i comunisti mantennero il potere temporaneamente, ma furono sconfitti alle successive
consultazioni politiche.
In Germania dell'Est vinsero i cristiano-democratici. Il governo Kohl riuscì a preparare con grande efficacia e in pochi mesi
l'assorbimento della Germania orientale nelle strutture istituzionali ed economiche della Repubblica federale tedesca e a far
acettare all'Est la nuova realtà di una Germania unita.
Maggio 1990: i due governi tedeschi firmarono un trattato per l'unificazione economica e monetaria.
3 ottobre 1990: Gorbacev diede il suo assenso alla riunificazione => la Germania vide entrare realmente in vigore il trattato e,
dopo un quarantennio di divisione, tornò ad essere un paese unitario.
1991: Gorbacev fu sequestrato nella sua casa in Crimea. Il Golpe fallì clamorosamente e una gran folla si raccolse a presidio
delle libere istituzioni appena conquistate e costringendo i golpisti alla ritirata. Decisivo fu il ruolo del presidente della Repubblica
russa Eltsin che, dopo aver capeggiato la resistenza popolare e aver imposto laliberazione di Gorbacev, si propose come il vero
detentore del potere, relegando in secondo piano lo stesso presidente sovietico.
Il fallimento del golpe valse a spazzare via quanto restava del regime comunista: morte dell'Unione Sovietica.
Il 25 dicembre 1991: Gorbacev annunciò in un discorso televisivo le sue dimissioni => la bandiera sovietica fu ammainata dal
Cremlino e sostituita da quella russa.
1992: separazione consensuale tra cechi e slovacchi => creazione di due repubbliche.
La crisi jugoslava
Fra il '90 e il '91: in Jugoslavia la crisi precipitò in seguito al contrasto fra le risorgenti aspirazioni egemoniche della Serbia di
Milosevic e la volontà autonomistica delle repubbliche di Slovenia e Croazia, che proclamarono la propria indipendenza, seguite
poi dalla Macedonia. 1992: la Bosnia divenne teatro di una guerra crudelissima, condotta, soprattutto dai serbi, all'insegna della
«pulizia etnica». Né gli sforzi di mediazione della Comunità europea, né le iniziative dell'Onu, che impose l'embargo alla Serbia
e inviò in Bosnia contingenti di pace, ottennero alcun esito. Sarajevo fu sottoposta a un lunghissimo assedio a opera delle
milizie serbe. Per raggiungere una tregua d'armi, fu necessario l'impegno diretto, diplomatico e militare, degli Stati Uniti, che
agirono sotto la copertura dell'Alleanza atlantica.
1995: la Nato attuò una serie di raid aerei contro le posizioni dei serbo-bosniaci e fu imposto il cessate il fuoco. Accordo di pace,
la cui attuazione però si rivelò alquanto problematica.
1998: crisi del Kosovo, che era stato uno dei fattori scatenanti dell'intera crisi jugoslava. Ancora una volta furono i paesi della
Nato,fra cui l'Italia, a intervenire.
I serbi risposero intensificando la «pulizia etnica» in Kosovo: drammatico esodo dei kosovari albanesi nelle vicine repubbliche di
Albania e Macedonia, dove furono allestiti,con l'aiuto dei paesi della Nato (e in particolare dell'Italia), grandi campi per accogliere
i profughi.
Ma alla fine grazie alla mediazione della Russia, Milosevic cedette e ritirò le sue truppe dal Kosovo. fu sostituito da Kostunica,
alla guida di una coalizione democratica. Milosevic e venne successivamente arrestato, consegnato al Tribunale internazionale
dell'Aja e processato per crimini contro l'umanità
2006: morì Milosevic, prima della conclusione del processo, e fu proclamata l'indipendenza della Repubblica del Montenegro.
2008: fu riconosciuta l'indipendenza del Kosovo.
Dal 1997: collasso delle istituzioni in Albania, fattore scatenante fu il fallimento di una serie di società finanziarie (Berisha e il
Partito democratico erano accusati di connivenza coi responsabili delle società fallite).
L'Albania fu salvata dall'intervento dell'Onu che inviò nel paese un contingente di pace. Nuove elezioni che videro il successo
dei socialisti.
Capitolo 31 – Il nodo del Medio Oriente
«Medio Oriente»: una zona dai confini non precisamente definiti che va dall'Egitto all'Iran, dalla Turchia all'Arabia Saudita.
Un'area di grande rilievo strategico.
I fattori di tensione: accresciuto interesse per la risorsa petrolio, l'aggravarsi del conflitto arabo-israeliano per la Palestina, la
rinascita del fondamentalismo islamico.
1974-75: Sadat (l'allora presidente egiziano), attuò un clamoroso rovesciamento di alleanze, espellendo i tecnici sovietici
dall'Egitto, congelando i rapporti con l'Urss imprimendo alla sua politica un segno filo-occidentale.
1977: Sadat formulò a Gerusalemme una promessa di pace.
1978: accordi di Camp David grazie ai quali l'Egitto ottenne la restituzione della penisola del Sinai, occupata da Israele nel '67.
La scelta dell'Egitto fu però condannata dalla maggioranza degli Stati arabi e Sadat fu ucciso al Cairo in un attentato organizzato
da un gruppo integralista islamico.
La rivoluzione iraniana
Laici e integralisti: il risveglio politico-culturale del mondo arabo-islamico in lotta contro la dominazione occidentale si era
aspresso attraverso due canali diversi e contrapposti.
Al di fuori del mondo arabo, il nazionalismo laico in Medio Oriente aveva la sua principale roccaforte nella Repubblica turca,
nata dalla rivoluzione kemalista dei primi anni '20.
E di questa identità erano custodi i militari, eredi di Ataturk, pronti a interferire pesantemente nella vita politica ogni qualvolta
vedessero minacciati i valori laici a fondamento dello Stato.
L'Iran dello scià: a partire dagli anni '60 aveva avviato una politica di modernizzazione accelerata, e per molti aspetti traumatica,
che mirava a trasformare il paese in una grande potenza militare, senza però riuscire ad assicurare significativi progressi nella
condizione di vita delle masse.
1978: la rivoluzione (nata dalla crescente opposizione dei gruppi di sinistra e del clero islamico tradizionalista di osservanza
sciita).
1979: lo scià dovette abbandonare il paese.
Si instaurò così una Repubblica islamica di stampo teocratico, ispirata a un vago riformismo sociale basato sui dettami del
Corano e guidata dall'ayatollah Ruhollah Khomeini, massima autorità dei musulmani sciiti, violentemente antioccidentale e
antiamericano.
1980: guerra tra Iraq e Iran => l'Iran fu attaccato dal vicino Iraq, che cercava di profittare della situazione per impadronirsi di
alcuni territori da tempo contesi fra i due paesi. La guerra rappresentò un gravissimo fattore di tensione in un'area di eccezionale
importanza strategica.
1988: il cessate il fuoco stabilito, grazie alla mediazione dell'Onu, trovò i contendenti sulle stesse posizioni dell'inizio del conflitto
=> fu una spaventosa quanto inutile carneficina.
La fine della guerra e la morte nel 1989 di Khomeini aprirono qualche spazio alle componenti meno estremiste del regime
iraniano.
La questione palestinese
Gli accordi di Camp David, che prevedevano dei negoziati per la soluzione del problema palestinese, non furono mai avviati.
L'ostacolo principale venne in un primo tempo dagli Stati arabi dell'Olp, che denunciarono il «tradimento» dell'Egitto e rifiutarono
ogni trattativa col «nemico storico».
Anni '80: gli Stati arabi moderati (in particolare Giordania e Arabia Saudita) e la stessa dirigenza dell'Olp assunsero una
posizione più morbida e, sfidando la condanna del cosiddetto «fronte del rifiuto» (Siria, Iraq, Libia e l'ala radicale delle
organizzazioni palestinesi), si dissero disposti a trattare con Israele e a riconoscerne l'esistenza in cambio del suo ritiro dai
territori occupati (Cisgiordania e striscia di Gaza), dove sarebbe dovuto sorgere uno Stato palestinese. Ma furono proprio i
dirigenti dello Stato ebraico a rifiutare la trattativa con l'Olp di Arafat.
1987: la tensione si accrebbe ulteriormente quando i palestinesi dei territori occupati diero vita una lunga e diffusa rivolta, detta
intifada. in arabo «risveglio».
I riflessi dell'irrisolto nodo palestinese si erano fatti sentire pesantemente anche in Libano, un piccolo Stato pluriconfessionale,
dove l'Olp aveva trasferito le sue basi dopo il «settembre nero» del 1970.
Dal 1975: sanguinosa guerra civile => non resse il fragile equilibrio su cui si reggeva la convivenza fra le diverse comunità
libanesi (cristiani, musulmani sunniti, sciiti, drusi).
1982: l'esercto israeliano invase il paese spingendosi fino a Beirut per cacciarne, dopo sanguinosi combattimenti, le basi
dell'Olp, il cui centro dirigente fu trasferito a Tunisi. La forza fu ritirata nel 1984.
La Siria impose una sorta di protettorato sul Libano, che era rimasto lacerato da lotte intestine.
1990: La guerra del Golfo. Il dittatore dell'Iraq Saddam Hussein, già protagonista della guerra di aggressione contro l'Iran (e per
questo a lungo armatoe rifornito sia dall'Urss, sia da molti paesi occidentali, compresa l'Italia) invase il piccolo e confinante
Emirato del Kuwait, affacciato sul Golfo Persico, uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio. L'invasione fu subito
condannata dalle Nazioni Unite, che con voto pressochè unanime, decretarono l'embargo nei confronti dell'aggressore.
Contemporaneamente gli Stati Uniti inviavano in Arabia Saudita un corpo di spedizione, a cui si univano anche alcuni Stati
europei (in misura assai limitata l'Italia). Decisivo fu l'atteggiamento dell'Unione Sovietica: Gorbacev non si oppose all'intervento
armato e consentì così alla forza multinazionale di agire sotto la copertura delle Nazioni Unite.
La strategia di Saddam: presentandosi come il vendicatore delle masse arabe oppresse e come il banditore di una guerra santa
contro l'Occidente, trovò notevole eco fra le masse di molti paesi arabi, in particolare fra i paesi dell'Olp, il cui leader, Arafat, si
schierò a fianco dell'Iraq.
1991: l'attacco all'Iraq. la forza internazionale scatenava un violento attacco aereo contro obiettivi militari in Iraq e nel Kuwait
occupato. Saddam rispondeva lanciando missili con testate esplosive sulle città dell'Arabia Saudita e di Israele (che pure era
rimasto estraneo al conflitto) e minacciando il ricorso alle armi chimiche. L'esercito iracheno cedeva di schianto abbandonando
precipitosamente il Kuwait occupato (incendiandone prima gli impianti petroliferi). Ottenuto lo scopo principale (la liberazione del
Kuwait) Bush decideva di arrestare l'offensiva della forza multinazionale per evitare il rischio di complicazioni diplomatiche.
Saddam Hussein sopravviveva politicamente alla sconfitta. Ma gli Stati Uniti risultavano ugualmente trionfatori e contando su
questo prestigio cercarono di profittare della situazione per rilanciare il processo di pace in tutta l'area mediorientale.
1991: fu convocata a Madrid la prima sessione di una conferenza di pace sul Medio Oriente.
1992: vittoria del partito laburista nelle elezioni politiche israeliane dopo quasi un ventennio di egemonia del Fronte nazionalista.
Il nuovo primo ministro Itzhak Rabin fu più propenso dei suoi predecessori a concessioni territoriali in cambio della pace.
1993: nuova svolta storica => Rabin e Peres, presero la sofferta decisione di trattare direttamente con l'Olp, profittando di un
Arafat uscito indebolito per l'appoggio fornito a Saddam Hussein..
Un lungo negoziato segreto fu firmato a Oslo (poi solennemente sottoscritto a Washington sotto gli auspici di Bill Clinton) e
prevedeva un avvio graduale dell'autogoverno palestinese nei territori occupati, a partire dalla città di Gerico, in Cisgiordania, e
dalla striscia di Gaza.
4 novembre 1995: Una nuova spirale di violenza e di fanatismo ebbe il suo culmine nell'uccisione del premier Rabin, avvenuta a
Tel Aviv per mano di un giovane estremista israeliano.
1996: sale al potere Benjamin Netanyahu, leader della coalizione di destra. La vittoria della destra segnò una battuta d'arresto
nel processo di pace, ma non ne interruppe il cammino. Netanyahu e Arafat firmarono un nuovo accordo che fissava i tempi del
ritiro israeliano dai territori occupati i cambio di un più forte impegno da parte dell'autorità palestinese nella repressione del
terrorismo.
1999: vittoria alle elezioni politiche israeliane della coalizione di centro-sinistra guidata dal laburista Ehud Barak.
2000: Clinton convocò le parti per una nuova tornata di colloqui di pace a Camp David. L'accordo per una pace globale e
definitiva fu però ancora una volta mancato, si passò invece in brevissimo tempo a una nuova situazione di scontro
generalizzato.
A innescare lo scontro fu, in settembre, una visita compiuta da Ariel Sharon, leader della destra israeliana, alla spianata delle
Moschee di Gerusalemme: una provocazione agli occhi dei palestinesi. => seconda intifada, fu assai più cruenta ella prima, sia
per la violenza delle manifestazioni,sia per la durezza della repressione.
2001: la crisi del governo Barak portò a elezioni anticipate che videro la netta vittoria del centro-destra, guidato questa volta
proprio da Sharon. Il nuovo governo giunse a contestare l'autorità di Arafat, considerato un interlocutore non più credibile per la
sua incapacità di bloccare gli atti di terrorismo che pure ufficialmente condannava.
2002: decisione del governo di Gerusalemme di costruire una barriera difensiva per proteggere i confini «storici» di Israele, con
l'effetto di far calare il numero di attentati ma fu condannata da buona parte della comunità iternazionale, per il suo carattere
unilaterale ( e anche perchè il tracciato includeva parti di territorio palestinese).
2004: morì Arafat.
2005: governo Sharon (diventato governo di unità nazionale grazie a un accordo con i lbouristi di Peres) prese la decisione di
procedere al ritiro dell'esercito dalla striscia di Gaza.
2006: Sharon uscì di scena per le conseguenze di una gravissima malattia. Il suo partito si affermò ugualmente nelle sucessive
elezioni con Ehud Olmert.
Ma i nuovi spazi di dialogo che erano sembrati aprirsi con l'autorità palestinese, guidata ,dopo la morte di Arafat, dal moderato
Abu Mazen, furono vanificati dall'inatteso risultato delle elezioni a Gaza e in Cisgiordania che videro l'affermazione degli
estremisti di Hamas, fermi nel rifiuto di riconoscere Israele. Dalla striscia di Gaza, non più occupata, continuarono a partire
missili contro lo Stato ebraico, che rispose con pesanti rappresaglie, mentre si accentuavano i contrasti, in seno all'Autorità
nazionale palestinese, fra le organizzazioni rivali di Hamas e di Al Fatah. Tali contrasti sarebbero poi sfociati in una vera guerra
civile nella striscia di Gaza, passata sotto il completo controllo degli integralisti.
2007: l'amministrazione Usa riuscì a strappare a Olmert e Abu Mazen l'impegno per un nuovo negoziato da concludere entro il
2008. (?)
La crisi libanese: la Siria fu costretta a ritirare le sue truppe dal Libano ma continuò a far sentire la sua influenza soprattutto
attraverso il movimento integralista sciita Hezbollah, appoggiato e armato anche dall'Iran.
Israele reagì alle continue provocazioni di Hezbollah con un attacco su vasta scala e invadendo il Libano meridionale. Una
tregua fu stabilita grazie all'arrivo dell'Onu (con la partecipazione determinante dell'Italia) contestualmente al ritiro dei reparti
israeliani.
L'emergenza fondamentalista
-I talebani in Afghanistan.
1996-97: gruppi fondamentalisti detti talebani (studenti delle scuole coraniche) assunsero il controllo di buona parte
dell'Afghanistan. Vittime principali furono le donne, cui fu tra l'altro impedito di lavorare e di frequentare le scuole.
-I problemi in Turchia.
1995: un partito di ispirazione islamica (il Refah, Partito del benessere) assunse la guida del governo.
1997: le pressioni dei militari convinsero i partiti laici a formare una nuova maggioranza (il Refah fu addirittura messo fuori
legge).
2002: si affermò alle elezioni un altro partito di ispirazione islamico-moderata chiamato Giustizia e Sviluppo e guidato da R. T.
Erdogan.
=> contraddizioni di un paese impegnato da molti decenni in una difficile (e incompiuta) modernizzazione, di uno Stato costretto,
per difendere le proprie istituzioni democratiche, a tradirne in qualche misuralo spirito. Un problema evidenziato anche dalla
sanguinosa repressione attuata ai danni dei movimenti separatisti curdi e che ebbe non poca responsabilità nelle difficoltà
incontrate dalla Turchia per vedere accolta la sua richiesta di adesione all'unione europea.
-La tragedia algerina. Imponente debito con l'estero. 1992: prime elezioni libere del dopo-indipendenza videro la vittoria al primo
turno degli integralisti del Fis (Fronte islamico di salvezza). Il governo annullò allora le elezioni, scatenando le reazioni dei gruppi
islamici. Questa reazione assunse tratti di particolare ferocia, dal momento che le frange estreme del fondamentalismo, misero
in atto una strategia del terrore a base di massacri indiscriminati fra la popolazione civile. I governanti risposero con una dura
repressione che peraltro non riuscì a fermare le violenze, anche dopo un'iniziativa di pacificazione lanciata dal nuovo presidente
della Repubblica.