l`intenzione del legislatore costituente

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1
(VERSIONE PROVVISORIA)
L’INTENZIONE DEL LEGISLATORE COSTITUENTE
NELL’INTERPRETAZIONE DEL PARAMETRO COSTITUZIONALE
(Luciana Pesole)
1. L’interpretazione costituzionale nelle ricostruzioni teoriche più recenti; 2. segue: Il canone
ermeneutico fondato sull’intenzione originaria del costituente secondo il pensiero della dottrina; 3.
Il fenomeno dell’allargamento del parametro costituzionale oltre il dato testuale; 4. Il riferimento
all’intenzione originaria del costituente nella giurisprudenza costituzionale: uno sguardo
d’insieme; 5. I casi giurisprudenziali in cui risulta maggiormente significativo il richiamo
all’intenzione originaria del costituente: 5.1. con riferimento a disposizioni contenute nella I parte
della Costituzione; 5.2. con riferimento alla Magistratura; 5.3. con riferimento a casi
giurisprudenziali di particolare rilievo inerenti ai poteri disciplinati nei primi tre titoli della II
parte della Costituzione (referendum abrogativo, sfiducia individuale, potere di concessione della
grazia); 5.4. con riferimento al titolo V; 6. La possibile rilevanza della distinzione tra potere
costituente e potere costituito ai fini dell’analisi del canone dell’intento originario del costituente
(con specifico riferimento alla giurisprudenza costituzionale relativa al nuovo titolo V); 7.
Considerazioni conclusive.
1. L’interpretazione fondata sull’intenzione originaria del costituente (interpretazione
originalista) 1 viene collocata, insieme a quella letterale e a quella conservatrice (che a loro volta
utilizzano il significato letterale del testo e i precedenti), nell’ambito delle interpretazioni
incontestabili 2 .
1
Il termine “originalista” viene utilizzato per designare l’interpretazione che si rifà all’intento originario da R.
GUASTINI, Teoria e ideologia dell’interpretazione costituzionale, in Giur. cost., 2006, 760-761. Si noti, però, che lo
stesso A. in altra sede (L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, 282-283) puntualizza che
l’interpretazione originalista consiste nell’attribuire al testo il significato che aveva quando è entrato in vigore. Il
riferimento all’intenzione originaria concerne, quindi, la versione soggettiva di tale interpretazione originalista (sulle
due varianti dell’interpretazione in questione e sui diversi termini con cui viene designato il riferimento all’intento
originario v. § 2, in particolare nota 27).
2
Si veda sul punto R. GUASTINI, Teoria e ideologia, cit., 762-763, che affronta il tema delle interpretazioni
incontestabili analizzando la dottrina del judicial restraint (fondata sul valore della deferenza nei confronti del
legislatore democratico e presa in esame dall’A. in contrapposizione alla dottrina del judicial activism, che viceversa si
ispira al valore della congruenza del diritto con la coscienza sociale). In questa sede non si analizza la dottrina in
questione, ma si prende spunto da essa al solo fine di mettere in risalto le tematiche maggiormente ricorrenti nelle teorie
che si sono occupate dell’interpretazione costituzionale.
2
Le tecniche argomentative indicate come incontestabili mi sembra che richiamino in
maniera significativa (alcuni de) i profili maggiormente condivisi dalla dottrina che si è occupata
dell’interpretazione costituzionale.
Il tema dell’interpretazione costituzionale, il cui significato cruciale è testimoniato dal fatto
stesso che attira frequentemente l’attenzione della dottrina 3 , non può essere affrontato in questa
sede con la dovuta ponderazione. E’ possibile, però, tentare di individuare le sottolineature che
ricorrono più spesso nel pensiero dottrinale più recente e che talvolta finiscono col rappresentare un
punto d’incontro anche per le posizioni contrapposte. Ciò al fine di poter dare una migliore
valutazione dell’interpretazione fondata sull’intenzione originaria del costituente, che, come si può
sin da ora evidenziare, rappresenta una delle possibili tecniche ermeneutiche utilizzate dalla Corte
costituzionale.
Questa operazione di ricerca degli elementi che avvicinano maggiormente le diverse
impostazioni può essere effettuata proprio prendendo in considerazione le posizioni più in anititesi,
a loro volta parzialmente condivise da innumerevoli posizioni intermedie.
Uno dei problemi sollevati più di frequente nell’ambito della tematica in questione concerne
la eventuale specificità dell’interpretazione della Costituzione. Alcuni ritengono che le
caratteristiche stesse della Costituzione impongano il ricorso a criteri ermeneutici particolari, diversi
da quelli tradizionali utilizzati per la legge4 . Altri sostengono, invece, che le differenze
interpretative rispetto alla legge siano solo di tipo quantitativo (alcune tecniche ermeneutiche
vengono utilizzate per la Costituzione più spesso che per la legge) 5 . In tal modo, però, questa
seconda posizione riconosce che alcuni procedimenti interpretativi, pur essendo applicabili anche
alle legge, per il fatto stesso di venire frequentemente utilizzati dai tribunali costituzionali risultano
3
Una ricostruzione del dibattito dottrinale sull’interpretazione costituzionale è stata recentemente fatta da C. PINELLI,
Il dibattito sull’interpretazione costituzionale fra teoria e giurisprudenza, in Scritti in memoria di Livio Paladin,
Napoli, 2004, III, 1663 ss.
4
Emblematica in tal senso la posizione di A. BALDASSARRE, L’interpretazione della Costituzione, in
L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, a cura di A. PALAZZO, Napoli, 2001, 215 ss. Secondo questa
impostazione la specificità dell’interpretazione costituzionale deriva dalla specificità della legalità costituzionale,
nell’ambito della quale la differenza tra principi e norme opera diversamente rispetto a quanto avviene nella legalità
ordinaria. La Costituzione, quindi, si distingue per essere il livello supremo della legalità, ma al tempo stesso è la fonte
di legittimazione del sistema, l’insieme dei valori sui quali viene fondata la convivenza civile. Da qui l’interpretazione
costituzionale come “creazione” del parametro attraverso l’individuazione del valore in relazione al caso concreto.
5
R. GUASTINI, Teoria e ideologia, cit., 756 ss. (dello stesso v. anche L’interpretazione dei documenti normativi, cit.,
268 ss.). Ma nello stesso senso già G. ZAGREBELSKY, Appunti in tema di interpretazione e di interpreti della
Costituzione, in Giur. cost., 1970, 904 ss., il quale rileva il rischio di una svalutazione dell’efficacia normativa della
Costituzione, insito nelle teorie che sostengono la specificità dell’interpretazione costituzionale (spec. 923). Si vedano
in merito anche le riflessioni critiche di A. RUGGERI, Principio di ragionevolezza e specificità dell’interpretazione
costituzionale, in Ars interpretandi, 7, 2002, 308 ss., che, facendo specifico riferimento al canone della ragionevolezza e
alle tecniche di bilanciamento, sottolinea che la loro peculiarità emerge solo sul piano soggettivo (quando è la Corte ad
utilizzarli), mentre viene meno se si prendono in considerazione dal punto di vista oggettivo.
3
essere tipici della Costituzione 6 . La differenza rispetto alla prima impostazione, quindi, alla fine è
meno netta di quanto non possa a prima vista sembrare.
Gli argomenti più ricorrenti addotti a sostegno della specificità dell’interpretazione
costituzionale possono essere individuati nella indeterminatezza del testo costituzionale e nel suo
contenuto di valore 7 . Volendo semplificare si può dire che la Costituzione, a differenza della legge,
contiene più principi che regole 8 .
Questa affermazione, pur essendo ampiamente condivisa, anche all’interno di ricostruzioni
contrarie alla specificità dell’interpretazione costituzionale9 , non può dirsi accolta dall’unanimità
della dottrina e proprio per questo permette a sua volta di individuare, sempre con riferimento
all’interpretazione costituzionale, un altro motivo di contrapposizione.
Chi ritiene che in Costituzione prevalgono le regole, ha un approccio normativo di tipo
prevalentemente formale, esalta il primato del testo scritto e non ammette (salvo casi eccezionali)
operazioni di creazione del parametro; mentre chi considera il contenuto costituzionale fatto
soprattutto di principi, utilizza un criterio normativo di carattere più sostanziale e, quindi, concede
un maggiore spazio ad ipotesi di “costruzione” del parametro, soprattutto mediante il ricorso a
6
V. sempre R. GUASTINI, Teoria e ideologia, cit., 768 ss. Il fatto che questo A., pur dichiarandosi contrario a
riconoscere all’interpretazione della Costituzione una specificità che la rende diversa dall’interpretazione della legge,
faccia delle affermazioni che finiscono col mettere ugualmente in risalto nelle tecniche ermeneutiche applicate alla
Costituzione alcune tipicità, è evidenziato da G.U. RESCIGNO, Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico,
in Interpretazione costituzionale, a cura di G. AZZARITI, Torino, 2007, 19 ss. Nella ricostruzione di quest’ultimo la
maggiore specificità dell’interpretazione costituzionale viene individuata nella collocazione del diritto costituzionale,
che si trova al confine tra il diritto e tutta la società (spec. 25).
7
Così M. LUCIANI, Interpretazione costituzionale e testo della Costituzione. Osservazioni preliminari, in
Interpretazione costituzionale, cit., 45 ss., che assume però una posizione critica nei confronti di entrambi i profili
indicati nel testo (nel senso che entrambi si possono ravvisare anche nella legge, sia pure in misura minore rispetto alla
Costituzione). In tale contesto l’unico elemento che distingue veramente l’ambito costituzionale da quello legislativo
viene identificato nella capacità di fondare e qualificare i valori, che è propria (solo) della Costituzione. Secondo C.
PINELLI, Il dibattito sull’interpretazione costituzionale, cit., 1666, invece, il fondamento delle posizioni dottrinali che
sostengono la specificità dell’interpretazione costituzionale va ravvisato nella prevalenza dei principi costituzionali
nell’ordinamento e nell’approccio assunto dalla Corte costituzionale per interpretare la Costituzione, che è diverso da
quello utilizzato per interpretare la legge. I due elementi individuati da quest’ultimo A. vengono indicati come i due
cardini intorno ai quali si è sviluppato tutto il dibattito sull’interpretazione costituzionale (spec.1673).
8
Più precisamente, la caratteristica distintiva delle disposizioni costituzionali va ravvisata nel fatto che contengono
norme di valore e non regole di comportamento (così G. AZZARITI, Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla
Costituzione, in L’interpretazione della legga alle soglie del XXI secolo, cit, 240-241). Sulla differenza tra principi e
valori v. più avanti nel testo e nota 12.
9
G.U. RESCIGNO, Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico, cit., 24, ad es., che, come si è visto alla nota
6, riconosce una certa specificità all’interpretazione costituzionale, qualifica la Costituzione come “il regno dei
principi”, assumendo così sul punto una posizione analoga a quella di R. GUASTINI, Teoria e ideologia, cit., 768 ss.
(anch’esso favorevole a considerare le disposizioni costituzionali, soprattutto “sostanziali”, espressione di principi, pur
non ritenendo che all’interpretazione della Costituzione debbano essere applicati dei canoni diversi da quelli utilizzati
per la legge). La posizione di quest’ultimo A. (limitatamente allo specifico profilo in questione) risulta essere, a sua
volta, analoga a quella di G. ZAGREBELSKY, che nega la specificità dell’interpretazione costituzionale (v. nota 5) e al
tempo stesso sottolinea che la Costituzione contiene soprattutto principi, a differenza della legge che contiene
soprattutto regole (Il diritto mite, Torino, 1992, 148). La diversità di concezione in merito alla specificità
dell’interpretazione costituzionale, come si può notare, non condiziona il riconoscimento del contenuto di principio
delle disposizioni costituzionali.
4
tecniche di bilanciamento 10 . La prima posizione si rifà al metodo “giuspositivista temperato”, la
seconda, che considera la Costituzione fondata su valori che vengono positivizzati mediante i
principi, fa emergere esigenze e suggestioni che richiamano il giusnaturalismo 11 .
Secondo quest’ultima concezione, quindi, i principi rappresentano il tramite mediante il
quale i valori vengono immessi nell’ordinamento 12 . Ma, nel momento in cui si riconosce la
prevalenza di principi come elemento caratterizzante il contenuto costituzionale, si pone il problema
non solo della loro attuazione ai fini dell’applicazione al caso concreto (i principi a loro volta
devono essere tradotti in regole), ma anche del loro bilanciamento nelle (non rare) ipotesi in cui
risultino in contrasto fra loro 13 . Da qui, come inevitabile conseguenza, il frequente ricorso a
tecniche di bilanciamento nell’ambito dei giudizi costituzionali.
10
Le due posizioni in antitesi sono emblematicamente rappresentate (rispettivamente) da A. PACE, Interpretazione
costituzionale e interpretazioni per valori, in Interpretazione costituzionale, cit., 83 ss. (spec. 86 ss.) e F. MODUGNO,
Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale, ivi, 51 ss. V. anche A. MASARACCHIA, La “costruzione”
e l’impiego di parametri non scritti nella giurisprudenza delle Corti supreme americane, della Corte di Giustizia delle
Comunità Europee e della Corte costituzionale italiana, ivi, 115 ss., che sintetizza in modo efficace le due posizioni in
questione. La stessa contrapposizione si può cogliere, oltre che con riferimento agli aspetti di natura oggettiva, anche
per quanto concerne il profilo soggettivo, vale a dire i soggetti deputati all’interpretazione costituzionale (al riguardo G.
ZAGREBELSKY, Appunti in tema di interpretazione, cit., 904 e 916 ss., parla di elementi estrinseci
dell’interpretazione costituzionale, concernenti appunto la situazione istituzionale degli interpreti della Costituzione, da
tenere distinti dagli elementi intrinseci, che riguardano invece il particolare carattere delle disposizioni costituzionali).
A. PACE sottolinea come la Corte non possa ritenersi detentrice del monopolio dell’interpretazione costituzionale, in
quanto un ruolo fondamentale nella definizione ed elaborazione dei diritti costituzionali viene svolto dalla
giurisprudenza comune; F. MODUGNO evidenzia, invece, il compito “specialissimo” riservato alla Corte costituzionale
e, quindi, l’indiscutibilità del ruolo preponderante che essa è chiamata a svolgere nell’interpretazione costituzionale (v.
rispettivamente 112-113 e 59 ss.). Su questo aspetto ci si limita ad un accenno soltanto, in quanto la presente analisi è
finalizzata a verificare l’utilizzo del canone dell’intento originario del costituente nell’ambito della giurisprudenza
costituzionale e, pertanto, si concentra sull’interpretazione effettuata dalla Corte costituzionale. Ciò ovviamente non
implica il disconoscimento dell’interpretazione costituzionale da parte dei giudici comuni, spesso chiamati ad applicare
direttamente i principi costituzionali. Si rileva, comunque, che l’interpretazione della Costituzione da parte della Corte
viene considerata, in quanto interpretazione proveniente dall’organo di giustizia costituzionale, come interpretazione
autentica (R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., 277), o “quasi autentica” se si vuol
sottolinearne il carattere non totalmente esclusivo (in tal senso A. SPADARO, Le motivazioni delle sentenze della Corte
come “tecniche” di creazione di norme costituzionali, in La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, a
cura di A. RUGGERI, Torino, 2004, 363).
11
G.U. RESCIGNO, Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico, cit., 35 ss., evidenzia, sia pure con spirito
critico, l’impressione diffusa di un ritorno al giusnaturalismo, facendo poi specifico riferimento alla posizione di G.
ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., 147 ss., il quale rileva come mediante i principi costituzionali si sia verificato un
avvicinamento del diritto costituzionale al diritto naturale (anche se in un contesto in cui, nel contempo, si sottolinea
che i principi costituzionali non sono diritto naturale, ma rappresentano anzi il “massimo atto di orgoglio del diritto
positivo”) (spec. 158 e 155). Al riguardo è significativa anche l’affermazione fatta da J. LUTHER, Tracce di diritto
naturale a Karlsruhe?, in Scritti in memoria di Livio Paladin, cit., III, 1276, che, riferendosi alla giurisprudenza
costituzionale tedesca, ha sottolineato come i valori abbiano favorito il superamento della contrapposizione ideologica
tra giusnaturalismo e giuspositivismo, consentendone la coesistenza.
12
Ciò non significa che tutti i principi costituzionali rappresentino la traduzione in termini normativi dei valori su cui si
fonda la Costituzione: se “non c’è valore senza principio”, non vale l’inverso. I valori trovano espressione (solo) nei
principi supremi. G. AZZARITI, Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla Costituzione, in L’interpretazione
della legge alle soglie del XXI secolo, cit, 237 ss. e F. MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione
costituzionale, cit., 55 e 60 (quest’ultimo sottolinea che tra valori e principi c’è un nesso di strumentalità analogo a
quello che c’è tra principi e regole: come un principio può ricevere attuazione mediante regole diverse, così un valore
può essere positivizzato attraverso più principi).
13
Così R. GUASTINI, Teoria e ideologia, cit., 768 ss. L’A. evidenzia, in particolare, che un conflitto tra principi
costituzionali viene risolto dal giudice costituzionale stabilendo tra i principi in questione una “gerarchia assiologica
5
Nel contempo, però, buona parte della dottrina che considera la Costituzione come un
insieme di principi che immettono nell’ordinamento i valori fondativi (e che devono poi essere
bilanciati tra loro in vista della risoluzione dei casi concreti) esprime anche la preoccupazione che
sia comunque salvaguardato il rispetto del testo costituzionale. L’elemento che forse accomuna
maggiormente le teorie sull’interpretazione costituzionale è ravvisabile proprio in questa forte
sottolineatura del vincolo testuale. E’ la stessa ampiezza dell’interpretazione costituzionale ad
esigere il massimo rispetto del testo della Costituzione 14 . Ciò significa che l’interpretazione
costituzionale non può esaurirsi nell’utilizzo delle tecniche di bilanciamento o del canone di
ragionevolezza, ma deve essere sempre riconducibile al testo 15 .
Il testo costituzionale è espressione dell’accordo fondativo e in quanto tale esprime i valori
intorno ai quali tale accordo è stato suggellato: fare riferimento ad un valore privo di fondamento
testuale significa pertanto sconfinare nell’ambito del potere costituente 16 .
Anche chi afferma espressamente la prevalenza dello spirito della Costituzione sulla lettera
sottolinea in modo chiaro che l’interpretazione costituzionale non può comunque prescindere dal
testo 17 . Con riferimento alla Costituzione il vincolo testuale assume un valore peculiare, che non è
riscontrabile nell’ambito della legislazione ordinaria e che è stato per questo indicato come lo
“snodo fondamentale” della specificità dell’interpretazione costituzionale 18 .
mobile”: viene effettuato un giudizio di valore comparativo per cui un principio prevale sull’altro, ma solo con
riferimento a quel caso concreto (di fronte ad un altro caso la gerarchia di valore potrebbe essere rovesciata, con la
prevalenza del principio adesso soccombente). Questa operazione, per il fatto stesso di risolversi in un giudizio di valore
comparativo, non viene neanche ritenuta di carattere strettamente interpretativo (spec.776 ss.). Il bilanciamento, a
differenza della interpretazione, in buona parte non ha a che fare con il testo. Così R. BIN, Diritti e argomenti. Il
bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, 143.
14
La complessità e vastità dell’interpretazione costituzionale (determinata dal fatto stesso che consiste nella valutazione
di principi) è legata da un rapporto inversamente proporzionale al rispetto del testo (il vincolo testuale è tanto più forte
quanto più ampio è l’ambito interpretativo). Così G. AZZARITI, Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla
Costituzione, cit., 240 ss., la cui analisi è proprio finalizzata ad evidenziare la necessità di una rivalutazione del vincolo
testuale nell’ambito dell’interpretazione costituzionale.
15
V. sempre G. AZZARITI, Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla Costituzione, cit., 242 ss. e F.
MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale, cit., 75 ss. (il primo particolarmente critico nei
confronti delle teorie e delle decisioni costituzionali che danno assoluta preminenza alle tecniche indicate nel testo,
caratterizzate da una significativa “creatività”, che può appunto essere contenuta vincolando l’interpretazione al testo).
In senso analogo già L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 145 (ferma restando l’essenzialità del
momento interpretativo, dal quale scaturisce la Costituzione vivente, è comunque necessario che non vi sia scissione
rispetto alla Costituzione testuale). Per ulteriori conferme sull’importanza del vincolo testuale nell’ambito di posizioni
dottrinali anche molto diverse v. note 29 e 31.
16
M. LUCIANI, Interpretazione costituzionale e testo della Costituzione, cit., 47-48.
17
F. MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale, cit., 52 ss. L’A. sottolinea che il
riferimento al testo costituisce il punto di partenza e di arrivo del circolo ermeneutico, che si articola in quattro
momenti: il testo, la domanda proveniente dal caso concreto, la scelta della normativa per risolvere quel caso concreto,
la verifica di tale normativa rispetto al testo (spec. 58).
18
Così F. MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale, cit., 61. Il diverso valore del vincolo
testuale riferito alla Costituzione rispetto a quello riferito alla legge è efficacemente sottolineato da M. LUCIANI,
Interpretazione costituzionale e testo della Costituzione, cit., 47-48, che lo collega sia al sopravvenire della
giustiziabilità della legge (e, quindi, al venir meno della onnipotenza della legge), sia all’esigenza di stabilità connessa
all’accordo fondativo, che l’interprete della Costituzione deve necessariamente preservare. V. anche (più in generale,
6
Nell’ampia condivisione del vincolo testuale si può cogliere, quindi, un punto di incontro tra
teorie anche molto diverse 19 .
Un significato analogo a quello del vincolo testuale viene assunto, in particolare nell’ambito
delle teorie in cui prevale l’approccio normativo sostanziale su quello formale, dal richiamo dei
precedenti. Nell’interpretazione costituzionale il condizionamento esercitato dai precedenti
giurisprudenziali si pone come elemento necessario anche al fine di rendere visibili le motivazioni
di eventuali mutamenti di indirizzo 20 . I precedenti vengono, cioè, considerati un ulteriore canone
essenziale per il contenimento della libertà creativa dell’interprete della Costituzione (anche se in
modo non altrettanto incisivo quanto il canone rappresentato dal vincolo testuale).
Laddove si manifesta maggiormente l’attività di “creazione” del parametro, è quanto meno
necessario che la giurisprudenza costituzionale sia guidata dalla “logica dell’autoreferenzialità”, che
si traduce appunto nella coerenza rispetto alla decisione (o alle decisioni) in cui si è inizialmente
manifestata tale creatività 21 .
Nell’ambito (di molte) delle concezioni più propense a riconoscere un certo spazio alla
capacità creativa dell’interprete le tecniche ermeneutiche che, come si è visto all’inizio, vengono
con riferimento al peculiare valore normativo dei testi costituzionali) G. AZZARITI, Interpretazione e teoria dei valori:
tornare alla Costituzione, cit., 234 ss.
19
L’interpretazione per valori trova un punto di contatto con la teoria che si rifà al metodo giuspositivista temperato e
che è fondata sul primato del testo scritto (e, quindi, sulla prevalenza della lettera rispetto allo spirito della
Costituzione), ferma restando ovviamente la profonda diversità di impostazione tra le due ricostruzioni.
L’interpretazione per valori, in sostanza, non può comunque tradursi in una fuga dal testo (così F. MODUGNO,
Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale, cit., 81).
20
Così F. MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale, cit., 80-81, che si ricollega a L.
PALADIN, Le fonti del diritto, cit., 150. V., inoltre, G. AZZARITI, Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla
Costituzione, cit., 247-248, particolarmente critico nei confronti della giurisprudenza costituzionale “ondivaga”, priva di
coerenza rispetto ai propri precedenti. L’importanza dei precedenti è sottolineata anche da A. BALDASSARRE,
Interpretazione e argomentazione nel diritto costituzionale, in www.costituzionalismo.it, 30 maggio 2007, 28-29,
nell’ambito di una concezione che ricostruisce il diritto costituzionale come diritto giurisprudenziale e che individua,
quindi, nel rispetto del principio dello stare decisis lo strumento per assicurare certezza al diritto.
21
Sul punto v. A. MASARACCHIA, La “costruzione” e l’impiego di parametri non scritti, cit., 118 ss., il quale
evidenzia come la Corte, quando ricorre a tecniche di costruzione del parametro (nel senso che decide in base a
parametri non scritti), talvolta assume una o più “decisioni-pilota” che fanno poi da precedenti nella giurisprudenza
successiva. Nello stesso lavoro l’A. sottolinea che una manifestazione vistosa del fenomeno della individuazione di
principi non scritti destinati a fungere da parametro e, quindi, ad originare un diritto di natura giurisprudenziale è oggi
rinvenibile nell’ordinamento comunitario, ma in tal caso per le peculiari caratteristiche strutturali di tale ordinamento
(ovviamente non paragonabili a quelle degli ordinamenti interni degli Stati membri): si pensi solo al fatto stesso che la
Corte di giustizia si è trovata ad utilizzare come parametro un testo originariamente pensato per un settore circoscritto
(quello del mercato comune) e poi impiegato per regolamentare un ambito sempre più vasto (v. in particolare 143 ss. e,
per una ricognizione dei principi non scritti utilizzati come parametro nella giurisprudenza comunitaria, 149 ss.). Per
quanto concerne la Corte italiana si è affermato che attraverso la manipolazione del parametro vengono emesse
decisioni che vanno ad integrare o addirittura a revisionare la Costituzione e che danno luogo pertanto ad un vero e
proprio “diritto costituzionale giurisprudenziale” (così A. SPADARO, Dalla Costituzione come “atto” (puntuale nel
tempo) alla Costituzione come processo storico, in Il parametro nel giudizio di costituzionalità, a cura di G.
PITRUZZELLA, F. TERESI, G. VERDE, Torino, 2000, 54 ss.). V. anche F. DAL CANTO, Il parametro in senso
stretto, in L’accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive di un modello, a cura di R. ROMBOLI,
Napoli, 2006, 262-263, e nota precedente.
7
definite incontestabili sembrano rappresentare il necessario contrappeso alla eccessiva libertà di cui
verrebbe altrimenti a godere l’interprete della Costituzione.
2. Nello stesso contesto si inserisce anche il canone interpretativo fondato sull’intenzione
originaria del costituente, al quale viene riconosciuto un ruolo e un significato che sono strettamente
connessi a quelli del vincolo testuale.
L’importanza del vincolo testuale deriva dal fatto stesso che il testo rappresenta il tramite
mediante il quale si è manifestata la volontà storica del costituente. Il testo, quindi, deve assumere
un ruolo guida per l’interprete, che, anche se è tenuto a darne una lettura adeguata al mutamento
temporale, non deve discostarsene. Lo stesso vale per l’intenzione originaria del costituente, che
può essere attualizzata, ma non superata. La stessa esigenza di stabilità che rende il vincolo testuale
più forte per la Costituzione che per la legge impone anche un rispetto della volontà storica del
costituente che è maggiore di quello derivante dall’intenzione originaria del legislatore ordinario22 .
L’intento originario del costituente assume, quindi, un valore che non è ravvisabile
nell’ambito della legislazione ordinaria, analogamente a quanto si è rilevato per quanto concerne il
vincolo testuale.
Il canone interpretativo in questione viene ricondotto nell’ambito della concezione
imperativistica della Costituzione. La dottrina imperativistica, infatti, impone di attribuire ad ogni
enunciato normativo il significato corrispondente alla volontà dell’autore di tale enunciato (il
legislatore storico) 23 . Dietro tale affermazione è ravvisabile la concezione ontologica del diritto
fondata sull’idea positivistica per cui il diritto si esaurisce nella volontà del legislatore 24 .
Il fondamento normativo dell’intento originario può essere individuato nell’art.12, 1°co.,
disp. prel. c.c., che, anche per il fatto di essere una disposizione di rango ordinario, non è da tutti
22
M. LUCIANI, Interpretazione costituzionale e testo della Costituzione, cit., 47-48. La maggiore stabilità imposta
all’interpretazione costituzionale deriva dal fatto che la Costituzione detta le regole del gioco, a differenza della legge
che viene adottata durante lo svolgimento del gioco ed è, quindi, tenuta al rispetto delle regole fissate dalla
Costituzione.
23
M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, in Giur. cost., 1993, 525 ss., il quale mette anche in risalto che
la concezione imperativistica in passato è stata all’origine di interpretazioni svalutative della Costituzione. Sul punto v.
anche L. PEGORARO, Lavori preparatori della legge e sindacato di costituzionalità, in Giur. cost., 1988, II, 1441 ss.,
che nel contempo evidenzia la sostanziale rivalutazione dell’ “elemento intenzionale, espresso nei lavori preparatori”
nell’ambito della giurisprudenza costituzionale (che inizialmente richiama prevalentemente i lavori preparatori
dell’Assemblea costituente al fine di chiarire la portata normativa delle disposizioni costituzionali che fungono da
parametro, mentre successivamente fa riferimento soprattutto ai lavori preparatori della legislazione ordinaria che
costituisce l’oggetto del giudizio di costituzionalità) (spec.1456-1457). Diversa in merito la posizione di A.
BALDASSARRE, Interpretazione e argomentazione, cit., 1, che, viceversa, sottolinea il ritardo con cui la dottrina
italiana ha acquisito la consapevolezza del declino del positivismo giuridico e, di conseguenza, del fatto che
l’interpretazione costituzionale non si esaurisce nella ricerca della volontà del costituente (ma si vedano al riguardo
anche le critiche che vengono mosse a Baldassarre da R. GUASTINI, Sostiene Baldassarre, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it, 13 luglio 2007, 1 ss.).
24
G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., 185.
8
ritenuta vincolante per la Costituzione 25 . Ma, al di là della disputa sul carattere vincolante o meno
di tale disposizione (che alla fine coincide con quella relativa alla eventuale specificità
dell’interpretazione costituzionale, in quanto sono soprattutto i sostenitori di tale specificità a
considerare
l’interpretazione
costituzionale
sottratta
alle
regole
tradizionali
dell’attività
interpretativa), ciò che va in definitiva sottolineato è che non si può negare qualsiasi rilevanza
all’intento originario del costituente 26 . Anzi, nel momento stesso in cui viene in considerazione
come possibile criterio interpretativo, è necessario avere piena consapevolezza del diverso e
maggior valore che, come si è accennato, lo distingue dall’intento originario del legislatore
ordinario.
Il canone dell’intenzione del costituente si inserisce tra gli strumenti interpretativi di tipo
storico, che possono essere intesi in due modi, corrispondenti alle due versioni dell’interpretazione
originalista: o come ricostruzione della volontà del costituente (versione soggettiva), o come ricerca
del significato originario di certi enunciati con riferimento anche alla legislazione precostituzionale
(versione oggettiva-teleologica, fondata sulla presunzione di continuità del sistema giuridico) 27 .
25
M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, cit., 526, sottolinea il valore storico della suddetta disposizione,
che si trovava formulata con lo stesso tenore letterale già nelle disposizioni preliminari al codice civile del 1865,
all’art.3, 1°co. A mettere in dubbio che tale disposizione sia valevole per l’interpretazione costituzionale (che sembra
sottrarsi alle consuete regole interpretative) è F. MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione
costituzionale, cit., 58-59; A. PACE, Interpretazione costituzionale e interpretazioni per valori, cit., 95, invece, ritiene
che l’art.12 disp. prel. c.c. sia applicabile anche alla Costituzione se non va a contraddire il suo carattere rigido. Le due
opzioni interpretative (circa l’applicabilità o meno all’interpretazione costituzionale del disposto contenuto nell’art.12,
1°co., disp. prel. c.c.) sono efficacemente sintetizzate da R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, cit.,
296-297 (ma v. anche 188-189, per quanto concerne lo specifico riferimento all’intenzione del legislatore contenuto nel
suddetto art.12, 1°co.: qui l’A. sottolinea la difficoltà di individuare materialmente il legislatore, visto che corrisponde
ad organi di natura collegiale, e la tendenza della dottrina ad identificare tale intenzione nella volontà oggettiva e non
soggettiva della legge, con la conseguente irrilevanza dei lavori preparatori). La difficoltà di rintracciare l’effettiva
volontà del legislatore è evidenziata anche da A. ROSS, Diritto e giustizia, trad. it. a cura di G. GAVAZZI, Torino,
1965, 135, che ritiene a tal fine determinante l’apporto dei lavori preparatori. In una prospettiva più generale,
sull’inadeguatezza degli artt.12 ss. disp. prel. c.c. ai fini dell’interpretazione non solo della Costituzione, ma di tutta la
normativa, v. P. PERLINGIERI, Giustizia secondo Costituzione ed ermeneutica. L’interpretazione c.d. adeguatrice, in
Interpretazione a fini applicativi e legittimità costituzionale, a cura di P. FEMIA, Napoli, 2006, 54-55.
26
In questo senso A. PACE, Interpretazione costituzionale e interpretazioni per valori, cit., 106, che rileva come anche
nell’ambito della giurisprudenza costituzionale si faccia ricorso all’interpretazione “storica” (è in tale contesto che l’A.
colloca il canone ermeneutico fondato sull’intenzione originaria del legislatore: sul punto v. anche più avanti nel testo).
Il fatto che la Corte interpreti la Costituzione utilizzando (anche) i criteri tradizionali indicati nelle disposizioni
preliminari al codice civile può essere spiegato riconoscendo a tali disposizioni un “valore meramente ricognitivo di
criteri generalissimi adottati per esigenze di ragione o di giustizia” (G. ZAGREBELSKY, Appunti in tema di
interpretazione, cit., 912).
27
M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, cit., 532 e 542; R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti
normativi, cit., 282-283 (dove si individuano appunto, con specifico riferimento alla Costituzione, le due varianti
dell’interpretazione originalista: quella “testualista”, che attribuisce al testo costituzionale il significato oggettivo
originario quale risulta dagli usi linguistici del momento storico in cui fu adottata la Costituzione, e quella
“intenzionalista”, che si basa sul significato originario soggettivo del testo, ricavabile attraverso l’intenzione o volontà
dei costituenti ricostruita mediante i lavori preparatori intesi in senso lato), e 150 ss. per quanto concerne
l’interpretazione dei documenti normativi in genere. In tale prospettiva più generale si individuano, più analiticamente,
diverse coppie di varianti dell’argomento dell’intenzione del legislatore e si evidenzia il suo possibile impiego in modo
autonomo o ausiliario. Le due versioni che si sono indicate nel testo possono ritenersi corrispondenti alla variante
“volontà del legislatore”, intesa come volontà dei soggetti che hanno approvato la legge, identificabili attraverso i lavori
preparatori, e “volontà della legge”, intesa come ratio legis, vale a dire come il motivo e lo scopo per cui una certa
9
Inoltre l’argomento dell’intenzione originaria viene invocato dall’interprete per perseguire
obiettivi diversi: come sostegno all’interpretazione letterale, ma anche come giustificazione del
fatto di disattendere tale interpretazione, o come strumento per colmare eventuali lacune 28 .
Il canone in questione, analogamente a quanto si è visto per il vincolo testuale e per il
riferimento ai precedenti, si presta a svolgere un ruolo di contenimento delle tecniche interpretative
maggiormente creative. Un suo utilizzo in questo senso è stato ipotizzato con riferimento alla
concezione espansiva della Costituzione, che considera le norme costituzionali come un vincolo
obbligatorio da interpretare magis ut valeat (la portata degli enunciati costituzionali viene estesa “a
tutte le ipotesi formulabili in termini non linguisticamente incompatibili con essi”) 29 .
L’interpretazione estensiva derivante da tale concezione può dare luogo a delle antinomie, che
possono appunto essere risolte ricorrendo al criterio dell’intenzione del costituente (inteso nella
versione soggettiva e da utilizzare al fine di ridurre la portata di una disposizione costituzionale) 30 .
L’effetto espansivo di tale interpretazione, cioè, può essere delimitato attraverso il riferimento alla
volontà storica del costituente 31 .
Un’ulteriore ipotesi di ricorso all’intenzione originaria del costituente al fine di delimitare
tecniche di creazione del parametro è individuabile con riferimento alla structural argumentation
normativa è stata adottata, la cui individuazione presuppone il riferimento non ai lavori preparatori, ma al testo della
legge e alle circostanze politiche e sociali da cui la legge è scaturita. Un significato analogo è rinvenibile anche nella
variante “intenzione in senso stretto”, riferita a ciò che il legislatore voleva dire (argomento psicologico), e “scopo” (o
intenzione in senso lato), riferito a ciò che il legislatore voleva fare (argomento teleologico). Sempre nella prospettiva
più ampia relativa ai documenti normativi in genere v., inoltre, G. TARELLO, L’interpretazione della legge, Milano,
1981, 364 ss. dove le due varianti in questione vengono qualificate come argomento psicologico (o riferimento alla
volontà del legislatore concreto) e argomento storico (o presunzione di continuità, o ipotesi del legislatore
conservatore).
28
Sul punto v. R. GUASTINI, Teoria e ideologia, cit., 766.
29
M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, cit., 543. Si deve, come è noto, a V. CRISAFULLI,
Introduzione, in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, 11, la sottolineatura circa la necessità
di interpretare la Costituzione in tutte le sue parti magis ut valeat, derivante dalla sua natura di atto normativo. La
concezione espansiva della Costituzione presuppone una norma generale inespressa di tipo inclusivo, a differenza della
concezione recessiva della Costituzione, che presuppone una norma generale inespressa esclusiva e considera le norme
costituzionali (non come vincolo obbligatorio, ma) come norme a fattispecie aperta. Sul punto v. M. DOGLIANI,
Interpretazioni della Costituzione, Milano, 1982, 89 ss. Ma v. ora in merito anche le considerazioni critiche
sull’interpretazione magis ut valeat formulate da R. BIN, Che cos’è la Costituzione?, in Quad. cost., 2007, 32 ss.,
nell’ambito di una concezione “negativa” della Costituzione, che viene quindi intesa come insieme di limiti che la
politica non deve oltrepassare. Va evidenziata l’importanza del dato testuale che anche quest’ultima concezione mette
in risalto: è solo il testo che può essere opposto alle decisioni della politica (testo che “conta per quello che scrive e
significa , non per quello che gli si può imputare magis ut valeat”) (spec.39). Anche dal contesto adesso preso in esame
si riceve un’evidente conferma dell’ampia e trasversale condivisione del vincolo testuale che scaturisce dalla
Costituzione (al riguardo v. anche nota 31).
30
M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, cit., 542 ss., la cui analisi prende spunto dalla sentenza della
Corte costituzionale n.429/1992 (che verrà analizzata nel § 5.2), ma per poi ipotizzare una ricostruzione teorica valevole
al di là del caso specifico.
31
Il nucleo della volontà costituente coincide con i principi supremi, vale a dire con “i principi essenziali del
compromesso costituzionale”, considerati “nella loro identità storico-politica”. Questi vengono così a rappresentare,
nella concezione espansiva della Costituzione, il confine ultimo non solo della revisione, ma anche dell’interpretazione
costituzionale (ferma restando la configurazione del testo della Costituzione come “limite esterno” della legislazione).
M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, cit., 544.
10
(interpretazione per strutture) 32 . Questa consiste appunto in una tecnica di creazione del parametro
(utilizzata con alterna fortuna prima negli Stati Uniti e poi in Canada) che ricava dal testo scritto un
principio non scritto da applicare poi come parametro autonomo. In questo modo è possibile
sganciarsi dal testo, ma rimanendo ancorati all’intento originario del costituente, così da ripristinare
e preservare l’equilibrio originario attraverso il riconoscimento giurisprudenziale di nuovi diritti e
doveri. In sostanza si tratta di una tecnica interpretativa che permette di assicurare una “rigidità
costituzionale minima”, agganciata all’original intent dei padri fondatori 33 . La creazione del
parametro avviene attraverso l’individuazione di un principio non scritto che permette il
mantenimento del legame con l’intenzione originaria dei costituenti34 . In questo caso, quindi,
l’original intent sembra costituire, più precisamente, lo scopo giustificativo della tecnica di
creazione del parametro (questo viene creato per preservare l’intento originario). Ciò non inficia,
però, la valutazione sulla funzione di contenimento della creatività, che viene comunque ad essere
svolta dal canone dell’intento originario anche nell’ambito normativo adesso considerato (proprio
perché l’individuazione del principio non scritto è ammessa solo per preservare l’equilibrio
originario).
Va sottolineato che la structural argumentation è ritenuta utilizzabile per la creazione di un
nuovo parametro (non scritto) solo laddove il testo costituzionale è del tutto carente. Se il testo
scritto è solo incompleto, la “interpretazione per strutture” può rappresentare un ausilio per
l’interpretazione di quanto risulta dal testo, ma senza poter mai prevalere su di esso 35 .
Nel peculiare contesto che si è adesso preso in considerazione riemerge così l’importanza
del vincolo testuale, fortemente sentita, come si è visto, anche dalla dottrina italiana.
Il rapido excursus teorico effettuato sembra alla fine evidenziare che, anche ritenendo
inevitabile l’utilizzo da parte del giudice costituzionale di tecniche ermeneutiche che gli consentono
di avere un margine d’azione piuttosto ampio nella individuazione del parametro per la risoluzione
dei casi sottoposti al suo giudizio, è comunque fortemente avvertita l’esigenza di contenere tale
ruolo creativo ancorandolo al rispetto di elementi che in ambito interpretativo sono ritenuti appunto
32
A. MASARACCHIA, La “costruzione” e l’impiego di parametri non scritti, cit., 130 ss.
V. sempre A. MASARACCHIA, La “costruzione” e l’impiego di parametri non scritti, cit., 132.
34
Tale tecnica è finalizzata al mantenimento dell’equilibrio tra due contrappesi: da una parte le strutture costituzionali
(soprattutto quelle tra Confederazione e singoli Stati), dall’altra le posizioni soggettive (anche individuali). Se uno dei
due contrappesi subisce un mutamento determinato dal trascorrere del tempo, diviene necessario intervenire sull’altro
contrappeso in modo da ripristinare l’equilibrio originario. E’ così possibile salvaguardare quel nucleo costituzionale
che corrisponde all’intento originario dei costituenti. Così A. MASARACCHIA, La “costruzione” e l’impiego di
parametri non scritti, cit., 185.
35
In tal caso A. MASARACCHIA, La “costruzione” e l’impiego di parametri non scritti, cit., 141 ss., parla di uso “in
senso debole” della structural argumentation, in contrapposizione all’uso “in senso forte”, che viene fatto quando la
totale assenza della disposizione scritta rende possibile l’utilizzo di tale tecnica interpretativa al fine di creare un nuovo
parametro.
33
11
incontestabili (il vincolo testuale in primo luogo, ma anche l’intenzione originaria del costituente e i
precedenti giurisprudenziali).
3. Prima di analizzare l’utilizzo del canone dell’intento originario del costituente nell’ambito
della giurisprudenza costituzionale, è opportuno soffermarsi brevemente sulla creatività che
caratterizza l’attività di interpretazione del parametro da parte della Corte. Il canone in questione,
infatti, può essere correttamente valutato non solo individuando la collocazione che assume nel più
ampio contesto dell’interpretazione costituzionale (come fin qui si è tentato di fare), ma anche
tenendo presenti le modalità concrete con cui avviene l’identificazione del significato del parametro
dei giudizi costituzionali.
Si è già sottolineato che uno dei motivi per cui all’interpretazione costituzionale viene
attribuita (da una parte della dottrina) una specificità che la rende diversa dall’interpretazione della
legislazione ordinaria è rinvenibile nel contenuto del testo costituzionale, che è fatto più di principi
che di regole. L’indeterminatezza che contraddistingue i principi (a loro volta espressione dei valori
sottesi alle scelte dei costituenti) rende ampiamente discrezionale l’attività di interpretazione della
Costituzione e, quindi, l’individuazione dei parametri dei giudizi costituzionali. Questo dato di
fatto, ulteriormente favorito dall’estrema laconicità delle indicazioni normative inerenti a tali
parametri, ha reso possibile l’utilizzo di elementi (talvolta anche di natura fattuale) estranei al testo
costituzionale, che svolgono un ruolo integrativo (o addirittura sostitutivo) del testo stesso 36 .
Ciò dà luogo al fenomeno dell’allargamento del parametro, che consente alla Corte di
risolvere i giudizi costituzionali avvalendosi (anche) sia di fonti diverse dalla Costituzione (e, in
genere, dalle fonti scritte di rango costituzionale), sia di norme costituzionali implicite. La Corte,
cioè, va oltre il dato testuale da un duplice punto di vista: ricorre a fonti diverse da quelle
costituzionali scritte (il che può significare che utilizza fonti costituzionali non scritte, come le
consuetudini costituzionali, ma anche che si serve di fonti subordinate a quelle costituzionali), o
impiega come parametro norme costituzionali non esplicitate nei testi. L’individuazione di
parametri costituzionali impliciti avviene quasi sempre mediante l’interpretazione: l’attività
interpretativa costituisce di regola il tramite necessario per l’identificazione del parametro anche
quando ciò avviene oltre il dato testuale, che rappresenta così il necessario punto di partenza dal
36
F. DAL CANTO, Il parametro in senso stretto, cit., 258 ss. Per quanto concerne gli elementi di natura fattuale,
vengono ritenuti di importanza fondamentale ai fini della ricostruzione del parametro da A. RUGGERI, Linguaggio
della Costituzione e parametri nel giudizio di costituzionalità, in Il parametro nel giudizio di costituzionalità, cit., 533
ss. A. SPADARO, Dalla Costituzione come “atto”, cit., 23, invece, sottolinea la necessità di non sopravvalutare il ruolo
dei fatti nell’interpretazione del parametro costituzionale. In senso ancora più critico sul punto R. BIN, Che cos’è la
Costituzione?, cit., 39: non si può forzare l’interpretazione del parametro per adeguarla ai fatti (oggetto e parametro del
giudizio non vanno confusi e la risoluzione dei giudizi costituzionali deve essere basata solo sul parametro legale, da
tenere distinto rispetto alle scelte di natura politica).
12
quale la Corte tende a discostarsi in misura progressivamente crescente 37 . In sostanza la
Costituzione scritta non può ritenersi coincidente con il parametro dei giudizi costituzionali 38 , che
di fatto abbraccia un ambito molto più vasto.
Il fenomeno dell’allargamento del parametro si manifesta sia sul piano sostanziale sia sul
piano processuale dei giudizi costituzionali 39 .
In questo modo l’individuazione del parametro costituzionale si concreta in un’attività dalla
valenza altamente creativa. Secondo parte della dottrina interpretare la Costituzione equivale a
creare le norme costituzionali parametro 40 .
La creatività che caratterizza la ricerca del significato normativo del parametro viene
fortemente sottolineata e ritenuta addirittura maggiore di quella rilevabile con riferimento
all’oggetto dei giudizi costituzionali 41 .
L’interpretazione del parametro fornita dalla Corte, inoltre, si distingue per essere di
carattere vincolante. Una significativa conferma in tal senso è rinvenibile nelle direttive rivolte al
Parlamento attraverso alcune decisioni costituzionali e poi utilizzate come parametro per verificare
37
F. DAL CANTO, Il parametro in senso stretto, cit., 260.
In tal senso A. SPADARO, Dalla Costituzione come “atto”, cit., 67 ss., che distingue la Costituzione come atto
puntuale e statico (legato al momento storico in cui si è manifestato il potere costituente traducendosi in potere
costituito) dalla Costituzione come processo storico-dinamico (volto a recepire nuovi interessi e al tempo stesso a
sospendere “originarie istanze costituenti”).
39
Così nella ricostruzione di F. DAL CANTO, Il parametro in senso stretto, cit., 261 ss., al quale si rinvia anche per le
indicazioni giurisprudenziali. Con riferimento al piano sostanziale il fenomeno dell’allargamento del parametro oltre il
dato testuale viene rinvenuto nei casi in cui la Corte utilizza le norme costituzionali implicite, le consuetudini
costituzionali, i principi supremi (per quanto concerne, in particolare, il sindacato sulle leggi costituzionali), il canone
della ragionevolezza, le norme interposte, la decostituzionalizzazione del parametro nei conflitti di attribuzione. Sul
piano processuale, invece, tale fenomeno si concreta in un’applicazione particolare delle regole del processo
costituzionale (in particolare viene fatto riferimento alle ipotesi in cui la Corte deroga al principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato).
40
A. SPADARO, Le motivazioni delle sentenze della Corte, cit., 363 ss. V. anche, in una prospettiva più generale, G.
SILVESTRI, Le sentenze normative della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1981, II, 1702-1703: ogni volta che un
giudice sceglie una delle possibili interpretazioni della disposizione decide e, quindi, crea una norma, determinando nel
contempo il venir meno della distinzione (dalla valenza meramente teorica) tra disposizione e norma (nel momento in
cui il diritto viene concretamente applicato, dalla disposizione può ricavarsi solo la norma individuata dal giudice). Si
tenga tuttavia presente la sottolineatura fatta da un’altra parte della dottrina (v., in particolare, M. LUCIANI, Le funzioni
sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme a”, 8 agosto 2007, in www.federalismi.it, 7)
circa la necessità di tenere distinta l’interpretazione dalla normazione (senza perciò disconoscere l’ampia libertà di
movimento che connota l’attività dell’interprete).
41
F. DAL CANTO, Il parametro in senso stretto, cit., 260 e 293 ss. Significativa in tal senso anche la posizione di A.
RUGGERI, Principio di ragionevolezza, cit., 302-303, che considera il fenomeno della manipolazione del parametro
più corposo di quello della interpretazione conforme. V., inoltre, in una prospettiva parzialmente diversa, L.
ARCIDIACONO, Brevi osservazioni sul carattere di non contraddittorietà tra decisioni della Corte nella produzione
del diritto costituzionale giurisprudenziale: il caso delle sentenze nn.45 e 46 del 2005, in Le fonti del diritto, oggi.
Giornate di studio in onore di Alessandro Pizzorusso, Pisa, 2006, 62, che sottolinea la maggiore forza creativa del
diritto costituzionale giurisprudenziale rispetto al diritto vivente. Il limite invalicabile della creatività connessa
all’interpretazione del parametro costituzionale viene individuato in tale prospettiva nel “diritto costituzionale vivente”,
la cui formazione non dipende soltanto dalla Corte costituzionale (così A. RUGGERI, Linguaggio della Costituzione,
cit., 555 ss.).
38
13
la conformità alla Costituzione delle scelte successivamente compiute dal legislatore42 . La Corte va,
quindi, considerata come “l’unico interprete in senso vincolante del parametro” e perciò stesso, pur
essendo a sua volta tenuta al rispetto del parametro costituzionale, ne è di fatto in parte svincolata 43
(sono in tal senso significativi tutti i casi in cui l’interpretazione della Corte è volta
all’individuazione di un parametro extratestuale). L’elevata manipolabilità del parametro dà luogo
in questo modo al c.d. paradosso della giustizia costituzionale, che vede appunto la Corte
contemporaneamente tenuta al rispetto del parametro costituzionale e di fatto in grado di
discostarsene (senza per questo determinare il venir meno del carattere vincolante
dell’interpretazione da essa data).
L’elevata creatività connessa all’individuazione del parametro, se appare in qualche modo
giustificabile di fronte alla Corte intesa come garante della costituzionalità dell’ordinamento
giuridico, risulta probabilmente più discutibile nel momento in cui si tengono presenti anche “gli
interessi sostanziali sottesi ai giudizi di costituzionalità” 44 . Diviene allora fortemente necessario
invocare il rispetto di criteri che possano in qualche modo contenere la mancanza di certezza
connessa all’utilizzo di parametri impliciti 45 . In tale contesto assume un’importanza determinante
anche la motivazione che deve sorreggere le decisioni costituzionali nella parte in cui pervengono
all’identificazione del parametro 46 .
Nel momento stesso in cui si sottolinea la necessità di ancorare la creatività relativa
all’identificazione del parametro ad elementi che consentano di circoscrivere l’ampia discrezionalità
42
S. BARTOLE, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna, 2004, 241. V. anche G.
SILVESTRI, Le sentenze normative, cit., 1716 ss. Più cauta sul punto la posizione di F. MODUGNO, La “supplenza”
della Corte costituzionale, 4 agosto 2007, in www.federalismi.it. Il fenomeno rilevato nel testo può essere collocato
nell’ambito del diritto costituzionale giurisprudenziale (al quale si è accennato alla nota 21).
43
A. SPADARO, Dalla Costituzione come “atto”, cit., 17 e, adesivamente, F. DAL CANTO, Il parametro in senso
stretto, cit., 294.
44
Così F. DAL CANTO, Il parametro in senso stretto, cit., 295, che si rifà alla nota dicotomia (sulla Corte come
guardiano della lex, ma anche garante degli iura) evidenziata da G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale,
Bologna, 1988, 176.
45
V. sempre F. DAL CANTO, op. loc. ult. cit., che fa espresso riferimento alla cautela, trasparenza e coerenza che
devono caratterizzare le scelte compiute dalla Corte in sede di interpretazione del parametro.
46
A. SPADARO, Le motivazioni delle sentenze della Corte, cit., 365 ss., che evidenzia la peculiarità delle scelte
politiche espressione del potere costituente, il cui contenuto è costituito da principi, che consentono di per sé “un certo
tasso di creatività” ed esigono in sede di interpretazione una motivazione più complessa e sofisticata di quella richiesta
dall’interpretazione delle scelte del legislatore ordinario (spec.369). Quando la Corte si limita ad interpretare il testo
costituzionale e, quindi, ad individuare, attraverso un procedimento logico-deduttivo, la volontà esplicita dei costituenti,
è sufficiente che le decisioni della Corte stessa siano sorrette da una motivazione in senso stretto. Quando, invece,
l’interpretazione del parametro si traduce nella identificazione della norma costituzionale sulla base di principi
costituzionali impliciti e, quindi, nella ricerca della volontà implicita dei costituenti, la Corte compie un’operazione di
bilanciamento di interessi di rilievo costituzionale seguendo un procedimento topico fondato su nessi di tipo
problematico-induttivo e in tal caso non è sufficiente una motivazione in senso stretto, ma la decisione della Corte deve
essere supportata da una vera e propria argomentazione. V. anche G. SILVESTRI, Le sentenze normative, cit., 1706,
che sottolinea la necessità di dare attuazione ai principi costituzionali attraverso il metodo topico dell’argomentazione
giuridica. L’importanza di un’adeguata motivazione viene evidenziata, inoltre, da S. PANIZZA, L’individuazione del
parametro ad opera della Corte costituzionale nel giudizio incidentale sulle leggi, in Il parametro nel giudizio di
costituzionalità, cit., 473, con specifico riferimento a quelle ipotesi, relative al giudizio incidentale, in cui la Corte
nell’individuazione del parametro si discosta dalle indicazioni contenute nell’ordinanza di rimessione.
14
di cui gode la Corte emerge nuovamente il riferimento all’intenzione originaria dei costituenti. Tra
le precauzioni che la Corte deve adottare quando utilizza parametri impliciti non scritti (o
comunque non immediatamente riconducibili al testo costituzionale) viene espressamente indicato il
rispetto dell’intento originario del potere costituente 47 , che si conferma così anche dal punto di vista
della concreta attività di identificazione del parametro come indispensabile fattore di contenimento
della creatività della Corte. Si verifica in questo modo una sorta di quadratura del cerchio (rispetto a
quanto rilevato in merito all’interpretazione costituzionale considerata sotto il profilo teorico) che
consente ora di comprendere appieno l’utilizzo del canone dell’intento originario del costituente
nella giurisprudenza costituzionale.
4. Per analizzare la giurisprudenza costituzionale che si richiama all’intento originario del
costituente occorre partire da un dato di fatto che mi pare incontestabile. Quando la Corte interpreta
il parametro costituzionale non utilizza un unico metodo, ma si rifà a canoni diversi 48 . La volontà
del legislatore storico non è che uno dei criteri interpretativi rintracciabili nell’ambito della
giurisprudenza costituzionale 49 .
Il nodo da sciogliere con riferimento al canone ermeneutico oggetto della presente analisi
non concerne, quindi, tanto il se viene utilizzato, quanto il come e il quando. I casi che si prendono
a tal fine in esame sono quelli in cui la Corte si richiama all’intenzione originaria del costituente (la
cui peculiarità consiste proprio nel fatto di collegarsi alla volontà del costituente storico, che
ovviamente va tenuta distinta dalla volontà del legislatore ordinario) 50 . Ci si concentra, pertanto,
quasi esclusivamente sulle decisioni costituzionali che utilizzano come parametro norme di rango
costituzionale (pur nella piena consapevolezza che, come si è visto nel paragrafo precedente,
l’interpretazione del parametro dei giudizi costituzionali abbraccia un ambito più vasto).
47
A. SPADARO, Le motivazioni delle sentenze della Corte, cit., 367 ss. L’A. identifica tre precauzioni che la Corte
deve osservare nel momento in cui pone in essere un’attività manipolativa del parametro. Deve avere l’accortezza, nel
momento in cui interpreta la Costituzione in modo evolutivo, di rispettare la volontà originaria del costituente (lo
“spirito” della Costituzione); deve rinunciare ad un possibile utilizzo della coscienza sociale come parametro (implicito
o esplicito); deve adottare criteri argomentativi coerenti nel tempo.
48
La pluralità del metodi interpretativi viene ritenuta un elemento positivo, che garantisce l’individuazione della regola
adeguata al caso concreto da G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., 184 ss. (spec.186), nella cui impostazione la
scelta del metodo interpretativo è condizionata dalla “(direzione della) ricerca”: il metodo è inteso come “una risorsa
argomentativa per mostrare che la regola estratta dall’ordinamento è una regola possibile”.
49
Emblematica al riguardo l’indagine giurisprudenziale, relativa ai primi mesi del 2006, riportata da A. PACE,
Interpretazione costituzionale e interpretazioni per valori, cit., 109 ss., spec. nota 96.
50
Si veda quanto si è sottolineato alla nota 22 sulla maggiore stabilità imposta all’interpretazione della Costituzione, per
il fatto che fissa le regole del gioco, a differenza della legge che è invece tenuta al rispetto di tali regole (considerazione
che mi pare pienamente valevole anche per quanto concerne più specificamente la diversa considerazione da dare al
canone dell’intento originario del costituente rispetto a quello del legislatore ordinario). Un’ulteriore distinzione da
tenere presente nella indagine in corso riguarda, poi, le ipotesi in cui l’intento originario è espressione, anziché del
costituente storico (e, quindi, del potere costituente), del legislatore di revisione costituzionale (e, quindi, del potere
costituito). Sul punto v. § 6.
15
Facendo una panoramica sulla giurisprudenza costituzionale che ha preso in considerazione
il canone dell’intento originario del costituente, si possono cogliere alcuni dati di fondo
interessanti 51 .
Nella maggior parte dei casi la Corte non si sofferma sull’intenzione del costituente, ma si
limita a farvi un riferimento che è poco più di un accenno (anche se talvolta si tratta comunque di
un riferimento che risulta significativo nel contesto della decisione).
Il richiamo all’intento originario del costituente, di regola, viene effettuato al fine di dare
sostegno alla scelta interpretativa sulla quale si fonda la decisione costituzionale, talvolta allo scopo
specifico di discostarsi dall’interpretazione proposta dal giudice a quo o dalle parti 52 . Non mancano,
però, dei casi in cui l’intento originario del costituente viene richiamato, ma poi non preso in
considerazione perché ritenuto contrastante con quanto risulta dal testo scritto della Costituzione53 ,
oppure casi in cui viene rilevato il carattere non decisivo del riferimento al canone dell’intento
originario a causa della non univocità dei lavori preparatori della Costituzione 54 .
La Corte sembra privilegiare l’impiego del canone dell’intento originario nella versione
soggettiva 55 , che in questo caso assume in tal senso una connotazione fortemente accentuata. La
Corte, infatti, fa quasi sempre riferimento diretto (anche) ai soggetti costituenti, mentre più
raramente cita soltanto i lavori preparatori (che sono invece frequentemente richiamati per la
51
Un elenco di pronunce costituzionali contenenti il riferimento all’intenzione originaria del costituente è riportato
nell’appendice che si allega alla presente relazione. Le considerazioni che si espongono nel presente paragrafo sono il
frutto dell’analisi dei dati giurisprudenziali contenuti in tale elenco, al quale pertanto si rinvia. Come si è evidenziato
nel testo, le pronunce prese in esame sono quelle che si richiamano all’intento originario del costituente, quindi l’analisi
è pressoché circoscritta ai parametri costituzionali strettamente intesi (le uniche eccezioni riguardano alcune ipotesi di
norme interposte: leggi delega e leggi cornice).
52
Può anche succedere che sia, viceversa, il giudice a quo ad effettuare un’interpretazione secondo lui conforme
all’intento originario del costituente e che poi la Corte ritenga di non dover accoglierla (v., ad es., la sentenza
n.54/1960).
53
Rimane in tal senso emblematica la sentenza n.47/1991, ma in merito alla quale è necessario tenere presente
l’effettivo andamento dei fatti in sede costituente (secondo quanto si specifica nel § 5.3, alla nota 84). Da notare, però,
che non mancano decisioni da cui si ricava il principio contrario, vale a dire la prevalenza della volontà del costituente
sul testo scritto. V. in tal senso, ad es., la sentenza n.118/1974, dove al punto 3 del “Considerato in diritto” viene
affermata la necessità di interpretare l’art.30, 1°co., Cost, non in base al suo tenore letterale (che stabilisce il dirittodovere dei genitori di mantenere ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, senza porre alcuna limitazione
esplicita), ma collegandolo all’ultimo comma dello stesso art.30 (il quale dispone che la legge detta i limiti per la ricerca
della paternità) e tenendo presente l’intento dei costituenti, che sicuramente hanno subordinato l’esercizio del diritto in
questione alla previa individuazione dei genitori. Va, però, sottolineato il diverso valore dell’intento dei costituenti nei
due casi messi a confronto: il primo connesso ad un’ipotesi (la sottrazione delle leggi elettorali al referendum
abrogativo) esplicitamente prevista nei lavori preparatori e poi misteriosamente scomparsa dal testo finale; il secondo
relativo ad un diritto costituzionale letteralmente stabilito in senso ampio, ma da interpretare in modo più restrittivo in
base all’intento dei costituenti, al quale viene fatto però un riferimento fondato su una supposizione di carattere
prevalentemente logico (come sembra dedursi sia dal modo in cui si pronuncia la Corte, sia dal contemporaneo
collegamento con l’ultimo comma dell’art.30). Resta comunque fermo che i due casi denotano la mancanza di univocità
delle indicazioni che si traggono, in merito ai criteri interpretativi, dalla giurisprudenza costituzionale. Non sembra
possibile stabilire una sorta di gerarchia dei canoni ermeneutici, con la prevalenza di alcuni su altri, ma molto è rimesso
alla scelta discrezionale fatta dalla Corte di fronte al caso concreto da risolvere. Si vedano al riguardo anche le
considerazioni riportate alla nota 48.
54
V., ad es., la sentenza n.56/1958, concernente il principio di eguaglianza tra i sessi, che si analizza nel § 5.1.
55
Sulla distinzione tra versione soggettiva e oggettiva del canone in questione v. nota 27.
16
legislazione ordinaria, quindi sul versante dell’oggetto del giudizio costituzionale) 56 . Ciò potrebbe
indicare (al di là dell’importanza dei lavori preparatori ai fini dell’individuazione dell’intento
originario, che resta comunque fondamentale) 57 la volontà della Corte di dare un peculiare rilievo
alla componente soggettiva dell’intenzione dei costituenti.
In molte pronunce capita di rinvenire un riferimento alla volontà del costituente nel
“Ritenuto in fatto”, in quanto l’applicazione del canone dell’intento originario viene sollecitato
dall’Avvocatura dello Stato (oppure, più raramente, dalle parti o dal giudice a quo). La Corte, però,
tende a non farsi condizionare sulla scelta dei canoni ermeneutici da utilizzare e il più delle volte in
casi del genere nel “Considerato in diritto” non si trova poi alcuna traccia esplicita dell’intento
originario del costituente 58 .
Dalle decisioni costituzionali fondate (anche) sul canone dell’intento originario emerge che
in tale ambito specifico si è verificata un’evoluzione che in buona parte riflette quella che ha
connotato la giurisprudenza costituzionale complessivamente considerata. Il riferimento alla volontà
originaria del costituente viene così a rappresentare uno di quegli elementi che permettono di
cogliere l’andamento generale delle pronunce costituzionali.
Ci sono, innanzitutto, dei settori costituzionali in cui risulta essere più frequente il richiamo
all’intento originario, che sono comunque gli stessi che maggiormente hanno dato luogo alla
richiesta di intervento del giudice costituzionale: quello relativo ai diritti fondamentali (parte I della
Costituzione), quello concernente il potere giudiziario e quello attinente alle autonomie locali
(rispettivamente titoli IV e V della II parte della Costituzione), con la specificazione, per quanto
concerne l’ultimo dei titoli indicati, che il riferimento all’intento originario ricorre in molte
pronunce ma quasi sempre in modo poco incisivo.
Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale si ricava abbastanza agevolmente che la
Corte si è premurata di decidere tenendo conto della volontà originaria del costituente soprattutto
nel corso dei primi decenni della sua attività. In particolare le prime pronunce costituzionali in cui si
rinviene questo richiamo all’intento originario riguardano in buona parte il settore delle libertà
56
Da notare che, per quanto concerne l’oggetto dei giudizi costituzionali, molte volte il richiamo ai lavori preparatori
avviene allo specifico fine di evidenziare il fatto che tali lavori danno seguito a precedenti decisioni costituzionali. La
Corte, cioè, utilizza il canone dell’intento originario per mettere in risalto la volontà del legislatore (ordinario) di dare
attuazione a quanto disposto dalla Corte stessa nelle sue pronunce.
57
Riguardo al ruolo determinante dei lavori preparatori per l’identificazione dell’intento originario v. note 25 e 27.
58
Ipotesi del genere non sono state inserite nell’elenco allegato al presente lavoro, che è circoscritto ai soli casi
giurisprudenziali in cui è la Corte ad utilizzare o richiamare l’intento del costituente. Si indicano qui a titolo
esemplificativo un paio di casi, ma con la sottolineatura che si tratta di un fenomeno piuttosto ampio. Nella sentenza
n.160/1985, ad es., il richiamo alla volontà del “legislatore costituzionale” si trova contenuto nel “Ritenuto in fatto”
(con riferimento alle motivazioni addotte dal giudice a quo e dall’Avvocatura dello Stato), ma non viene poi ripreso
dalla Corte nel “Considerato in diritto”. V. anche, più di recente, la sentenza n.2/2007, dove viene richiamata la volontà
del legislatore costituzionale dalla sola ricorrente (la regione Sardegna). In altri casi, invece, la Corte riprende il
riferimento all’intento originario del costituente solo allo specifico fine di contestare l’interpretazione che le è stata
proposta (come è avvenuto nella già citata sentenza n.54/1960).
17
tradizionali (soprattutto quelle disciplinate dagli artt.16, 17, 18, 21). Questo settore viene
progressivamente affiancato da quello dei diritti sociali (in particolare quelli previsti negli artt.30,
36, 38), che occupano un posto di rilievo, nell’ambito della giurisprudenza costituzionale che si rifà
all’intenzione originaria del costituente, soprattutto nel corso degli anni ’70 e ’80.
La preoccupazione iniziale della Corte di non disattendere l’intento del costituente e la
conseguente tendenza a fondare le decisioni costituzionali sull’esplicito richiamo all’intenzione
originaria è facilmente spiegabile se si considera che ci troviamo di fronte ad un organo totalmente
nuovo, che deve ancora definire la propria posizione all’interno del sistema istituzionale. In questa
prima fase, quindi, il richiamo all’intento originario rappresenta anche uno strumento che assicura
legittimazione all’operato della Corte. L’attività dell’organo di giustizia costituzionale è
necessariamente connotata da una cautela maggiore di quella rinvenibile negli ultimi decenni, che
vedono una Corte che ha ormai pienamente consolidato il suo ruolo istituzionale e non è più alla
ricerca di un fondamento della propria legittimazione.
Il posto di primo piano occupato dai diritti fondamentali (libertà e diritti sociali) nell’ambito
della giurisprudenza costituzionale che si rifà all’intento originario del costituente è strettamente
collegato all’importante opera di “modernizzazione” dell’ordinamento giuridico che la Corte ha
compiuto proprio sul terreno dei diritti fondamentali, all’inizio soprattutto attraverso la demolizione
della legislazione prerepubblicana di matrice fascista e successivamente continuando comunque a
garantire l’attuazione di tale diritti 59 .
Nel periodo immediatamente precedente allo smaltimento dell’arretrato (avvenuto, come è
noto, alla fine degli anni ’80) continua ad essere abbastanza frequente il riferimento all’intento
originario del costituente, ma soprattutto è possibile rinvenire diverse decisioni che si soffermano in
modo insolitamente puntuale su tale riferimento.
Una svolta si compie, invece, proprio con lo smaltimento dell’arretrato, che fa sentire
chiaramente i suoi effetti anche sul canone dell’intento originario del costituente. La giurisprudenza
“frettolosa” che caratterizza la fine degli anni ’80 è segnata dalla presenza di un numero ingente di
decisioni ma pronunciate rapidamente e, quindi, talvolta con un contenuto sbrigativo. In un contesto
del genere sembra esserci poco spazio per la ricerca dell’intenzione originaria del costituente.
All’aumento considerevole di pronunce costituzionali non corrisponde un aumento dei casi risolti
con l’utilizzo del canone dell’intento originario, che anzi in questo periodo (1987-1989) non viene
quasi mai esplicitamente richiamato.
59
V. sul punto le recenti considerazioni di M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, cit., 4-5.
18
Dagli anni ’90, poi, la Corte riprende i richiami all’intento originario del costituente, ma con
una frequenza che non è la stessa della giurisprudenza iniziale 60 . Sembra realizzarsi così, almeno in
parte, quel processo evolutivo per cui il passare del tempo produce uno svilimento dell’importanza
dei lavori preparatori e fa assumere al canone fondato sulla volontà del legislatore originario il
carattere di interpretazione storica 61 . Ma, accanto a tale componente, un ulteriore fattore che
sicuramente ha contribuito a rendere più sporadici i riferimenti all’intenzione del costituente è
ravvisabile nella maggiore sicurezza (e, talvolta, spregiudicatezza) “decisoria” che la Corte ha
acquisito, come si è in precedenza accennato, nel momento in cui ha sufficientemente consolidato la
propria posizione istituzionale.
Rimane in ogni caso ferma la diversa e maggiore rilevanza dell’intento del costituente
rispetto a quello del legislatore (inteso in senso ampio come potere costituito, che in quanto tale si
contrappone al potere costituente e può manifestarsi nel sistema delle fonti sia a livello
costituzionale che a livello ordinario) 62 .
5. Una conferma della peculiare rilevanza del canone dell’intento originario del costituente
ci viene proprio dalla giurisprudenza che lo ha utilizzato in modo maggiormente incisivo.
Nell’elenco di dati giurisprudenziali riportato in appendice si sono evidenziate una ventina di
pronunce che si distinguono per soffermarsi in modo particolarmente significativo sull’intenzione
originaria del costituente. Come si può facilmente notare, molte di queste pronunce sono
ampiamente conosciute in quanto fanno parte della giurisprudenza costituzionale più rilevante. Se
60
La diminuzione dei riferimenti all’intenzione originaria dei costituenti è, tra l’altro, ulteriormente accentuata dal fatto
che la giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni (soprattutto dallo smaltimento dell’arretrato in poi) è
quantitativamente di gran lunga superiore a quella dei primi anni di attività della Corte costituzionale.
61
In tal senso A. ROSS, Diritto e giustizia, cit., 136-137, che evidenzia la peculiare importanza che il processo
evolutivo indicato nel testo assume proprio con riferimento alle Costituzioni, destinate a durare a lungo nel tempo e,
quindi, ad essere applicate anche a realtà molto diverse da quella originaria dalla quale sono scaturite.
62
Per quanto concerne il legislatore ordinario e, quindi, in particolare, il versante dell’oggetto (che esula dalla presente
indagine), si possono individuare alcune affermazioni di principio in merito alla rilevanza del canone dell’intento
originario che evidenziano chiaramente un atteggiamento della Corte che non ha eguali sul versante del parametro (e,
quindi, dell’intento originario del costituente). Nelle sentenze nn.34/1977 e 15/1995, p.es., viene sottolineato il carattere
non decisivo dei lavori preparatori ai fini dell’interpretazione della legge. Nella prima delle due sentenze, in particolare,
si evidenzia che “i lavori preparatori - anche quando il loro tenore é inequivoco - pur non essendo privi di rilievo, non
rivestono tuttavia importanza decisiva ai fini della ricostruzione del significato da attribuire alle norme giuridiche,
poiché queste, una volta emanate, assumono un valore autonomo e vanno quindi interpretate non già secondo le
opinioni personali dei partecipanti alla loro elaborazione ma secondo il contenuto che risulta dalla loro formulazione e
dal sistema nel quale sono inserite” (punto 4 del “Considerato in diritto”). Nella seconda sentenza, invece, la Corte
afferma testualmente: “Quale che sia il valore da attribuire ai lavori preparatori….essi non sono risolutivi per la
interpretazione della legge, né vincolano successive leggi interpretative, le quali possono liberamente muovere nell'area
oggettivamente compresa tra le possibili varianti di senso compatibili con il testo legislativo” (punto 5 del “Considerato
in diritto”). Non si rinvengono, invece, affermazioni di analogo tenore per quanto concerne la volontà originaria del
costituente, anche se nella relativa giurisprudenza è possibile rintracciare modi diversi di utilizzare il canone
dell’intento originario.
19
ne deduce che, quando la Corte si trova a dover affrontare questioni di fondamentale importanza,
spesso cerca di basare le proprie scelte decisorie anche sulla volontà originaria del costituente (o,
quanto meno, si preoccupa di farvi riferimento, anche solo per dimostrare che la sua decisione non
contrasta con tale volontà, o per rilevare l’assenza in merito di un’esplicita presa di posizione da
parte del costituente).
Esaminando più da vicino queste pronunce è possibile ottenere ulteriori e più approfondite
indicazioni sull’uso del canone dell’intento originario del costituente.
5.1. Una delle prime pronunce in cui la Corte si sofferma in modo abbastanza dettagliato
sull’intenzione del costituente è la sentenza n.56/1958, concernente il problema della partecipazione
delle donne all’amministrazione della giustizia nelle Corti d’assise e nei tribunali per i minorenni. I
giudici remittenti avevano impugnato la legge 27 dicembre 1956, n.1441, che stabiliva il principio
per cui i sei giudici popolari delle Corti d’assise dovessero essere almeno tre uomini, in modo da
evitare che i componenti femminili del collegio potessero essere superiori alla metà (principio
ritenuto in contrasto con gli artt. 3 e 51 della Costituzione). La Corte richiama l’intenzione dei
costituenti ma solo per dimostrare l’impossibilità di utilizzare a fini decisori il canone in questione,
in quanto dai lavori preparatori (concernenti, in particolare, gli artt. 51 e 106) non si traggono
indicazioni univoche. L’art. 48 del progetto (corrispondente all’art.51 del testo definitivo)
conteneva (con riferimento alla possibilità per entrambi i sessi di accedere ai pubblici uffici e alle
cariche elettive), al posto della formula “secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, l'inciso
“conformemente alle loro attitudini secondo norme stabilite da legge”: le attitudini erano riferite,
“senza alcuna possibilità di equivoco” sottolinea la Corte, anche al sesso. La formula definitiva
sembrava pertanto restringere le possibilità “derogatorie” del principio di eguaglianza da parte del
legislatore. Ma la Corte stessa mette in luce che l’approvazione della nuova formulazione fu
comunque accompagnata (anche) da affermazioni per cui il legislatore restava libero di “stabilire
particolari modalità per l'applicazione concreta del principio di eguaglianza” 63 . Nel caso di specie,
quindi, il richiamo all’intenzione originaria del costituente a livello ermeneutico ha una mera
funzione selettiva: serve semplicemente a scartare la possibilità di utilizzo del relativo criterio
interpretativo a causa della rilevata assenza di univocità. Alla fine la questione viene dichiarata
infondata, ma attraverso l’interpretazione storico-sistematica della Costituzione, che permette di
63
Secondo la Corte risultano, poi, ugualmente prive di univocità anche le indicazioni che si ricavano dall’iter di
approvazione dell’art.106 Cost. (art.98 del progetto), nel corso del quale fu prima respinto un emendamento volto ad
assicurare alle donne il diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della magistratura e, poi, nella seduta successiva, fu
approvato un ordine del giorno che affermava che tale diritto sarebbe stato comunque tutelato dall'art. 48 (attuale art.
51).
20
rilevare a favore del legislatore (ordinario) una sfera nell’ambito della quale gode di una certa
libertà nel dettare le modalità di attuazione del principio di eguaglianza.
Come si può notare, si tratta di una decisione storicamente datata (una legge come la
n.1441/1956 difficilmente oggi supererebbe indenne il vaglio di costituzionalità), nella quale una
Corte ancora incerta sembra nascondersi dietro la mancanza di univocità dei lavori preparatori, che
in realtà si prestano ad essere interpretati anche in senso conforme a quanto rilevato dai giudici a
quibus. Ci troviamo di fronte ad una Corte che non ha ancora il coraggio di trarre tutte le dovute
conseguenze dai principi costituzionali che sanciscono la parità dei sessi.
Una sentenza pronunciata molti anni dopo sempre facendo riferimento ai lavori preparatori
dell’art.51 Cost., ma questa volta per ricavarne indicazioni tutt’altro che prive di univocità, sembra
avvalorare l’impressione che nel 1958 la Corte si sia mossa con una eccessiva cautela. Si fa
riferimento alla nota sentenza n.422/1995, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 5, comma 2,
ultimo periodo, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della
provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), il quale, riguardo all'elezione dei
consiglieri comunali nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti, stabiliva che “nelle liste dei
candidati nessuno dei due sessi può essere di norma rappresentato in misura superiore a due terzi”.
Anche in questo caso la Corte cita, nell’ambito dei lavori preparatori dell’art.51 Cost., la
soppressione dell’inciso “conformemente alle loro attitudini”, ma non per sottolineare che dal
dibattito in Assemblea costituente emergono indicazioni non univoche, bensì per attribuire a tale
soppressione il (più corretto) significato di decisione adottata dai costituenti per evitare che il
suddetto inciso “potesse giustificare il mantenimento di esclusioni discriminatrici nei confronti delle
donne” 64 .
Paradossalmente anche questa pronuncia viene ritenuta poco favorevole alle donne, ma in un
contesto (storico e non solo) 65 completamente diverso dal precedente e sulla base di un percorso
ricostruttivo che appare più conforme al principio della parità di accesso ai pubblici uffici e alle
cariche elettive per “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso”, sancito dall’art.51, 1°co. 66 .
Il confronto tra le due pronunce che richiamano l’intenzione del costituente con riferimento
all’art.51, 1°co., evidenzia comunque che la ricostruzione dell’intento originario si presta a sua
64
V. punto 3 del “Considerato in diritto”.
Si prescinde in questa sede dalla complessa e delicata questione delle azioni positive finalizzate a favorire una
maggiore rappresentanza femminile nelle cariche elettive (le c.d. quote rosa).
66
Ovviamente si fa qui riferimento al testo originario dell’art.51, 1°co., precedente alla modifica apportata dalla l.c.
n.1/2003, che ha aggiunto l’attuale seconda parte del 1°co. (“A tal fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”). Come è noto, tale modifica è stata determinata proprio dalla
sentenza n.422/1995, che ha sollecitato il riconoscimento esplicito della possibilità di adottare provvedimenti finalizzati
a promuovere le pari opportunità in relazione al principio sancito nella prima parte dell’art.51, 1°co. Sul punto v. anche
nota 110.
65
21
volta a diverse opzioni interpretative. Il riferimento alla volontà storica del costituente può essere
fatto da punto di vista diversi e attribuendo al dibattito in Assemblea costituente significati non
sempre coincidenti.
Un riferimento molto puntuale ai lavori dell’Assemblea costituente è rinvenibile nella
sentenza n. 127/1977, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 25, 1°co., del r.d. 29 giugno 1939, n.
1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali) nella parte
in cui non riconosce la facoltà dell'inventore e del datore di lavoro di adire l'autorità giudiziaria
ordinaria. Si tratta di una decisone che afferma, in sostanza, l’incompatibilità degli arbitrati
obbligatori con il sistema costituzionale, quale risulta in particolare dal combinato disposto degli
artt. 24, 1°co. (diritto di agire in giudizio) e 102, 1°co. (riserva della funzione giurisdizionale ai
giudici ordinari, salve le eccezioni di cui all’articolo successivo). Da tale sistema deriva che gli
arbitrati devono trovare fondamento nella libera scelta delle parti (tale scelta, che va intesa come
uno dei modi di disporre del diritto di cui all’art.24, 1°co., consente di derogare alla riserva di cui
all’art.102, 1°co.). Nell’avanzare tale ricostruzione la Corte afferma di ispirarsi al “criterio di
interpretazione sistematica del testo costituzionale (nel quale la portata di una norma può essere
circoscritta soltanto da altre norme dello stesso testo o da altre ancora ad esse parificate)”. Al tempo
stesso, però, sottolinea testualmente che l’interpretazione prospettata “ha un chiarissimo riscontro
nei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, ed in particolare nelle dichiarazioni del Presidente
della Commissione incaricata di preparare il progetto di Costituzione, il quale ebbe a distinguere
nettamente la sorte dei collegi da riconoscere come vere e proprie giurisdizioni speciali da quella
degli arbitrati "in materia civile, che si formano per volontà delle parti, e si basano su loro facoltà e
sul loro diritto, che non può essere disconosciuto" (A.C. pag. 2339, seduta del 21 novembre 1947).
Dunque o giurisdizioni speciali (quando sia possibile ravvisarne l'esistenza) oppure arbitrato
volontario o facoltativo, fondato sulla libera opzione delle parti: non si dà spazio per un terzo tipo di
deroga al principio dell'unità della giurisdizione, e cioé per gli arbitrati imposti dalla legge. Questa
conclusione, suggerita dai lavori preparatori, trova saldo fondamento nel testo stesso della Carta
costituzionale ed é avvalorata dall'art. 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n.
848” (punto 1 del “Considerato in diritto”).
Nella decisione in esame, quindi, si assiste all’utilizzo contemporaneo di più tecniche
interpretative (che portano a conclusioni coincidenti). Per quanto concerne, in particolare, il
richiamo alla volontà del costituente storico, viene sottolineata la conferma a livello testuale degli
elementi che si desumono dai lavori preparatori della Costituzione. In questo caso, pertanto, c’è
22
piena corrispondenza tra quanto si desume dai lavori preparatori e quanto risulta dal testo scritto
(oltre che dall’impiego dell’interpretazione sistematica della Costituzione e dal riferimento all’art.6,
1°co., cedu).
Un significativo richiamo all’intenzione del costituente è, poi, ravvisabile nella sentenza
n.125/1979, che dichiara infondata la questione di legittimità degli artt.125 e 128 c.p.p. sollevata
rispetto agli artt.2 e 24 Cost. Anche in questo caso vengono citati i lavori preparatori relativi
all’art.24, ma con specifico riferimento all’inviolabilità del diritto di difesa sancito dal 2°co.
dell’articolo. Al riguardo la Corte (al punto 3 del “Considerato in diritto”) riporta le parole testuali
pronunciate dall’on. Tupini 67 , per poi sottolineare, dopo aver considerato anche l’evoluzione
dell’istituto a livello sia legislativo sia giurisprudenziale, l’irrinunciabilità del diritto di difesa 68 .
Nello stesso titolo della Costituzione (il I della I parte) si possono individuare altre due
sentenze in cui il riferimento all’intenzione del costituente risulta essere particolarmente
significativo. Una è la n.364/1988, che dichiara incostituzionale l’art.5 c.p. nella parte in cui non
esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile. La nota
pronuncia contiene una motivazione estremamente dettagliata e articolata, con riferimenti anche di
carattere storico e di diritto comparato. Complessivamente considerata la decisione si fonda su
un’interpretazione di tipo sistematico del principio della personalità della responsabilità penale di
cui all’art.27, 1°co. Cost. (che viene posto a raffronto con il 3°co. dello stesso articolo 27 e con gli
artt. 2, 3, 25, 2°co., 73, 3°co., della Costituzione). Nel punto 10 del “Considerato in diritto”, però,
la Corte si sofferma a lungo sul dibattito svoltosi durante i lavori preparatori relativi all’art.27,
1°co., sottolineando che la terminologia usata dai costituenti è talvolta imprecisa, ma è comunque
estremamente chiara la volontà sottesa all’approvazione di tale disposizione costituzionale. In
particolare la motivazione politica che ha portato ad inserire in Costituzione il principio della
personalità della responsabilità penale è quella di evitare che colpe altrui ricadano su chi è ad esse
estraneo.
Un ulteriore riferimento alla volontà del costituente è, poi, contenuto nel punto 16 del
“Considerato in diritto” in relazione ai principi di tassatività e irretroattività della legge penale di
67
Nel punto 3 del “Considerato in diritto” la Corte sottolinea che l’ambito di applicabilità dell’art.24, 2°co. fu chiarito
nella seduta dell’Assemblea costituente del 15 aprile 1947 grazie all’on. Tupini, presidente della I sottocommissione, il
quale affermò testualmente che "tenuto conto degli abusi, delle incertezze e delle deficienze che hanno vulnerato nel
passato l'istituto della difesa, specie per quanto attiene alla sua esclusione dai vari stati e gradi del processo
giurisdizionale" occorre "con una norma chiara, assoluta, garantirne la presenza e l'esperimento attivo in tutti gli stati
del giudizio e davanti a qualunque magistratura".
68
“Speculare alla inviolabilità del diritto di difesa, é la irrinunciabilità di esso, quali che ne siano le concrete modalità di
esercizio” (punto 7 del “Considerato in diritto”).
23
cui all’art.25, 2°co., dove la Corte sottolinea testualmente che “il legislatore costituzionale intende
garantire i cittadini, attraverso la <possibilità> di conoscenza delle stesse norme, la sicurezza
giuridica delle consentite, libere scelte d'azione”.
In questo caso, quindi, il canone dell’intento originario viene utilizzato (come la maggior
parte delle volte) unitamente ad altri criteri interpretativi, ma con la peculiarità di essere richiamato
in modo insolitamente puntuale e diffuso.
L’altra sentenza in cui è contenuto un significativo richiamo alla volontà del costituente in
relazione allo stesso titolo della Costituzione è la n.277/1990. Tale decisione dichiara infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art.247 delle norme d'attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n.
271) che era stata sollevata con riferimento all'art. 3 Cost. La disposizione impugnata stabilisce, con
riferimento ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura
penale, che il giudizio abbreviato è ammissibile solo per i procedimenti per i quali non siano state
compiute le formalità di apertura del dibattimento. Il canone dell’intento originario viene utilizzato
dalla Corte prendendo in esame il problema della mancata costituzionalizzazione esplicita del
principio di retroattività della “posteriore” legge penale favorevole all'imputato, quindi facendo
riferimento ai lavori preparatori relativi all’attuale art.25 Cost. La Corte sottolinea che tale principio
era ben presente nel pensiero dei costituenti, che lo avevano inizialmente inserito nell’art.19 del
progetto 69 . Fu poi soppresso dal testo definitivo della Costituzione per il mancato raggiungimento
di un accordo in Assemblea costituente sull’ampiezza delle deroghe a tale principio (vale a dire
sulle nozioni di leggi eccezionali e temporanee). Il fatto che attualmente non sia esplicitamente
previsto non significa che sia privo di qualsiasi rilevanza costituzionale: occorre chiedersi, infatti,
“se sia, per sè, sufficiente, al fine d'escludere l'appartenenza alla Costituzione d'un determinato
principio, peraltro sempre appartenuto all'ordinamento previgente, il silenzio (e non l'esplicita
esclusione)” (punto 3 del “Considerato in diritto”). La Corte, quindi, utilizza il richiamo ai lavori
preparatori della Costituzione per mettere in dubbio l’irrilevanza costituzionale del principio di
retroattività della “posteriore” legge penale favorevole all'imputato. La decisione di infondatezza,
però, viene poi presa sul presupposto della estraneità, rispetto al caso di specie, del principio
dell’applicabilità della legge più favorevole al reo, sancito dall’art.2, 3°co., c.p. Tale disposizione,
infatti, concerne esclusivamente l’ipotesi in cui si sia verificato “un mutamento, favorevole al reo,
nella valutazione sociale del fatto tipico oggetto del giudizio” (punto 4 del “Considerato in diritto”),
69
Tale articolo prevedeva: “Nessuno può essere distolto dal suo giudice naturale, precostituito per legge; nè può essere
punito se non in virtù di una legge già in vigore prima del fatto commesso e con la pena in essa prevista, salvo che la
legge posteriore sia più favorevole al reo”.
24
ipotesi che è del tutto avulsa dalla fattispecie sottoposta al vaglio di costituzionalità. Come si può
notare, nel caso in esame la Corte si dilunga sull’intento dei costituenti, ma con riferimento ad un
principio che poi risulta inutilizzabile ai fini della soluzione della questione.
Un’altra pronuncia che si sofferma in modo significativo sull’intento dei costituenti in
relazione alla I parte della Costituzione (ma questa volta con specifico riferimento al II titolo di tale
I parte) è la sentenza n.237/1986 70 , che contiene alcune puntualizzazioni sui lavori preparatori
dell’art.29 Cost. In particolare, secondo la Corte, è rilevante ai fini della definizione della portata
normativa della disposizione il fatto che in Assemblea costituente si decise di sottoporre ad
un’unica votazione (come fosse un’endiadi) l’espressione "come società naturale fondata sul
matrimonio" (mentre fu rifiutata l’ipotesi di votare disgiuntamente le locuzioni “diritti della
famiglia come società naturale” da una parte, e "fondata sul matrimonio" dall'altra). Ciò consente di
circoscrivere il significato normativo dell’art.29 alla sola ipotesi di famiglia fondata sul matrimonio;
rimane invece escluso da tale ambito “ogni altro aggregato pur socialmente apprezzabile, divergente
tuttavia dal modello che si radica nel rapporto coniugale” (punto 2-b del “Considerato in diritto”).
Nello stesso anno la Corte pronuncia almeno altre due sentenze che si richiamano in modo
incisivo alla volontà dei costituenti in relazione a disposizioni costituzionali contenute sempre nella
I parte della Costituzione. Una è la sentenza n.31/1986 che dichiara infondata, rispetto agli artt.3 e
38 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 9 della legge 3 giugno 1975, n. 160,
nella parte in cui prevedono un diverso trattamento minimo di pensione per i lavoratori autonomi
rispetto ai lavoratori dipendenti. La Corte si sofferma a lungo sull’art.38 Cost., facendo anche
riferimenti di tipo storico (concernenti il dibattito sviluppatosi in ambito politico e sociale nel
periodo antecedente alla Costituzione) e dedicando, poi, una peculiare attenzione alla differenza tra
il 1°co. (assistenza) e il 2°co. (previdenza) dell’art.38. E’ proprio su tale differenza che viene
fondata la decisione della Corte, che a tal fine si richiama anche ai lavori preparatori
dell’Assemblea costituente 71 .
70
La sentenza ha per oggetto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 307, u.c., e 384 c.p., nella parte in cui
non si prevede che la scriminante di cui all'art. 384 c.p. possa estendersi al convivente more uxorio. La questione viene
dichiarata infondata in relazione all’art.29 Cost. e inammissibile in relazione all’art.3 Cost. In merito a quest’ultimo
parametro costituzionale la Corte riconosce che un consolidato rapporto di fatto non è costituzionalmente irrilevante,
ma al riguardo si impongono scelte discrezionali che competono al legislatore (anche perché sarebbero inevitabilmente
coinvolti “altri istituti di ordine processuale penale”). Il legislatore viene così invitato ad intervenire dalla Corte, che
rinnova nei suoi confronti la sollecitazione che gli aveva già rivolto con la sentenza n.6/1977.
71
In primo luogo la Corte evidenzia che la diversità tra il 1° e il 2°co. dell’art.38 attiene sia ai soggetti coinvolti
(rispettivamente i cittadini e i lavoratori), sia ai fatti che assumono rilievo giuridico (l’inabilità al lavoro e l’essere
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, da una parte; l’infortunio, la malattia, l’invalidità e vecchiaia, la
disoccupazione involontaria, dall’altra). Ma è soprattutto sotto il profilo finalistico che devono essere mantenuti distinti
i due rapporti giuridici (quello assistenziale e quello previdenziale) che attengono alle due situazioni in questione. Il
25
La conferma della corretta lettura dei primi due commi dell’art. 38 viene, infatti, rinvenuta
dalla Corte nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, nel corso dei quali fu soppresso il
riferimento al principio mutualistico-assistenziale che era contenuto nel 2°co. dell’art.34
(corrispondente all’attuale art.38) 72 . Tale soppressione fu motivata con l’intento di non voler
vincolare il legislatore futuro al rispetto di quei criteri di assistenza mutualistica che erano allora in
vigore. Ciò significa che il 2°co. dell’art.38 implicitamente rinvia a tali criteri, ma al tempo stesso
lascia il legislatore libero di svincolarsi dalla logica meramente mutualistica-assicurativa. Se così
non fosse, si potrebbe verificare la paradossale situazione per cui i lavoratori che non abbiano
corrisposto contribuzioni previdenziali sufficienti potrebbero non vedersi garantito neanche quel
minimo alimentare che invece è assicurato dall’art.38, 1°co., ai cittadini inabili al lavoro e
sprovvisti dei mezzi necessari. In tale contesto l’istituto della prestazione pensionistica minima dei
lavoratori va collocato nel 2°co. dell’art.38: l'integrazione al minimo infatti, essendo concessa anche
nei casi di cumulo di pensioni e di pensione e lavoro retribuito, “non costituisce una pensione
sociale dovuta ai lavoratori bensì uno strumento atto ad offrire mezzi adeguati alle esigenze di vita
dei lavoratori stessi” (punto 4 del “Considerato in diritto”). Sulla base di queste considerazioni
(integrate con riferimenti relativi all’evoluzione legislativa verificatasi in materia) la Corte respinge
la questione sottopostale e, quindi, giustifica la previsione di un trattamento minimo di pensione per
i lavoratori autonomi diverso da quello dei lavoratori dipendenti. In questo modo la Corte trova nei
lavori preparatori della Costituzione il sostegno necessario alla declaratoria di infondatezza e, in
particolare, la conferma che l’interpretazione dell’art.38 fondata sulla distinzione tra 1° e 2°co. è
costituzionalmente corretta.
L’altra decisione dello stesso anno che si sofferma sull’intenzione del costituente in
relazione ad un’altra disposizione inserita nella I parte della Costituzione è la sentenza n.269/1986,
che dichiara incostituzionale l’art.5, 1°co., della legge 24 luglio 1930 n. 1278, che incriminava
l’eccitazione all’emigrazione. La sentenza contiene numerosi riferimenti di carattere storico sul
primo è volto ad assicurare i mezzi necessari per vivere, il secondo si propone di prevedere mezzi adeguati alle esigenze
di vita dei lavoratori. “I mezzi necessari per vivere non possono identificarsi con i mezzi adeguati alle esigenze di vita:
questi ultimi comprendono i primi ma non s'esauriscono in essi”. Così nel punto 3 del “Considerato in diritto”, dove la
Corte prosegue puntualizzando che “il Costituente, privilegiando la posizione dei lavoratori, anche in considerazione
del contributo di benessere offerto alla collettività oltreché delle contribuzioni previdenziali prestate, nel primo comma
dell'art. 38 Cost. garantisce ai cittadini il minimo esistenziale, i mezzi necessari per vivere mentre nel secondo comma
dello stesso articolo garantisce non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari, di pura "sussistenza" materiale
bensì anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita dei lavoratori”. In sostanza i mezzi adeguati
alle esigenze di vita dei lavoratori non si limitano ad assicurare quel minimo alimentare che costituisce la garanzia
fornita dalla pensione sociale di cui al 1°co. dell’art.38, ma sono volti anche al “soddisfacimento di ulteriori esigenze
relative al tenore di vita dei lavoratori”.
72
Il 2°co. del suddetto art.34 stabiliva: “I lavoratori, in ragione del lavoro che prestano, hanno diritto che siano loro
assicurati mezzi adeguati per vivere in caso di ...”. L’inciso “in ragione del lavoro che prestano” fu appunto soppresso
per evitare un esplicito riferimento al principio mutualistico-assistenziale.
26
fenomeno dell’emigrazione e su come tale fenomeno era considerato nel 1930 (quando fu adottata
la norma dichiarata incostituzionale). Vengono, poi, richiamati i lavori preparatori della
Costituzione per mettere in luce l’approccio con cui il tema dell’emigrazione fu affrontato in
Assemblea costituente. Al riguardo viene, in particolare, evidenziato l’intento dei costituenti di
contrastare la concezione che aveva della materia il legislatore del 1930: da qui la previsione
nell’art.35, 4°co. della libertà di emigrazione, che viene sottoposta all’unico limite degli obblighi
imposti dalla legge “nell’interesse generale”. La Corte sottolinea poi che in sede costituente
inizialmente si era proposto di trattare il tema dell’emigrazione nell’ambito dell’art.10 del progetto
(corrispondente all’attuale art.16), ma in seguito si preferì rinviarlo al momento dell’esame
dell’art.30 del progetto (corrispondente all’attuale art.35) per la sua stretta connessione con il diritto
al lavoro. In questo caso l’intento dei costituenti mette chiaramente in luce il contrasto della
normativa del 1930 (che sanzionava penalmente la propaganda dell’emigrazione) con il disegno
costituzionale. Il canone dell’intenzione originaria viene utilizzato, come si è accennato,
congiuntamente a riferimenti storici, che danno alla tecnica interpretativa impiegata una
connotazione (anche) di carattere oggettivo.
5.2. Si possono, poi, individuare alcune pronunce costituzionali contenenti un significativo
utilizzo del canone dell’intento originario del costituente con riferimento alla Magistratura (e,
quindi, al titolo IV della II parte della Costituzione). La prima in ordine di tempo è la sentenza
n.86/1982, che affronta alcune questioni attinenti alla legittimità delle norme sulla carriera dei
magistrati, introdotte dalla legge 20 dicembre 1973 n. 831, con particolare riguardo alla scissione
fra la nomina ed il conferimento delle funzioni di magistrato di cassazione 73 . L’intento del
costituente viene preso in considerazione con particolare riferimento al principio contenuto
nell’art.107, 3°co. Cost. La Corte sottolinea che “l'Assemblea Costituente ebbe anzitutto di mira lo
stato giuridico dei magistrati, nell'ambito del quale essa intendeva precludere le diversità di gradi
(secondo l'espresso disposto dell'art. 99, terzo comma, del progetto di Costituzione): con il
dichiarato scopo …. d'imporre la soppressione dei "gradi gerarchici" della magistratura, già stabiliti
dagli artt. 18 e seguenti dell'ordinamento giudiziario del 1941”. L’entrata in vigore della l.
n.392/1951, che ha introdotto il principio della “distinzione dei magistrati secondo le funzioni”, non
ha svuotato di significato l’art.107, 3°co., dal quale deve comunque desumersi “il divieto di
qualsiasi tipo di arbitraria categorizzazione dei magistrati stessi, non sorretta da alcuna ragione di
73
La sentenza n.86/1982 contiene sia una pronuncia di inammissibilità, sia una pronuncia di accoglimento relativa ad
alcune delle disposizioni contenute nella l.n.831/1973 (artt.7 e 10, ai quali vanno aggiunti, in seguito a dichiarazione di
illegittimità consequenziale, gli artt.16, 17, 19, 2°co., tutti ritenuti incostituzionali limitatamente alla parte specificata
dalla Corte).
27
ordine funzionale” (punto 6 del “Considerato in diritto”). I lavori preparatori vengono, dunque,
invocati in senso rafforzativo del principio costituzionale per cui “i magistrati si distinguono fra di
loro soltanto per diversità di funzioni”.
La seconda pronuncia è quella immediatamente successiva alla decisione presa adesso in
esame ed è ad essa strettamente collegata: la sentenza n.87/1982, concernente la composizione e il
sistema elettorale del CSM. La sentenza dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, 2°co.,
della legge 24 marzo 1958, n. 195, come sostituito dall'art. 3 della legge 22 dicembre 1975, n. 695,
nella parte in cui prevede che i posti riservati ai magistrati di cassazione possano essere assegnati a
“magistrati che abbiano conseguito la rispettiva nomina, ancorché non esercitino le rispettive
funzioni” 74 . Il riferimento ai lavori preparatori dell’Assemblea costituente viene fatto in questo caso
in relazione alla disposizione, contenuta nell’art.104, 4°co., che prevede l’elezione dei componenti
togati del CSM da parte di “tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie”. La
Corte si sofferma a lungo sui lavori preparatori della Costituzione per dimostrare che il riferimento
agli appartenenti alle varie categorie implica una categorizzazione dell’elettorato passivo della
componente togata del CSM 75 . Anche in questo caso il riferimento all’intenzione originaria del
costituente assume una funzione rafforzativa del significato desumibile dal testo scritto.
Un’altra sentenza concernente l’ambito della magistratura significativa ai fini della presente
indagine è la n.4/1986, che dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70,
in rapporto all'art. 68, della legge 26 luglio 1975, n. 354 ( Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà ). In questo caso il parametro del
giudizio che determina il riferimento alla volontà originaria dei costituenti è l’art.102, 2°co. (divieto
di istituzione di giudici straordinari o speciali, ma possibilità di istituire, per determinate materie,
sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari). La questione era stata sollevata dalla
sezione di sorveglianza di Bologna, che riteneva che la l. n.354/1975 le avesse conferito natura di
74
La pronuncia di incostituzionalità viene strettamente collegata alla dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art.7 della l.n.831/1973, contenuta nella precedente sentenza n.86/1982, che ha fatto venir meno l’unico aggancio
nell’ambito della normativa sull’ordinamento giudiziario a favore della dissociazione tra nomina a magistrato di
cassazione e investitura del relativo ufficio. Si noti che la sentenza n.87/1982 adesso in esame al tempo stesso dichiara
l’infondatezza della stessa questione riferita però ai magistrati di appello (che abbiano conseguito la relativa nomina, ma
non esercitino le corrispondenti funzioni). La Corte sottolinea che il suo compito nell’ambito della decisione in
questione è quello di evitare che magistrati di cassazione investiti delle corrispondenti funzioni rimangano esclusi dal
CSM, mentre spetta al legislatore “di riconsiderare, eventualmente, l'intera categorizzazione della componente "togata"
del Consiglio” (punto 6 del “Considerato in diritto”).
75
Nel punto 4 del “Considerato in diritto” la Corte afferma testualmente, con riferimento alla disposizione relativa
all’elettorato passivo della componente togata del CSM di cui all’art.104, 4°co. Cost., che “dal tenore testuale di essa,
dai lavori preparatori, dalle letture che ne sono state fatte durante un trentennio, in sede giurisprudenziale e legislativa,
risulta univocamente che i magistrati di cui si compone il Consiglio superiore vanno pur sempre distinti per categorie”
28
giudice speciale anziché di sezione specializzata. In particolare il giudice a quo sottolineava che la
sezione di sorveglianza, non avendo alcun legame con la Corte d’appello (se non per quanto
concerne la coincidenza della circoscrizione territoriale), viene impropriamente denominata
“sezione”. La Corte al riguardo rileva l’insufficienza del dato testuale al fine di individuare il
criterio discretivo tra giudici speciali e sezioni specializzate. Dal disegno del costituente, però,
risulta che devono considerarsi appartenenti alla giurisdizione ordinaria gli organi giusdicenti
riconducibili al CSM 76 . Ne consegue che le sezioni di sorveglianza, avendo come referente il CSM,
rientrano nella giurisdizione ordinaria e non sono, quindi, giudici speciali. Una volta escluso che a
dette sezioni possa essere riconosciuta la natura di giudice speciale, non rileva sul piano della
giustizia costituzionale se “siano propriamente sezioni specializzate, oppure organi del tutto nuovi
ovvero ancora una ristrutturazione dei preesistenti giudici di sorveglianza” (punto 7 del
“Considerato in diritto”). La Corte, quindi, constatata l’inadeguatezza del testo scritto, raggiunge la
sua decisione rifacendosi all’intento dei costituenti, che le permette di individuare gli organi
appartenenti alla giurisdizione ordinaria attraverso la riconducibilità al CSM e, quindi, di
ricomprendere tra tali organi anche le sezioni di sorveglianza, contrariamente a quanto ritenuto dal
giudice remittente. In questo caso il canone dell’intento originario fa da supporto al testo scritto che
da solo non consente di risolvere la questione di legittimità costituzionale.
Una decisione di peculiare importanza nel contesto in esame è, poi, la sentenza n.429/1992,
relativa alla giurisdizione militare. Si tratta di una pronuncia di tipo sostitutivo, che dichiara
incostituzionale l'art. 263 del cod. pen. mil. di pace, nella parte in cui assoggetta alla giurisdizione
militare le persone alle quali è applicabile la legge penale militare, anziché i soli militari in servizio
alle armi o considerati tali dalla legge al momento del commesso reato. La sentenza è considerata
un caso emblematico di applicazione del canone dell’intento originario 77 : nel punto 2 del
“Considerato in diritto” la Corte sottolinea che “la ricostruzione della intenzione del Costituente, in
regime di costituzione rigida, è essenziale per misurare la compatibilità tra disposizione di legge e
precetto costituzionale”. Sulla base di questo presupposto viene costruita l’intera decisione. Il
parametro di riferimento (in relazione al quale la Corte ricerca la volontà del costituente) è
rinvenibile nell’art.103, 3°co., laddove in tempo di pace la giurisdizione dei tribunali militari viene
limitata ai soli “reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate”. Il problema di fondo che
76
Va sottolineato che nella sentenza in esame non c’è un richiamo puntuale ai lavori preparatori dell’Assemblea
costituente (come nelle pronunce precedenti), ma c’è piuttosto un riferimento diffuso all’intenzione dei costituenti (nel
punto 6 del “Considerato in diritto” la Corte parla di “preciso e lucido disegno del costituente”, rilevabile anche
attraverso il confronto con i dati normativi molto più scarni dello Statuto Albertino).
77
M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, cit., 525 ss. Nella ricostruzione fatta dall’A. viene evidenziato il
valore prioritario attribuito dalla Corte all’argomento dell’intenzione del legislatore intesa in senso soggettivistico. In
questo modo la Corte sembrerebbe aderire alla concezione imperativistica della Costituzione.
29
si presenta alla Corte è, quindi, quello di verificare cosa esattamente debba intendersi per
“appartenenti alle Forze armate”. Tale nozione è stata intesa dal costituente in senso più ristretto
rispetto al legislatore ordinario. La giurisdizione militare va considerata come un’eccezione (la
giurisdizione da adire di regola è quella ordinaria anche in materia militare), che in quanto tale va
circoscritta “entro limiti rigorosi” (punto 3 del “Considerato in diritto”). Ne consegue che la
nozione di “appartenenti alle Forze armate” va intesa “nell'accezione ristretta di cittadini che, al
momento della commissione del reato, stanno prestando il servizio militare e non in quella dilatata
da riferire allo status militis di chi è titolare di obblighi militari” (punto 4 del “Considerato in
diritto”). Devono, pertanto, ritenersi appartenenti alle Forze armate ai sensi dell’art.103, 3°co. Cost.,
quelle figure di militari che il legislatore qualifica “in servizio alle armi” (o considerati tali). “Per
tutti gli altri militari in congedo illimitato, che la legge, ma non la Costituzione, considera
appartenenti alle Forze armate, la cognizione dei reati militari spetta ai giudici comuni e non a
quelli militari” (punto 5 del “Considerato in diritto”). Ai fini della esatta delimitazione della
disposizione costituzionale, quindi, il riferimento alla volontà del costituente si rivela in questo caso
determinante.
Un’ultima pronuncia contenente un chiaro riferimento alla volontà del costituente che può
essere inserita nel settore in questione è la nota sentenza n.204/2004, che affronta in sostanza la
questione dei limiti che devono essere rispettati dal legislatore nel momento in cui va a disciplinare
in senso ampliativo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La decisione si conclude
con la declaratoria di incostituzionalità della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
materia di pubblici servizi, quale disciplinata dall’art. 7 (lett. a) e b)) della legge 21 luglio 2000,
n.205, nella parte in cui sostituisce gli artt. 33 e 34 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80. Nella sentenza
è, poi, al tempo stesso riconosciuta la conformità a Costituzione dello stesso art.7, lett. c), l.
n.205/2000, nella parte in cui sostituisce l’art.35 d. lgs. n.80/1998 riconoscendo al giudice
amministrativo il potere di disporre il risarcimento del danno (anche attraverso la reintegrazione in
forma specifica) nelle materie che sono soggette alla sua giurisdizione. La Corte per giungere a
questa conclusione ricostruisce la storia della giustizia amministrativa (a partire dalla legge
abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865) attraverso numerosi riferimenti al dibattito
svoltosi in Assemblea costituente (in merito agli attuali artt.102, 103 e 113 Cost.) (punti 2.2 e 2.3
del “Considerato in diritto”). Il riferimento ai lavori preparatori dell’Assemblea costituente risulta
essere particolarmente puntuale, probabilmente per la consapevolezza della Corte di adottare una
pronuncia di significativo rilievo.
30
5.3. Un altro gruppo di pronunce di considerevole interesse nel contesto in esame è
individuabile in alcune tra le più significative sentenze della giurisprudenza costituzionale (che si
analizzano unitamente ad altre decisioni di minor rilievo ma in qualche modo ad esse connesse), le
quali permettono, come si è accennato, di valutare l’uso del canone in questione a fini decisori di
particolare importanza.
Si tratta di sentenze assai note, che in questa sede vengono prese in esame limitatamente al
profilo concernente l’utilizzo dell’intento originario del costituente. Si prescinde, pertanto, anche da
eventuali valutazioni critiche sulle conclusioni raggiunte dalla Corte (se non con stretto riferimento
all’argomento in questione) rinviando in merito ai numerosi commenti della dottrina.
Una di queste è la sentenza n.16/1978, decisione capostipite in tema di limiti
all’ammissibilità del referendum abrogativo. Mediante tale pronuncia la Corte, come è noto, compie
un’operazione ermeneutica che le consente di imporre all’istituto referendario una serie di limiti che
vanno ben al di là dell’elenco testuale contenuto nell’art.75, 2°co. La sentenza, infatti, viene
considerata un esempio di utilizzo della “sovrainterpretazione” (vale a dire di quelle tecniche
interpretative che, attraverso la manipolazione di un testo normativo, individuano norme inespresse
o implicite) 78 e viene inserita tra le sentenze definite di integrazione o revisione costituzionale
(mediante le quali la Corte compie un’operazione di integrazione, o addirittura di deroga, del testo
scritto) 79 . L’elemento più rilevante nella sentenza in questione è, quindi, sicuramente rappresentato
dall’elevata creatività che si riscontra con riferimento al parametro del giudizio. Ma, accanto ad
esso, un ruolo non privo di rilievo viene riservato anche al canone dell’intento originario. Il
riferimento all’intenzione originaria del costituente viene fatto per sottolineare la necessità che il
quesito sia formulato in termini semplici e chiari e sia attinente a “problemi affini e ben
individuati”. Tale necessità, evidenzia la Corte, è connaturata alla funzione dell’istituto
referendario, secondo quanto si deduce anche da “importanti indicazioni ricavabili dagli atti
dell'Assemblea Costituente” 80 . Il riferimento alla volontà del costituente non è particolarmente
incisivo (a differenza di quanto si è rilevato nella gran parte delle pronunce esaminate
precedentemente), ma assume ugualmente un valore significativo. Rappresenta, infatti, lo strumento
78
R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., 285 ss. (sulla sentenza n.16/1978 v., in particolare,
291 ss.).
79
A. SPADARO, Le motivazioni delle sentenze della Corte, cit., 364, nota 13. Attraverso l’identificazione dei limiti
impliciti al referendum abrogativo la Corte ha messo in atto una tecnica creativa che è stata paragonata a quella
utilizzata con l’applicazione del canone di ragionevolezza (sul punto v. F DAL CANTO, Il parametro in senso stretto,
cit., 271, nota 43). Sulla sentenza n.16/1978 come esempio di elaborazione del parametro costituzionale v. anche S.
BARTOLE, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, cit., 243 ss., dove si sottolinea
l’abbandono da parte della Corte dei criteri testuali al fine di garantire la stabilità del sistema politico-istituzionale,
“anche a rischio di dare l’impressione di andare oltre la Costituzione” (spec.248).
80
Così nel punto 5 del “Considerato in diritto”. Sulla base di queste considerazioni la Corte respinge la richiesta di
referendum avente ad oggetto 97 articoli del codice penale.
31
interpretativo che permette alla Corte di applicare un limite di ammissibilità che è privo di riscontri
espliciti a livello testuale 81 .
In questo caso, quindi, siamo di fronte ad una di quelle ipotesi in cui la Corte cerca di
ancorare il parametro implicito da lei stessa ricavato ad elementi (come l’intento originario) in
grado di assicurare un certo margine di certezza. L’intenzione originaria del costituente diventa così
una delle ragioni giustificatrici delle indicazioni dettate dalla Corte in merito alla formulazione del
quesito (che deve avere appunto un contenuto omogeneo) 82 .
Va sottolineato che in materia di referendum abrogativo un riferimento più dettagliato ma al
tempo stesso più dubbioso all’intento dei costituenti è rinvenibile nella sentenza n.27/1981, dove il
limite dell’omogeneità fissato nel 1978 si evolve fino a comprendere la necessità che il quesito sia
formulato in termini semplici, chiari e non contraddittori. Tale necessità viene collegata soprattutto
(anche se non esclusivamente) alla logica dell’istituto referendario. L’intento dei costituenti viene
richiamato per sottolineare l’assenza di un dibattito sul punto, in quanto è inimmaginabile che
possano sorgere dubbi al riguardo (è, cioè, indiscutibile l’esigenza che il quesito sia chiaro, univoco
e non contraddittorio). Al tempo stesso, però, la sentenza mette in luce che in Assemblea costituente
fu comunque fatto un accenno all’utilità dell’intervento popolare in relazione a “problemi che
possono essere facilmente compresi”. La sentenza in questione non contraddice quella precedente,
ma fa un utilizzo parzialmente diverso degli stessi strumenti interpretativi. Quelle che nel 1978
erano importanti indicazioni ricavabili dai lavori dell’Assemblea costituente diventano qui semplici
accenni da cui si deduce l’indiscutibilità di un quesito formulato in termini chiari.
Un’altra decisione in materia di referendum abrogativo da cui è possibile ricavare importanti
indicazioni sul canone dell’intento originario è la sentenza n.47/1991, che ha ritenuto abrogabili
mediante referendum le leggi elettorali. Come è noto, in tale sede la Corte ha respinto
l’interpretazione secondo la quale dagli atti dell’Assemblea costituente risulta che le leggi elettorali
erano state sottratte all’abrogazione referendaria in forza di un emendamento aggiuntivo (approvato
81
Sul punto potrebbe esserci stata una sorta di presunzione implicita da parte dei costituenti, che potrebbero aver
ritenuto scontata l’omogeneità del quesito per il fatto stesso che il referendum è rivolto all’abrogazione (totale o
parziale) di un unico atto legislativo (l’omogeneità verrebbe allora ad essere garantita a monte, dalla scelta politica di
disporre uno actu). Così M. LUICIANI, Art.75, in Commentario della Costituzione, a cura di a cura di G. BRANCA e
A. PIZZORUSSO, Bologna-Roma, 2005, 441-442.
82
Un ulteriore riferimento alla volontà del costituente è, poi, rinvenibile nella sentenza n.16/1978 (nel punto 7 del
“Considerato in diritto”) con riferimento alla richiesta referendaria che avrebbe voluto l’abrogazione di tutti gli organi
della giustizia militare di pace. Ciò al fine di ripristinare il sistema disposto dall’art.95 u.c. del progetto di Costituzione,
che prevedeva l’istituzione dei tribunali militari solo in tempo di guerra. La Corte al riguardo sottolinea che tale disegno
risulta del tutto superato (con la conseguente inammissibilità della richiesta referendaria in oggetto) per il fatto stesso
che successivamente i costituenti hanno approvato l’attuale art.103, 3°co., che prevede la giurisdizione militare anche
per il tempo di pace.
32
nella seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947) che per omissione non fu poi riprodotto nel testo
finale dell’art.75. Secondo questa ricostruzione, in sostanza, emergerebbe un intento del costituente
favorevole a ritenere le leggi elettorali comprese nell’elenco di cui all’art.75, 2° co., concernente
appunto le leggi non sottoponibili a referendum abrogativo. La risposta negativa fornita in merito
dalla Corte è categorica 83 . La Costituzione va presa in considerazione così come risulta dal testo
scritto approvato dall’Assemblea costituente con la votazione finale del 27 dicembre 1947.
Qualsiasi considerazione o supposizione in merito al suddetto emendamento aggiuntivo ha un
valore meramente storico, in quanto alla Corte non è dato di riscrivere la Costituzione. Alla Corte è
precluso qualsiasi sindacato sugli interna corporis dell’Assemblea costituente (a differenza di
quanto vorrebbe l’Avvocatura dello Stato), per il fatto stesso che l’approvazione finale della Carta
costituzionale è esercizio di potere costituente84 . Dalla sentenza si ricava, quindi, il principio per cui
l’intento del costituente può essere utilizzato per chiarire il significato del testo scritto, ma non per
modificarlo in base a supposizioni relative a quanto accaduto in sede costituente. Non è possibile
tentare una ricostruzione dell’intenzione del costituente a prescindere da quello che è stato il
risultato finale, concretizzatosi nell’approvazione della Costituzione scritta attualmente in vigore.
Un’altra pronuncia di estremo rilievo da inserire nello stesso contesto è la sentenza n.7/1996,
relativa al “caso Mancuso”, che, come è noto, ha riconosciuto l’ammissibilità nell’ordinamento
costituzionale italiano dell’istituto della sfiducia individuale. Anche questa, come la sentenza
n.16/1978, viene citata tra gli esempi di sovrainterpretazione 85 . La Corte (nel punto 7 del
“Considerato in diritto”) fa riferimento all’intenzione del costituente, per evidenziare l’assenza di
un’esplicita presa di posizione in merito alla sfiducia individuale da parte dell’Assemblea
costituente (nonostante il problema fosse stato affrontato, soprattutto per quanto concerne la
83
V., in particolare, il punto 3 del “Considerato in diritto” della sentenza n.47/1991.
Si vedano al riguardo le considerazioni sull’insindacabilità delle fonti costituzionali espressione di potere costituente
di P. PASSAGLIA, Le fonti costituzionali, in L’accesso alla giustizia costituzionale, cit., 325-326. Fortemente critico
sul punto M. LUCIANI, Art.75, cit., 483 ss. (spec.485-487), che ricostruisce dettagliatamente la vicenda della
scomparsa delle leggi elettorali dall’elenco dei limiti all’ammissibilità del referendum. Secondo l’opinione
maggioritaria tale scomparsa sarebbe imputabile ad un errore degli uffici dell’Assemblea costituente, poi riprodotto dal
Comitato di redazione. In tal caso allora la scelta della Corte di non pronunciarsi in merito risulterebbe discutibile.
Anche se la Costituzione non può mai essere oggetto del giudizio di costituzionalità, la Corte è comunque tenuta ad
accertare quale sia il vero testo della Costituzione (non per giungere ad una declaratoria di incostituzionalità, ma
eventualmente per accogliere tra le interpretazioni possibili quella più vicina all’intento del costituente). Lo stesso A.,
però, evidenzia che l’opinione maggioritaria (per cui la scomparsa delle leggi elettorali sarebbe da imputare ad un errore
degli uffici) non corrisponde alla realtà dei fatti. Gli uffici dell’Assemblea costituente probabilmente non commisero
alcun errore, ma si trovarono costretti a rimediare ad una contraddizione interna allo stesso processo verbale (tra il
dattiloscritto e lo stampato riportato su di esso), optando per quanto risultava nel primo (vale a dire la mancata
approvazione delle leggi elettorali come limite al referendum abrogativo). Se così stanno le cose, fa fede effettivamente
il testo dell’art.75 Cost. (e, quindi, la Corte ha deciso correttamente, ma sulla base di una motivazione discutibile).
85
V. R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., 293-294.
84
33
responsabilità politica del singolo componente del Governo) 86 . Di fronte all’impossibilità di
ottenere indicazioni esplicite sia dal testo scritto della Costituzione, sia dal dibattito in Assemblea
costituente, la Corte evidenzia che ciò non pregiudica la compatibilità della sfiducia individuale con
il quadro costituzionale: facendo ricorso all’argomento logico-sistematico è possibile verificare se
tale istituto sia “suscettibile di essere esplicitato in relazione alle esigenze poste dallo sviluppo
storico del governo parlamentare”.
Un ulteriore richiamo all’intento del costituente è, poi, contenuto nel punto 8 del
“Considerato in diritto” con riferimento alla responsabilità individuale di cui all’art.95, 2°co., Cost.
Il fatto che la qualificazione “individuale” sia stata preferita in Assemblea costituente a quella
“personale” inizialmente proposta viene interpretato dalla Corte come “intento.….di stabilire una
correlazione fra le due forme di responsabilità -- collegiale ed individuale -- nel comune quadro
della responsabilità politica”. La decisione finale (favorevole all’ammissibilità della sfiducia
individuale) viene assunta integrando il dettato costituzionale con il riferimento ai regolamenti
parlamentari e alle prassi applicative 87 . Siamo, quindi, di fronte ad un caso emblematico di
allargamento del parametro oltre il testo scritto della Costituzione. Il riferimento all’intento
originario, come si può notare, non ha un valore risolutivo, ma sta semplicemente a confermare
quanto si deduce già dalla lettura delle disposizioni costituzionali, vale a dire l’assenza di
un’esplicita previsione della sfiducia individuale (assenza che, come si è visto, non ha precluso alla
Corte di trovare argomenti a sostegno dell’istituto in questione).
Un’altra sentenza relativa all’ambito governativo che contiene significativi riferimenti
all’intenzione del costituente è la n.134/2002, che ha dichiarato infondata per erroneità del
presupposto interpretativo la questione di legittimità costituzionale dell’art.3. 1°co., l. 5 giugno
1989, n.219 (sollevata in relazione agli artt.3, 27, 2°co., 111). In particolare la questione concerneva
la supposta sovrapposizione nel “Tribunale dei ministri” delle funzioni di gip e di gup. La Corte
respinge l’interpretazione data dal giudice a quo (rappresentato appunto dal Collegio istituito per i
procedimenti relativi ai reati ministeriali) mutando l’orientamento in precedenza seguito, in
86
La Corte si sofferma anche sul periodo antecedente all’Assemblea costituente e sottolinea che la Commissione Forti,
istituita presso il Ministero per la Costituente, discusse a lungo la questione se far valere la responsabilità dei singoli
ministri, ma poi ritenne preferibile non prendere posizione e lasciare la soluzione della questione ai principi non scritti.
Nel progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione dei settantacinque, poi, era previsto che la fiducia del
Parlamento dovesse investire “i ministri e il primo ministro” (anziché “il Governo”, come nella versione definitiva
dell’attuale art.94).
87
La dottrina ha sottolineato che la sentenza n.7/1996 “fa leva sulla prassi, riconosciuta come vera e propria
consuetudine costituzionale” (così M. MIDIRI, La considerazione della prassi nella giurisprudenza costituzionale, in Il
parametro nel giudizio di costituzionalità, cit.,419). Sul punto non sono mancate osservazioni fortemente critiche nei
confronti della Corte, che ha qualificato come consuetudinario un comportamento mai verificatosi (F. DAL CANTO, Il
parametro in senso stretto, cit., 265; v. anche A. SIMONCINI, Alcune considerazioni su consuetudini e convenzioni
costituzionali come parametro del giudizio della Corte, in Il parametro nel giudizio di costituzionalità, cit., 590 ss.).
34
particolare
nella
sentenza
n.265/1990,
e
ricorrendo
all’
“interpretazione
sistematica
dell’ordinamento, quale é venuto a configurarsi progressivamente nel tempo” (punto 4.2 del
“Considerato in diritto”). Tale interpretazione sistematica derivante dalla progressiva evoluzione
dell’ordinamento (comprensiva dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale),
secondo la Corte, è compatibile sia con la lettera della legge sia con la volontà del legislatore. A tal
fine, nel punto 4.4 del “Considerato in diritto”, viene fatto puntuale riferimento ai lavori preparatori
della l.c. 16 gennaio 1989, n.1, con la quale, come è noto, i reati ministeriali sono stati sottratti alla
competenza della Corte per essere affidati alla giurisdizione ordinaria. Il riferimento all’intento
originario del legislatore costituzionale viene fatto per dimostrare che non risulta incompatibile con
la (nuova) interpretazione sostenuta dalla Corte. La decisione di mutare orientamento (per quanto
giustificata dall’evoluzione progressiva dell’ordinamento giuridico) induce la Corte a trovare
sostegno nella rilevata non incompatibilità rispetto alla volontà del legislatore costituzionale. Il
fatto, cioè, che a tale interpretazione non si oppone né la lettera della legge, né l’intento del
legislatore rappresenta un elemento a sostegno del metodo sistematico seguito dalla Corte. Non c’è,
quindi, propriamente l’utilizzo del canone dell’intento originario, quanto piuttosto la dimostrazione
della sua compatibilità con l’interpretazione sistematica seguita dalla Corte. Tale canone
rappresenta, cioè, un fattore rafforzativo del metodo interpretativo utilizzato dalla Corte, ma non per
il fatto che fornisce indicazioni corrispondenti a quelle ricavate dalla Corte, bensì perché non risulta
in contrasto con esse.
Nel contesto della presente analisi va poi compresa la recente sentenza n.200/2006, che ha
praticamente riconosciuto alla concessione della grazia la natura di atto sostanzialmente
presidenziale. La decisione alla quale perviene la Corte è fondata su numerosi riferimenti di
carattere storico, che vengono poi utilizzati unitamente alle indicazioni che la Corte trae dalla prassi
e dall’evoluzione della legislazione ordinaria 88 . Il dibattito in Assemblea costituente viene
richiamato (nel punto 5.2 del “Considerato in diritto”) soprattutto per evidenziare l’intima
connessione alla figura del Monarca del potere di concedere la grazia attribuito al Presidente della
Repubblica (l’art.87, 11°co., Cost. è sostanzialmente identico all’art.8 dello Statuto Albertino) 89 . In
88
La sentenza n.200/2006 viene collocata tra quelle decisioni (relative soprattutto alla II parte della Costituzione) in cui
gli enunciati testuali vengono integrati con il riferimento alla prassi (in tal senso F. DAL CANTO, Il parametro in senso
stretto, cit., 265, nota 25).
89
Il richiamo alla normativa statutaria (unitamente al riferimento ad altri profili di carattere storico) ha determinato
l’identificazione della sentenza in esame come esempio di decisione fondata sull’interpretazione storica (A. PACE,
Interpretazione costituzionale e interpretazioni per valori, cit., 111, nota 96). L’importanza dei dati storici richiamati
dalla sentenza è sottolineata anche da M. LUCIANI, Sulla titolarità sostanziale del potere di grazia del Presidente della
Repubblica, in Corr. giur., n.2/2007, 190 ss. (spec.193), il quale evidenzia che si tratta di dati che erano ben presenti al
Costituente e che assumono per questo un valore primario sul piano interpretativo. L’A., però, non condivide
l’interpretazione che ne dà la Corte e, quindi, le conclusioni che vengono raggiunte sulla base di essi. In particolare in
35
questo caso il canone dell’intento originario viene utilizzato con una valenza prevalentemente
oggettiva: ciò che viene in rilievo è più il contesto storico che la volontà soggettiva del costituente.
Quest’ultimo gruppo di sentenze evidenzia il ricorso al canone dell’intento originario come
tentativo di trovare un aggancio più solido all’applicazione di parametri che vanno ben al di là della
lettera della Costituzione. La mancanza di un riscontro a livello testuale induce la Corte a cercare
indicazioni nell’intento originario del costituente. Anche se ciò talvolta si traduce in un’operazione
di lettura dei lavori preparatori prioritariamente finalizzata ad avallare la soluzione (già) prescelta
dalla Corte. In tal caso allora il riferimento all’intenzione del costituente riduce ma non elimina
l’ampio margine di discrezionalità di cui gode la Corte in sede di interpretazione del parametro.
5.4. Un ultimo gruppo di decisioni contenenti dei riferimenti significativi all’intento
originario concerne il titolo V della Costituzione. Due di queste sono state pronunciate prima della
riforma del 2001, mentre un’altra risale al periodo successivo alla riforma. Sono tutte decisioni
abbastanza diverse da quelle sin qui esaminate, che sembrano denotare la scarsa propensione della
Corte ad utilizzare in modo incisivo il canone dell’intento originario del costituente nel settore
disciplinato dal titolo V della Costituzione (dove, infatti, il riferimento all’intenzione originaria, pur
essendo presente in numerose pronunce, è quasi sempre soltanto accennato).
Le prime due sono sentenze contigue: la n.173 e la n.174 del 1981. Entrambe sono
caratterizzate dal fatto che il riferimento all’intenzione originaria riguarda il parametro
costituzionale solo indirettamente. Si tratta, infatti, di ipotesi in cui come parametro vengono
utilizzate norme interposte 90 (in particolare, nel caso di specie, la norma interposta è rappresentata
dalla delega contenuta nell’art.1 della l. 22 luglio 1975, n.382). La prima delle due pronunce
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.25, 5°co., del d.P.R. 24 luglio 1977, n.616 (adottato,
come è noto, in attuazione della delega di cui al suddetto art.1 della l. n.382/1975). La Corte
ripercorre in maniera molto dettagliata i lavori preparatori della legge n.382/1975 per giungere alla
conclusione che il legislatore delegante “non intese abbinare alla delega per il trasferimento di
funzioni una delega per la riforma, sia pure parziale, del regime delle IPAB infraregionali; non
intese, cioè, di anticipare su questo punto la legge generale di riforma dell'assistenza” (punto 11 del
“Considerato in diritto”). Da qui l’annullamento per eccesso di delega dell’art.25, 5°co., d.P.R.
n.616/1977.
una forma di governo democratica il Presidente della Repubblica non dovrebbe essere lasciato solo nell’esercizio di un
potere che ha una natura sostanzialmente politica (quando anche sotto la vigenza dello Statuto albertino alla fine il
potere di grazia era di fatto condiviso tra Monarca e Ministro).
90
Sul fenomeno della interposizione v., tra i contributi più recenti, N. PIGNATELLI, Le norme interposte, in L’accesso
alla giustizia costituzionale, cit., 297 ss. e F. DAL CANTO, Il parametro in senso stretto, cit., 276 ss.
36
La successiva sentenza n.174/1981, invece, dichiara infondata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 22, 113 e 114, tabella B n. 2 del d.P.R. n. 616/1977, che era stata sollevata
in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost. Anche in questo caso la Corte si sofferma sui lavori
preparatori della l. n.382/1975 e utilizza, quindi, il canone dell’intento originario relativamente alla
normativa ordinaria che funge da norma interposta. In entrambi i casi, come è evidente, non c’è
alcun riferimento alla volontà del costituente. Le due ipotesi adesso in esame, quindi, si distinguono
nettamente da quelle sin qui esaminate (alle quali sono accomunate solo per il fatto che il canone
dell’intento originario viene richiamato sul versante del parametro).
L’altra decisione che si ritiene di dover prendere in considerazione è la sentenza
n.407/2002 91 , successiva, quindi, come si è detto, alla riforma del 2001 (a differenza delle due
pronunce appena considerate). Si tratta di una delle poche decisioni (se non l’unica) in cui la Corte
si richiama più volte ai lavori preparatori della l.c. n.3/2001. Tale richiamo viene fatto in relazione
all’art.117, 2°co., lett. h) e s) (concernenti rispettivamente le materie, di competenza statale,
“sicurezza pubblica” e “ambiente”), ma in modo non incisivo e, soprattutto, senza l’enfasi che
talvolta caratterizza il riferimento alla volontà originaria del costituente (testimoniata dal fatto
stesso che tale riferimento viene fatto quasi sempre indicando i soggetti costituenti, quasi a volerne
evidenziare il ruolo di Padri fondatori dell’ordinamento costituzionale repubblicano). Il riferimento
ai lavori preparatori della legge costituzionale di riforma del titolo V viene fatto dalla Corte per
escludere che la materia disciplinata dalla legge regionale impugnata (attività a rischio di incidenti
rilevanti) possa essere compresa nella nozione di sicurezza di cui alla lett. h) del 2°co. dell’art.117
Cost. (punto 3.1 del “Considerato in diritto”). Tale disciplina va, invece, ricondotta alla tutela
dell’ambiente di cui alla lett. s) dello stesso disposto costituzionale. Al riguardo la Corte,
rifacendosi sia alla propria giurisprudenza antecedente alla riforma del titolo V, sia alla normativa
(anche comunitaria) in vigore da prima della riforma, sia ai lavori preparatori relativi alla suddetta
lett. s), evidenzia che “la tutela dell’ambiente va considerata non tanto una materia nel senso
tradizionale del termine, quanto piuttosto un valore costituzionalmente protetto, una “sorta di
materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono
essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale……I lavori preparatori relativi alla lettera s) del
nuovo art. 117 della Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del legislatore
91
La sentenza in questione dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 1°co., 4, 2°co., 5, 1°
e 2°co., della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di
incidenti rilevanti), sollevata dallo Stato in riferimento all'art. 117 Cost., 2°co. lett. h) e s), al d. lgs. 17 agosto 1999,
n.334 (di attuazione della direttiva 96/82/CE) e all’art.72 d. lgs. n.112/1998.
37
sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi
sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale
alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si
può quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso
eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a
soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a
quelle di carattere unitario definite dallo Stato.” (punto 3.2 del “Considerato in diritto”)
La sentenza riflette una delle possibili applicazioni del principio di continuità, che assume
un rilievo di primo piano nella giurisprudenza costituzionale relativa al titoloV, e rappresenta un
esempio significativo delle “potenzialità biunivoche” delle materie trasversali 92 .
6. Nel settore da ultimo preso in considerazione (concernente il titolo V dopo la riforma del
2001) emerge un elemento sul quale è opportuno soffermare l’attenzione: il riferimento
all’intenzione del legislatore di revisione costituzionale, oltre a non essere frequente, è quasi sempre
soltanto accennato 93 . Occorre quindi domandarsi se si tratta di un fattore contingente, vale a dire
legato alle caratteristiche che connotano la legge di riforma del titolo V, o se, viceversa, non ci trovi
di fronte ad un orientamento della Corte suscettibile di essere esteso a tutte le ipotesi di revisione
costituzionale.
La più significativa ed incisiva riforma della Costituzione fino ad oggi posta in essere,
infatti, potrebbe teoricamente rappresentare l’ambito più adatto per verificare l’applicazione del
canone dell’intento originario con riferimento alle leggi di revisione costituzionale. Ma
nell’effettuare tale verifica non si può prescindere dal considerare la l.c. n.3/2001 presenta delle
92
Per quanto concerne il primo aspetto v. quanto rileva A. ANZON DEMMIG, Le potestà legislative dello Stato e delle
regioni, Torino, 2005, 70 ss., che sottolinea, in relazione alla sentenza in questione, la scelta della Corte di garantire in
materia di tutela dell’ambiente la continuità rispetto al regime precedente, sia nell’interpretazione delle formule
adoprate nel nuovo testo costituzionale, sia nell’utilizzo del “criterio del doppio livello degli interessi anche laddove
manchino riferimenti testuali espliciti o impliciti in tal senso” (v., inoltre, più in generale, sul principio di continuità
nella giurisprudenza relativa al nuovo titolo V, le considerazioni di M. LUCIANI, L’autonomia legislativa, in Le
Regioni, 2004, 355 ss. e P. PASSAGLIA, Osservazioni in tema di definizione e delimitazione delle materie di cui
all’art.117 della Costituzione, in Le competenze normative statali e regionali tra riforme della Costituzione e
giurisprudenza costituzionale. Un primo bilancio, a cura di R. TARCHI, Torino, 2006, 95 ss.). Per quanto concerne,
invece, il profilo relativo alle potenzialità biunivoche delle materie trasversali (che appunto consentono allo Stato di
interferire in materie di competenza regionale, ma non escludono per questo l’intervento regionale in tutte le ipotesi in
cui siano in gioco interessi che risultano perseguibili in modo ottimale al livello territoriale regionale), v. F. BENELLI,
La “smaterializzazione” delle materie. Problemi teorici ed applicativi del nuovo titolo V della Costituzione, Milano,
2006, 102ss.
93
Dall’elenco di decisioni che si riportano in appendice alla presente relazione risulta, infatti, che le decisioni
successive alla l.c. n.3/2001 che si richiamano all’intento originario del legislatore non sono molte e sono quasi tutte
pronunce in cui il riferimento alla volontà del legislatore costituzionale assume un valore piuttosto marginale (la stessa
sentenza n.407/2002 che si è appena esaminata, come si è detto, si richiama più volte ai lavori preparatori, ma non lo fa
mai in modo incisivo).
38
peculiarità (legate anche alla tecnica di normazione utilizzata) che incidono pesantemente
sull’interpretazione della legge stessa.
Prendendo come riferimento gli elenchi di materie contenute nell’art.117 Cost. (che
rappresentano sicuramente uno dei punti nodali della riforma), ci si trova di fronte, come la dottrina
ha ripetutamente evidenziato, a numerose “incongruenze e dimenticanze” e ad “evidenti errori
materiali” 94 . L’impossibilità di dare attuazione alla riforma attraverso leggi statali (come era
avvenuto nel regime precedente) ha reso inevitabile affrontare il problema della definizione delle
materie sul piano interpretativo 95 . La questione delle materie, cioè, si è posta dal punto di vista
interpretativo, mentre non è stato possibile fare affidamento su una normativa di attuazione delle
disposizioni costituzionali. Ma le incongruenze rilevate hanno messo la Corte di fronte ad un
compito estremamente gravoso 96 . L’attività interpretativa che la Corte è stata chiamata a svolgere,
quindi, era da una parte di fondamentale importanza ai fini dell’attuazione della riforma e,
dall’altra, di una difficoltà estrema per la cattiva tecnica normativa utilizzata dal legislatore di
revisione.
E’ significativo che la dottrina ha individuato nel nuovo titolo V, proprio con specifico
riferimento agli elenchi di materie di cui all’art.117, 2° e 3°co., Cost., un esempio di lacuna assoluta
del parametro (dovuta alla non intelligibilità dello stesso) che determina per questo una
giurisprudenza costituzionale dalla valenza altamente creativa 97 .
94
Così A. D’ATENA, Le regioni dopo il big bang. Il viaggio continua, Milano, 2005, 118 ss. L’A. sottolinea la
centralità dell’elencazione delle materie nell’architettura della riforma: agli elenchi delle materie è “rimessa la funzione
di individuare il punto di equilibrio tra le ragioni dell’unità e quelle dell’autonomia”.
95
V. sempre A. D’ATENA, Le regioni dopo il big bang, cit., 120 ss., che evidenzia la mancanza di “uno specifico titolo
competenziale” a favore dello Stato “in materia di materie”, titolo che, di fronte alla logica rovesciata dell’attuale
art.117 (per cui la competenza generale non è più dello Stato ma delle regioni), risulta indispensabile al fine di
legittimare un intervento statale. Né è pensabile che il ruolo in precedenza svolto dallo Stato in merito alla definizione
delle materie possa oggi ritenersi di competenza regionale, vista la dimensione necessariamente unitaria delle materie.
Da qui l’inevitabile spostamento sul piano interpretativo della questione delle materie di cui si accenna nel testo.
96
P. CAVALERI, La definizione e la delimitazione delle materie di cui all’art.117 della Costituzione, in Le competenze
normative statali e regionali, cit., 28.
97
A. MASARACCHIA, La “costruzione” e l’impiego di parametri non scritti, cit., 121 ss. e 170 ss. Nella ricostruzione
dell’A. il fenomeno in esame viene ricondotto nell’ambito della “logica dell’autoreferenzialità”, alla quale si è
accennato alla nota 21. La Corte, cioè, di fronte ad una situazione di assenza di fatto di un parametro scritto (nel caso in
esame, più precisamente, il parametro scritto c’è ma non risulta intelligibile) si trova costretta a svolgere un ruolo
creativo che le impone l’assunzione di una o più “decisioni pilota”, destinate a fungere da precedenti per la
giurisprudenza successiva. La manifestazione più evidente di questa tendenza è ravvisabile, nell’ambito delle pronunce
costituzionali relative al nuovo titolo V, nella sentenza n.303/2003, grazie alla quale la Corte, invocando il rispetto del
principio di legalità, ha esteso la sussidiarietà dall’ambito amministrativo (ai sensi dell’art.118, 1°co., Cost.) all’ambito
legislativo. Non a caso tale decisione viene indicata come espressione di tecniche giurisprudenziali molto sofisticate,
che hanno comunque consentito alla Corte di svolgere un’importante opera di razionalizzazione nel settore in esame:
così M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, cit., 4-5. Da notare al riguardo che il principio
della sussidiarietà legislativa, che inizialmente era stato interpretato, quanto meno da una parte della dottrina, in senso
restrittivo (v., ad es., A. D’ATENA, Le regioni dopo il big bang, cit., 143-144, che circoscrive il fenomeno in questione,
anche alla luce di affermazioni contenute nella s.n.303/2003, alla sola competenza concorrente) viene in seguito ritenuto
da un’altra parte della dottrina, anche in virtù delle affermazioni fatte dalla Corte stessa nella successiva s.n.6/2004, di
dimensioni più ampie, vale a dire esteso all’ambito della potestà residuale regionale (in tal senso R. BIN, Problemi
legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale. Rileggendo Livio Paladin dopo la
39
In un contesto del genere la Corte è stata indotta ad assumere diverse tecniche interpretative,
nell’ambito delle quali un’importanza preminente va probabilmente attribuita al criterio storiconormativo, ritenuto il più affidabile di fronte all’impossibilità di ricorrere all’interpretazione
sistematica delle disposizioni costituzionali 98 . In virtù di tale criterio la definizione delle materie
indicate nell’art.117 Cost. viene ricavata dalla normativa in vigore nel momento storico in cui è
stata adottata la legge di revisione costituzionale. Il suo impiego, oltre ad avere il pregio di evitare
soluzioni di continuità 99 , ha trovato un significativo punto di appoggio nella normativa ordinaria
che, a partire dalla prima legge Bassanini (l. 15 marzo 1997, n.59), ha determinato la riallocazione
delle funzioni amministrative. Da ciò deriva la frequente integrazione del parametro costituzionale
con indicazioni tratte dalla legislazione ordinaria, che la dottrina ha più volte indicato come
fenomeno caratterizzante la giurisprudenza costituzionale sul nuovo titolo V 100 .
Vi sono, però, delle ipotesi in cui il criterio storico-normativo non si presta ad essere
utilizzato (o, quanto meno, non può essere applicato nel suo significato più pieno). Si pensi, in
particolare, alle materie prive di riscontri a livello normativo perché inserite ex novo nel nuovo
art.117 Cost., o alle materie trasversali (o materie-non materie), che sembrano destinate ad occupare
uno spazio sempre più ampio e che vanno individuate, per le loro caratteristiche intrinseche,
attraverso criteri di tipo finalistico da applicare secondo la logica del “caso per caso” 101 .
riforma del titolo V, in Scritti in memoria di Livio Paladin, cit., I, 323-324 e F. BENELLI, La “smaterializzazione”
delle materie, cit., 160 ss.).
98
In tal senso A. D’ATENA, Le regioni dopo il big bang, cit., 124-125.
99
R. TARCHI, Introduzione, in Le competenze normative statali e regionali, cit., 24.
100
Per una rassegna delle decisioni costituzionali relative al titolo V che si sono richiamate alla legislazione ordinaria v.
P. CAVALERI, La definizione e la delimitazione delle materie, cit., 30 ss. La normativa ordinaria richiamata più
frequentemente dalla Corte risulta essere appunto quella contenuta nel d. lgs. n.112/1998 (v. al riguardo i dati
giurisprudenziali che si riportano alla nota 105), ma in taluni casi si riallaccia addirittura al d.P.R. n.616/1977 (v., ad es.,
s.n.12/2004). L’A. evidenzia come il criterio interpretativo impiegato dalla Corte richiama il vecchio criterio oggettivo
utilizzato nella primissima giurisprudenza relativa al riparto di competenze tra Stato e regioni, che definiva le materie in
base al significato ricavabile dal comune linguaggio legislativo. La tendenza della Corte a trarre la definizione delle
materie dalla legislazione ordinaria (con la conseguenza che si verifica un “riempimento” non solo, come di solito,
dall’altro verso il basso, con la Costituzione che va a condizionare l’interpretazione della legge ordinaria, ma anche dal
basso verso l’alto, con la legge ordinaria che va ad integrare la Costituzione) è evidenziata, tra gli altri, anche da R.
BIN, L’applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative, l’interpretazione conforme a Costituzione
della legge, Relazione al Convegno annuale dell’A.I.C. del 2006 su La circolazione dei modelli e delle tecniche del
giudizio di costituzionalità in Europa, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, (25 ottobre 2006), § 7.
101
A. D’ATENA, Le regioni dopo il big bang, cit., 125 ss. Per quanto concerne il caso delle materie trasversali l’A.
(spec.126, nota 25) puntualizza che il criterio storico-normativo non può essere utilizzato per identificare l’oggetto della
competenza, ma rimane comunque impiegabile per qualificare (“in chiave finalistica”) la voce che designa la
competenza (come avviene, con riferimento alla tutela dell’ambiente, nella sentenza n.407/2002). V. anche F.
BENELLI, La “smaterializzazione” delle materie, cit., 87 ss. Quest’ultimo A. distingue le materie in senso proprio, che
vanno tendenzialmente definite attraverso un criterio di tipo oggettivo, dalle materie trasversali, alle quali va applicato
prevalentemente il criterio teleologico. Lo stesso, però, sottolinea anche il valore meramente tendenziale della
distinzione dei criteri interpretativi in base alle caratteristiche delle materie. Gli esempi più significativi di materie
trasversali possono essere identificati nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali”, nella “tutela della concorrenza”, nella “tutela dell’ambiente”, nella “tutela della salute”, nella “ricerca
scientifica” (per puntualizzazioni e indicazioni giurisprudenziali si rinvia a A. ANZON DEMMIG, Le potestà
legislative dello Stato e delle regioni, cit., 63 ss.). In merito va comunque rilevata la tendenza della Corte ad ampliare
sempre di più il settore in questione (fino al punto di ricomprendervi molte delle materie elencate nell’art.117: la
40
In casi del genere la Corte è costretta ad identificare direttamente la materia, quindi ad
utilizzare definizioni di tipo pretorio (eventualmente richiamando i propri precedenti), oppure ad
impiegare un criterio teleologico, in modo da verificare la corrispondenza rispetto alla materia
dell’atto sottoposto al suo giudizio attraverso la finalità che tale atto intende perseguire (operando
una valutazione che è, di conseguenza, strettamente inerente al caso di specie) 102 .
Il quadro che si è rapidamente tracciato sulle tecniche interpretative impiegate dalla Corte ai
fini della individuazione e delimitazione delle materie fa emergere in modo chiaro il ruolo di primo
piano che la Corte stessa si è trovata costretta a svolgere per garantire la concreta attuazione della
riforma. Il problema che la giurisprudenza costituzionale ha dovuto affrontare a monte riguarda
proprio la mancanza di chiarezza e le incongruenze che caratterizzano gli elenchi di materie
contenuti nell’art.117, 2° e 3° co. La valenza altamente creativa delle pronunce costituzionali in
questo caso trova un’evidente causa giustificativa nella cattiva tecnica di redazione della legge di
revisione costituzionale. Pretendere in un contesto del genere che la Corte faccia un impiego
incisivo del canone dell’intento originario (inteso nel senso soggettivo che si è rilevato in relazione
alle altre disposizioni costituzionali) sarebbe, pertanto, contraddittorio. Il mancato (o contenuto)
riferimento alla volontà del legislatore costituzionale si spiega cioè facilmente nel momento in cui si
notazione è sempre di F. BENELLI, La “smaterializzazione” delle materie, cit., 86). La peculiarità delle materie
trasversali va ravvisata nel fatto che individuano non tanto un ambito materiale di competenza, quanto piuttosto
attribuzioni funzionali (in tal senso anche M. LUCIANI, L’autonomia legislativa, cit., 372), che lo Stato è chiamato a
svolgere, in vista del perseguimento di interessi unitari, andando ad incidere su più settori eterogenei e con una duttilità
(per quanto concerne il rapporto tra legislazione statale e regionale) che richiama il noto istituto tedesco della
konkurrierende Gesestebung (l’analogia è sottolineata da A. D’ATENA, Le regioni dopo il big bang, cit., 128; ma v.
anche la diversa impostazione di A. ANZON DEMMIG, Le potestà legislative dello Stato e delle regioni, cit., 55-56,
che evidenzia le differenze rispetto al modello tedesco). Il fenomeno delle materie trasversali e quello della sussidiarietà
legislativa (introdotto, come si è accennato alla nota 97, dalla sentenza n.303/2003) riflettono in modo evidente la
tendenza della giurisprudenza costituzionale ad individuare il riparto di competenze non più secondo il criterio statico
delle materie, ma in base a quello dinamico degli interessi (che sono stati indicati come la “stella polare della
giurisprudenza sulle materie”, il “parametro reale posto dalla Corte a base dei suoi giudizi”: così A. RUGGERI, C.
SALAZAR, Le materie regionali tra vecchi criteri e nuovi (pre)orientamenti metodici d’interpretazione, in Scritti in
memoria di Livio Paladin, cit., IV, 1955). E’ attraverso tale tendenza che sembra affermarsi un regionalismo di tipo
prevalentemente collaborativo, non solo a livello amministrativo, come prefigurato nell’art.118, ma anche a livello
legislativo (livello che sembrava invece configurato, ai sensi della lettera dell’art.117, secondo le caratteristiche del
modello duale). Una conferma in tal senso si rinviene anche nel ruolo fondamentale attribuito al principio di leale
collaborazione nei rapporti tra Stato e regioni (in tal senso le considerazioni di V. ONIDA, Il giudice costituzionale e i
conflitti tra legislatori locali e centrali, Relazione al Convegno annuale dell’A.I.C. del 2006 su La circolazione dei
modelli e delle tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, (31
ottobre 2006), §6).
102
Sul punto v., anche per quanto concerne le indicazioni giurisprudenziali, P. CAVALERI, La definizione e la
delimitazione delle materie, cit., 32 ss., dove figurano alcune delle decisioni che compaiono nell’elenco allegato al
presente lavoro. In particolare vengono indicate: come esempio del primo tipo (definizione di tipo pretorio) la
s.n.407/2002, che individua la sicurezza pubblica (materia di competenza esclusiva dello Stato) nelle “misure inerenti
alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico” (secondo la definizione ricavabile dalla precedente
s.n.290/2001), e come esempio del secondo tipo (valutazione di tipo finalistico) la s.n.9/2004, che respinge un ricorso
regionale in sede di conflitto in quanto il provvedimento statale impugnato, per le finalità che persegue, va considerato
inerente alla materia “tutela dei beni culturali”, che è di competenza esclusiva dello Stato (anziché alla materia
“formazione professionale”, di competenza residuale regionale).
41
tengono presenti le caratteristiche strutturali della legge di revisione, che sembrano evidenziare
l’assenza dei presupposti per l’utilizzo del canone dell’intento originario nella variante soggettiva.
La prospettiva di analisi però cambia nel momento in cui si prende in considerazione
l’interpretazione originalista nella variante oggettiva. In tal caso, come si è visto 103 , l’interprete
prende in considerazione, anziché la volontà soggettiva del costituente, il significato che gli
enunciati in questione hanno, anche all’interno della legislazione precostituzionale, nel momento
storico in cui la disciplina costituzionale è stata adottata. Si tratta appunto della versione oggettiva
dell’interpretazione originalista, che trova il suo fondamento nella presunzione di continuità
dell’ordinamento giuridico.
Questa definizione risulta conforme all’interpretazione storico-normativa, che si è visto
rappresentare uno strumento di fondamentale importanza al fine della definizione (di alcune) delle
materie elencate nell’art.117 Cost. Se si prendono in considerazione le sentenze relative al nuovo
titolo V che contengono un richiamo al legislatore costituzionale 104 , si può facilmente notare che
quasi sempre si tratta di un richiamo soltanto accennato, mentre molto spesso la definizione della
materia viene fatta dalla Corte alla luce della legislazione ordinaria in vigore quando è stata
approvata la l.c. n.3/2001 105 . Il riferimento all’intenzione del legislatore di revisione sembra essere
un elemento quasi di facciata, per non dare eccessivo rilievo ad un’opera ricostruttiva che si fonda
in larga parte su quanto disposto in precedenza dal legislatore ordinario.
La difficile opera di razionalizzazione che la Corte è stata costretta a svolgere non poteva
fondarsi sul riferimento alla volontà soggettiva di un legislatore di revisione che aveva operato in
103
V. nota 27.
Si rinvia al riguardo sempre all’elenco allegato al presente lavoro (che ha comunque un valore meramente
esemplificativo).
105
Nella sentenza n.407/2002, ad es., la nozione di sicurezza pubblica (di cui all’art.117, 2°co., lett. h)) viene ricondotta
all’art.1, 3°co., lett. l) l.n.59/1997 e, inoltre, all’art.72 d. lgs. n.112/1998 e al d. lgs.17 agosto 1999, n.334 (di attuazione
della direttiva 96/82/CE); nella sentenza n.362/2003 si sottolinea che l’edilizia (da ricondurre al “governo del territorio”
di cui all’art.117, 3°co., Cost.) va considerata unitariamente all’urbanistica, secondo quanto risulta dall’art.34 d. lgs. 31
marzo 1998, n.80, emanato in attuazione dell’art.11 l. n.59/1997; nella sentenza n.9/2004 si distingue tra tutela e
valorizzazione dei beni culturali (rispettivamente di competenza statale esclusiva e concorrente) alla luce degli artt.148,
149, 150 e 152 d. lgs. n.112/1998; nella sentenza n.13/2004 per la definizione della materia istruzione (di cui all’art.117,
2°co. lett. n), e 3°co., Cost.) si fa riferimento all’art.138 d. lgs. n.112/1998; nella sentenza n.14/2004 in relazione alla
tutela della concorrenza (indicata nell’art.117, 2°co. lett. e)) si afferma che un riparto di competenze simile si trova
disposto nella disciplina sull’amministrazione del patrimonio e contabilità dello Stato di cui alla l. 5 agosto 1978, n.468.
Questo largo impiego della legislazione ordinaria ai fini della definizione delle materie previste in Costituzione è
analogo a quello presente nella giurisprudenza anteriore alla riforma del titolo V, dove la Corte ha spesso delimitato le
sfere di competenza statale e regionale facendo riferimento ai decreti legislativi di trasferimento delle funzioni dallo
Stato alle regioni, dando così luogo al fenomeno delle norme interposte di fatto (così A. RUGGERI, A. SPADARO,
Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2004, 78). Nell’ambito adesso in esame, però, il parametro costituzionale
è integrato con una legislazione ordinaria che è ad esso antecedente, quindi siamo di fronte ad un’anomalia, se
vogliamo, ancora più accentuata (in cui le scelte del costituente risultano condizionate da quelle del legislatore
ordinario, anche se quasi sempre si tratta di quelle scelte che hanno dato luogo alla riforma Bassanini, che presenta un
indubbio legame con la riforma del titolo V), anomalia che è comunque espressione del principio di continuità, la cui
importanza nell’ambito della riforma del titolo V è stata più volte sottolineata da molteplici punti di vista (a tale
principio si è accennato alla nota 92).
104
42
modo non congruo (anche per le circostanze concrete che hanno segnato l’approvazione della legge
di revisione del titolo V). La giurisprudenza costituzionale sul nuovo titolo V, tra l’altro, fa
emergere un atteggiamento poco propenso a tener conto della volontà del legislatore costituzionale
anche quando sembrano esservi i presupposti. Resta al riguardo emblematica la nota vicenda
relativa all’art.127 Cost., che la Corte ha interpretato in modo conforme al regime precedente (vale
a dire mantenendo il potere statale di impugnare le leggi regionali per qualsiasi vizio di
incostituzionalità e non solo per incompetenza), nonostante durante i lavori preparatori della l.c.
n.3/2001 fosse emersa abbastanza chiaramente l’intenzione di equiparare la posizione di Stato e
regioni anche sul piano dei vizi denunciabili 106 .
Una volta rilevata l’oggettiva difficoltà di utilizzare il canone dell’intento originario
soggettivamente inteso nell’interpretazione del nuovo titolo V, non si può comunque prescindere
dal considerare che la Corte si è trovata in tal caso di fronte ad una volontà legislativa che non è
quella del costituente storico e non è quindi espressione di potere costituente. Si tratta di un
elemento di non poco conto, che può sicuramente aver contribuito a condizionare l’approccio della
Corte. L’ampia creatività interpretativa dei parametri di cui al nuovo titolo V, se si spiega
soprattutto con la difficoltà di trovare indicazioni chiare ed univoche nel testo della Costituzione,
trova forse un’ulteriore giustificazione anche nel fatto che, di fronte al potere costituito, la Corte
avverte in modo minore la preoccupazione di fare riferimento all’intento originario del legislatore di
revisione.
Questa impressione sembra avvalorata anche dal confronto con altri settori costituzionali che
sono stati oggetto di revisione. Dall’elenco delle decisioni allegato al presente lavoro sembra
emergere, infatti, la scarsa propensione della Corte a richiamarsi all’intento del legislatore di
106
L’art.127 Cost., nonostante la sua formulazione poco chiara, era stato autorevolmente interpretato in senso
favorevole ad allineare la posizione dello Stato a quella delle regioni in relazione ai vizi denunciabili nel giudizio in via
d’azione (A. ANZON DEMMIG, Le potestà legislative dello Stato e delle regioni, cit., 108 ss.; ma v. anche A.
D’ATENA, Le regioni dopo il big bang, cit., 54-55, che interpreta in tal senso un obiter dictum contenuto nella sentenza
n.282/2002). La Corte, invece, (prima nella sentenza n.94/2004 e poi, più esplicitamente, nella sentenza n.274/2004) ha
dato dell’articolo una lettura nel segno della continuità rispetto all’ordinamento precedente, continuando a ritenere
preferibile che lo Stato possa impugnare le leggi regionali per qualsiasi vizio di incostituzionalità. Ciò, nonostante le
indicazioni di segno contrario ricavabili dalle affermazioni dei relatori di maggioranza (A. Soda e V. Cerulli Irelli) nel
documento che accompagnava il testo unificato approvato in aula (dove si prevedeva appunto la possibilità per lo Stato
di impugnare una legge regionale solo in caso di eccesso di competenza “e non anche per qualunque vizio di
incostituzionalità”). Questo orientamento trova poi conferma nella legge La Loggia (l. n.131/2003), che all’art.9,
modificativo dell’art.31 l. n.87/1953, stabilisce che il Governo può promuovere la questione di legittimità costituzionale
“quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza di una Regione”. La vicenda, quindi, sembrerebbe
rappresentare un’ipotesi in cui la Corte ha disatteso l’intento del legislatore costituzionale (per indicazioni più analitiche
in merito si veda E. MALFATTI, Le regioni e gli enti locali, in L’accesso alla giustizia costituzionale, cit., 125 ss.).
Occorre, però, sottolineare che, secondo una parte della dottrina, le indicazioni che si ricavano dal dibattito
parlamentare non sono così univoche: fermo restando quanto affermato dai relatori di maggioranza, in sede
parlamentare non sarebbe emerso un chiaro orientamento favorevole alla pariordinazione tra Stato e regioni anche per
quanto concerne l’interesse a ricorrere (in tal senso F. BENELLI, La “smaterializzazione” delle materie, cit., 9, nota
20).
43
revisione, che non va però necessariamente interpretata come tendenza ad eludere la volontà del
legislatore di revisione.
Sul punto va tenuta presente la forte tensione che ha connotato il rapporto tra Corte
costituzionale e legislatore di revisione (soprattutto dagli anni ’90 in poi), che ha raggiunto il
culmine nei casi in cui la revisione della Costituzione è stata fatta allo specifico fine di contrapporre
ed imporre la volontà parlamentare al contenuto di determinate decisioni costituzionali107 . Il
riferimento va, in particolare, alla modifica dell’art.111 Cost., effettuata dalla l.c. 23 novembre
1999, n.2, per contrastare la sentenza n.361/1998, che aveva dichiarato illegittimo l’art.513 c.p.p.
(concernente la nuova disciplina, introdotta con la l. 7 agosto 1997, n.267, relativa all’utilizzabilità
nel processo delle dichiarazioni rese dall’imputato durante le indagini preliminari o nell’udienza
preliminare) 108 . L’inserimento in Costituzione dei principi del giusto processo (tra l’altro attraverso
regole dettagliate più consone ad un codice che ad un testo costituzionale) ha quindi rappresentato
un’ipotesi di ricorso alla revisione per affermare il diritto all’ “ultima parola” del legislatore di
revisione nei confronti della Corte 109 .
La tensione istituzionale da cui è scaturito l’attuale art.111 Cost. si è manifestata anche in
relazione ad altre vicende legislative, non solo di rango formalmente costituzionale110 . Non è quindi
107
Sul rapporto conflittuale tra Corte e legislatore di revisione v., in particolare E. GROSSO, Corte costituzionale e
revisione costituzionale, in Corte costituzionale e processi di decisione politica, Atti del Seminario di Otranto-Lecce del
4-5 giugno 2004, a cura di V. TONDI DELLA MURA, M. CARDUCCI, R.G. RODIO, Torino, 2005, 165 ss.
108
La nota vicenda è analiticamente analizzata da E. GROSSO, Parlamento e Corte costituzionale, in Storia d’ItaliaAnnali 17: Il Parlamento, Torino, 2001, 475 ss.
109
In tal senso N. ZANON, La Corte, il legislatore ordinario e quello di revisione, ovvero del diritto all’ “ultima
parola” al cospetto delle decisioni d’incostituzionalità, in Giur. cost., 1998, 3171, prima ancora che venisse approvata
la legge di revisione. Da notare che la declaratoria di incostituzionalità dell’art.513 c.p.p. aveva determinato anche la
presentazione di una proposta di legge costituzionale (la n.5371 della Camera dei deputati, di iniziativa dei deputati
Soda e altri) diretta a modificare l’art.136 Cost. per imporre alla Corte di pronunciarsi solo nel senso dell’accoglimento,
del rigetto e dell’inammissibilità, in modo da contenere la sua creatività decisoria (sia pure in un modo tecnicamente
assai discutibile, che difficilmente avrebbe prodotto il risultato sperato).
110
Una vicenda analoga a quella della revisione dell’art.111 Cost. si è verificata anche in relazione all’art.51, 1°co., al
quale la l.c. 30 maggio 2003, n.1, ha aggiunto l’ultimo periodo (“A tal fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne”). Tale modifica costituzionale (unitamente a quella introdotta
nell’art.117, 7°co. dalla l.c. n.3/2001, con riferimento alle leggi regionali) è stata sollecitata dalla sentenza n.422/1995
(che si è presa in esame nel § 5.1), con la quale la Corte aveva assunto una posizione non favorevole alla previsione di
quote elettorali riservate alle candidature femminili. Va, però, sottolineato che in tal caso l’intervento del legislatore di
revisione è stato determinato da un approccio con la Corte che è più di dialogo che di vero e proprio scontro
istituzionale (lo evidenzia T. GROPPI, Art.138, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO, A.
CELOTTO, M. OLIVETTI, Torino, 2006, III, 2728). Inoltre non è neanche chiaro se l’inserimento in Costituzione del
principio delle pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive possa effettivamente superare le obiezioni fatte dalla
Corte con la sentenza n.422/1995, dove si evidenzia che le quote non rimuovono gli ostacoli che impediscono alle
donne di ottenere certi risultati, ma attribuiscono direttamente tali risultati. Questo effetto sembra vietato anche alla luce
della nuova formulazione dell’art.51 (in tal senso E. GROSSO, Corte costituzionale e revisione costituzionale, cit., 170171, nota 45). Un altro settore che ha dato luogo ad una forte tensione tra Corte e Parlamento è quello relativo ai
conflitti (tra giudici e parlamentari) sull’art.68, 1°co., Cost. In relazione a tali conflitti si è sviluppata una copiosa
giurisprudenza che, sulla base dei principi stabiliti dalla Corte stessa (soprattutto a partire dalle sentenze nn. 10 e 11 del
2000), è pervenuta all’annullamento delle delibere di insindacabilità adottate dalla Camera di appartenenza del
parlamentare. Questa volta il Parlamento ha reagito all’atteggiamento sanzionatorio della Corte non a livello di
revisione costituzionale, ma attraverso un intervento normativo di rango ordinario, vale a dire approvando la legge di
attuazione dell’art.68 Cost. (l. 20 giugno 2003, n.140). Tale legge, infatti, è stata adottata con l’intento di ripristinare le
44
un fattore isolato e contingente, ma riflette piuttosto un andamento generale dei rapporti tra Corte e
potere legislativo, da tempo connotati da una forte conflittualità. Ciò nonostante, però, i commenti
più recenti ritengono la giurisprudenza costituzionale relativa al nuovo art.111 Cost. equilibrata e
tendenzialmente rispettosa della volontà del legislatore di revisione 111 . In questo settore, quindi, non
si sarebbe manifestata quella “creatività” giurisprudenziale che ha invece caratterizzato il nuovo
titolo V a causa delle incongruenze e contraddizioni con cui è stato redatto. La diversità di
approccio della Corte nei confronti delle due revisioni considerate, però, non si riflette sul canone
dell’intento originario (soggettivamente inteso), in entrambi i casi richiamato raramente e in modo
non incisivo.
Ferma restando la profonda diversità tra le due ipotesi di revisione, anche per quanto
concerne il rapporto con la Corte costituzionale (portata, nel primo caso, a compiere un’opera di
razionalizzazione delle scelte compiute dal legislatore di revisione e, nel secondo, ad accettare una
manifestazione di volontà legislativa di revisione volta a contrapporsi ad una decisione
costituzionale) 112 , non si può fare a meno di constatare che si tratta di due ipotesi accomunate dalla
scarsa tendenza da parte della Corte ad utilizzare il riferimento all’intenzione originaria del
legislatore di revisione.
Al di là dei fattori contingenti che connotano le due revisioni considerate (la difficile
identificabilità di una chiara volontà del legislatore di revisione, nel caso del titolo V, e la possibile
ritrosia a richiamare un’intenzione originaria apertamente contrapposta alla giurisprudenza
costituzionale, nel caso dell’art.111), viene dunque da chiedersi se non vi sia anche una minore
esigenza della Corte di confrontarsi con un intento che non è quello del costituente.
regole giurisprudenziali del periodo antecedente alla svolta del 2000, caratterizzato dall’esercizio di un controllo molto
più blando nei confronti delle delibere parlamentari di insindacabilità (è quanto risulta dalla relazione che
accompagnava il disegno di legge: sul punto v. G. AZZARITI, Politica e processi, in Giur. cost., 2004, 855 ss., spec.
856, nota 44). La natura di rango ordinario della l. n.140/2003 ha però permesso alla Corte, in sede di giudizio di
legittimità costituzionale, di contenere il tentativo del Parlamento. Con la sentenza n.120/2004 tale legge è stata
interpretata in modo sostanzialmente conforme alla giurisprudenza costituzionale successiva al 2000 (senza arrivare alla
conseguenza estrema della declaratoria di incostituzionalità, che avrebbe acuito ancora di più lo scontro con il potere
legislativo), con la conseguenza che le delibere di insindacabilità non correttamente adottate continuano ad essere
annullate in sede di conflitto.
111
In tal senso, ad es., C. CONTI, La giurisprudenza costituzionale sul giusto processo penale: riflessioni a un lustro
dall’entrata in vigore del “nuovo” art.111 Cost., in Equo processo: normativa italiana ed europea a confronto, a cura
di L. FILIPPI, Padova, 2006, 105 ss., spec,156, alla quale si rinvia anche per i riferimenti giurisprudenziali.
112
Un ulteriore profilo che distingue le due revisioni (e che potrebbe aver in parte condizionato l’atteggiamento della
Corte nei loro confronti) concerne la maggioranza con cui sono state approvate: quella dei due terzi nel caso della l.c.
n.2/1999, e la sola maggioranza assoluta nel caso della l.c. n.3/2001 (anche se il procedimento relativo a quest’ultima
era iniziato con il consenso di maggioranza e opposizione, in quanto considerato il logico proseguimento dell’attività
iniziata dalla Commissione D’Alema istituita dalla l.c. 24 gennaio 1997, n.1, che era stata a sua volta approvata da
un’ampia maggioranza parlamentare). Al tempo stesso le due leggi di revisione sono ritenute accomunabili per il fatto
che riflettono entrambe una “certa tendenza alla prolissità”, che induce il legislatore di revisione ad inserire in
Costituzione norme di dettaglio (così T. GROPPI, Art.138, cit., 2728).
45
7. A conclusione della rapida rassegna effettuata è possibile tentare di trarre alcune
conclusioni e puntualizzare considerazioni che si sono in parte già anticipate.
Le decisioni che si sono prese in esame per il fatto che contengono puntuali riferimenti
all’intenzione originaria del costituente evidenziano che il più delle volte il canone in questione
assume una funzione meramente ausiliaria.
In generale, quindi, sembra che si possa affermare che il riferimento all’intento originario
del costituente viene utilizzato di solito congiuntamente ad altri canoni ermeneutici, mentre
raramente compare come l’unico criterio interpretativo impiegato dalla Corte per risolvere il caso
sottoposto al suo giudizio (nell’ambito dei casi che si sono analizzati l’ipotesi in cui l’impiego del
canone dell’intenzione originaria assume il maggior rilievo ai fini decisori è ravvisabile nella
s.n.429/1992).
In diverse ipotesi la Corte dichiara espressamente di risolvere il caso sottoposto al suo
giudizio in base all’interpretazione sistematica 113 . Il riferimento all’intenzione originaria del
costituente serve allora a rilevare la mancanza di univocità delle indicazioni che si ricavano dai
lavori preparatori (s.n.56/1958), oppure per evidenziare che il costituente non manifestò alcuna
volontà esplicita in merito alla questione oggetto del giudizio (s.n.7/1996), oppure ancora per
trovare in sede costituente un riscontro favorevole all’interpretazione sostenuta dalla Corte
(s.n.127/1977; s.n.364/1988), oppure semplicemente per accertare che l’interpretazione con cui si
risolve il giudizio non incontra l’opposizione dei lavori preparatori dell’Assemblea costituente
(s.n.134/2002: in questo caso c’è anche l’assunzione da parte della Corte di un orientamento diverso
da quello seguito precedentemente, quindi la preoccupazione di dimostrare la compatibilità
dell’interpretazione adottata con i lavori preparatori si spiega anche come forma di giustificazione
del mutamento di indirizzo).
In altre ipotesi l’argomento dell’intenzione originaria svolge una funzione ausiliaria rispetto
al testo scritto, che non fornisce indicazioni sufficienti ai fini della risoluzione del giudizio
(s.n.4/1986), oppure ha un significato rispetto al quale l’intento del costituente assume un valore
rafforzativo (ss.nn.86 e 87 del 1982), oppure ancora va interpretato andando al di là del significato
113
Più precisamente la Corte in alcuni casi afferma di attenersi semplicemente all’interpretazione sistematica
(s.n.127/1977, s.n.364/1988, s.n.134/2002), altre volte parla di interpretazione “storico-sistematica” (s.n.56/1958) e altre
volte ancora di interpretazione “logico-sistematica” (s.n.7/1996). L’interpretazione sistematica, a prescindere dalle
diverse sfumature con cui viene utilizzata nei singoli casi, rappresenta sicuramente uno dei canoni ermeneutici
maggiormente utilizzati dalla Corte (una conferma in tal senso è rinvenibile anche nella rassegna giurisprudenziale,
relativa ai primi mesi del 2006, riportata da A. PACE, Interpretazione costituzionale e interpretazioni per valori, cit.,
110-111, nota 96, dove l’interpretazione logico-sistematica figura appunto come la tecnica usata più di frequente). Ma si
vedano in merito anche le riflessioni critiche riportate da M. DOGLIANI, Il “posto” del diritto costituzionale, cit., 530
ss., circa la difficoltà di dare una lettura sistematica della Costituzione (che consiste semmai nella “prospettazione di un
sistema di compatibilità reciproche tra principi”).
46
letterale che sembra ad esso attribuibile “a prima lettura” e, quindi, cercando il fondamento
dell’interpretazione appunto (anche) nella volontà del costituente storico (s.n.31/1986).
La funzione ausiliaria svolta dal canone dell’intento originario rispetto al testo scritto,
quindi, in genere serve a chiarire e rafforzare l’interpretazione letterale, o talvolta anche ad andare
oltre tale interpretazione (qualora sia necessario colmare eventuali lacune), ma non a contrastare in
modo irriducibile con essa. La Corte, riguardo al rapporto tra testo scritto e intento originario del
costituente, ha affermato la prevalenza del primo sul secondo: “la Costituzione vale per ciò che
risulta scritto” nel testo (s.n.47/1991). Si tratta di un’affermazione di principio in gran parte
condivisibile, fatta però con riferimento ad un’ipotesi particolare 114 . C’è da chiedersi se, di fronte ad
una manifestazione di volontà del costituente chiara ed inequivocabile che è stata omessa per errore
dal testo finale 115 , la Corte non dovrebbe tenerne conto a livello interpretativo (vale a dire
interpretando la disposizione scritta nel modo maggiormente compatibile con l’intento originario).
Ma una possibilità del genere dovrebbe comunque restare circoscritta a quelle ipotesi in cui
l’intento originario in contrasto con il testo finale approvato dall’Assemblea costituente sia
ricostruibile senza alcun ombra di dubbio e in casi del genere, come dimostra la stessa vicenda
affrontata dalla s.n.47/1991, può essere non facile risalire all’effettiva volontà dei costituenti.
Nell’ambito delle decisioni analizzate non mancano, poi, dei casi in cui la Corte fa puntuale
riferimento ai lavori dell’Assemblea costituente per individuare un principio che poi non risulta
applicabile al caso di specie (o, meglio, non risulta utilizzabile ai fini della decisione in questione)
(s.n.277/1990).
La Corte tende ad utilizzare l’interpretazione originalista in senso soggettivo, richiamando in
modo incisivo la volontà dei costituenti. In alcune decisioni, però, sono contenuti diversi riferimenti
di carattere storico, che consentono di individuare il significato della disposizione costituzionale
anche attraverso il contesto storico da cui è scaturita (s.n.31/1986, s.n.269/1986, s.n.200/2006). In
tali casi si assiste ad un impiego dell’interpretazione originalista (anche) nel suo significato
oggettivo. E’ in tale ambito che vanno probabilmente inserite le pronunce relative al nuovo titolo V,
che, come si è visto, non sono connotate da significativi riferimenti alla volontà soggettiva del
legislatore costituzionale, ma fanno un ampio utilizzo della legislazione ordinaria in vigore da prima
dell’adozione della l.c. n.3/2001, con la conseguenza che il significato delle disposizioni
114
V. quanto si è sottolineato alla nota 84.
E’ questa l’ipotesi che sembrava ricorrere nel caso delle leggi elettorali (ritenute dalla maggioranza degli interpreti
scomparse per errore dall’elenco delle leggi sottratte all’abrogazione referendaria di cui all’art.75, 2°co., Cost.). Da una
più attenta analisi, però, come si è visto alla nota 84, detta scomparsa sembra sia imputabile ad una contraddizione
interna allo stesso processo verbale, con la conseguente impossibilità di risalire all’effettiva volontà manifestata in
merito dai costituenti.
115
47
costituzionali viene tratto dal contesto oggettivo (in questo caso di carattere prevalentemente
normativo) nel quale hanno avuto origine.
Un elemento particolarmente degno di attenzione, da sottolineare ulteriormente, va ravvisato
nel fatto che il riferimento all’intento originario è contenuto, come si è visto, in molte decisioni di
incontestabile rilievo 116 . Si avverte in modo netto la sensazione che, quando la Corte deve risolvere
questioni di primaria importanza, tende a cercare in modo più incisivo l’ “appoggio” della volontà
del costituente (o, comunque sia, si preoccupa di confrontarsi esplicitamente con l’intento
originario, anche al solo fine di dimostrare che il costituente non ha affrontato la questione
sottoposta al suo giudizio, o che la sua decisione non contrasta con quanto emerge dai lavori
preparatori della Costituzione). Va evidenziato che tale tendenza si manifesta anche in pronunce
molto recenti (come la s.n.200/2006), con la conseguenza che, se da una parte con il passare del
tempo il riferimento all’intenzione del costituente diventa più sporadico e assume una connotazione
maggiormente storica 117 , da un’altra parte nei casi in cui viene richiamato acquista un valore
particolarmente incisivo. L’evoluzione legata al passare del tempo evidenzia, cioè, un utilizzo più
raro del canone dell’intento originario, ma al tempo stesso in relazione a casi di primaria importanza
e con un’incisività maggiore di quella ravvisabile in molte delle pronunce meno recenti.
Una considerazione per certi versi analoga può essere fatta con riferimento a quei settori
della parte organizzativa della Costituzione relativi a poteri di natura politica, nel cui ambito sono
rilevabili pochissime pronunce costituzionali contenenti il riferimento all’intenzione originaria del
costituente, ma quasi tutte con un rilievo di primo piano nell’ambito della giurisprudenza
costituzionale. Si pensi, in particolare, alle poche ma significative decisioni relative ai titoli della
Costituzione dedicati al Presidente della Repubblica e al Governo (il II e il III della II parte), dove
compaiono sentenze come la n.200/2006 e la n.7/1996.
E’ inoltre necessario sottolineare l’ulteriore profilo inerente al fatto che talvolta il richiamo
all’intenzione del costituente serve come appiglio per legittimare interpretazioni “extratestuali”, che
potrebbero altrimenti sembrare arbitrarie (un caso può essere rinvenuto nella sentenza n.16/1978,
con specifico riferimento al limite dell’omogeneità del quesito). Sembrerebbe quindi ravvisabile la
tendenza per cui più la Corte si discosta dal testo, più tende a cercare legittimazione nell’intento dei
costituenti (che si confermerebbe così come fattore di contenimento rispetto alle tecniche
maggiormente manipolative del parametro).
La tendenza della Corte ad utilizzare il canone dell’intento originario in pronunce
particolarmente significative viene qui rilevata a prescindere da ogni considerazione sulle modalità
116
Relative sia alla I che alla II parte della Costituzione: si pensi, ad es., oltre alle pronunce che si sono indicate nel §
5.3, alle ss.nn.422/1995, 364/1988, 204/2004.
117
V. quanto si è evidenziato alla note 60 e 61.
48
con cui viene ricostruita la volontà del costituente. Ma non si può sottacere che la valenza altamente
creativa che connota l’interpretazione del parametro, si ripercuote inevitabilmente anche sul canone
dell’intento originario, il quale contiene ma non elimina tale valenza, dal momento che esso stesso,
per quanto ritenuto, come si è visto all’inizio, argomento incontestabile, viene ad essere utilizzato in
modi diversi e non sempre coincidenti 118 . Anche la volontà del costituente si presta ad essere
ricostruita in modo non sempre univoco. Se, quindi, da una parte può rappresentare un importante
elemento di contenimento della creatività dell’interprete, da un’altra è comunque essa stessa
soggetta a diverse possibili letture.
Preso atto del margine di discrezionalità di cui gode la Corte nell’interpretazione del
parametro dei giudizi costituzionali, diviene però necessario sottolineare la necessità che tale
attività interpretativa si mantenga entro certi confini. Se è vero che la Corte è vincolata al rispetto
del parametro e al tempo stesso ne è in parte svincolata per l’ampia discrezionalità di cui gode
nell’interpretarlo (c.d. paradosso della giustizia costituzionale), è altrettanto vero che tale
interpretazione deve essere comunque riconducibile al testo (nel senso che non può essere
espressione di valori che non sono positivizzati nel testo). Il limite ultimo dell’interpretazione del
parametro viene così ad essere individuato nel rispetto di quei valori intorno ai quali è stato
suggellato l’accordo fondativo dell’attuale ordinamento costituzionale.
La necessità di ricondurre l’interpretazione del parametro al testo costituzionale, che si è
visto rappresentare uno dei profili maggiormente condivisi dalla dottrina più recente che si è
occupata dell’interpretazione costituzionale, viene inevitabilmente ad incidere anche sull’argomento
dell’intento originario del costituente. Lo stesso vincolo che viene rinvenuto nel testo della
Costituzione
va
ravvisato
anche
nell’intento
originario
del
costituente,
interpretabile
evolutivamente, ma mai travalicabile. Il riferimento ad esso dal punto di vista ermeneutico mantiene
così, nonostante il passare del tempo, un valore fondamentale, che è sia strettamente connesso a
quello del testo costituzionale (che della volontà originaria manifestata in sede costituente
rappresenta il risultato finale), sia profondamente diverso da quello attribuibile all’intento del
legislatore ordinario (e forse, anche, almeno in parte, del legislatore di revisione) 119 .
118
Si pensi al diverso significato attribuito ai lavori preparatori dell’art.51 Cost. nelle sentenze nn.56/1958 e 422/1995,
o al diverso valore riconosciuto al dibattito in Assemblea costituente relativo al referendum abrogativo nelle sentenze
nn.16/1978 e 27/1981.
119
Si può forse ipotizzare di equiparare l’intento originario del legislatore di revisione con quello del costituente solo
qualora la revisione sia frutto di un accordo ampiamente condiviso e volto ad assicurare una stabilità analoga a quella
propria delle Costituzioni. In tal senso M. LUCIANI, Interpretazione costituzionale e testo della Costituzione, cit., 48.
49
APPENDICE
DATI GIURISPRUDENZIALI
Premessa metodologica: si riportano di seguito alcune decisioni costituzionali accomunate dal
fatto di contenere dei riferimenti all’intenzione originaria del legislatore costituente. Si tratta di un
elenco con un valore meramente esemplificativo, senza alcuna pretesa di essere esaustivo. La
ricerca si è effettuata nei siti www.cortecostituzionale.it e www.giurcost.org, utilizzando alcune
parole chiave. I maggiori risultati si sono ottenuti inserendo nel motore di ricerca la parola
“costituent”, che ha permesso di trovare i riferimenti ai costituenti, al (legislatore) costituente,
all’Assemblea costituente. Le altre parole chiave che hanno fornito indicazioni di un certo rilievo
sono: “lavori preparatori”; “ordine del giorno”; “legislatore costituzionale” (quest’ultima soprattutto
per quanto concerne i riferimenti, peraltro non molto frequenti né incisivi, all’intento del legislatore
di revisione costituzionale). Le decisioni ottenute si sono poi suddivise tra i diversi titoli della
Costituzione in base al parametro in relazione al quale la Corte ha fatto riferimento all’intenzione
originaria del costituente. Quando il riferimento riguardava più parametri insieme, la decisione si è
inserita nel titolo della Costituzione maggiormente corrispondente al tema trattato e, quindi, alla
questione oggetto della decisione stessa. La stessa cosa si è fatta anche per le ipotesi in cui la Corte
ha richiamato l’intenzione del costituente, ma senza fare esplicito riferimento ad un parametro
preciso. All’interno dei diversi titoli della Costituzione le decisioni si sono indicate in ordine
cronologico, riportando anche il parametro o i parametri (laddove siano stati esplicitati, o per lo
meno risultino in modo chiaro dal contesto della decisione) per i quali la Corte si è richiamata
all’intento originario del costituente. In alcuni casi si è indicato sinteticamente il contenuto della
decisione o il principio in relazione al quale è stato richiamato l’intento originario. Le decisioni
indicate tra parentesi sono quelle in cui il richiamo alla volontà del costituente è del tutto marginale,
o di tipo indiretto (vale a dire fatto con riferimento non propriamente all’intento del costituente, ma
a precedenti pronunce costituzionali che a loro volta contenevano il riferimento a tale intento). Le
decisioni riportate in grassetto, invece, sono quelle in cui la Corte utilizza il canone dell’intento
originario del costituente in modo particolarmente significativo ai fini della decisione stessa, o
quanto meno dedicando a tale intento una attenzione peculiare. Si tratta delle decisioni sulle quali ci
si è soffermati nel § 5.
PRINCIPI FONDAMENTALI (ARTT.1-12)
(s.n.18/1982: art.7, problema degli effetti civili della sentenza di nullità dei matrimoni canonici);
(s.n.300/1984: art.11);
(s.n.132/1985: art.2, la famiglia come formazione sociale);
(s.n.283/1987: art.2, riferimento dubitativo al dibattito in Assemblea costituente, tutela dei diritti
connaturati alla persona umana);
s.n.921/1988: art.9;
s.n.322/1989: art.10, 1°co. (riguarda solo norme consuetudinarie);
(s.n.62/1992: artt.3 e 6 + Statuto Friuli Venezia Giulia, possibilità di usare la propria lingua negli
atti processuali civili); s.n.83/1992: art.3 (+artt.51 e 97) (sottoscrizione delle candidature da parte
degli elettori, riferimento al periodo precedente l’Assemblea costituente);
s.n.75/1992: art.2 (volontariato);
(s.n.114/1994: art.3, sciopero degli avvocati e problema prescrizione);
PARTE I: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
50
TITOLO I: RAPPORTI CIVILI (ARTT.13-28)
s.n.2/1956: art.16; s.n.9/1956: art.17;
(s.n.121/1957: art.21) (non molto si ricava dai lavori preparatori); s.n.125/1957: artt.7 e 8;
s.n.27/1958: art.17;
s.n.19/1959: art.16;
s.n.69/1962: art.18 (libertà di non associarsi: riferimento al contesto storico dell’Assemblea
costituente); (s.n.126/1962: art.16) (riferimento a un brano dei lavori preparatori richiamato nella
s.n.2/1956);
s.n.15/1962: art.25; (s.n.29/1962: artt.3, 25 e 27, riferimento indiretto al legislatore costituente);
s.n.67/1963: art.27, 1°co.;
s.n.68/1964: art.16 (“in via generale”: riaffermazione del principio ex art.3); (s.n.114/1964: art.24,
gratuito patrocinio);
s.n.12/1966: art.27, 3°co. (il legislatore costituente non volle prendere posizione sul problema
generale della funzione della pena: la pena è ugualmente legittima anche se realizza al minimo la
finalità della rieducazione del condannato; la pena ha anche altre funzioni, v. la tutela contro la
delinquenza);
s.n.1/1969: art.24 u.c. (non chiaro a quale nozione di errore giudiziario abbia aderito il costituente:
se riferita alla sola materia penale – così dagli atti della Costituente e dalla tradizione dottrinale – o
se riferita all’intero campo della funzione giurisdizionale – così dal contesto dell’art.24);
(s.n.64/1970: artt.13 e 27); (s.n.97/1970: art.24, 3°co., gratuito patrocinio);
s.n.4/1972: art.21; s.n.124/1972: art.27, 2°co.;
(s.n.3/1973: art.24, gratuito patrocinio);
s.n.60/1976: art.21, 3°co. (“legge sulla stampa” equivale a “legge”: non è una riserva di legge di
tipo speciale); (s.n.88/1976: art.27, presunzione di non colpevolezza; la Corte richiama se stessa:
nonostante tale presunzione, è giustificata la legislazione che ripristina le limitazioni alla
concessione della libertà provvisoria per reati gravi);
s.n.127/1977: artt.24, 1°co., 25, 1°co., 102, 1°co. (illegittimità degli arbitrati obbligatori,
riferimento a art.6 CEDU);
s.n.125/1979: art.24 (parole testuali del costituente); (s.n.148/1979: art.23);
(s.n.190/1981: art.13);
s.n.15/1982: artt.13 u.c. e 27, 2°co. (legislazione d’emergenza, aumento dei termini della
carcerazione preventiva);
s.n.239/1984: art.18 (libertà di non associarsi, richiamata la sentenza n.69/1962);
s.n.193/1985: art.18 (no limiti ulteriori rispetto a quelli posti dalla Costituzione);
s.n.54/1986: art.13, 2°co.;
s.n.364/1988: artt.25, 2°co., e 27, 1°co. (tassatività e irretroattività della legge penale; la
responsabilità penale è personale: illegittimità dell’art.5 c.p., ignoranza inevitabile deve essere
scusabile); (s.n.1063/1988: art.21 u.c.);
s.n.487/1989: art.25, 2°co. (incompetenza delle regioni in materia penale, riserva di legge statale);
s.n.64/1992: art.28;
s.n.195/1993: art.19 (e art.8);
s.n.277/1990:art.25, 2°co. (problema della costituzionalizzazione del principio di retroattività della
“posteriore” legge penale favorevole al reo);
(s.n.48/1994: art.27, presunzione di innocenza);
s.n.366/1991: artt.15 e 2 (la libertà di corrispondenza nel suo contenuto essenziale non può essere
oggetto di revisione: il valore della personalità ha carattere fondante rispetto al sistema democratico
voluto dal costituente);
(s.n.152/1996: artt.24, 1°co. e 102, 1°co.; richiamo alla sentenza n.127/1977); s.n.223/1996: art.27,
4°co.;
s.n.77/1997: artt.24, 2°co. e 13;
s.n.135/2002: art.14, 2°co.;
51
TITOLO II: RAPPORTI ETICO-SOCIALI (ARTT.29-34)
s.n.54/1960: art.30, 3°co. (la Corte non condivide l’interpretazione di tale articolo data dal giudice a
quo in base ai lavori preparatori);
s.n.64/1961: art.29 (infondata la q.l.c. su adulterio femminile);
s.n.7/1963: spec. art.30, 3°co.;
s.n.26/1969: art.30 u.c.; s.n.79/1969: art.30, 3°co.;
(s.n.133/1970: art.29);
s.n.118/1974: art.30; (s.n.121/1974: art.30, 1°co., richiamata la sentenza n.118/1974);
(s.n.97/1979: art.30, 3°co.);
s.n.174/1980: art.33, 5°co. (carattere prescrittivo della disposizione che prevede l’esame di stato e
l’abilitazione all’esercizio professionale);
(s.n.14/1983: art.33 u.c., università);
s.n.168/1984: art.30, 3°co. (richiamata la sentenza n.54/1960);
(s.n.34/1986: art.23, riserva di legge relativa); s.n.237/1986: art.29;
s.n.215/1987: artt.34, 2°co., 2, 3, 2°co., 38, 3°co. (istruzione superiore ai portatori di handicaps);
s.n.180/1988: art.33 (scuole private);
s.n.274/1993: art.34, 3°co.;
s.n.290/1994: art.33, 2°co. (termine “Repubblica” va inteso come Stato nel senso di poteri centrali;
a differenza di quello che si verifica nelle altre disposizioni costituzionali e a differenza di quella
che era stata la dichiarata intenzione dei costituenti di intendere la Repubblica come l’insieme di
poteri pubblici dislocati in tutto il territorio nazionale);
s.n.8/1996: art.29 (un consolidato rapporto di convivenza va ricondotto all’art.2 Cost., mentre il
rapporto coniugale rientra nell’art.29; richiamo alla sentenza n.237/1986);
s.n.532/2000: art.30 (richiamo alle sentenze nn.377/1994 e 184/1990);
TITOLO III: RAPPORTI ECONOMICI (ARTT.35-47)
s.n.29/1957: art.41;
s.n.5/1960: art.42, 3°co.; s.n.29/1960: artt.39 e 40; s.n.30/1960: art.36, 1°co.; (s.n.70/1960: art.38);
s.n.123/1962: art.40 (sciopero nella tradizione accolta dal costituente);
(s.n.58/1965: art.43+102);
(s.n.6/1966: art.42, 3°co.) (il costituente si è riferito all’espropriazione secondo tradizione, ma la
tradizione conosceva anche l’espropriazione non traslativa: risposta alla tesi dell’Avvocatura dello
Stato);
s.n.128/1973: art.38,2°co.;
s.n.160/1974: art.38,2°co.;
s.n.101/1975: art.36;
(s.n.187/1976: art.38);
(s.n.23/1982: art.36, 3°co., riposo settimanale);
(s.n.252/1983: art.42, 2°co., funzione sociale della proprietà);
s.n.268/1986: art.42 (funzione sociale della proprietà);
s.n.31/1986: art.38 (previdenza e assistenza); s.n.137/1986: art.37 (lavoratrice, età della pensione);
(s.n.173/1986: art.38); s.n.269/1986: art.35, 4°co. (libertà di emigrazione);
(s.n.106/1992: art.38, 3°co.);
s.n.181/1993: art.37;
(s.n.89/1995: art.39, 1°co.);
s.n.158/2001: art.36, 3°co.;
TITOLO IV: RAPPORTI POLITICI (ARTT.48-54)
s.n.56/1958: artt.51 e 106 (eguaglianza tra i sessi per l’accesso ai pubblici uffici, non univocità dei
lavori preparatori);
52
s.n.43/1970: art.48, 2°co.;
s.n.201/1970: art.53;
s.n.16/1973: art.52 (sacro dovere di difesa della Patria);
(s.n.126/1979: art.53);
s.n.158/1985: artt.3 e 51 (spec. u.c.);
(s.n.409/1989: art.52, 2°co.);
(s.n.41/1990: art.52, 2°co., obbligatorietà del servizio militare);
s.n.388/1991: art.51, 3°co.;
s.n.111/1994: artt.3 e 51;
s.n.422/1995: artt.3, 1°co. e 51, 1°co.; s.n.429/1995: art.48 (in Assemblea costituente favore per il
sistema proporzionale, ma senza che sia stato costituzionalizzato);
s.n.111/1997: art.53;
s.n.28/1998: art.51;
o.n.79/2006: art.49 (i partiti politici non sono poteri dello Stato);
PARTE II: ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
TITOLO I: IL PARLAMENTO
SEZIONE I: LE CAMERE (ARTT.55-69)
s.n.78/1984: art.64, 3°co. (vizio formale: legge votata non a maggioranza dei presenti: l’attuazione
della disposizione è di spettanza delle Camere);
(s.n.129/1996: art.68, conflitto);
SEZIONE II: LA FORMAZIONE DELLE LEGGI (ARTT.70-82)
s.n.50/1959: art.77 (inammissibilità di d.l. regionali);
s.n.85/1962: artt.70,76, 77 + XV disp. trans. (conferimento al Governo di poteri straordinari nel
periodo precedente il referendum istituzionale e la formazione dell’Assemblea costituente: art.4 d.
lgs. lgt. 27 luglio 1945, n.475, in relazione a art.4 d.l. lgt. 25 giugno 1944, n.151); s.n.110/1962:
art.79;
s.n.165/1963: art.81; s.n.171/1963: art.79;
(s.n.1/1966: art.81, u.c.);
(s.n.52/1968: art.79, riferimento storico e solo indiretto all’Assemblea costituente); (s.n.57/1968:
art.76);
s.n.175/1971: art.79;
(s.n.220/1974: art.76, riferimento ai lavori preparatori della legge delega);
s.n.16/1978: art.75 (dagli atti dell’Assemblea costituente si desume l’esigenza di un quesito
formulato in termini semplici e chiari);
s.n.27/1981: art.75 (referendum: esigenza di semplicità, chiarezza, non contraddittorietà è nella
logica dell’istituto; in Assemblea costituente non dibattito sul punto;
s.n.131/1986: art.79;
(s.n.369/1988: art.79, il condono edilizio non è amnistia);
s.n.41/1992: art.76 (l. delega per il c.p.p.); s.n.261/1992: art.76 (l. delega per il c.p.p.);
s.n.47/1991: art.75 (ammissibilità del referendum su leggi elettorali: respinta la tesi per cui dagli
atti dell’Assemblea costituente tali leggi risulterebbero sottratte al referendum);
(s.n.13/1996: art.76, riferimento ai lavori preparatori della legge delega per giustificare il d. lgs.);
s.n.175/1996: art.76 (riferimento ai lavori preparatori della legge delega per giustificare il d. lgs.);
s.n.456/1998: artt.76 e77;
s.n.51/2000: art.75 (“leggi tributarie”);
s.n.193/2002: artt.76 e 77;
s.n.194/2005: art.76 (legge delega);
53
TITOLO II: IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (ARTT.83-91)
s.n.134/1976: art.87 (grazia: recepito dai costituenti l’istituto della precedente prassi interpretativa);
s.n.200/2006: art.87 (grazia);
TITOLO III: IL GOVERNO
SEZIONE I: IL CONSIGLIO DEI MINISTRI (ARTT.92-96)
s.n.7/1996: art.94 (+ artt.92 e 95) (l’Assemblea costituente non ha preso esplicita posizione sulla
sfiducia individuale; nella interpretazione della Costituzione occorre privilegiare l’argomento
logico-sistematico);
s.n.134/2002: l.c. n.1/1989 (e art.96) (problema della sovrapposizione nel “Tribunale dei ministri”
delle funzioni di gup e gip; erroneità del presupposto interpretativo);
SEZIONE II: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (ARTT.97-98)
s.n.14/1962: art.97;
s.n.333/1993: art.97 (imparzialità) (+artt.51 e 98);
(s.n.104/2007: art.97, sullo spoil system, richiamo alla sentenza n.333/1993);
SEZIONE III: GLI ORGANI AUSILIARI (ARTT.99-100)
(s.n.139/2001: art.100);
TITOLO IV: LA MAGISTRATURA
SEZIONE I: ORDINAMENTO GIURISDIZIONALE (ARTT.101-110)
(s.n.4/1956: art.108);
s.n.29/1958: art.103, u.c. (giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace);
s.n.22/1959: art.104 (indipendenza e autonomia della magistratura); s.n.48/1959: art.103
(giurisdizione militare);
(s.n.76/1961: art.102);
(s.n.96/1962: art.102, 2°co. e VI disp. trans., sulle giurisdizioni speciali); (s.n.108/1962: artt.102 e
108);
s.n.2/1963: art.102 (arbitrati); s.n.168/1963: art.105 (CSM);
(o.n.84/1964: art.108 u.c.);
(s.n.33/1968: art.103, l’Assemblea costituente non ha inteso riservare alla Corte dei conti tutti i
giudizi in materia di contabilità pubblica);
(s.n.60/1969: artt.102 e 108, 2°co.);
(s.n.53/1970: art.108);
s.n.122/1971: art.109 (sottoposizione della polizia giudiziaria alla magistratura: esula dai compiti
del giudice costituzionale la verifica se il sistema concreto corrisponda in tutto all’intento del
costituente);
(s.n.142/1973: art.104, CSM, composizione mista e presidenza); (s.n.177/1973: artt.100, 102, 106,
108);
s.n.106/1977: art.103 (giursdizione militare);
(s.n.1/1978: artt.101. 104, 107, unitarietà della giurisdizione, ma in tale ambito trovano collocazione
gli ordinamenti delle magistrature corrispondenti ai motivi di tradizione storica accolti dal
costituente);
s.n.100/1981: artt.101, 104, 107, 108 (materia disciplinare relativa ai magistrati: trova piena
applicazione il principio di legalità, esigenza fondamentale dello Stato di diritto e conseguenza
necessaria dell’assetto dato alla magistratura dal costituente);
s.n.86/1982: art.107, 3°co. (non c’è gerarchia nella magistratura); s.n.87/1982: art.104, 4°co.
(CSM, composizione); s.n.135/1982: art.108;
(s.n.133/1985: art.107, 3°co., richiamata la sentenza n.86/1982);
54
s.n.4/1986: art.102, 2°co. (termine “sezioni”: riferimenti alle norme costituzionali sulla
giurisdizione);
s.n.212/1986: art.101 (principio implicito della pubblicità delle udienze, monito al legislatore sulle
commissioni tributarie); (s.n.284/1986: art.106, 2°co., composizione del consiglio nazionale
geometri);
s.n.287/1987: art.104, 1°co. (autonomia e indipendenza);
s.n.773/1988: art.103, 2°co. (giurisdizione della Corte dei conti);
s.n.78/1989: artt.3, 2°co. e 103, 3°co. + intero sistema costituzionale (evoluzione delle posizioni
ideologiche accolte dal costituente in tema di tribunale militare e di legislazione minorile);
s.n.429/1992: art.103, 3°co. (giurisdizione militare);
s.n.150/1993: art.106, 2°co. (figura del giudice onorario, conosciuta dal costituente);
s.n.204/2004: artt.102, 103, 113;
(s.n.191/2006: art.103, 1°co., richiamo alla s.n.204/2004);
SEZIONE II: NORME SULLA GIURISDIZIONE (ARTT.111-113)
s.n.87/1962: art.113;
s.n.161/1971: art.113;
(s.n.192/1976: artt.13, 24, 2°co., 111, 1°e 2°co, giurisdizione dei tribunali militari);
s.n.84/1979: art.112;
s.n.62/1981: art.111 (il sistema costituzionale non prevede la garanzia del doppio grado di
giurisdizione per la cognizione di merito, assenza di una disposizione analoga all’art.111, 2°co., per
il ricorso in Cassazione);
s.n.1/1983: art.111, 2°co. e VI disp. trans. (giurisdizione militare: non necessario il ricorso ai lavori
preparatori);
s.n.474/1993: art.112 (richiamo anche alla sentenza n.84/1979: obbligo per il p.m. di esercitare
l’azione penale non esclude che analogo potere possa essere conferito anche ad altri soggetti);
(s.n.397/1994: in Assemblea costituente respinta la proposta per cui le sentenze passate in giudicato
non avrebbero potuto essere annullate neppure con legge, salvo casi particolari);
s.n.280/1995: art.112 (non c’è collegamento tra obbligo di esercitare l’azione penale e potere di
impugnazione del p.m.);
s.n.270/1996: art.112;
(s.n.381/2001: art.111);
(o.n.91/2002: art.111, richiamo alla s.n.381/2001); (o.n.296/2002: art.111); s.n.453/2002: art.111,
5°co.;
TITOLO V: LE REGIONI, LE PROVINCE, I COMUNI (ARTT.114-133)
s.n.4/1956: art.11 Statuto T.A.A.; (s.n.14/1956: art.2 l.c. n.1/1948); (s.n.20/1956: art.56 Statuto
sardo); s.n.21/1956: art.119 e art.8 Statuto sardo;
(s.n.38/1957: Statuto siciliano); s.n.40/1957: art.11 Statuto T.A.A.;
(s.n.32/1960: art.84 Statuto T.A.A.); (s.n.40/1960: art.82 Statuto T.A.A.);
s.n.40/1961: art.43 Statuto Valle d’Aosta (conflitto di attribuzione: non aiuta la discussione in
Assemblea costituente; l’unico elemento sicuro per un’esatta interpretazione è dato dal “sistema
dello Statuto”); (s.n.46/1961: art.84 Statuto T.A.A.);
s.n.46/1962: Statuto T.A.A. (la stessa struttura regionale deve concorrere all’unità
dell’ordinamento); (s.n.71/1962: Statuto T.A.A.);
s.n.76/1963: Statuto Valle d’Aosta; (s.n.87/1963: Statuto T.A.A.); s.n.128/1963: Statuto T.A.A.;
s.n.53/1964: art.70 Statuto Friuli Venezia Giulia;
(s.n.15/1967: art.2 l.c. n.1/1948);
s.n.38/1969: artt.117 e 133, 2°co.; (s.n.52/1969: artt.5 e 128);
s.n.6/1970: artt.26 e 27 Statuto siciliano (incostituzionalità delle norme sull’Alta Corte per la
regione siciliana);
55
(s.n.115/1972: art.3 Statuto siciliano); s.n.138/1972: art.117 (fiere e mercati); s.n.142/1972: art.117
(l’agricoltura non comprende il credito agrario);
(s.n.81/1975: art.122, 4°co.);
s.n.101/1976: art.19 Statuto T.A.A;
s.n.39/1979: art.125, 1°co.;
s.n.173/1981: art.76 (l.n.382/1975); s.n.174/1981: art.76 (l. n.382/1975, delega diretta a
trasferire alle regioni le funzioni attinenti alla beneficenza e assistenza pubblica secondo una
ridefinizione della materia);
s.n.237/1983: Statuti delle regioni Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia (necessità di
coordinamento tra legge statale e legge regionale in materia di credito agevolato per l’industria);
s.n.69/1985: art.122, 4°co. (immunità dei consiglieri regionali); (s.n.139/1985: Statuto T.A.A.);
s.n.371/1985: art.27 Statuto sardo;
s.n.271/1986: 119, 1°co., + l. cornice n.594/1979 (lavori preparatori della Costituzione diffusi ma
incerti, non rivelano segni concludenti sul punto);
s.n.61/1987: art.119, 2°co.; s.n.70/1987: Statuto sardo; s.n.77/1987: art.117 (“polizia locale urbana e
rurale”); s.n.611/1987: art.84 Statuto T.A.A.;
s.n.158/1988: art.127, 3°co. (rinvio per riesame); s.n.270/1988: art.116; (s.n.1033/1988: leggi di
riforma economico-sociale);
s.n.79/1989: art.127 (non reiterabilità del potere di rinvio); s.n.242/1989: Statuto T.A.A. (istituzione
della provincia di Bolzano, riferimento anche a vicende storiche); (s.n.336/1989: in materia
previdenziale potestà di attuazione e integrazione delle regioni ad autonomia speciale);
(s.n.544/1989: art.53 Statuto sardo);
(s.n.154/1990: art.127, novità delle leggi regionali ex art.127, definizione che ha subito nella
giurisprudenza costituzionale un’evoluzione, per far fronte a pratiche abusive che hanno aggirato il
sistema dei controlli ex art.127 e svuotato del significato ad esso attribuito dal costituente);
s.n.260/1991: artt.117 e 118 (disciplina e governo delle acque non devolute alle regioni, tranne
tassative eccezioni);
s.n.150/1989: art.41 Statuto Valle d’Aosta; s.n.284/1993: art.5 Statuto Friuli Venezia Giulia;
s.n.415/1994: artt.128 e 130 (sistema dei controlli);
s.n.29/1995: artt.100, 125, 1°co. e 130 (insieme di controlli che non preclude l’introduzione di
forme di controllo diverse e ulteriori); (s.n.261/1995: art.61 Statuto T.A.A.); s.n.433/1995: art.133,
2°co.;
(s.n.127/1996: Statuto siciliano); (s.n.372/1996: Statuto siciliano);
s.n.21/1997: art.125; (s.n.287/1997: l.reg.sic. in materia elettorale: riferimento all’Assemblea
costituente per giustificarla; il parametro era però dato dagli artt.3, 51, 122);
(s.n.229/2001: Statuto Friuli Venezia Giulia come modificato dalla l.c. n.2/1993); (s.n.230/2001:
Statuto sardo come modificato dalla l.c. n.2/1993);
s.n.106/2002: artt.55 e 121 (no nomen Parlamento al Consiglio regionale); s.n.304/2002: art.123
“ponderato equilibrio delle scelte del legislatore costituzionale”); s.n.407/2002: art.117, 2°co., lett.
h) e s) (sicurezza pubblica e ambiente);
s.n.362/2003: art.117, 3°co. (edilizia va ricondotta al “governo del territorio”);
s.n.2/2004: art.122 (spec.5°co.) (autonomia statutaria, elezione diretta del Presidente della
Regione); s.n.9/2004: art.117, 2°co. lett. s) e 3°co., + art.118, 3°co. (beni culturali e ambientali);
s.n.13/2004: art.117, 2°co. lett. n), e 3°co. (materia istruzione; principio di continuità: d.lgs.
n.112/1998); s.n.14/2004: art.117, 2°co. lett. e) (tutela della concorrenza come materia trasversale);
s.n.423/2004: art.117 (ricerca scientifica come valore costituzionalmente protetto);
(s.n.34/2005: richiamo alla s.n.13/2004); (s.n.77/2005: richiamo alla s.n.14/2004); s.n.135/2005:
art.117, 2°co. (ambiente come valore); (s.n.242/2005: richiamo alla s.n.14/2004); s.n.279/2005:
art.10 l.c. n.3/2001; s.n.378/2005: art.117, 3°co. (“porti e aeeoporti civili”);
s.n.165/2007: artt.117 e 118; (s.n.195/2007: art.122, 4°co.);
56
TITOLO VI: GARANZIE COSTITUZIONALI
SEZIONE I: LA CORTE COSTITUZIONALE (ARTT.134-137)
s.n.111/1963: art.135, 1°co. (composizione della Corte costituzionale, collegio elettorale della Corte
dei conti);
(s.n.20/1966: sindacabilità delle leggi di esecuzione dei trattati internazionali); (s.n.127/1966:
art.136, effetti delle sentenze di accoglimento: tema non approfondito in Assemblea costituente, ma
comunque chiaro, nonostante la lettera dell’art.136 facesse pensare all’abrogazione, che il carattere
generale e erga omnes non si conciliava con l’abrogazione);
s.n.154/1985: art.134 (insindacabilità dei regolamenti parlamentari);
SEZIONE II: REVISIONE DELLA COSTITUZIONE. LEGGI COSTITUZIONALI (ARTT.138139)
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
s.n.30/1959: VIII disp. trans.;
(s.n.94/1965: IX disp. trans., autonomie locali) ;
(s.n.17/1965 : VI disp. trans.);
s.n.101/1967: XIV disp. trans. (da essa si deducono le residue funzioni dell’ufficio araldico e non,
viceversa, si interpreta tale disposizione in base alle competenze dell’ufficio araldico);
(s.n.254/1974: XII disp. trans.) ;
o.n.480/1989: XIII disp. trans. e art.139 (inammissibile la q.l.c. sull’impossibilità per i Savoia di
difendersi in giudizio).
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