Fonti sonore e musicologia: alcune riflessioni

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Grazia Carbonella
Fonti sonore e musicologia: alcune riflessioni
di Grazia Carbonella
Il campo di ricerca della musicologia, nell’accezione impiegata dall’American
Musicological Society nella sua dichiarazione d’intenti del 1934, nella quale s’impegnava “per il progresso della ricerca nei vari campi della musica intesa quale branca
del sapere e dell’erudizione”, ha poco più di un secolo ed è un fenomeno prevalentemente del Novecento.1 In questo arco di tempo si è abbandonata l’idea della musica
come sottoinsieme della filosofia e della storia dell’arte per considerarla disciplina
autonoma con una propria identità professionale, con standard e requisiti di preparazione specifici. Tant’è che dal bilancio effettuato dalla Società Italiana di
Musicologia sulle discipline musicologiche, tracciato in chiusura del secolo appena
trascorso, Enrico Fubini precisa che la “musicologia è complessa e multiforme perché tale è il suo oggetto, visto sia orizzontalmente nella sua estensione geografica,
sia verticalmente nella sua estensione storica” e che per questo “non si può parlare
di musicologia al singolare”.2 Nel corso del Novecento infatti c’è stato un progressivo passaggio dalla netta prevalenza della musicologia storica, come approccio
dominante alla ricerca, ad una progressiva affermazione di nuove discipline - quali
la sociologia della musica, la semiologia della musica, la psicologia della musica,
l’etnomusicologia, per citarne solo alcune - che hanno arricchito l’odierno panorama di studi con l’applicazione di metodologie distinte.3 Questi mutamenti hanno
trovato riscontro nell’allargarsi degli orizzonti musicali, con l’avvento
dell’atonalità, della dodecafonia e del serialismo in Occidente, e nel progressivo
indebolimento dell’eurocentrismo, con il dilagare di studi sistematici su patrimoni musicali di altri popoli e di altre civiltà. Non da ultimo si deve aggiungere lo
sviluppo di nuove tecnologie di produzione e riproduzione del suono che da una
1
Cfr. Margaret BENT, Il mestiere del musicologo, in Enciclopedia della musica, diretta da Jean-Jeacques
Nattiez, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, 3 voll.: vol. II, p. 575.
2
Cfr. Enrico FUBINI, Introduzione, in «Rivista Italiana di Musicologica», vol. XXXV, 2000, 1-2, Le discipline musicologiche: prospettive di fine secolo, p. 4.
3
Risale al 1885 la pionieristica divisione tra musicologia storica e quella sistematica operata da Guido Adler
durante la sua docenza a Vienna. Nel 1955 il Dräger aggiunge alla suddivisione in tre “classi” degli ambiti di
ricerca - Storia della musica, Musicologia sistematica, Etnomusicologia - due altri campi di indagine: la Sociologia
della musica e la Musicologia applicata. Cfr E. FUBINI, Introduzione…, p. 579; Alberto BASSO, Musicologia, in
Dizionario della musica e dei musicisti. Il lessico, Torino, UTET, 1985, 3 voll.: vol. III, pp. 281-304.
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parte hanno indotto gli studiosi a riflettere a livello filosofico e analitico sul significato della tecnica, dall’altra hanno costretto ad analizzare sempre meglio il fenomeno dei mezzi audiovisivi di diffusione e riproduzione della musica. La storia della musica, soprattutto quella del XX secolo, infatti, è per lo più storia della
musica riprodotta.
È chiaro che analizzare l’incidenza delle tecnologie sulla musica significa
per lo studioso condurre un’indagine in più direzioni. In primis perché l’avvento del fonografo ha consentito di ripetere, di riascoltare un’esecuzione musicale
svincolandola dall’evento, privandola del gesto e dell’elemento visivo; in secondo luogo l’ha resa merce, le ha dato, ancor più che con la stampa, un valore
commerciale. Sull’altro fronte, l’impiego delle tecnologie per la riproduzione e
la conservazione della musica ha avuto, negli anni, una valenza didattica e documentaria enorme, sancendo la nascita del jazz e dei primi studi
etnomusicologici. Non da ultimo la possibilità di registrare e riprodurre dei
suoni ha influenzato largamente anche il processo creativo, garantendo ai compositori una libertà nuova.
Questi sono solo alcuni aspetti che verranno di seguito illustrati e che rappresentato il nuovo e articolato panorama in cui si muove la ricerca musicologica
quando fa oggetto della sua indagine le fonti musicali sonore nel quadro storico del
Novecento.4
****
Abbiamo già accennato come i campi di interesse dell’attuale ricerca musicologica si siano allargati affiancando alla tradizionale indagine storica una serie di
nuovi ambiti disciplinari. Così il musicologo oggi è portato a consultare fonti diverse a seconda del lavoro che si prefigge: oltre a manoscritti, trattati teorici, libretti, pubblicistica periodica, epistolari, si avvale anche di strumenti di consultazione
quali bibliografie e repertori, ma anche OPAC di biblioteche, banche dati bibliografiche, archivi testuali on-line.5
La tecnologia ha non solo cambiato l’approccio alla ricerca, ma ha trasformato anche la musica: svincolata dalla concezione idealistica ed elitaria di arte, è
diventata oggetto.6
4
Il primo bilancio italiano del rapporto tra storiografia e studi sulla musica riprodotta è stato realizzato da
Roberto GIULIANI, Le fonti sonore e audiovisive e la storiografia contemporanea, in «Rivista Italiana di
Musicologica»…, cit., pp. 539-584.
5
Per l’ indagine musicologica cfr. Gianmario MERIZZI, La ricerca bibliografica nell’indagine storicomusicologica, Bologna, Clueb, 1996; Antonia Alberta IANNE, Le risorse Internet per la musicologia: strategie
di ricerca e criteri di valutazione, in «Fonti Musicali Italiane», 2001, 6, pp. 119-143.
6
Per il rapporto tra musica e mezzi di comunicazione di massa e musica e tecnologia, cfr. Simon FRITH,
L’industrializzazione della musica e il problema dei valori, in Enciclopedia della musica, Torino, Einaudi,
2002, 3 voll.: vol. I, Il Novecento, pp. 953-965; Jean MOLINO, Tecnologia, globalizzazione, tribalizzazione, in
ibid, pp. 767-782; e ovviamente Walter BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica:
arte e società di massa, Torino, Einaudi, 2000.
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L’archiviazione su supporto fonografico e la riproduzione meccanica, digitale, elettronica, infatti, trasformano profondamente l’esperienza materiale della musica che ora può essere ascoltata ovunque, superando barriere spazio-temporali,
diventando merce, proprietà.
La riproduzione sonora ci ha ormai abituati a una percezione esclusivamente
uditiva della musica, in cui ambiente e gesto vengono annullati, slegando così l’evento
esecutivo dal contesto ambientale originale.7 Che la musica sia fatta per essere ascoltata, in realtà, non è un’idea così ovvia come potrebbe sembrare: lo è per noi, ma
non lo era nel primo Cinquecento, ad esempio, quando l’esecuzione di un madrigale polifonico era principalmente un’occasione per una pratica domestica di lettura e
di canto in comune. Del resto, l’ascolto concentrato è diventato la ragion d’essere
della musica lentamente, fra il XVII e il XIX secolo, con un lungo processo che ha
trovato la sua conclusione nell’avvento del concerto pubblico. E proprio nell’Ottocento è emersa la figura dell’ascoltatore, il nuovo “committente” per il quale da
quel momento si comincerà a scrivere e a interpretare la musica. Con il concerto
pubblico, e poi con i recitals, la musica crea i suoi rituali: non più canti nuziali,
requiem, processioni, occasioni con le quali in Occidente fino al XVIII secolo aveva mantenuto un rapporto strettissimo, ma una rigida etichetta fatta di applausi,
bis, abiti eleganti: “era come una cerimonia religiosa, dove la religione celebrata era
la musica stessa”.8 Il concerto ottocentesco era quindi un evento mondano, un rituale, e, in quanto tale, aveva una propria architettura del tempo che si innestava nel
fluire dell’ordine temporale più grande, quello che si dispiega in un ciclico susseguirsi di giorni, mesi, anni. Ebbene, quest’equilibrio è stato rotto dall’avvento del
fonografo: con la registrazione la musica è diventata per l’appunto oggetto, fruibile
in qualunque momento della giornata e in qualunque luogo. Con la registrazione la
musica perde di “sacralità” perché facilitando il rituale privato lo banalizza.9 Tutto
questo però ha portato anche ad una libertà nuova, lì dove la musica diventava un
simbolo, quasi una bandiera ideologica tanto da suscitare ostilità nei regimi totalitari: nel 1928, ad esempio, nell’Unione Sovietica il jazz americano, suonato o importato, era punibile con sei mesi di carcere e una multa di cento rubli.10
L’ascolto è diventata quindi la pratica musicale dominante del XX secolo: questa nuova condizione induce l’ascoltatore ad una maggiore concentrazione sull’ope-
7
“Per definire questa nuova situazione d’ascolto Schaffer ha rimesso in voga il termine “acusmatico”,
indicante la modalità usata da Pitagora per rivolgersi ai suoi discepoli attraverso la cortina. Anche per un
pubblico colto e musicale la pratica di ricezione più consueta è l’ascolto “acusmatico” tramite altoparlanti”.
Cfr. François DELALANDE, Il paradigma elettroacustico, in Enciclopedia …, cit., vol. I, Il Novecento, pp. 380403 e 386. Riguardo all’incidenza del disco e della radio sulla storia della ricezione, in un discorso limitato alla
voce, cfr. Rossana DALMONTE, Voci, in Enciclopedia…., cit., pp. 283-305: 284-288.
8
Cfr. Evan EISENBERG, L’angelo con il fonografo. Musica, dischi e cultura da Aristotele a Zappa, Torino,
Instar Libri, 1997, p. 39.
9
In realtà già Glenn Gould riteneva che la musica registrata non va intesa come riproduzione del concerto,
ma come un’arte indipendente, distinta dalla musica dal vivo quanto il cinema lo è dal teatro. Cfr. ibid., p. 145.
10
Cfr. ibid, p. 43.
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ra d’arte musicale grazie anche alla possibilità di ripetizione ad anfinitum del brano,
sia nel suo insieme che per sezioni, e alla possibilità di comparare interpretazioni
diverse di una stessa opera.11 Così scrive Roberto Giuliani a questo proposito: “Ascoltare e riascoltare: il documento sonoro, e poi audiovisivo, concede il tempo per capire, oltre che per studiare, per dar conto delle diverse interpretazioni, per comprendere come è cambiata la nostra percezione nel corso della storia. La possibilità di riproduzione, come anche per il cinema, e per le arti in genere, offre più tempo per riflettere, per sentire e vedere più cose, e cose diverse”.12 Il musicista oggi non può prescindere, per lo studio di una composizione, dall’ascolto critico e comparato di altre interpretazioni: avremo così l’analisi dell’interpretazione e l’analisi per l’interpretazione. D’altro canto l’ascoltatore medio, generalmente privo di un autonoma capacità di
lettura musicale, trova nelle registrazioni sonore l’unica chiave di accesso alle composizioni musicali. In questa prospettiva la registrazione fornisce all’ascoltatore un’immagine sonora delle composizioni,13 frutto della politica editoriale delle case
discografiche, un’ immagine spesso faziosa, o quantomeno parziale, perché selettiva
rispetto all’intera produzione. Poche sono infatti le operazioni editoriali di alto profilo sollecitate da critici e da musicologi condotte su corpus omogenei di composizioni: le scelte editoriali delle case discografiche, mosse troppo spesso da fattori esclusivamente commerciali, raramente si conciliano con progetti di educazione del pubblico.14
Influenzando l’apprendimento, la registrazione condiziona anche la composizione, operando su un duplice livello. Da un lato, giocando “un ruolo simile a
quello del libro, nel senso di memoria culturale che preserva e diffonde le invenzioni umane”,15 veicola una larga circolazione di idee, esponendo i compositori a molteplici influssi musicali. Dall’altro, la tecnologia applicata al processo creativo rappresenta una momento di “rottura”, paragonabile solamente alla scrittura. Quando, nel 1948, Pierre Schaeffer compose i primi Études de bruits era la prima volta
che la musica veniva composta direttamente sul supporto.16 In questo modo il mu11
Cfr. Carlo MARINELLI, Prolegomeni ad una nuova disciplina scientifica: Discografia e Videografia musicale, <http: //carlomarinelli.it/Prolegomeni.rtf>, 5 marzo 2006.
12
Cfr. R. GIULIANI, Le fonti sonore e audiovisive…, cit. p. 584.
13
La musica, come il teatro e la danza, ha bisogno di un mediatore perché sia comunicata, tradotta. L’intervento dell’interprete fornisce sempre una chiave di lettura soggettiva e personale.
14
“L’esistenza di una categoria di operatori culturali che producono per le masse, usando in realtà le masse
per fini di profitto anziché offrire loro delle reali occasioni di esperienza critica, è un fatto assodato: e l’operazione culturale va giudicata per le intenzioni che manifesta e per il modo in cui struttura i suoi messaggi”. Cfr.
Umberto ECO, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1965, p. 20.
15
Cfr. Marc BATTIER, La scienza e la tecnologia come fonti d’informazione, in Enciclopedia …, cit., vol. I, pp.
360-379, in particolare p. 361.
16
L’attenzione del compositore al timbro e alla sonorità matura lentamente nel corso dei secoli: è solo
nell’Ottocento che si sviluppa il concetto di orchestrazione ed è a partire dall’inizio del Novecento che il
timbro e la sonorità fanno parte integrante del progetto compositivo. Questa ricerca della sonorità induce il
compositore a specificare sempre più i dettagli esecutivi e a lasciare una margine sempre più ristretto all’interprete, finché l’impiego delle tecnologie lo aiuteranno a realizzare il sogno di fissare il suono. Risulta chiaro,
quindi, che la musica dei suoni nasce da esigenze musicali prima che da circostanze tecnologiche. Cfr. François
DELALANDE, Il paradigma elettroacustico, in Enciclopedia … , cit., vol. I, p. 387.
Sono esaurienti a questo proposito le parole di Ferruccio Busoni: “Ogni notazione è già trascrizione di
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sicista, infatti, portando alle estreme conseguenze le tecniche di montaggio, aveva
utilizzato frammenti sonori estrapolati dal loro contesto originario, organizzandoli secondo una precisa estetica compositiva. È possibile comprendere a pieno la
portata di questa rivoluzione solo se pensiamo all’analoga situazione creatasi con
l’avvento della scrittura come tecnica di composizione. Per circa sette secoli la scrittura non era destinata a scrivere la musica, ma solo a trascriverla: prima del XII
secolo la musica sembra essere essenzialmente orale e trascritta solamente a posteriori. Nel Trecento, invece, troviamo brani la cui composizione sarebbe inimmaginabile senza l’ausilio della scrittura (pensiamo alle retrogradazioni del rondeau di
Machault, Ma fin est mon commencement, o alle composizioni isoritmiche). Così,
come la registrazione, anche la notazione è stata in un primo tempo il mezzo per
fissare la musica, per diventare, solo in un secondo momento, il supporto dell’invenzione.
Lo studioso che si appresta ad indagare un documento musicale sonoro deve
chiaramente avere piena consapevolezza di tutta questa situazione: se cioè, si tratta
di una registrazione come impronta di un’esecuzione tradizionale, oppure di un
atto creativo vero e proprio. L’approccio alla ricerca sarà, inoltre, ulteriormente
diverso rispetto al documento musicale notato, se si pensa che la notazione, e rispettivamente la tecnologia della realizzazione meccanica, designa non solo un mezzo
di creazione, ma l’intera organizzazione sociale relativa a quella specifica produzione musicale. Avremo così da un lato per i documenti notati copisti, poi stampatori,
editori, rete commerciale, interpreti, biblioteche, ecc..., dall’altro per le registrazioni nessun interprete, nessuna traccia scritta, una maggiore possibilità di dilettantismo nel processo compositivo (fenomeno, questo, sconosciuto nel campo della
musica colta dopo il periodo barocco). È chiaro che dall’analisi dell’una e dell’altra
modalità, registrazione e scrittura, lo studioso evincerà implicazioni sociali non
meno che estetiche molto diverse.17
Agli occhi dello studioso le fonti sonore hanno anche un intrinseco valore
documentario18 di non trascurabile portata. Esse custodiscono infatti informazioni
relative all’interpretazione vocale e orchestrale, alle prassi delle varianti e dei tagli.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che grazie alla registrazione l’improvvisazione
jazz cominciò ad essere documentata e a fare storia così come ha consentito lo
un’idea astratta. Nel momento in cui la penna se ne impadronisce, il pensiero perde la sua forma originale” e
ancora “in base alle mie personali concezioni, avrei bisogno di un mezzo di espressione completamente nuovo, una macchina del suono (non riproduttrice di soni)[…]. Solo così quello che compongo, qualunque sia il
suo messaggio, arriverebbe all’ascoltatore senza essere deformato dall’ “interpretazione”. […] Basterebbe
premere un bottone e si avrebbe una musica quale il compositore l’ha scritta, come quando si apre un libro”.
Cfr. EISENBERG, op. cit., p. 182 e 184.
17
Cfr. F. DELALANDE, Il paradigma elettroacustico, in Enciclopedia … , cit., vol. I, in particolare pp. 383-391.
18
Stravinskij è stato tra i compositori il primo a intraprendere la registrazione completa dei suoi lavori.
Attribuiva a questi dischi, realizzati dalla Columbia, valore di “guida documentaria”, utile a chiunque volesse
eseguire la sua musica. Cfr. EISENBERG, op. cit., p. 179.
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studio e la conoscenza di repertori popolari ed extraeuropei, sancendo la nascita
dell’etnomusicologia.19 D’altro canto gli stessi musicologi negli ultimi anni hanno
lavorato alle edizioni critiche con una nuova attenzione ai risultati sonori e questo,
congiuntamente alla maggiore preparazione storico-stilistica dei musicisti, ha portato ad una maggiore consapevolezza nelle scelte operate a livello esecutivo. Diversamente da un testo, che sia una partitura musicale o un trattato, la registrazione
non lascia spazio all’immaginazione, ma fornisce la versione esatta dell’interpretazione di quell’esecutore o di quel compositore. E proprio grazie a questo suo aspetto si fa portatrice di informazioni di prima mano relative alla prassi. Sono un esempio le registrazioni della voce di Alessandro Moreschi. Ultimo evirato della storia,
cantore e poi direttore del coro della Cappella Sistina, Alessandro Moreschi ci ha
lasciato una testimonianza unica: la sua voce incisa sul disco consegnata alla storia.
E noi, figli del XX secolo, grazie alla registrazione possiamo fare una salto nel tempo e ascoltare quale era presumibilmente la vocalità che ha incantato per più di un
secolo nobili e regnanti di tutta Europa.20 Quindi, le registrazioni consentono allo
studioso e al musicista di rendersi conto realmente del suono di un certo interprete,
di come un certo compositore dirigeva le proprie musiche, informazioni che non
sempre sono in linea con i gusti musicali correnti.21
In realtà l’odierna indagine musicologica non ha ancora maturato gli strumenti necessari per uno studio condotto con rigore scientifico sui più antichi documenti sonori, non ha ancora sviluppato un metodo di analisi specifico da applicare, semmai, in modo complementare alle fonti cartacee, su cui lo studioso è più
abituato a lavorare. I più antichi documenti sonori avrebbero bisogno, ad esempio,
di un approccio filologico per accertane la veridicità, così come accade per i documenti testuali. Non sempre, infatti, le informazioni riportate sulle copertine dei
dischi sono esatte: spesso gli interpreti – cantanti, strumentisti o gli stessi direttori –
non sono quelli citati.22
19
In realtà oggetto di studio della etnomusicologia non è solo la musica della tradizione popolare o dei paesi
extraeuropei, ma anche il rapporto che la modernità intrattiene con i mezzi di comunicazione di massa e le
nuove tecnologie della comunicazione. A riguardo cfr. Ramón PELINSKI, Etnomusicologia nell’epoca
postmoderna, in Enciclopedia …, cit., vol. II, Il sapere musicale, pp. 694-717.
20
Lo stesso Farinelli aveva piena consapevolezza della caducità della propria arte. Così diceva nell’estate
del 1770 a Charles Burney, parlando di Padre Martini: “Ciò che egli fa resterà; ma il poco che ho fatto io, è già
dimenticato”. Cfr. Charles BURNEY, The present state of music, London, Printed for T. Becket 1773, traduzione di Corrado RICCI, in Burney, Casanova e Farinelli in Bologna, Milano, 1891, p. 20 (cit. contenuta in Luigi
VERDI, Il Farinelli a Bologna. Dai primi successi alla fama internazionale del più celebre cantante italiano del
Settecento, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», 2003, 2, pp. 197-237: 213). Dall’ampia letteratura sugli evirati
cantori cfr. almeno Giorgio APOLLONIA, Il fenomeno della voce castrata, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», 1998, gennaio-febbraio, pp. 164-177; John ROSSELLI, Il cantante d’opera, Bologna, il Mulino, 1993, in
particolare pp. 45-78. Tutte le incisioni di Moreschi sono contenute in Alessandro Moreschi. Le registrazioni
originali, in Le grandi voci italiane, Fonit-Cetra, vol. 9, CDO 519 (1997).
21
Nonostante la filosofia delle “esecuzioni storiche” guidi gli interpreti nel ricreare la prassi esecutiva di
epoche trascorse, non sempre trova reale applicazione praticamente. Spesso, infatti, le esecuzioni originali
sono musicalmente troppo distanti dal gusto odierno. Cfr. Marcello SORCE KELLER, Cosa ci dicono sulla musica le più antiche registrazioni fonografiche, in «Musica/Realtà», XXVI (2005), 76 (marzo), pp.160-170.
22
Ibid, p. 167.
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Da questa breve panoramica risulta che la ricerca musicologica condotta sulle fonti musicali sonore deve tenere conto di una varietà di aspetti a seconda che si
analizzi la registrazione nel suo valore documentario, come testimonianza di una
prassi o di un genere – come nel caso del jazz e delle tradizioni popolari – piuttosto
che nelle sue implicazioni sociali, estetiche, ideologiche, economiche. Ciascuno di
questi aspetti implica un metodo e un approccio di analisi diverso, si tratta di “aspetti
diversi ma che si integrano, che si devono integrare per ricostruire, per illuminare,
per spiegare quell’oggetto altrettanto prismatico e multiforme che è la musica”.23
23
FUBINI, op. cit., p. 4.
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