Anteprima - Parallelo45 Edizioni

I.
IL THRONFOLGER RODOLFO E
L’AVVICINAMENTO ALLA FRANCIA:
IL ROVESCIAMENTO DELLE ALLEANZE.
1889, Austria-Ungheria. Il nuovo anno nella Duplice Monarchia si stava aprendo ad un’innovativa fase politica e a
un’epoca di grandi speranze: Vienna poteva allinearsi al liberalismo e al sistema parlamentare di Londra e Parigi; la Duplice monarchia si era lasciata trascinare verso le nuove democrazie occidentali grazie a un periodo di benessere.7
Il futuro dell’impero degli Asburgo, nato sei secoli prima, acquisiva nuove forme, rispettando nell’immaginazione
dei suoi abitanti la tradizione romantica e quella imperiale.
Al vertice dello Stato, la coppia formata da Francesco Giuseppe e “Sissi”, aveva tutelato la continuità dinastica con un
erede maschio. All’inizio del 1889, Rodolfo d’Asburgo era un
uomo di trent’anni, sposato con la figlia del re del Belgio; unico figlio maschio dell’imperatore che avrebbe potuto garantire un futuro ancora migliore alla monarchia, ormai lontana
dai rumori di guerra che avevano caratterizzato la prima parte
del regno del padre. Solo una Cassandra, naturalmente, non
avrebbe escluso che ciò che successe inaspettatamente dopo,
conferisse a quel breve periodo - tra il 1867 e il 1889 - il fascino
dell’immobilità; quella quiete nella quale qualcosa lentamente
matura oppure s’acquatta in agguato. E, in effetti, la morte improvvisa dell’erede al trono fu un cambiamento simile al balzo
di una fiera che azzanna e fa sprofondare in una lunga agonia
la sua vittima prescelta.
1889, in quell’anno ricorreva il primo centenario della Rivoluzione francese. Un anniversario sventurato per gli Asburgo. L’anno della Grande Rivoluzione che ricordava il principio
della fine dei rapporti d’amicizia con la Francia e la successiva morte violenta della figlia dell’imperatrice Maria Teresa, la
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giovane Maria Antonietta, sacrificata alla fredda ragion di Stato e ghigliottinata nel tripudio del popolo parigino, austrofobo
par excellence.
30 gennaio 1889, «Poiché non ho potuto resistere all’amore
vado con lui». Così scrisse, nella sua ultima lettera alla madre,
la giovane baronessa Maria Vetsera prima di morire, diciassettenne, accanto al principe ereditario. Rodolfo, pochi giorni
prima, le aveva fatto dono di un anello con incise nella parte
interna le lettere I. L. V. B. I. D. T. Volevano dire: «In Liebe
vereint bis in den Tod» («Uniti nell’amore fino alla morte»).
E così fu: due spari all’alba sigillarono, nella piccola tenuta da
caccia di Mayerling circondata dalla neve fresca, una passione
impossibile.
Sul solco del “Romantic Drama” indugiarono le interpretazioni su Mayerling. Un evento che era apparso a molti, adoperando una parola alfieriana, sommamente «tragediabile».
Nel 1910, prima di concedersi alla politica, sulla morte degli
amanti si cimentò anche il giovane scrittore pieno di speranze
Benito Mussolini, ipotizzando che Maria Vetsera aveva evirato
Rodolfo, il quale l’avrebbe uccisa prima di suicidarsi. Il futuro
Duce, popolare in politica, fu invece un pessimo romanziere,
tuttavia, aveva intuito nel “giallo” di Mayerling numerose soluzioni possibili e l’irresistibile fascino del mistero: materiale
da feuilleton, sceneggiatura adattabile per il cinema, in una
romantica miscela di amour fou, ribellione e suicidio. Ancora
ai giorni nostri, il fatto di Mayerling è così celebre che addirittura è stato utilizzato per solleticare la curiosità del pubblico;
ad esempio, nel 1983, Flavio Caroli, storico e critico d’arte, si
arrischiò nella narrativa con un breve romanzo: Mayerling
amore mio! (Bompiani). In quest’opera, ovviamente, non vi
è nulla che possa interessare lo storico, benché si tratti di una
vicenda ben descritta.
La tesi dell’omicidio-suicidio fu avvalorata dagli storici e
resa popolare da film di successo come Tragödie im Hause
Habsburg (1924) di Alexander Korda o Mayerling (1968) di
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Terence Young, con Omar Sharif nel ruolo di Rodolfo e Catherine Deneuve in quello di Maria Vetsera.8
La nebbia di Mayerling, tuttora assai spessa, avvolge di arcana laidezza e angoscia la fine della giovane coppia d’amanti. I misteri irrisolti sono molti, a partire dal bossolo unico:
a Mayerling ne fu trovato uno solo. Rodolfo uccise Maria e poi
si tolse la vita. Anzi, lei morì dissanguata e lui decise di farla
finita. La tesi di un omicio-suicidio premeditato è quella che
gode più consenso: si sono ritrovate le lettere dei due amanti
che fanno supporre una folle ma lucida decisione di morire. I
tempi, dell’esecuzione, tuttavia, non sono chiari: Rodolfo uccise Maria e poi attese tutta la notte prima di spararsi?
Il letterato e critico Giuseppe Antonio Borgese scrisse nel
1925 una delle opere più complete sulla tragedia di Mayerling,
ristampata anche in tempi recenti.9
Pochi conoscono, invece, l’altro suo contributo a Mayerling, l’opera teatrale L’Arciduca. Dramma in tre atti.10
Ad ogni modo il saggio di Borgese è un punto di partenza
per studiare la vicenda di Rodolfo, avendo soprattutto il merito di liberare la figura dell’arciduca dalle leggende e dalle deformazioni di tanta letteratura scandalistica, tanto che Josef
Redlich, suo contemporaneo e professore alla Harvard University, scrisse sul volume: «das bisher zweifellos beste Buch
über die Tragödie des Kronprinzen».11
Borgese, nel 1925, notò che sulla morte di Rodolfo «era bastata la volontà di Francesco Giuseppe, congiunta ai pudori
sentimentali e agli interessi pratici di pochi altri, perché della
tragedia di Mayerling quasi nulla fosse certo se non la mera
constatazione che fra il 29 e il 30 gennaio del 1889 un principe
e una signorina sua amante erano morti di morte violenta».12
Secondo Borgese: «In questa atmosfera l’ignota realtà poté
subire deformazioni d’ogni genere: da quelle di maniera turpe
e brutale a cui la sottoposero i romanzieri di portineria e gli
infimi reporters, a quelle, idealizzatici, di una vaga e inafferrabile opinione secondo la quale Rodolfo finiva per apparire un
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infelice martire di libertà e di giustizia, un nuovo Don Carlos,
e Maria una vittima pura, quasi somigliante alla Giulietta di
Shakespeare». Quest’ultima inafferrabile e vaga opinione fu, a
giudizio di Borgese, sostanzialmente la più vicina al vero. Egli
aggiunse che «la guerra e i suoi risultati accrebbero le risonanze del fatto. Sembrava lecito vedere nella fine di Rodolfo un
prodromo del crollo. Le idee impetuose e immature del secolo
XIX, le aspirazioni a una società ideale e perfetta, giungevano
con lui a una disgraziata insurrezione, che faceva presentire
l’inanità delle tentate rinnovazioni, la necessità della catastrofe. Gli Asburgo, abbandonando alla morte, sull’ultimo tratto
della loro strada, il figlio ribelle, riuscivano a preservare se
stessi e la loro legge; ma per poco; e la nemesi li raggiungeva a
Vittorio Veneto e a Madera».
Borgese non citò in questo passo Carlo, in qualche modo
vittima prescelta dell’atroce ordalia iniziata a Mayerling nel
1889, continuata a Sarajevo nel 1914 e terminata a Madera
nel 1922. Non è citato ma i riferimenti alla vittoria italiana
sull’Austria-Ungheria e all’isola dell’Atlantico, sono in maniera inequivocabile dedicati all’ultimo imperatore.
Nell’interpretazione di Borgese, la morte di Rodolfo è
quindi il segno premonitore della dissoluzione dell’impero
degli Asburgo. Resta tuttavia un mistero la causa della scomparsa del Thronfolger, poiché fu proprio il padre di Rodolfo,
l’imperatore, a scrivere dei telegrammi agli altri capi di Stato europei per accreditare la menzogna dell’accesso cardiaco
(Herzschlag o coup de sang). Non a caso le prime notizie diffuse dalla stampa internazionale riportano il bollettino ufficiale della morte di Rodolfo: «la mort a été cause probablement
par une apoplexie du coeur».13
Una straordinaria campagna di disinformazione partì dalla corte di Vienna. Perché? In Austria, si mantenne nei primi
mesi l’assoluto silenzio sui fatti di Mayerling. Ad esempio, non
si disse che in compagnia di Rodolfo vi fosse anche l’amante,
Maria Vetsera. La notizia di un secondo cadavere trapelò dopo
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alcuni giorni.14
Esiste però un altro enigma da svelare nella vita del principe. Secondo alcuni, come Karl Werkmann, segretario politico
dell’imperatore Carlo, Rodolfo si sarebbe cacciato in un’avventura ungherese senza via d’uscita.15 Già la contessa Larisch
raccontava della congiura magiara di Rodolfo e dell’arciduca
Giovanni. Persino la moglie dell’erede al trono, Stefania, ne
accennò nelle sue memorie. Koloman Tisza von Borosjenö,
pare che avesse offerto a Rodolfo la corona d’Ungheria già nel
1883, un atto allora assolutamente legale ed a conoscenza del
padre, ma nel gennaio di quello stesso anno, Rodolfo scrisse
all’amico Moritz Szeps, direttore del Neues Wiener Tagblatt,
che «della sua incoronazione in Ungheria ormai non se ne
parla più».
Ancora oggi, in casa del conte Teleki, si afferma che Rodolfo sia stato coinvolto nel complotto. Tuttavia, non depone
a suo favore il fatto che dopo la morte dello stesso Rodolfo,
l’imperatore avesse concesso udienza privata al conte, in cui
pare gli avesse detto che la cospirazione non sarebbe avvenuta
se fosse stato là (giacché egli era in Africa). Sempre è affiorata
la voce dell’alto tradimento, lo studioso Andics, ad esempio,
è convinto della versione della congiura ungherese, secondo
la quale Rodolfo avrebbe progettato il colpo di Stato: destituzione dell’imperatore; autoincoronazione a re d’Ungheria;
cessione della corona d’Austria a Giovanni Salvatore. Certo,
Rodolfo era filoungherese, esistono, infatti, diverse immagini
che mostrano il principe ereditario nell’uniforme della Honved, la milizia territoriale ungherese, come un celebre scatto
del 1888. Contrariamente, un ritratto del genere non esiste
del successivo erede al trono, Francesco Ferdinando. Tuttavia, tutti questi indizi non sono sufficienti a spiegare la morte
di Rodolfo a Mayerling.
Interessante, invece, è studiare quali furono le reazioni alla
morte di Rodolfo. Esse svelano come il principe asburgico era
in realtà amato dal popolo e considerato come un promettente
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politico dalla stampa internazionale, soprattutto quella francese.
L’Illustration dedicava alla morte di Rodolfo ampio spazio
durante tutto il mese di febbraio. Il primo articolo, «au moment où nous mettons sous presse» del 2 febbraio 1889, terminava con parole di sincera simpatia nei confronti del principe scomparso:
Le prince éclairé que l’on pleure était un ami de la France, un ami sincère, et que pas un peuple sur terre n’a autant
de raisons que nous de déplorer cette mort et d’envoyer aux
Austro-Hongrois un cordial salut de deuil !16
La notizia della morte di Rodolfo fece il giro delle corti
europee, suscitando anche la curiosità del pubblico popolare. Tutte le riviste illustrate dedicavano le prime pagine a un
grande ritratto dell’arciduca Rodolfo. In Italia, L’Illustrazione
popolare, del 10 febbraio 1889, dedicava un lungo articolo: La
morte dell’arciduca Rodolfo principe ereditario d’AustriaUngheria.
Una luttuosa e inattesa notizia giungeva l’ultimo gennaio
da Vienna. L’arciduca Rodolfo, principe imperiale d’AustriaUngheria, alle ore 7.30 della mattina del 30 gennaio fu trovato morto nel suo letto, a Meyerling [sic] (vicino a Baden e
poco lungi da Vienna), dove il principe ereditario erasi recato una sera prima a partecipare a una partita di caccia. Egli
aveva una grande ferita alla testa, ferita prodotta da arma da
fuoco, che aveva prodotta la morte immediata. Presso il letto
fu trovato un revolver scaricato. Da qualche tempo, il principe era in preda a irritazione nervosa, cui andava soggetto.
Si tratta adunque d’un suicidio compiuto in un momento di
alienazione mentale? L’ultima notte l’arciduca vegliò sino alle
tre, ascoltando insieme al principe Coburgo e al conte Hoyos
le canzoncine viennesi cantate dal cocchiere dell’equipaggio
che avea seco condotto a Mayerling. […]
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Il seppellimento si fece mercoledì ultimo scorso nel sepolcreto dei Cappuccini. Da tutte le parti d’Europa, da Corti,
da Parlamenti, da sodalizii, giunsero alla reggia di Vienna
espressioni di rammarico. I Francesi si addolorano dicendo
che Rodolfo era un fervido amico della Francia. I giornali di
Bismarck affermano che il principe sarebbe stato fedele alleato della Germania come lo è Francesco Giuseppe; gl’Inglesi
rimpiangono d’aver perduto un loro ammiratore. I Russi approfittano del fatto luttuoso per invitare Francesco Giuseppe
ad avvicinarsi alla Russia che, nel 1849, salvò il trono degli
Asburgo, ed esprimono simpatia per lui.17
Lo stesso giornale, nel numero successivo del 17 febbraio 1889, ritorna su «una tragedia che agli occhi dei popoli è
tuttora avvolta nel mistero». L’immagine di Rodolfo compare commentata alla maniera di Lombroso, poiché si avverte
«qualche segno di degenerazione fisica».18
Il marchese Alessandro Guiccioli (1843-1922), politico e
diplomatico italiano, uomo della Destra storica, profondamente conservatore e critico del sistema parlamentare, fu tra
i primi italiani a commentare la morte di Rodolfo. L’arciduca
non godeva certo delle sue simpatie politiche. Discendente da
un’antica famiglia romagnola, cui appartenne la celebre Teresa, sposata al conte Gamba e amica di Byron, Alessandro
Guiccioli nacque a Venezia il 5 marzo 1843 dal ravennate marchese Ignazio e dalla romana Faustina dei marchesi Capranica. Il marchese si laureò in giurisprudenza nell’Università di
Bologna, intraprendendo poi la carriera diplomatica. Fu sindaco di Roma, prefetto di città come Firenze e Torino. Concluse la carriera con incarichi diplomatici importanti a Belgrado
e Tokio, grazie al ritorno di un amico al ministero degli Esteri,
Tommaso Tittoni.
Il suo diario è assai interessante anche se esageratamente
di parte.19
Sulla morte di Rodolfo il marchese annotò il 30 gennaio
1889:
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Un’inattesa tragica notizia: la morte dell’Arciduca Rodolfo d’Asburgo. Aveva trent’anni. Quantunque fosse un giovane serio, dotato d’ingegno, dubito che egli avesse potuto fare
la fortuna del suo Impero. L’Austria è una di quelle vecchie
macchine che non bisogna toccare troppo perché seguitino a
camminare.20
Il 1° febbraio, Guiccioli commentò una serata trascorsa alla
corte della regina Margherita a Roma:
Si fa un gran parlare della morte dell’Arciduca Rodolfo,
che ha turbato tutti. Pare si tratti di un suicidio. La Regina
propende a credere che l’Arciduca sia stato, invece, assassinato.21
Un anno dopo, il 22 gennaio 1890, raccontò una versione
assai interessante della tragedia:
Olga mi riferisce che Ademaro ha saputo dalla cognata
Arciduchessa Isabella qualche particolare sul mistero di Mayerling. Nella camera oltre la Vetzera e l’Arciduca Rodolfo,
giaceva anche un uomo gravemente ferito; e l’Arciduca non
solo aveva una palla attraverso il capo, ma il cranio fracassato, e per di più era stato mutilato. Vi era stata dunque una
lotta accanita. Peraltro le lettere trovate provano l’intenzione suicida dei due amanti. Chi era il terzo ferito? Forse quel
guardiacaccia di cui su parlò? Perché era entrato? Perché
inferocì sull’Arciduca? Fu veramente proibito a chi scoperse
la tragedia di parlare? Certo è che un cordone di gendarmi
circondò il castello, ove rimasero chiusi il ferito e un chirurgo; alcuni giorni dopo, quest’ultimo ne usciva, e insieme con
lui una bara. La fonte di queste notizie è sicura, perché l’arciduca Federico, marito dell’arciduchessa Isabella, era intimo
dell’Arciduca Rodolfo.22
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Il marchese Guiccioli aveva sposato la contessa Olga Benckendorf, di grande famiglia baltica, che lo mise a stretto contatto con la Germania guglielmina. L’arciduchessa Isabella
d’Austria nata principessa di Croy-Dülmen, era sorella della
principessa Clementina che aveva sposato Ademaro conte
d’Oultremont. La marchesa Olga Guiccioli, nata Benckendorff, era imparentata con i Croy-Dülmen.
L’arciduca Federico, molto vicino all’erede al trono, Franz
Ferdinand (al quale avrebbe voluto far sposare una delle figlie) e all’imperatore Carlo durante la Grande Guerra - era un
amico molto intimo di Rodolfo, con il quale si esaltava in ogni
occasione di ilare scandalo. L’arciduca Federico, ad esempio,
andò a trovare Rodolfo nell’inverno del 1883 a Praga, quando
l’erede al trono era novello sposo. I contemporanei ce lo ricordano come un ottimo bevitore di champagne e maniaco di fuochi artificiali. In effetti, dopo una serata allegra con Rodolfo,
e siccome non aveva polvere, l’arciduca Federico mescolò «in
un vaso da notte» tutti i profumi e le essenze che riuscì a trovare nelle camere di Rodolfo e di sua moglie, e appiccò fuoco
alla miscela, tenendo il vaso fuori della finestra. La fiamma fu
bella, ma infine esplose orrendamente proprio davanti alla finestra dell’imperatrice Augusta di Germania che era ospite al
primo piano. Fu dato l’allarme; ma nessuno riuscì mai a spiegare che cosa fosse stato quell’incendio o quella meteora nel
Hradschin di Praga.23
Sulla credibilità della versione dei fatti proposta dall’arciduca Federico, dubita Martino d’Austria-Este, nipote dell’imperatore Carlo. L’arciduca menziona un avvertimento dell’Imperatrice Zita: «il bon vivant Federico era un test da prendere
con precauzione, poiché egli era solito frequentare l’atmosfera
mummificata del Jockey Club viennese, raccontando delle storielle inventate sulla famiglia, diffondendo i clichè più negativi
sui vari membri della Casa imperiale, compreso l’imperatore
Carlo».
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1. Mayerling. 30 gennaio 1889. Omicidio e suicidio o assassinio politico? La verità dell’Imperatrice
Zita.
Nonostante le molte notizie e informazioni attorno alla figura di Rodolfo, il mistero della morte resta tuttora irrisolto.
Borgese suggerisce che «i documenti sulla tragedia di Mayerling furono portati via da Carlo e Zita quando andarono in esilio».24 Non è esatto. Tuttavia, fu proprio l’ultima imperatrice
d’Austria a riaprire il caso Mayerling. Nel 1983, una sua testimonianza gettò un’inquietante luce sulla tragedia romantica del principe ereditario. Zita rimise tutto in discussione e gli
storici si scatenarono su quel famoso Affaire ottocentesco. In
un’intervista (Neue Kronen Zeitung, 11.3. - 15.3. 1983: Zita:
Mayerling war Mord!) sostenne che gli assassini di Mayerling erano stranieri.
Rodolfo, secondo la versione della moglie dell’imperatore
Carlo, era stato messo al corrente di un complotto che mirava
a spodestare l’imperatore Francesco Giuseppe e sciogliere l’alleanza tra Vienna e Berlino. I cospiratori intendevano porre
il principe sul trono dell’impero. Rodolfo però rifiutò di partecipare alla congiura, minacciando anche di denunciare gli
ideatori del colpo di Stato. Questa posizione equivalse alla sua
condanna a morte, mascherata dalla messinscena del suicidio
per amore. La tesi di Zita fu suffragata anche da Erich Feigl,
che individuò in Georges Clemenceau il responsabile della tragedia di Mayerling.
Gli storici si rioccuparono di quel famoso Affaire, non tanto
per risolverlo, ma per attaccare l’anziana imperatrice, ritornata alla ribalta dopo decenni di silenzio.
Lo storico austriaco Wandruszka ridicolizzò la tesi di Zita.
Una biografa attenta delle vicende di Rodolfo, l’austriaca Brigitte Hamann, smentì l’ interpretazione data dall’ imperatrice
che addirittura fu considerata una bugiarda. Dalle rivelazioni
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di Zita scaturirono molti autorevoli interventi, ciononostante non si fecero particolari indagini, anzi, a parte le sapidissime dispute del momento, che sembrarono finalmente aprire
un’inchiesta scientifica sulle cause della morte del principe
Rodolfo, la ricerca storica non avanzò per almeno due decenni.
François Fejtö, vent’anni dopo il putiferio di polemiche,
notò sconsolato: «In modo curioso e inspiegabile, gli storici –
ungheresi, austriaci, tedeschi - mantengono una notevole discrezione, se non addirittura un totale silenzio, su un episodio
significativo e carico di gravi conseguenze per la storia d’Europa e del mondo: quello dei contatti segreti stabiliti verso la
fine degli anni ottanta del XIX secolo dal giovane Clemenceau
con Rodolfo, il Delfino ribelle dell’impero austroungarico».25
In realtà molti studiosi si sono arrovellati sul dilemma di
Mayerling ma resta una domanda: come si può affermare la
tesi dell’omicidio politico?26
Mancano le prove, ovviamente. E la storia si fa con i documenti, non con delle semplici o raffinate o complesse supposizioni. I primi biografi di Rodolfo, difatti, non accennarono a
questa possibilità. Sul solco dell’omicidio politico, solo negli
ultimi vent’anni sono usciti importanti studi su Mayerling. Il
lavoro dello storico è quello di trovare le fonti, di scrivere, ma
soprattutto di fare una critica delle testimonianze del passato. Quest’ultima operazione «è un’arte razionale fondata sulla pratica metodica di alcune grandi operazioni intellettuali»,
come la definisce Marc Bloch. Una delle tante domande che
devo pormi ogni qualvolta scrivo di storia è: devo giudicare o
devo comprendere? Spesso lo storico si identifica nella figura
del giudice del passato (ma anche il pubblico che lo legge commette questo sbaglio: aspettando dei giudizi anziché la narrazione dei fatti e la loro analisi). La storia è una vasta esperienza
delle varietà umane, un lungo incontro degli uomini. La storia
non è testimonianza inerte di cose morte, bensì memoria co41
sciente. Come la vita, nella comprensione e nell’incontro tra
uomini, la storia progredisce nello scambio fraterno. Analizziamo quindi la complessa figura del principe Rodolfo, senza
giudicarlo, cercando - semplicemente - di comprenderlo.
Il mistero di Mayerling ci appare ancora più affascinante
da svelare poiché accadde all’apogeo dell’impero di Francesco
Giuseppe. Ci sembra talmente curiosa la tragedia di Mayerling
(che di fatto accelerò i problemi della Duplice monarchia al
suo interno e anche nelle relazioni internazionali), che soffermarci ad analizzare la complessa figura di Rodolfo e le circostanze che portarono alla sua morte ci pare d’estremo interesse storico.
Mayerling fu il “venerdì nero” della dinastia degli Asburgo. Quel giorno forse rappresentò già l’inizio della fine. Senza
Mayerling e Sarajevo, niente tramonto dell’Impero? Da allora
quel luogo è considerato un punto fisso nella visione della storia austriaca.27
Il conte Ladislaus Szögyény-Marich, caposezione al ministero degli Esteri e confidente intimo di Rodolfo, subito dopo
la tragedia comunicò al principe russo Grigorij Cantacuzino,
consigliere d’ambasciata a Vienna, che a suo parere la monarchia non avrebbe potuto essere colpita da una disgrazia
maggiore. Le conseguenze sarebbero state, specialmente in
Ungheria, più profonde e pericolose di quanto si potesse pensare, perché gli ungheresi erano legati al principe ereditario
con tutta l’anima.28
Altri, invece, hanno pensato che il fatto di Mayerling non
sia una cesura della storia dell’impero.29
Ad ogni modo la morte di Rodolfo segnò una svolta singolare nella vita personale di Francesco Giuseppe, come notò il
conte Alexander Hübner.30
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