Palladio e il Rinascimento vicentino, 2008

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ANDREA PALLADIO E IL RINASCIMENTO VICENTINO
Giuseppe Peronato, Liceo Ginnasio Statale “A. Pigafetta” - Vicenza
«Palladio nacque a Padova nel 1508, nel luogo e nel momento più opportuni. La sua
formazione avvenne in uno dei momenti più intensamente creativi della storia dell'architettura, e non al centro degli avvenimenti, dove egli avrebbe corso il rischio di diventare un
altro dei tanti maestri della scuola romana o fiorentina, bensì nell'unica regione periferica
in cui stesse sorgendo un'età dell'oro: la Repubblica Veneta.» (J.S. ACKERMAN, Palladio, tr.
it. di G. SCATTONE, Einaudi, Torino 2000)
Patria adottiva del Palladio è Vicenza. La città berica è infatti il centro 'geografico'
della sua opera, come si può vedere dalla disposizione delle ville palladiane nel territorio
della Serenissima. Il Cinquecento è il secolo d'oro di Vicenza, sia economicamente che
culturalmente. Il successo di Palladio, che attraversa le epoche e i continenti, è imprescindibile quindi dalla considerazione del luogo in cui ha iniziato l'attività di architetto e ha lasciato molte delle sue opere.
Vicenza fu inglobata nel territorio della Serenissima nel 1404. Da quel momento lo
sviluppo della città fu incessante. Risparmiata, salvo alcune eccezioni, dalle guerre, nel XV
secolo l'economia della città si sviluppò notevolmente, grazie all'utilizzo delle terre rese
disponibili da disboscamenti e bonifiche. La lavorazione conciaria e dei metalli preziosi,
inoltre, caratterizzava fin da allora la produzione artigianale vicentina. Il vero punto di forza
dell'economia vicentina era però l'arte della lana, che richiamava persone in città, contribuendo in massima parte alla crescita economica. Neppure la guerra di Cambrai tra Venezia e l'Impero e la peste all'inizio del XVI secolo fermarono lo sviluppo della città. La tendenza all'isolamento del patriziato veneziano, nei confronti delle vicende europee, non era
presente nella nobiltà vicentina, che invece conservò sempre simpatie filoimperiali. Il secolo d'oro di Vicenza vide infatti la visita in città dell'imperatore Carlo V (1532) e un mancato
Concilio ecumenico, che alla fine, come ben noto, si tenne a Trento.
La sviluppo delle arti a Vicenza è dovuto alla volontà di rinnovamento della città della
nobiltà vicentina. Questa, pur con molte divisioni interne, non perdeva occasione per lanciare gesti di sfida a Venezia; nel finanziamento di artisti e scienziati, nonché nell'abbellimento della città stessa, vi si deve leggere quindi una rivendicazione di autonomia nei
confronti della Serenissima. Nel suo piccolo anche Vicenza stava vivendo una renovatio
urbis, come quella della Roma di Giulio II e Leone X. La cultura in cui si formò Palladio dipende quindi dalle peculiarità della nobiltà vicentina.
L'arte a Vicenza è sempre stata strettamente legata alla tecnica. Interesse per la cultura classica e per le scienze sperimentali e la matematica si fondono nella figura principe
di questo periodo: l'intellettuale architetto. Andrea Palladio, il tajapiere che diventerà uno
degli architetti più importanti della storia e uno dei più grandi disegnatori di architettura di
tutti i tempi, è figlio di questo ambiente e la sua opera ne riflette le caratteristiche.
Nella formazione del giovane Palladio è stata determinante la personalità di Giangiorgio Trissino. Il Trissino nacque nel 1478 a Vicenza da una famiglia nobile, studiò greco
a Milano sotto la guida di Demetrio Calcondila e filosofia a Ferrara sotto Niccolò Leoniceno. Intellettuale di riferimento della cultura vicentina del Cinquecento, dopo essersi schierato con l'Impero durante la guerra di Cambrai, fu riammesso a Vicenza nel 1516 per interessamento diretto di papa Leone X e di altri suoi potenti protettori romani.
Trissino era un celebre umanista e contribuì alla riscoperta del teatro classico: la sua
opera Sofonisba fu la prima tragedia dell'età moderna. Fondò un'accademia a Villa Cricoli
che contribuì a mantenere e a formare numerosi giovani intellettuali dotati di genio, ma
privi di mezzi. Tra questi vi furono Giambattista Maganza, il patavino Magagnò e naturalmente Andrea Palladio. Quest'ultimo fu scoperto da Trissino durante i lavori a villa Cricoli.
L'umanista, che si dilettava di architettura, notò il giovane scalpellino, all'epoca a bottega
dai Pedemuro, e lo ospitò nella sua accademia, curandone l'educazione. Lo chiamò Palladio, appellativo classico che richiama la sapienza di Pallade Atena da un personaggio
del suo poema L'Italia liberata dai Goti, ma la formazione a cui lo indirizzò non fu quella di
un umanista, bensì di un technítes, un abile specialista del suo campo, l'architettura.
Istruito in latino quanto basta per capire i passi tecnici di Cesare e Vitruvio, egli, come scrive Ackerman (Palladio, op. cit.), fu «un umanista a metà», quanto di più lontano
dall'ideale di uomo rinascimentale, colto in ogni campo. Palladio, infatti, non aveva certo la
cultura di Michelangelo, non era pittore, non era poeta, eppure, nella storia dell'architettura, la sua influenza è stata sicuramente maggiore di quella del creatore della cupola di S.
Pietro.
Nel 1538 Trissino lasciò Vicenza per trascorrere tre anni a Padova; Palladio lo seguì
e, durante il soggiorno padovano, ebbe modo di conoscere un altro grande mecenate del
tempo, Alvise Cornaro, che contribuì alla sua formazione di architetto sui generis. Il Cornaro, infatti, aveva pubblicato un trattato di architettura in cui propugnava uno stile sobrio e
pratico, in aperta polemica con Vitruvio e i
teorici umanisti.
Alla formazione di Palladio, che già si
stava affermando come architetto, contribuì
inoltre Sebastiano Serlio, che giunse a Vicenza nel 1539 come consulente per la
Basilica. Non si sa se Palladio lo abbia incontrato di persona ma fu sicuramente influenzato dai libri del Serlio, ricchi di illustrazioni (come del resto i Quattro Libri di
Palladio) e di note pratiche, distanti da ogni
intellettualismo. La lezione del Serlio fu importantissima per Palladio. L'adozione della
serliana, elemento architettonico romano
da lui riscoperto, è sicuramente un elemento caratteristico della poetica palladiana
(vedi la Basilica).
Altro elemento importante della sua Lʼutilizzo della serliana nella Basilica
formazione fu la teorizzazione intorno all'edificio teatrale, iniziata in questo periodo per opera di Baldassarre Peruzzi e dello stesso
Serlio, sulla base dellʼopera di Vitruvio. In particolare, la ricerca della prospettiva nelle
quinte teatrali porterà alla realizzazione delle rivoluzionarie scene lignee del Teatro Olimpico, ad opera del discepolo di Palladio Vincenzo Scamozzi. Queste scenografie avevano
alcuni precedenti in artisti particolarmente attenti alle novità apportate dalla scenotecnica
teatrale, come Raffaello e Giulio Romano nell'Incendio di Borgo (1514) delle Stanze Vaticane o Tiziano nell'Ecce Homo (1545).
L'Europa della seconda metà del '500 vide la nascita di numerose accademie. Anche
Vicenza, dopo quella del Trissino, vide fiorire questo fenomeno, ma con caratteristiche
proprie. L'Accademia Olimpica fu fondata nel 1555 da un gruppo di ventuno cittadini, tra
cui umanisti e matematici, alcuni esponenti della nobiltà illuminata e un unico artista, Andrea Palladio. Caso raro per le accademie, l'Accademia Olimpica, seppure non propriamente democratica, non aveva preclusioni di rango. Essa aveva come scopo la promozione delle arti e delle scienze, con particolare interesse per la matematica. L'anno seguente
la nobiltà più facoltosa fondò l'Accademia dei Costanti, questa volta riservata alla sola aristocrazia, che si prefiggeva, oltre a finalità culturali, di tener viva la tradizione cavalleresca.
I Costanti, però, durarono solo nove anni, mentre l'Accademia Olimpica sopravvive ancora
oggi. Nelle altre città nobili e artisti avevano accademie separate, mentre nella piccola città
di Vicenza questo non avvenne. Letterati e scienziati, artisti e nobili committenti si ritrovavano, fatto eccezionale, nella stessa istituzione culturale. Questo non poté che giovare alla
carriera di Andrea Palladio, che ritrovava negli accademici olimpici i committenti di ville e
palazzi.
Il Palladio, infatti, senza nulla togliere all'opera di architetti quali Sammicheli e Sansovino, fu l'inventore della villa di campagna del Rinascimento, che avrà tanta fortuna in
seguito e verrà copiata in tutto il mondo.
Armonia, modularità e praticità furono il segreto di questi edifici che costituiscono il
cardine della produzione palladiana. Le ville erano destinate all'aristocrazia veneta che, a
partire dal ʻ500, cominciò a lasciare la città per le campagne. Le guerre dei primi decenni
del secolo, infatti, avevano messo a dura prova Venezia.
Con le scoperte geografiche del XVI secolo, inoltre, la Serenissima perdeva di fatto il
monopolio dei commerci con l'Oriente, mentre l'oro che affluiva dalle conquiste americane
di Spagna e Portogallo portava al fallimento di due delle sue banche. Venezia da questo
momento iniziava il suo lento declino, inevitabile per una città-stato che doveva lottare
contro grandi potenze. I nobili veneziani cominciarono allora a trasferirsi nella terraferma.
Di fronte alla crisi dei commerci, la prospettiva offerta dall'agricoltura nella campagna veneta, tanto disdegnata in passato, iniziava ad apparire allettante. Furono così messe in
atto riforme agrarie ed opere di bonifica e disboscamento. La trasformazione agraria delle
campagne fu imponente e, per gestirla al meglio, le grandi famiglie veneziane si videro costrette a lasciare la città. Per questa generazione di aristocratici, servivano abitazioni di
campagna pratiche, adatte al controllo diretto della rendita fondiaria, ma al tempo stesso in
grado di esibire chiaramente il prestigio sociale del committente. La funzionalità andava
coniugata con l'eredità classica, garante della superiorità di rango e cultura tramite pronai, timpani e finestre termali.
In questo ambito si inserisce l'opera di Andrea Palladio. Come scrive Ackerman (Palladio, op. cit.) «se non fosse esistito, si sarebbe dovuto inventarlo. E in un certo senso egli
fu 'inventato': se agli inizi della rivoluzione agraria un gentiluomo quasi di campagna come
Trissino non lo avesse tratto dalla sua bottega di tagliapietre, Andrea Dalla Gondola non
sarebbe diventato Palladio, e tanto meno un architetto. I tempi crearono l'individuo; fortunatamente, quest'individuo era un genio.»
Per la nobiltà veneziana Palladio creò delle ville di campagna, molto diverse da quelle del centro Italia e dagli stessi palazzi nobiliari fortificati del Quattrocento veneto. Non
delle dimore per riposarsi fuori città, ma delle abitazioni pratiche e funzionali per gestire in
prima persona le redditizie attività agricole. Per
questo, anche se le ville non seguono un unico
schema, la maggior parte ha annessi agricoli (le
barchesse) destinati ai contadini. Palladio, perciò,
ideò (a volte costruendoci sopra) ville simili a quelle
del tardo impero romano, più vicine alle esigenze
della nobiltà veneta, discostandosi dalla lezione
classica di Vitruvio e Leon Battista Alberti.
Le ville per la nobiltà vicentina hanno caratteristiche simili. Fa eccezione la Villa Almerico Capra
Valmarana, la famosa Rotonda (1566). Costruita
sulle pendici dei Berici, a pochi chilometri dal centro
di Vicenza, la più celebre delle ville palladiane è
priva di edifici di servizio. Palladio nei Quattro Libri
chiarì che non si trattava di una vera villa a controllo
della rendita, ma piuttosto di un teatro, un belvedere La pianta della Rotonda
suburbano sulla città. Per questo la progettò sopraelevata su una collinetta e simmetrica
da ogni lato, in modo da offrire al proprietario non solo una vista a trecentosessanta gradi
sulla campagna, ma anche lʼimmagine quattro volte riflessa di quel rapporto paritetico fra
uomo e natura così peculiare della cultura veneta.
Nel fiorire delle arti e delle scienze nella Vicenza palladiana, anche la musica ricoprì
un ruolo importante. Fu questa, infatti, un'epoca di grande rinnovamento in campo musicale. Da una parte la musica sacra venne codificata e resterà immutata per secoli in base ai
dettami del Concilio tridentino; Giovanni Pierluigi da Palestrina sarà il modello a cui si ispireranno tutti i compositori di musica sacra successiva. Nell'ambito della musica profana,
invece, a partire dal 1500 molti umanisti iniziarono ad avanzare nuove teorie musicali, anche sulla base di quelle dell'antica Grecia. Tra i teorici di questo periodo troviamo Nicola
Vicentino che nel trattato L'antica musica ridotta alla moderna prattica propose l'imitazione
dell'antica musica greca, di cui si narravano gli effetti portentosi su uomini e natura. Il fiorentino Vincenzo Galilei proseguì sulla strada del Vicentino e sulla base dei primi reperti di
paleografia musicale (i tre Inni attribuiti al musicista greco Mesomede) propugnò un nuovo
modo di fare musica, che più tardi prenderà il nome di recitar cantando. Per gli umanisti,
infatti, era essenziale, per ricreare la tragedia antica, affiancare alla parola recitata anche
la musica, che secondo Aristotele è uno dei sei elementi costitutivi della tragedia. Le teorie
musicali di Vicentino e Galilei saranno quindi alla base delle prime opere in musica agli
inizi del XVII secolo.
E come non ricordare che anche per la storia della drammaturgia Vicenza è stato un
luogo fondamentale? Qui la tragedia greca ritornò alla sua originaria dimensione scenica,
dopo un intervallo di oltre un millennio: il 3 marzo 1585 al Teatro Olimpico di Vicenza venne rappresentato l'Edipo tiranno, versione italiana dell'Edipo re di Sofocle ad opera del
letterato veneziano Orsatto Giustiniani con musiche di scena di Andrea Gabrieli. Palladio
era morto da cinque anni, ma da accademico olimpico e da progettista del teatro era stato
in qualche modo coinvolto in prima persona in questa storica rappresentazione.
Ma la musica influenzò l'architettura palladiana anche dal punto di vista tecnico. Palladio, infatti, adottò nelle sue opere molti rapporti proporzionali, alcuni dei quali già noti in
passato. È il caso, ad esempio, della sezione aurea importata direttamente dall'antica
Grecia e usata ampiamente da tutti gli artisti rinascimentali, in tutte le arti, come ad esempio Brunelleschi (Sagrestia Vecchia, nella basilica di S. Lorenzo a Firenze), Piero Della
Francesca (Battesimo di Cristo, Flagellazione, Pala di Brera) e il compositore fiammingo
Guillaume Du Fay (Lamentatio Sanctae Matris Ecclesiae Constantinopolitanae).
Palladio, però, accanto alla sezione aurea, fece uso anche di altri tipi di proporzionalità che erano stati teorizzati per la prima volta dal filosofo Pitagora e dai discepoli della
sua scuola per essere applicati in campo musicale. Essi trovarono tre tipi di rapporti basati
su proporzioni continue:
$ ⁃$ la proporzione aritmetica c-b=b-a (es: 1, 2, 3);
$ ⁃$ la proporzione geometrica a/b=b/c (es: 1, 2, 4);
$ ⁃$ la proporzione armonica (b-a)/a=(c-b)/c (es: 2, 3, 6);
Le teorie pitagoriche ebbero influenza sia sull'evoluzione musicale (per molto tempo
furono considerati consonanti solo gli intervalli definiti matematicamente da Pitagora) sia
sull'architettura, prima da Vitruvio (De architectura) e poi, nel Rinascimento, da Leon Battista Alberti (De re aedificatoria).
Fu Palladio, però, ad attribuire importanza a questi rapporti proporzionali e ad applicarli costantemente in tutte le sue opere. A Vicenza, infatti, gli studi matematici e musicali
(vedi, ad esempio, il già citato trattato di Nicola Vicentino) erano molto sviluppati e, lontani
da una mera speculazione teorica, sempre condotti alla dimensione pratica. Le proporzioni
furono poi oggetto di un libro di un altro accademico olimpico, Silvio Belli, che nel 1573
pubblicò Della Proportione, et Proportionalità. Palladio stesso dedicò ampio spazio alle
proporzioni nei suoi Quattro Libri, in cui scrive: «La bellezza risulterà dalla bella forma, e
dalla corrispondenza del tutto alle parti, delle parti fra loro, e di quelle al tutto: conciosianche gli edificij habbiano da parere uno intiero, e ben definito corpo: nel quale lʼun membro
allʼaltro convenga, et tutte le membra siano necessarie a quello, che si vuol fare.»
Un esempio pratico dell'applicazione delle proporzioni lo si ha, ad esempio, a Palazzo Chiericati (1551) a Vicenza. La pianta, secondo Ackerman (Palladio, op. cit.), riceve
un'impronta unitaria dall'uso della proporzionalità. Le stanze sono legate tra loro da
rapporti numerici, in cui una delle dimensioni di ciascun locale è mantenuto in quello
successivo. La stanza più piccola misura 12
piedi per 18, quella adiacente 18 per 18,
mentre il salone, che ora misura 16 piedi
per 54, in origine doveva essere largo 18
piedi, cosicché tutte le dimensioni fossero
multipli di 6. Palladio, che anteponeva la
praticità alla astrazione matematica, preferì
ridurre la larghezza per evitare un'altezza La pianta di Palazzo Chiericati
eccessiva della volta. Le dimensioni adottate
seguono, quindi, il rapporto 2:3, 1:1, 3:5, 1:3, che corrispondono agli intervalli musicali di
quinta, sesta maggiore, unisono e due ottave, calcolati come segmenti sul monocordo pitagorico.
Anche nell'uso delle proporzionalità, Palladio si distinse dagli architetti tosco-romani.
Per l'architetto veneto, infatti, tali proporzionalità servivano a dare continuità a tutti gli elementi dell'edificio, mettendo in relazione l'esterno con l'interno, una stanza alla successiva.
Palladio, a differenza dell'Alberti, architetto molto più teorico, fu abilissimo a coordinare le
associazioni di elementi compositivi nelle tre dimensioni, dando ai suoi edifici una straordinaria armonia ed organicità.
Il Rinascimento palladiano, come si è visto, è stato profondamente diverso da quello
dell'Italia centrale. Più libero nei confronti dell'antichità classica, sviluppò caratteristiche
proprie, dovute alle peculiarità della società veneta, ed in particolare di quella vicentina.
Una differenziazione simile, tra Veneto e centro-Italia, avvenne anche in pittura, con lo sviluppo, a partire dal '500, della scuola veneta, i cui maggiori esponenti furono Giorgione,
Tiziano e Veronese (quest'ultimo anche collaboratore di Palladio e dei fratelli Daniele e
Marcantonio Barbaro nella Villa Barbaro di Maser). In loro troviamo lo stesso particolare
rapporto artista-committente e la stessa profonda e non intellettualmente mediata sensibilità verso la natura, che contraddistinguono l'arte veneta rispetto a quella tosco-romana.
La Vicenza del Cinquecento fu quindi il laboratorio ideale per lo sviluppo dell'architettura palladiana. Uno stile architettonico, un modus aedificandi inconfondibile che, proprio
per la sua semplificabilità e la possibilità di essere suddiviso in moduli compositivi duttili, è
riuscito ad attraversare i secoli e i continenti. E quello che oggi prende il nome di Palladianesimo fonda le sue radici proprio nel Rinascimento vicentino.
Rererenze bibliografiche
ACKERMAN J. S., Palladio, tr. it. di G. SCATTONE, Einaudi, Torino 2000
CARROZZO M. CIMAGALLI C., Storia della musica occidentale, vol. 1, Armando, Roma 2004
DE VECCHI P. CERCHIARI E., Arte nel tempo, vol. 2, Bompiani, Milano 1997
FRANZINA E., Vicenza: storia di una città, Neri Pozza, Vicenza 1980
MARIANI TRAVI E. MARIANI TRAVI L., Andrea Palladio nella cultura del '500 veneto, Cusla,
Pescara 1983
Referenze iconografiche
Le immagini sono tratte dai Quattro Libri di Andrea Palladio, edito da Ottavio Bertotti Scamozzi (1778). Sono pertanto da considerarsi di dominio pubblico.
Scritto in occasione del Concorso Borse di Studio “Andrea Palladio” 2008, promosso dallʼOpera Pia Cordellina.
Vicenza, marzo 2008.
Il testo di questʼopera è stato rilasciato sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 2.5 Italia. Per leggere una copia della licenza visita il sito web
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