A05 23 Collaboratori Silvia Del Vecchio, Marta Carboni, Riccardo Santoro e Angelo Merante. Finanziamenti Questo volume è stato realizzato con il contributo parziale del MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), PRIN 2003-2005. Ringraziamenti Gli autori ringraziano il Prof. Giovanni De Marco, Direttore del Dipartimento di Biologia dell’Università di “Roma Tre”, per i preziosi suggerimenti e la Dott.ssa Stefania Ercole per la lettura critica del testo. Iconografia Fotografie originali di Alicia T.R. Acosta, Carmela Francesca Izzi e Silvia Del Vecchio. Disegni originali di Alicia T.R. Acosta e Angelo Merante. Nota sull’iconografia Ai fini del Copyright, si informa che l’unico elemento non originale dell’iconografia è il disegno a p. 70, pubblicato da Raunkiaer, 1934 (modificato e adattato per le finalità di questa realizzazione), come peraltro indicato nella didascalia della figura stessa. Elaborazioni grafiche e impaginazione Angelo Merante. Le piante esotiche negli ambienti costieri del Lazio a cura di Alicia T.R. Acosta Carmela Francesca Izzi Copyright © MMVII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–1311–3 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre 2007 Indice Prefazione 7 Introduzione 9 1. L’ambiente dunale costiero 11 SCHEDA 1. Metodologia del censimento floristico 2. Le minacce che incidono sui sistemi dunali costieri nel Lazio 3. Le specie esotiche possono costituire un problema? SCHEDA 2. Classificazione delle specie esotiche 4. La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 4.1. 4.2. 4.3. 4.4. La spiaggia emersa: il Cakileto La duna embrionale: l’Elymeto Le dune mobili: l’Ammofileto L’interduna: il Crucianelleto, i pratelli e le depressioni interdunali 4.5. Il retroduna: la macchia mediterranea e i boschi retrodunali 5. Analisi delle specie esotiche negli ecosistemi costieri sabbiosi del Lazio SCHEDA 3. Forme biologiche 17 19 33 41 43 46 50 51 54 58 63 69 6. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 7. Considerazioni conclusive Glossario Bibliografia 5 71 95 97 103 Prefazione L’habitat dunale costiero, per la facile alterabilità dei suoi equilibri dinamici, è per sua natura da annoverare fra gli ecosistemi a più alta fragilità. Tale fragilità viene ulteriormente esaltata e gli equilibri spesso gravemente compromessi, talora in maniera irreversibile, sia per azione antropica diretta che indiretta. L’impatto antropico diretto sul sistema dunale è ben evidente quando è derivato da costruzioni, manufatti e infrastrutture per il turismo residenziale. Appare invece meno evidente ai non addetti ai lavori quando è causato dalla “ripulitura della spiaggia” per il turismo balneare. Questi interventi di ripulitura, con spianamenti del primo cordone dunale e la cancellazione delle prime associazioni vegetali pioniere, eliminano la prima linea di difesa per le fitocenosi che seguono. La vegetazione retrostante viene quindi a essere esposta all’azione erosiva dei venti, allo spray marino etc. con notevoli danni e conseguenti dinamiche degradative, poiché queste associazioni vegetali non presentano le stesse caratteristiche morfo-anatomiche e funzionali delle fitocenosi di “prima linea” eliminate. In tale stato di squilibrio, inoltre, nuove specie invadenti, tra cui molte esotiche, trovano facile e vincente competizione con le specie locali, conquistando ampia e talora massiccia diffusione. L’impatto antropico indiretto (nel senso che non si esplica direttamente sul sistema dunale costiero) è tra le cause di alterazione meno note all’opinione pubblica e talora non debitamente considerate anche dai tecnici che operano sul territorio e che invece sono ben note al mondo scientifico. Queste cause sono quasi sempre messe in atto a una certa distanza dal territorio in questione e in ecosistemi del tutto differenti. Infatti, la regimentazione dei fiumi con dighe per fini irrigui e idroelettrici e con arginature per evitare esondazioni indesiderate altera il naturale trasporto di materiale solido al mare che, con il meccanismo delle correnti marine costiere e il rimaneggiamento per 7 8 Prefazione opera del moto ondoso, apporta sempre nuovo materiale alle spiagge in sostituzione soprattutto di quello asportato dall’erosione eolica e dalle mareggiate. Ancor meno noto a molti è l’importante ruolo difensivo svolto dalle fitocenosi marine, quali le praterie sottomarine a Posidonia oceanica; l’alterazione di tali praterie, soprattutto in seguito a metodi di pesca a strascico, fortunatamente ormai vietati ma purtroppo ancora spesso disattesi, non permette più di rallentare le forti mareggiate con conseguente maggior erosione delle spiagge. Per difendere ecosistemi fragili come quello del sistema dunale è di grande importanza non solo accrescere la sperimentazione e gli studi scientifici ma anche incentivare la diffusione delle conoscenze finora acquisite. È da evidenziare proprio nel suo carattere divulgativo uno fra i tanti pregi di questo lavoro che, attraverso un linguaggio accessibile ma sempre condotto su basi rigorosamente scientifiche, è in grado di trasferire ai lettori un ragionato compendio di conoscenze naturalistiche e stimoli di sensibilità ambientale, cosicché quelli più interessati possano accedere in modo più agevole e proficuo alle pubblicazioni scientifiche che, per la loro specificità, risultano di più complessa e difficile fruizione. Prof. Giovanni De Marco Ordinario di Ecologia Vegetale Direttore del Dipartimento di Biologia Università degli Studi “Roma Tre” Introduzione Le dune costiere sono un ambiente di estremo interesse scientifico, perché ospitano specie viventi rare e illustrano in modo esemplare alcuni fenomeni di grande importanza per l’Ecologia. Nel loro complesso, gli ambienti costieri sono particolarmente vulnerabili, essendo soggetti a un equilibrio delicato poiché deve tener conto di una serie di fattori naturali e dell’azione esercitata dall’uomo. La crescente antropizzazione delle aree litoranee e i processi di erosione marina hanno innescato fenomeni di degrado quasi ubiquitari, aggravati dal loro andamento progressivo. La stretta zona di tensione tra i due mondi, terrestre e marino, non solo continua a perdere in molti siti la propria naturalità, ma subisce alterazioni sempre più estese e consistenti. I fenomeni di degrado e perdita del paesaggio dunale costiero interessano tutti i Paesi costieri dell’Unione Europea ma sono senza dubbio più intensi e diffusi nel bacino del Mediterraneo. L’Italia ne risente in modo consistente. Il nostro Paese, protendendosi nel Mediterraneo con la caratteristica forma a stivale, presenta infatti uno sviluppo costiero pari a 7500 km, 4500 dei quali costituiti da coste basse sabbiose-ghiaiose. Per di più, non poche di esse rivestono particolare valore paesaggistico-ambientale. Tuttavia, allo stato attuale, l’espressione più caratteristica della vegetazione dunale, la zonazione costiera psammofila, in cui le diverse fitocenosi si dispongono secondo una precisa successione topografica, o sequenza catenale, è osservabile soltanto in pochi siti del litorale dell’Italia peninsulare. Il forte disturbo antropico e l’erosione costiera hanno spesso determinato la modificazione morfologica delle dune, con la conseguente perdita della loro identità floristico-vegetazionale, o addirittura la scomparsa di alcune o tutte le comunità della sequenza catenale. La perdita di diversità floristica e fitocenotica degli ambienti dunali è stata il più delle volte drastica e ha riguardato sia le comunità pioniere 9 10 Introduzione delle prime fasce della zonazione, che quelle più ricche del retroduna. Inoltre, gli effetti dell’antropizzazione diretta delle spiagge e delle dune costiere hanno condotto non solo alla diminuzione ed estinzione locale di specie ma anche alla diffusione di elementi esotici, cioè di specie originarie di altre aree geografiche. Il problema relativo alle invasioni di specie esotiche costituisce una delle sfide più importanti in cui è impegnata l’Ecologia odierna. L’introduzione di specie esotiche in un ecosistema viene infatti a perturbare le relazioni tra gli organismi che lo popolano e altera la ripartizione delle risorse disponibili. Per di più, le nuove dinamiche che si vengono a stabilire a livello di interazioni biologiche fra le specie indigene contribuiscono in modo incisivo a comprometterne i delicati equilibri – spesso già perturbati da altri fenomeni, naturali o di origine antropica – con danni gravi o, peggio, permanenti. Nonostante gli ecosistemi costieri vengano annoverati fra quelli più severamente minacciati dall’invasione di specie esotiche, fino a oggi relativamente pochi studi hanno analizzato l’impatto delle specie aliene in questi ambienti. Pertanto, il monitoraggio della flora esotica, soprattutto negli ambienti costieri del Mediterraneo, è da considerarsi una delle azioni prioritarie per la tutela della biodiversità in tale fragile paesaggio naturale. Il presente lavoro espone alcuni risultati del progetto Specie esotiche e tipi funzionali di piante negli ambienti costieri mediterranei, condotto da un gruppo di ricerca operante nel Dipartimento di Biologia dell’Università di “Roma Tre”. Fra i diversi obiettivi del progetto, effettuato grazie a finanziamenti del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, PRIN 2003-2005), emerge quello di realizzare un primo contributo all’analisi della diversità di entità esotiche negli ambienti costieri tirrenici. 1. L’AMBIENTE DUNALE COSTIERO La costa, tratto d’unione fra terra e mare, costituisce un ambiente assai diversificato, in cui possiamo distinguere un’ampia varietà di ecosistemi. L’ambiente costiero, in generale, e quello dunale, nello specifico, rappresentano infatti sistemi articolati e complessi nei quali, in una stretta fascia di territorio, si ha il rapido passaggio dalla matrice marina a quella terrestre con il conseguente instaurarsi di forti gradienti ambientali in funzione della distanza dalla linea di costa. Per esempio, procedendo dal mare verso l’entroterra, si attenua l’intensità dell’aerosol marino, così come diminuiscono di norma gli effetti del vento e della salsedine, mentre la concentrazione di nutrienti e la compattazione del suolo presentano un andamento inverso. Si tratta di un ambiente di transizione e scambio per eccellenza, per di più altamente dinamico, alla cui morfologia contribuiscono moltissimi fattori. Il suo continuo rimodellamento è soggetto a meccanismi evolutivi a breve, medio e lungo termine e gli agenti che ne determinano le transizioni temporali sono di natura geologica e geomorfologica (peculiarità delle rocce da cui derivano i sedimenti delle spiagge, apporto fluviale e azione delle maree), climatica (venti, irraggiamento solare, moto ondoso) e anche biologica (attività degli organismi che popolano questi ambienti). I sistemi spiaggia-duna meglio sviluppati si formano in coincidenza dei tratti di costa bassa, confinanti verso l’interno con zone pianeggianti e caratterizzati, sul lato marino, dalla presenza di fondali poco profondi. Generalmente, gli ambienti dunali si sviluppano in presenza di spiagge sabbiose, in cui le particelle sedimentali più fini, caratterizzate da velocità di deposizione molto basse, vengono sottratte dal moto ondoso o da altri agenti di dilavamento. I sedimenti, di origine sia alluvionale che marina, sono continuamente sottoposti all’azione combinata di molteplici agenti fisici, chimici e biologici, fondamentali per la genesi e la strutturazione delle spiagge. La natura – dunque, l’origine – del substrato sedimentario che si viene così a formare risulta di primaria importanza nel determinare le caratteristiche morfologiche delle dune costiere e la vegetazione che vi si può insediare. 11 12 Capitolo 1 I sedimenti trasportati da fiumi e canali si accumulano in prossimità delle foci e contribuiscono, in misura rilevante, ai processi di formazione delle spiagge. La natura dei materiali sedimentari, strettamente correlata alla costituzione geologica dei territori attraversati dal corso d’acqua, influenza in modo consistente la composizione della sabbia. Le due immagini mostrano i depositi sabbiosi lungo le sponde del tratto terminale di un canale a sud di Montalto Marina (Vt). L’ambiente dunale costiero 13 In alto, l’azione combinata dell’apporto fluviale e del moto ondoso nell’accumulo e distribuzione di materiali sedimentari lungo l’arenile. Il fenomeno concorre alla strutturazione della spiaggia. Immagine ripresa durante una mareggiata a nord di Focene, nei pressi di Maccarese (Roma). In basso, il moto ondoso è, con il vento, fra i principali responsabili del dinamismo dei fenomeni che trasformano le spiagge, modulando il bilanciamento fra apporto e sottrazione di sabbia. 14 Capitolo 1 Le dune costiere sono essenzialmente forme di accumulo di materiale sabbioso, di aspetto più o meno definito, costituitesi principalmente in seguito all’azione eolica. Si possono distinguere varie tipologie di dune, in funzione del loro orientamento e della disposizione relativa rispetto alla direzione dei venti dominanti. Lungo le coste italiane, le dune sabbiose sono in prevalenza trasversali, disposte cioè ortogonalmente rispetto alla direzione del vento dominante e si presentano allungate a costituire cordoni dunali, paralleli alla linea di costa. La formazione di una duna inizia quando i sedimenti sabbiosi, in prevalenza trasportati dal vento, si arrestano temporaneamente contro ostacoli occasionali che, in condizioni naturali, possono essere costituiti da affioramenti rocciosi o dalla vegetazione. Quest’ultima, in particolare, riesce per mezzo delle radici a trattenere la sabbia in maniera molto efficace, agevolando il deposito di ulteriore sabbia. Si originano in tal modo una serie di modeste elevazioni che, gradualmente, si accrescono e si stabilizzano per l’effetto combinato dell’azione consolidante delle radici, che favorisce l’aggiungersi di altra sabbia, e dell’incremento della vegetazione, sostenuto dal continuo accumularsi di sabbia. Con il procedere dell’accrescimento più dune embrionali giungono a fondersi, originando per coalescenza strutture via via più importanti e significative. Le specie vegetali che crescono sulla duna, oltre a contribuire attivamente alla sua edificazione e maturazione, man mano che la duna stessa si accresce e si articola morfologicamente, si organizzano in differenti fitocenosi che si evolvono contemporaneamente alla duna stessa. Ciascuna comunità vegetale si dispone, in modo più o meno omogeneo, secondo fasce parallele alla linea di costa, seguendo l’andamento dei cordoni dunali. Le comunità si differenziano fra loro, invece, lungo il profilo topografico dunale, organizzandosi lungo i forti gradienti ambientali di cui si è detto in precedenza. Naturalmente, giocano un ruolo primario le diverse compatibilità fra i particolari adattamenti e specializzazioni propri delle specie di ciascuna fitocenosi e i parametri ambientali che si vengono a comporre lungo i gradienti. Si viene pertanto a costituire una particolare successione fitotopografica, o sequenza catenale, che segue la zonazione della duna. L’ambiente dunale costiero 15 Schema di una costa bassa sabbiosa in assenza di fattori di disturbo. Sono stati evidenziati, in alto, l’orientamento dei principali gradienti ambientali e, in basso, la tipica zonazione delle comunità vegetali che si dispongono lungo tali gradienti in ragione dei particolari adattamenti e specializzazioni propri delle specie di ciascuna fitocenosi. Si evince, inoltre, lo sviluppo delle dune e delle diverse comunità che le popolano in fasce parallele alla linea di costa. Tratto di costa sabbiosa presso Furbara (Vt). 16 Capitolo 1 I sistemi spiaggia-duna, il litorale presso Ardea (Roma) ne offre un valido esempio, si sviluppano soprattutto nei tratti di costa bassa confinanti, verso l’interno, con zone pianeggianti. Le dune sabbiose prevalenti sui nostri litorali sono trasversali e solitamente si presentano disposte in fasce parallele alla linea di costa. Spiaggia in località Murelle, presso Montalto Marina (Vt). 17 SCHEDA 1. Metodologia del censimento floristico Il censimento della flora vascolare degli ecosistemi sabbiosi costieri del Lazio è stato effettuato nel periodo 2003-2005 (ACOSTA et al., 2005), seguito da ulteriori rilevamenti tuttora in corso, attenendosi al protocollo della cartografia floristica europea (EHRENDORFER e HAMMAN, 1965) e considerando come unità di base superfici di circa 143 Kmq (13 km × 11 km), corrispondenti a ¼ di Foglio I.G.M. 1:50.000. Tale griglia è stata ulteriormente suddivisa in quadranti di minore estensione, pari a 116 del Foglio al 50.000 (circa 36 Kmq). Sono stati individuati complessivamente 56 quadranti che coprono l’intero sviluppo costiero del Lazio. In figura, se ne mostra la disposizione. Il campionamento floristico ha riguardato soltanto le coste sabbiose e, in particolare, le dune oloceniche. Per ogni quadrante sono state censite le specie presenti, sia autoctone che esotiche. Il censimento ha interessato la vegetazione psammofila delle dune embrionali e mobili, le depressioni interdunali, i rimboschimenti e la macchia mediterranea. Per l’identificazione e la nomenclatura delle specie sono state consultate la Flora d’Italia (PIGNATTI, 1982), la recente Checklist della flora vascolare italiana (CONTI et al., 2005) e le edizioni più aggiornate sulla flora regionale (ANZALONE, 1984, 1994, 1996). 18 SCHEDA 1 – Metodologia del censimento floristico Le immagini evidenziano alcuni aspetti delle attività di ricerca legate al censimento floristico delle coste sabbiose del Lazio. Sono mostrate, in alto e al centro, le misurazioni dei principali valori biometrici (altezze, lunghezze e spessori) delle piante e, in basso, una fase di campionamento in cui si procede al riconoscimento delle specie presenti nella vegetazione pioniera sulla spiaggia. 2. LE MINACCE CHE INCIDONO SUI SISTEMI DUNALI COSTIERI NEL LAZIO Le spiagge e le dune sabbiose costiere rappresentano ecosistemi che risultano, su scala mondiale, tra quelli più vulnerabili e più seriamente minacciati. Fra le cause principali che ne hanno perturbato, alterato e perfino stravolto gli equilibri ambientali alla base della conservazione delle risorse, emerge la mancata o errata pianificazione delle attività umane. In Italia, il sistema delle dune costiere ha mantenuto un buono stato di conservazione dal punto di vista morfologico, idrogeologico e naturalistico fino alle soglie del XX secolo, quando l’impatto antropico sulle coste è divenuto più consistente, soprattutto a causa della generale industrializzazione del territorio planiziare e del crescente fenomeno del turismo balneare. Ciononostante, le principali attività di colonizzazione umana erano ancora rimaste per lo più concentrate presso le foci dei grandi fiumi o entro baie protette. A partire dal secondo dopoguerra, invece, gran parte degli ambienti costieri, anche quelli fino allora sfuggiti alla distruzione diretta, sono stati soggetti a varie forme di disturbo antropico. Attualmente, le maggiori cause del degrado dei nostri ecosistemi costieri possono essere ricondotte al grande sviluppo urbano e al turismo balneare di massa, associati con l’erosione dei litorali. Per quanto riguarda il Lazio, il fenomeno dell’erosione costiera ha interessato, secondo alcuni autori, oltre il 30% del suo intero litorale. Per di più, i tratti colpiti non sono concentrati in un’area ben definita, quindi non sono riconducibili a un’unica causa, ma risultano sparsi lungo l’intero litorale regionale. I fattori che provocano l’erosione costiera sono molteplici (naturali e di origine antropica) e complessi. Infatti, oltre i fenomeni di origine geologica e climatica, qualsiasi interferenza con i processi naturali di evoluzione dei versanti, dal trasporto verso il mare di sedimenti alla loro dispersione lungo il litorale, grava sulle dinamiche e altera gli equilibri cui sono sottoposte spiagge e dune, determinando, nella maggior parte dei casi, la loro progressiva demolizione. 19 20 Capitolo 2 In alto, esempio di demolizione delle dune costiere nei pressi del Parco Nazionale del Circeo (Lt). L’azione antropica e i processi di erosione hanno profondamente alterato la morfologia della spiaggia e la vegetazione dunale. In basso, rilevanti effetti prodotti dall’erosione costiera presso Marina di San Nicola (Roma) con riduzione dell’arenile e scomparsa delle fitocenosi dunali. Le minacce che incidono sui sistemi dunali costieri nel Lazio 21 Ogni interferenza con i naturali processi sedimentari (strade o altri manufatti caratterizzati da particolare rigidità strutturale) produce gravi effetti sulle dinamiche del sistema dunale, rendendolo meno flessibile. Con il trascorrere del tempo, la diminuzione dell’azione consolidante delle radici sul substrato sabbioso accentua gli effetti dei fenomeni di erosione. Litorale presso il Lago dei Monaci (Lt). 22 Capitolo 2 Altri esempi di erosione costiera. In alto, si riscontrano riduzione della spiaggia e demolizione di dune con danni per le relative fitocenosi. L’andamento progressivo del fenomeno ha condotto al diretto affaccio sulla spiaggia di comunità vegetali retrodunali. Litorale presso Montalto Marina (Vt). In basso, le vistose alterazioni del litorale si associano a gravi forme di degrado della vegetazione. Litorale presso S. Agostino (Vt). Le minacce che incidono sui sistemi dunali costieri nel Lazio 23 Fra le principali cause dell’erosione costiera si segnala la riduzione degli apporti sedimentari fluviali (come nel caso del Tevere), legata a fattori quali la costruzione di bacini idroelettrici e il prelievo in alveo dei sedimenti grossolani. Si possono citare, inoltre, le espansioni edilizie, la costruzione di porti e di opere di protezione delle spiagge e delle strade litoranee (non sempre progettati e pianificati con rispetto per le dinamiche locali della costa) che riducono o impediscono la normale alimentazione di sabbie e sedimenti, impropriamente trattenuti o deviati da tali manufatti. Tutti i fattori in grado di alterare le dinamiche di sedimentazione costiera influenzano il normale ripascimento delle spiagge e, con la riduzione degli apporti di materiali sedimentari, aggravano i fenomeni erosivi. L’erosione costiera, se non controbilanciata dall’apporto di nuovi sedimenti, si manifesta in modo sempre più evidente sui litorali interessati, danneggiando soprattutto le spiagge sabbiose e i sistemi dunali. In particolare, il progressivo assottigliamento delle spiagge accentua gli effetti prodotti dalle mareggiate invernali, che giungono così a rimuovere dalle coste quantità crescenti di sabbia. Quale ulteriore conseguenza, i fenomeni erosivi provocano l’alterazione della naturale zonazione della vegetazione costiera, giungendo, nei casi più gravi, a determinare la scomparsa delle comunità perenni che colonizzano le dune sabbiose. L’effetto combinato dell’erosione e della perdita delle comunità perenni – con il venir meno dell’azione consolidante dei loro estesi apparati radicali – aggrava e accelera il processo di demolizione delle dune stesse, che può progredire fino a produrre il diretto affaccio sulla spiaggia delle formazioni vegetali tipiche di ambienti più interni e sprovviste di adattamenti e specializzazioni per affrontare le mutate condizioni ambientali. Un’altra minaccia per la vegetazione costiera è rappresentata dal turismo. La costante crescita d’interesse per lo sfruttamento turistico dei litorali determina continue richieste di costruzione o ampliamento di impianti e strutture per la balneazione, di strade e parcheggi, di accessi facilitati alle spiagge, trascurando le conseguenze di tali interventi sulla vegetazione delle dune costiere. Anche l’incremento del passaggio di bagnanti e i ripetuti attraversamenti dell’arenile, perfino con mezzi a motore, aggiungono elementi di disturbo che possono alterare la composizione delle comunità delle dune embrionali e mobili. 24 Capitolo 2 Talvolta, i frangiflutti posti a protezione dell’arenile si rivelano controproducenti, poiché possono ridurre l’apporto di sabbia trasportata dalle correnti marine, trattenute o deviate dalla barriera artificiale. Più in generale, per inadeguata pianificazione o carenze progettuali, molti interventi umani attuati lungo le coste (moli, barriere ecc.) o in prossimità delle spiagge (strade, parcheggi ecc.) perturbano le normali dinamiche di distribuzione della sabbia e favoriscono l’erosione costiera. Le minacce che incidono sui sistemi dunali costieri nel Lazio 25 Una strada litoranea che corre lungo la duna costiera interrompe inevitabilmente la continuità fra gli elementi della successione catenale delle comunità vegetali. Vengono pertanto a essere perturbati gli equilibri e le interrelazioni normalmente esistenti tra le fitocenosi ma si facilita anche l’introduzione di specie diverse da quelle tipiche della duna e del retroduna che vanno a competere con alcune di esse e talvolta giungono a sostituirle. 26 Capitolo 2 Gli insediamenti umani si sono diffusi ampiamente e, spesso, in modo incontrollato lungo i nostri litorali, in particolare negli ultimi 50-60 anni. Fra i segni più evidenti dell’antropizzazione, emergono le molteplici tipologie di fabbricati, aventi finalità in prevalenza abitative e turistiche. Le immagini proposte a scopo esemplificativo, relative a diversi siti lungo le coste del Lazio, mettono in evidenza costruzioni ubicate in prossimità di spiagge (talvolta, perfino direttamente sugli arenili), dune costiere e aree di macchia, dimostrando scarsa o nulla considerazione per il loro costituire serie minacce che gravano sui delicati equilibri degli ambienti costieri. Le minacce che incidono sui sistemi dunali costieri nel Lazio 27 Se l’intensità dei disturbi connessi alle attività antropiche non è molto elevata, le alterazioni riguardano soprattutto la composizione specifica della comunità. Per esempio, fattori quali la cattiva qualità delle acque, la vicinanza di strade, campi coltivati o giardini causano in prevalenza l’introduzione di specie ad ampia distribuzione, di nitrofile, di specie ruderali o di entità esotiche, talvolta introdotte per scopi ornamentali. Non si tratta di specie tipiche delle nostre dune ma di entità, favorite da questi disturbi, che vanno a sostituire le specie dunali. Anche il calpestio dei turisti provoca la comparsa e la diffusione di specie resistenti (per esempio, la Gramigna, Cynodon dactylon) che prendono il posto delle piante caratteristiche delle varie zone. Il calpestio, infatti, agisce favorendo le specie annuali, che riescono a germinare e compiere il loro ciclo vitale più velocemente, a scapito delle specie dunali perenni, che hanno bisogno di più tempo per lo sviluppo del complesso sistema radicale che le caratterizza. L’impatto antropico costituisce una fra le più diffuse minacce per la salvaguardia e tutela dell’integrità delle fitocenosi costiere. Nel periodo estivo, si aggiunge l’azione perturbante delle attività legate al turismo balneare, con tutte le possibili ripercussioni sugli equilibri ambientali. 28 Capitolo 2 Il costante incremento dello sfruttamento turistico dei litorali determina cospicui interventi di costruzione o ampliamento di impianti e strutture per la balneazione, di strade e parcheggi, di accessi facilitati alle spiagge, minimizzando o trascurando le molteplici conseguenze di tali interventi per il mantenimento degli equilibri ambientali e le possibili conseguenze per la vegetazione costiera. Le dune sabbiose e le fitocenosi che le popolano sono spesso le prime a esserne danneggiate. Il frequente calpestio, per esempio, favorisce la comparsa e la diffusione di specie che possono sostituirsi alle piante caratteristiche delle varie zone. In alto, il litorale di Sperlonga (Lt) durante la stagione balneare. In basso, la spiaggia di Fondi (Lt). Le minacce che incidono sui sistemi dunali costieri nel Lazio 29 In alto, a sinistra, uno dei primi effetti dell’utilizzo sistematico delle spiagge per finalità balneari si manifesta con alterazioni della composizione e frammentazione delle comunità dunali, innescando una serie di ripercussioni sugli equilibri ambientali, inclusa la diffusione di specie esotiche quale Carpobrotus spp., a destra. In basso, nel corso dell’estate, i fenomeni di perturbazione e degrado dell’arenile si accentuano, spesso con gravi esiti per le entità vegetali costiere. Uno fra i più frequenti, a sinistra, è la colonizzazione di specie annuali, capaci di sostituire le specie perenni danneggiate dal calpestio. Sono favorite anche le entità esotiche e la diffusione di Carpobrotus spp., a destra, ne costituisce un esempio ricorrente. 30 Capitolo 2 Le specie psammofile perenni, come abbiamo sottolineato in precedenza, rappresentano un consistente freno allo spostamento e dispersione della sabbia, favorendone il deposito e contribuendo, così, alla formazione e al mantenimento delle dune. Al contrario, il sistema radicale delle specie annuali non è in grado di trattenere la sabbia e, in assenza di specie perenni, la struttura del sistema dunale viene continuamente danneggiata. Quando i livelli di disturbo aumentano, si verificano conseguenze ancora più gravi per le comunità vegetali. Dapprima, si può osservare la comparsa di comunità di sostituzione in luogo delle cenosi potenziali. Se l’impatto antropico si protrae nel tempo e diviene più intenso, si possono verificare fenomeni quali la frammentazione e l’alterazione progressiva della sequenza fito-topografica. Nei casi più gravi, si giunge alla perdita di alcune cenosi e perfino alla totale scomparsa della vegetazione delle dune. Per esemplificare, il livellamento geomorfologico volto a ricavare una larga spiaggia piatta, più favorevole al turismo, ha per effetto la quasi totale scomparsa della zonazione dunale, in alcuni casi con profitto per alcune specie pioniere o nitrofile. Stiamo pertanto assistendo al rapido sovrapporsi di eventi connessi, in modo diretto o indiretto, alle attività antropiche che determinano, fra le altre conseguenze, la frammentazione sempre più generalizzata delle popolazioni vegetali e degli habitat tipici delle dune costiere e il crescente manifestarsi di fenomeni d’invasione da parte di specie esotiche o tipiche di altri ecosistemi. Oltre l’oggettiva gravità dei fenomeni in sé, occorre ribadire che tali perturbazioni avvengono sempre a danno di equilibri complessi e tendono dunque a ripercuotersi sull’ambiente e sul paesaggio con effetti via via più consistenti e, non di rado, permanenti. Per contenere i fenomeni di disturbo prodotti dal turismo balneare e, in generale, dall’antropizzazione delle coste, in alcune aree del litorale laziale sono stati attuati interventi di protezione, regolamentando gli accessi alle spiagge con percorsi obbligatori che salvaguardano le dune mediante staccionate e passerelle, ma anche sensibilizzando residenti e turisti al rispetto per gli ambienti costieri tramite cartelli e pannelli divulgativi che informano sull’importanza delle comunità dunali e della loro tutela. Le minacce che incidono sui sistemi dunali costieri nel Lazio 31 Alcuni esempi, tutti relativi a siti costieri laziali, di interventi meccanici di pulitura o spianamento degli arenili sabbiosi. La pulitura delle spiagge, se attuata con metodi meccanizzati o comunque drastici, non solo determina la totale rimozione delle comunità pioniere ma, venuta meno la loro azione protettiva, danneggia anche le altre fitocenosi dunali. Ancora più gravi risultano le conseguenze del livellamento geomorfologico volto a ricavare una larga spiaggia piatta, più favorevole allo sfruttamento turistico. Lo spianamento distrugge infatti estese porzioni di vegetazione dunale, interrompendo la continuità della zonazione costiera e, in molti casi, determinandone la scomparsa. 32 Capitolo 2 È opportuno sottolineare l’importanza di attuare efficaci misure a tutela delle dune costiere. Per contenere le azioni di disturbo prodotte dal turismo balneare occorre affiancare interventi di sensibilizzazione a quelli di protezione. In alcune aree del litorale laziale, appositi cartelli informano residenti e turisti sull’importanza delle comunità vegetali dunali e sulla necessità di tutelarle, invitando chi voglia accedere alle spiagge a farlo soltanto attraverso i percorsi prestabiliti: sentieri provvisti di staccionate e passerelle a salvaguardia delle dune. Tuttavia, considerati il notevole sviluppo costiero del Lazio e il suo forte richiamo turistico, sono auspicati interventi ben più estesi e capillari. 3. LE SPECIE ESOTICHE POSSONO COSTITUIRE UN PROBLEMA? Nell’ambito di una flora presente su un determinato territorio, accanto alle entità native o autoctone, che risultano “naturalmente” e stabilmente insediate, sono rilevabili piante che si riconoscono estranee a quel territorio, in quanto provenienti da regioni diverse e talora lontane. Sono le cosiddette “esotiche” (o aliene), entità che, in vario modo, per cause naturali o antropiche, più o meno recentemente, sono entrate a far parte della flora di un territorio non compreso nell’area naturale della loro distribuzione. Le alterazioni apportate dall’uomo agli areali originali di distribuzione delle specie sono state notevoli e, nel corso della storia, moltissime entità sono state introdotte, accidentalmente o meno, in aree dove erano assenti. Numerose specie esotiche sono state introdotte intenzionalmente per essere coltivate a scopo ornamentale o in quanto piante di interesse alimentare per uomini o animali domestici. Si riscontra un’elevata frequenza di entità che, col tempo, sono riuscite a espandersi fuori dai coltivi e, talvolta, a diffondersi su vaste aree. Va comunque precisato che solo una minima parte di esse diventa dannosa. Soltanto alcune, infatti, riescono a superare le barriere biotiche e abiotiche (riproduttive, ambientali) presenti nella nuova area geografica ma, una volta introdottesi, in assenza dei fattori che ne controllano la diffusione nelle regioni d’origine (per esempio, predatori o parassiti), si propagano rapidamente su ampie superfici, spesso in modo tale da diventare una minaccia per la biodiversità, il paesaggio e finanche per la salute e le attività dell’uomo. Queste specie vengono definite invasive. È importante ricordare che la possibile invasività di una specie è legata sia alle sue caratteristiche ecologiche, sia a quelle dell’ecosistema nel quale si trova ad essere introdotta. Pertanto, una medesima specie può risultare invasiva in un certo ambiente e non esserlo in un altro, differente dal primo. Numerosi autori concordano nel prevedere per il prossimo futuro un incremento dei processi di invasione biologica a livello mondiale e, in particolare, negli ambienti mediterranei. 33 34 Capitolo 3 In seguito al suo continuo estendere le proprie attività lungo i litorali, l’uomo ha prodotto crescenti alterazioni a carico dei delicati equilibri ambientali. Le immagini riprodotte, tutte relative a situazioni rilevate sulle coste laziali, documentano gli effetti della diffusa consuetudine di coltivare entità esotiche a scopo ornamentale, sia nei giardini di abitazioni ubicate in prossimità delle spiagge, sia in molti stabilimenti balneari. Ciò contribuisce in modo sensibile alla propagazione di specie che vanno a perturbare gli equilibri e la naturale composizione delle fitocenosi dunali. Poiché il fenomeno può progredire fino a condurre alla scomparsa di specie caratterizzate da estesi e robusti apparati radicali, non è soltanto causa di consistenti perdite per la biodiversità ma, riducendo l’azione consolidante dei substrati sabbiosi, può giungere a danneggiare l’integrità stessa dei sistemi dunali costieri. Le specie esotiche possono costituire un problema? 35 Alcuni esempi, relativi a diversi siti del litorale laziale, dell’espansione di entità esotiche favorita dalle attività antropiche. Le specie esotiche alterano gli equilibri trofici delle fitocenosi delle dune costiere. Con il trascorrere del tempo – e, in particolare, se si tratta di entità invasive – esse possono occupare spazi progressivamente più estesi, interferendo, anche in modo grave, con le già delicate dinamiche di mantenimento delle dune e della loro vegetazione. 36 Capitolo 3 Gli ambienti costieri sabbiosi e quelli fluviali risultano tra i più vulnerabili alle invasioni biologiche. Abbiamo già avuto modo di osservare che l’ambiente delle dune litoranee è per sua natura instabile, essendo gli equilibri delicati e strettamente legati alle dinamiche erosive e costruttive del vento e del mare, oltre che ai molteplici fattori di disturbo naturali e antropici. Inoltre, la copertura delle comunità dunali tende a offrire spazi liberi da vegetazione che possono essere invasi con relativa facilità dalle specie aliene. L’azione dell’uomo può accelerare e rendere drammaticamente esteso il fenomeno dell’invasione: il calpestio delle dune, l’impianto di specie esotiche per ornamento o per consolidare artificiosamente le sabbie, il rilascio di rifiuti e i movimenti del terreno conseguenti a certe attività costituiscono solo alcuni esempi di come l’antropizzazione riesca a rendere le dune del nostro litorale una vera terra di conquista per gli invasori vegetali. Le invasioni biologiche hanno conseguenze che si esplicano in modo complesso, spesso ripercuotendosi a vari livelli. Ciò rende particolarmente difficile approntare le opportune contromisure per contrastarle. Fra le entità esotiche che possono invadere i nostri ambienti costieri, il Fico degli Ottentotti (Carpobrotus spp.) è uno dei più frequenti. Nelle due immagini, relative alle dune sabbiose presso Marina di San Nicola (Roma), si può apprezzare l’ampiezza degli spazi che riesce a conquistare, sottraendoli progressivamente alle specie autoctone. Le specie esotiche possono costituire un problema? 37 Le specie esotiche possono alterare le strette relazioni tra le componenti biotiche e quelle abiotiche dell’ecosistema, modificando sia il numero che la composizione delle specie, perturbando le relazioni nelle reti trofiche e la ripartizione delle risorse. Nel modificare le relazioni tra le specie viventi, esse tendono dunque a sottrarre spazio alle entità native, spostando l’equilibrio verso una banalizzazione e semplificazione degli habitat colonizzati. È opportuno insistere sul fatto che, in molti casi, la modifica dei complessi equilibri preesistenti conduce all’estinzione di specie autoctone di grande interesse perché rilevanti sul piano conservativo in quanto rare, oppure perché edificatrici di habitat importanti come quelli dunali. L’elevata frequenza del fenomeno ha fatto sì che le specie esotiche invasive siano ormai considerate, a livello mondiale, una fra le principali minacce per il mantenimento della biodiversità. Sempre in un’ottica generale, va inoltre sottolineato che le invasioni biologiche, non solo danneggiano gli ecosistemi naturali e contribuiscono all’estinzione delle specie native, ma producono anche notevoli danni socio-economici. A sinistra, numerosi individui di Carpobrotus spp. invadono spazi crescenti, sottraendoli alla specie autoctona Crucianella maritima. A destra, l’esotica nordamericana Cuscuta scandens ssp. cesattiana, specie parassita che ricopre con fusti filamentosi giallastri le piante ospiti. 38 Capitolo 3 La pericolosità di alcune specie aliene, frequentemente coltivate a scopo ornamentale anche in prossimità delle spiagge, si evidenzia nel confronto fra le due immagini, riprese a qualche decina di metri una dall’altra. In alto, si distinguono due aree completamente ricoperte dalle aliene invasive Carpobrotus spp. (in primo piano) e Agave americana (in secondo piano). In basso, a poca distanza dalle aree già occupate (riconoscibili sullo sfondo), molti individui di entrambe le specie si stanno propagando e, pur non avendo ancora ricoperto completamente le nuove aree conquistate, risultano già le entità dominanti. Le specie esotiche possono costituire un problema? 39 Un altro esempio delle ragguardevoli capacità invasive del Fico degli Ottentotti (Carpobrotus spp.) in due immagini riprese sulle dune sabbiose del litorale in prossimità del Lago dei Monaci (Lt). L’immagine in alto mette in evidenza la sua tendenza a espandersi con gravissimi danni per le fitocenosi dunali. Dal dettaglio in basso, inoltre, si evince la capacità del Carpobrotus spp. – particolarmente favorita dalla riproduzione vegetativa mediante stoloni – di ricoprire progressivamente tutto lo spazio a sua disposizione, fino a spodestare le specie autoctone. 40 Capitolo 3 Autorevoli conferme sono state espresse anche a livello dei massimi organi politici, economici e sociali, concordi nel riconoscere le specie esotiche invasive quale parte integrante dei cambiamenti ambientali globali in atto. Occorre dunque puntualizzare che la gravità e la diffusione del fenomeno impongono di predisporre appropriate contromisure per contenere la sua portata entro limiti sostenibili, cercando altresì di contrastarne gli effetti a tutti i livelli in cui esso si ripercuote. Un primo, importante passo nella gestione delle invasioni biologiche consiste nell’acquisire un’adeguata conoscenza della presenza di specie esotiche nei territori maggiormente soggetti al fenomeno, valutandone in modo accurato sia lo stato attuale, sia la dinamica temporale. Dune sabbiose presso Torre Astura (riconoscibile sullo sfondo), sito di notevole interesse archeologico, paesaggistico e naturalistico in prossimità del confine meridionale della Provincia di Roma. Nell’immagine, si riconoscono le specie aliene invasive Agave americana e Carpobrotus spp. SCHEDA 2. Classificazione delle specie esotiche In passato, i diversi autori che si sono interessati all’argomento delle piante esotiche hanno utilizzato una terminologia spesso differente e a volte contraddittoria. Un uso appropriato dei termini in questo specifico contesto è essenziale per affrontare l’argomento, evitando fraintendimenti dovuti a errate interpretazioni. In questo lavoro, si fa riferimento alla terminologia proposta da RICHARDSON et al. (2000) e da PYŠEK et al. (2004). Gli autori citati hanno proposto la seguente classificazione: • Pianta aliena: specie presente fuori dal noto areale storico a seguito di una diretta o indiretta introduzione causata dall’uomo. Sinonimi sono: non nativa, non indigena, esotica, alloctona. • Pianta aliena casuale: specie aliena che può fiorire o anche riprodursi occasionalmente in un’area ma che non forma popolazioni in grado di autosostenersi e che ha bisogno quindi, per persistere, di ripetute introduzioni. • Pianta aliena naturalizzata: specie aliena che si riproduce in maniera consistente e genera popolazioni in grado di sostenersi per molti cicli vitali senza intervento umano. La specie generalmente produce un buon numero di plantule, non lontano dalle piante adulte e non necessariamente invade ecosistemi naturali, seminaturali o artificiali. • Pianta aliena invasiva: specie naturalizzata capace di riprodursi abbondantemente, generando un gran numero di plantule, anche a considerevole distanza dalle piante parentali. La specie mostra, pertanto, grandi potenzialità di diffondersi su ampie aree. È inoltre importante ricordare che non tutti gli autori concordano nell’attribuire lo status di esotica a determinate specie, soprattutto quando si considerano piante di introduzione antica (archeofite) o di dubbia origine. In questo studio, tali specie vengono indicate come “esotiche dubbie”. 41 42 SCHEDA 2 – Classificazione delle specie esotiche 4. LA VEGETAZIONE COSTIERA SABBIOSA E LA PRESENZA DI SPECIE ESOTICHE La vegetazione dei litorali, che nell’insieme si definisce vegetazione psammofila (vale a dire, che cresce sulla sabbia), come è già stato osservato, riveste un ruolo fondamentale nell’edificazione, stabilizzazione ed evoluzione geomorfologica dei sistemi dunali costieri. In altre parole, la vegetazione psammofila esercita un’azione di ostacolo al trasporto eolico, contribuendo a favorire l’accumulo dei sedimenti sabbiosi, impedendo il loro avanzamento verso l’entroterra. Con i propri apparati radicali, inoltre, aiuta a consolidare il substrato, poiché trattiene la sabbia e ne permette l’ulteriore deposito. I forti gradienti ambientali e le generali condizioni limitanti che si stabiliscono lungo la stretta fascia costiera rappresentano tuttavia un forte ostacolo per l’insediamento della vegetazione. Tra le principali caratteristiche ambientali che rendono tanto sfavorevoli questi sistemi, ricordiamo l’incoerenza e l’aridità del substrato sabbioso, la profondità della falda freatica, la circolazione nel sottosuolo di acque salmastre, la carenza di nutrienti, l’aerosol e gli spruzzi del mare, il vento salso, il forte irraggiamento estivo. Le piante che troviamo nei sistemi dunali costieri devono perciò essere capaci di vivere in condizioni estreme, in apparenza insostenibili per il regno vegetale. Le specie psammofile e quelle alofile (cioè, le specie che prediligono il sale, “halos”) sono state selezionate dalle avversità ambientali che hanno fissato specializzazioni e adattamenti, sia fisiologici che morfologici, permettendo loro di ovviare all’aridità fisiologica del substrato sabbioso, di resistere alla xerotermia e, in sostanza, di sopravvivere in un ambiente tanto avverso. Fra gli adattamenti fisiologici, si evidenziano quelli che aumentano la tolleranza delle cellule verso le alte concentrazioni saline riducendo lo stress osmotico (per esempio, l’aumento del turgore cellulare e l’elevata elasticità della parete cellulare) e quelli che permettono alle piante di sopperire alla scarsa disponibilità di acqua e nutrienti (vari adattamenti metabolici e accumulo di riserve). Un altro adattamento della maggior parte delle specie dunali consiste nel ridurre il periodo vegetativo e concentrarlo fra inverno e pri43 44 Capitolo 4 mavera, quando le piogge sono più frequenti e il calore non raggiunge i picchi estivi. Gli adattamenti morfologici e anatomici comprendono, fra gli altri: la succulenza, che permette di conservare una certa riserva d’acqua; la pelosità, che riduce il movimento dell’aria in prossimità degli stomi limitando le perdite d’acqua per traspirazione; la sclerofillia, la microfillia, e la spinescenza che contribuiscono a economizzare l’acqua; l’ispessimento delle cuticole per resistere all’abrasione e il colore glauco, che attenua il surriscaldamento dovuto alla forte esposizione alle radiazioni solari. Per ovviare alla struttura incoerente del substrato, che rende difficile l’ancoraggio, e alla profondità della falda acquifera, in parte anche salmastra, sono state favorite le specie capaci di sviluppare apparati radicali molto estesi, profondi e fortemente ramificati, con radici elastiche e resistenti alla trazione meccanica, oltre che capaci di sopportare maggiori variazioni di concentrazione salina. Il vento marino, come accennato in precedenza, è un altro “nemico” che le piante dunali devono affrontare. Esso costituisce una forza notevole, capace di influenzare la crescita e lo sviluppo delle piante. Le specie dunali hanno opposto diversi adattamenti, quali forme prostrate o a cuscinetto, idonee a opporre una minima resistenza ai moti dell’aria. Tali architetture, inoltre, sono spesso conformate in modo da favorire l’attività degli animali impollinatori, offrendo loro varie tipologie di ripari e protezioni, cosicché possano svolgere con maggiore efficienza l’importante funzione. Le specie vegetali che popolano la fascia costiera si organizzano in fitocenosi disposte lungo gradienti ambientali, con specifici adattamenti legati alle caratteristiche ambientali locali (di natura geomorfologica, edafica, microclimatica ecc.). Si caratterizza pertanto una ben definita zonazione di aspetti floristici, fisionomici, strutturali ed ecologici, la sequenza catenale. In condizioni normali, lungo la sequenza catenale, incontriamo per prime le comunità pioniere, situate più vicino alla battigia e, procedendo verso l’interno, altre fitocenosi che caratterizzano le dune e le loro retrovie. La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 45 Lungo le coste laziali, quando non sono presenti particolari fenomeni di disturbo, si osserva di norma la seguente zonazione: 1 - La spiaggia emersa: il Cakileto 2 - La duna embrionale: l’Elymeto 3 - Le dune mobili: l’Ammofileto 4 - L’interduna: il Crucianelleto, i pratelli e le depressioni interdunali 5 - Il retroduna: la macchia mediterranea e i boschi retrodunali La tipica zonazione degli ambienti dunali che si osserva lungo i litorali laziali, nei siti meglio conservati. 46 Capitolo 4 4.1. La spiaggia emersa: il Cakileto In prossimità della battigia, è presente la cosiddetta “zona afitoica”, cioè priva di vita vegetale, a causa delle condizioni ambientali (azione meccanica del mare e salinità molto elevata) proibitive per le piante superiori. Può essere invece cospicuo il materiale vegetale morto che il mare deposita sulle spiagge, costituito prevalentemente da foglie laminari di piante marine. In questo tratto, dunque, sono assenti le piante superiori e prevale la componente animale, peraltro abbondante. Nel tratto successivo della spiaggia emersa, la prima fascia di vegetazione è generalmente costituita dalle cosiddette pioniere, specie annuali con un ciclo vitale estremamente breve, che si conclude nel giro di 1-2 mesi in tarda primavera o in estate. Alla fine del brevissimo ciclo vitale, a fine estate vengono deposti i frutti/semi che rimangono sepolti sotto la sabbia o vengono dispersi grazie al vento, al moto ondoso, alle correnti marine e alle maree, per germinare l’anno successivo. Queste specie sono alonitrofile, in grado quindi di crescere su un substrato ricco di sali, in presenza però di sufficiente accumulo di materiali e residui organici depositati dal moto ondoso. I componenti di queste comunità pioniere presentano habitus tendenzialmente grasso. Tra le specie più comuni sulle spiagge laziali, si possono ricordare il Ravastrello marino (Cakile maritima), l’Erba cali (Salsola kali), la piccola Euforbia delle spiagge (Chamaesyce peplis = Euphorbia peplis) e il Poligono marittimo (Polygonum maritimum). Una caratteristica fisionomico-strutturale di questa comunità pioniera è l’estrema povertà di copertura che essa determina sul suolo. Spesso, la distanza fra individui singoli o piccoli gruppi è dell’ordine delle decine di metri e più. In effetti, più che una vera fascia organica di vegetazione, la fascia delle psammo-alofite pioniere si identifica come una somma di popolamenti molto frammentati e disorganizzati. Si tratta perciò di una fase pioniera del tutto instabile. Ciononostante, essa è già sufficiente a formare un ostacolo alla sabbia portata dal vento, che in qualche punto comincia ad accumularsi. Si fa spesso riferimento a questa cenosi con il nome di “Cakileto”, dal nome di una delle specie più diffuse: Cakile maritima. L’associazione fitosociolo- La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 47 gica corrispondente è, nel Lazio, il Salsolo kali-Cakiletum aegyptiacae. Purtroppo, la comunità annuale dei primi metri di spiaggia è influenzata negativamente dall’erosione costiera e dal turismo balneare. Lungo la costa laziale, essa appare sporadica e in ampi tratti di costa è stata eliminata dalla pulizia meccanica delle spiagge. Inoltre, risulta interessata da una cospicua presenza della nitrofila Xanthium orientale subsp. italicum (= Xanthium strumarium subsp. italicum). Alcuni aspetti di Cakileto sulle spiagge laziali. In alto, confronto fra la scarsa copertura delle specie pioniere, in primo piano, e quella più fitta delle comunità più interne della duna sabbiosa. In basso, due specie tipiche della fascia pioniera: Cakile maritima, a sinistra, e Polygonum maritimum, a destra. 48 Capitolo 4 Aspetti a Cakileto sulla spiaggia di Passo Oscuro (Roma). In alto, si evidenzia la copertura rada e irregolare. In basso, in primo piano, la psammo-alofita pioniera Cakile marittima, specie particolarmente adattata alle difficili condizioni ambientali delle spiagge sabbiose. La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 49 Altri aspetti a Cakileto sulla spiaggia di Passo Oscuro (Roma). In entrambe le immagini si distinguono le fasce di zonazione: in primo piano, il Cakileto; in secondo piano, l’Elymeto; sullo sfondo, l’Ammofileto. Nell’immagine in alto, sullo sfondo, si scorgono anche gli arbusti della macchia e alcune chiome di elementi arborei retrodunali. 50 Capitolo 4 4.2. La duna embrionale: l’Elymeto Nella parte alta della spiaggia, si trovano i primi accumuli di sabbia, le dune embrionali, ancora soggetti al rimaneggiamento del vento e occasionalmente raggiunti dagli spruzzi delle onde. Su tali accumuli, si insediano le prime piante perenni che innescano il processo evolutivo del sistema dunale. Un ruolo fondamentale del processo lo riveste la Gramigna delle spiagge (Elymus farctus ssp. farctus), specie perenne pioniera che imbriglia la sabbia e consolida il suolo con i suoi rizomi lunghi e fitti, favorendo la colonizzazione da parte di altre specie. Dotata di particolari adattamenti che le consentono di sopportare o, meglio, opporsi all’accumulo della sabbia, l’Elymus farctus presenta una porzione aerea poco voluminosa rispetto a quella ipogea, che risulta abbondante e ramificata. Essa sfrutta la sua capacità stolonifera per diffondersi e sottrarsi al seppellimento per opera della sabbia trasportata dal vento. Alla comunità pioniera del Cakileto, segue pertanto una colonizzazione vera e propria da parte di specie perenni. Infatti, le piante di Elymus si mantengono per parecchi anni e l’occupazione del suolo diviene permanente. La fascia di vegetazione a Elymus farctus, di aspetto molto aperto e rado, è caratterizzata dalla presenza più o meno costante di poche altre specie dunali che, per lo più, raggiungono il massimo di frequenza e copertura nella fascia successiva verso l’interno. Sulle coste laziali, troviamo il Finocchio litorale spinoso (Echinophora spinosa), lo Zigolo delle spiagge (Cyperus capitatus = Cyperus kalli), la Santolina delle spiagge (Otanthus maritimus subsp. maritimus) e un’altra poacea, lo Sporobolo pungente (Sporobolus virginicus = Sporobolus pungens). Le associazioni fitosociologiche corrispondenti nel Lazio sono Sporobolo-Elymetum farcti e Echinophoro spinosae-Elytrigetum juncei. La fitocenosi di questa fascia si indica spesso semplicemente come “Elymeto” (sinonimi “Elytrigeto” oppure “Agropyreto”), dal nome della specie più abbondante. La fascia delle dune embrionali è soggetta al calpestio e alla rimozione causate dal turismo estivo, ed è influenzata dall’arretrare della linea di costa. Nel Lazio, questa comunità non è molto frequente e la sua integrità strutturale risulta spesso compromessa. Al suo interno è stata rilevata, inoltre, una cospicua presenza di specie esotiche, fra le La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 51 quali predominano il Fico degli Ottentotti (Carpobrotus spp.) e la Nappola italiana (Xanthium orientale ssp. italicum). Esempi di Elymeto lungo le coste laziali. L’Elymus farctus innesca il processo evolutivo del sistema dunale, formando i primi accumuli di sabbia: le dune embrionali. 4.3. Le dune mobili: l’Ammofileto Dove le dune embrionali si fanno più consistenti e hanno fine gli apporti di acqua salmastra dovuti ai fenomeni di marosi, si osservano le “dune mobili”. Esse si sviluppano su una zona di avanduna più distante dalla battigia e dalla falda di acqua salata, in cui il vento accumula le particelle più fini e maggiore è il dilavamento dei sali, per opera delle piogge. 52 Capitolo 4 La specie più caratteristica e tipica delle dune mobili del Lazio, oltre che su buona parte delle coste mediterranee, è un’altra poacea perenne, lo Sparto pungente (Ammophila arenaria subsp. australis). Si tratta di una specie meno alotollerante ma molto resistente al vento e al continuo insabbiamento la cui porzione epigea è molto più sviluppata di quella dell’Elymus farctus: infatti, i suoi densi cespi favoriscono efficacemente l’accumulo di sabbia e reagiscono al seppellimento crescendo in altezza, consentendo così la crescita della duna fino a vari metri di altezza, finché viene raggiunto un equilibrio dinamico tra accumulo ed erosione eolica. L’effetto di fissazione e consolidamento della duna, anche se incompleto, è quindi decisamente più marcato, grazie allo sviluppo degli apparati radicali, notevole sia per la loro estensione, sia per le proprietà meccaniche. L’Ammofileto rappresenta pertanto uno stadio durevole, pur nelle continue variazioni imposte dal vento, e può mantenersi indefinitamente. La sua copertura tende a essere completa, a differenza delle fasce precedenti, e trova il suo optimum dove sono continui gli apporti di sabbia, mentre regredisce dove prevale l’erosione. La composizione floristica tipica di questa cenosi comprende oltre allo Sparto pungente, la Camomilla marina (Anthemis maritima), il già citato Finocchio litorale spinoso (Echinophora spinosa), la Calcatreppola marina (Eryngium maritimum), l’Erba medica marina (Medicago marina), l’Euforbia delle spiagge (Euphorbia paralias), il Vilucchio di mare (Calystegia soldanella) e il profumatissimo e candido Giglio delle spiagge (Pancratium maritimum). Da un punto di vista sintassonomico, si fa riferimento all’associazione fitosociologica Echinophoro spinosae-Ammophiletum australis. Lungo le coste laziali, la comunità che colonizza le dune mobili risulta piuttosto rara e, quando è presente, piuttosto che presentarsi come un Ammofileto ben strutturato, costituendo una frangia continua, tende a formare isole a mosaico alternate all’Elymeto. Fra le cause che ne limitano la completa strutturazione, oltre alla contrazione del sistema dunale per effetto dell’erosione marina, le principali sono il frequente disturbo del calpestio e il livellamento delle dune effettuato in modo esteso per aumentare l’area della spiaggia destinata ai bagnanti. La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 53 Tra le specie esotiche che si incontrano con maggior frequenza nell’Ammofileto possiamo citare: Carpobrotus spp., Agave americana e Cuscuta scandens ssp. cesattiana. Alcuni esempi di Ammofileto in differenti siti lungo le coste laziali. 54 Capitolo 4 4.4. L’interduna: il Crucianelleto, i pratelli e le depressioni interdunali Dietro le prime dune mobili stabilizzate da Ammophila arenaria si crea una zona riparata con rilievi più modesti, dove il substrato è ancora sabbioso, ma con una certa componente di materia organica e dunque più compatto. In questa fascia più riparata sono numerose le specie che trovano le condizioni adatte per la loro sopravvivenza; si tratta soprattutto di camefite, cioè di piante perenni con gemme non lontano dal terreno. Sulle coste laziali, lungo i fianchi in lieve pendio delle dune, si stabilisce la Crucianella maritima, una camefita dai fusti prostrati, legnosi alla base, che forma un’associazione caratteristica, indicata con il nome generale di “Crucianelleto”. Tale formazione è inclusa tra gli habitat naturali di interesse comunitario (2210 – Dune fisse del litorale – Crucianellion maritimae). La Crucianella marittima è accompagnata da altre specie tra cui l’Ononide (Ononis variegata), il già menzionato Giglio delle spiagge (Pancratium maritimum), il Trifoglietto (Lotus cytisoides) e, sporadicamente, da qualche individuo delle specie legnose di macchia. La fascia del Crucianelleto (che fa riferimento all’associazione Lotus cytisoides-Crucianelletum maritimae) si osserva bene solo se le dune sono molto profonde. Essa, comunque, è stata rinvenuta in pochissimi siti del litorale laziale, a causa dell’alterazione antropica delle dune e dei fenomeni erosivi; inoltre molto spesso è risultata essere colonizzata da specie esotiche quali l’Agave americana e, soprattutto, il Carpobrotus spp., che tende a formare ampi tappeti soffocandola. Spesso, inoltre, questa comunità caratterizzata da specie perenni è rimpiazzata da altre fitocenosi, in cui generalmente predominano specie erbacee annuali che si espandono negli spazi aperti lasciati dalla vegetazione perenne raggiungendo una notevole copertura. Fra esse, spicca la vistosa Silene colorata (Silene canescens), Ononis variegata e numerose poacee, quali il Paleo delle spiagge (Vulpia fasciculata), la Codolina delle sabbie (Phleum arenarium ssp. caesium), la Coda di topo (Lagurus ovatus) e il Logliarello delle spiagge (Cutandia maritima). Si parla spesso, per via del breve ciclo vitale, di “pratelli terofitici”. Tali comunità (nel Lazio è particolarmente diffusa l’associazione Sileno coloratae-Vulpietum membranaceae) risultano frequente- La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 55 mente disturbate dal calpestio e dalla costante presenza dell’uomo, soprattutto durante la stagione estiva. Ciò, oltre a comportare la quasi estinzione di alcuni elementi (come le rarissime Romulee e Malcolmie), favorisce lo sviluppo di specie proprie di ogni genere di ambiente, comprese entità infestanti e anche specie esotiche, fra cui la Saeppola canadese (Erigeron canadensis = Conyza canadensis). Nelle vallecole poste fra i cordoni litorali si sviluppa un ambiente particolare del paesaggio dunale, le depressioni interdunali, modellate dallo scorrimento dell’acqua piovana e arricchite dalle particelle più fini e dal materiale organico in decomposizione proveniente dalla sommità della duna. Alcuni esempi di Crucianelleto lungo il litorale laziale. 56 Capitolo 4 A sinistra, un aspetto a Crucianella maritima, camefita dai fusti prostrati, legnosi alla base. A destra, il Giglio delle spiagge (Pancratium maritimum). L’impermeabilità del substrato, dovuta all’accumulo di materiale fine nel suolo, può far sì che in queste lacune si creino veri e propri ambienti umidi. Inoltre, una serie di processi chimico-fisici, quali lo scioglimento del calcare presente nelle sabbie, prodotto dall’acidità dell’acqua piovana, determina un ulteriore compattamento del suolo, aumentando il dislivello fra tali lacune e la sommità della duna. In tale contesto, relativamente protetto dal dislivello, l’ostacolo principale per le piante è rappresentato dalla salinità notevole della falda, per via delle infiltrazioni d’acqua marina. Per questa ragione, si sviluppa una vegetazione aloigrofila in cui spiccano, fra gli altri, il Giunco Nero (Schoenus nigricans), la Canna di Ravenna (Erianthus ravennae), il Giunchetto minore (Scirpoides holoschoenus = Holoschoenus australis), il Giunco marittimo (Juncus maritimus) e il Giunco pungente (Juncus acutus ssp. acutus). La comunità delle depressioni interdunali (che fa riferimento all’associazione Eriantho-Schoenetum nigricantis) è ormai molto rara lungo i litorali laziali a causa della costante presenza dell’uomo e delle opere di bonifica e drenaggio, che hanno interessato negli anni passati la fascia costiera. La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 57 Alcuni esempi delle colorate fioriture primaverili dei pratelli terofitici retrodunali lungo le coste del Lazio. In basso, Silene canescens, Ononis variegata (a sinistra) e Medicago littoralis (a destra). 58 Capitolo 4 4.5. Il retroduna: la macchia mediterranea e i boschi retrodunali La vegetazione dei litorali sabbiosi raggiunge la sua forma più complessa nella fascia di transizione all’ambiente continentale costituita dalle cosiddette dune fisse. Esse sono caratterizzate dalla presenza di un substrato sabbioso con uno strato di humus e da una ridotta ventosità. Ospitano una vegetazione legnosa arbustivo-arborea, sempreverde, che approfitta della maggiore stabilità e delle condizioni più riparate di questa fascia. Il primo tratto è generalmente caratterizzato da una macchia pioniera bassa, nel Lazio spesso dominata dal Ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus ssp. macrocarpa), che fa da scudo ai venti salsi e all’azione abrasiva dei granelli di sabbia per le formazioni più interne. Questa comunità, detta Ginepreto, che fa riferimento all’associazione Asparago acutifolii-Juniperetum macrocarpae, costituisce il primo stadio forestale nelle aree sabbiose e contribuisce al blocco e al consolidamento della duna. La macchia pioniera è abbastanza ben rappresentata nel Lazio grazie alla sua elevata resistenza al disturbo. Ciononostante, diverse minacce possono interferire con il mantenimento del suo stato di conservazione. In caso d’erosione della linea di costa, la macchia pioniera può venire a trovarsi a diretto contatto con la spiaggia. Divengono allora osservabili segni evidenti di danno alle foglie causati dai venti marini. Va ancora ricordato che le dune stabili sono spesso attraversate dai bagnanti e il loro calpestio rappresenta la forma di disturbo più comune. Per la stessa ragione, sono state rinvenute anche alcune specie aliene, quali Carpobrotus spp., Erigeron canadensis e il Pittosporo (Pittosporum tobira). Inoltre, nei casi in cui la macchia si presenta fortemente degradata, si può osservare l’espansione dei pratelli terofitici. Procedendo verso l’interno, segue una macchia alta strutturalmente più complessa, composta da specie arbustive, come il Lentisco (Pistacia lentiscus) e la Fillirea (Phillyrea latifolia), e da lianose, quali lo spinoso Stracciabrache (Smilax aspera), il Caprifoglio (Lonicera implexa) e la Clematide fiammola (Clematis flammula). La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 59 In alto, un esempio di macchia pioniera a Ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus ssp. macrocarpa) nei pressi di Montalto Marina (Vt). Nelle altre immagini, altri aspetti di macchia lungo le coste laziali. 60 Capitolo 4 Alcuni esempi di macchia mediterranea più interna e complessa, in cui dominano specie arbustive, quali il Lentisco (Pistacia lentiscus), la Fillirea (Phillyrea latifolia) e l’Alaterno (Rhamnus alaternus), e lianose, quali lo Stracciabrache (Smilax aspera). Tutte le immagini si riferiscono a siti costieri del Lazio. La vegetazione costiera sabbiosa e la presenza di specie esotiche 61 Nelle zone ancora più interne, caratterizzate da suoli più maturi, compare il Leccio (Quercus ilex) che di norma costituirebbe il vero e proprio bosco litoraneo o “Lecceta”. Grazie alla loro struttura chiusa, le leccete si mostrano abbastanza resistenti all’invasione di specie aliene o ruderali. Nel Lazio, tuttavia, tali formazioni sono divenute rare a causa dello sfruttamento edilizio e, nella maggior parte dei casi, sono state sostituite da rimboschimenti a Pino (Pinus sp.). Esempi di boschi litoranei a dominanza di Leccio (Quercus ilex) nel Lazio. 62 Capitolo 4 Nel Lazio, come in altri contesti costieri, l’azione antropica ha spesso condotto alla quasi totale scomparsa dei boschi litoranei. Sono invece relativamente frequenti i rimboschimenti a Pino (Pinus sp.) in sostituzione delle antiche leccete. 5. ANALISI DELLE SPECIE ESOTICHE NEGLI ECOSISTEMI COSTIERI SABBIOSI DEL LAZIO Allo stato attuale, la flora italiana presenta circa l’11% di specie esotiche naturalizzate. La nostra attenzione è stata focalizzata sulle specie delle coste sabbiose laziali. Sono state censite 47 entità aliene, pari all’8,5% della flora totale rilevata. Alcune fra esse sono state classificate come invasive (circa il 15%), tra cui: Carpobrotus acinaciformis/C. edulis, Agave americana, Erigeron canadensis e la Nappola delle spiagge (Cenchrus incertus); altre come naturalizzate (21%), tra cui il Fico d’India (Opuntia ficusindica), la parassita Cuscuta (Cuscuta scandens subsp. cesattiana) e l’archeofita Canna domestica (Arundo donax); un numero elevato come casuali (circa il 41%), introdotte principalmente a scopo ornamentale e frequenti in prossimità di siepi o abitazioni, tra cui: la Jucca (Yucca gloriosa), la Gazania (Gazania rigens), l’Erba cristallina (Aptenia cordifolia), la Bella di notte (Mirabilis jalapa), il Viburno americano (Lantana camara), la Camadorea (Chamaedorea elegans), l’Erba miseria asiatica (Commelina communis) e l’Aloe (Aloe barbadensis); altre come esclusivamente coltivate (17%) soprattutto per rimboschimenti tra cui: l’Olivagno (Elaeagnus angustifolia) e gli Eucalipti (Eucalyptus globulus e E. camaldulensis); infine, alcune sono state considerate come esotiche dubbie (6%), poiché non tutti gli autori concordano sulla loro esoticità o non si conosce con esattezza il luogo di origine ovvero l’epoca della loro introduzione in Italia. La maggior parte delle aliene censite lungo il litorale laziale è compreso nelle Famiglie tassonomiche più comuni e a larga distribuzione. Le Famiglie più rappresentative sono risultate, infatti, le ASTERACEAE, con una percentuale di circa il 17%, le POACEAE e le FABACEAE, entrambe con una percentuale del 6%. È stata osservata, tuttavia, anche una percentuale apprezzabile di specie appartenenti a Famiglie meno comuni nel nostro Paese, quali AIZOACEAE, AGAVACEAE, OXALIDACEAE e ARECACEAE. Per quanto concerne gli areali di origine delle specie aliene degli ambienti costieri del Lazio, nel nostro studio è emerso che l’America rappresenta il continente d’origine del maggior numero di esse (22, 63 64 Capitolo 5 pari al 47% circa), seguito dall’Africa (17%) e dall’Asia (15%). Questi dati confermano quelli riguardati la flora d’Italia: la prevalenza di esotiche provenienti dal Nuovo Mondo è dovuta all’aumento del commercio e dello scambio turistico con questi Paesi. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l’Italia, per una serie di fattori, quali la posizione geografica occupata nel Mediterraneo, lo sviluppo delle coste, l’abbondanza di isole, le variazioni altitudinali e climatiche, offre alle entità vegetali che vi giungono un’enorme ricchezza di tipologie ambientali. È stata comunque riscontrata anche una percentuale non trascurabile di specie di origine africana; tra esse predominano le AIZOACEAE; si tratta di specie succulente introdotte soprattutto a scopo ornamentale. Il caso più noto riguarda la diffusione negli ambienti costieri del Carpobrotus acinaciformis. Originaria dalla regione del Capo (Sud Africa) e utilizzata spesso nelle opere di consolidamento dunale, si è rivelata essere una pericolosa specie invasiva. La percentuale di entità di origine africana (e, più in generale, di provenienza tropicale) potrebbe essere attribuita a un’influenza climatica sulla loro distribuzione, considerate le caratteristiche termofile che contraddistinguono il versante tirrenico. Sul litorale adriatico, in cui si registrano condizioni più temperate, studi recenti hanno riscontrato una maggiore presenza percentuale di esotiche provenienti dall’Asia e dalle regioni extra-tropicali. Con l’intento di analizzare le caratteristiche morfologico-funzionali che permettono alle aliene di diffondersi in ambiente costiero e, per alcune, di invaderlo, abbiamo rivolto l’attenzione alle forme biologiche delle specie esotiche rilevate. Le più frequenti sono risultate le fanerofite (36%) e le terofite (circa il 30%), seguite dalle geofite (19%) e dalle camefite (circa l’11%). Alcune differenze importanti sono emerse classificando le specie in base al loro status di invasività. La maggior parte delle fanerofite rilevate, infatti, sono in prevalenza aliene casuali e le coltivate, introdotte a scopo ornamentale o per i rimboschimenti. Le aliene invasive sono invece principalmente terofite (57%) e, in minor misura, camefite (29%). Le terofite invasive suggeriscono che l’elevata produzione di semi riesca a facilitare le loro capacità di dispersione e di colonizzazione. Analisi delle specie esotiche negli ecosistemi costieri sabbiosi del Lazio 65 Le specie invasive perenni, invece, (soprattutto camefite) sono spesso rizomatose o stolonifere, adattamenti che promuovono una dispersione locale ma veloce. La riproduzione vegetativa nelle specie esotiche è infatti considerata una strategia vantaggiosa per la loro invasività. L’Agave americana mostra una vigorosa riproduzione vegetativa. Le due immagini in alto mostrano gli individui disposti in fila per la presenza di stoloni. In basso, scavando pochi centimetri nella sabbia, si evidenzia la morfologia di uno stolone. 66 Capitolo 5 Alcune entità, in particolare Agave americana e le specie del genere Carpobrotus, mostrano una riproduzione vegetativa tanto robusta e vigorosa che riescono a ricoprire in tempi brevi aree sempre più estese, sottraendo via via maggior spazio vitale alle specie autoctone. Il Carpobrotus spp. unisce grandi capacità di riproduzione vegetativa mediante stoloni (si osservino, in particolare nell’angolo in basso a destra, le tipiche disposizioni in file quasi rettilinee e regolarmente distanziate di individui, segno evidente della presenza di stoloni) a quella ottenuta attraverso la dispersione dei semi, cosicché riesce a colonizzare aree anche molto estese in tempi brevi, tendendo a ricoprirle completamente o comunque sottraendo crescente spazio vitale alle altre specie, con danni consistenti per quelle autoctone. Analisi delle specie esotiche negli ecosistemi costieri sabbiosi del Lazio 67 Altre immagini che attestano la frequente presenza di Carpobrotus spp. (in alto) e Agave americana (al centro e in basso) lungo i litorali sabbiosi. La coppia di fotografie in alto e quella al centro ribadiscono il costante apporto alla propagazione di entità esotiche invasive da parte di aiuole di stabilimenti balneari e strutture turistiche o di giardini di abitazioni situate spesso in prossimità degli arenili, problema che potrebbe essere almeno arginato con opportuni interventi di informazione e sensibilizzazione. 68 Capitolo 5 Nel loro complesso, dunque, le aliene invasive sono in grado di invadere molto velocemente nuovi spazi dunali attraverso due strategie principali di dispersione: producendo un numero molto elevato di semi (Erigeron canadensis, Cenchrus incertus) o avanzando rapidamente per mezzo di organi vegetativi (Carpobrotus, Agave). Le sviluppate capacità di dispersione e occupazione degli spazi possono perciò spiegare perché alcune esotiche siano molto abbondati e riescano a colonizzare diversi habitat dell’ambiente dunale. In particolare, nel caso del genere Carpobrotus, si osserva che, alla già efficace riproduzione vegetativa per mezzo di stoloni, si aggiunge l’ulteriore via di diffusione attraverso i semi dispersi dagli uccelli. Le specie di questo genere riescono inoltre a tollerare livelli di salinità elevati e a sopravvivere anche in ambienti molto disturbati, motivo per cui sono spesso utilizzate in ambito costiero a scopo ornamentale. La diffusione veloce ed estesa ha fatto sì che, sulle dune tirreniche, si possono ormai osservare con una relativa frequenza tappeti molto densi di Carpobrotus dai quali la maggior parte delle specie dunali viene di fatto esclusa. Principali entità aliene riscontrabili lungo la zonazione dunale sulle coste del Lazio. Si sottolinea la grande adattabilità delle invasive Carpobrotus spp., che appare in grado di adattarsi con facilità alle diverse condizioni di tre distinti contesti zonali, e Agave americana, adattabile a due zone. SCHEDA 3. Forme biologiche Per forma biologica s’intende un tipo morfologico che può essere riconosciuto, con variazioni più o meno notevoli, ma sempre limitate, in diversi gruppi vegetali, indipendentemente dalla loro appartenenza tassonomica. Le forme biologiche si possono classificare in base a determinate caratteristiche macromorfologiche e funzionali delle piante. Molti autori si sono occupati dello studio delle forme biologiche ma il sistema proposto dal danese Raunkiaer agli inizi del ‘900 e formalizzato pochi anni dopo (RAUNKIAER, 1934) è ancora largamente adottato per gli studi di vegetazione nei paesi di clima temperato. L’idea di base di questo sistema è la definizione di tipi caratterizzati dalla posizione delle gemme, cioè degli organelli destinati alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione sfavorevole. In sostanza, tale posizione dipende direttamente dal tipo di strategia che la pianta ha adottato per la propria sopravvivenza (PIGNATTI, 1995). Le forme biologiche di Raunkiaer sono fondamentalmente cinque: • Fanerofite (P). Comprendono gli alberi, gli arbusti maggiori, le liane legnose e le epifite. Le gemme sono portate su germogli situati a un’altezza superiore a 30-50 cm dal suolo. • Camefite (Ch). Includono gli arbusti di piccole dimensioni, i suffrutici e le erbacee perenni che mantengono la porzione epigea durante la stagione critica. Le gemme sono portate a un’altezza inferiore a 30-50 cm dal suolo. • Emicriptofite (H). Vi appartengono tutte le piante erbacee perenni e bienni che portano le gemme svernanti a livello della superficie del suolo. • Geofite (G). Sono le piante erbacee perenni la cui parte epigea muore nella stagione sfavorevole e le cui gemme sopravvivono sotto il suolo, su organi ipogei (rizomi, bulbi, tuberi, radici) e, nel caso di specie d’acqua dolce (elofite e idrofite), sotto il pelo dell’acqua. • Terofite (T). Sono le piante annuali, stagionali o effimere, che all’approssimarsi della stagione sfavorevole concludono il proprio ciclo vitale con la dispersione dei semi che attendono la buona stagione per germinare. 69 SCHEDA 3 – Forme biologiche 70 Schema delle forme biologiche secondo Raunkiaer (da RAUNKIAER, 1934, modificato). P: fanerofita, Ch: camefita, H: hemicriptofita, G: geofita. Le gemme destinate alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione sfavorevole sono state evidenziate in nero. Le terofite non vengono rappresentate in questo schema poiché, durante la stagione sfavorevole, le gemme si trovano all’interno del seme. L’elenco che segue riporta alcuni sottogruppi delle forme biologiche relativi alle specie esotiche di maggiore rilevanza presenti sulle dune costiere del Lazio, con le abbreviazioni utilizzate nel Capitolo successivo: P scap Fanerofita scaposa P caesp Fanerofita cespitosa P succ Fanerofita succulenta NP Nano-Fanerofita Ch caesp Camefita cespitosa Ch suffr Camefita suffruticosa G rhiz Geofita rizomatosa T scap Terofita scaposa T par Terofita parassita 6. LA DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE ESOTICHE SULLE COSTE LAZIALI Il litorale laziale è costituito principalmente da spiagge sabbiose che si estendono per circa 236 km. Le coste rocciose sono subordinate per estensione, sviluppandosi per un totale di circa 63 km, e sono localizzate soprattutto nel Lazio centro-meridionale, in prossimità di Gaeta-Sperlonga e del promontorio del Circeo, mentre, nel Lazio settentrionale, risultano concentrate lungo la fascia compresa tra Civitavecchia e S. Marinella. I materiali sabbiosi che caratterizzano il litorale laziale provengono dagli apporti dei principali corsi d’acqua che sfociano in questa regione; la loro costituzione mineralogica è ovviamente legata alle peculiari tipologie litologiche affioranti nel bacino di ciascun fiume. I materiali deposti sul litorale a nord della foce del Tevere sono legati mineralogicamente agli affioramenti vulcanici dei monti Vulsini, Sabatini, Vicani e del complesso Cerite-tolfetano. La litologia delle spiagge di questo settore è quindi generalmente caratterizzata da depositi fluvio-lacustri e sabbie, se si fa eccezione per la zona di Civitavecchia, in cui si osservano depositi clastici eterogenei e calcareniti. A sud del Tevere, invece, si rilevano spiagge caratterizzate da percentuali più elevate di calcite e frammenti litici calcarei, soprattutto in corrispondenza del Monte Circeo e della costa rocciosa tra Sperlonga e Gaeta. Lungo il settore costiero del Lazio sono presenti caratteri climatici tipicamente mediterranei, contrassegnati cioè da un periodo di aridità estivo e da temperature medie annuali elevate. Per quanto riguarda le invasioni da parte di specie esotiche, come molti ambienti costieri sabbiosi mediterranei, anche quelli del Lazio risultano assai vulnerabili a tale fenomeno, essendo particolarmente soggetti a numerosi fattori di disturbo naturali e antropici. Per contrastare il fenomeno, è importante disporre di un’aggiornata e adeguata conoscenza della presenza e dei caratteri biologici di tali entità esotiche, valutandone con accuratezza lo stato attuale e la dinamica temporale. Si riportano, nelle pagine seguenti, le note descrittive salienti e la distribuzione di alcune specie esotiche censite lungo la costa laziale, selezionate fra quelle più diffuse o significative. 71 72 Capitolo 6 Agave americana L. Famiglia: Agavaceae Nome volgare: Agave Forma biologica: P caesp Origine: America settentrionale (probabilmente, dal Messico) Descrizione: pianta succulenta (alta fino a 8 m) provvista di un rizoma legnoso ingrossato e di uno scapo eretto, grosso fino a 1 dm, con squame indurite. Cresce in dense rosette basali con foglie sempreverdi, rigide a forma di spada, lineari-lesiniformi (lunghe 8-18 dm, larghe alla base fino a 3 dm), di colore verde-bluastro, o variegate di bianco crema, con spine di 1 cm sul bordo ed una lunga spina apicale. Infiorescenza a pannocchia ampia, lunga 2-5 m, costituita da fiori tubulari di colore giallo chiaro. La pianta è molto longeva e si accresce durante 10-15 anni, quindi fiorisce un’unica volta e poi muore, lasciando molti germogli basali che si sviluppano come piante singole. Riproduzione: sessuale e vegetativa mediante stoloni, che radicano con molta facilità Impollinazione: entomofila L’Agave americana è molto diffusa nei contesti dunali sabbiosi del Lazio, spesso in prossimità di insediamenti abitativi. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 73 Epoca d’introduzione: in Italia, nel XVI secolo Motivo d’introduzione: ornamentale (spesso coltivata vicino le abitazioni) Possibile invasività: nel Centro-Sud è naturalizzata negli incolti e sul bordo di strade, dove si propaga rapidamente soprattutto per via vegetativa. Cresce rigogliosamente anche su suoli sabbiosi e, dunque, sulle dune costiere. Per quanto riguarda la risorsa idrica, si tratta di una specie che riesce a sopportare senza difficoltà anche lunghi periodi di siccità. Considerata sfuggita a coltura e molto frequente nel Lazio. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in numerosi quadranti; riproduzione vegetativa massiccia da esemplari coltivati vicino abitazioni o stabilimenti balneari. Aloe barbadensis Miller Famiglia: Liliaceae Nome volgare: Aloe Forma biologica: NP Origine: Africa Orientale, Arabia e India; poi naturalizzata nei Caraibi e di qui introdotta in Europa (in Italia, naturalizzata in Calabria, Sicilia e Ischia) Descrizione: Pianta di 8-15 dm con fusto legnoso robusto, raramente ramificato, portante un denso ciuffo di foglie simili alla lama di una spada (ensiformi 6-10 × 45-65 cm) succulente, grasse, rigide, dentate sul bordo. Scapo eretto, generalmente ramificato, fiori numerosi e gialli con petali conniventi a tubo (2-2,5 cm), stami e stilo sono sporgenti; la capsula è ovoide. 74 Capitolo 6 Esemplare di Aloe barbadensis in un contesto dunale sulla costa del Lazio. Riproduzione: sessuale e vegetativa mediante stoloni Impollinazione: entomofila Epoca d’introduzione: neofita Motivo d’introduzione: ornamentale e per uso medicinale Possibile invasività: considerata naturalizzata nell’Italia meridionale. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in pochi quadranti; coltivata e apparentemente dotata di una limitata capacità riproduttiva per via vegetativa. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 75 Aptenia cordifolia (L. f.) Schwantes Famiglia: Aizoaceae Nome volgare: Erba cristallina cordifolia Forma biologica: Ch suffr Origine: Africa meridionale (Regione del Capo) Descrizione: Fusti legnosi alla base di 3-5 dm; foglie opposte un po’ grassette con picciuolo di 1 cm e lamina cordato-acuminata (1,5-2 × 22,5 cm). Fiori purpurei del diametro di 12-15 mm. In coltura è diffuso l’ibrido Red Apple, ottenuto probabilmente da cordifolia × haeckeliana. Esempi della presenza di Aptenia cordifolia in contesti dunali costieri del Lazio. 76 Capitolo 6 Fioritura di Aptenia cordifolia sulle dune sabbiose presso Tor San Lorenzo (Roma). Riproduzione: sessuale e vegetativa tramite stoloni Impollinazione: entomofila Epoca d’introduzione: neofita Motivo d’introduzione: ornamentale Possibile invasività: naturalizzata sui muri in alcune località dell’Italia meridionale; sfuggita a coltura e considerata rara nel Lazio. In California è considerata invasiva. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in pochi quadranti; coltivata vicino gli stabilimenti balneari e forse in grado di limitata riproduzione vegetativa. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 77 Carpobrotus acinaciformis (L.) L. Bolus Carpobrotus edulis (L.) N.E. Br. Famiglia: Aizoaceae Nome volgare: Fico degli Ottentotti Forma biologica: Ch suffr Origine: Africa meridionale Descrizione: Pianta perenne succulenta di 1-5 dm, glabra e carnosa con fusti striscianti erbacei lunghi fino a parecchi metri. Le foglie sono opposte, trigono-carenate e i fiori solitari. Nella Flora d’Italia (PIGNATTI, 1982) si distinguono due specie: C. edulis e C. acinaciformis. Il primo ha fiori con stami gialli e foglie con larghezza massima alla base (fino a 13 mm), lunghe 8-12 cm, progressivamente ristrette nell’apice acuto e denticolate sul margine. C. acinaciformis, invece, ha fiori con stami purpurei, e foglie ingrossate nella metà apicale, più brevi (5-8 cm), spesse fino a 15 mm e con margine intero. Originario dell’Africa meridionale, il Fico degli Ottentotti (Carpobrotus spp.) si è ampiamente diffuso in numerosi contesti costieri, compresi i litorali del Lazio. 78 Capitolo 6 Esistono tuttavia, per il genere Carpobrotus, problemi tassonomici non ancora risolti. Per questa ragione, abbiamo preferito considerare la distribuzione sulla costa laziale del complesso Carpobrotus acinaciformis/C. edulis. Riproduzione: sessuale e vegetativa (tramite suddivisione del fusto strisciante, per cui possono facilmente stabilirsi in nuovi luoghi). Riproduzione sessuale anche per autogamia. Impollinazione: entomofila Dispersione: endozoocora Epoca d’introduzione: neofita Motivo d’introduzione: ornamentale (coltivate, in prevalenza, presso gli stabilimenti balneari), spesso utilizzate anche per la stabilizzazione di dune e scarpate. Possibile invasività: Sfuggita a coltura e facente parte della Flora laziale. In Italia, è naturalizzata in numerose regioni costiere. È infatti ben adattata alle dure condizioni che caratterizzano le dune e cresce rigogliosamente su suoli sabbiosi lungo le coste mediterranee. Il Carpobrotus spp. si adatta con grande facilità alle dure condizioni ambientali delle dune sabbiose. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 79 Carpobrotus è un esempio di specie modificatrice del paesaggio e della vegetazione costiera in ambito mediterraneo, con dimostrati impatti sulle comunità vegetali invase. Ovunque esso si trovi, è stato osservato che il Carpobrotus produce una perdita di diversità floristica, formando tappeti larghi fino a 20 m e profondi circa 50 cm. Il successo delle specie del genere Carpobrotus è dovuto alla loro tolleranza a diverse condizioni di umidità del suolo e a diverse concentrazioni di nutrienti, nonché all’utilizzo di un certo numero di uccelli e mammiferi per la dispersione dei semi. Gli impatti ecologici esercitati da questa specie riguardano per lo più l’aggressiva competizione nei confronti delle specie native, in quanto destabilizza le comunità delle dune e modifica il pH del suolo. Inoltre, presenta percentuali moderatamente elevate di radici fini, il che, associato anche all’estrema superficialità di alcune radici laterali, dà indicazioni su come tali specie cerchino di attingere alla maggiore quantità di acqua nel minor tempo possibile, ad esempio subito dopo il verificarsi di un evento piovoso, per poi immagazzinarla nelle foglie. È stato osservato che il Carpobrotus spp. riesce a formare tappeti anche molto estesi, determinando notevoli danni in termini di riduzione della diversità floristica. 80 Capitolo 6 Tali caratteristiche la rendono una straordinaria e confermata competitrice per la risorsa idrica, nei confronti di quelle specie distribuite nelle immediate vicinanze. Oltre che in Italia, il genere Carpobrotus è considerato invasivo degli ambienti dunali costieri in California, Grecia, Spagna, Francia, Portogallo e altrove. In numerose aree della Penisola Iberica sono stati avviati, infatti, progetti di eradicazione finanziati dal Programma LIFE dell’Unione Europea. Situazione attuale sulle dune laziali: Carpobrotus è stato rinvenuto in quasi tutti i quadranti. In alcuni casi, risulta addirittura la specie esotica a copertura prevalente. Cenchrus incertus L. Famiglia: Poaceae Nome volgare: Nappola delle spiagge Forma biologica: T scap Origine: America tropicale e subtropicale Descrizione: Erbacea di 1-3 dm con culmi prostrati o ascendenti, ramosi. Foglie con un ciuffo di peli (1-2 mm) nella zona della ligula, per il resto glabre o finemente pubescenti, le superiori rigonfio-spatiformi e con lamina più o meno convoluta larga 4-6 mm; ligula di peli. Spighette appaiate dentro un involucro globoso, portante una decina di reste, che a maturità sono indurite, formando aculei spinosissimi; fiori inferiori (maschili) con lemma di 5 mm, fiori superiori con lemma di 6-7 mm; cariosside ovoide (2 × 3 mm). Riproduzione: sessuale Impollinazione: anemofila Dispersione: principalmente epizoocora La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 81 La Nappola delle spiagge, Cenchrus incertus, in un ambiente sabbioso della costa meridionale del Lazio. Epoca d’introduzione: osservata per la prima volta a Venezia nel 1933; nell’immediato dopoguerra era considerata rara. Motivo d’introduzione: probabilmente accidentale Possibile invasività: considerata comune e naturalizzata sul litorale tirrenico, su quello adriatico e anche altrove; beneficia fortemente del disturbo antropico (es. calpestio dei bagnanti che ne disperdono i semi), ma al tempo stesso rappresenta una vera piaga per il turismo balneare a causa dei frutti assai fastidiosi. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in pochi quadranti, spesso in siti molto disturbati. 82 Capitolo 6 Cuscuta scandens subsp. cesattiana Bertol. Famiglia: Convolvulaceae Nome volgare: Cuscuta Forma biologica: T par Origine: probabilmente America settentrionale Descrizione: Le specie di questo genere sono tutte molto simili. La determinazione specifica è complessa e possibile solo analizzando i caratteri interni del fiore. Pianta annuale parassita e dunque fortemente modificata. Fusti filamentosi giallastri formanti un denso intrico sulle piante ospiti. Foglie rudimentali, ridotte a squame allungate. Fiori pentameri in glomeruli densi. Capsula di 3,5-4 mm, semi di 1,5 mm. Vive principalmente su Echinophora spinosa e Xanthium strumarium; tra le numerose specie del genere è l’unica specializzata per la vita su piante psammofile. Riproduzione: sessuale Impollinazione: entomofila I fusti filamentosi della Cuscuta scandens ssp. cesattiana formano un intrico dal caratteristico colore giallastro sulle piante ospiti. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 83 Epoca d’introduzione: neofita Motivo d’introduzione: probabilmente accidentale Possibile invasività: naturalizzata in varie regioni. Esotica non proveniente da coltura e comune nel Lazio. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in pochi quadranti. Datura stramonium L. subsp. stramonium Famiglia: Solanaceae Nome volgare: Stramonio Forma biologica: T scap Origine: America tropicale Descrizione: Pianta di 5-15 dm con fusto prostrato o ascendentedicotomo, pubescente. Foglie alterne con picciuolo di 2-4 cm e lamina largamente ovata di 6-13 × 10-15 cm con grossi denti acuti e base troncata. Fiori solitari ascellari su peduncoli di 3-10 mm; calice tubuloso (6-8 × 25-30 mm) con denti acuti di 5-7 mm; corolla candida o in parte purpurea, tubulosa, lunga 6-8 cm, con lobi lesiniformi divergenti. Capsula grande come una noce (3-5 cm) irta d’aculei. Semi neri di 3 mm. Pianta molto tossica. Riproduzione: sessuale (fiori ermafroditi attinomorfi) Impollinazione: entomofila Dispersione: epizoocora Epoca d’introduzione: neofita 84 Capitolo 6 Datura stramonium ssp. stramonium, le cui proprietà velenose e narcotiche hanno trovato una certa applicazione farmacologica come antiasmatico. Motivo d’introduzione: ornamentale e medicinale Possibile invasività: divenuta cosmopolita; in stazioni aperte, su ruderi e in stazioni sabbiose costiere. Scompare rapidamente quando la vegetazione tende a chiudersi. Esotica non proveniente da coltura frequente nel Lazio. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in pochi quadranti; beneficia del disturbo antropico. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 85 Eucalyptus globulus Labill. Famiglia: Myrtaceae Nome volgare: Eucalipto Forma biologica: P scap Origine: Australia Descrizione: Albero (20-40 m) a crescita rapida con corteccia grigioazzurrastra, staccantesi in strisce lunghe fino a parecchi dm. Foglie sempreverdi profondamente dimorfe, le giovanili opposte, ovate o ovato-lanceolate, amplessicauli (4-9 × 7-16 cm), le definitive alterne, con picciuolo di 1-3 cm e pendule, lamina falciforme (2-4 × 10-25 cm), acute. Fiori isolati, raramente 2-3 all’ascella delle foglie, formati dal ricettacolo legnoso (1-2 cm) che avvolge l’ovario e sul quale s’inseriscono gli stami; calice e corolla caduchi. Capsula emisferica con 4 costolature. Riproduzione: sessuale (fiori ermafroditi attinomorfi) Impollinazione: entomofila Dispersione: autocora Un dettaglio di fiore, ricettacoli e foglie di Eucalipto (Eucalyptus globulus). 86 Capitolo 6 Epoca d’introduzione: nella metà dell’Ottocento Motivo d’introduzione: ornamentale, rimboschimenti, prosciugamento di terreni paludosi. Si tratta infatti di una specie dal rapido accrescimento e dalle ottime capacità drenanti, utilizzata per lo più nelle opere di bonifica. Possibile invasività: In Italia è in grado di formare semi in quantità limitata, ma pare che non sia una specie naturalizzata. Situazione attuale sulle dune laziali: poche unità appartenenti al genere Eucalyptus sono state rinvenute presso rimboschimenti di conifere. Anche l’Eucalyptus camaldulensis si osserva, raramente, presso rimboschimenti a pino. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 87 Gazania rigens (L.) Gaertner Famiglia: Asteraceae Nome volgare: Gazania Forma biologica: Ch caesp Origine: Africa meridionale Descrizione: Pianta erbacea dotata di una rosetta di foglie di forma lanceolata. Foglie coperte di peluria e quindi di colore biancastro. Infiorescenza a capolino relativamente grande con fiori ligulati molto evidenti. Fioriture di Gazania rigens in alcuni contesti sabbiosi della costa laziale. Riproduzione: sessuale Impollinazione: entomofila Epoca d’introduzione: neofita Motivo d’introduzione: ornamentale Possibile invasività: considerata casuale in Spagna. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in pochi quadranti; in apparenza non si trattava d’esemplari coltivati. 88 Capitolo 6 Opuntia ficus-indica (L.) Mill. Famiglia: Cactaceae Nome volgare: Fico d’India Forma biologica: P succ Origine: Neotropicale Descrizione: Piante adulte fino a 4-5 m di altezza. Fusti legnosi ramosissimi, articoli obovati o ellittici (10-20 × 20-50 cm), carnosi, di colore verde brillante, generalmente detti pale; presentano poche spine biancastre, acuminate, generalmente isolate e lunghe fino a 1 cm. Fiori gialli, a coppa, del diametro di 6-7 cm, disposti sui margini delle pale. Frutti ovoidi lunghi 5-9 cm, carnosi, spinosi, verdi, divengono rosso porpora a maturazione, commestibili. Il Fico d’India (Opuntia ficus-indica) in siti costieri laziali. In evidenza, fiori e frutti. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 89 Riproduzione: sessuale (fiori ermafroditi attinomorfi) e vegetativa (dagli articoli caduti a terra si sviluppano nuove piante) Impollinazione: entomofila Dispersione: endozoocora Epoca d’introduzione: introdotto in Europa poco dopo la scoperta dell’America Motivo d’introduzione: ornamentale e per i frutti eduli oltre che per il suo utilizzo nelle siepi Possibile invasività: largamente naturalizzato nell’Italia centro-meridionale e nelle Isole. Più a Nord, sulla costa tirrenica fino alla Liguria diventa più rara e presente solo in colture. Sfuggita a coltura e frequente nel Lazio. Si adatta senza problemi a qualsiasi terreno, purché sia ben drenato e sabbioso. Preferisce i luoghi soleggiati. La pianta inoltre è di facile diffusione, riuscendo a riprodursi per talea. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in un buon numero di quadranti; coltivata vicino gli insediamenti umani e apparentemente capace di riprodursi almeno per via vegetativa. Oxalis articulata Savigny Famiglia: Oxalidaceae Nome volgare: Acetosella rizomatosa Forma biologica: G rhiz Origine: Sudamerica Descrizione: Piante erbacea di 1-3 dm, ha un rizoma con segmenti ingrossati e fusto nullo, foglie con picciuolo eretto di 5-30 cm e segmenti obcordati bilobi all’apice, cime ombrelliformi, petali rosa. 90 Capitolo 6 Fioritura di Acetosella (Oxalis articulata) in un sito costiero del Lazio. Riproduzione: sessuale per autogamia, ma più frequentemente vegetativa Impollinazione: entomofila, spesso autogama Dispersione: autocora Motivo d’introduzione: ornamentale Possibile invasività: naturalizzata, è considerata sfuggita a coltura e comune nel Lazio. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in pochi quadranti, nei rimboschimenti e nel retroduna. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 91 Xanthium orientale L. subsp. italicum (Moretti) Greuter Famiglia: Asteraceae Nome volgare: Nappola italiana Forma biologica: T scap Origine: Esotica dubbia. Sottospecie originata in Europa da piante di probabile origine americana della specie Xanthium strumarium L., oggi a distribuzione cosmopolita. Descrizione: Pianta annuale 3-12 dm, ruvida su fusto e foglie. Fusti eretti, ramosissimi dalla base e formanti un cespuglio emisferico, talora arrossati. Foglie con picciuolo di 5-15 cm e lamina triangolare (712 × 8-12 cm), palmato-trinervia, dentata e crenata sul bordo, troncata e cuneata alla base. Capolini maschili di 6-8 mm su peduncoli brevi; capolini femminili biflori, avvolti da un involucro ellissoidale indurito (7 × 15 mm, con le spine 13 × 22 mm) irto di spine piegate ad uncino e formanti quasi un semicerchio; tutte le spine con setole patenti e peli ghiandolari alla base; frutto formato dall’involucro persistente. Xanthium orientale subsp. italicum in un contesto sabbioso sulla costa laziale. 92 Capitolo 6 Riproduzione: sessuale Impollinazione: entomofila Dispersione: principalmente epizoocora Epoca d’introduzione: Xanthium strumarium è segnalata in Europa già nel 1542 Motivo d’introduzione: probabilmente accidentale Possibile invasività: comune negli incolti, sui ruderi, sulla sabbia presso il mare. Comunissima nel Lazio. Lo X. orientale subsp. italicum presenta percentuali elevate di radici fini sul totale della lunghezza dell’intero apparato radicale ed è quindi contraddistinta da un apparato radicale ben fornito di radici assorbenti, la cui funzione principale è quindi quella di attingere risorse dal suolo, il che fa di tale specie un forte competitore. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in molti quadranti. Yucca gloriosa L. Famiglia: Agavaceae Nome volgare: Jucca Forma biologica: P caesp Origine: America settentrionale (dalla Carolina alla Florida) Descrizione: pianta (1-3 m) dotata di tronco breve (5-10 dm) o nullo, foglie lineari-nastriformi larghe 3-6 cm e lunghe 50-90 cm, acute e coriacee. Infiorescenza ampia con numerosi fiori penduli di colore latteo. Apparentemente, non riesce a fruttificare in Italia. La distribuzione delle specie esotiche sulle coste laziali 93 La Jucca (Yucca gloriosa) è piuttosto diffusa nei contesti sabbiosi delle coste laziali, in prossimità di abitazioni e stabilimenti balneari. In basso, dettaglio della fioritura. 94 Capitolo 6 Riproduzione: sessuale e vegetativa Impollinazione: entomofila Epoca d’introduzione: neofita Motivo d’introduzione: ornamentale Possibile invasività: considerata casuale vicino le abitazioni. Situazione attuale sulle dune laziali: rinvenuta in numerosi quadranti; si riproduce apparentemente per via vegetativa da esemplari coltivati vicino abitazioni o stabilimenti balneari. 7. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Lo studio finora effettuato ha permesso di riscontrare la presenza di una notevole diversità di entità esotiche negli ambienti dunali costieri laziali, distribuite nei diversi habitat della zonazione costiera psammofila. In generale, si è riscontrata una maggiore presenza d’esotiche in ambienti particolarmente disturbati, per esempio presso i centri abitati oppure sulle spiagge, soprattutto dove le dune risultano pesantemente manomesse da interventi antropici. In queste aree, in cui i rapporti di competizione sono assenti o scarsi, le esotiche trovano la possibilità di affermarsi rapidamente, avviando i processi di colonizzazione. Delle numerose specie rinvenute ed esaminate, la maggior parte sembra essere costituita da aliene casuali mentre poche fra esse si possono considerare, con un certo margine di sicurezza, invasive negli ecosistemi dunali costieri. Va comunque precisato che spesso si tratta di specie con dimostrati impatti sulle comunità vegetali autoctone. Le coste sabbiose, dunque, si rivelano ancora una volta ambienti estremamente fragili che dovrebbero essere oggetto di ben precisi programmi di gestione, nell’ottica di preservare la loro biodiversità e, in modo particolare, con la finalità di proteggere le specie a rischio e i relativi habitat. Il contenimento delle specie vegetali esotiche resta senza dubbio una pratica difficilmente attuabile in modo definitivo. Tuttavia, se è illusorio ritenere di poter eradicare completamente le specie aliene dal nostro territorio, sono invece praticabili – e decisamente auspicati – opportuni interventi volti a limitarne la diffusione, privilegiando almeno i contesti in cui la loro presenza si è mostrata particolarmente nociva, come nel caso dei biotopi dunali. La responsabilità maggiore ricade inevitabilmente sulle istituzioni incaricate di gestire i territori costieri: la lotta alle specie esotiche comporta in primo luogo la rinuncia definitiva a usare alcune di esse per gli impianti di consolidamento, il divieto della loro coltivazione a scopo ornamentale (in primo luogo, le specie considerate invasive) in prossimità di stabilimenti e abitazioni, la messa in atto di interventi diretti di contenimento (tagli, asportazioni, ecc.) e la limitazione del di- 95 96 Capitolo 7 sturbo dato dalla frequentazione sregolata delle dune, causa prima della diffusione di tali ospiti indesiderati. Al contrario, si potrebbe ricorrere alle specie autoctone per la realizzazione di aiuole e siepi, ottenendo indubbi vantaggi non solo dal punto di vista ecologico ma anche paesaggistico. Tali interventi, tuttavia, dovrebbero essere accettati e condivisi anche da tutti coloro i quali, fuori dalle istituzioni, risiedono o svolgono attività lavorative nel territorio, senza trascurare il coinvolgimento di quanti lo frequentino, in particolare per turismo. Alle istituzioni, d’altronde, si chiede anche di operare in modo capillare e incisivo affinché tutti gli interessati siano meglio informati e resi più consapevoli del grande valore ambientale rappresentato dalle nostre dune costiere. Una corretta informazione dei cittadini sulle problematiche ancora aperte potrebbe concorrere ad accrescere forme di consenso, sostegno e partecipazione verso gli interventi di tutela e conservazione, apportando benefici in termini di efficacia. In effetti, il problema difficile da affrontare oggi, quando molti danni sono già stati compiuti, resta quello di pianificare e condurre una gestione corretta e integrata delle fasce litoranee, adottando modalità che tengano conto – in modo realistico – di un loro sviluppo sostenibile. Glossario Abiotico: relativo a fattori ambientali di natura chimica o fisica (per esempio, l’acqua, il suolo, la concentrazione dei sali nel mare, la temperatura, i venti, la luce solare, il clima, ecc.). Aculeo: appendice più o meno indurita e appuntita dell’epidermide. Adattamento: risultato del processo per cui gli esseri viventi si adeguano morfologicamente e fisiologicamente alle condizioni ambientali. Alofilo: organismo tollerante la salinità nel substrato. Alofita: pianta terrestre adattata a vivere in ambienti ricchi di cloruro di sodio. Anemocora: pianta in cui il processo di disseminazione viene facilitato dal vento. Anemofila: pianta in cui il trasporto del polline avviene per mezzo del vento. Annuale: con ciclo vitale che dura una sola stagione vegetativa. Antropizzazione: trasformazione delle caratteristiche di un territorio, paesaggio o ecosistema per effetto dell’intervento umano. Archeofita: pianta esotica introdotta prima della scoperta dell’America. Areale: area di distribuzione di una specie vivente sul pianeta. Ascella: angolo compreso tra il picciolo della foglia e l’asse che lo porta. Ascendente: dapprima parallelo al suolo, poi eretto. Autocora: pianta la cui disseminazione avviene per caduta diretta dei semi al suolo, per lancio a breve distanza o per interramento con movimenti operati da peduncoli fiorali che si incurvano fino a terra. Autoctono: nativo del luogo stesso in cui vive. Autogamia: impollinazione diretta, con trasporto del polline dalle antere ai pistilli di uno stesso fiore. Battigia: striscia di spiaggia lungo la quale salgono e si smorzano le onde. Biocenosi: comunità animale o vegetale. Biodiversità: varietà e variabilità della vita presente in un ecosistema. Biotico: riguardante la vita; biologico. Biotopo: unità di ambiente fisico in cui vive una popolazione, animale o vegetale, o una biocenosi. Bulbo: grossa gemma sotterranea costituita da un breve fusto circondato da numerose foglie a forma di squame che si ricoprono le une con le altre. La parte più interna, allungandosi, produce il fusto e le foglie. Camefita: pianta con gemme svernanti portate a un’altezza inferiore a 50 cm dal livello del suolo. 97 98 Glossario Capolino: infiorescenza costituita da fiori sessili portati da un ricettacolo piano o conico, con aspetto di un singolo fiore (per esempio, margherita). Capsula: frutto secco che a maturità si apre rilasciando i semi. Cariosside: tipico frutto delle POACEAE (per esempio, grano). Caule: fusto, organo che sostiene foglie, fiori e frutti (v. anche Fusto). Cespitoso: organismo vegetale che forma un cespo, ossia un ciuffo d’erba, di foglie o anche di fiori che nascono dalla base di un fusto principale. Coriaceo: duro e resistente come il cuoio. Cosmopolita: specie vivente diffusa in tutti i continenti. Culmo: stelo diritto, nodoso, internamente cavo, proprio delle POACEAE (per esempio, grano). Depressione interdunale: zona ribassata tra due cordoni dunali. Ecologia: scienza che studia le relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente in cui vivono, con particolare riferimento all’influenza che le variazioni ambientali esercitano sugli organismi viventi. Ecosistema: unità ecologica di base costituita da un determinato ambiente, dagli organismi animali e vegetali in esso viventi e dalle loro mutue relazioni. Edafico: relativo al suolo. Emicriptofita: pianta con gemme svernanti alla superficie del suolo. Endozoocora: pianta la cui dispersione dei semi o dei frutti è ottenuta in seguito alla loro ingestione da parte di animali (generalmente, uccelli o mammiferi). Entomofila: pianta la cui impollinazione avviene per opera degli insetti. Epigeo: sopra la superficie del suolo. Epizoocora: pianta la cui dispersione dei semi o dei frutti è ottenuta mediante il loro trasporto sulla superficie corporea di organismi animali, trattenuti da spine o altri accorgimenti. Eradicazione: eliminazione. Eretto: assetto normalmente verticale. Ermafroditismo: presenza in un unico individuo degli organi riproduttivi di entrambi i sessi. Erosione: azione abrasiva esercitata in vario modo sulla parte superficiale della litosfera dagli agenti naturali quali vento, acqua e ghiaccio. Esotica: specie originaria di altre aree geografiche, introdotta più o meno recentemente per cause antropiche dirette o indirette, in un territorio non compreso nel suo areale naturale. Fanerofita: pianta con gemme svernanti portate a un’altezza maggiore di 50 cm dal suolo (albero o arbusto). Glossario 99 Fenologia: scienza che studia i rapporti che intercorrono tra i fattori climatici connessi col succedersi delle stagioni e i cicli degli organismi viventi. Fitocenosi: comunità vegetale. Fitoclimatico: relativo al rapporto tra il clima e la distribuzione degli organismi e delle comunità vegetali. Fitogeografia: scienza che studia la distribuzione delle specie vegetali sulla superficie terrestre. Fitosociologia: disciplina, fondata dal botanico svizzero J. Braun-Blanquet, che descrive il popolamento vegetale in un determinato sito sulla base del riconoscimento delle associazioni vegetali. Fito-topografia: rappresentazione grafica e altimetrica della vegetazione lungo un determinato profilo territoriale. Fusto: parte aerea dell’asse di una pianta vascolare o parte sotterranea anatomicamente simile (stolone, rizoma, bulbo, ecc.). Gemma: primordio di un nuovo asse vegetale, costituito da un breve asse coperto di squame. Geofita: pianta che supera la stagione avversa mediante gemme protette nel sottosuolo. Geomorfologia: scienza che studia la configurazione della superficie terrestre e i vari fenomeni che la modificano. Glabro: privo di peluria. Glomerulo: infiorescenza quasi sferica composta da piccoli fiori sessili. Habitat: insieme delle condizioni ambientali che permettono la vita e lo sviluppo di determinati organismi viventi. Humus: materiale di natura organica, in genere nerastro, ricco di sostanze nutritive soprattutto minerali e capace di trattenere molta umidità nella sua matrice colloidale, derivante dalla decomposizione di foglie e di tessuti morti di origine animale e vegetale depositatisi nel terreno. Ibrido: organismo prodotto dall’accoppiamento di due specie o varietà diverse. Idrofila: pianta che utilizza l’acqua per il trasporto del polline. Generalmente, indica le piante che prediligono luoghi molto umidi o ambienti acquatici veri e propri. Igrofila: specie che predilige ambienti umidi. Infestante: specie che si concentra o raduna in gran numero in un luogo, più o meno ristretto, producendo danni generalmente gravi. Internodo: parte di fusto o ramo compresa tra due nodi. Invasiva: specie esotica che, in assenza dei fattori che nelle regioni d’origine ne controllano la diffusione (per esempio, predatori o parassiti), si 100 Glossario propaga rapidamente su ampie superfici, diventando spesso una minaccia per la biodiversità. Invasività: tendenza di una specie esotica a diventare invasiva in un determinato ambiente. Ipogeo: ciò che attiene al sottosuolo. Per estensione, organismo che vive e si sviluppa sottoterra. Lamina: parte espansa della foglia. Lanceolato: più lungo che largo, e con larghezza massima nella metà basale. Liana (lianosa): nome generico di piante, erbacee o legnose, il cui fusto allungato e debole non permette di raggiungere idonee condizioni di illuminazione per le foglie, se non appoggiandosi e avvolgendosi ad altre piante. Ligula: lembo allungato della corolla delle ASTERACEAE (per esempio, i fiori raggianti della margherita). Microclima: l’insieme delle particolari condizioni climatiche (soprattutto, temperatura, irraggiamento solare, esposizione ai venti ecc.) e bioclimatiche (ripari, ombreggiamenti ecc.) esistenti in uno spazio limitato e ristretto della superficie terrestre; esse possono prescindere in misura più o meno cospicua dalle caratteristiche climatiche generali riscontrabili nelle aree circostanti. Microfillia: adattamento in seguito al quale una specie vegetale sviluppa foglie molto piccole. Monitoraggio: controllo sistematico dell’entità di un fenomeno, una condizione o un processo. Morfologia: studio della struttura e della forma di organismi, corpi, elementi. Naturalizzata: specie aliena che si riproduce in maniera consistente e genera popolazioni in grado di sostenersi per molti cicli vitali senza intervento umano. Neofita: specie esotica introdotta dopo la scoperta dell’America. Nitrofilo: relativo a organismo che predilige terreni ricchi di azoto. Olocenico: relativo all’Olocene, il periodo più recente dell’Era Neozoica, iniziatosi circa 20.000 anni fa con il ritiro dei ghiacciai successivo all’ultima glaciazione. Ombrella: infiorescenza nella quale i peduncoli dipartono da uno stesso punto e raggiungono all’incirca la stessa altezza. Pannocchia: infiorescenza con asse ramificato e fiori peduncolati. Pappo: appendice piumosa, leggera, atta a favorire la diffusione anemocora del frutto o del seme (per esempio, soffione). Glossario 101 Parassita: organismo vivente che può vivere esclusivamente (p. obbligato) o preferibilmente (p. facoltativo) a spese di un altro organismo (ospite) dal quale ricava nutrimento. Il p. può causare disagi e danni, in misura assai varia, a carico dell’ospite, comprese l’induzione o la trasmissione di patologie, talora gravi. Patente: che si diparte ad angolo retto dal fusto. Perenne: specie che può sopravvivere per più cicli vegetativi. Pioniero: organismo che riesce a colonizzare ambienti di recente formazione. Plantula: piantina appena germinata dal seme. Predatore: organismo che cattura altri organismi (prede) a scopo di nutrimento, nell’interazione antagonista della predazione. Psammofilo: organismo che predilige suoli sabbiosi. Rachide: asse di una infiorescenza, di una foglia composta, ecc.. Resta: organo di aspetto lineare, filiforme o capillare, che generalmente costituisce il prolungamento di una foglia, di una parte del fiore o del frutto di alcune specie, soprattutto nella famiglia delle POACEAE. Ripascimento: apporto di nuova sabbia al litorale che opera una ricostruzione della spiaggia e contrasta l’erosione della costa. Rizoma: fusto sotterraneo ad accrescimento apicale, strisciante, con radici. Rosetta: insieme di foglie a internodi assai brevi, tanto da apparire nascenti da un unico punto. Ruderale: pianta che si sviluppa spontaneamente negli incolti, lungo i sentieri o in aree urbane. Scapo: fusto privo di foglie recante un fiore o un’infiorescenza. Sclerofilla: pianta a foglie coriacee, sempreverdi, ricche di tessuto sclerenchimatico di sostegno. Sedimentazione: processo in seguito al quale il materiale in sospensione nelle acque, fluviali e marine, si deposita sul fondo. Setola: filamento duro. Sintassonomia: disciplina che si occupa della classificazione e della nomenclatura delle associazioni vegetali. Spiga: infiorescenza semplice con fiori sessili su un unico asse. Spighetta: piccola spiga, parte di una spiga composta. Stame: organo maschile del fiore, composto da un filamento e da una antera recante il polline. Stilo: prolungamento dell’ovario, recante all’estremità lo stimma. Stoma: microscopica apertura nell’epidermide della foglia che permette gli scambi gassosi e la traspirazione. 102 Glossario Stolone: fusto strisciante appena sopra o sotto il livello del suolo. Succulento: organismo vegetale ricco di tessuto acquifero. Suffruticoso: organismo vegetale con base legnosa e rami erbacei. Talea: parte di una pianta (rametto, foglia, radice) che, interrata, emette radici e genera un nuovo individuo. Tassonomia: la disciplina che si occupa della classificazione e della nomenclatura degli organismi viventi. Termofilo: organismo adattato ad ambienti con temperature elevate. Terofita: pianta annuale, che supera le stagioni avverse allo stadio di seme. Traspirazione: perdita d’acqua da parte della pianta, mediante evaporazione superficiale. Trofico: relativo all’alimentazione. Tubero: organo vegetale ingrossato, più o meno globoso, per l’abbondante sviluppo di parenchimi di riserva; può avere origine dal fusto, dalle foglie o dalle radici. Xerofilo: organismo resistente alla siccità. Xerotermico: relativo a condizioni estremamente aride. Zonazione: distribuzione di tipi di vegetazione, secondo uno schema riconoscibile, su un territorio più o meno ampio. BIBLIOGRAFIA ACCORDI G., CARBONE F., CIVITELLI G., CORDA L., DE RITA D., ESU D., FUNICIELLO R., KOTSAKIS T., MARIOTTI G. e SPOSATO A.; Carta delle litofacies del Lazio-Abruzzo ed aree limitrofe. Note illustrative. Quaderni de “La Ricerca Scientifica”: 114 (5), 223, 1988. ACOSTA A., STANISCI A., ERCOLE S. e BLASI C.; Sandy coastal landscape of the Lazio region (Central Italy). Phytocoenologia: 33 (4), 715-726, 2003. ACOSTA A., STANISCI A., ERCOLE S. e BLASI C.; Sandy coastal ecosystems and effects of disturbance in Central Italy. In: Proceedings of the Brazilian Symposium on Sandy Beaches Morphodynamics, Ecology, Uses, Hazards and Management. A.H.F. Klein, C.W. Finkl, L.R. Rorig, G.G. Santana, F.L. Diehl, L.J. 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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI Area 01 – Scienze matematiche e informatiche Area 02 – Scienze fisiche Area 03 – Scienze chimiche Area 04 – Scienze della terra Area 05 – Scienze biologiche Area 06 – Scienze mediche Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie Area 08 – Ingegneria civile e Architettura Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Area 12 – Scienze giuridiche Area 13 – Scienze economiche e statistiche Area 14 – Scienze politiche e sociali Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su www.aracneeditrice.it Finito di stampare nel mese di maggio del dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.» Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma