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Volume 19 - Numero 7-8
Luglio-Agosto 2006
ISSN 0394-9303
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Volume 19 - Numero 7 - 8
Luglio - Agosto 2006
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ISSN 0394-9303
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Nei prossimi numeri:
Le acque minerali naturali
Rapporto annuale 2005 sulla legionellosi in Italia
Istituto Superiore di Sanità
Presidente: Enrico Garaci
Direttore Generale: Sergio Licheri
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a cura del Settore Attività Editoriali
Poste italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale 70% DC Lazio – Roma
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Volume
dell’Istituto Superiore
Superiore di
di Sanità
Sanità
19 dell’Istituto
Luglio - Numero 7 - 8
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Influenza aviaria e pandemia
Caratteristiche biologiche dei virus influenzali
Epidemiologia ed evoluzione di H5N1
Sorveglianza in Italia
Ruolo dell’avifauna selvatica
Diagnosi virologica
Il vaccino pandemico: problemi
e strategie di produzione
Il vaccino pandemico: il ruolo dell’industria
Il Piano Pandemico Italiano
Intervento di formazione dell’ISS in Cina
Inserto BEN
Bollettino Epidemiologico Nazionale
Fattori di rischio di morte in occasione delle ondate
di calore: risultati di uno studio caso-controllo
Il grado di dipendenza come indice della vulnerabilità
degli anziani in occasione delle ondate di calore
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dell’Istituto Superiore
Superiore di
di Sanità
Sanità
dell’Istituto
L’Istituto Superiore di Sanità
SOMMARIO
Gli articoli
Influenza aviaria e pandemia: arriverà mai un'altra "spagnola"? . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caratteristiche biologiche dei virus influenzali
e loro dimensione ecologica in relazione al rischio di pandemia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Influenza aviaria: epidemiologia ed evoluzione di H5N1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La sorveglianza in Italia dell'influenza aviaria
nelle specie aviarie domestiche e selvatiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ruolo dell'avifauna selvatica nell'ecologia dell'influenza:
14 anni di studio longitudinale in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Diagnosi virologica dell'influenza:
dall'epidemia stagionale all'emergenza pandemica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il vaccino pandemico: problemi e nuove strategie di produzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il vaccino pandemico: il ruolo dell'industria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il Piano Pandemico Italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'intervento di formazione dell'Istituto Superiore di Sanità
per il controllo dell'influenza aviaria in Cina: un modello da replicare? . . . . . . . . . . . . . . . . 3
5
9
12
15
18
21
25
27
30
Bollettino Epidemiologico Nazionale (Inserto BEN)
Fattori di rischio di morte in occasione delle ondate di calore:
risultati di uno studio caso-controllo, Bari (estate 2005) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i
Il grado di dipendenza come indice della vulnerabilità degli anziani
in occasione delle ondate di calore: qualche indicazione
proveniente dallo Studio Argento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . iii
è il principale ente di ricerca italiano
per la tutela della salute pubblica.
è organo tecnico-scientifico
del Servizio Sanitario Nazionale
e svolge attività di ricerca, sperimentazione,
controllo, consulenza, documentazione
e formazione in materia di salute pubblica.
L’organizzazione tecnico-scientifica
dell’Istituto si articola in Dipartimenti,
Centri nazionali e Servizi tecnico-scientifici
Dipartimenti
Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria
Biologia Cellulare e Neuroscienze
Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare
Farmaco
Malattie Infettive, Parassitarie
ed Immunomediate
• Sanità Alimentare ed Animale
• Tecnologie e Salute
•
•
•
•
•
Centri nazionali
• AIDS per la Patogenesi e Vaccini
• Epidemiologia, Sorveglianza
e Promozione della Salute
• Qualità degli Alimenti e Rischi Alimentari
• Trapianti
Servizi tecnico-scientifici
• Servizio Biologico e per la Gestione
RIASSUNTO - Nessuna previsione è ovvia per le malattie infettive, tutto può
succedere. Malattie mai sconfitte come la tubercolosi e la malaria sposano
eventi del tutto inattesi come la recente epidemia di SARS. Prepararsi alle sorprese dovrebbe essere quindi la norma. Studiare e combattere l’influenza stagionale è il modo migliore per “prepararsi” a una possibile, molto temuta, pandemia di influenza aviaria, e lo si fa cercando soprattutto di riempire il vuoto
di conoscenze sull’evoluzione del virus e su come generare nuovi antivirali e
un vaccino pandemico. Fortunatamente, la paura della pandemia ha stimolato
investimenti in quest’area, in particolare per la generazione di mezzi diagnostici rapidi al letto del paziente e di un vaccino antinfluenzale “universale”. Tutto
questo è trattato da veri specialisti nel settore, che possono trasmettere ai lettori del Notiziario, insieme alle loro conoscenze, un messaggio di fiducia sulla
capacità di un Istituto di sanità pubblica come l'Istituto Superiore di Sanità di
saper contrastare al meglio una nuova pandemia d’influenza.
Parole chiave: virus, influenza, pandemia
SUMMARY (Special issue on avian influenza) - In infectious diseases, no expectation is obvious and everything can happen. Emergences due to unexpected
agents ( SARS coronavirus, for instance) are well matched with everyday pandemics due to old, undefeated agents (e.g. M.tuberculosis and Plasmodia). In
this field, “be prepared to the unexpected “ should be the norm, and this goal
can only be reached if fight what we know. Influenza is just a case in point.
The best way we have to be prepared for the much feared, 2000 pandemia
is fighting against the seasonal influenza by filling the gaps we still suffer in
the knowledge about the virus evolution, the antivirals and vaccines. Lucky
enough, the fear stimulated investments in this area, particularly in the rapid
diagnostics at the patient bed and the possibility of generating a universal
vaccine. All this is dealt with in this issue of the Notiziario by true experts in
the field, hoping that a confidence message in the capacity of a public health
institution like Istituto Superiore di Sanità to meet the challenge of a possible
influenza pandemia could be taken by the readership.
Key words: virus, influenza, pandemia
[email protected]
della Sperimentazione Animale
• Servizio Informatico, Documentazione,
Biblioteca ed Attività Editoriali
Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità
e Direttore responsabile: Enrico Garaci
Redattore capo: Paola De Castro
Redazione: Anna Maria Rossi, Giovanna Morini
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Impaginazione e grafici: Giovanna Morini
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e tecnici è dei singoli autori.
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Iscritto al n. 475/88 del 16 settembre 1988.
Registro Stampa Tribunale di Roma
© Istituto Superiore di Sanità 2006
Numero chiuso in redazione l'11 agosto 2006
Stampa: Tipografia Facciotti s.r.l. Roma
Questo numero monografico del Notiziario .
è stato realizzato grazie .
alla preziosa collaborazione di Angela Guderzo
Influenza aviaria e pandemia:
arriverà mai un'altra "spagnola"?
Antonio Cassone
Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, ISS
N
elle malattie infettive nulla è davvero prevedibile, e la sorpresa è sempre dietro
l’angolo. Chi avrebbe mai previsto che il
Coronavirus della SARS, cioè un membro di una
famiglia di virus che fino a ieri al massimo provocava poco più che un raffreddore, potesse invece
scatenare una polmonite emorragica mortale? E
tutte le emergenze epidemiche degli ultimi 40 anni,
dall’AIDS alle febbri emorragiche, e al ritorno in
grande stile della tubercolosi anche nei Paesi industrializzati, erano forse “prevedibili”? Ed era forse
prevedibile, alla fine degli anni ’70, che oggi avremmo visto circolare nei nostri ospedali alcuni batteri
praticamente resistenti a tutti gli antibiotici?
Ciò premesso, e premesso quindi che il verbo
del microbiologo di sanità pubblica è be ready
for the expected and care the unexpected, cioè sii
pronto per quello che ci si aspetta e stai attento a
quello che non ci si aspetta, ci sono molti segnali
che rendono probabile una nuova pandemia
influenzale con caratteristiche di diffusione e
aggressività che la farebbero assomigliare alla
cosiddetta influenza ”spagnola”, la prima e
finora più devastante pandemia causata da un
virus influenzale (fra 30 e 50 milioni di morti
complessive, cioè poco meno del 3% dell’intera
popolazione mondiale di allora, e con un quarto/terzo della popolazione che si è ammalata, in
alcuni Paesi).
Fra tutti, il segnale premonitore più importante è il fatto che il virus dell’influenza aviaria
H5N1 si sia ormai adattato all’uomo, come
dimostrato dalla sua elevata letalità (più del
50% dei colpiti) ma in cui rimane poco o nulla
trasmissibile, esattamente il contrario del virus
influenzale stagionale, che è molto trasmissibile
ma poco letale per l’uomo. Un secondo segnale
di grande rilevanza è dato dal fatto che ormai
i due virus condividono in maniera endemica
gli stessi ospiti (vari uccelli, alcuni mammiferi
e l’uomo stesso) in una sempre più estesa area
geografica. Ci sono quindi tutti i presupposti
per una “ricombinazione” fra il virus aviario e
quello stagionale in uno o più di questi ospiti
e che questo possa generare un nuovo virus che
assommi i tratti peggiori di trasmissibilità e
virulenza di entrambi. Questo certamente scatenerebbe una pandemia tipo “spagnola” anche
perché si tratterebbe di un nuovo virus contro
cui non esiste un livello di immunità protettiva
già presente nella popolazione.
u
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):3-4
3
A. Cassone
In questo numero del Notiziario dell'Istituto
Superiore di Sanità, vari colleghi illustrano le basi
virologiche ed ecologiche dell’emergenza e l’evoluzione dei virus influenzali, i rischi per l’uomo
e gli animali connessi a queste emergenze e quali
siano le attività di controllo che il nostro Paese ha
messo in atto per contrastare la pandemia (Piano
Pandemico), con particolare riguardo agli aspetti
diagnostici e vaccinali. A questi si aggiunge la
descrizione di un'importante esperienza di formazione in un Paese quale la Cina che, per le sue
caratteristiche ambientali e demografiche, pone
sempre particolari segnali di allarme in campo
infettivologico. Si tratta di contributi di autorevoli esperti internazionali nel settore su argomenti
caldi, che saranno peraltro dibattuti in un prossimo Workshop internazionale che si terrà nel
nostro Istituto nell'ottobre 2006.
Quello che voglio
qui dare è però una
risposta a una domanda che è sempre circolata nei media e
nella popolazione e
alla quale ho spesso
notato una timidezza
di risposta da parte
anche di autorevoli
colleghi, una timidezza che ha provocato
inutili allarmismi e
ingiustificati timori nella popolazione.
Mentre infatti l’operatore di sanità pubblica deve essere “prudente” (molti non lo
sono stati) nel pronosticare se e quando
una nuova pandemia influenzale avrà luogo, deve
essere chiaro ed esplicito nel dire quali sono le
misure di contrasto a una nuova pandemia e
cosa possa avvenire (i famosi “scenari“ dei nostri
epidemiologi).
La domanda è: in caso di una nuova pandemia
da H5N1 mutato, o nuovo virus ricombinante, potremmo avere le stesse conseguenze della
“spagnola”? Ci sono varie ragioni per pensare e
dichiarare che così non sarà. Infatti, per quanto
virulento e trasmissibile possa essere un ipotetico
4
nuovo virus, non è pensabile che esso possa provocare le “stragi” della spagnola. All’epoca della
spagnola, non si sapeva nemmeno che esistessero
i virus influenzali e non si poteva fare rapida
diagnosi seguita almeno da isolamento e quarantena; non esistevano vaccini e sostanze antivirali
disponibili; i sistemi sanitari erano inefficienti e
poco sviluppati; non esistevano antibiotici per cui
molti ammalati di influenza in realtà morivano di
complicanze respiratorie batteriche, oggi curabili;
eravamo al tempo della Prima Guerra Mondiale e
non esisteva un’organizzazione internazionale che
potesse coordinare le operazioni di controllo della
pandemia a livello mondiale.
Oggi siamo invece in possesso di efficaci
armi di controllo e monitoraggio, in una situazione di cooperazione internazionale che, come
dimostrato nel caso della SARS, può portare alla rapida identificazione del virus e
all’approntamento
di tutto quanto è
necessario per arrestare la diffusione della
malattia, in particolare una pressocché
immediata diagnosi
del nuovo virus, con
tutte le conseguenze
in termini di isolamento e quarantena,
e l’approntamento di
un efficace vaccino,
l’unica arma per un
reale abbattimento
della pandemia. Ciò
detto, rimane comunque prevedibile che
una pandemia di
influenza aviaria avrà elevati costi sanitari, sociali e in termini di mortalità, dovuti soprattutto
al fatto che un vaccino sarà disponibile solo
dopo alcuni mesi dall’inizio della pandemia: a
parità di altri interventi di controllo, la diffusione della malattia e la sua mortalità saranno
tanto più basse quanto prima sarà disponibile
tale vaccino. Quello che è purtroppo certo è che
le conseguenze più devastanti saranno sofferte
dalle popolazioni dei Paesi poveri. Ma questa
non sarebbe una novità.

caratteristiche biologiche
dei virus influenzali
e loro dimensione ecologica
in relazione al rischio di pandemia
Livia Di Trani1, Umberto Agrimi1 e Isabella Donatelli2
1Dipartimento di Sanità Alimentare ed Animale, ISS
2Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, ISS
L
e osservazioni degli ultimi
decenni inducono a ritenere che tra i microrganismi
che possono infettare l’uomo, i
più idonei ad assumere il ruolo
di patogeni emergenti sono i
virus a RNA. Tra i virus a RNA
figurano infatti i virus influenzali umani e animali, HIV, il
Coronavirus SARS-associato, il
virus Nipha, Hendra ed Ebola.
Le principali caratteristiche
comuni sono: l’elevata variabilità, in assenza dei meccanismi
di “correzione” (proof reading),
che eliminano le varianti virali;
l’ampia diffusione nel regno ani-
male; la capacità di riconoscere
tra i recettori dell’ospite diverse
strutture conservate nell’evoluzione delle specie e ampiamente
distribuite su cellule di diversi
organi e apparati.
I virus influenzali appartenenti alla famiglia degli
Orthomyxoviridae, presentano
una struttura sferica costituita da
un involucro esterno lipoproteico
(envelope), in cui sono inserite le
due proteine virali di superficie
emagglutinina (HA) e neuraminidasi (NA), che, oltre ad avere
un importante ruolo nel ciclo
replicativo virale, costituiscono
anche i principali antigeni contro
cui è prevalentemente indirizzata
la risposta immune dell’organismo naturalmente infettato e/o
vaccinato (Figura 1).
All’interno
dell’envelope
è contenuto il genoma virale
costituito da 8 distinte molecole di RNA monocatenario, a
polarità negativa. Come descritto più avanti, la segmentazione
del genoma virale permette, in
occasione di infezioni multiple,
lo scambio di materiale genetico
e l’emergenza di ibridi virali
potenzialmente pandemici (riassortimento genetico).
u
Neuraminidasi
(9 sottotipi)
Emagglutinina
(16 sottotipi)
VIRUS INFLUENZALE DI TIPO A
(-) ssRNA
Genoma distinto in 8 segmenti
Famiglia Orthomyxoviridae
Antigeni M1 (Matrix Protein)
e NP (ribonucleoproteina) distinguono:
Tipo A, B e C
Sottotipi del tipo A classificati sulla base degli
antigeni di superficie HA (hemagglutinin)
e NA (neuraminidase)
PB2 PB1 PA
1
2 3 4
M1
HA NP
5
NA
M2
M NS
NS2?
8
7
6
Figura 1 - Il virus dell'influenza
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):5-8
5
L. Di Trani, U. Agrimi, I. Donatelli
In base alle caratteristiche antigeniche delle proteine
interne della matrice (M) e del
nucleocapside (NP), i virus
influenzali sono classificati nei
tipi A, B e C. Tra questi solo
i virus A e B sono causa di
malattie clinicamente rilevanti
nell’uomo, mentre i virus di
tipo C sono, in genere, associati
a infezioni subcliniche di modesta entità e asintomatiche. Per
questo motivo i virus di tipo
C sono considerati di significato clinico/epidemiologico
praticamente nullo, tanto da
non essere inseriti nel vaccino
antinfluenzale commercializzato
annualmente in Italia e nel resto
del mondo.
I virus influenzali di tipo
A sono ulteriormente suddivisi
in sottotipi, in relazione alle
possibili combinazioni dei 16
sierotipi antigenici di HA e dei
9 sottotipi di NA attualmente
conosciuti (Figura 2). Tali virus
in natura infettano l’uomo e, a
differenza dei virus di tipo B,
diverse specie animali (1).
Variabilità e meccanismi
evolutivi dei virus influenzali
I virus influenzali subiscono
frequenti e permanenti cambiamenti del loro patrimonio genetico, determinando la comparsa
di nuove varianti antigeniche.
Questa variabilità interessa prevalentemente le due proteine
virali di superficie e costituisce
la caratteristica peculiare dei
virus influenzali, in grado di
influenzare fortemente la loro
distribuzione nella popolazione
e i trend della malattia influenzale nel tempo.
HA
HA
NA
NA
H1
H1
N1
N1
N2
N2
N3
N3
N4
N4
N5
N5
N6
N6
N7
N7
N8
N8
N9
N9
H2
H2
H3
H3
H4
H4
H5
H5
H6
H6
H7
H7
H8
H8
H9
H9
Le variazioni permettono al
virus di superare le barriere anticorpali che si oppongono alla
sua circolazione nella popolazione, vanificando l’immunità
conseguente a pregressa infezione naturale o a vaccinazione.
Di qui la necessità di procedere
a un aggiornamento periodico
della composizione vaccinale.
Due caratteristiche del meccanismo replicativo ed evolutivo del
virus dell’influenza giustificano il
successo epidemiologico di questa
malattia. Il cosiddetto drift antigenico, che consiste in variazioni
minori causate da mutazioni puntiformi nei segmenti genomici che
codificano la HA e la NA, è causa
delle annuali epidemie influenzali. Lo shift antigenico, esclusivo
dei virus influenzali di tipo A,
è costituito, invece, da variazioni maggiori, che comportano la
H10
H10
H11
H11
H12
H12
H13
H13
H14
H14
H15
H15
H16
H16
Figura 2 - Virus influenzale di tipo A. Sottotipi antigenici della emagglutinina e della neuraminidasi e ospiti animali
6
Caratteristiche biologiche dei virus influenzali
Virus umani
Virus aviari
H1 – H16
N1 – N9
H1 – H2 – H3
Figura 3 - Serbatoio naturale di nuovi sottotipi di virus influenzali umani di tipo A: uccelli acquatici (anatre e oche)
completa sostituzione di una o
di entrambe le proteine virali di
superficie. Questo meccanismo
è responsabile della comparsa di
varianti virali dotate di elevato
potere pandemico.
Influenza aviaria
Alcune specie di uccelli acquatici, in particolare gli Anseriformi
(anatre e oche), rappresentano
il serbatoio naturale dei virus
influenzali, principalmente per
alcune caratteristiche etologiche,
quali la tendenza all’aggregazione, la capacità di migrazione a
lunghe distanze e l’interazione
con l’ambiente acquatico contaminato (Figura 3). è noto che
esiste un’ampia diffusione di virus
influenzali nelle specie aviarie selvatiche, soprattutto migratorie.
Studi condotti negli ultimi anni
in Italia su uccelli selvatici, particolarmente anatidi, provenienti
dalla Russia siberiana e svernanti
nell’oasi del WWF di Orbetello,
hanno dimostrato una diffusa
circolazione di virus influenzali,
soprattutto di sottotipo H1, ma
anche di sottotipo H7 ed H5
(2, 3) (vedi articolo a pag. 15-17
“Ruolo dell’avifauna selvatica nell’ecologia dell’influenza: 14 anni
di studio longitudinale in Italia”).
Dalle specie selvatiche i virus
influenzali (H1-H16) possono
occasionalmente essere trasmessi
alle specie domestiche (pollame),
determinando l’influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI),
caratterizzata da un quadro sintomatologico aspecifico (sintomatologia respiratoria ed enterica
e alterazione della riproduzione).
Solo ceppi virali appartenenti
ai sottotipi H5 ed H7 possono
causare l’influenza aviaria ad alta
patogenicità (HPAI), malattia
sistemica in grado di indurre
tassi di mortalità del 100% negli
animali. è dimostrato che virus
LPAI H5 e H7, a seguito di cicli
ripetuti di replicazione nelle specie aviarie domestiche, possono
dare origine ai sottotipi HPAI (2,
3) (Figura 4).
Diversi sono poi i casi di passaggio all’uomo di virus HPAI
(vedi articolo a pag. 9 “Influenza
aviaria: epidemiologia ed evoluzione di H5N1”). Un recente lavoro dimostra inoltre, che, sebbene
raramente, virus a bassa patogenicità possono infettare l’uomo (4).
Rischio pandemico
è noto che alcune specie
animali suscettibili all’infezione da parte di virus influenzali
giocano un ruolo determinante nell’emergenza di pandemie
influenzali nell’uomo. I meccanismi attraverso cui può avvenire il passaggio di virus aviari
all’uomo sono diversi.
La trasmissione di virus dagli
uccelli all’uomo può infatti
avvenire per trasmissione diretta
di virus aviari, come avvenuto
nel 1997 a Hong Kong nel caso
dell’influenza dei polli causata
dal sottotipo A/H5N1 e come si
sta verificando nell’area del SudEst asiatico.
Alternativamente, un ceppo
influenzale aviario può emergere nella popolazione umana
a seguito di fenomeni di riassortimento genetico tra virus di
diverse origini animali, nel corso
di infezioni miste in un ospite
intermedio (specie suina), come
avvenuto nel 1957 (pandemia
“asiatica”) e nel 1968 (pandemia
“Hong Kong”) (5, 6).
Tuttavia, una volta compiuto
il salto di specie il virus, per u
7
L. Di Trani, U. Agrimi, I. Donatelli
•
Virus a bassa patogenicità (LP)
Sottotipi: H1, H2, H3, H4, H5, H6, H7, H8, H9, H10, H11, H12 , H13,
H14, H15, H16
• Non danno malattie fra gli uccelli selvatici
• Sono associati a leggere patologie tra il pollame domestico
• Sono diffusi a livello mondiale
•
Virus ad alta patogenicit
i à (HP)
Sottotipi :
H5
H7
in alcune situazioni:
• Possono evolvere in virus ad HP causando malattia grave fra gli uccelli
domestici (e selvatici)
• Alto tasso di mortalità tra il pollame domestico (90-100%)
• Non è ancora chiaro se la distinzione tra “alta patogenicità”
e “bassa patogenicità” è correlato al rischio di malattia tra gli umani
Figura 4 - Virus influenzali aviari
scatenare una pandemia nell’uomo, deve adattarsi al nuovo ospite, modificandosi in modo tale
da trasmettersi in maniera efficiente e stabile nella popolazione
umana. Da questo punto di vista
va sottolineato che il temuto A/
H5N1, che ha determinato l’abbattimento di decine di milioni
di polli e tacchini e che ha provocato numerose infezioni umane
nel mondo, non ha acquisito la
capacità di trasmissione interumana. Se la circostanza si verificasse potrebbe essere l’innesco
di una nuova pandemia, soprattutto se il ceppo circolante negli
uccelli si ricombinasse con quello
della nostra influenza stagionale.
Secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) l’attuale scenario epidemiologico corrisponde a una
situazione definita come “fase di
allerta pandemica” (vedi articolo
a pag 27-29).
Non è possibile prevedere
se e quando questo virus si
trasformerà in virus pandemico,
né, qualora ciò succedesse, il
preciso impatto della pandemia
che ne deriverebbe. La severità della malattia causata da un
8
nuovo ceppo virale, la rapidità
della sua diffusione e i gruppi
maggiormente suscettibili nella
popolazione sono variabili ignote e correlate alle caratteristiche
del ceppo pandemico.
Inoltre, gli allevamenti intensivi e promiscui, associati a condizioni igieniche e abitative non
ottimali, ad abitudini alimentari
particolari e primitive modalità
di macellazione e manipolazione
degli animali e i mercati all’aperto
di animali vivi, rappresentano il
substrato ideale per favorire le più
diverse trasformazioni genetiche.
Quello che si può affermare
fin da adesso è la scarsa probabilità che la nuova eventuale pandemia assomigli, come sostengono alcuni, alla prima pandemia
cosiddetta dell’influenza "spagnola" del 1918, con i suoi 50
milioni di morti, perché oggi
a differenza di allora, abbiamo
validi presidi vaccinali e terapeutici per sconfiggere tale evento.
D’altra parte, l’impatto di una
futura pandemia non deve essere
sottovalutato ed è necessario che
ogni Paese prepari, come richiesto dall’OMS, un proprio piano
pandemico da applicare in caso di
necessità, per contenere la diffusione del virus nella popolazione
(vedi articolo a pag. 27-29).

Riferimenti bibliografici
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mechanisms. Vet Res Commun
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3. De Marco MA, Foni E, Campitelli
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for avian influenza viruses in
wild bird species in italy. Vet Res
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with pandemic potential. J Virol
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Influenza aviaria:
epidemiologia ed evoluzione di h5n1
Massimo Ciccozzi, Laura Campitelli e Giovanni Rezza
Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, ISS
I
virus influenzali aviari, specialmente quelli
circolanti in volatili domestici, possono, in particolari situazioni, trasmettersi all’uomo.
La trasmissione dei virus influenzali aviari
all’uomo: cenni storici
Nel 1997, a Hong Kong, un virus influenzale
aviario, il sottotipo H5N1, colpì 18 persone, 6 delle
quali morirono (tasso di letalità superiore al 30%).
Nel 1999, un altro sottotipo influenzale, H9N2,
riuscì a passare la barriera di specie, causando una
sindrome influenzale lieve in due bambini di Hong
Kong. Nel febbraio del 2003, H5N1 colpì di nuovo,
a Hong Kong, due membri di una stessa famiglia,
al ritorno da un viaggio nella Cina meridionale.
Nell’aprile del 2003, mentre il mondo era terrorizzato dall’epidemia di SARS, un sottotipo influenzale
diverso, H7N7, causò 85 casi di congiuntivite o
malattia simil-influenzale lieve (a parte un caso letale
in un anziano veterinario) in persone che lavoravano
a contatto coi polli e casi secondari nei membri delle
loro famiglie. Nel dicembre 2003, H9N2 venne di
nuovo identificato in un bambino con una sindrome
influenzale a Hong Kong. Infine, all’inizio del 2004,
durante un’epizoozia verificatasi in allevamenti di
pollame in Canada, il sottotipo H7N3 causò una
dozzina di casi umani, caratterizzati da congiuntivite
e sintomi a carico del tratto respiratorio superiore.
Tale cronologia di eventi indica che la trasmissione da volatile a uomo, sebbene apparentemente
rara, può verificarsi, e che più sottotipi virali possono essere coinvolti (1).
H5N1: la crisi attuale
Quel che sta attualmente accadendo è però un
fenomeno del tutto nuovo. A partire dalla fine del
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):9-11 2003, il mondo vive una delle più grandi sfide mai
lanciate da un virus influenzale aviario. H5N1
ha causato, sino a ora, la più estesa epizoozia mai
registrata, colpendo dapprima una serie di Paesi
dell’estremo Oriente per estendersi poi, attraverso
le rotte dei migratori, all’Europa e all’Africa.
La persistenza e le dimensioni dell’epizoozia, la
capacità di infettare l’uomo combinata con l’elevato tasso di letalità, la possibilità che il virus muti e
diventi trasmissibile da uomo a uomo, rimandano
a una domanda che per ora non ha risposte certe:
“H5N1 determinerà un'epidemia su larga scala
negli esseri umani?”.
I casi umani di H5N1: andamento
temporale e distribuzione geografica
Dalla fine del 2003 al 21 aprile 2006, 204 casi
umani di influenza aviaria H5N1 sono stati riportati
da 9 Paesi; di questi, 113 (55,4%) sono risultati letali
(Tabella). Il Paese col numero maggiore di casi è il
Vietnam, seguito da Indonesia, Tailandia e Cina.
All’inizio del 2006, nel giro di poche settimane,
diversi focolai umani si sono verificati in Turchia e
poi in alcuni Paesi confinanti, quali l’Iraq e l’Azerbaijan, e infine in Egitto (Figura). Il tasso di letalità è
risultato variabile (dal 100% in Cambogia al 33% in
Turchia), suggerendo una diversa sensibilità dei sistemi di sorveglianza, che non appaiono in grado, in u
Tabella - Numero di casi umani di influenza da virus
aviario H5N1, decessi e tasso di letalità per anno di
calendario (Fonte: WHO, Ginevra)
Casi
Decessi
2003 2004 2005 2006 Totale
3
3
Letalità
100%
46
32
95
41
70% 43%
60*
37*
204
113
62% 55%
(*) Al 21 aprile 2006
9 M. Ciccozzi, L. Campitelli, G. Rezza
alcuni Paesi, di identificare i casi meno gravi. Inoltre,
la definizione di caso prevede la conferma di laboratorio, che non sempre si rende possibile.
Le modalità di trasmissione di H5N1
e i fattori di rischio
Nella stragrande maggioranza dei casi, le persone colpite hanno avuto un contatto diretto con
volatili da cortile malati o morti. Anche se si sono
verificati diversi cluster familiari, questi sono da
attribuire probabilmente all’esposizione a una fonte
comune di infezione. Si ipotizza che la trasmissione
possa avvenire portando agli occhi o al naso le mani
contaminate o attraverso aerosol di materiale fecale.
In molti casi si sono ammalate persone che avevano
soppresso e spennato dei volatili prima di cuocerli,
o bambini che avevano giocato con tali animali. La
promiscuità con volatili infetti e le scarse condizioni igieniche favoriscono la trasmissione dell’infezione: in Turchia, ad esempio, all’epoca dell’outbreak
invernale, i polli venivano tenuti direttamente dentro le case a causa del freddo intenso (2, 3).
La trasmissione da uomo a uomo si ritiene sia
estremamente rara e risulta probabilmente avvenuta solo in due casi osservati rispettivamente in
Tailandia e in Vietnam. Una bassa probabilità di
trasmissione interumana era già stata documentata
a Hong Kong, a seguito dell’outbreak del 1997,
laddove solo 1 su 54 operatori sanitari testati risultava avere titoli anticorpali elevati per H5N1. La
trasmissione interumana è stata invece ampiamente
documentata per H7N7 durante il famoso outbreak
verificatosi nel 2003 in Olanda tra i familiari di
addetti ad allevamenti di polli. Il motivo per cui
H5N1 è particolarmente virulento ma poco contagioso risiederebbe in una più elevata affinità per
i recettori polmonari rispetto a quelli delle alte vie
respiratorie (4).
L’imprevedibilità delle pandemie umane
Dal momento che i ceppi di H5N1 attualmente circolanti non si trasmettono efficientemente da persona a persona, il virus deve adattarsi
maggiormente all’uomo per poter provocare una
pandemia, ma non è attualmente prevedibile se e
quando si verificherà un’epidemia su ampia scala.
In termini probabilistici, maggiore è l’estensione
della epizoozia, e maggiore il numero di passaggi
dall’animale all’uomo, più elevato è il rischio che il
virus muti e si adatti maggiormente all’uomo. Per
questo motivo è importante analizzare gli isolati
virali e valutare l’eventuale presenza di mutazioni.
Azerbaijan
Casi: 8
Morti: 5
Cambogia
Casi: 6
Morti: 6
Cina
Casi: 17
Morti: 12
Egitto
Casi: 4
Morti: 2
Indonesia
Casi: 32
Morti: 24
Iraq
Casi: 2
Morti: 2
Thailandia
Casi: 22
Morti: 14
Turchia
Casi: 12
Morti: 4
Vietnam
Casi: 93
Morti: 42
Figura - Numero di casi umani e decessi da H5N1 per Paese (al 21 aprile 2006). Fonte: WHO, Ginevra
10
Epidemiologia ed evoluzione di H5N1
L’attuale virus H5N1: origine ed evoluzione
Per tracciare le origini genetiche ed ecologiche dei
virus H5N1 che hanno generato differenti epidemie,
bisogna risalire al genotipo virale responsabile dei
primi 18 casi umani a Hong Kong nel 1997. Questo
virus possedeva i due maggiori antigeni virali (emagglutinina o HA e neuraminidasi o NA) derivati da un
lineaggio identificato in Cina nel 1996 e denominato
A/Goose/Guangdong/1/96 (Gs/Gd), mentre i restanti 6 segmenti genici provenivano da un altro lineaggio
virale. Quindi, questo ceppo virale si è originato per
un fenomeno di riassortimento, lo stesso fenomeno
che è alla base della formazione dei successivi genotipi
virali osservati durante l’evoluzione di H5N1.
Infatti, a partire dal 2001, la maggior parte
dei segmenti genici presenti nel virus del 1997
sono stati sostituiti da segmenti provenienti da
altri lineaggi virali circolanti nelle popolazioni
di uccelli sia selvatici che domestici. Dalla fine
del 2003, e contemporaneamente alla diffusione
incontrollata del virus negli animali domestici del
Sud-Est asiatico, la quasi totalità dei virus isolati
sia nel pollame che nell’uomo appartenevano a un
solo genotipo (genotipo Z), che conserva solo il
segmento HA del lineaggio virale del 1997 (5).
In particolare, due mutazioni, finora individuate in alcuni isolati virali e che sembra possano
favorire la comparsa di una variante virale con
una maggiore capacità di trasmissione interumana
sono: il cambiamento da serina ad asparagina nella
posizione 223 (S223N) nel segmento di HA, e il
cambiamento da acido glutammico a lisina nella
posizione 627 di una delle 3 subunità della polimerasi virale (PB2). Quest’ultimo cambiamento
aminoacidico è noto per essere un determinante
della specificità di ospite nei mammiferi e si
riscontra anche in tutti gli isolati virali umani (9).
In conclusione, una conseguenza importante
dell’evoluzione del virus H5N1 è rappresentata dalla comparsa di virus con caratteristiche
antigeniche significativamente differenti, tali da
complicare la messa a punto di un vaccino, e
quindi il controllo di una possibile pandemia. La
variabilità genetica del pool dei virus influenzali
aviari H5N1 e la loro potenzialità pandemica
influenzale umana rafforza la necessità di adeguati sistemi di sorveglianza atti a individuare
precocemente catene di trasmissione interumana
dell’infezione e/o mutazioni del genoma virale
in grado di aumentare l’efficienza della trasmissione.

Come è evoluto e dove in 3 clades diversi Riferimenti bibliografici
1. Rezza G. Avian influenza: a human pandemic threat?
(quali mutazioni)
Il virus H5N1 di genotipo Z, divenuto dominante a partire dal 2004, è andato incontro a una
serie di cambiamenti evolutivi dovuti a mutazioni
di tipo puntiforme rese possibili dall’elevato tasso
di replicazione virale.
L’analisi filogenetica del gene dell’HA di ceppi
isolati tra il 2004 e il 2006 evidenzia tre raggruppamenti (o clades) principali, corrispondenti
ad aree geografiche distinte (Vietnam-Tailandia,
Indonesia-Cina, e Lago di Qinghai) (6). Al
raggruppamento rappresentato dai virus isolati
da uccelli selvatici migratori presso il Lago di
Qinghai in Cina appartengono anche i recenti
isolati virali in Europa, Africa e Medio Oriente.
Il confronto delle sequenze aminoacidiche dell’HA degli isolati virali del 2004-2005 con quelle del 1997 ha permesso di identificare 13 siti
polimorfici nell’HA, la maggior parte dei quali è
localizzata nelle vicinanze o all’interno di epitopi
antigenici e della regione deputata al legame con il
recettore cellulare (7). Altri siti sotto pressione selettiva positiva sono stati identificati nell'HA (8).
J Epidemiol Community Health 2004;58:807-8.
2. WHO. Avian influenza (“bird flu”) - Fact sheet. February
2006.Disponibile all'indirizzo: http://www.who. Int/
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3. Oncul O, Turhan V, Cavuslu S. H5N1 avian influenza:
the Turkish dimension. Lancet 2006;6:186-7.
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few human catch the H5N1 virus. Science 2006;
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11
la sorveglianza in italia
dell'influenza aviaria
NELLE SPECIE AVIARIE DOMESTICHE E SELVATICHE
Luca Busani e Lebana Bonfanti
Centro Regionale di Epidemiologia Veterinaria,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (Padova)
L'
Italia, in seguito alla decisione comunitaria 2006/101/
CE del 6 febbraio 2006, che
prevede l’obbligo per tutti gli Stati
Membri di attuare indagini mirate
per il controllo dell’influenza aviaria nel pollame e nei volatili selvatici, ha attivato per il 2006 un Piano
di sorveglianza nazionale. Obiettivo
generale della sorveglianza è fornire informazioni che garantiscano
l’attivazione di un sistema di allerta
rapido per la diagnosi precoce dell’eventuale introduzione dei virus
dei sottotipi H5 ed H7 negli alle-
12
vamenti, nel pollame domestico e
l’immediata adozione di misure di
controllo adeguate, al fine di minimizzare i rischi per la salute umana
e degli animali e le conseguenze
economiche e sociali collegate alle
epidemie d’influenza aviaria.
La sorveglianza riguarda sia
i volatili domestici sia i selvatici
che possono veicolare l’infezione
durante le migrazioni anche per
lunghe distanze.
Gli aspetti operativi del Piano
hanno riguardato la definizione
della popolazione avicola da sorvegliare e i criteri di selezione degli
allevamenti a maggiore rischio di
infezione. Per i volatili domestici si
sono incluse tutte le specie di volatili d’allevamento: pollo, tacchino,
faraona, selvaggina (quaglia, starna,
fagiano, ecc.), ratiti, oche e anatre e
gli allevamenti di svezzamento; per
tutte le specie si sono considerati
i riproduttori, gli allevamenti da
carne e le ovaiole per uova da consumo. I broiler e le quaglie da carne
sono stati esclusi in quanto il ciclo
produttivo è di breve durata e pertanto poco significative dal punto
di vista epidemiologico.
Per la scelta degli allevamenti
sono stati considerati i seguenti
fattori di rischio:
• allevamenti free range e all’aperto, che sono considerati i punti
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):12-14
Sorveglianza nelle specie aviarie
a maggior rischio per i possibili contatti con volatili selvatici
potenzialmente infetti;
• allevamenti multietà;
• allevamenti multispecie;
• animali a lunga vita produttiva.
Negli allevamenti selezionati,
su un campione rappresentativo di
volatili sono stati effettuati controlli
sierologici per evidenziare l’infezione da virus influenzali aviari.
I risultati dell’attività di sorveglianza 2005-2006, illustrati nella
Tabella 1, supportano la tesi che
gli allevamenti all’aperto, in particolare, rurali e agriturismi, rappresentano un fattore di rischio di
introduzione del virus influenzale
dalle popolazioni selvatiche a quelle domestiche. Pertanto, l’adozione
di rigorose misure di biosicurezza
negli allevamenti industriali risulta
essere una misura indispensabile
per la riduzione del rischi di introduzione del virus nelle popolazioni
domestiche.
Nell’area a elevata densità di
allevamenti avicoli (DPPA) delle
province di Verona, Brescia e
Mantova, in seguito alle precedenti esperienze di epidemie, è in
corso un “Piano di vaccinazione
d’emergenza” negli allevamenti di
tacchini da carne e galline ovaiole. In quest’area, al fine di individuare l’eventuale circolazione
di virus influenzali aviari in una
popolazione vaccinata, è in corso
una sorveglianza attiva negli allevamenti presenti. Questo sistema
di controllo, basato sulla strategia
Differentiating Vaccinated from
Infected Animals (DIVA) e sul
monitoraggio degli animali sentinella, è finalizzato all’identificazione precoce della circolazione
virale nell’area sottoposta al programma, come si è effettivamente
verificato nel marzo 2005 in provincia di Brescia (epidemia LPAI
H5N2).
Un’altra parte rilevante del
piano di sorveglianza ha riguardato
i volatili selvatici. Gli uccelli selvatici acquatici (in particolare, gli
Anatidi, i Caradriformi e i Limicoli)
sono i naturali serbatoi per i virus
dell’influenza aviaria. In generale,
le prevalenze di infezione in queste
specie sono basse e risentono di
variazioni geografiche e stagionali;
inoltre, nei serbatoi naturali, i virus
influenzali non provocano malattia
evidente. Il virus influenzale aviario
di sottotipo H5N1 ha dimostrato
di potersi trasmettere ai volatili selvatici e di essere trasportato anche
per lunghe distanze nel corso delle
loro migrazioni stagionali. Questo
virus ha provocato infezioni gravi
e mortalità nelle popolazioni selvatiche di uccelli migratori acquatici,
come segnalato in diverse parti del
Sud-Est asiatico e dell’Europa. u
Misure di biosicurezza
negli allevamenti
avicoli sono
indispensabili
per il controllo
della circolazione
di virus influenzali
nelle specie aviarie
domestiche
Tabella 1 - Allevamenti avicoli sottoposti a controlli nell’ambito del Piano
di sorveglianza nazionale 2005-2006 distinti per regione (dati aggiornati
al 31 marzo 2006)
Regione
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia*
Liguria
Trentino-Alto Adige
Veneto*
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale
n. allevamenti censiti n. allevamenti
campionati
308
12
339
30
80
723
75
512
143
65
146
122
77
70
87
130
11
65
129
71
249
0
306
28
52
514
57
406
99
59
80
84
52
28
85
92
0
56
110
36
3.195
2.393
(*) Allevamenti fuori zona vaccinazione
Nota: Quasi tutti i dati sono riferiti al periodo considerato, solo alcuni sono partiti da
settembre. La Basilicata ha fatto esami solo negli allevamenti rurali, non negli industriali
13
L. Busani, L. Bonfanti
Tabella 2 - Numero di esami fatti per sospetto di casi di infezione da virus influenzale aviario H5N1 in volatili selvatici
per specie coinvolta e per diagnosi definitiva (dati al 4 aprile 2006)
Provenienza
Abruzzo Basilicata
Calabria
Puglia
Sicilia
Trentino-Alto Adige
Veneto
Umbria
Specie
n. campioni sospetti
testati con esame
virologico c/o IZSVE*
n. campioni positivi H5N1
alta patogenicità
(HPAO)
Cigno
Cigno
Cigno
Cigno
Fischione
Moriglione
Volpoca
Cigno
Pollo sultano
Poiana
Cigno
Cigno
Germano
3
1
6
9
1
1
1
15
1
1
1
1
1
0
0
2
6
0
0
0
8
1
1
0
0
1
42
19
Totale
(*) Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Un'efficace
sorveglianza
dell'influenza
nelle specie aviarie
selvatiche
richiede l'intervento
coordinato
di numerose istituzioni
14
In Europa, dall’inizio del 2006,
in seguito anche a straordinarie
condizioni climatiche osservate in
Russia e Siberia, si è assistito a una
migrazione imprevista di specie selvatiche, tra cui cigni reali (Cygnus
olor) che hanno provocato focolai
di influenza aviaria in vari Paesi, tra
cui l’Italia. Dal gennaio 2006 alla
fine di marzo, sono stati identificati
16 cigni positivi, ritrovati morti o
moribondi in diverse aree del Sud
Italia e un germano (Anas plathyrincos) in Umbria, più altre specie selvatiche venute in contatto con cigni
infetti in alcuni centri di recupero
volatili selvatici (Tabella 2).
Il ruolo dei migratori quali
veicoli del virus HPAI sottotipo
H5N1, benché ancora non del
tutto chiarito, riveste importanza e
richiede un’attenzione continua alle
popolazioni di selvatici sia migratori sia stanziali, al fine di evidenziare
tempestivamente qualunque evento
anomalo riferibile all’AI (http://
www.izsvenezie.it/dnn/Portals/0/
AI/campioni_1110_1205.pdf ).
Al momento, i punti critici del
sistema sono rappresentati dalla
difficoltà di attuazione di efficaci
misure di biosicurezza negli allevamenti rurali, la scarsità di informazioni sul ruolo dei volatili selvatici
nel trasportare il virus H5N1 e
l’adozione di interventi mirati nella
gestione delle positività dei migratori oltre alla tempestività delle
notifiche.
La sorveglianza dell’influenza
aviaria ha richiesto la partecipazione
di varie istituzioni, tra cui l’Istituto
Nazionale per la Fauna Selvatica
(INFS), il Centro di Referenza
Malattie degli Animali Selvatici
(CeRMAS) e i servizi veterinari
regionali, con il coordinamento del
Centro di Referenza Nazionale dell’Influenza Aviaria presso l’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle
Venezie. Quest’attività in Italia ha
dovuto rapidamente adattarsi alle
nuove situazioni di rischio, estendendosi a tutto il territorio nazionale, richiedendo il censimento del
patrimonio avicolo e impegnando intensamente tutti i soggetti
coinvolti. Essa ha dimostrato, al
momento, di poter individuare e
gestire le situazioni di rischio.

RUOLO DELL’AVIFAUNA SELVATICA
NELL’ECOLOGIA DELL’INFLUENZA:
14 ANNI DI STUDIO LONGITUDINALE
IN ITALIA
Mauro Delogu1, Laura Campitelli2, Livia Di Trani3 e Isabella Donatelli2
1Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale,
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Bologna
2Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, ISS
3Dipartimento di Sanità Alimentare ed Animale, ISS
I
virus influenzali aviari
vanno incontro raramente a evoluzioni spontanee
verso patogenicità elevate negli
uccelli selvatici a vita libera,
come dimostra il solo caso
descritto non direttamente correlabile alla presenza di virus
HPAI nelle specie domestiche
(A/Tern/South Africa/1961,
H5N3). Nelle specie serbatoio
e nelle specie che si possono
ammalare, ma dove il virus
non riesce a sopravvivere nel
tempo (spill-over o epifenomeni, rappresentati comunemente
da specie aviarie domestiche), i
virus influenzali possono infettare numerose specie, la cui
recettività, variabile di volta
in volta, è condizionata sia da
mutazioni spontanee dell’agente eziologico, sia da caratteristiche intrinseche dell’ospite (1). Si tratta di per sé di
virus relativamente innocui se
non entrano a contatto con
grandi popolazioni recettive in
espansione, quali ad esempio,
quelle dell’avicoltura intensiva, per le quali rappresentano fattori di controllo demografico. Il costante aumento
delle epidemie del pollame in
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):15-17
Europa, Asia e America coincide non a caso con l’elevato
incremento delle produzioni
avicole in tutti questi Paesi. In
questo contesto si inseriscono
le ricerche nel serbatoio naturale, finalizzate a comprendere
meglio il ciclo ecologico che
permette la perpetuazione dei
virus nell’ambiente attraverso
il loro serbatoio naturale, ma
anche a valutare il rischio per
l’uomo e l’adozione di idonee
misure di profilassi, attraverso
l'individuazione dei ceppi virali
circolanti (2).
Con tali scopi il Centro di
Referenza Nazionale per l’Influenza dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità, con sede
presso l’Istituto Superiore di
Sanità, ha intrapreso sin dal
1992, assieme ad altri enti, una
ricerca sull’ecologia di questo
virus negli uccelli selvatici. La
raccolta dei campioni viene
svolta presso le Oasi WWF
di Orbetello e Burano. I virus
influenzali isolati dagli uccelli acquatici migratori e non,
durante l’azione di monitoraggio nell’area di studio, vengono
utilizzati sia per aumentare le
conoscenze su questi virus in
natura, quali fattori di rischio
per l’uomo, sia per mettere a
punto specifici vaccini.
Le principali direttrici di
movimento delle specie migratorie attraversano l’Europa da
Nord-Est verso Sud-Ovest e,
sorvolando la penisola scandinava, attraversano Gibilterra
giungendo in Africa. Altre rotte
originano da Paesi del NordEst europeo e giungendo in
Europa centrale seguono la
costa mediterranea dell’Italia in
cui in parte si fermano a svernare, mentre in parte proseguono verso l’Africa. Un ulteriore tragitto origina dall’estremo Nord-Est europeo (Russia),
attraversa i Balcani e raggiunge
le zone umide della costa adriatica in cui in parte sverna e
in parte prosegue per il Nord
Africa. Tra le rotte più orientali,
una attraversa il Centro Europa
per sfiorare il Mar Nero e sorvola la Romania, la Turchia,
per entrare in Africa orientale.
Eccezione fatta per le marzaiole
(Anas Querquedula) che svernano principalmente nell'Africa centro-occidentale, tutte le
altre specie utilizzano prevalentemente le zone umide del u
15
bacino del Mediterraneo come
aree di svernamento. L’Italia
funge sia da area di svernamento e di riproduzione per
alcune specie (Germano reale),
sia di solo svernamento per
la maggior parte degli anatidi,
con coinvolgimento migratorio primaverile e autunnale. Le
popolazioni svernanti in Italia
sono prevalentemente di provenienza europea nord-orientale
(3).
Durante l’attività di ricerca sono stati campionati oltre
10.000 soggetti appartenenti
a circa 40 specie selvatiche.
I risultati più salienti evidenziano come la specie reservoir
per eccellenza in Europa e
in Italia sia il Germano reale
(Anas Platyrhynchos), seguito dalle anatre di superficie,
poi dalle anatre tuffatrici e in
ultimo dagli spill-over (Figura
1) fornendo quindi un'ipotesi
probabilistica decrescente di
rischio legata alla presenza delle
diverse specie (4). Le folaghe
adulte presentavano sieroprevalenze maggiori delle giovani
mentre non vi erano differenze
sierologiche legate all’età nelle
anatre selvatiche.
n. soggetti campionati
M. Delogu, L. Campitelli, L. Di Trani et al.
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
1992-93
1993-94 1994-95 1995-96 1996-97
Anni
Germano reale
Anatra di superficie
In Figura 2 sono invece riportati i ceppi virali isolati nel periodo 1992-2001, suddivisi per sottotipo di emagglutinina (2, 5).
La maggior parte dei 16 sottotipi
esistenti in natura è stata identificata nelle popolazioni selvatiche
che si trovano in Italia, compresi
quelli (H5 e H7) precursori dei
ceppi ad alta patogenicità nel
pollame (4, 5). La lunga durata del monitoraggio sanitario,
iniziato nel 1992 a carico delle
popolazioni di anatidi e folaghe,
ha permesso di evidenziare in elevati numeri di volatili campiona-
n. isolati virali
20
15
10
5
H1
H2
H3
H4
H5
H6
H7
H10
H11
S ottotipi
Figura 2 - Circolazione di sottotipi virali influenzali nella fauna selvatica italiana, 1992-2001
16
Folaga
Figura 1 - Sieroprevalenza % verso virus influenzali di tipo A in uccelli
acquatici svernanti in Italia (n. 1.040 campioni)
25
0
Anatra tuffatrice
1997-98
ti (circa 1.300) l’assenza, fino al
2002, di positività sierologiche e
virologiche per il virus influenzale H7N1, responsabile nel 19992000 della gravissima epidemia
italiana verificatasi negli allevamenti intensivi di polli e tacchini, dove ha causato la morte di
circa 17 milioni di capi (6).
Dal 2001 al 2006 questa
attività di monitoraggio è stata
parte integrante di un progetto
finanziato dall'Unione Europea
nell’ambito del V Programma
Quadro della Ricerca Europea,
denominato FLUPAN. Tra gli
scopi principali del progetto,
oltre alla messa a punto di un
vaccino pandemico a partire da
ceppi virali aviari ad alta patogenicità, vi era l’allestimento di
una batteria di ceppi con emagglutinine di sottotipo diverso,
isolati dal serbatoio naturale, da
rendere immediatamente disponibili per l’allestimento di un
vaccino pandemico qualora un
virus di sottotipo nuovo per
la popolazione umana dovesse
emergere dal serbatoio animale,
ponendo un concreto rischio di
pandemia. Nell’ambito di questi
studi è stato possibile isolare
segue
titolo corrente
Inserto BEN
Bollettino Epidemiologico Nazionale
sorveglianze nazionali
Fattori di rischio di morte in occasione delle ondate di calore:
risultati di uno studio caso-controllo, Bari (estate 2005)
Massimiliano Di Renzi1†, Bruno Ciancio1,2, Nancy Binkin3, Alberto Perra3, Rosa Prato4, Antonino Bella3, Cinzia Germinario4,
Maria Teresa Balducci4, Giovanni Caputi4, Annarita Fusco4, Concetta Ladalardo4,
Domenico Martinelli4, Roberta Pastore4 e Antonella Spica4
1European Programme for Intervention Epidemiology (EPIET)
2Health Protection Agency Centre for Infection, London
3Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, ISS, Roma
4Osservatorio Epidemiologico Regione Puglia, Bari
5Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, Ministero della Salute, Roma
L
5
20
0
10
lio
lio
ug
0
8l
lug
lio
6
4l
ug
lio
gn
ug
2l
30
giu
gn
o
o
gn
giu
28
26
giu
gn
gn
giu
24
22
20
giu
gn
o
-5
o
30
o
10
o
40
temperatura max apparente
di morte per le quali si era osservato
un significativo incremento, erano
dovute a patologie cardiovascolari,
neurocognitive, setticemia, malattie
respiratorie, insufficienza renale e senectus (dati non pubblicati).
Durante l’ultima settimana di giugno e i primi giorni di luglio 2005, il
Sistema nazionale di allarme per la
prevenzione dell’impatto delle ondate
di calore (Heat Health Watch Warning
Systems (HHWWS)), ha rilevato in diverse città italiane un livello di allarme
3, definito come persistenza per almeno due giorni consecutivi di un livello
15
giu
n. di morti in eccesso
e elevate temperature estive,
specialmente se accompagnate da alti tassi di umidità, sono
associate a un incremento di mortalità, in particolare in adulti di età >65
anni (1).
Nel 2003 una grave ondata si calore
si è verificata in molti Paesi europei
con un drammatico incremento della
mortalità osservata rispetto a quella
attesa (2). In Italia, nello stesso periodo, si è osservato un eccesso di
oltre 3.000 decessi (3, 4) e uno studio
condotto nella sola città di Bari, ha
evidenziato che le principali cause
giorno
Decessi
Temperatura massima apparente
Figura - Eccesso giornaliero di mortalità e andamento della temperatura
massima apparente nella città di Bari (giugno-luglio 2005)
Not
Ist Super Sanità 2006;19(7-8):i-ii di temperatura apparente associato a
un rischio stimato di mortalità >25%
rispetto ai valori di base (Figura, i cui
dati sono relativi alla sola città di Bari). Tale riscontro ha suscitato grande
attenzione da parte dei media e della
popolazione in generale.
Pertanto, nel Piano Nazionale di
Prevenzione e Comunicazione sull’Emergenza Caldo (Decreto del Ministro della Salute 6 luglio 2005), fra le
diverse misure, è stato programmato
uno studio caso-controllo da parte
dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Lo studio, che aveva come target i
soggetti di età ≥65 anni residenti nelle città di Roma, Bari e Torino, è stato
successivamente, per motivi organizzativi, limitato alla città di Bari.
Avendo come scopo la definizione di un piano preventivo di azione,
l’obiettivo principale dello studio è
stato di identificare, durante un’ondata di calore nella città di Bari, i fattori
di rischio associati alla mortalità per
cause direttamente correlate al calore
oppure nelle quali il calore può aver
agito da fattore scatenante.
è stato quindi condotto uno studio
caso-controllo, appaiato per età e per
medico curante. I casi erano soggetti
di età ≥65 anni, deceduti a Bari nei
giorni in cui le morti in eccesso hanno superato di almeno il 25% quelle
attese (dal 30 giugno al 4 luglio e dal
1° al 3 agosto 2005), presenti nel- u
Not Ist Super Sanità 1i
Inserto BEN
l’area di studio durante il periodo di
esposizione all’ondata di calore (dal
primo giorno di temperatura massima apparente >30°C), nella cui scheda di morte fosse riportata una o più
delle seguenti cause: a) caldo/calore;
b) patologia cardiovascolare; c) cerebrovascolare; d) BPCO; e) patologia
neurocognitiva; f ) senectus; oppure
quando una delle seguenti condizioni fosse riportata senza altra causa
specificata: a) insufficienza renale
acuta e cronica; b) disidratazione; c)
iperpiressia; d) ipovolemia; e) sepsi
in cui non fosse specificata la sede
di partenza o l’agente eziologico; f )
infezione ove non fosse specificato
l’organo o apparato coinvolto o non
fosse specificato l’agente eziologico.
Tre controlli per caso sono stati
selezionati casualmente tra gli individui: a) viventi e presenti nell’area
di studio durante il periodo considerato a rischio; b) registrati presso lo
stesso medico curante del caso; c) di
età compresa tra ±36 mesi rispetto al
caso corrispondente.
I familiari o conviventi dei casi, i
corrispettivi controlli e i medici curanti sono stati intervistati telefonicamente mediante un questionario
precedentemente testato a Roma.
Le informazioni raccolte riguardavano: fattori di rischio clinici, livello di
autonomia nello svolgimento delle
attività della vita quotidiana (ADLactivities of daily living (spostarsi da
una stanza all'altra, andare in bagno,
lavarsi, fare il bagno o la doccia, vestirsi e spogliarsi, alimentarsi)), variabili personali, stato di isolamento,
abitudini di vita durante l’ondata di
calore, fattori di rischio ambientali.
Per ogni fattore di rischio sono
state calcolate gli odds ratio (OR)
appaiati grezzi. L’analisi multivariata
è stata condotta mediante regressione logistica condizionale includendo nel modello iniziale le variabili con un livello di significatività di
≤0,1 all’univariata. Il modello finale
è stato ottenuto mediante eliminazione progressiva delle variabili non
significative al test della verosimiglianza.
Sono stati inclusi un totale di 20
casi e 60 controlli. Diciassette casi
(89%) sono deceduti nella propria
abitazione. La causa iniziale di morte
è stata una malattia cardiovascolare
nel 59% dei casi, una patologia cerebrovascolare nel 18%. L’età media
ii
dei casi era simile all’età media dei
controlli, 85,1 e 84,7 anni rispettivamente.
Non è sorprendente che, vista la
definizione di caso, una percentuale
significativamente maggiore di casi era affetta da patologie croniche
cardio- e/o cerebro-vascolari (75% vs
43%), diabete (30% vs 8), patologie
che compromettono lo stato neurocognitivo (30% vs 10%). Inoltre, una
percentuale maggiore di casi era stata ricoverata in ospedale nell’anno
precedente (60% vs 22%).
L’analisi dell’autonomia nelle ADL
(lavarsi, vestirsi, andare in bagno,
spostarsi in casa, mangiare, essere
continenti) e nelle IADL - instrumental activities of daily living - (usare
il telefono, fare la spesa, preparare
i pasti, accudire alla casa, fare il bucato, spostarsi per la città con mezzo
proprio o trasporti pubblici, gestire
l’assunzione dei farmaci, gestire il denaro), ha mostrato per tutte le attività
che i casi avevano una minore probabilità di essere autosufficienti rispetto ai controlli. Inoltre, la percentuale
di casi con un livello di dipendenza
grave, definito da un punteggio ADL
≤2 o da un punteggio IADL ≤3, è stata significativamente maggiore tra i
casi che tra i controlli (60% vs 24% e
90% vs 45% rispettivamente).
L’analisi delle variabili relative alla
vita di relazione e allo stato di isolamento, ha evidenziato che svolgere
una qualunque attività fuori casa era
associato a un rischio minore di morte durante l’ondata di calore (OR: 0,1;
IC 95% 0,02-0,6).
Tra le abitudini di vita durante
l’ondata di calore, aver aumentato
il consumo di acqua bevuta in una
giornata tipo era significativamente
associato a un rischio minore di essere un caso (OR =0,2; IC 95% 0,07-0,8).
Nessuna delle variabili relative alla
situazione ambientale è risultata significativamente associata al rischio
di morte all’analisi univariata.
All’analisi multivariata, fattori indipendentemente associati al rischio
di morte durante un’ondata di calore sono l’essere autosufficienti in ≤2
ADL (mOR = 21,9; IC 95% 1,8-242,5;
p = 0,009), essere stati ricoverati
in ospedale nell’anno precedente
(mOR = 18,1; IC 95% 2,0-160,5; p =
0,015) e avere un condizionatore
d’aria funzionante in casa (mOR =
0,09; IC 95% 0,01-1,0; p = 0,05). Il
PAF% (population attributable fraction) ha indicato che il 72% delle
morti non si sarebbe verificato se
tutti avessero avuto un condizionatore d’aria in casa, mentre per gli altri
due fattori presi in considerazione il
PAF era del 57%.
In conclusione, durante l’ondata di
calore verificatasi a Bari nell’estate
2005, tra i soggetti di età superiore
a 64 anni, quelli con una salute più
fragile e con gravi limitazioni dell'autonomia nello svolgimento delle
attività della vita quotidiana si sono
rivelati a maggior rischio di morte
da cause attribuibili al caldo. Aver
incrementato il consumo di acqua
nei giorni di caldo ed avere un condizionatore d’aria funzionante in casa,
sono stati i fattori di protezione più
importanti, sebbene solo l’ultimo
fattore rimane significativo nell’analisi multivariata.
Nonostante le dimensioni limitate
dello studio, i risultati sono compatibili ad altri studi caso-controllo realizzati in Europa (1, 4). Questi risultati hanno importanti implicazioni
in termini di sanità pubblica. Infatti,
sebbene il verificarsi delle ondate di
calore non possa essere prevenuto,
alcuni interventi efficaci possono essere messi in atto per proteggere le
persone a rischio. è importante che la
popolazione a rischio sia identificata
in anticipo e che, successivamente
all’allarme lanciato dall'HHWWS, si
provveda a proteggerla con interventi mirati a facilitare l’incremento
del consumo giornaliero di acqua e
provvedere che l’ambiente domestico sia fornito di aria condizionata
o, alternativamente, che i soggetti a
rischio abbiano la possibilità di soggiornare in aree con aria condizionata nei giorni di allerta.

Riferimenti bibliografici
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elevated ambient temperature and mortality: a review of the epidemiologic
evidence. Epidemiol Rev 2002;24:190202.
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des études disponibles en août 2005.
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Inserto BEN
sorveglianze nazionali
IL GRADO DI DIPENDENZA COME INDICE DELLA VULNERABILITÀ
DEGLI ANZIANI IN OCCASIONE DELLE ONDATE DI CALORE:
QUALCHE INDICAZIONE PROVENIENTE DALLO STUDIO ARGENTO
1
N
Nancy Binkin1 per il Gruppo Argento*
Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, ISS, Roma
umerosi studi hanno identificato nelle persone che non
sono in grado di realizzare le
attività essenziali della vita quotidiana
(activities of daily living - ADL) quelle
a maggior rischio di morte durante le
ondate di calore (1-3). Per descrivere
meglio l’entità e le caratteristiche di
questa popolazione non autosufficiente nel nostro Paese, abbiamo
esaminato i dati dello Studio Argento, un’indagine condotta nel 2002 in
11 regioni italiane su un campione di
popolazione selezionata con il metodo del campionamento a cluster. Tale
esame di dati ci ha inoltre fornito l’opportunità per valutare la capacità di
alcuni algoritmi, basati su data-linkage e finalizzati all’identificazione degli
anziani a rischio in occasione di ondate di calore, di identificare effettivamente gli anziani non autosufficienti.
I metodi dello Studio Argento sono descritti in dettaglio altrove (4).
In breve, in ognuna delle 11 regioni
partecipanti è stata condotta un’indagine campionaria, che aveva come
popolazione di studio le persone di
età ≥ 65 anni residenti nelle regioni al
momento del reperimento delle liste
anagrafiche e non istituzionalizzate.
Le informazioni sono state ottenute tramite interviste domiciliari,
condotte tra gennaio e maggio 2002
utilizzando un questionario standardizzato. Se l’individuo selezionato
presentava deficit fisici o psichici che
non gli consentivano di rispondere
direttamente all’intervista o non ricordava nessuna delle tre parole costituenti una parte del Mini-Cog, un
test di screening per probabile deficit
cognitivo (5), il questionario è stato
sottoposto al familiare o alla persona
che se ne prendeva cura.
Per valutarne il grado di autosufficienza, ai partecipanti sono state fatte
domande riguardo le attività della vita
quotidiana (ADL): spostarsi da una stanza all’altra; andare in bagno; lavarsi; fare
il bagno o la doccia; vestirsi e spogliarsi; mangiare. Gli anziani sono stati divisi
nelle categorie “gravemente dipendenti” se nessuna risposta sulle ADL era “da
solo (anche se con problemi)”; “parzialmente dipendenti” se 1-5 delle risposte
sulle ADL era “da solo”; “autosufficienti”
se tutte le risposte erano “da solo”. Per
ciascun gruppo sono state esaminate
le caratteristiche socio-demografiche e
le condizioni di salute.
Per identificare gli anziani fragili
nelle situazioni di emergenza caldo,
sono stati sviluppati algoritmi basati
sul linkage tra dati anagrafici, quelli
delle SDO e quelli del censimento. Per
testarne la capacità abbiamo applicato l’algoritmo in uso nella Regione Lazio (6) alle popolazioni autosufficienti,
parzialmente dipendenti, e gravemente dipendenti, così come identificate
dallo Studio Argento. Questo algoritmo, che è stato sviluppato sulla base
dei database degli studi sui fattori di
rischio di mortalità correlata a ondate
di calore, usa un sistema di punteggio
che prende in considerazione età e
sesso, stato civile, ospedalizzazione
negli ultimi due anni per alcune condizioni di cui si conosce l’associazione
con le morti per caldo, e stato socioeconomico, come misurato dai dati di
censimento. Età, sesso e stato civile
erano disponibili tra i dati Argento.
Per i dati sull’ospedalizzazione, è stata
usata una combinazione tra i ricoveri
nell’ultimo anno riportati dai pazienti
e quanto riferito da un medico a proposito di una o più condizioni incluse
nell’algoritmo della Regione Lazio.
Poiché non era disponibile l’informazione per sezione di censimento relativamente allo stato socio-economico,
abbiamo considerato come persone a
rischio quelle con <3 anni di istruzione. Utilizzando l’algoritmo, sono stati
considerati a rischio quelli con uno
score >10 (rischio medio-alto e alto).
I dati, pesati per la numerosità della popolazione anziana nelle diverse
regioni, sono stati analizzati con il
modulo C-SAMPLE di Epi Info 2002,
che tiene conto, per la stima dei parametri di interesse, della modalità di
raccolta dei dati a grappoli (cluster).
Sono state intervistate 2.369 persone: per 2.355 (99,4%) erano disponibili
informazioni complete sulle ADL. Nel
92% dei casi l’intervista è stata condotta direttamente all’anziano selezionato, mentre nell’8% le risposte sono state fornite da un familiare. Questa percentuale, tuttavia, era sostanzialmente
diversa per livello di autosufficienza,
ed era 98% per gli autosufficienti, 79%
per i parzialmente dipendenti e 22%
per i gravemente dipendenti.
In totale, il 78% (IC 95% 76%-80%)
degli intervistati era autosufficiente,
il 20% (IC 95%18%-22%) parzialmente dipendente e il 2,5% (IC 95% 1,9%3,2%) gravemente dipendente. Tra i
parzialmente dipendenti, il 48% ha
avuto problemi per una singola ADL,
il 18% per 2, il 13% per 3, il 9% per 4,
e il 13% per 5.
Tra le 527 persone parzialmente o
gravemente dipendenti, il 94% aveva
avuto bisogno di aiuto nel fare la doccia, il 51% non era in grado di vestirsi
da solo, il 44% di lavarsi da solo, il 33%
di andare in bagno da solo, il 24% di
spostarsi da una stanza all’altra, e il
16% di mangiare senza assistenza.
La prevalenza dei parzialmente dipendenti per regione andava dal 14
al 30%, mentre per gravemente dipendenti il range andava da 0 a 5,8%.
Complessivamente, il Sud aveva prevalenze più alte del Nord sia di parzialmente dipendenti (22 vs 17%) sia di
gravemente dipendenti (3,6 vs 1,7).
Le caratteristiche socio-demografiche di base e quelle mediche delle
persone autosufficienti, parzialmente
dipendenti e gravemente dipendenti
sono illustrate nella Tabella. Tra i parzialmente dipendenti e i gravemente
dipendenti c’erano in proporzione
più grandi anziani (>75 anni), donne e persone con più basso livello di
istruzione rispetto agli autosufficienti. Inoltre, era meno probabile che
fossero coniugati rispetto a quelli
autosufficienti. Il 20% degli autosufficienti e il 18% dei parzialmente u
(*) Nicoletta Bertozzi, Claudio Culotta, Onorato Frongia, Peter Kreidl, Cristina Mancini, Federica Michieletto, Giuseppe Montagano,
Renato Pizzuti, Rosy Prato, Salvatore Sammarco e Donatella Tiberti
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):iii-iv iii
Inserto BEN
Tabella - Autosufficienza, Studio Argento, 2002
Caratteristiche
Autosufficiente
n. 1.828 % (95% IC)
Età
65-74
58,4 (55,8-61,1)
75-84
35,8 (33,2-38,4)
≥ 85
5,7 (0,7-4,4)
Femmina
56,4 (53,7-59,2)
Istruzione ≤ 3 anni
21,8 (19,4-24,3)
Coniugato
63,2 (60,7-65,8)
Convivenza
Solo
20,2 (18,0-22,3)
Persona/e della stessa generazione
52,8 (50,2-55,4)
Figli
11,2 (9,6-12,8)
Persone di >1 generazione
13,2 (11,4-14,9)
Badante
0,2
(0-1,6)
Altro
2,4 (1,6-3,3)
Almeno 1 patologia grave*
47,2 (44,3-50,5)
Ricovero ≥ 1 volta nell’ultimo anno
16,9 (15,0-18,7)
Rischio alto o medio-alto
secondo l’algoritmo Lazio**
1,4 (0,8-2,0)
Parzialmente dipendente
n. 462 % (95% IC)
26,4 49,4
24,2 67,8 37,4
48,6
Gravemente dipendente
n. 65 % (95% IC)
(21,3-31,6)
(44,0-54,8)
(19,5-28,9)
(62,8-72,8)
(31,8-42,9)
(43,0-54,2)
11,6
51,6
38,8 63,3
41,4
43,2 (3,0-20,1)
(38,2-65,0)
(24,2-49,5)
(49,4-77,3)
(27,6-55,2)
(28,9-57,3)
17,7 (13,7-21,6)
44,9 (39,2-50,6)
24,6 (20,0-29,2)
7,1 (4,3-9,8)
1,4 (0,2-2,6)
4,2 (2,1-6,4)
73,4 (68,5-78,3)
36,2 (31,1-41,4)
2,5
33,9
46,0
6,8
6,9
4,0
72,5
36,7
(0-6,6)
(20,3-47,6)
(32,2-59,7)
(0-13,9)
(0-14,7)
(0- 8,8)
(59,2-85,1)
(23,2-50,2)
8,1 (5,0-11,1)
22,5 (11,9-33,1)
(*) Malattie cardiovascolari, ictus, diabete, malattie renali, malattie respiratorie (autodichiarate); (**) Vedi testo
dipendenti vivevano da soli, rispetto
al solo 2,6% dei gravemente dipendenti. Tra i gravemente dipendenti, il
rimanente 35% viveva con persone
della stessa generazione (coniugi,
fratelli), il 44% con i figli, il 7% in famiglie di più generazioni, il 7% con
badanti e il 4% con altri parenti.
Per quanto riguarda l’ospedalizzazione, la percentuale di quelli che erano
stati ricoverati nell’anno precedente era
quasi identica per i parzialmente e i gravemente dipendenti (36% e 37% rispettivamente) ma più alta di quella degli
autosufficienti (17%). Tra le persone che
sono state ricoverate, il numero medio
di ricoveri era 1,5 per gli autosufficienti,
1,8 per i parzialmente dipendenti e 1,3
per i gravemente dipendenti.
La prevalenza di almeno una condizione medica autodichiarata (malattie
cardiovascolari, ictus, diabete, malattie
renali, malattie respiratorie) era simile
nei parzialmente e gravemente dipendenti (39% e 42% rispettivamente), decisamente maggiore della prevalenza
del 12% riportata dagli autosufficienti.
La differenza maggiore tra i tre gruppi è
stata osservata nella prevalenza riportata di ictus, che era 3,6% negli autosufficienti, 17% nei parzialmente dipendenti, e 42% nei gravemente dipendenti.
Anche i problemi cognitivi, misurati
con il Mini-Cog, erano più comuni tra
i non autosufficienti. Tra i 462 parzialmente dipendenti, a 436 (94%) è stato somministrato il test, e di questi al
51% è stato riscontrato deficit cognitivo; tra i 35 dei 65 (54%) gravemente
dipendenti testati, l’88% aveva deficit
cognitivi. Tra gli autosufficienti presentavano deficit cognitivi il 22%.
iv
Applicando l’algoritmo della Regione Lazio alla popolazione dello Studio Argento, il sistema di punteggio
avrebbe identificato come a medioalto o alto rischio l’8,1% dei parzialmente dipendenti e il 22,5% dei gravemente dipendenti (Tabella).
Questi risultati suggeriscono che
vi sia una popolazione consistente di
anziani almeno parzialmente dipendenti che vive nella comunità e che
presenta numerosi problemi medici
e un’alta frequenza di problemi cognitivi. Sebbene solo pochi di quelli
gravemente dipendenti vivessero da
soli, quasi 1 persona su 5 con bisogno
di assistenza per una o più ADL viveva da sola. Tra quelli che vivevano con
altri, poco più di un terzo viveva con
altri della stessa generazione, a loro
volta potenzialmente suscettibili di
problemi di salute e bisognosi di aiuto per assistere i loro partner o fratelli
non-autosufficienti.
è preoccupante l’incapacità dell’algoritmo basato sul data-linkage
di identificare le persone non autosufficienti a rischio di morte durante
un’emergenza caldo. L’algoritmo non
è riuscito a identificare più del 90% dei
parzialmente dipendenti e del 77%
dei gravemente dipendenti. Alla luce
dei risultati dello studio caso-controllo
riportato in questo numero del BEN e
di simili risultati nella realtà francese
(2) la mancanza di autosufficienza è
uno dei più importanti fattori preditti-
vi della morte per ondata di calore. è
necessario fare di tutto per assicurare
che questi individui siano attivamente
identificati e seguiti nel tempo.

Riferimenti bibliografici
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al. Fattori di rischio di morte in occasione delle ondate di calore: risultati di
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pdf ).
Comitato editoriale BEN
Nancy Binkin, Paola De Castro, Carla Faralli, Marina Maggini, Stefania Salmaso
e-mail: [email protected]
L'avifauna selvatica nell'ecologia dell'influenza
Riferimenti bibliografici
continua
A/Mallard/Italy/33/01 (H7N3)
A/Turkey/Italy/214845/02 (H7N3)
A/Turkey/Northern Ireland (H7N7)
A/Ostrich/Zimbabwe/222/96 (H7N1)
A/Magpie-robin/China/28710/93 (H7)
A/Chicken/Pakistan/CR2/95
A/Peregrin Falcon/UAE/98 (H7N3)
A/Chicken/Jena/87 (H7N7)
A/African starling/England/79 (H7N1)
A/Chicken/Leipzig/79 (H7N7)
A/Turkey/England/63/ (H7N3)
0.01
Figura 3 - Correlazioni evolutive di virus H7N3 isolati da uccelli selvatici e domestici (in grassetto) isolati in Italia nel 2001-02, relativamente al gene HA (5)
nel 2001, da germani reali, un
Al primo posto troviamo
virus LPAI A/H7N3 e verifi- la presenza di anticorpi concarne l’adattamento conseguen- tro virus del sottotipo H5 nella
te all’ingresso in allevamenti di popolazione delle anatre selvapollame domestico che ha dato tiche del Mediterraneo, eviden25 a un'epidemia iniziata
luogo
ziata dal 1992 a oggi durante
in allevamenti di tacchini del gli studi nella Oasi WWF di
20
Nord
Italia nell'ottobre 2002 Orbetello. La continua circoe protrattasi per circa un anno lazione nel serbatoio di diver15
(Figura 3) (7-9).
si virus influenzali A/H5 crea
Gli
studi
sulle
specie
spilluna seppur parziale immunità
10
over (Galliformi selvatici, di popolazione che, da un lato,
Colombiformi,
Passeriformi) potrebbe rallentare la diffusio5
confermano a oggi il ruolo ne dell’infezione da A/H5N1
0
marginale
svolto da questo attraverso una diminuzione della
H2
H3 o H4
H6
H7
gruppo H1
nel mantenere
far H5
eliminazione
viraleH10
dagli H11
infetti,
circolare i virus influenzali S ottotipi
ma dall’altro potrebbe agevolarla
con coinvolgimenti episodici, grazie alla diffusione del virus da
privi di continuità temporale. parte di soggetti cross-protetti,
L’esposizione di questi grup- che pur infettandosi non manipi a situazioni ambientali in festano malattia. Infine, è da
cui è presente l’infezione nel rilevare che solo i virus a bassa
serbatoio raramente si traduce patogenicità possono essere train un coinvolgimento di que- sportati per lunghi tratti con la
ste specie, suscettibili ma “non migrazione; è quindi probabile
serbatoio”. Oggi, con l’ingres- che il ritorno nella specie-serbaso nelle popolazioni selvatiche toio si traduca in una pressione
europee di un virus quale l’A/ selettiva in grado di premiare le
H5N1 HPAI una serie di fat- varianti a patogenicità ridotta
tori ecologici può comunque con una progressiva attenuaziointervenire nel condizionare ne per il serbatoio e poi per le
l’evento.
altre specie.

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17
Diagnosi virologica
dell’influenza:
dall’epidemia stagionale
all’emergenza pandemica
P
Simona Puzelli, Graziella Morace, Concetta Fabiani e Isabella Donatelli
Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, ISS
oiché numerosi microrganismi che infetta- informazioni utili alla definizione della composino l’uomo provocano malattie con sintomi zione vaccinale.
simili a quelli dell’influenza, una diagnosi
La co-circolazione nella popolazione umana di
certa può essere effettuata solo mediante test di diversi tipi (A e B) e sottotipi antigenici (A/H1N1,
laboratorio. Sebbene in generale la diagnosi viro- A/H3N2) di virus influenzali, complica la diagnologica di influenza non sia necessaria nella comune si e l'identificazione antigenica di questi agenti
pratica clinica, essa assume un ruolo fondamentale eziologici. La diagnosi viene routinariamente eseper il raggiungimento di particolari obiettivi, quali guita su tamponi nasali e/o faringei, mediante isoquello dell’individuazione tempestiva delle nuove lamento del virus su opportuni substrati cellulari,
varianti vitali e il conseguente aggiornamento quali cellule di rene di cane (MDCK), particolarannuale della composizione vaccinale.
Infatti, l’efficacia protettiva del vaccino è
strettamente dipendente dall'omologia antiBolzano
genica tra virus circolanti e ceppi vaccinali;
Trieste
per questo motivo l’Organizzazione Mondiale
Padova
Milano
della Sanità (OMS) ha attivato, fin dagli anni
’50, un programma mondiale di sorveglianza,
Torino
a cui partecipa una rete di oltre 110 laboraFirenze
tori dislocati in tutto il mondo, coordinati
da quattro centri di riferimento internazioSiena
nali. L’Italia partecipa a questo programma
Sassari
attraverso il Centro Nazionale Influenza-NIC
Roma
Lecce
NIC
(Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie
Napoli
ed Immunomediate-MIPI dell'Istituto Superiore
di Sanità ISS), avvalendosi, a sua volta, di una
rete di 15 laboratori periferici, sia universitari
sia ospedalieri, distribuiti sul territorio nazionale (Figura 1).
Palermo
Le metodologie di laboratorio impiegate
nell’ambito di questa attività di sorveglianza
interpandemica si basano prioritariamente
Regioni non partecipanti alla sorveglianza biologica
su tecniche tradizionali di isolamento virale,
Regioni partecipanti alla sorveglianza biologica
che permettono di ottenere una caratteRegioni partecipanti alla sorveglianza biologica,
rizzazione antigenica dettagliata dei virus
ma monitorate da regioni limitrofe
influenzali circolanti in periodo epidemico.
Centro
Nazionale Influenza, ISS
Tuttavia, i laboratori più qualificati della rete
Laboratori periferici della rete
OMS hanno, negli ultimi anni, messo a
punto saggi di caratterizzazione molecolare Figura 1 - Distribuzione dei laboratori della rete di sorveglianza
degli isolati, in grado di fornire ulteriori nazionale dell’influenza
18
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):18-20
Diagnosi virologica dell'influenza
mente sensibili alla crescita del virus influenzale.
L’inoculo nella cavità amniotica e/o allantoidea di
uova embrionate di pollo costituisce un sistema
alternativo ugualmente valido che, seppure poco
pratico, risulta essenziale per avere a disposizione
virus vivo per la preparazione del vaccino.
Per la tipizzazione e/o sottotipizzazione dell’isolato virale viene comunemente impiegato il test di
inibizione dell’emagglutinazione (HI), consigliato
dall’OMS, utilizzando antisieri prodotti in specie
animali sensibili (furetto, pollo, ecc.) o anticorpi
monoclonali. Questa stessa tecnica viene anche
impiegata come saggio sierologico per l’identificazione di anticorpi diretti verso emagglutinine
di virus influenzali umani, mentre non risulta
particolarmente sensibile per la ricerca di anticorpi
specifici per i ceppi di influenza aviaria. Per quest’ultimo scopo viene invece impiegato il saggio di
microneutralizzazione (1), raccomandato dall’OMS
e recentemente messo a punto dai Centers for
Disease Control and Prevention (CDC). Questo
test richiede la manipolazione di virus vivo e perciò
il suo uso deve essere limitato ai laboratori provvisti
di strutture di contenimento BSL-3.
Accanto alle metodiche tradizionali di isolamento, è possibile impiegare test diagnostici rapidi. Tra
questi, i così detti point of care tests, cioè “al letto del
paziente”, possono essere eseguiti in pochi minuti
dal medico curante, utilizzando un tampone nasale
(2). La bassa sensibilità di questi test li rende utili
solo nel caso in cui sia particolarmente importante
procedere a un'indicazione terapeutica (3).
I test molecolari, sebbene necessitino di laboratori specializzati, sono, al contrario, altamente sensibili
e specifici. I saggi di amplificazione genica e le analisi
di sequenza, oltre alla diagnosi di influenza, permettono una caratterizzazione molecolare dei virus circolanti. Queste metodiche sono finalizzate a dimostrare la presenza nel campione clinico di sequenze
virali specifiche, attraverso reazioni polimerasiche a
catena (PCR) sul retrotrascritto di DNA, ottenuto
mediante una reazione di trascrizione inversa (RT)
a partire dal genoma virale. La RT-PCR (semplice o
nested) viene condotta mediante l’utilizzo di coppie
di primers dirette verso regioni altamente conservate
delle proteine virali interne tipo-specifiche e di superficie sottotipo-specifiche, permettendo in tal modo,
oltre alla diagnosi di influenza, anche la tipizzazione
e/o sottotipizzazione del virus identificato.
In periodo interpandemico, lo studio dell’evoluzione molecolare dei virus influenzali attraverso
l’analisi filogenetica delle sequenze virali permette
di comprendere l’evoluzione delle varianti influenzali responsabili delle epidemie annuali nell’uomo,
contribuendo così all’aggiornamento annuale della
composizione del vaccino (4). Le analisi di sequenziamento genico risultano, infatti, importanti non
solo per capire quanto, ma anche come e dove un
nuovo virus sia variato rispetto al ceppo preA-Roma-3-04
cedentemente circolante. Infatti, alcuni tipi di
A-Firenze-2-05
cambiamenti aminoacidici e la loro particolare
A-Roma-1-04
RBS
A-Milano-78-04
localizzazione possono conferire al virus uno
A-Parma-7-05
A-Firenze-4-05
straordinario vantaggio evolutivo, in termini
2004-05
A-Isernia-1-05
di significato clinico/epidemiologico. Nella
145
A-Parma-14-05
K145N
A-Siena-1-05
Figura 2 viene riportato un esempio delle
A-Roma-1-05
A-California-7-04
analisi filogenetiche condotte su virus influenA-Parma-10-05
zali umani di tipo A, sottotipo H3N2, isolati
A-Firenze-3-05
A-Parma-11-05
Rappresentazione tridimensionale del
recentemente in Italia. In particolare, i virus
dominio HA1 della HA di recenti
A-Parma-12-05
isolati A/H3N2 con le posizioni
A-Parma-75-04
aminoacidiche più rilevanti
isolati nella stagione 2004-2005 presentavaA-Johannesburg-1-04
no complessivamente poche ma importanti
A-Trento-1-04
2003-04
A-Firenze-1-04
mutazioni, localizzate in punti cruciali della
A-Siena-13-03
A-Christchurch-28-03
struttura tridimensionale della molecola di HA
A-Wyoming-3-03
e in grado di permettere al virus di superare le
A-Fujian-411-02
A-Egypt-130-02
barriere immunologiche preesistenti. La sostiA-Parma-7-03
2001-02
A-Siena-1-02
tuzione aminoacidica di una lisina con una
2002-03
A-Aosta-2-02
asparagina in posizione 145, nel sito antigeniA-Panama-2007-99
A-Moscow-10-99
co A vicino al sito di legame al recettore (RBS),
A-Aichi-2-68
creava un addizionale sito di glicosilazione,
Figura 2 - Relazioni filogenetiche relative al dominio HA1 della causa del mancato riconoscimento da parte
degli anticorpi presenti nella popolazione. u
HA di recenti isolati umani A/H3N2 in Italia
(sito
antigenico A)
0.02
19
S. Puzelli, G. Morace, C. Fabiani et al.
20
Periodo interpandemico
Campione clinico
RT-PCR per rilevamento virus A e B (gene NP)
Neg.
Pos., tipo A
Emergenza pandemica
Pos, tipo B
H1 - Sottotipizzazione - H3
(con RT-PCR)
Real time RT-PCR (geni M e H5)
Pos.A, Neg.H5
Pos.A, Pos.H5
Neg.
conferma con RT-PCR
< 3 ore
Campione clinico
2 giorni
Da quanto sopra esposto, risulta evidente che
il sistema mondiale di sorveglianza dell’influenza, prioritariamente finalizzato all’aggiornamento
della composizione vaccinale, non è, nel suo
complesso, sufficientemente elastico per essere
utilmente impiegato anche in una situazione di
emergenza pandemica. Il ruolo della diagnosi di
laboratorio, in uno scenario di pandemia, è infatti
quello di identificare più rapidamente possibile e
circoscrivere il primo caso o i primi casi di contagio umano sul proprio territorio, nel tentativo
di eradicare il virus o rallentarne la diffusione. In
questo contesto, diventa indispensabile l’impiego
di tecniche molecolari rapide. In particolare, la
tecnica di real-time RT-PCR, di recente sviluppo,
che permette di misurare l’amplificazione del
segmento genomico selezionato in tempo reale,
presenta una serie di vantaggi, particolarmente
importanti in una fase di emergenza pandemica,
rispetto ai metodi di identificazione virale classici
(Figura 3).
Tra i principali vantaggi, è da sottolineare
l’estrema rapidità di esecuzione (risultati in meno
di 3 ore dall’arrivo del campione), la possibilità
di analizzare fino a 96 campioni contemporaneamente, l’elevata sensibilità, specificità e riproducibilità. Il metodo real-time RT-PCR, recentemente
standardizzato nei laboratori dell'ISS, nell’ambito
di una collaborazione tra il Dipartimento di
MIPI e il Dipartimento di Sanità Alimentare ed
Animale (5), è un metodo TaqMan che impiega
una sonda innovativa con un gruppo coniugato,
chiamato Minor Groove Binder (MGB), capace di
legarsi in maniera molto stabile al solco minore
del DNA. Questo sistema permette di utilizzare
sonde a sequenza molto breve, con conseguente
aumento di specificità del test.
Con lo scopo di adattare l’attuale sistema
di sorveglianza virologica alle necessità che una
situazione di pandemia richiederebbe, l’OMS
ha sottoposto tutti i laboratori della rete di sorveglianza europea, incluso il NIC italiano, a un
programma di verifica delle capacità diagnostiche
e di Controllo di Qualità (QCA), al fine di raccogliere informazioni ed eventualmente migliorare
le capacità di risposta dei diversi Paesi europei in
caso di emergenza pandemica. Il suddetto programma prevedeva di valutare la performance dei
laboratori nella tipizzazione e sottotipizzazione dei
5 ore
Emergenza pandemica
Coltura cellulare, caratterizzazione sierologica ( test HI ),
caratterizzazione molecolare ( geni HA ed NA )
Figura 3 - Diagramma di flusso per la diagnosi virologica
di influenza in periodo interpandemico e in emergenza
pandemica
virus influenzali, mediante le tecniche e i reagenti
routinariamente impiegati in ogni laboratorio.
A ciascuno dei 32 laboratori partecipanti è stato
assegnato un punteggio, sulla base dei risultati forniti, in termini di velocità di risposta, di numero
di tecniche impiegate e precisione nelle analisi di
caratterizzazione antigenica e molecolare. Soltanto
otto laboratori, tra cui il NIC italiano, hanno
ottenuto il punteggio massimo.
Su incarico del Ministero della Salute, un
analogo QCA, coordinato dal NIC, è attualmente in corso per la valutazione dei livelli di competenza tecnica dei laboratori afferenti alla rete
italiana. Tale QCA sarà seguito, ove necessario,
da opportuni corsi di formazione, che verranno
svolti presso il NIC.

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IL VACCINO PANDEMICO:
PROBLEMI E NUOVE STRATEGIE
DI PRODUZIONE
Laura Campitelli, Francesca Beneduce, Laura Calzoletti e Isabella Donatelli
Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, ISS
A
nche in situazione di
emergenza da pandemia
il vaccino è considerato
lo strumento più efficace per
prevenire e combattere la malattia, come peraltro evidenziato
in tutti i piani pandemici fin
qui elaborati (vedi articolo "Il
Piano Pandemico Italiano" a
pag. 27-29).
Al momento lo sviluppo di
un vaccino pandemico prevede
l'impiego delle stesse metodologie utilizzate per l'allestimento del vaccino stagionale,
tenuto conto della complessità
dei processi produttivi e delle
difficoltà di introduzione di
nuove tecnologie (vaccini su
colture cellulari, liposomiali,
ecc.).
Esistono diverse tipologie di
preparazioni vaccinali. Il vaccino a “virus intero”, cioè costituito da particelle virali intere,
pur essendo ancora registrato,
non viene più commercializzato
a causa della sua elevata reattogenicità.
Questo vaccino è stato
sostituito dai vaccini cosiddetti
“subvirionici”, che subiscono
ulteriori processi di purificazione che portano all’allontanamento della componente lipidica, spesso associata a
reazioni collaterali (“vaccini
frazionati” o spilt), o all'eliminazione pressocché totale di
tutte le proteine virali interne.
Questi ultimi vaccini (“vaccini a subunità”) sono particolarmente ben tollerati e sono
quindi indicati per la profilassi
in età pediatrica.
Per aumentare il potere immunogeno dei vaccini
influenzali, negli ultimi anni
sono stati messi in commercio
vaccini adiuvati, che contengono cioè sostanze in grado di
indurre una risposta immunitaria più elevata e più duratura. Gli adiuvanti attualmente
utilizzabili per uso umano sono
costituiti da alcuni sali di alluminio o da emulsioni olio/ u
Caratteristiche
dei vaccini influenzali
stagionali
I vaccini attualmente prodotti e commercializzati in
Italia e nel resto d’Europa sono
prodotti in uova embrionale di
gallina e sono costituiti da virus
inattivato, ossia ucciso dopo
trattamento con formaldeide o
b-propiolattone, e successivamente purificato.
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):21-24
21
L. Campitelli, F. Beneduce, L. Calzoletti et al.
acqua, come l’MF59 (derivato
dal lipide squalene), impiegato
dalla Chiron.
Problemi legati
allo sviluppo
di un vaccino pandemico
Il primo problema che si
incontra nell’allestimento di un
vaccino pandemico è la difficoltà di produrre un numero
di dosi sufficiente a soddisfare
l’aumentato fabbisogno generale in caso di pandemia (1).
Il principale fattore limitante è
costituito dallo stesso substrato
di crescita del virus: la quantità
di uova embrionali oggi disponibili in tutto il mondo è infatti
limitata, essendo programmata
in modo da garantire la produzione del numero di dosi (circa
300 milioni) attualmente utilizzate. Inoltre, qualora il virus
fosse di origine aviaria e ad alta
patogenicità, come nel caso del
ceppo H5N1, le uova non consentirebbero la crescita al loro
interno di un ceppo patogeno
per il pollo e gli stessi allevamenti di pollame potrebbero
essere a rischio di contagio.
Inoltre, trattandosi di un
virus nuovo contro cui la popolazione è totalmente suscettibile
(naive), la quantità di antigene (per ciascuno dei tre ceppi
vaccinali) attualmente contenuta nel vaccino stagionale
(15mcg di emagglutinina-HA)
potrebbe non essere sufficiente
a indurre una risposta anticorpale protettiva (2). Le capacità
produttive di un vaccino pandemico monovalente potrebbe non essere pari a tre volte
quello stagionale (trivalente):
sono necessari studi clinici per
stabilire il contenuto di HA/
dose capace di indurre una suf-
22
ficiente risposta immunitaria in
una popolazione immunologicamente naive.
Un ulteriore problema è
costituito dal tempo tecnico
minimo necessario per la produzione su larga scala di un
vaccino pandemico, stimato
attualmente in 6-8 mesi.
Sviluppo di nuove
tecnologie
e ottimizzazione
di quelle esistenti
Per risolvere questi e altri
problemi legati allo sviluppo
e all’impiego di un vaccino
pandemico, l’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS)
ha intrapreso una serie di iniziative in collaborazione con
gruppi di ricerca, autorità
regolatorie nazionali e transnazionali e industrie produttrici,
al fine di sviluppare nuove tecnologie produttive in grado di
aumentare la capacità di produzione o addirittura renderla possibile, e al contempo di
massimizzare le potenzialità del
sistema di produzione corrente,
abbreviandone i lunghi tempi
richiesti (3). Tra gli avanzamenti tecnologici compiuti o
in progress e le misure introdotte o da intraprendere, i più
rilevanti sono i seguenti:
• tecnica della reverse genetics
basata su plasmidi. Questa
particolare tecnologia di
DNA ricombinante (Figura),
sviluppata nel 1999-2000
per i virus influenzali, ha
permesso di rimuovere la
porzione di HA responsabile dell’alta patogenicità e
di rendere quindi possibile
la propagazione virale nelle
uova embrionale di pollo
di un ceppo altrimenti non
coltivabile in questo substrato (4). Il ceppo vaccinale
H5N1, ottenuto con questa
tecnologia presso i laboratori
di collaborazione dell’OMS
del National Institute for
Biological Standards and
Control (NIBSC) di Londra
ha conservato la stessa specificità antigenica del ceppo
originale ed è stato distribuito alle ditte produttrici interessate allo sviluppo di vaccini pandemici sperimentali;
• impiego di colture cellulari. L’uso di colture cellulari di rene di scimmia
(cellule Vero, già impiegate
per la produzione di vacci-
1
1 Clonaggio dei geni HA ed NA del virus
altamente patogeno isolato (es. H5N1) in vettori
plasmidici dopo aver eliminato gli aminoacidi
che ne determinano la virulenza
2
2 Clonaggio in vettori plasmidici dei rimanenti
6 geni provenienti da virus influenzale umano
adattato
3 Isolamento e crescita del virus “modificato”
in coltura cellulare
4
3
4 Allestimento del vaccino prepandemico.
Figura - Tecnica della reverse genetics, applicata alla produzione di ceppi vaccinali pandemici apatogeni
Il vaccino pandemico: problemi e strategie di produzione
ni virali) o di rene di cane
(cellule MDCK, più sensibili al virus influenzale),
virtualmente disponibili in
quantità illimitate, potrebbe
risolvere il problema della
limitata disponibilità di
uova e quindi permettere un
consistente incremento del
numero di dosi ottenibili.
Tuttavia, le rese virali non
ancora ottimali e la necessità
di riconvertire gli impianti con grande dispendio di
tempo e costi fanno sì che
questa opzione non sia ancora utilizzabile su scala industriale;
• impiego di adiuvanti e strategie di somministrazione
volte a “economizzare” il
contenuto di antigene necessario. L’OMS ha sollecitato la
messa in campo di progetti di
ricerca finalizzati a identificare adiuvanti e strategie alternative di somministrazione
più efficaci per stimolare una
forte risposta immunitaria
e allo stesso tempo ridurre
la quantità di antigene da
includere nella formulazione
vaccinale. A questo fine è
necessario che i dati preclinici e clinici vengano condivisi
e confrontati per arrivare a
dei protocolli concordati;
• espansione della capacità
produttiva del vaccino stagionale. I dati annuali di
copertura vaccinale dimostrano che la vaccinazione
non raggiunge il target desiderato: infatti, solo una parte
della popolazione a rischio a
cui la vaccinazione è annualmente raccomandata (soggetti di età pari o superiore a 65
anni, soggetti di qualsiasi età
con condizioni patologiche
predisponenti alle compli-
canze, personale
sanitario di assistenza e addetti
a servizi pubblici
di primario interesse collettivo),
si sottopone alla
profilassi vaccinale. Interventi di
promozione volti
ad aumentare la
copertura vaccinale nel periodo
interpandemico
comporterebbero un’espansione delle capacità produttive delle ditte vaccinogene,
con evidenti conseguenze
positive in termini di numero di dosi disponibili in caso
di pandemia;
• armonizzazione delle procedure regolatorie per l’autorizzazione all'immissione in
commercio di vaccini pandemici. è auspicabile che i
requisiti per la concessione
di un'autorizzazione per un
vaccino pandemico siano il
più possibile omogenei tra i
vari Paesi produttori, così da
accelerarne la disponibilità
in tutto il mondo. L’OMS
sta definendo, insieme alle
autorità regolatorie nazionali e internazionali (European
Agency for the Evaluation of
Medicinal Products-EMEA)
e alle industrie, delle procedure accelerate (fast track
procedures) sia per la produzione che per il licensing.
Tra queste vi è la possibilità
che i controlli sul prodotto
finito effettuati dall’autorità
di controllo, che di solito
vengono eseguiti dopo che
il vaccino è stato controllato dal produttore, vengano
effettuati in parallelo con il
produttore.
Vaccini pandemici
sperimentali
Pur sottolineando che il
vaccino pandemico può essere
prodotto solo in una situazione di pandemia dichiarata, la
maggior parte delle industrie
produttrici stanno allestendo
vaccini cosiddetti mock up, cioè
“prototipo”, che serviranno a
ottimizzare i processi di produzione e al contempo a condurre
trial clinici in grado di fornire
utili informazioni sulla tipologia e sulle caratteristiche che il
vaccino pandemico dovrà avere,
in termini di contenuto antigenico, numero di dosi richieste,
necessità di adiuvanti, ecc.
Questa iniziativa, sollecitata primariamente dall’OMS, è
molto importante per le seguenti ragioni:
• questo vaccino sperimentale
sarà utilizzato in trial clinici
fondamentali per valutare
in anticipo la risposta alla
vaccinazione di una popolazione naive. Le informazioni
ottenute permetteranno di
ottimizzare la strategia vaccinale in termini di quantità
di antigene/dose e numero
di dosi-vaccino/soggetto da
somministrare per avere una
risposta immunitaria tale
da garantire immunità u
23
L. Campitelli, F. Beneduce, L. Calzoletti et al.
e come tale risposta possa
essere migliorata con l’utilizzo di adiuvanti;
• la messa a punto sperimentale del vaccino prototipo è
accompagnata in parallelo
dalla preparazione del dossier di registrazione del vaccino, considerato un prodotto nuovo a tutti gli effetti, e dalla sua presentazione
alle autorità regolatorie
competenti, per la valutazione dei processi e dei dati
preliminari. In Europa l’autorità preposta è l’EMEA,
che ha stilato le linee guida
sulla struttura e sul contenuto della documentazione
da presentare da parte dalle
ditte produttrici per ottenere l’autorizzazione alla
immissione in commercio
del vaccino influenzale pandemico, al fine di valutarne
l’innocuità, la tollerabilità e
l’immunogenicità (5).
L’altro requisito generalmente valutato, l’efficacia clinica ossia la capacità di ridurre
l’insorgenza della malattia, non
potrà essere comunque valutata
in questa fase ma solo a posteriori. Nonostante ciò, questo
esercizio è fondamentale per
capire i punti critici e i problemi
che possono insorgere, in modo
da snellire le procedure nel caso
di evento pandemico reale.
Il controllo di Stato
dei vaccini influenzali
Le attuali direttive europee
stabiliscono che tutti i lotti di
vaccino antinfluenzale prima
dell’immissione in commercio
vengano sottoposti a controlli
volti a garantire “la qualità e
sicurezza” del prodotto da parte
degli organismi di controllo pre-
24
posti (6, 7). In ottemperanza a
tali direttive l’Istituto Superiore
di Sanità esegue attività di batch
release su tutti i lotti prodotti,
per poter rilasciare i certificati
che ne autorizzano la commercializzazione.
Tale attività di controllo prevede l’esecuzione di saggi (8-10)
che misurano, rispettivamente:
• il contenuto antigenico.
Viene espresso come mcg
HA/ceppo/dose (potency
test) mediante un saggio di
di immunodiffusione radiale singola (SRID), utilizzando reagenti di referenza
forniti dall’OMS. Il contenuto nominale di antigene
per ciascun ceppo è di 15
mg HA/dose, con un limite fiduciale inferiore della
stima dell’antigene emagglutinina non inferiore all’80%
della quantità dichiarata in
etichetta per ciascun ceppo,
cioè 12 mcg;
• il contenuto endotossico.
Le endotossine derivano da
batteri gram-negativi, presenti nei vaccini come residuo del processo di produzione. La concentrazione
di endotossina ammessa
dalla Farmacopea Europea
per i vaccini antinfluenzali
è pari a 100 UI/dose (Unità
Internazionali);
• la purezza dell’antigene vaccinale. Viene eseguito solo
nel caso di vaccini a subunità. Il test verifica, tramite
elettroforesi su gel di poliacrilammide-SDS (PAGE),
l’eliminazione delle componenti proteiche interne del
virus.
è importante tenere presente che queste metodiche verrebbero impiegate anche nel controllo del vaccino pandemico.
L’unica differenza si avrebbe nel
caso in cui il vaccino pandemico fosse costituito da virus
intero inattivato, in quanto non
sarebbe applicabile il test per la
purezza.

Riferimenti bibliografici
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lethal virus to life-saving vaccine:
developing inactivated vaccines
for pandemic influenza. Nat Rev
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Inactivated Subvirion Influenza
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Party
on
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Pharmacy. Control authority
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7. Note
for
Guidance
on
Harmonisation of requirements
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BWP/214/96).
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antinfluenzale. Gazzetta Ufficiale
n. 31 del 5 febbraio 1958.
10.DM del 7 aprile 1997. Procedure
tecniche per il controllo di Stato
per il vaccino antinfluenzale.
Gazzetta Ufficiale n. 144 del 23
giugno 1997.
IL VACCINO PANDEMICO:
IL RUOLO DELL’INDUSTRIA
Aldo Tagliabue e Rino Rappuoli
Novartis Vaccines and Diagnostics srl già Chiron, Siena
L
a vaccinazione è l’unico
strumento preventivo davvero efficace nei confronti
di una eventuale pandemia, specialmente se attuata in parallelo
alla sorveglianza epidemiologica,
che permette immediatamente di
localizzare i focolai iniziali e attuare tutte le procedure indispensabili per contenerli. Disporre di un
vaccino specifico per il ceppo
incriminato è la risposta più adeguata a fronteggiare l’emergenza.
Da anni Chiron è impegnata nella
ricerca per lo sviluppo di un vaccino contro l’influenza aviaria.
Identificato nel 1997 con la
sigla H5N1, il virus dell’influenza aviaria ha colpito finora oltre
180 persone nel mondo, con un
tasso di mortalità molto elevato
(superiore al 50%). Chiron ha iniziato a lavorare attivamente a un
vaccino contro questo virus subito
dopo il primo episodio di infezione:
partendo dal ceppo H5N3 (una
variante non patogena identificata
nelle anatre di Singapore sempre
nel 1997) ha prodotto un primo
prototipo di vaccino nel 1998, che
l’anno successivo è stato posto in
sperimentazione clinica ottenendo
dati estremamente positivi (1) nei
confronti dei ceppi H5N3 e H5N1.
Più recentemente si è prodotto un
vaccino H5N1 usando la tecnica
della reverse genetics, che consiste
nel rimuovere dal virus “selvaggio”’
gli aminoacidi che ne determinano
la virulenza, lasciando intatto il
restante patrimonio genetico che
viene incorporato in un vettore. Si
ottiene così una versione manipolata del virus, che contiene i geni
dell’emagglutinina (HA) e della
neuraminidasi (NA) dell’H5N1,
ma che è reso artificialmente meno
aggressivo - sia per offrire maggiore sicurezza nei laboratori, sia per
poter osservare la reazione “rallentata” dei tessuti contagiati.
è su questo ceppo virale di
partenza (chiamato in termini
tecnici seed) che punta Chiron per
la produzione di un vaccino pandemico, che risponda nel modo
migliore anche a tutte le possibili
varianti del virus. Ma la vera scoperta di Chiron è contenuta in un
recente studio che ha dimostrato come il vaccino contro
il virus H5N1 potenziato
con una sostanza adiuvante
(MF59) potrebbe costituire
la risposta a una pandemia
(2). Il vaccino così composto ha infatti dimostrato di
essere potenzialmente efficace anche in presenza di
lievi mutazioni dei ceppi
del virus dei polli. La presenza dell’adiuvante (una
sorta di “amplificatore”, in
grado di stimolare una u
Un recente studio
della Chiron
ha dimostrato
come il vaccino contro
il virus H5N1
potenziato
con una sostanza
adiuvante
potrebbe risultare
particolarmente efficace
in caso di pandemia
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):25-26
25
A. Tagliabue, R. Rappuoli
maggiore risposta immunitaria) permetterebbe
inoltre, di ridurre di 12
volte la quantità di proteina virale che si riteneva
necessaria a indurre l’immunità. Questo aspetto,
in caso di pandemia, è di
fondamentale importanza
in quanto consentirebbe
di poter disporre di maggiori quantità di dosi di
vaccino (un vaccino senza
l’adiuvante necessita di 90
microgrammi di antigene
per ogni dose di vaccino, e ne
occorrono due dosi per indurre una risposta immunitaria, per
un totale di 180 microgrammi
di HA). I risultati delle ricerche
Chiron, viceversa, mostrano che
in presenza di adiuvante sono
sufficienti due dosi di 7,5 microgrammi per ottenere una buona
protezione (3). Ma la produzione di vaccino nelle uova con la
tecnica tradizionale richiede 4-6
mesi e anche se tutti i produttori
si mettessero a preparare dosi di
vaccino H5N1 non si riuscirebbe
a coprire il fabbisogno mondiale.
Un’altra arma che potrebbe
consentire di aumentare ulteriormente il numero di dosi disponibili è quella di poter disporre della
produzione del vaccino attraverso
coltura cellulare, procedimento per
il quale Chiron è ora in fase III di
sperimentazione clinica. Far crescere il virus in colture di cellule moltiplicabili all’infinito, contribuirebbe notevolmente ad affrontare i
problemi legati alla produzione di
massa di un vaccino pandemico.
Per prepararsi a un’eventuale pandemia, il Ministero della
Salute italiano, come molte altre
autorità sanitarie, si è mosso
secondo quanto indicato dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità per mettere a punto un
Vaccino antinfluenzale a subunità
con adiuvante MF-59
Per combattere
la pandemia, il
Ministero della Salute
ha messo in atto
un piano di prevenzione
per produrre 35 milioni
di dosi di vaccino
26
piano, che privilegia l’aspetto di
prevenzione, stipulando in particolare un accordo con tre produttori per un’opzione su 35 milioni
di dosi di vaccino, la maggioranza
delle quali (70%) verrà fornita da
Chiron, unico produttore di vaccini sul territorio italiano.
In questi giorni si stanno vaccinando i primi 500 volontari italiani con il vaccino H5N1+MF59
Chiron per verificarne in modo
assolutamente inequivocabile la
sicurezza (fase I dello studio clinico). Contemporaneamente si
stanno per iniziare ulteriori studi
di fase clinica anche nell’ambito
dei progetti della Commissione
Europea, che oltre a determinare
l’efficacia dei nuovi vaccini con
adiuvanti, permetteranno di comprendere meglio perché questi
virus emergenti sono così mortali
per la nostra specie. L’obiettivo
finale è infatti quello di essere
pronti a reagire in tempi brevi
con vaccini efficaci che ci rendano
invulnerabili ai virus nella eterna
battaglia tra gli esseri viventi.

Riferimenti bibliografici
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MF59 adjuvanted H5N3 A/Duck/
Singapore/97 vaccine in a primed human population. Vaccine
2003;21:1687-93.
IL PIANO PANDEMICO ITALIANO
Graziella Morace e Isabella Donatelli
Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, ISS
L
e passate pandemie di
influenza hanno colto il
mondo di sorpresa, causando un elevato numero di casi di
malattia e mortalità più o meno
elevata, dai milioni di morti della
pandemia del 1918, alle molte
migliaia del 1957 e 1968.
Diversa è la situazione attuale,
a causa dei numerosi mutamenti verificatesi nel frattempo in
campo scientifico. Infatti, mentre in passato non vi era alcun
sistema di monitoraggio che permettesse di individuare precocemente la comparsa di un nuovo
virus influenzale con potenzialità pandemica attraverso sistemi
di diagnosi differenziale, oggi è
attiva un'efficiente e consolidata rete mondiale di laboratori
di sorveglianza coordinata dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS), che è in grado
di identificare tempestivamente
l’agente patogeno e di seguirne
l’evoluzione. Inoltre, oggi sono
disponibili mezzi di prevenzio-
ne vaccinale e farmaci antivirali
che permettono di prevenire la
malattia o di ridurne l’impatto
sulla popolazione.
Tuttavia, nonostante l’esistenza di questi efficaci strumenti di prevenzione e controllo, va
sottolineato che esistono oggi
condizioni che possono, al contrario, facilitare l’emergenza di
una pandemia, quali la globalizzazione dei mercati, la maggior
velocità dei mezzi di trasporto e
la maggiore mobilità della popolazione a livello mondiale.
A ciò bisogna aggiungere i
cambiamenti nell’ecologia dei
virus influenzali aviari, determinati dall’intervento umano. I
virus che circolano nelle specie
aviarie si trovano infatti normalmente in una condizione di stasi
evolutiva, riproducendosi nell’ospite infettato senza provocare
malattia (virus a bassa patogenicità). L’enorme concentrazione di pollame in aree ristrette,
caratteristica degli allevamenti
intensivi, imprime
al virus una eccezionale spinta evolutiva, che determina l’emergenza
di varianti ad alta
patogenicità, capaci
di provocare grandi
epizoozie con elevata morbosità e
mortalità. In queste
condizioni il pas-
saggio all’uomo di virus aviari
particolarmente aggressivi risulta fortemente facilitato.
In questi ultimi anni sono
comparsi numerosi segnali
di pericolo, che indicano un
possibile rischio di pandemia
influenzale. Dalla fine del 2003,
l’influenza aviaria da virus A/
H5N1 è divenuta endemica
nei volatili nell’area asiatica e il
virus ha causato infezioni gravi
nell’uomo, con un elevato tasso
di mortalità, in Asia, in Turchia
e in Egitto, sebbene finora non
abbia acquisito la capacità di
trasmettersi da uomo ad uomo.
Perché un Piano
Nonostante la disponibilità
di metodologie avanzate, che
permettono l’individuazione e
la caratterizzazione delle varianti virali emergenti, seguendone
le trasformazioni conseguenti al
passaggio di specie e all’adattamento all’ospite, rimane tuttavia
impossibile prevedere quando e
come si verificherà una nuova
pandemia.
Questa incertezza determina
la necessità di preparare in anticipo le strategie di risposta alla
eventuale pandemia. Per questo
motivo l’OMS ha raccomandato
a tutti i Paesi di mettere a punto
un Piano Pandemico e di aggiornarlo costantemente seguendo
u
linee guida concordate.
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):27-29
27
G. Morace, I. Donatelli
In Italia il Piano è stato preparato dal Sottocomitato Scientifico
Influenza e Pandemie Influenzali
del Centro Nazionale per la
Prevenzione e il Controllo delle
Malattie (CCM) del Ministero
della Salute, di cui fa parte anche
l’Istituto Superiore di Sanità
(ISS), con esperti di epidemiologia e di virologia, ed è stato
approvato in Conferenza StatoRegioni il 9 febbraio 2006 (1). Il
Piano è stato inoltre pubblicato
sul sito web del Ministero della
Salute (2) e su quello dell’OMS
(3) sia nella versione italiana sia
in quella inglese (4).
Il Piano si sviluppa secondo
sei fasi pandemiche dichiarate
dall’OMS, prevedendo per ogni
fase e livello, obiettivi e azioni
(Tabella) e rappresenta il riferimento nazionale in base al quale
saranno messi a punto Piani
operativi regionali.
L’obiettivo del Piano è rendere il Paese in grado di far
fronte a un evento pandemico,
in modo da minimizzarne le
conseguenze sulla salute pubblica e sull’organizzazione statale.
A tale scopo sono stati individuati degli obiettivi essenziali
e definite le azioni chiave da
intraprendere per raggiungerli.
Una delle principali necessità è certamente l’identificazione
precoce dei casi di influenza
causati da nuovi sottotipi virali, in maniera da riconoscere
tempestivamente l’inizio di una
pandemia, allo scopo di contenere gli eventi dotati di “potenziale pandemico” o di ritardarne
la diffusione, qualora il contenimento si riveli impossibile.
In Italia è attivo già da
tempo un sistema di sorveglianza virologica dell’influenza
che si avvale di una rete di
laboratori periferici coordinati
dal Centro Nazionale per l’Influenza (NIC, Dipartimento di
Malattie Infettive, Parassitarie
ed Immunomediate dell'ISS),
il cui fine, in periodo interpandemico, è principalmente l’analisi della circolazione dei virus
influenzali in Italia e l'individuazione delle varianti antigeniche ai fini vaccinali. Per venire
incontro alle necessità di una
fase di allerta è stato avviato,
da parte del NIC, un Controllo
di Qualità (QCA) dei laboratori afferenti alla rete ed è stata
programmata l’estensione delle
attività di sorveglianza e diagnosi dell’influenza, attraverso
l’inclusione di nuovi laboratori,
anche ospedalieri e la messa
a punto di nuovi metodi di
diagnosi rapida. Il QCA, oltre
a costituire una verifica delle
capacità diagnostiche dei labo-
Tabella - Fasi pandemiche e obiettivi delle azioni da intraprendere
Fasi pandemiche
Obiettivi di sanità pubblica
Periodo InterPandemico
Fase 1 Nessun nuovo sottotipo virale isolato nell’uomo Identificazione delle varianti antigeniche circolanti
Evidenza di circolazione di virus influenzali nella popolazione umana e in specie animali sensibili
in specie animali, con basso rischio di trasmissione
all’uomo
Fase 2 Nessun nuovo sottotipo virale è stato isolato nell’uomo Minimizzare il rischio di trasmissione all’uomo
Circolazione negli animali di sottotipi di virus influenzali, Individuare e segnalare rapidamente tale trasmissione
con aumentato rischio di passaggio all’uomoa
Periodo di allerta Pandemicab
Fase 3 Infezione umana con un sottotipo virale circolante negli animali. Assenza di trasmissione da uomo o rari casi di trasmissione ai contatti stretti
Fase 4 Infezioni di piccoli gruppi, con limitata trasmissione interumana e strettamente localizzata
Fase 5 Diffusione dell’infezione all’interno di gruppi più grandi, ma sempre con limitata capacità di trasmissione interumana Periodo Pandemico
Fase 6 Ampia ed efficiente trasmissione del virus nella popolazione generale
Assicurare la rapida individuazione del nuovo
sottotipo virale e la sua caratterizzazione
Contenere la diffusione del nuovo virus
all’interno di focolai circoscritti (eradicazione)
o ritardarne la diffusione
Potenziare le azioni per il contenimento
dell’infezione e per ritardare diffusione del virus
Minimizzare l’impatto della pandemia,
riducendone i costi sociali ed economici
(a) La distinzione tra fase 1 e fase 2 è basata sul rischio di infezione nell’uomo o malattia risultante da ceppi circolanti in animali. La distinzione
deve essere basata su vari fattori e sulla loro importanza relativa in accordo con le conoscenze scientifiche correnti. I fattori possono includere:
patogenicità negli animali e negli uomini; presenza in animali domestici e allevamenti o solamente nei selvatici; se il virus è enzootico o epizootico,
geograficamente limitato o diffuso; altre informazioni dal genoma virale; e/o altre conoscenze scientifiche
(b) La distinzione tra fase 3, fase 4 e fase 5 è basata sulla valutazione del rischio di pandemia. Possono essere considerati vari fattori e la loro
relativa importanza, in accordo con le conoscenze scientifiche correnti. I fattori possono includere: tasso di trasmissione; localizzazione geografica e diffusione; severità della malattia; presenza di geni provenienti da ceppi umani (se derivato da un ceppo animale); altre informazioni
dal genoma virale; e/o altre informazioni scientifiche
28
Il Piano Pandemico Italiano
ratori, rappresenta una vera e
propria simulazione pandemica,
poiché tra i campioni inviati ai
laboratori sono inclusi anche
virus inattivati appartenenti a
sottotipi potenzialmente pandemici, come l’H5 e l’H7.
Tra le azioni considerate
necessarie dal Piano Pandemico
vi è anche il rafforzamento del
monitoraggio della circolazione
dei virus influenzali dell’avifauna
selvatica e domestica (attualmente eseguito dal Centro Nazionale
per l’Influenza Aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico di
Padova), potenzialmente patogeni per l’uomo e l’integrazione
della sorveglianza epidemiologica e virologica sull’uomo con
quella in ambito veterinario.
Un altro punto fondamentale
è rappresentato dalla necessità di
minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la
mortalità dovute alla pandemia,
attraverso adeguate misure di
prevenzione e controllo dell’infezione. Gli interventi di sanità
pubblica che possono risultare
efficaci per limitare e/o ritardare
la diffusione dell’infezione sono
basati sulla riduzione dei contatti
tra persone infette e persone non
infette, e/o sulla minimizzazione
della probabilità di trasmissione
dell’infezione in caso di contatto
attraverso comuni norme igieniche e misure di barriera, come
ad esempio i dispositivi di protezione individuale. Oltre a ciò,
in caso di pandemia, è prevista
la limitazione degli spostamenti,
l’isolamento e la quarantena dei
casi e dei contatti.
Inoltre, sono state messe a
punto le strategie di utilizzo di
farmaci antivirali, appartenenti alla categoria degli inibitori
delle neuraminidasi, sia come
profilassi che come terapia.
Presso il Ministero della Salute
è già stato costituito uno stock
di farmaci, che sarà completato
entro il 2006. Il Ministero stesso si farà garante del controllo
della distribuzione dei farmaci
antinfluenzali fino all’utilizzatore finale in modo da assicurare
una distribuzione equa e un
utilizzo appropriato di questi
farmaci che saranno disponibili
solo in quantità limitata.
L’uso profilattico degli antivirali può rivelarsi utile in presenza
dei primi cluster di influenza causati da virus pandemico nelle fasi
4 e 5 (pre-pandemiche), quando
non sia ancora disponibile il vaccino. Si tratta di una strategia di
breve periodo, utile soprattutto
in presenza di casi isolati o piccoli gruppi di casi, in particolare se
questi si verificano in comunità
chiuse. In fase di epidemia conclamata, la profilassi con antivirali è invece poco utile. Infatti,
l’uso massiccio di questi farmaci
aumenta il rischio di insorgenza di ceppi virali resistenti e il
rischio di effetti collaterali.
Per limitare la diffusione di
un virus e prevenire l’infezione
l’arma più efficace è certamente
la vaccinazione: durante il periodo interpandemico il Ministero
della Salute emana annualmente una circolare in cui viene
descritta la strategia vaccinale da
adottare e la popolazione target.
Il Piano prevede adeguate
strategie di vaccinazione con
vaccino pandemico, da attuarsi non appena esso divenga
disponibile (da 60 a 90 giorni dalla consegna del ceppo
virale pandemico da parte dell’OMS alle ditte produttrici
di vaccino). Poiché il vaccino
pandemico potrebbe non essere immediatamente disponibile per tutta la popolazione, il
Piano Pandemico identifica 6
categorie, elencate in ordine di
priorità. Tra i primi a essere
vaccinati saranno gli appartenenti al personale sanitario e
di assistenza degli ospedali e
ambulatori, il personale addetto
ai servizi essenziali alla sicurezza
e all'emergenza (forze di polizia
a contatto col pubblico, vigili
del fuoco) e il personale addetto
ai servizi di pubblica utilità.
Il compito dell’attuazione
del Piano Pandemico spetta al
Ministero della Salute, di concerto con le Regioni, che hanno
un ruolo chiave nel garantire l’applicazione delle azioni
sanitarie a livello territoriale,
soprattutto considerando che la
pandemia potrebbe essere preceduta da focolai di infezione
localizzati in alcune aree geografiche (fasi 4 e 5).
Per saggiare l’operatività
dei Piani Nazionali dei diversi Paesi europei e l’eventuale
necessità di modifiche, è stata
condotta nel mese di novembre 2005 un’esercitazione tabletop (Common Ground), organizzata dall’Health Security
Committee della Commissione
Europea, in collaborazione con
l’Health Protection Agency
inglese (che fungeva da controllore centrale). All’esercitazione
hanno partecipato 25 Paesi, tra
cui l’Italia, oltre al Parlamento
Europeo e all’European Centre
for Disease Prevention and
Control (ECDC).
Per il futuro, anche in considerazione della possibilità di
cambiamenti nell’ecologia e nell'epidemiologia dei virus influenzali aviari circolanti e quindi della
necessità di aggiornamenti dei
piani pandemici, sono previste
ulteriori esercitazioni nazionali.

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29
L’intervento di formazione dell’ISS
per il controllo dell’influenza aviaria in Cina:
un modello da replicare?
Rita Ferrelli1, Maria Cristina Rota2, Livia Di Trani3 e Ranieri Guerra1
1Ufficio Relazioni Esterne, ISS
2Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, ISS
3Dipartimento di Sanità Alimentare ed Animale, ISS
D
opo i primi focolai di
influenza aviaria da virus
A/H5N1, verificatisi nei
volatili a Hong Kong nel 1997,
si sono manifestati ulteriori focolai negli allevamenti di pollame a
dicembre 2003 in Corea e, successivamente, in diversi Paesi del
Sud-Est asiatico.
In Cina, i primi focolai sono
stati segnalati nel mese di gennaio 2004 e si sono rapidamente diffusi in molte regioni del
Paese. Inoltre, in associazione
con i focolai nel pollame, da
ottobre 2005 la Cina ha segnalato 18 casi umani confermati
di influenza aviaria da virus
A/H5N1, di cui 12 mortali.
In questa situazione di allarme,
a causa del potenziale pandemico
del virus A/H5N1, si inserisce
nel febbraio 2006 la richiesta da
parte del Ministero della Sanità
cinese alla Cooperazione Italiana
allo Sviluppo (Ministero degli
Affari Esteri - MAE) di avviare un
programma di formazione specifico per il controllo dell’influenza
aviaria da rivolgere al personale
medico e paramedico.
Viene quindi pianificato un
programma di formazione del
personale sanitario cinese sulla
prevenzione e il controllo dell’influenza aviaria, nell’ambito
delle attività del progetto di
Capacity building del MAE (n.
30
AID 6.627), condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS)
e finalizzato allo sviluppo delle
capacità di programmazione
e valutazione di interventi e
risposte adeguate al bisogno di
salute, a favore delle autorità
sanitarie cinesi.
Nel marzo 2006 viene organizzata una prima missione in
Cina al fine di raccogliere elementi per pianificare l’intervento formativo.
Durante gli incontri con gli
esperti di influenza aviaria dei
Centers for Disease Control and
Prevention (CDC) di Pechino e
del Ministero della Sanità cinese
vengono presentati i dati epidemiologici relativi ai casi di
influenza aviaria nell’uomo e ai
focolai animali verificatisi recentemente nelle diverse province
della Cina. Viene sottolineato
come la produzione di carne e
uova da polli e/o anatre rappresenti la più importante fonte di
alimenti di origine animale per il popolo cinese e come esista un'ampia diffusione degli
allevamenti su tutto il
territorio nazionale; gli
allevamenti, per il 60%
circa rurali o domestici,
sono caratterizzati da un
numero modesto di animali, alimentati e curati
con sistemi tradizionali, molto
spesso in stretta promiscuità con
l’uomo e con altri animali, in
condizioni che favoriscono la
trasmissione all’uomo di infezioni a carattere zoonosico.
Anche i responsabili del programma per l’influenza aviaria
dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) di Pechino,
contattati durante la missione,
hanno sottolineato la mancanza
di attività di formazione e di
sensibilizzazione delle comunità
rurali, confermando la necessità
di un intervento a livello periferico.
A seguito di considerazioni
epidemiologiche, socio-economiche e organizzative, è stata
identificata per la realizzazione
dell’intervento formativo la provincia dello Hunan, una delle
più povere del Paese, dove a
ottobre 2005 sono stati diagnosticati i primi casi umani
di influenza aviaria (4 casi al
febbraio 2006).
Not Ist Super Sanità 2006;19(7-8):30-31
Intervento di formazione in Cina
Considerando che la provincia ha una popolazione di
66.980.000 abitanti ed è divisa amministrativamente in 122
contee e 2.587 township, sono
stati identificati come target
della formazione 560 medici a
livello di contea e 5.156 medici
a livello di township.
L’obiettivo dell’intervento era
quello di migliorare la preparazione del personale sanitario di
tutta la provincia dello Hunan
che opera a livello periferico,
al fine di contenere e rallentare
la diffusione del virus A/H5N1
all’interno di eventuali cluster
umani e minimizzare il rischio
di trasmissione all’uomo, individuando e segnalando rapidamente i casi, secondo il flusso
informativo locale.
La metodologia didattica, identificata per formare un
numero così elevato di operatori
in un arco di tempo limitato, si è
basata su un meccanismo di formazione a cascata, per il quale un
primo livello di operatori, selezionati a livello di contea, viene
preparato negli aspetti contenutistici e metodologici, al fine di
poter successivamente riproporre
il corso a operatori sanitari di
livello più periferico (township).
Nella selezione delle tecniche
didattiche, si è data preferenza a
una metodologia interattiva,
basata sul coinvolgimento attivo dei partecipanti, mediante
lavori di gruppo
e simulazioni
sugli argomenti
identificati. La
selezione dei
contenuti didattici da trasmettere nel corso è
stata discussa e condivisa con la
partecipazione di docenti locali,
elemento di fondamentale rilevanza per la contestualizzazione
di contenuti tecnici alla realtà
locale. La conduzione di corsi
è stata affidata a docenti cinesi
a causa della scarsa conoscenza
della lingua inglese tra gli operatori sanitari, anche dei livelli
più elevati.
Il primo ciclo formativo ha
coinvolto 560 operatori selezionati tra epidemiologi, personale medico, infermieristico
e laboratoristico delle contee dello Hunan, includendo
anche personale sanitario di
aziende agricole, stazioni ferroviarie e centri industriali ed
è stato realizzato in tre sessioni nel mese di maggio 2006.
Il personale sanitario formato
ha avuto la responsabilità di
organizzare nel mese di giugno
2006 i corsi per i 5.156 operatori sanitari, provenienti dalle
strutture più periferiche della
provincia.
Una successiva missione dell’ISS, effettuata nel mese di giugno 2006, ha valutato la qualità
delle attività formative mediante
l’analisi dei risultati dei pre- e
post-test effettuati e mediante osservazione partecipante
durante lo svolgimento di corsi
nelle città di Chang Sha, Miluo
e Heng Sha. Dall’analisi dei
dati è emerso un buon livello di
apprendimento e l’osservazione
dei corsi ha evidenziato come,
nonostante ciascuna sessione
prevedesse la partecipazione di
circa un centinaio di operatori,
sia stato dato sufficiente spazio
alla discussione e allo studio di
casi.
La sensibilizzazione e l’attivo
coinvolgimento dei partecipanti
ha indotto gli stessi a replicare i
corsi per i medici di villaggio e
a svolgere attività di educazione
sanitaria rivolte alla popolazione
in numerosi villaggi situati nelle
aree più rurali della provincia.
Tale risultato è sicuramente
un elemento di successo dell’intervento in quanto attività
aggiuntiva, considerati i limitati
fondi disponibili per il progetto,
e spontaneamente realizzata a
livello locale.
Durante la missione si è concordato, inoltre, con i responsabili dei CDC, dell'OMS e del
Ministero della Sanità cinese la
possibilità di rendere disponibile, sui rispettivi siti web istituzionali, il materiale didattico
prodotto in lingua originale, al
fine di dare la maggior diffusione possibile all’informazione nelle diverse province della
Cina.
In conclusione, l’attività
svolta dall’ISS dimostra la
possibilità di dare un contributo concreto alla diffusione
delle conoscenze attuali sul
virus A/H5N1 e sulle sue
potenzialità pandemiche, rafforzando le capacità locali di
prevenzione e controllo dell’influenza aviaria in quell’area
del mondo che storicamente è
coinvolta nella genesi e diffusione dei virus influenzali.
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Volume 19 - Numero 7-8
Luglio-Agosto 2006
ISSN 0394-9303
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Nei prossimi numeri:
Le acque minerali naturali
Rapporto annuale 2005 sulla legionellosi in Italia
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Influenza aviaria e pandemia
Caratteristiche biologiche dei virus influenzali
Epidemiologia ed evoluzione di H5N1
Sorveglianza in Italia
Ruolo dell’avifauna selvatica
Diagnosi virologica
Il vaccino pandemico: problemi
e strategie di produzione
Il vaccino pandemico: il ruolo dell’industria
Il Piano Pandemico Italiano
Intervento di formazione dell’ISS in Cina
Inserto BEN
Bollettino Epidemiologico Nazionale
Fattori di rischio di morte in occasione delle ondate
di calore: risultati di uno studio caso-controllo
Il grado di dipendenza come indice della vulnerabilità
degli anziani in occasione delle ondate di calore
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