Scienza dell`universale e scienze empiriche

SCIENZA
DELL’UNIVERSALE
E
SCIENZE
EMPIRICHE: I PRELUDI DI WILHELM WINDELBAND
DI GIACOMO ROTA
L’opportunità di partecipare alla stesura dei Quaderni del Ludovicianum
è per me occasione preziosa per l’approfondimento di un tema sviluppato
nell’elaborato conclusivo del triennio in Filosofia. In questo breve scritto
vorrei analizzare la classificazione metodologica delle scienze empiriche
proposta da Wilhelm Windelband1, classificazione che si inserisce nel più
ampio tentativo di ridefinire la filosofia su un piano valoriale.
Per il mio intento, il documento più indicativo è la prolusione accademica che Windelband tenne nel 1894 in qualità di Rettore dell’Università di Strasburgo e che successivamente annoverò nei suoi Preludi.2 Si tratta
di un intervento estremamente rilevante per il confronto (più o meno
esplicito) con il pensiero diltheyano, e quindi assai rilevante per delineare i
1
2
Wilhelm Windelband (1848-1915), esponente di spicco della Scuola del Baden
(badische Schule) e figura di notevole autorità nella storiografia fi losofica europea.
È proprio all’ombra delle sue grandi opere storiche che nascono i Preludi, una
raccolta di saggi via via arricchitasi nel tempo, cui Windelband affida la propria
riflessione più personale, strettamente connessa con la vita culturale e politica
della sua contemporaneità.
W. WINDELBAND, Präludien, 1. Aufl. 1883, J.C.B. Mohr, Tübingen 19216
(edizione postuma), tr. it. di R. Arrighi, Preludi, a cura di A. Banfi, Bompiani,
Milano 1947.
Una raccolta di alcuni saggi tradotti in italiano è presente anche in: P.ROSSI (a
cura di), Lo storicismo tedesco, UTET, Torino 1977.
Per la prolusione sopra citata ho utilizzato la versione tradotta in Rossi: Geschichte
und Naturwissenschaft, in Präludien, cit., Bd. II, pp. 136–160, tr. it. Storia e scienza della
natura, in Lo storicismo tedesco, cit., pp. 313–332.
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confini tra quelle due grandi scuole di pensiero che s’imposero sulla scena
tedesca di fine Ottocento: da un lato il neokantismo del Baden (insieme a
quello di Marburgo), dall’altro lo storicismo.
Il filo rosso che unisce i saggi che compongono i Preludi si esplica
nell’urgenza di definire la filosofia secondo un preciso statuto epistemologico: la filosofia si pensa come scienza dell’universale, e questo è per
Windelband un punto di partenza indiscutibile. Ciò che si richiede è piuttosto l’esigenza di tracciare una nuova “geografia” della filosofia, che ne
indentifichi il luogo epistemologico nei confronti delle altre scienze, in un
secolo come il XIX, assai prolifico per il sapere scientifico.
Iniziamo dunque dalla definizione di filosofia che Windelband propone nei Preludi. Il nostro autore ritiene che il termine philosophia abbia
significato fin dall’epoca platonica «esattamente ciò che oggi noi tedeschi
designamo col termine “scienza” [Wissenschaft]»3. Indubbiamente un’affermazione molto forte, legata ad un tipo di sensibilità europea che definisce
pienamente l’epoca in cui Windelband scrive (per intenderci l’epoca del
positivismo e della cultura classico-filologica tedesca). Dal momento che
nella filosofia lo storico vede «solo un fenomeno culturale ramificato e
proteiforme, che non si lascia schematizzare o rubricare con semplicità»4 ,
dobbiamo comunque tener conto di questa variabilità storica anche nella
definizione sistematica di filosofia: per Windelband essa è la «scienza critica
dei valori universalmente validi»5, dove l’aggettivo “critica” designa il metodo,
mentre l’elemento valoriale ne designa l’ “oggetto”.
Ma cosa significa che il valore è oggetto di una filosofia intesa come
Wissenschaft? Per rispondere dobbiamo considerare che ogni discorso
scientifico, nella sua struttura, cioè nel suo metodo, parte da un insieme di
assiomi sulla base dei quali, solo in relazione ad essi, «si può dimostrare,
cioè confermare qualcosa come vero oltre i fatti e dai fatti»6. Se la filosofia
3
4
5
6
Was ist Philosophie? (Über Bregriff und Geschichte der Philosophie), in Präludien, cit., Bd. II, pp.
1-15, tr. it. Che cos’è la filosofia? (Concetto e storia della filosofia), in Lo storicismo tedesco, cit., pp.
271 – 312, p. 280.
Ibidem, p. 275.
p. 292.
Kritische oder genetische Methode?, in Präludien, cit. pp. 99-135, tr. it., Metodo critico o genetico?, in
Preludi, cit., pp. 129-155, p. 135.
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è la scienza di ciò che universalmente vale, gli assiomi da cui deve partire sono
i valori: il problema della filosofia, dunque, «è la validità degli assiomi»7.
Ma in che modo la filosofia può indagare le condizioni di validità
di questi assiomi-valori? Lo può fare solo mostrando i valori come «principi efficienti»8 nella realtà empirica, «per cui la loro validità deve essere
assolutamente riconosciuta se determinati fini devono essere realizzati»9.
Quello dei fini è un discorso estremamente complesso in filosofia; in questa sede ci limitiamo a una singola precisazione: la necessità teleologica di
cui Windelband sta parlando è una necessità ideale. In altre parole: solo se
determinati fini devono essere realizzati, allora qualcosa vale e può essere
riconosciuto tale. L’ideale dello scienziato all’opera è giungere alla verità di
un certo fatto scientifico; la verità diventa il valore ultimo che lo scienziato
riconosce come un fine da perseguire10. Windelband aderisce pienamente ad
una distinzione delle facoltà di matrice kantiana: gli universali valori del
pensare, dell’agire e del sentire corrispondono alla distinzione tra logica,
morale ed estetica teorizzata dal Filosofo di Königsberg e tanto apprezzata dai neokantiani.
Il fatto che la filosofia sia una scienza critica ci fornisce, come detto,
l’elemento metodologico. Dal momento che la filosofia ambisce ad un ruolo trascendentale nei confronti di ogni sapere umano (dalla conoscenza
scientifica prettamente detta, a quella estetica e morale), lo studio della
validità degli assiomi dovrà collocarsi un terreno neutro rispetto a tutte le
manifestazioni di conoscenza dell’umano. Ciò che sta dietro ogni conoscenza è esattamente il rigore della sua struttura, ovvero il suo metodo. Su
questo si deve notare una cosa: ciò che interessa a Windelband non è solo
come il valore sia stato declinato storicamente dall’uomo, ma anche come
il riferimento al valore possa contribuire alla costituzione di un sistema
delle conoscenze umane, che ne mostri distinzioni e fondamenti. L’intento
7
8
9
10
Ivi.
R. BONITO OLIVA, Il compito della filosofia – Saggio su Windelband, Morano Editore, Napoli,
1990, p. 49.
Metodo critico o genetico, tr. it., cit., p. 136.
Questo mio esempio è estremamente utile per mettere subito in luce un’altra caratteristica
tipica dell’epoca in cui il nostro autore scrive: la certezza che del fatto ci sia una verità
oggettiva, defi nitiva e stabile. Il Novecento epistemologico segnerà il trionfo di una
visione opposta: il fatto “puro” non esiste, ma ogni “osservazione” è già intrisa di teoria e
quindi pre-giudicata. Avremmo modo di ritornare più avanti su questo punto.
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è, ancora una volta, prettamente kantiano: «Come Dottrina trascendentale
del metodo intendo, dunque, la determinazione delle condizioni formali di
un sistema completo della ragion pura»11. Il sistema dice dell’architettonicità
della ragione umana e la sua completezza indica che non c’è conoscenza
che possa chiamarsi fuori; il metodo tocca le ragioni formali di ogni nostro
atto conoscitivo, dalla logica all’estetica. Come Windelband esordisce in
Metodo critico o genetico: la Critica della ragion pura « […] non voleva essere
tanto un sistema filosofico quanto un “Trattato del metodo” […]»12 , una
propedeutica ad un “sistema delle scienze” che richiedeva di essere rinnovato dopo un secolo scientificamente prolifico e straordinario. Insomma,
con Kant la filosofia diventa quella “metafisica del sapere” capace di interrogarsi sulle condizioni di validità di ogni determinazione conoscitiva
dell’umano ed è appunto la realizzazione di questa “metafisica” ciò cui
punta Windelband.
Considerato quanto detto, possiamo ora approcciarci alla prolusione
del 1894, a partire dalle domande che la informano: posto che la filosofia
studi il fondamento di ogni scienza (gli assiomi-valori), qual è un’opportuna classificazione per quelle scienze definite empiriche, cioè la cui validità
richiede una «constatazione dei fatti attraverso la percezione»?13 E soprattutto: qual è il ruolo spettante alla storia se questa viene riconosciuta come
una disciplina empirica fondata su “fatti” differenti da quelli fisici? Che
tipo di constatazione è possibile nelle scienze storiche?
Dobbiamo partire dalla distinzione tra scienze della natura e scienze
dello spirito che nel 1883 Wilhelm Dilthey propose nella sua Einleitung in
die Geisteswissenschaften. Per quanto Dilthey non venga mai espressamente
citato nella prolusione, la sua distinzione è il vero bersaglio polemico da
cui muove Windelband. Dilthey sosteneva due differenze fondamentali
tra le scienze naturali e le scienze dello spirito: una “oggettuale”, l’altra
“gnoseologica”. Come scrive Pietro Rossi nella brillante monografia sul
criticismo tedesco:
11
12
13
I. KANT, Kritik der reinen Vernunft, A708, tr. it. di C. Esposito, Critica della ragion pura,
Bompiani, Milano 20123, p. 1007.
Metodo critico o generico?, tr. it., cit., p. 129.
Storia e scienza della natura, tr. it., cit., p. 317.
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«Dal punto di vista dell’oggetto, le prime studiano una realtà esterna
all’uomo, mentre le seconde si riferiscono al mondo umano considerato
nella sua dimensione storica. Dal punto di vista della “fonte” da cui
proviene il dato empirico, le prime muovono dall’esperienza esterna, cioè
dall’osservazione sensibile, mentre le seconde si radicano nell’esperienza
vissuta che l’uomo ha di sé, della propria vita interiore e dei propri rapporti
con gli altri. Dal punto di vista del procedimento, le prime tendono a
fornire una spiegazione causale dei fenomeni, mentre le seconde si
propongono di “intenderli”, avvalendosi di categorie eterogenee a quelle
della conoscenza naturale»14.
Il punto di scontro tra i due è giocato sulla concezione dell’individuo
e sulla psicologia. Per Dilthey l’individuo è il Grundkorper del mondo umano, ciò che si avvale di un’esperienza vissuta (Erlebnis) che non può essere
dissociata dalla cultura e dall’organizzazione sociale in cui esso vive. «La
struttura del mondo umano è appunto storica»15 e storicamente condizionati sono i rapporti che l’individuo ha le strutture sociali del suo tempo. La
teoria del soggetto diltheyana è sostenuta da una psicologia che definisce la
conoscenza come una «funzione dell’esistenza concreta dell’uomo in quanto
individuo empirico e della situazione storico-culturale in cui egli vive»16.
Windelband non può accettare quanto detto: in quanto neokantiano non può accettare che ogni conoscenza sia esclusiva funzione dell’esistenza concreta e particolare dell’uomo, perché se così fosse verrebbe
meno tutta la trascendentalità del valore che ha cercato di difendere. Ciò
che Windelband vede minacciato dalla visione del Dilthey è il riferimento
stesso all’universale validità del valore che per lui – neokantiano – è il
solo mezzo per avere un sistema della conoscenza corretto e completo. Il
problema di Windelband è allora quello della mediazione: come mediare
tra un universale atemporale, posto come fine ideale di ogni nostra azione
conoscitiva sul mondo, e una realtà quotidiana, storica in cui effettivamente pensiamo, agiamo e patiamo ogni giorno? Per dirla in altre parole:
qual è il “mordente” del valore se la validità che esso traluce è ideale?
14
15
16
P.ROSSI, Lo storicismo tedesco, cit., p. 21.
Ibidem, p. 81.
Ibidem, p. 18.
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La risposta di Windelband ha del sorprendente: il valore vale perché
siamo convinti della sua validità. Ci volgiamo al sistema delle “stelle fisse”
dei valori avvertendo nei loro confronti una necessità prescrittiva (Sollen) e
non costrittiva (Müssen): il valore chiede di essere considerato tale; ci chiama
alla sua validità.
Questo dover-essere prescrittivo fondato su un atto di convinzione non può, per Windelband, costituirsi in una coscienza intesa in senso
solo storico-fenomenico: Windelband è costretto a postulare l’esistenza di
una coscienza generale o normativa che è puramente ideale; in essa si realizza
quella piena uniformità al valore (cioè al fine) che noi non raggiungiamo
mai concretamente, ma che, tuttavia, ci muove costantemente verso di lui,
riconoscendolo come proprio come fine. La coscienza è normativa perché la
norma è la principale declinazione quotidiana che facciamo del valore. C’è
dunque una coscienza normativa «la cui essenza consiste per noi nel fatto
che noi siamo convinti che essa debba essere reale»17.
La coscienza normativa non è altro che l’ideale della nostra coscienza fenomenica storicamente determinata. Il soggetto windelbandiano è
sicuramente un soggetto “ingombrante”, tanto che Corrado Rosso ha
parlato di una vera e propria «Postulatendiktatur»18 nel riferirsi alla coscienza normativa: la dottrina windelbandiana poggia assunzioni poco difendibili, che richiedono un atto di fede o di convinzione a loro fondamento,
facendo dei valori delle entità trascendenti vere e proprie e instillando
nell’umano una fuga dall’essere verso tali entità.
Per poter salvaguardare la propria posizione Windelband deve attaccare in quello che gli sembra il punto più debole del Dilthey, la psicologia,
e lo fa mettendo in atto tutto il rigore del suo discorso metodologico: la
discrepanza tra l’ambito oggettuale e l’ambito metodologico rende impossibile una classificazione sicura della psicologia, quindi la distinzione tra
scienza della natura e dello spirito non è sicura, quindi è da sostituire con
un’altra più precisa distinzione.
Seguendo il Dilthey, la psicologia dovrebbe «essere caratterizzata in
base all’oggetto solo come scienza dello spirito e, in certo senso, come il
17
18
Che cos’è la filosofia?, tr. it., cit., p. 304.
C. ROSSO, Figure e dottrine della filosofia dei valori, Istituto di Filosofia della Facoltà di Lettere
e Filosofia dell’Università di Torino, Torino 1949, p. 54.
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fondamento di tutte le altre scienze, mentre il suo intero procedimento,
il suo comportamento metodologico, è dall’inizio alla fine quello delle
scienze della natura. Perciò essa ha dovuto accettare talvolta la designazione di “scienza naturale del senso interno” o anche quella di “scienza della
natura spirituale”».19
Per proporre una distinzione fondata metodologicamente Windelband gioca sull’identità del fatto di cui si occupano le scienze empiriche:
la fisica empirica tratterà di un “fatto” che è ben diverso da quello constatato dalla psicologia o dalla storia. La classificazione windelbandiana
delle scienze empiriche si muove proprio in questo solco: scienze di leggi
da un lato, scienze di avvenimenti dall’altro; le prime dette “nomotetiche”, le
seconde “idiografiche”.
Questo non significa che ogni disciplina idiografica ha per oggetto
l’uomo; come spiega Corrado Rosso:
«[…] la psicologia riguarda l’uomo, ma non è disciplina a carattere
idiografico, bensì a carattere nomotetico, è scienza naturale. E ugualmente,
nel campo delle scienze naturali può penetrare la considerazione
idiografica: la scienza della natura organica […] ha carattere nomotetico, ma
in quanto […] storia dell’evoluzione, che descrive cioè la successione degli organismi
terrestri come un percorso di differenziazione o di trasformazione graduale nel corso
dei tempi […] assume carattere idiografico»20.
La spiegazione “idiografica” di un evento, che per Windelband
coincide con un atto di ricostruzione storica, è irriducibile alla sola necessità
legale che è oggetto di una scienza nomotetica come la fisica. Per lo
storico la caduta di un corpo non ha nulla a che vedere con la legge
oraria di caduta dei gravi: egli vede quel corpo come un evento storico,
preceduto temporalmente da un altro evento che ne ha determinato la
caduta. Il fisico, invece, vedrà quel corpo come un sistema in movimento,
determinato da precise variabili che si raccolgono intorno ad una legge.
Windelband può così concludere che legge e avvenimento sono «le grandezze
ultime e incommensurabili della nostra rappresentazione del mondo»21.
19
20
21
Storia e scienza della natura, tr. it., cit., p. 318.
C. ROSSO, Figure e dottrine della filosofia dei valori, cit., p. 47.
Storia e scienza della natura, tr. it., cit., p. 332.
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Ciò che sta veramente a cuore al nostro autore è il ruolo giocato
dalla conoscenza storica. La storia è in Windelband il luogo di incontro
della vita umana con il valore: nella ricostruzione storica l’uomo contemporaneo prende coscienza di come l’umanità che l’ha preceduto abbia
saputo declinare e concretizzare il proprio sguardo al valore. Lo storico deve quindi «far rivivere una formazione del passato nella sua intera
configurazione individuale, rendendola idealmente presente»22 . Questa
singolarità della ricostruzione storica viene accentuata nel carattere di
intuitività che Windelband attribuisce al pensiero storico, in piena affinità
con i prodotti delle belles lettres. Si tratta di un’intuitività non vincolata
all’immediatezza ricettiva delle cose, bensì di un’intuitività che potremmo
dire spirituale. Come il romanziere deve essere profondo conoscitore della
psiche umana, così da poter creare personaggi e situazioni pienamente
coinvolgenti, allo stesso modo, lo storico, è in grado di far risuonare nel
presente un evento passato perché avverte la stoffa universale che unisce
quel passato al suo presente. La storia mette così in luce una validità che
deve essere costantemente riaffermata con un atto di convinzione: la convinzione che la nostra conoscenza fenomenica volga verso una coscienza
normativa, piena adeguazione al valore.
Ma come questo vale per il singolo individuo, allo stesso modo vale
per la collettività: in uno degli scritti più articolati dei Preludi, Del principio
morale, Windelband scrive che «la nostra moralità (Sittlichkeit) ha origine
nel costume (Sitte)»23. Il costume è non è altro che una coscienza normativa portata a livello collettivo; una «coscienza collettiva» che la società deve
costantemente realizzare. Ecco perciò che «ad ogni società è assegnato il
compito di creare una propria cultura»24, ed ecco perché la comprensione
della scienza storica «esige una teoria critica dei valori culturali»25. Non
è quindi un caso che la storia della filosofia abbia un ruolo predominante nel pensiero windelbandiano: straordinaria è la definizione che ne dà
nell’Introduzione alla sua Storia della filosofia:
22
23
24
25
Ibidem, p. 323.
Vom Prinzip der Moral, in Präludien, cit., tr. it., Del principio morale, in Preludi, cit., pp. 175-199,
p. 184.
Ibidem, p. 196.
Üeber die gegenwärtige Lage und Aufgabe der Philosophie, in Präludien, cit., Bd. II, pp. 1-23, tr. it.
di R. Arrighi, La filosofia contemporanea e il suo compito, in Preludi, cit., pp. 17-33, p. 31.
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« La storia della filosofia è il processo mediante il quale l’umanità europea ha
concretato in concetti scientifici la sua concezione del mondo (Weltauffassung) e la sua
valutazione della vita (Lebensbeurteilung)»26.
Dietro una simile definizione credo si possa vedere una sensibilità
squisitamente politica. Windelband vive in un periodo di profondi rivolgimenti per la cultura tedesca: l’esito vittorioso del Conflitto franco-prussiano aveva aperto le porte all’Unificazione del 1871 e l’avvio al secondo
Reich. Windelband, in quanto filosofo, si sente responsabile nel fornire
all’uomo europeo una nuova coscienza politica e civile; una coscienza che
sia consapevole di un nuovo secolo alle porte e che richieda uno sforzo
sempre rinnovato nel pensare, nell’agire e nel sentire collettivo. Forse anche per questo i Preludi non sono (né potrebbero essere) un’opera sistematica: nell’eterogeneità dei diversi scritti (riflessioni personali, prolusioni accademiche, saggi veri e propri) Windelband sembra voler dare solo un “assaggio” delle proprie posizioni speculative, lasciando alle sue monografie
storiche e agli scritti più teoretici il compito di una esposizione completa.
La forma dei Preludi sarebbe quindi una valutazione della vita (Lebensbeurteilung) che uno sguardo indagatore fa della propria contemporaneità; uno
sguardo che dalla realtà si volge verso un piano valoriale dal carattere
sempre trascendente, con tutto il problema dello statuto ontologico dei
valori che coinvolgerà pensatori come Rickert (allievo di Windelband),
Hartmann, Scheler e molti altri nel Novecento.
26
Lehrbuch der Geschichte der Philosophie, 1. Aufl. 1903, J.C.B. Mohr, Tübingen, tr. it. di C.
Dentice D’Accadia, Storia della filosofia, versione italiana riveduta sulla 13a edizione tedesca,
Edizioni Remo Sandron, Palermo 1937-1938.
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