IL SISTEMA DEI MORFEMI
II LIVELLO DI ARTICOLAZIONE
Le unità di base della morfologia latina
( V. Viparelli, Università Federico II Napoli)
Le parole ( cfr. slides 8- 16)
Proprietà delle parole
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La parola è un’unità linguistica primitiva, facilmente accessibile all’intuizione dei parlanti,
moderni e antichi.
La parola ha proprietà semantiche. E’ attraverso le parole che i parlanti trasmettono il
significato del loro pensiero.
La parola ha proprietà sintattiche. Sono le parole che, combinandosi tra loro, costruiscono
quelle unità più grandi, cioè i sintagmi e le frasi, che sono oggetto di studio della sintassi.
N.B.
FRASE: definiamo frase una espressione linguistica costruita secondo le regole generali della
lingua, tale da esprimere un concetto di senso compiuto anche al di fuori di un testo e di una
situazione comunicativa. A differenza dell’enunciato che è legato ad un certo parlante in un
certo momento e in un certo luogo la frase è una unità grammaticale astratta e libera da legami
con il tempo lo spazio le persone. Possiamo dire che “ oggi è una bella giornata” detto da
Paola il 2 giugno a Roma e “ oggi è una bella giornata” detto da Mario a Bari il 20 luglio sono
due enunciati cui sottostà la stessa frase.
SINTAGMA: unità sintattica di livello inferiore alla frase, risultante dalla combinazione di due
o più unità lessicali e grammaticali. La frase La lezione sta finendo è costituita dal sintagma
nominale la lezione (articolo + nome) e dal sintagma verbale sta finendo ( verbo+ verbo).
Struttura interna delle parole
La parola ha anche una sua struttura interna. La morfologia, (cioè "studio della forma"), si
occupa della struttura interna delle parole e dei processi che intervengono nella loro formazione o
trasformazione.
La maggior parte delle parole possono variare la loro forma e il loro significato. La struttura di ogni
parola variabile è scomponibile in unità minori dotate di significato ed è combinabile strettamente
con altri elementi.
Il verbo latino amare ad es. combinandosi con il morfema suffissale – bilis forma l’aggettivo
amabilis. Questo meccanismo di combinazione è uno strumento potente attraverso il quale una
lingua arricchisce il suo patrimonio lessicale a partire da un numero più ridotto di parole-base o
elementi primitivi. La morfologia della derivazione si occupa dunque dei processi di formazione
delle parole che sono responsabili del rinnovamento lessicale di un sistema linguistico.
La morfologia della flessione
La flessione è l’insieme dei mutamenti morfologici che subiscono le parole variabili per esprimere
valori e rapporti grammaticali diversi. La morfologia flessiva si occupa dell’insieme di regole che
assegnano in una determinata lingua le informazioni grammaticali alle unità lessicali attraverso
l’uso dei morfemi flessivi. I morfemi flessivi, o morfemi grammaticali, sono gli elementi variabili
della parola, comunemente definiti come uscite o desinenze o terminazioni. La flessione che
insieme alla derivazioneè un modo di strutturare le parole, è molto diffusa nelle lingue del mondo
ma non nella stessa misura : esistono lingue a flessione ridotta che esprimono attraverso l’ordine
delle parole, o parole funzionali (cioè parole indipendenti con significati grammaticali) tutto ciò che
in altre lingue è espresso attraverso modificazioni delle parole. E’ il caso del latino rispetto
all’italiano:
1. in latino che è una lingua a flessione ricca, il morfema flessivo oltre al genere e numero
fornisce informazione sulla funzione svolta dalla parola all’interno della frase.
Es. puella matrem diligit / matrem puella diligit/ : sono enunciati ugualmente ammissibili in
latino perché ogni parola indipendentemente dalla sua posizione segnala la sua funzione attraverso
la desinenza; così puella può essere analizzata come un tema puella portatore del senso lessicale
“fanciulla” che coincide con la desinenza del nominativo caso del soggetto e contemporaneamente
assegna il termine alla classe flessiva I definendo il genere (femminile) e il numero (singolare) .
2. in italiano il variare del morfema flessivo combinato alla base di sostantivi aggettivi e pronomi
fornisce una doppia informazione su genere e il numero. La funzione svolta dalla parola all’interno
della frase è invece segnalata prevalentemente dalla posizione della parola nella frase rispetto al
verbo:
es. Andrea ama la mamma/ La mamma ama Andrea
N.B.
Il procedimento flessivo non è sufficiente in latino a esprimere tutte le relazioni che un
nome può assumere all’interno di una frase. Il latino perciò ricorre contemporaneamente a
procedimenti diversi soprattutto all’uso di preposizioni per segnalare alcune funzioni (
es. lo stato in luogo, il moto a luogo, il moto da luogo). La coesistenza di questi due
sistemi sintetico ( il nome presenta nella sola desinenza il segno della funzione:
accusativo caso dell’oggetto) e analitico (la funzione del nome è indicata anche dalla
preposizione) provoca una loro concorrenza e alla fine la scomparsa del sistema sintetico
come è accaduto per l’italiano.
La flessione interessa tutte le parti del discorso variabili, ossia quelle soggette alle modificazioni
formali (in latino: nome, verbo, aggettivo, pronome, in italiano si aggiunge l’articolo).
Le parole invariabili hanno invece forma unica e non possono mutare nelle desinenze: sono unità
minime significative non ulteriormente scomponibili.
Es. se provassimo a segmentare la parola latina cum otterremo delle unità minime di suono (
fonemi) prive di significato proprio ma capaci combinandosi di formare unità portatrici di
significato.
Le unità di base della morfologia latina
Il primo problema per il latino è quello di definire quali siano le unità minime del sistema
morfologico.
Le parole?
Le unità minime del sistema morfologico latino non sono le parole semplici che appaiono alla
superficie della lingua e sono contenute in un comune vocabolario, come si potrebbe facilmente
pensare a partire dall’esame di una lingua a flessione ridotta.
Il latino è una lingua a flessione ricca e avviene molto di rado che i morfemi flessivi si aggiungano
semplicemente ad una forma di base che sia essa stessa una parola già esistente. Un esempio è la
flessione della parola consul ( console ) nella quale i morfemi flessivi si aggiungono alla base che
è una parola linguisticamente esistente e si incontra sul vocabolario:
consul-is (del console), consul-em (il console)
Le parole?
Le unità minime del sistema morfologico latino non sono nemmeno le due forme flesse che i
vocabolari usano come forma di citazione delle parole latine.
Nel vocabolario latino i nomi sono citati nella forma del nominativo e del genitivo singolare, i verbi
nella forma della prima e della seconda persona singolare dell’indicativo presente. Le forme citate
dai vocabolari latini sono parole già flesse, che non possono essere considerate le unità di base per il
funzionamento della morfologia. Esse sono troppo ‘concrete’ per essere utili alla ricerca delle unità
fondamentali del sistema morfologico latino.
Le radici?
L’unità di base per il funzionamento della morfologia latina non può essere neanche la radice della
parola.
La radice è l’elemento irriducibile che una parola ha in comune con tutte le parole appartenenti alla
stessa famiglia. Contiene il significato fondamentale della parola e rappresenta la parte semantica
comune a più parole. Ma il comportamento morfologico di una parola, c non è prevedibile a partire
dalla sua sola radice. Una stessa radice, infatti, dà origine, in maniera diversa, a nomi, verbi e
aggettivi. In latino ad esempio la radice *luc produce: lux sostantivo (luce), lucidus aggettivo
(luminoso), lucere verbo ( risplendere)
I temi
L’unità di base per il funzionamento della morfologia latina è un’unità intermedia tra la parola che
appare alla superficie della lingua e la radice. L’unità di base, una forma definibile solo per mezzo
dell’analisi linguistica, verrà chiamata d’ora in poi ‘tema’.
Il tema è la parola priva di flessione; è perciò qualcosa di più astratto rispetto a una parola ma anche
qualcosa di più concreto rispetto a una radice perché oltre al significato lessicale contiene anche,
come vedremo, una certa informazione grammaticale.
La base della flessione
Il tema
Un tema è dunque un’unità morfologica formata da un morfema lessicale (la radice della parola),
che esprime il significato più generale della parola, e da un morfema grammaticale.
Il morfema grammaticale che nel tema si accompagna alla radice appare espresso di solito nella
forma fonetica di una vocale detta vocale tematica.
Ad esempio, -a- in ros-a- ; -o- in lup-o-.
Il tema morfologico di una parola è qualcosa di “astratto” perché non contiene le desinenze flessive.
Ad esempio il tema di lupus (il lupo) e di lupi (i lupi) è lup-o-.
Può perciò essere anche foneticamente nullo.
Ad esempio il tema della parola dux è duc-, uguale alla radice.
Le informazioni del tema
Il tema di una parola contiene inoltre tratti intrinseci che ne definiscono alcune proprietà
grammaticali: le forme dei temi nominali rosa-, lupo-, per esempio, specificano il genere
grammaticale dei temi (femminile: rosa-; maschile: lupo-).
Le classi flessive del latino
Tema e paradigma
La struttura morfologica astratta del tema, cioè la base tematica alla quale si risale dalla forma di
superficie, consente di prevedere esattamente il paradigma flessivo della parola.
Per esempio da lupus si risale al tema lupo-; se il tema ha la vocale tematica -o- io posso dedurre
che:
1. lupus avrà come plurale lupi;
2. lupus è strutturalmente diverso da lepus (una parola che non ha, come vedremo, il tema in o- e si comporta nella flessione in modo molto diverso da lupus.)
La forma del tema in definitiva determina lo sviluppo della parola nella flessione in un modo o in
un altro e l’appartenenza della parola ad una determinata classe flessiva (declinazione o
coniugazione).
Declinazione e coniugazione
Le tradizionali classi flessive del latino sono la declinazione dei nomi, degli aggettivi e dei pronomi
e la coniugazione dei verbi.
In latino la declinazione dà le informazioni relative al caso, al numero , al genere per i sostantivi
gli aggettivi, i pronomi; il tema possiede già di per sé un genere.
La coniugazione dà le informazioni relative al tempo, al modo, alla diatesi, alla persona e al
numero.
Il numero e il genere
Il numero è la categoria grammaticale che si manifesta nell’opposizione tra singolare e plurale,
classifica i nomi secondo la quantità numerica in senso cardinale del singolo o del molteplice.
Il latino, come l’italiano, distingue morfologicamente il singolare dal plurale. Non ha invece il duale
che è una forma di valore quantitativo riferita agli oggetti che si presentano in coppia. Il duale è
presente tra le lingue antiche nel greco.
Il genere è la categoria grammaticale che si manifesta per lo più nella distinzione dei nomi, degli
aggettivi e dei pronomi in maschili e femminili.
In latino, come oggi in tedesco, i generi sono tre: a differenza che in italiano, esiste oltre che il
maschile e il femminile anche il neutro (etimologicamente “né l’uno né l’altro”) che indica per lo
più ciò che è inanimato.
Il Caso ( vedi slides n.
La declinazione dei nomi e degli aggettivi serve a distinguerne, in latino, anche il caso.
Si può parlare di Caso astratto e di Caso morfologico.
Il Caso morfologico
Il Caso morfologico è ogni diversa forma che una parola assume a seconda della funzione sintattica
che svolge all’interno della frase; o, in altri termini, ogni modificazione che una parola subisce per
indicare il possesso di un Caso astratto.
Il Caso morfologico dà le informazioni relative al Caso astratto e queste informazioni si
manifestano in modo molto variabile nelle diverse lingue.
Il Caso morfologico in latino
I Casi morfologici in latino sono sei: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo.
In relazione alla funzione che esprimono diciamo che:
il nominativo è il caso del soggetto;
l’accusativo dell’oggetto.
Il Caso astratto
Il Caso astratto indica la diversa funzione che un nominale svolge all’interno della frase.: la
funzione di soggetto (caso astratto) viene indicata in latino dal nominativo (caso morfologico).
Il Caso astratto è una proprietà di tutte le lingue, ma non tutte le lingue e hanno il caso morfologico.
In italiano si hanno solo poche e isolate manifestazioni di Caso morfologico.
Ad esempio, i pronomi di terza persona singolare hanno una declinazione a tre casi:
Nominativo maschile -> egli
Nominativo femminile -> ella
Dativo maschile -> gli
Dativo femminile -> le
Accusativo maschile -> lo
Accusativo femminile -> la
Le cinque declinazioni dei nomi
A seconda dei loro temi, i nomi latini si dividono in cinque gruppi a cui corrispondono le cinque
vocali tematiche e cinque declinazioni diverse.
I temi in -a- sono riuniti dalla tradizione scolastica nel gruppo della prima declinazione.
I temi in -o- sono riuniti dai grammatici nel gruppo della seconda declinazione.
I temi in -i- ed i temi in consonante sono riuniti dai grammatici nel gruppo della terza declinazione.
I temi in -u- sono riuniti dai grammatici nel gruppo della quarta declinazione.
I temi in -ē- sono riuniti dai grammatici nel gruppo della quinta declinazione.
Le quattro coniugazioni dei verbi
A seconda dei loro temi, i verbi latini si dividono in quattro gruppi a cui corrispondono quattro
coniugazioni diverse.
I temi in -ā- sono riuniti dalla tradizione scolastica nel gruppo della prima coniugazione.
I temi in -ē- sono riuniti dai grammatici nel gruppo della seconda coniugazione.
I temi in -e/i- sono riuniti dai grammatici nel gruppo della terza coniugazione.
I temi in -ī- sono riuniti dai grammatici nel gruppo della quarta coniugazione.
La morfologia della flessione
La flessione è il fenomeno per cui un tema acquisisce nuove informazioni importanti per la sintassi.
La morfologia della flessione prende in esame i meccanismi che generano diverse forme della stessa
parola.
La vocale tematica e la desinenza
Al tema morfologico si aggiunge immediatamente la desinenza (=affisso flessivo); essa, variando,
determina il mutamento della parola durante la flessione.
N.B
Molto spesso però nella flessione di una parola latina si hanno dei mutamenti fonologici del tema: la
desinenza si fonde con il tema e quindi, alla superficie della lingua, le due parti, tema morfologico e
desinenza, non sono più distinguibili.
Ad esempio in lex “la legge” il tema è leg-. La consonante doppia (x) esprime graficamente il
gruppo consonantico che nasce dall’unione del tema alla -s, desinenza del nominativo ([leg]+s).
Oppure, in lupi “del lupo” l’uscita -i deriva dalla cancellazione della vocale tematica -o- avanti alla
antica desinenza -ī ([lupo]+ī).
Questi mutamenti non sono arbitrari ma seguono una regola chiamata in generale regola di
riaggiustamento fonetico che interviene solo a determinate condizioni ossia in presenza di un
confine di morfema (dunque è condizionata dal contesto morfologico). Si prende cura di
“riaggiustare” la parola astratta fino a darle, nel corso della flessione, la forma fonetica concreta.
Appartiene alla regola di riaggiustamento la Regola di cancellazione della vocale che ci consente
di riconoscere i cambiamenti avvenuti dalla struttura morfologica astratta alla forma fonetica che
troviamo concretamente utilizzata nella lingua.
Questa regola è così formulata: “una vocale diventa zero, qualora nel contesto si trovi
davanti a un confine di morfema e ad un’altra vocale”.
Nella morfologia latina la regola si applica ai paradigmi flessivi dei temi nominali (Nomi,
Aggettivi, Pronomi) che finiscono in vocale -a ed in vocale –o e ai paradigmi flessivi di temi verbali
che terminano in -a
Ad esempio, dal tema lupo- e dalla struttura astratta [lupo + ī] abbiamo lupī nel nominativo
plurale di lupus. Dalla struttura astratta formata da tema e desinenza [ [lauda] + o] si
passa, cancellando la vocale del primo componente, alla forma di superficie laudo. (io
lodo) .
Tale regola di riaggiustamento è il riflesso morfologico di una regola fonologica generale, che nasce
dalla difficoltà di pronunciare due vocali contigue, appartenenti a sillabe diverse. Già i grammatici
antichi parlavano dell’incontro vocalico come di un poco gradevole hiatus, di uno stare a “bocca
spalancata” (hiatus “apertura, voragine” deriva da hiare “aprirsi; spalancare la bocca”).
La regola si applica alla morfologia italiana, nel campo della flessione dei nomi, relativamente
all’informazione di numero, ad esempio:
[libro + Ø] -> libro; [libro + i] -> libri
[colle + Ø] -> colle; [colle + i] -> colli
[rosa + Ø] -> rosa; [rosa + e] -> rose
e nel campo della derivazione: dalla struttura astratta [ [vino] + aio] si passa alla forma di superficie
“vinaio”
Un’altra regola di riaggiustamente è quella del rotacismo secondo la quale “una s diventa r nel
contesto intervocalico, davanti ad un confine di morfema”
Questa regola si applica nel latino nella flessione dei nomi che hanno un tema consonantico in -s
preceduto da vocale.
Ad esempio, ecco come si comporta il tema flos- davanti alla desinenza del genitivo singolare -is:
[[flos] +īs] → floris
Questa regola di riaggiustamento (RR) interessa quindi la flessione dei temi latini in consonante,
raggruppati nella terza declinazione.
La flessione nominale
Le desinenze delle cinque declinazioni
Ai temi in -a- (I decl.), in -o- (II decl.), in -i- e in consonante (III decl.), in -u- (IV decl.), in -e- (V
decl.) si uniscono le desinenze per esprimere i Casi.
Il numero degli affissi flessivi che si riscontrano segmentando le forme flesse dei
nominali in tema astratto e desinenze è molto ridotto rispetto a quello delle
tradizionali ‘uscite’, come si vede nella tabella seguente.
Le desinenze delle cinque declinazioni
Ai temi in -a- (I decl.), in -o- (II decl.), in -i- e in consonante (III decl.), in -u- (IV decl.), in -e- (V
decl.) si uniscono le desinenze per esprimere i Casi.
Il numero degli affissi flessivi che si riscontrano segmentando le forme flesse dei nominali in tema
astratto e desinenze è molto ridotto rispetto a quello delle tradizionali ‘uscite’, come si vede nella
tabella seguente.
N.B. il segno + simboleggia il confine di morfema, tra tema e desinenza.
Osservazioni
Le desinenze sono sostanzialmente le stesse per la prima e la seconda declinazione da un lato, per le
altre tre dall’altro.
•
•
Il Nominativo singolare di tutte le declinazioni è sigmatico (cioè con desinenza -s) o
asigmatico (cioè senza desinenza -s). Il simbolo O sbarrato indica l’assenza di desinenza
(grado zero della desinenza)
Il Vocativo di tutte le declinazioni è sempre uguale al Nominativo, tranne che nella seconda
declinazione, ovvero nei nomi con tema in -o-, che hanno una desinenza -e.
Paradigma della prima declinazione
Questo è il paradigma dei temi in a breve, compilato indicando il tema morfologico astratto a cui si
aggiungono le desinenze.
Ricordiamo che il tema in -a- possiede già un proprio Genere e che l’aggiunta delle desinenze
fornisce informazioni relative al Numero e al Caso.
altre tre dall’altro.
•
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Il Nominativo singolare di tutte le declinazioni è sigmatico (cioè con desinenza -s) o
asigmatico (cioè senza desinenza -s).
Il Vocativo di tutte le declinazioni è sempre uguale al Nominativo, tranne che nella seconda
declinazione, ovvero nei nomi con tema in -o-, che hanno una desinenza -e.
La conoscenza della struttura morfologica astratta che soggiace alle parole che compaiono alla
superficie della lingua e la conoscenza delle regole di riaggiustamento hanno un ruolo utile per
descrivere la flessione dei temi che finiscono in vocale a ed o (e, come vedremo di seguito, anche la
flessione di altri temi).
Questo è il paradigma dei temi in a breve, compilato indicando il tema morfologico astratto a cui si
aggiungono le desinenze.
Ricordiamo che il tema in -a- possiede già un proprio Genere e che l’aggiunta delle desinenze
fornisce informazioni relative al Numero e al Caso.
N.B. La forma in corsivo fa riferimento alla forma che in superficie presentano le forme flesse del
nome rosa.
Osservazioni
A. Casi in cui in superficie non appare la desinenza.
•
•
Il Nominativo e il Vocativo singolare dei temi in a hanno una desinenza Ø; il Nominativo è
cioè asigmatico e la forma di superficie corrisponde al puro tema.
L’Ablativo singolare ha una desinenza rappresentata da un tratto fonologico di lunghezza.
La grammatica storica ci aiuta a spiegare la forma: il tratto fonologico di lunghezza della -adel tema è il residuo di un’antica desinenza -d (*rosa-d > rosā).
B. Casi in cui al tema appare aggiunta una desinenza.
•
Nel Genitivo e nel Dativo singolare, nel Nominativo e nel Vocativo plurale la desinenza che
appare in superficie è una i semivocalica ([j] in trascrizione fonetica).
La forma rosae è il risultato della fusione della vocale tematica [a] con una desinenza -j che non è
una vocale, ma una semivocale. La grammatica storica ci spiega che la desinenza originaria era -ī
per il Genitivo e -ĭ per gli altri casi. La j è risultata dall’erosione fonetica delle due vocali
desinenziali -ī e -ĭ. Il Genitivo rosae è a sua volta il risultato della fusione della vocale tematica acon la -i semivocalica [j]: ne è nato il dittongo [aj] che in latino è scritto ae, monottongato in e nella
pronuncia scolastica.
•
•
Nel Dativo e nell’Ablativo plurale la forma di superficie rosis si spiega con il meccanismo
della regola di riaggiustamento, che cancella la vocale tematica: la forma astratta [[rosa]+
īs], dove -īs è la desinenza vocalica, dà in superficie rosis e non *rosais.
Il Genitivo plurale, la cui desinenza è -rum, e l’Accusativo plurale, la cui desinenza è -s,
mostrano l’allungamento della vocale tematica.
Paradigma della seconda declinazione
Questo è il paradigma dei temi in o, compilato indicando il tema morfologico astratto a cui si
aggiungono le desinenze.
Ricordiamo che i temi in -o- sono nella stragrande maggioranza dei casi maschili.
I paradigmi dei temi in o
Osservazioni
•
•
La vocale o breve del tema, nelle forme di superficie appare chiusa (= si è ‘oscurata’) in u
per motivi di fonetica storica.
Fenomeni analoghi a quelli osservati per la flessione dei temi in a si osservano per la
flessione dei temi maschili in o: la regola di cancellazione della vocale si applica al Genitivo
e al Vocativo singolari, al Nominativo, al Dativo, al Vocativo e all’Ablativo plurali.
Il Vocativo singolare dei temi in o è l’unico esempio, in tutte le declinazioni, ad essere diverso dal
Nominativo. La desinenza è infatti una -e che cancella la vocale tematica o.
•
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Il Nominativo singolare dei temi in o è sempre sigmatico. E’ asigmatico solo nei nomi,
come per es. puer [puero] e ager [agro], che hanno un tema in -o- preceduto da -r-. Questi
stessi nomi hanno il Vocativo singolare uguale al Nominativo (Voc. sing.: puer e ager).
Il Nominativo singolare presenta in alcuni casi una desinenza -m. I nomi di seconda
declinazione che, come donum, hanno al Nominativo singolare la desinenza -m sono tutti
nomi neutri.
I paradigmi dei nomi neutri
La terza declinazione
Sono riuniti nel gruppo della terza declinazione i nomi maschili, femminili e neutri con tema in -i e
con tema in consonante (per es. civis [civi]; consul [consul]).
Nell’ambito delle forme flesse poche sono le differenze che si apprezzano tra i due gruppi che in un
antico stadio linguistico erano distinti e avevano desinenze diverse. Via via i due gruppi
uniformarono le diverse uscite desinenziali, con prevalenza di quelle dei temi in consonante e
diedero vita ad un’unica declinazione, quella che noi oggi chiamiamo la terza declinazione.
Questa è la tabella degli affissi flessivi che si aggiungono ai temi della terza declinazione.
Questi affissi flessivi sono gli stessi della IV e della V declinazione.
Il Nominativo
Il Nominativo è sigmatico (civis) nei nomi con tema che finisce:
1.
2.
3.
4.
in consonante occlusiva labiale (p, b): urb-s
in consonante occlusiva dentale (t, d): aestat-s > aestas (con caduta di dentale)
in consonante occlusiva velare (c, g): duc-s> dux ( c+ s= x)
in vocale i
: navi-s
N.B
Alcuni temi davanti alla consonante occlusiva presentano una i. Il tema era in origine in ĕ (milet-,
princep-, iudec-). La antica e breve del tema si è chiusa in i in tutto il resto della declinazione tranne
che al Nominativo. Abbiamo perciò: miles, militis; iudex, iudicis; princeps, principis (e non milis,
militis; iudix, iudicis; princips, principis).
Il Nominativo è asigmatico (consul) nei nomi con tema che finisce
1. in consonate nasale (m, n): nation> natio ( con caduta di –n al nominativo; genit, nationis)
2. in consonante liquida (l, r): consul; honor
3. in consonante fricativa dentale sorda (s): Venus (al gen. Venes-is> Veneris con rotacismo
di –s intervocalica)
La flessione nominale dei temi della IV declinazione
La quarta declinazione comprende i pochi nomi il cui tema termina in vocale u.
Molti nomi con tema in vocale u hanno uniformato la loro declinazione a quella delle declinazioni
più diffuse. Grus “gru” e sus “maiale” sono passati nel gruppo dei nomi che seguono la terza
declinazione. Molti nomi in -u presentano dei doppioni che seguono la seconda declinazione
(senatus / senati “del senato”; exercitus / exerciti “dell’esercito”).
Paradigma della quarta declinazione neutro
Osservazioni
Nominativo: il Nominativo sia femminile che maschile è sigmatico (metus, metus “timore”; manus,
manus “mano”), mentre quello neutro è asigmatico (genu, genus “ginocchio”).
Dativo singolare maschile: la regola di cancellazione vocalica non si applica.
Dativo singolare neutro: l’antica desinenza è scomparsa.
Genitivo plurale: la regola di cancellazione vocalica non si applica.
Dativo e Ablativo plurale: nel latino classico si è generalizzata, per influsso della terza declinazione,
la desinenza in -ibus al posto di quella originaria in -bus (cfr. le forme di uso arcaico: arcubus “agli,
con gli archi”, artubus “alle, con le articolazioni”, lacubus “ai laghi, con i laghi”).
La declinazione di domus “casa” oscilla tra la seconda e la quarta declinazione.
Del nome domus c’è anche rimasta frequente testimonianza di un antico Caso Locativo domi.
La quinta declinazione
La quinta declinazione comprende i nomi col tema in vocale e.
I pochi sostantivi di questa declinazione sono soprattutto nomi femminili astratti (ad esempio, spes,
spei “speranza”; pernicies, perniciei “danno”).
L’alternanza con -ia crea doppioni che, accanto alla declinazione propria, seguono anche la prima
declinazione, ad esempio materies / materia “materia”.
Paradigma della quinta declinazione
Osservazioni
La regola di cancellazione della vocale non si applica mai alla quinta declinazione.
Solo dies “giorno” e res “cosa” hanno tutti i Casi del singolare e del plurale.
Il nome dies è femminile al singolare, quando indica “giorno fissato, prestabilito”. Altrimenti tende
ad assumere il genere maschile ed è sempre maschile al plurale.
L’Aggettivo
La declinazione degli aggettivi
Gli aggettivi seguono gli stessi paradigmi flessivi dei nomi.
Si distribuiscono in due classi flessive:
1.Aggettivi di prima classe :il tema è in vocale -o- / -a-.
Questi aggettivi seguono la prima e la seconda declinazione.
2.Aggettivi di seconda classe: il temi è in consonante e in vocale -i-.
Questi aggettivi seguono la terza declinazione.
Aggettivi con tema in consonante
Questi aggettivi sono molto pochi ed hanno il Nominativo e il Vocativo singolare uguale per tutti e
tre i generi.
Ad es. dives “ricco”, pauper “povero”, vetus “vecchio”.
Aggettivi con tema in vocale -i-
Osservazioni agli aggettivi con tema in vocale -iIl Nominativo maschile ha desinenza zero con cancellazione della vocale tematica –i e
sonorizzazione della -r in -er.
Il Nominativo femminile ha desinenza -s.
Il Nominativo neutro ha desinenza -e con cancellazione della vocale tematica.
Altri hanno una forma uguale (desinenza -s) per il Nominativo e il Vocativo singolare maschile e
femminile e un’altra forma per Nominativo e Vocativo singolare neutro (desinenza -e).
Per es. dulcis, dulce “dolce”.
Altri ancora hanno una forma uguale (desinenza -s) per il Nominativo e il Vocativo singolare
maschile, femminile e neutro, come felix, felicis “felice”.
Le parti del discorso
La necessità delle classi di parole
Ogni lingua, per motivi di economia linguistica, è composta di classi di parole che sono accomunate
dalle medesime proprietà e funzionano all’interno della frase in modo simile e regolare (se ogni
elemento fosse diverso dall’altro, avremmo bisogno di un’enorme quantità di informazioni per
attivare il sistema comunicativo!).
Le origini della classificazione delle parole
La possibilità di individuare delle classi di elementi lessicali simili tra loro era stata già notata da
Platone ed Aristotele.
Ad essi si attribuiscono le prime classificazioni del lessico mentale in un numero ristretto di parti,
organizzate in gerarchie più o meno complesse. In ogni caso, il lessico mentale può essere inteso
come una sorta di "magazzino" dove sono raccolte tutte le informazioni (fonologiche, morfologiche,
sintattiche e semantiche) che i parlanti conoscono relativamente alle parole della propria lingua.
Il lessico mentale include dunque non solo la conoscenza della singola parola, ma anche le nozioni
relative al funzionamento delle parole stesse e dei rapporti che queste intrecciano le une con le altre,
le classi di parole e così via.
Ogni parlante è infatti in grado di elencare liste di parole estraendole dal proprio lessico mentale, di
assegnarle a una classe/categoria (nome, verbo, aggettivo, avverbio, ecc.) e di porle in relazione
formando delle unità superiori (frasi, testi).
I grammatici antichi e le classi di parole
I grammatici antichi (greci e latini) parlarono di “parti del discorso” per classificare le parole di cui
la lingua si serve per formare enunciati.
Nei manuali tardo antichi (Carisio, Ars grammatica, GLK I 193, 6: Donato, Ars grammatica, GLK I
300, 26) il loro numero è per lo più individuato in otto: Nomi, Pronomi, Verbi, Avverbi, Participi,
Preposizioni, Congiunzioni e Interiezioni.
Oggi ancora non è stato raggiunto l’accordo né sul numero né sull’individuazione delle parti del
discorso.
La classificazione tradizionale
Pregi e difetti
Il pregio principale della classificazione tradizionale delle parole in “parti del discorso” è quello di
affermare che le parole del lessico mentale non sono tutte uguali.
La divisione della lingua in parti del discorso è stata però criticata perché:
•
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dà luogo a molte incertezze (per es. in inglese il termine round può funzionare come un
nome, come un aggettivo e come un verbo);
non esiste inoltre un sistema di parti del discorso valido per tutte le lingue.
La divisione della lingua in parti del discorso non è mai stata abbandonata perché, tra l’altro,
permette la costruzione di teorie grammaticali. Essa consente infatti di operare con categorie
formali e di descrivere le proprietà strutturali delle lingue sul piano morfologico e sintattico.
Inoltre alcune parti del discorso hanno un valore universale.
In tutte le lingue probabilmente esiste la distinzione, che resta fondamentale, tra Nome e Verbo su
cui insistevano già i filosofi antichi.
1.5 - I criteri alla base delle parti del discorso
Alla base della distinzione tra le diverse parti del discorso e dei termini che le definiscono possiamo
individuare questi differenti criteri:
- criterio logico-contenutistico o semantico-nozionale, che si basa sul contenuto di
ciò che le stesse categorie indicano, come ad esempio persone, animali, cose,
concetti per il nome, azioni, stati, modi di essere per il verbo;
- criterio funzionale, che si basa sulla funzione esercitata dalla parola, come quella di
collegare o congiungere altri elementi, come avviene per la congiunzione;
- criterio distribuzionale, che si basa sulla posizione che la parola occupa rispetto ad
altre parole nella frase, per esempio l'avverbio che sta vicino al verbo e lo definisce
meglio, la preposizione che sta prima di un'altra parola, e via dicendo.
In relazione al primo dei criteri indicati, quello contenutistico, si possono distinguere nell'ambito
delle parole di una lingua le "parole piene", cioè quelle che hanno un contenuto semantico
significativo, dalle "parole vuote" o grammaticali, che hanno debole contenuto semantico e che
hanno piuttosto un ruolo grammaticale di completamento, collegamento, supporto alle parole piene.
Parole piene sono per esempio casa, uomo, piccolo, andare, mentre parole vuote sono e, con, la.
È inoltre possibile classificare le parole secondo un ulteriore criterio, puramente formale, che
distingue parole variabili, come verbi, nomi, aggettivi, articoli, pronomi, e parole invariabili come
avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione.
La terminologia delle parti del discorso, o classi di parole come si preferisce oggi dire, proviene dal
latino, ed è stata in parte sottoposta a revisione dalla linguistica novecentesca, nell'ambito di una
riconsiderazione della classificazione
Il Nome, l’Aggettivo, il Verbo
I tratti sintattici
I temi, nella flessione, appaiono dotati di una categoria lessicale e acquisiscono informazioni per la
sintassi.
Il Nome, lo abbiamo visto, esprime nella flessione il Caso e il Numero.
L’Aggettivo esprime nella flessione il Caso, il Genere e il Numero (nella forma nominale del
participio anche il Tempo).
Il Verbo esprime nella flessione il Tempo, il Modo, la Diatesi, la Persona e il Numero.
L’accordo tra le parti del discorso
L’accordo, o “concordanza”, è la condivisione, da parte di due elementi sintattici, delle stesse
informazioni relative a Persona, Numero, Genere ed eventualmente Caso.
La modalità di impiego dell’accordo varia da lingua a lingua.
Come norma generale si può dire che quanto più una lingua è flessiva, tanto più usa l’accordo
morfologico.
L’accordo di Nome e Pronome
In un sintagma i pronomi possessivi e dimostrativi concordano con il Nome in Genere, Numero e
Caso.
Questo (sing. masch.) ragazzo (sing. masch.)
Hic (Nom. sing. masch.) puer (Nom. sing. masch.)
Questa (sing. femm.) ragazza (sing. femm.)
Haec (Nom. sing. femm.) puella (Nom. sing. femm.)
L’accordo di Nome e Aggettivo
In un sintagma gli aggettivi concordano con il Nome in Genere, Numero e Caso.
Buon (sing. masch.) ragazzo (sing. masch.)
Bonus (Nom. sing. masch.) puer (Nom. sing. masch.)
Buona (sing. femm.) ragazza (sing. femm.)
Bona (Nom. sing. femm.) puella (Nom. sing. femm.)
L’accordo di Soggetto e Predicato
In un sintagma, come in italiano, sono in accordo il Soggetto e il Predicato.
Io (I pers. sing.) lodo (I pers. sing.)
Ego (I pers. sing.) laudo (I pers. sing.)
Tu (II pers. sing.) lodi (II pers. sing.)
Tu (II pers. sing.) laudas (II pers. sing.)
Il ragazzo (sing. masch.) è lodato (sing. masch.)
Puer (Nom. sing. masch.) laudatus (Nom. sing. masch.) est
La ragazza (sing. femm.) è lodata (sing. femm.)
Puella (Nom. sing. femm.) laudata (Nom. sing. femm.) est
Struttura della frase e dell’enunciato
Ad ogni predicato corrisponde una frase. Il predicato è l’elemento della frase che ‘dice, predica’ un
pacchetto di informazioni .
Predicato in senso filosofico è quanto si afferma o si nega intorno ad un argomento nella
formulazione elementare di un giudizio
In genere è costituito da un verbo, ma la funzione predicativa può essere assunta in alcuni casi
anche da una diversa parte del discorso ( cosiddetta frase nominale da distinguere da quella con
ellissi del verbo in cui la nozione verbale si ricava dal contesto: un nome può da solo occupare il
posto di un predicato es. nugae, Cic. Sest. 74 clamor senatus, querelae, preces)
Nella frase con esse il contenuto semantico del predicato si trova nell’aggettivo attributivo cioè in
una forma nominale. Tuttavia la copula conserva il suo carattere verbale perchè conferisce
all’enunciato indicazioni di tempo modo o persona. I
Teoria della Valenza :
Proprietà del verbo di saturare i suoi spazi per completare il valore semantico, diversa
possibilità sintattica di ciascun verbo di combinarsi con gli elementi della frase, organico
sintattico del verbo
La valenza è di tipo sintattico da distinguere perciò dalla valenza logica: se esistono strutture
logiche universali non tutti i processi concettuali vengono realizzati in ogni lingua e nel caso lo
siano i modi di realizzazione variano: iuvare adiuvare subvenire in latino hanno sostanzialmente la
stessa valenza logica, ossia analogo significato, ma una valenza sintattica differente. La valenza
sintattica esercita un ruolo primario e decisivo per la grammaticalità della frase: si può
contravvenire alle regole di combinabilità semantico lessicale e costruire frasi prive di senso
comune a condizione che la valenza sintattica sia rispettata: la frase italiana La nave costruisce
nuovi modelli di fiori è corretta secondo le regole sintattiche ma non accettabile secondo quelle
logico- semantiche.
A partire dal predicato dunque si riconoscono nella frase , ricostruendo una gerarchia di struttura
sotto l’ordine apparentemente lineare della stringa comunicativa, una serie di elementi posizioni
alcune delle quali (gruppo I) sono richieste dal quadro sintattico del predicato
P
1
2
3
4
5
6
7
_______________________________________________________________________________
compl. non vincolati
compl. vincolati alla valenza
compl. non vincolati
II
I
II
Elenco dei completamenti necessari:
C1 soggetto
C2 oggetto al genitivo
C3 oggetto al dativo
C4 oggetto all’accusativo
C5 oggetto all’ablativo
C6 oggetto preposizionale ( la preposizione priva di uno specifico valore semantico è fissa e
selezionata dal verbo; pertinere ad; animadvertere in)
C7 oggetto locale ( rappresentato da determinazioni di luogo in generale con o senza preposizioni:
ad urbem consul veni ; Romam consul venit)
Secondo la loro struttura valenziale i verbi latini si distinguono in:
Valenza 0 (avalenti) : verbi che non hanno necessità di saturare spazi , cd. impersonali (pluit) (
enuncia l’atto o lo stato al di fuori di ogni riferimento al chi come quando, da non confondere con
l’indefinito che li riferisce ad un ‘chi’ generico ma esistente). Non è improbabile che il costrutto
impersonale rappresenti una sorta di nominativo interno (cfr l’acc. interno vivere vitam) dove
l’eufemismo sacrale ha soppresso l’agente divino (animismo) creando l’ellissi della persona pluvia
pluit
Valenza 1 (monovalenti): 1 posizione da riempire C1: hora ruit (il tempo incalza) Valenza 2 ( bivalenti) : 2 posizioni C1 + C2 o C3 o C4 o C5 o C6 o C7 : terra eget aquae- aqua
prodest silvae – luna illuminat- agricola gaudet pluvia- pluvia constat ex guttis- uva in vinea est-
Valenza 3 (trivalenti) : 3 posizioni C1+ C4+ C3 o C6: vinea agricolis uvam praebet- agricola in
villam aquam ducit
Altri completamenti (gruppo II) sono svincolati dalla valenza del predicato e sono accostati al
predicato su base semantica
es. pluvia uvam in vineis maturat- post vindemiam agricolae uvam conculcant- tenebris saepe
advenae pavescunt- luna cum stellis tenebras vincit- multas per horas pluvia cecidit
terra herbas multas producit- arduam viam advenae relinquunt- agricolae multarum stellarum
figuras cognoscunt.
Ogni elemento della frase (posizione) può essere riempito da forme linguistiche diverse (impletivi)
Posizione C1 sostantivo, aggettivo sost., sostituente, infinito, infinitiva completiva : Posizione C4
Posizioni non vincolate
sostant. aggettivo sost. sostituente infinito infinitiva
sostant. aggett.sost. infinito subordinate varie
Per le posizioni non vincolate non è stato approntato un repertorio completo anche perchè
l’attenzione è stata posta soprattutto sulla valenza verbale e quindi sui completamenti che
costituiscono il nucleo sintattico della frase. Tuttavia le libere posizioni non vanno trascurate perchè
forniscono un contributo determinante nella definizione del significato complessivo di un enunciato.
La comparsa delle libere posizioni pur non essendo sintatticamente prevedibile come quella delle
posizioni vincolate è motivata da precise esigenze comunicative ed è codificata in precise norme di
combinabilità semantica: infatti ogni parlante/ascoltatore è in grado di stabilire sulla base della
propria competenza linguistica quali siano ammissibili in un enunciato della propria lingua e quali
no.
La Coesione
Accanto alla coerenza logica e stilistica occorre una buona coesione delle singole parti del testo a
partire dalla frase semplice: essa è assicurata dai legamenti:
1.
2.
morfologici
preposizionali
3.
sostituenti
propri della frase semplice
4.
congiunzioni
1. Legamenti morfologici: sono raggruppabili sotto la comune definizione di ACCORDO, ovvero
la relazione che si istituisce tra due elementi quando un elemento che presenta un determinato
PACCHETTO MORFEMICO attiva in uno o più altri elementi dell’enunciato alcune o tutte le
unità o morfemi identiche a quelle del pacchetto stesso .
Accordo morfologico, semantico
In latino l’accordo è un fenomeno generalizzato e dunque gli elementi possono spostarsi anche a
grande distanza l’uno dall’altro ; all’opposto l’inglese ha due sole forme di accordo soggetto/verbo,
pronome riceve il suo carattere animato-inanimato secondo la natura dell’oggetto designato dal suo
punto di attacco (egli/ esso)
2. Connettori
preposizioni :in origine forme indipendenti in latino accompagnano solo accusativo e ablativo due
casi che a livello semantico esprimono essenzialmente relazioni concrete spaziali o temporali che
dovevano essere precisate. Tuttavia non sempre ci sono relazioni semantiche tra caso e preposizione
utilizzata: molte di esse si costruiscono con l’accusativo ad es. e no esprimono necessariamente idea
di movimento esse ad portas
3. Sostituenti Classe di parole che in alcune circostanze sostituiscono altre classi di parole: pronomi e
aggettivi.
In alcuni casi il sostituente rinvia indietro a qualcosa o qualcuno già apparso nell’enunciato e si dice
ANAFORICO (rinvio indietro) : La gente corre e io la guardo passare.
In altri casi il sostituente anticipa qualcosa ancora non apparso nell’enunciato e si dice
CATAFORICO (rinvio in avanti): La (cataforico) guardo passare la gente che (anaforico) corre. In
italiano il pronome relativo è sempre anaforico