Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO IX n. 33 – Marzo 2013 Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2° ISSN 2039-9561 ACETILCOLINA, ATTENZIONE, MEMORIA, COSCIENZA Una storia personale del sistema colinergico cerebrale Giancarlo Pepeu Professore Emerito, Università degli Studi di Firenze Flavia Franconi sa che mi sono occupato di acetilcolina (ACh) per tutta la mia vita di ricercatore e ancora adesso, ormai in pensione, seguo gli sviluppi della ricerca in questo campo, con il rammarico di non potervi più partecipare attivamente. Da ciò nasce il suo invito a scrivere un articolo sulla storia dello sviluppo delle conoscenze sulla trasmissione colinergica per Quaderni della SIF. In questo articolo farò riferimento ad una parte dei lavori pubblicati, con numerosi collaboratori, in più di 50 anni di attività di ricerca sull’ACh cerebrale, inseriti nel contesto della letteratura internazionale che, per ragioni di spazio, verrà citata sommariamente. Il quadro che ne emergerà sarà inevitabilmente soggettivo e incompleto perché alcuni aspetti mi hanno interessato più di altri, per esempio la corteccia cerebrale più del nu2 - Quaderni della SIF (2013) vol. 33 cleo caudato, la liberazione più della sintesi, i recettori muscarinici più dei nicotinici. Per chi volesse una descrizione sistematica della biochimica, fisiologia e farmacologia della trasmissione colinergica rinvio al mio capitolo sulla “Trasmissione colinergica” nella IV edizione del libro “Farmacologia Generale e Molecolare” curato da Clementi e Fumagalli (2012). Informazioni più approfondite si possono trovare nel libro “The brain cholinergic system in health and disease” a cura di Giacobini e Pepeu (2006). Il mio interesse per il sistema colinergico non è nato per vocazione, ma è stato il risultato di una serie di contingenze. La prima fu la tesi intitolata “Studio tossicologico del parathion nell’olio di oliva per uso alimentare” assegnatami dal Prof. Mario Aiazzi Mancini quando nel 1952 entrai nell’Istituto di Farmaco- logia come studente interno. I risultati (Aiazzi Mancini, Pepeu, 1955) sono sepolti nell’Archivio Italiano di Scienze farmacologiche. Il parathion è un estere fosforico, inibitore delle colinesterasi (ChEI: cholinesterase inhibitor), dopo la sua trasformazione in paraoxon. Alla metà del secolo scorso, l’interesse per gli esteri fosforici era molto alto. Gli esteri più tossici e volatili, quali il Sarin e il Tabun, erano e, purtroppo sono ancora, armi di “distruzione di massa” disponibili negli arsenali di molti eserciti. Quelli meno tossici trovarono impiego come insetticidi e alcuni come farmaci, es. il DFP come miotico e il metrifonato nella schisostomiasi. Fra gli insetticidi uno dei più diffusi ed efficaci fu il parathion, molto usato in passato contro i parassiti del tabacco, del cotone, in floricultura e contro la mosca dell’olivo. Il suo uso ha causato numerosi casi di intossicazione acuta nell’uomo ed è stato bandito in molti paesi. Gli esteri fosforici inibiscono l’acetilcolinesterasi (AChE) e la butirilcolinesterasi (BuChE) e la loro tossicità è dovuta all’accumulo, negli spazi sinaptici, dell’ACh liberata dalle terminazioni dei neuroni colinergici a livello vagale, pre-gangliare, neuromuscolare e cerebrale con conseguente eccessiva e prolungata stimolazione dei recettori nicotinici e muscarinici. Le ricerche condotte in quel periodo, riassunte nel volume “Cholinesterases and Anticholinesterase Agents” a cura di Koelle (1963), erano sostenute da larghi finanziamenti da parte delle forze armate di molti paesi con l’obbiettivo di caratterizzare le colinesterasi, identificare i meccanismi dell’inibizione e sviluppare trattamenti farmacologici efficaci e di facile impiego in caso di guerra chimica. Gli studi di Kewitz et al. (1956) portarono allo sviluppo della piridossina-2-aldossima (pralidossima) tuttora indicata nelle intossicazioni da esteri fosforici. Piccole quantità di parathion spruzzato sugli ulivi penetrano nelle olive e 4 – 6 parti per milione si ritrovano nell’olio. Scopo della mia tesi fu accertare il grado di tossicità di olio contenente parathion. Nella tesi misurai l’attività dell’AChE nei globuli rossi e della BuChE nel plasma di ratti e cani trattati per 6 mesi con una dieta contenente fino a 25 parti per milione di parathion. Non furono osservate né inibizione delle esterasi, né segni di tossicità. Quattro anni dopo la laurea ottenni un posto di post-doc nel Department of Pharmacology, Yale University. Fra i progetti che mi furono proposti, nel Settembre 1958, dal mio “mentor” Nicholas Giarman, scelsi quello sull’ACh cerebrale, tenendo con- to che già sapevo qualcosa sul sistema colinergico e che, essendo un argomento nuovo in quel laboratorio, avrei goduto di grande autonomia. Il fatto che la somministrazione di atropina inducesse perdita della memoria nel ratto (Macht, 1924) e nell’uomo (vedi bibl. in Longo, 1966) fece ipotizzare che l’ACh potesse avere un ruolo nei processi cognitivi anche prima che venisse trovata nel cervello. L’ACh fu identificata nel cervello di rana da Chang e Gaddum nel 1933 e 25 anni dopo, quando cominciai a studiare il sistema colinergico, i lavori che avevano cercato di correlare ACh e attività funzionale del cervello erano solo 8 (vedi in Giarman e Pepeu, 1962). L’unico approccio possibile allora era misurare i livelli totali di ACh nel cervello e correlarli con cambiamenti del comportamento indotti da farmaci. L’ACh era estratta con Ringer acidificato e dosata sul muscolo retto addominale di rana o sul muscolo dorsale di sanguisuga. Dimostrammo che gli anestetici e i sedativi causano un aumento e i convulsivanti una diminuzione del contenuto di ACh nel cervello. La sostanza dosata con metodi biologici era definita ACh-simile in quanto esercitava le azioni dell’ACh, ma la sua reale natura fu definita solo nel 1968 nel laboratorio di D. Jenden con un metodo gas cromatografico accoppiato a spettrometria di massa (Hammar et al., 1968), troppo complesso e costoso per essere usato correntemente. Soltanto l’introduzione di metodi di cromatografia liquida ad alta pressione (Dasma et al.,1985) rese più semplice e alla portata di tutti i laboratori il dosaggio dell’ACh a concentrazioni di femtomoli. Ritornato in Italia dagli Stati Uniti nel 1961, ottenni un posto di assistente ordinario all’Università di Sassari e, dopo un anno di difficoltà dovute alla mancanza di attrezzature in quella sede, ebbi la possibilità di riprendere ad estrarre e dosare ACh. Lo studio dei livelli di ACh, ancora dosata con metodi biologici, permise di dimostrare nel gatto che l’attività elettroencefalografica (EEG) sincronizzata, tipica del sonno, era accompagnata da livelli di ACh molto più alti di quelli trovati durante attività elettrica desincronizzata, indice di attivazione (Pepeu e Mantegazzini, 1964). Facevano eccezione i farmaci anticolinergici che causano una dissociazione fra tracciato EEG e comportamento, sincronizzazione ma non sonno (vedi in Longo, 1966) e diminuzione dell’ACh corticale (Deffenu et al., 1966). La somministrazione di farmaci e il passaggio da sonno a veglia inducono variazioni ben misurabili del contenuto di ACh del cervello. Tuttavia, la determinazione dei contenuti cerebrali richiede l’uccisione dell’animale ed essi variano a seconda della rapidità con la quale vengono inattivate le colinesterasi. Pertanto, misurare il contenuto di ACh non permette di studiare in modo dinamico i rapporti fra neurotrasmettitore, attività elettrica cerebrale e comportamento. Un primo passo per correlare l’attività dei neuroni colinergici con attività elettrica e comportamento fu l’introduzione della tecnica della coppetta corticale per misurare la liberazione di ACh dalla corteccia cerebrale (Mitchell, 1963). Questa tecnica si basava sulla diffusione dell’ACh, liberata dalle terminazioni nervose sottostanti, in una piccola quantità di Ringer, contenente un ChEI, per lo più neostigmina, posto in un cilindro applicato, con una leggera pressione, sulla corteccia cerebrale nel gatto, nel coniglio, nella cavia e nel ratto. Ogni 20 min il contenuto della coppetta Quaderni della SIF (2013) vol. 33- 3 era raccolto e l’ACh dosata. Per i dettagli di questa tecnica vedi Pepeu (1973) e Pepeu e Giovannini (2007). Essa permise di dimostrare che la diminuzione del livello di ACh osservata durante attivazione corticale, indotta da stimolazioni elettriche periferiche o di nuclei centrali e da farmaci stimolanti, era associata ad un aumento della liberazione di ACh. All’opposto, la sincronizzazione EEG, durante il sonno, l’anestesia, la sedazione, era accompagnata da una riduzione della liberazione di ACh che, pertanto, si accumulava nel cervello. Malgrado il dosaggio dell’ACh nella coppetta fosse ancora fatto con laboriosi metodi biologici, diversi laboratori utilizzarono questa tecnica e le conoscenze sul sistema colinergico fecero un rilevante passo avanti. Non mi è possibile citare tutti i lavori usciti dai laboratori di Mitchell, Szerb, Phillis, Jasper, Beani e dal mio con Bartolini, Deffenu, Nistri. Rinvio alle rassegne di Pepeu (1973) e di Phillis (2005). Osservammo che anche l’attivazione EEG corticale indotta da amfetamina era accompagnata da un aumento della liberazione corticale di ACh. Poiché l’azione primaria dell’amfetamina è liberare dopamina (DA) dalle terminazioni nervose che la contengono, si prospettava l’esistenza di una stimolazione dopaminergica dei neuroni colinergici (Pepeu, Bartolini, 1968, Casamenti et al., 1986). L’interazione fra sistemi dopaminergico e colinergico nella corteccia prefrontale è stata confermata con la tecnica della microdialisi (Arnold et al., 2001) ed è stato ipotizzato che una sua disregolazione abbia un ruolo nella patogenesi della schizofrenia (Kozak et al., 2007). Tuttavia, in quegli anni, maggiore attenzione era rivolta all’azione inibitoria della DA sui neuroni colinergici dello striato, dimostrata 4 - Quaderni della SIF (2013) vol. 33 da Stadler et al., (1973) con la poco usata tecnica della pushpull cannula e da Trabucchi et al., (1975) misurando il turnover dell’ACh nello striato. L’interesse era dovuto al fatto che la perdita del controllo dopaminergico sui neuroni colinergici dello striato è un elemento del meccanismo patogenetico del morbo di Parkinson. Alla diminuzione del contenuto di ACh nella corteccia cerebrale, osservato dopo trattamento con scopolamina e atropina (Giarman e Pepeu, 1964), corrisponde un aumento della liberazione di ACh dalla corteccia cerebrale dimostrato da Mitchell (1963), Szerb (1964) e Polak (1965) (vedi in Bartolini, Pepeu, 1967). La spiegazione del perchè ciò avviene fu fornita da Szerb e Somogyi (1973) studiando la liberazione di colina triziata da fettine di corteccia cerebrale in vitro. In queste condizioni sperimentali, la liberazione di colina triziata indotta da stimolazione elettrica corrisponde alla liberazione di ACh. Essa viene stimolata dall’aggiunta di atropina al liquido di perfusione e inibita dall’aggiunta di oxotremorina, un agonista dei recettori muscarinici, farmaco che aumenta i contenuti di ACh nel cervello (Pepeu, 1963). Ciò indicava l’esistenza di un meccanismo di regolazione a feedback negativo della liberazione di ACh mediato da recettori muscarinici presinaptici. Questi recettori, situati sui terminali nervosi, attivati dallo stesso neurotrasmettitore che si libera dal terminale, sono stati chiamati autorecettori (Starke et al., 1989) e appartengono ai sottotipi M2 e M4. La somministrazione di un antagonista selettivo dei recettori M2 causa un aumento della liberazione di ACh nella corteccia e nell’ippocampo, e riduce i deficit cognitivi indotti nel ratto dalla scopolamina, antagonista mu- scarinico non selettivo, e dall’età (Vannucchi et al., 1997). Effetti collaterali, soprattutto di natura cardiaca, hanno impedito l’impiego nell’uomo di antagonisti M2/4 per correggere i disturbi della memoria. Nel 1976 Davies e Maloney descrissero una marcata diminuzione della colino acetiltransferasi (ChAT) nella corteccia cerebrale e nell’ippocampo di pazienti affetti da demenza di Alzheimer (AD). Le conoscenze cliniche e diagnostiche su questa malattia erano ancora limitate, ma il numero dei casi era in rapido aumento come conseguenza dell’invecchiamento della popolazione nei paesi sviluppati. Con la loro osservazione Davies e Maloney (1976) dimostrarono un’importante alterazione biochimica nell’allora ignoto meccanismo patogenetico di AD, malattia il cui primo sintomo è la perdita della memoria. Bartus et al. (1982), correlando la perdita di memoria da farmaci anticolinergici con quella da distruzione dei neuroni colinergici nell’AD, proposero l’ipotesi colinergica delle disfunzioni cognitive dell’anziano. Un parallelismo fu subito fatto con il morbo di Parkinson, malattia neurodegenerativa caratterizzata da perdita di neuroni dopaminergici e carenza di DA. L’ipotesi colinergica si rivelò presto inadeguata a spiegare la complessità della malattia, ma rappresentò un forte stimolo per gli studi sul sistema colinergico con l’obbiettivo immediato di trovare trattamenti farmacologici per correggere la mancanza di ACh e nel contempo completare la mappa del sistema colinergico nel cervello, definire i meccanismi di sintesi e accumulo dell’ACh nei neuroni e la regolazione della sua liberazione. Infine, per capire la causa dei sintomi cognitivi di AD diventava importante studiare il ruolo del sistema colinergico nei processi mentali. Fino agli anni ’80 non vi era una mappa precisa dei neuroni colinergici del cervello e delle loro vie. La visualizzazione con metodi istochimici delle colinesterasi era l’unica tecnica disponibile ma poiché la AChE è presente anche in neuroni non colinergici, l’attendibilità dei risultati era messa in dubbio. Lo sviluppo di un metodo immunoistochimico che utilizza anticorpi specifici per la ChAT (Kimura et al., 1980), enzima presente, nel cervello, solo nei neuroni colinergici, portò rapidamente alla creazione di mappe dei nuclei e delle vie colinergiche. Esse furono presentate al IV congresso internazionale sul sistema colinergico che nel 1980 ebbi l’onore di organizzare a Firenze dove ero tornato come professore ordinario, dopo un breve periodo all’Università di Pisa ed uno più lungo a Cagliari. Per una descrizione delle vie colinergiche, rinvio ai lavori di Mesulam et al. (1983a; 1983b) cui si deve la classificazione dei nuclei colinergici comunemente usata. Le mappe mostrarono che il nucleo basale magnocellulare di Meynert è l’origine di un’ampia rete di fibre colinergiche corticali mentre nel setto hanno origine le fibre colinergiche dell’ippocampo. Fu subito effettuata la distruzione del nucleo basale, nel ratto, per studiarne gli effetti sul comportamento e riprodurre la perdita di neuroni colinergici osservata nell’AD. Con Lo Conte et al., (1982 a e b) dimostrammo che nel ratto una lesione elettrolitica unilaterale del nucleo basale causa una riduzione della liberazione di ACh dal lato ipsilaterale alla lesione, una sincronizzazione dell’attività elettrica corticale, un deficit nell’apprendimento di risposte di evitamento attivo e passivo. I due lavori hanno avuto numerose citazioni, ma avevano il difetto che le lesioni elettrolitiche non sono selettive. Tuttavia essi confermarono il ruolo del sistema colinergico nell’attivazione corticale e in alcuni processi cognitivi. Negli anni successivi le lesioni furono rese più selettive utilizzando aminoacidi eccitatori quali il kainico, il quisqualico e l’ibotenico o lo AF64A, inibitore della captazione della colina. Per un confronto degli effetti biochimici e comportamentali osservati distruggendo i nuclei colinergici con queste sostanze vedi Olton e Wenk (1987). Tuttavia, una distruzione selettiva dei neuroni colinergici fu ottenuta solo con l’impiego dell’immunotossina IgG –saporina in cui la saporina, tossina che inattiva i ribosomi, è coniugata con un anticorpo che si lega ai recettori a bassa affinità del Nerve Growth Factor (NGF) presenti solo sui neuroni colinergici (Pizzo et al., 1999). Con questa immunotossina, dimostrammo (Ballmaier et al., 2001) un ruolo del sistema colinergico nel controllo della pre-pulse inhibition, contribuendo allo studio dei rapporti fra sistema colinergico e schizofrenia, cui è stato accennato in precedenza. L’ACh è sintetizzata dalla ChAT, enzima presente in larga quantità nei neuroni colinergici (Tucek, 1985), a partire da colina e glucosio. Il sistema nervoso non ha la capacità di sintetizzare la colina e pertanto i neuroni colinergici dipendono dalla captazione di colina presente negli spazi extracellulari per la sintesi di ACh. Yamamura e Snyder (1972) dimostrarono che i neuroni colinergici sono dotati di uno specifico sistema di trasporto ad alta affinità della colina (CHT1, choline transporter 1), diverso da quello, a bassa affinità, che fornisce la colina a tutte le cellule per la sintesi dei fosfolipidi. L’attività di CHT1 è strettamente accoppiata a quella dei neuroni colinergici e inversamente correlata al contenuto di ACh (Antonelli et al., 1981). Essa è ridotta in corteccia dopo una lesione del nucleo basale e la sua ripresa dimostra che una parte dei neuroni colinergici può ricuperare dopo la lesione (Pedata et al., 1982). La misura dell’attività di CHT1 è stata utilizzata come un indicatore dell’attivazione del sistema colinergico durante specifici comportamenti (vedi in Sarter, Parikh, 2005). Un’osservazione di grande importanza, anche per le sue possibili implicazioni nella patogenesi e terapia dell’AD, è stata la dimostrazione che lo NGF è un fattore fondamentale per lo sviluppo dei neuroni colinergici del cervello anteriore e il mantenimento del loro fenotipo (Dreifus, 1989). Il trattamento con NGF, iniziato subito dopo una lesione del nucleo basale, previene nel ratto la diminuzione del numero di neuroni colinergici, la riduzione di ChAT e CHT1 corticali e nel ratto vecchio aumenta la liberazione di ACh e migliora i test cognitivi (Di Patre et al., 1989; Casamenti et al., 1989; Scali et al., 1994). In alcuni di questi lavori è stato anche dimostrato che il ganglioside GM1 potenzia l’azione del NGF ed esercita un’azione riparativa simile, sia pure di minore efficacia, (vedi Cuello, 2012). GM1 e NGF sono stati sperimentati in clinica. GM1 è stato abbandonato per l’incertezza dei risultati e il sospetto di gravi effetti collaterali. L’impiego di NGF nella terapia di AD ha avuto alterne vicende, ma è ancora oggetto di sperimentazione (Cattaneo et al., 2008). La liberazione di ACh dalle terminazioni colinergiche è stata studiata, oltre con il metodo della coppetta cerebrale, anche in vitro da fettine isolate stimolate Quaderni della SIF (2013) vol. 33- 5 elettricamente o depolarizzate con potassio o da sinaptosomi superfusi (Raiteri, Raiteri, 2001). L’introduzione della tecnica della microdialisi, negli anni ‘80, soprattutto per merito di Ungerstedt, soppiantò la coppetta corticale e rappresentò un grande passo avanti nello studio della correlazione fra comportamento e liberazione di neurotrasmettitori (vedi in Di Chiara 1990, Westerink 1995). Con l’impiego di queste tecniche, è stato visto che la liberazione di ACh dipende dall’attività dei neuroni colinergici ed è modulata a livello presinaptico da diversi neurotrasmettitori. Oltre ai già descritti autorecettori muscarinici, la liberazione di ACh è modulata dall’adenosina (ADO). Su fettine di corteccia cerebrale stimolate elettricamente confermammo l’azione inibitoria dell’ADO sulla liberazione di ACh (Pedata et al., 1981) e dimostrammo, con l’impiego di antagonisti selettivi, che l’ADO esercita un effetto inibitorio, in genere predominante, attivando recettori A1 ed un effetto stimolante mediato da recettori A2 (Spignoli et al., 1984). In accordo con questa osservazione, caffeina e aminofillina, antagonisti dei recettori dell’ADO, esercitano un effetto bifasico e stimolano la liberazione di ACh a basse concentrazioni mentre la inibiscono a concentrazioni più alte (Pedata et al., 1984). L’effetto inibitorio di ADO è stato dimostrato anche sulla liberazione di [3H]ACh da sinaptosomi incubati con [3H]colina, depolarizzati con potassio (Pedata et al., 1986). Da questi lavori è nato l’interesse per l’origine, metabolismo e ruolo dell’ADO cerebrale oggetto di ricerche proseguite da Pedata e collaboratori (Latini, Pedata, 2001). La liberazione di ACh è regolata a livello presinaptico anche da GABA e noradrenalina e se6 - Quaderni della SIF (2013) vol. 33 rotonina, con differenze regionali, come dimostrarono Beani e collaboratori negli anni ‘80 su fettine di corteccia, ippocampo e striato e con la tecnica della coppetta corticale (vedi in Pepeu et al., 1990). In vivo, con l’applicazione di farmaci mediante microdialisi inversa, è stato dimostrato che anche DA e glutammato modulano la liberazione di ACh a livello presinaptico, con differenze fra aree cerebrali (vedi in Bruno, Sarter, 2006). La modulazione presinaptica esercita una regolazione fine della liberazione di ACh, attraverso autorecettori o eterorecettori attivati da neurotrasmettitori rilasciati negli spazi attorno alla terminazione colinergica. Essa non determina mai il blocco della liberazione ma solo una attenuazione o un modesto aumento. La regolazione principale dell’attività dei neuroni colinergici avviene a livello del soma. Dell’azione stimolante della DA sui neuroni colinergici del nucleo basale abbiamo già detto. Una modulazione dei neuroni colinergici del nucleo basale da parte del GABA è stata dimostrata con l’iniezione nel nucleo stesso di agonisti e antagonisti dei recettori GABAa (Casamenti et al., 1986) e la somministrazione sistemica di un agonista inverso dei recettori delle benzodiazepine (Moore et al., 1995). Un effetto bifasico, in funzione della dose, sulla liberazione corticale di ACh, presumibilmente indiretto, è causato dalla somministrazione periferica di colecistochinina (Magnani et al., 1987) e i recettori coinvolti sono stati definiti da Kimura et al. (1995). Di fondamentale importanza è la regolazione glutammatergica dei neuroni colinergici, resa complessa dai diversi tipi di recettori coinvolti e da differenze regionali nella risposta. In una serie di lavori (Giovannini et al., 1994a e b; Giovannini et al. 1997, 1998) abbiamo dimostrato nel ratto, con la tecnica della microdialisi, accoppiata in alcuni esperimenti ad immunoistochimica e colorazione retrograda, che i neuroni colinergici che vanno all’ippocampo e alla corteccia sono tonicamente modulati da neuroni GABAergici, posti nel setto, a loro volta controllati da neuroni glutammatergici. Nello striato, i neuroni colinergici sono stimolati dall’attivazione di recettori glutammatergici NMDA e sono inibiti dall’attivazione di recettori non-NMDA posti su neuroni GABAergici (Giovannini et al., 1995). Dell’estesa letteratura sull’interazione fra sistema colinergico e glutammatergico degli ultimi anni, cito il lavoro di Sarter et al. (2006) per l’interessante schema proposto sull’integrazione fra vie glutammatergiche e colinergiche nel meccanismo dell’attenzione. La tecnica della microdialisi permette di studiare la liberazione dei neurotrasmettitori da regioni diverse del cervello mentre l’animale, abitualmente il ratto, esegue un’azione. Misurando i livelli extracellulari di ACh in regioni diverse del cervello, su periodi da 5 a 20 min, è possibile definire in quali comportamenti viene attivato il sistema colinergico. Per esempio, un marcato aumento dei livelli extracellulari di ACh nella corteccia frontale e nell’ippocampo si osserva quando un ratto impara che, in una camera operativa, premendo una leva in risposta ad un segnale visivo, ottiene del cibo. Ma non vi è aumento in un ratto già addestrato ad ottenere il cibo premendo la leva (Orsetti et al., 1996). Inglis e Fibiger (1995) hanno dimostrato che la presentazione di nuovi stimoli sensoriali induce un aumento della liberazione di ACh sia nella corteccia che nell’ippocampo. Giovannini et al. (1998) hanno osservato che un ambiente nuovo induce nel ratto uno stato di allerta, attività esploratoria ed un aumento dei livelli extracellulari di ACh, indice dell’attivazione del sistema colinergico. La microdialisi è stata utilizzata in molte situazioni comportamentali di diversa complessità per studiare il ruolo del sistema colinergico nell’apprendimento e la memoria, vedi le rassegne di Pepeu, Giovannini (2004, 2007, 2010) e Sarter et al., (2006). Un importante progresso è stato recentemente compiuto in alcuni laboratori con lo sviluppo di microelettrodi che misurano la liberazione di colina, indice della liberazione di ACh, secondo per secondo (Hasselmo, Sarter 2011) permettendo di correlare comportamento e attivazione del sistema colinergico in tempo reale. I meccanismi molecolari mediante i quali il segnale rappresentato dalla liberazione di ACh è tradotto dai recettori muscarinici in apprendimento è stato da noi affrontato studiando l’attivazione di ERK durante l’apprendimento di una risposta condizionata di evitamento (Giovannini et al., 2005). L’ipotesi di Bartus et al. (1982) sulla natura colinergica dei disturbi geriatrici della memoria ha indotto numerosissimi studi delle alterazioni del sistema colinergico cerebrale nell’invecchiamento e nell’AD. Ratti e topi vecchi o con lesioni del nucleo basale sono stati i primi modelli animali di AD. Nei roditori vecchi (16 – 24 e più mesi) vi è una diminuzione della liberazione di ACh dimostrabile sia in fettine isolate (Pedata et al. 1983) che in vivo (Wu et al., 1993), con differenze di specie e ceppo (vedi in Pepeu et al., 1993). L’ipofunzione colinergica è correlabile con deficit cognitivi. I modelli animali di AD sono stati molto usati per la ricerca di farmaci che potessero ripristinare i livelli di ACh e correggere i deficit cognitivi. Per esempio in ratti vecchi trattati con metrifonato (Scali et al., 1997) si osserva inibizione dell’AChE accompagnata da un aumento dei livelli extracellulari di ACh e una normalizzazione del test di riconoscimento degli oggetti. Esiste un’ampia letteratura sull’efficacia di ChEI nel correggere i deficit indotti da lesioni del nucleo basale (Sarter et al., 1992). L’efficacia nei modelli animali dei ChEI ha trovato pieno riscontro clinico ed alcuni di essi, donepezil, rivastigmina, galantamina, sono tuttora gli unici farmaci impiegati nella terapia di AD. Altri farmaci attivi nei ratti vecchi o con lesioni, quali la fosfatidilserina (Pepeu et al., 1996) e l’aniracetam (Bartolini et al., 1996), hanno dimostrato dubbia efficacia clinica. Sono i casi che obbligano a considerare sempre con spirito critico i risultati ottenuti studiando i processi cognitivi nell’animale. La scoperta della natura della β-amiloide (Aβ), il costituente delle placche neuritiche caratteristiche dell’AD e dei meccanismi della sua formazione, portò alla formulazione dell’”ipotesi amiloide” dell’AD (Hardy, Higgings, 1992) che considera il deposito di Aβ l’evento centrale nella eziopatogenesi dell’AD. Ci ponemmo, analogamente ad altri laboratori, la domanda se Aβ fosse tossica per i neuroni colinergici e fosse la causa della loro degenerazione nell’AD. Così sembra, in quanto dimostrammo (Abe et al., 1994) che l’iniezione di frammenti peptidici di Aβ nel setto di ratto causa una riduzione della liberazione di ACh nell’ippocampo. In uno studio successivo, osservammo che l’iniezione di peptidi della Aβ nel nucleo basale dà luogo ad un deposito simile ad una placca, circondato da una intensa reazione gliale, e causa una diminuzione del numero di neuroni colinergici accompagnata da una riduzione della liberazione di ACh nella corteccia (Giovannelli et al., 1995). Per l’estesa bibliografia sui rapporti fra Aβ e sistema colinergico vedi Schlieb, Arendt (2010). La reazione gliale rappresenta una risposta di tipo infiammatorio e, poiché infiammazione cerebrale è presente nei cervelli di soggetti affetti da AD e studi epidemiologici hanno dimostrato che l’assunzione prolungata di farmaci antiinfiammatori riduce il rischio di sviluppare AD (McGeer, McGeer, 1995), la domanda successiva fu se l’infiammazione fosse in realtà la causa della degenerazione dei neuroni colinergici. Willard et al. (1999) hanno dimostrato che un’infiammazione, sia acuta che cronica, indotta nel cervello di ratto con l’infusione di β-polisaccaridi è accompagnata da una diminuzione del numero dei neuroni colinergici nel nucleo basale. Inoltre, la riduzione del numero di neuroni colinergici indotta dall’iniezione di Aβ (1 -42) nel nucleo basale è attenuata dal trattamento con un farmaco antiinfiammatorio (Giovannini et al., 2002). Qualunque sia il meccanismo con il quale si esplica, la tossicità di Aβ per i neuroni colinergici ha trovato ulteriore conferma nei topi transgenici che esprimono Aβ e che si sono rivelati il migliore modello animale di AD (Games et al., 2006). Nel cervello di topi TgCRND8 abbiamo dimostrato una estesa disfunzione colinergica con riduzione del numero di neuroni colinergici, della liberazione di ACh e perdita degli autorecettori M2 (Bellucci et al., 2006). Questo è stato l’ultimo lavoro sperimentale su sistema colinergico e AD al quale ho contribuito. Le ricerche su diversi aspetti della patogenesi di AD e su possibili interventi terapeutici Quaderni della SIF (2013) vol. 33- 7 sono proseguite nel laboratorio fiorentino da Fiorella Casamenti e i suoi collaboratori. Ma il ciclo della mia attività di sperimentatore si è concluso, per un caso, con un ritorno alle origini. Ho concluso, come ho iniziato, con lo studio di un inibitore delle colinesterasi. Il primo fu il parathion, un inibitore di AChE e BuChE, l’ultimo un inibitore selettivo della BuChE. L’osservazione nuova è stata che anche una limitata inibizione della BuChE cerebrale causa un aumento dei livelli extracellulari di ACh pur rappresentando BuChE solo il 10% della AChE cerebrale (Cerbai et al., 2007). Si rende necessaria una rivalutazione del ruolo della BuChE cerebrale anche alla luce dei dati ottenuti in topi knock out per la BuChE (Li et al., 2008). Più di 50 anni di ricerche mi hanno dato la possibilità di assistere al formarsi di un grande mosaico di conoscenze sul sistema colinergico cerebrale, al quale ho potuto contribuire con alcune tessere. Ho iniziato quando il ruolo dell’ACh nei processi cognitivi era solo una vaga ipotesi. Oggi sappiamo che l’ACh cerebrale sottende ai meccanismi dell’attenzione, della consapevolezza dell’ambiente e all’acquisizione di nuove informazioni e possiamo rispondere affermativamente alla domanda posta da Perry et al. (1999) se l’ACh nella mente sia il neurotrasmettitore della coscienza. BIBLIOGRAFIA Abe E, Casamenti F, Giovannelli L, Scali C, Pepeu G. Administration of β-peptides into the medial septum of rats decreases acetylcholine release from hippocampus in vivo. Brain Res 1994; 636: 162 - 64. Aiazzi Mancini M, Pepeu G. Studio tossicologico del parathion presente nell’olio di oliva di uso alimentare. Arch. Ital. Sci. Farmacol 1955; 5: 40 -86. 8 - Quaderni della SIF (2013) vol. 33 Antonelli T, Beani L, Bianchi C, Pedata F, Pepeu G. Changes in synaptosomal high affinity choline uptake following electrical stimulation of guinea-pig cortical slices: effect of atropine and physostigmine. Br J Pharmac 1981; 74: 525 – 31. Arnold HM, Fadel J, Sarter M, Bruno JP. Amphetamine-stimulated cortical acetylcholine release: role of the basal forebrain. Brain Res 2001; 894: 74-87. Ballmaier M, Casamenti F, Zoli M, Pepeu G, Spano P. 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