Riflessioni e proposte della Caritas Diocesana Vicentina,

CARITAS DIOCESANA VICENTINA
Contrà Torretti, 38 VICENZA
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Ai Reverendi Parroci della Diocesi Vicentina
Ai Signori componenti la Giunta Regionale Veneta eletti nel territorio Diocesano
Ai Signori Consiglieri Regionali eletti nel territorio Diocesano
Ai Signori componenti la Giunta Provinciale di Vicenza
Ai Signori Consiglieri Provinciali di Vicenza
Ai Signori Sindaci dei Comuni della Diocesi Vicentina
Ai Signori Direttori Generali delle Aulss n. 3,4,5,6,15,20
Ai Signori Presidenti provinciali delle Associazioni di categoria
Ai Signori Segretari provinciali delle Associazioni sindacali
Ai Signori Presidenti delle Cooperative sociali presenti nel territorio della Diocesi
Al Signor Presidente del Centro Servizi Volontariato della Provincia di Vicenza
Alle Associazioni di volontariato della Provincia vicentina
Riflessioni e proposte della Caritas Diocesana Vicentina,
in vista dei nuovi Piani di Zona dei servizi socio-sanitari
PREMESSA: IL CONTESTO DI UN PERCORSO INIZIATO NEL 2000.
Nel giugno del 2000 la Diocesi di Vicenza indirizzava ai Sindaci e ai Direttori delle Aziende
Ulss competenti per territorio un documento elaborato dalla Caritas sul tema dei Piani di Zona,
in cui si esprimeva “l’attenzione della nostra Chiesa alle esigenze e alle situazioni che incidono
fortemente sulla qualità di vita personale, familiare, e sociale” e riteneva di proporre ”un contributo
alla riflessione comune, che può divenire collaborazione cordiale nel rispetto di diverse funzioni e
identità”.
Il documento partiva dalla considerazione che la famiglia è componente basilare della vita
sociale e necessitava di maggiore attenzione da parte delle amministrazioni locali. L’analisi si
sviluppava poi attorno al difficile percorso verso l’integrazione delle comunità con una pluralità di
componenti. Definiva, infine, per alcune aree tematiche (infanzia, handicap, salute mentale,
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dipendenze, anziani non autosufficienti, prostituzione coatta) delle proposte utili per la discussione
e la predisposizione dei Piani di Zona.
A distanza di anni si ritiene opportuno un nuovo momento di discussione e di riflessione con
quanti operano nel pubblico, nel volontariato e nel terzo settore e lavorano allo sviluppo di un
sistema di servizi che ha nella persona e nella sua armoniosa realizzazione dentro la società il reale
obiettivo di ciascun intervento. Elemento irrinunciabile è una programmazione dei servizi che sia
conseguente ad una lettura in prospettiva della realtà e che ponga particolare attenzione alla
valorizzazione del ruolo delle famiglie (come sono ora e come potranno essere in un prossimo
futuro).
Rispetto al documento del 2000, indirizzato principalmente ad amministratori di Comuni e di
Aziende Ulss, riteniamo importante che il messaggio raggiunga oggi anche nuovi destinatari,
superando l’idea di una gestione essenzialmente tecnica di un così determinante strumento
programmatorio; tale riflessione viene quindi proposta, per una discussione e una eventuale
condivisione, all’Amministrazione Regionale, alle Amministrazioni Comunali - che sono titolari
dei Piani di Zona con le Direzioni Generali delle Aziende Ulss - ma anche alla Provincia, alle
associazioni, e ai gruppi attivi nelle parrocchie e nel volontariato.
Molti dei problemi che il singolo, le famiglie e la comunità locale subiscono e affrontano nella
vita quotidiana nascono dall’incapacità di far fronte a difficoltà economiche, da nuovi bisogni
sentiti fortemente tanto quanto quelli tradizionali, da un mercato del lavoro sempre più selettivo ed
espulsivo, da continue modificazioni culturali, demografiche e sociali.
A questi problemi si può tentare di rispondere solo con una migliore gestione dei servizi
sociosanitari e assistenziali tradizionalmente offerti e con uno sviluppo di attività rivolte alla
prevenzione e alla cura del disagio.
Tuttavia, quanti si cimentano con l’arduo compito di organizzare e gestire i servizi offerti in una
comunità, devono faticare nel guadagnare un consenso al proprio operato, consapevoli che il
modello di comunità ideale è ormai plurale, come del resto quello di famiglia.
Si avverte inoltre che, interventi pur adeguati nelle dimensioni e ineccepibili tecnicamente,
spesso si limitano ad attenuare il sintomo del malessere mancando la definitiva risoluzione rispetto
ai bisogni generanti il malessere. Potremmo dire, con una metafora, che curano il malato ma non
eliminano la causa della malattia.
Finché una comunità, accanto alle necessarie azioni offerte dai servizi di cui è dotata, non sarà
in grado di offrire un’organica ed organizzata presa in carico dei suoi cittadini in difficoltà,
nella logica di politiche di inclusione sociale, ogni successiva redazione del Piano di Zona dei
servizi alla persona vedrà, inesorabilmente, divaricarsi la forbice tra bisogni e risorse per i servizi
alla persona.
In quest’ottica i rapporti tra persone, i processi di integrazione, l’inclusione del diverso non sono
solo questioni professionali da addetti ai lavori: il grande progetto programmatorio, che i Piani di
Zona sviluppano, andrebbe accompagnato da un forte impegno di tutti per attivare le risorse di una
società disattenta. Se è corretto affidare risposte e soluzioni al “politico”, è altrettanto giusto che a
partire dalle istituzioni pubbliche locali vengano attivamente coinvolti su questi ambiti anche i
tecnici, gli operatori sociali e, naturalmente, tutti i cittadini.
La nuova pianificazione nel campo sociosanitario dovrà, quindi, sviluppare interventi ed
azioni che migliorino la capacità dei cittadini di fare e di sentirsi comunità, superando il diffuso
sentire della subalternità dei servizi alla persona, intesi solo come fonte di spesa. Va creata una
nuova consapevolezza che i servizi alla persona, oltre ad avere di per sé una valenza etica
indiscutibile legata al valore di ogni vita umana, costituiscono concausa significativa rispetto ai
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fattori determinanti la qualità del tessuto relazionale, culturale, produttivo ed economico1 Perciò
non sono secondarie quelle iniziative che rinvigoriscono la vocazione alla solidarietà nel nostro
territorio, che accentuano la mutualità e la reciprocità dell’aiuto, soprattutto passando da una
visione negativa dei bisogni, intesi come la radice del disagio, a una positiva come “invocazioni di
vita” o, meglio, “invocazioni di qualità di vita”.
Un’azione difficile ma importante va rivolta allo sviluppo di una coscienza collettiva che
rifletta sulla necessità di un uso appropriato e non consumistico delle risorse in campo sociale e
sanitario, per trasmettere al cittadino l’idea che le attività e le energie, anche umane, rivolte alla
persona debbono essere valutate in modo diverso rispetto ad altri servizi. Solo così si possono
abbattere costi inutili e potenziare servizi dando loro la giusta priorità ed evitando sprechi indotti da
esigenze artificiose e non realistiche, sollecitate, ad esempio, da messaggi mediatici che giocano
sulle paure e le ansie dei cittadini.
Una comunità attenta ad affrontare e se possibile a risolvere i problemi sociali che coinvolgono
i suoi componenti vedrà meglio utilizzati quei servizi sanitari e sociosanitari destinati oggi, in modo
non appropriato, a rispondere a bisogni che potrebbero e dovrebbero trovare accoglimento altrove.
In conclusione si potrebbe coniare lo slogan “più società e meno sanità”: una maggior attenzione
ai problemi sociali porta cioè ad un minor ricorso alla sanità per bisogni che sanitari non sono.
Occorre, perciò, recuperare quel senso del limite che sembra perso specie nel campo
dell’assistenza sanitaria, ormai impoverita nella componente dei rapporti umani tra chi cura e chi è
curato ed enfatizzata da una rincorsa verso una risposta, insoddisfacente, della tecnologia.
1)
LA QUALITA’ DELLA VITA E IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI
I Piani di Zona debbono essere coordinati con il Piano Socio-Sanitario Regionale; debbono
essere previsti indicatori (di processo, di attività e di esito) come elemento centrale di una
valutazione del conseguimento degli obiettivi. Vi è, altresì, la necessità imprescindibile di un lavoro
integrato da parte dei soggetti istituzionali coinvolti (Amministrazione Regionale, Comunale,
Direzioni Ulss).
Si deve, poi, sottolineare che la coesione di una popolazione si raggiunge con un continuo
rafforzamento di tutte le iniziative che fanno riferimento ad un territorio; la programmazione dei
servizi alla persona dovrebbe coincidere, sia nei tempi che culturalmente, con gli altri atti e
provvedimenti che definiscono le attività della comunità. È evidente che, per es., un piano di
sviluppo economico-territoriale incide in modo rilevante sulla qualità della vita e sui bisogni
presenti e futuri fino al paradosso che, in mancanza di una programmazione sinergica, nel tentativo
di rispondere ad un bisogno se ne creano di nuovi, a cui sarà necessario successivamente dare
risposta.
In un’area come quella veneta caratterizzata da comuni numerosi e relativamente piccoli è
necessario che vi sia un coordinamento dei momenti programmatori tra le amministrazioni,
includendo tra questi i servizi alla persona.
Pur demandando allo Stato e alla Regione la definizione dei livelli essenziali di assistenza
(L.E.A.) – attualmente, peraltro, definiti solo per gli aspetti sanitari e socio-sanitari- e la
declinazione degli stessi ai Comuni e alle Aziende Ulss, in questi territori “aggregati” è necessario
che siano riviste o precisate, in particolare nell’ambito sociale, le priorità di intervento.
cfr. E.Ziglio, Atti del seminario su “L’approfondimento delle esperienze di governo dei servizi sociali e
dell’integrazione con i servizi sanitari”, OMS – Venezia, Marzo 2006
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Accanto a sempre più strette forme di collaborazione tra amministrazioni comunali in molti
settori (gestione dell’energia, della vigilanza urbana, dell’approvvigionamento idrico, dello
smaltimento dei rifiuti, ecc.) si dovrebbe assistere ad una più decisa partecipazione a forme
associative di gestione con coerente valutazione e individuazione delle necessità della popolazione,
razionalizzazione delle risorse impiegate e distribuzione uniforme dei servizi socio-assistenziali nel
territorio, migliore accessibilità dei servizi ed equità dell’erogazione delle prestazioni.
L’individuazione di risorse certe e utilizzabili è condizione necessaria per l’elaborazione di
piani di intervento credibili ed attuabili; non si può, tuttavia, non rilevare come larghe e numerose
componenti della società civile siano ricchezza da scoprire e coinvolgere.
I Piani di Zona dovrebbero vedere, accanto ai tradizionali componenti, la definitiva
partecipazione di associazioni di categoria, della scuola, del mondo associativo, delle
parrocchie.
In una realtà produttiva caratterizzata da una diffusione della piccola e media impresa occorre,
poi, incentivare sempre di più la responsabilità sociale delle imprese, intesa come partecipazione
attraverso il lavoro ai bisogni e alle esigenze del territorio, valorizzando le capacità di uomini e
imprese perfettamente a conoscenza di problemi ed opportunità propri dell’ambiente dove operano.
Va sempre più decisamente affermato che “spendere oculatamente” nei servizi alla persona, pur
mantenendo un forte e realistico collegamento con la attuale realtà economica generale e veneta,
rappresenta non già spreco di risorse ma, anzi, un produttivo investimento e un’opportuna occasione
di sviluppo, di nuovo lavoro e di miglioramento generale del benessere della società tutta.
2)
LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA E DELLA FAMIGLIA
SERVIZI E ALLA STRUTTURA SOCIO-SANITARIA
RISPETTO AI
La gestione di servizi in forma associata, con una pluralità di amministrazioni coinvolte e quindi
con una gamma più vasta di competenze, esigenze, risorse investite e destinatari, potrebbe favorire
la ricerca della qualità delle prestazioni in un rapporto di scambio attivo con il territorio. La
ricerca della qualità diventerebbe così un elemento basilare nelle scelte, senza avere nel “minimo
costo” l’unico criterio di riferimento per l’assegnazione dei servizi.
Le famiglie, opportunamente sensibilizzate, resteranno il perno del sistema socio-assistenziale
solo se saranno ulteriormente sostenute ed assistite (formazione al dialogo di coppia, educazione
consapevole alla genitorialità, coinvolgimento degli anziani nella gestione ordinaria della vita
quotidiana, partecipazione alle occasioni di vita comunitaria, ecc.). Particolare attenzione va
dedicata alla formazione dei loro componenti in modo che possano affrontare meglio, qualora
emergessero, quelle difficoltà che, se cronicizzate, richiederebbero un intervento ben più complesso
e oneroso.
Aspetto da auspicare è, ad esempio, la promozione di sostegno di gruppi di auto-mutuo aiuto
per le specifiche aree di intervento, che diano alle famiglie in difficoltà la percezione dell’esistenza
e dell’efficacia di un sistema socialmente coordinato che si attiva attorno ad esse, favorendo anche
l’espressione delle risorse presenti nelle persone sia nell’auto-aiuto che nella mutualità di piccoli e
medi ambiti di rapporti, oltrepassando la logica di una fruizione passiva di servizi e di prestazioni.
Un’attenzione specifica va rivolta a tutto il settore della prevenzione in cui, spesso,
intervenendo in modo flessibile e tempestivo, è possibile operare anche con risorse limitate (es.
utilizzo di educatori e di mediatori), valorizzando e coinvolgendo più efficacemente attori e contesti
già presenti (ad esempio: mondo della scuola, del lavoro in genere, del tempo libero).
La presa in carico delle situazioni di disagio e della non auto-sufficienza (in particolare dei
soggetti con forme plurime di disagio, come tossicodipendenti con problemi psichiatrici e anziani
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dementi) deve essere un elemento di qualità nella nuova programmazione; non ci può essere
efficacia dell’intervento se manca una precisa titolarità e responsabilità in caso di
multidisciplinarietà terapeutica, per il solido convincimento che chi dà aiuto deve anche saper
rispondere dell’interezza della persona.
Occorre richiedere alla Regione Veneto, alle Aziende Sanitarie, agli Ordini Professionali, ai
singoli professionisti un maggior coinvolgimento di quanti (in particolare medici, infermieri,
assistenti sociali e altri operatori) lavorano a contatto col disagio e la sofferenza Anzitutto i
medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, vicini alla quotidianità delle persone e delle
famiglie, dovrebbero diventare i primi a capire e ad intervenire rispetto a situazioni di sofferenza, in
cui si manifestano i sintomi del disagio preludio di patologie, in una logica di comunicazione e di
integrazione con le altre figure, professionali e non, operanti sul territorio. Ciò senza far mancare la
presenza quando la malattia fisica o psichica è purtroppo ma inevitabilmente presente,
Il volontariato deve essere visto come risorsa capace di supportare gli ambiti in cui l’istituzione
non può o non riesce ad intervenire, senza però diventare delega supplente, vicariante le carenze
della Pubblica Amministrazione. Diventa soggetto da coinvolgere nelle scelte di politica sociale e di
programmazione delle iniziative in un rapporto reale fondato sul corretto valore sussidiarietà
In un contesto di forte cambiamento è necessario gradualmente riorientare il modo di lavorare
dei servizi (consultori, Dipartimenti di Salute Mentale, Ser.T.), affiancando alle tradizionali
modalità di lavoro esperienze innovative e a minor costo (ad es. appartamenti di convivenza protetti
per una autonomia accompagnata, famiglie di riferimento e/o di sostegno).
Lo sviluppo del lavoro di rete tra le istituzioni deve vedere, infine, un maggior coinvolgimento
delle parrocchie, delle associazioni, dei comitati di quartiere, del volontariato in genere, per far
crescere una coscienza di solidarietà e di attenzione all’altro anche come educazione ad un modello
di società solidale che non è più da ritenersi scontato.
3)
I BISOGNI
Esistono delle aree già sufficientemente coperte nell’attuale organizzazione sociale e dei servizi
dove peraltro possono essere studiate forme innovative e di completamento che potranno arricchire
la qualità dei servizi offerti (si rammenta ad esempio il fondamentale effetto positivo di un ingresso
in tirocini lavorativi in aziende o in cooperative) .
I nodi critici in cui è necessaria un forte attenzione sono:
 Famiglia e tutela della maternità: la famiglia, come soggetto attivo che svolge un
servizio fondamentale al proprio interno e come destinataria di interventi di sostegno e di
supporto alla relazione e alla genitorialità; in particolare con interventi di supporto alla
madre sola e priva di mezzi adeguati di sostentamento (ad esempio con la creazione di
famiglie o gruppi di appoggio che garantiscano in particolare il pronto sostegno a casi di
madri in immediato stato di difficoltà e il supporto alla fase del dopo parto sia con sostegno
materiale che psicologico).
 Minori: è vero che sostenere la famiglia significa incidere anche nel benessere dei
figli, ma è necessario anche migliorare gli sforzi di intervento specifici, sia di promozione
che di trattamento (ad esempio la presenza di numerose famiglie composte da genitore
separato con uno o più figli suggerisce la creazione di attività che vadano al di là del
semplice supporto economico, ove necessario; l’offerta di servizi innovativi alla prima
infanzia, lo sport, il sostegno alle attività parrocchiali destinate ai bimbi e ai ragazzi,
l’attività fisica e ricreativa di gruppo organizzata con costanza e non limitata al periodo
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estivo potrebbero essere momenti di soluzione di problemi per la famiglia a costo non
troppo elevato).
 Adolescenti: per i quali occorre sempre più impegnare risorse per la prevenzione
delle dipendenze; per la gestione serena della affettività e della sessualità (ad esempio tempi
e spazi dedicati nei consultori familiari, interventi programmati con e nella scuola); per l’uso
del tempo libero (ad esempio percorsi educativi e formativi rivolti ai gestori di attività
economiche che hanno come destinatari, in tutto o in parte, i giovani, in modo da gestire il
momento del divertimento in forma costruttiva e sana ed evitare così patologie
comportamentali e/o il ricorso alle sostanze inebrianti tra cui l’alcool, prepotentemente
riemerso in tutta la sua pericolosità insieme alle nuove droghe); per la valorizzazione dello
sport anche come momento di prevenzione del disagio (ad esempio utilizzando appieno tutte
le strutture, anche parrocchiali, di cui il territorio veneto è abbondantemente dotato); per il
recupero del rapporto con le generazioni adulte (ad esempio organizzando spazi e momenti
destinati alla lettura, al dibattito, alla cinematografia di qualità).
 Famiglie o singole persone a rischio di povertà: persone che vivono con redditi
appena sufficienti, dove l’insorgere di momentanee difficoltà (con conseguenti stati d’ansia)
o il manifestarsi di disturbi comportamentali (ad esempio dipendenza da gioco) potrebbero
determinare irreversibili percorsi di esclusione. Occorre pensare a forme di sostegno
flessibili e di supporto terapeutico tempestivo.
 Carcerati: per i quali occorre superare il concetto che la presenza di servizi
sociosanitari nei luoghi di detenzione significhi automaticamente miglioramento delle
condizioni di vita e di dignità del carcerato. I percorsi riabilitativi debbono essere meglio
progettati e integrati, evitando così il disorientamento al momento immediatamente
successivo alla scarcerazione e quindi il rischio della reiterazione dei reati. Il “problema del
carcere e del carcerato” non può essere limitato all’impegno dei servizi del territorio su cui
l’edificio penitenziario ha sede; deve nascere anche in questo settore una visione di presa in
carico da parte dei servizi sociosanitari e della comunità civile ed ecclesiale che consenta un
percorso di inclusione sociale per la persona reclusa, durante lo sconto pena o almeno alla
fine della stessa.
 Nomadi: per i quali occorre pensare alla progettazione di reali percorsi di inclusione
magari nell’ambito di singoli distretti o di limitate aree sovracomunali, evitando eccessive
concentrazioni ghettizzanti e cronicizzanti. Vanno perseguite iniziative di sviluppo e
conoscenza delle rispettive culture attraverso il dialogo; vanno favoriti anche in questo
delicato settore i supporti che il volontariato potrà dare ai nomadi ormai di fatto stanziali da
molti anni, soprattutto sostenendo percorsi di scolarizzazione per i minori e di lavoro per gli
adulti.
 Disabilità: accanto ad una migliore attenzione al disabile e alle famiglie (ad esempio
il “dopo di noi” è un rovello non ancora adeguatamente risolto) debbono essere predisposti
percorsi di condivisione e di supporto nella fase di comunicazione ai genitori di diagnosi di
patologie comportanti disabilità; interessante e produttiva pare la esperienza di gruppi di
volontari che avendo positivamente superato e elaborato tale momento si mettono a
disposizione dei servizi sanitari a supporto di altri genitori nelle medesime condizioni.
 Poveri in stato di marginalità estrema: che comprendono anche persone immigrate
irregolari, invalidate da dipendenze o traumi irreversibili per le quali i rimpatri condivisi e
accompagnati nel paese d’origine non esimono dalla cura, eticamente doverosa.
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4)
CAMMIN FACENDO... ALCUNI AMBITI DI CONFRONTO PER UNA POSSIBILE
VERIFICA
Il documento si completa con una griglia che potrebbe aiutare a consolidare le azioni già in
essere e stimolare lo sviluppo di nuove iniziative in settori poco coltivati.
I seguenti temi, inoltre, potrebbero rappresentare ambiti di riflessione e di confronto in itinere,
sull’efficacia delle azioni socio-sanitarie.
a) Conferenza dei Sindaci: reale possibilità di indirizzo e di verifica delle politiche sociosanitarie.
b) Territorio: esperienze e modalità di coinvolgimento effettivo dei diversi attori sociali
presenti.
c) L.E.A.: definizione urgente e puntuale dei Livelli di Assistenza in campo sociale da parte di
Stato e Regione, per stabilire con precisione i diritti esigibili dai cittadini del territorio
veneto, ma da rendere applicabili a livello locale. I Livelli Essenziali di Assistenza
rappresentano le prestazioni sociosanitarie da erogare, i luoghi dove sono fruibili, le loro
caratteristiche, i tempi di attesa. Pur consci che il concreto soddisfacimento di molti bisogni
è condizionato da una serie di problemi e, ovviamente, scadenzato da varie priorità, è utile
conoscere la risposta di fronte a tematiche assai sentite e fonte di disagio per le persone e le
famiglie. In particolare appare utile conoscere l’offerta in tema di residenzialità per utenti
psichiatrici, o per tossicodipendenti, in una determinata area (ad es. CTRP, comunità, case
alloggio), sapendo le caratteristiche e la consistenza dell’utenza seguita.
d) Percorsi di inclusione sociale attraverso il lavoro: occorre individuare ed esemplificare
percorsi e metodiche più efficacemente utilizzate nelle diverse tipologie di bisogno,
anzitutto dai S.I.L. e dai Centri Provinciali per l’Impiego.
e) Prevenzione: in riferimento al funzionamento dei consultori, dei Dipartimenti di Salute
Mentale, dei SerT ma anche in riferimento alla capacità di coinvolgere con metodiche
efficaci l’ambito della scuola, dello sport, del lavoro e di enti morali quali le parrocchie.
f) Auto Mutuo Aiuto: inteso come nuove modalità e metodologie di percorsi rivolti a giovani,
genitori, coppie; a persone che soffrono la malattia mentale o disturbi compulsivi; a persone
disabili, ex carcerati, ex tossicodipendenti e, se richiesto, anche alle loro famiglie.
g) Responsabilità Sociale: valorizzando non solo quella delle imprese, ma anche quella di
tante istituzioni, come la scuola, che hanno una potenzialità enorme ma che vanno sempre di
più verso l’autoreferenzialità.
h) Presa in carico: definizione di una responsabilità di riferimento che accompagni le persone
che necessitano di percorsi terapeutici multidisciplinari afferenti a molteplici servizi.
i) Medicina generale di base: studiare e sperimentare eventuali forme innovative di gestione
dell’assistenza alla persona anche attraverso una rinnovata collaborazione con gli altri
soggetti del territorio.
j) Povertà estrema: flessibilità ed efficacia degli interventi su situazioni di estrema povertà,
anche di tipo invalidante cronico e/o terminale, non riconducibili a normali percorsi di vita,
per evitare l’incancrenirsi dell’esclusione in abbandono sociale.
k) Continuità progettuale e realizzativa dei servizi socio-sanitari e verifica degli stessi se non
più attuali e necessari, con particolare evidenza per percorsi di continuità ospedale-servizi
territoriali e viceversa.
Vicenza, 18 maggio 2006
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