PIL COME PRODUZIONE AGGREGATA E REDDITO AGGREGATO

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PIL COME PRODUZIONE AGGREGATA E REDDITO AGGREGATO
Il PIL viene definito in tre modi:
– valore di beni e servizi finali (non intermedi) prodotti nell'economia in un dato periodo di tempo
(“produzione aggregata”).
– somma del valore aggiunto nell'economia in un dato periodo di tempo.
– somma dei redditi percepiti in un dato periodo di tempo nell'economia (“reddito aggregato”);
somma di reddito da lavoro, reddito da capitale (profitti) ed imposte indirette.
Ne consegue che reddito aggregato e produzione aggregata coincidono.
Il “PIL nominale” (€Yt) (detto anche “PIL a valori”, “PIL a prezzi correnti”) è la somma delle quantità di
beni finali valutati al prezzo corrente.
Il “PIL reale” (Yt) (detto anche “PIL in termini di beni”, “PIL a prezzi costanti”, “PIL aggiustato per
inflazione” o “PIL ai prezzi dell'anno ****”) è la somma delle quantità di beni finali valutati a prezzi
costanti.
Una crescita positiva del PIL reale viene definita “espansione”, mentre una crescita negativa è detta
“recessione” (per convenzione gli economisti parlano di recessione quando l'economia registra
almeno due trimestri di crescita negativa).
Il tasso di crescita del PIL (reale) è pari a
Y t−Y t - 1 
Yt-1
Se il PIL reale vive momenti di espansione e recessione, il PIL nominale è sempre in crescita nel
tempo per il fatto che il prezzo di molti beni cresce nel tempo.
FORZA LAVORO E DISOCCUPAZIONE
La “forza lavoro” (L) è definita come somma del numero di “lavoratori occupati” (N) e “disoccupati in
cerca di lavoro” (U) secondo la relazione: L=N U
Il “tasso di disoccupazione” (u) si calcola come rapporto tra lavoratori disoccupati e forza lavoro
U
totale: u=
L
I “lavoratori scoraggiati” sono persone senza lavoro che smettono di cercarne uno ed escono quindi
“fuori dalla forza lavoro”.
Il “tasso di partecipazione” indica il rapporto tra forza lavoro e “popolazione in età lavorativa”.
Quando l'economia rallenta, in genere si verifica un contemporaneo aumento della disoccupazione
che una diminuzione del tasso di partecipazione.
Il tasso di disoccupazione ed il tasso di partecipazione sono importanti indici dell'economia che
riflettono l'efficienza dell'utilizzo delle risorse.
IL TASSO DI INFLAZIONE COME DEFLATORE DEL PIL
L'“inflazione” è un aumento sostenuto del livello generale dei prezzi.
Il “tasso di inflazione” è definito come il tasso a cui il livello dei prezzi aumenta nel tempo.
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Il “deflatore del PIL” è definito come il rapporto tra “PIL nominale” e “PIL reale” in un anno “t” dove
per t=t 0 , € Y t=Y t (cioè si è posto convenzionalmente che nell'anno t0 coincidano PIL nominale e
PIL reale, e perciò il deflatore è pari ad 1) :
PIL nominale
€Yt
Pt =
=
da cui si ha che € Y t = Pt ⋅ Y t .
Yt
PIL reale
Poiché il valore del deflatore viene scelto arbitrariamente, esso non ha valore economico, cosa che
 P t −P t - 1 
invece ha il suo tasso di variazione: il “tasso di variazione del deflatore del PIL”
Pt-1
rappresenta infatti “il tasso di inflazione”.
Il “prezzo medio al consumo” (più comunemente definito come “costo della vita”) è misurato
dall'“indice dei prezzi al consumo” (IPC) che rappresenta il costo di un dato paniere di beni di
consumo di un tipico consumatore urbano. Per quanto la spesa totale dei consumatori non coincida
con la produzione aggregata (in quanto parte della produzione è destinata alle imprese, al governo o
all'estero; e parte dei beni acquistati dai consumatori non sono prodotti all'interno dell'economia ma
importati dall'estero) IPC e deflatore del PIL si muovono tendenzialmente insieme (dando origine a
due diverse misure dell'inflazione).
In generale, se l'inflazione fosse pura (cioè se vi fosse un aumento proporzionale di tutti i beni e
salari) sarebbe per molti aspetti irrilevante; poiché nella realtà non è mai pura, ciò provoca
un'influenza sulla distribuzione del reddito ed altre distorsioni che rendono difficili alle imprese le
decisioni sul futuro; inoltre, i prezzi fissati per legge, cambiano all'inflazione in termini di prezzi
relativi.
LE DETERMINANTI DELLA PRODUZIONE AGGREGATA
Il livello di produzione aggregata dipende nel breve periodo dalla variazione di domanda (da un
cambiamento di fiducia dei consumatori ed altri fattori come aliquote fiscali e tassi di interesse).
Nel medio periodo il livello di produzione aggregata dipende maggiormente dal lato dell'offerta per
fattori quali stock di capitale, livello della tecnologia e dimensione della forza lavoro (dati costanti nel
medio periodo).
Nel lungo periodo il livello di produzione dipende da fattori quali sistema educativo, tasso di risparmio
e ruolo del governo.
LE COMPONENTI DELLA PRODUZIONE AGGREGATA
La produzione aggregata, analizzata dalla parte delle fonti della spesa, è composta dal “consumo”
(beni e servizi acquistati dai consumatori) (C), dall'“investimento” (“investimento fisso” somma di
“investimento residenziale” ed investimento non residenziale”) (I), dalla “spesa pubblica” (beni e
servizi acquistati dallo stato, che non includono i “trasferimenti”, cioè assistenza sanitaria e sociale,
né gli interessi sul debito pubblico) (G), dalle esportazioni (che sono beni e servizi prodotti
internamente ma consumati all'estero) al netto delle importazioni (beni e servizi prodotti all'estero
acquistati dai residenti) (X – IM), ed, infine, l'investimento positivo in scorte (che rappresenta la
differenza tra produzione e vendite).
Y =CI G X −IMinvestimento in scorte
LE COMPONENTI DELLA DOMANDA DI BENI
Supponiamo che le imprese producano un solo bene, usato indifferentemente dai consumatori come
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bene di consumo, dalle imprese come bene di investimento e dal governo come spesa pubblica.
Studiamo questo mercato di un solo bene nel breve periodo (assumendo che le imprese siano
disposte ad offrire una qualunque quantità del bene ad un prezzo P) per concentrarci sul lato della
domanda.
Se l'economia è inoltre chiusa possiamo porre X =IM=0 per cui  X −IM=0 la domanda
aggregata di beni Z ≡CI G X −IM diventa Z ≡CI G .
Assumiamo come funzione del consumo (variabile endogena al nostro modello), data dall'equazione
di comportamento C=C Y d  (dove Y è il “reddito disponibile”, inteso come reddito al netto delle
+
d
imposte, dopo aver ricevuto i trasferimenti dal governo), la semplice relazione C=c0 c 1⋅Y d dove c0
è detto “consumo con reddito nullo” e c1 “propensione marginale al consumo”.
Dalla definizione di reddito disponibile possiamo scrivere Y d =Y −T da cui C=c0 c 1⋅Y −T  .
In questa equazione c0 è positivo in quanto possiamo presumere che anche con reddito nullo i
consumatori abbiano un consumo minimo positivo. D'altra parte è realistico pensare che 0c 11
in quanto all'aumento del reddito è presumibile un aumento del consumo, che non sarà però
superiore all'aumento stesso.
In una prima approssimazione prendiamo l'investimento come variabile esogena I =I per
semplificare ulteriormente il modello (anche se quest'approssimazione implicherebbe che
l'investimento non vari in alcun modo alla variazione della produzione).
Altre variabili che prendiamo come esogene nel modello sono “G” (la spesa pubblica) e “T” (le
imposte), che rappresentano la “politica fiscale” del governo e rappresentano quindi le variabili di
scelta, che verranno variate la da parte del governo per il conseguimento di particolari obiettivi.
Alla luce di queste premesse la domanda aggregata diventa Z ≡c 0c 1⋅Y −T  I G per cui
possiamo affermare che dipenda dal reddito Y , dalle imposte T , dall'investimento I e dalla
spesa pubblica G .
DETERMINAZIONE PER VIA ALGEBRICA DELLA PRODUZIONE DI EQUILIBRIO
Riscritta la domanda come Z =c 0c 1⋅Y −T  I G possiamo analizzare la condizione di equilibrio
nel mercato dei beni che si verifica quando la produzione è uguale alla domanda secondo
l'equazione di equilibrio Y =Z dove possiamo sostituire “Z” con la sua espressione, ottenendo
quindi: Y =c 0c 1⋅Y −T  I G dove produzione e reddito sono entrambe espresse con la lettera Y
(semplicemente perché sono due modi di esprimere il PIL da due differenti punti di vista).
Svolgendo i calcoli possiamo riscrivere l'equazione di equilibrio come
Y=
1
⋅c I G−c 1 T 
1−c1  0
1
prende il nome di “moltiplicatore” e c 0I G−c 1 T  quello di “spesa autonoma”
1−c0 
(cioè indipendente dalla produzione).
dove
La spesa autonoma è positiva in quanto c0 ed I sono positivi e G−c1 T è verosimilmente
maggiore di zero in quanto è difficile che le imposte superino (di gran lunga) la spesa pubblica
(anche ammettendo che T =G si avrebbe G−c1 T =T 1−c 1  realisticamente maggiore di zero
in quanto 0c 11 ).
L'effetto del moltiplicatore aumenta al tendere ad 1 della propensione marginale al consumo c0: ciò
implica che qualunque variazione di una delle componenti della spesa autonoma influenzerà la
produzione in misura superiore all'effetto diretto sulla stessa spesa autonoma.
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Intuitivamente il significato del moltiplicatore risiede nel fatto che un aumento della domanda farebbe
aumentare la produzione e, di conseguenza, il reddito (che coincide con la produzione) in modo tale
da far ulteriormente crescere la domanda che a sua volta farà aumentare la produzione, e così via.
ANALISI GRAFICA DELL'EQUILIBRIO EQUILIBRIO
Per descrivere l'equilibrio con un grafico
disegniamo le due funzioni di produzione e
di domanda in funzione del reddito (in un
grafico nel quale misuriamo produzione
sull'asse verticale e reddito su quello
orizzontale).
Poiché produzione (Y) e reddito (Y)
coincidono, la relazione tra le due variabili è
rappresentata dalla bisettrice del quadrante.
La funzione di domanda
Z =c 0c 1⋅Y −T  I G è rappresentata
da una retta che ha per coefficiente angolare
la propensione marginale al consumo c1 e
come intercetta con l'asse verticale la spesa
autonoma (come si può notare dalla sua espressione riordinata Z =c 1⋅Y c 0 I G−c 1 T  ).
Tale retta ha inclinazione positiva ma minore di 45° (poiché 0c 11 ) ed un incremento del reddito
di una unità fa spostare la domanda di C 1 in alto.
L'equilibrio è dato dall'intersezione tra funzione di domanda e funzione di produzione
IL SIGNIFICATO DEL MOLTIPLICATORE E LA SUA DETERMINAZIONE PER VIA GEOMETRICA
Data una situazione di equilibrio e1
supponiamo che c0 incrementi di un'unità,
provocando una traslazione dell'intera curva
di domanda verso l'alto: avremo dunque un
nuovo equilibrio nel punto e2 .
Lo spostamento finale da Ye1 ad Ye2 , è
superiore a quello iniziale direttamente
implicabile all'aumento di c0 .
Effettivamente ad un primo aumento (di 1
unità) del consumo, corrisponde un
aggiustamento della produzione (sempre di
1 unità): aumentato il reddito, vi sarà un
ulteriore incremento della domanda pari allo
spostamento iniziale (1) moltiplicato per il
fattore di propensione marginale al consumo
1⋅c 0 , al quale corrisponderà un pari aggiustamento della produzione: seguiranno dunque una serie
di aggiustamenti di domanda e produzione. L'aumento totale della produzione risulterà pari alla
somma dei singoli spostamenti  Y =1c 1c 21c31...c n1 . Ammettendo che questi spostamenti
n=k
siano infiniti potremmo riscrivere lo spostamento come
n
c1
∑
k ∞
 Y =lim
che per
0c 01 tende
n=0
ad un limite finito pari a
Y=
1
, pari appunto al moltiplicatore.
1−c1
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L'aggiustamento istantaneo del nostro modello è giustificato dal fatto che abbiamo supposto la non
esistenza di scorte: nella realtà le imprese, prima di aggiustare la produzione, spesso preferiscono
attingere alle proprie scorte per soddisfare un aumento di domanda, d'altra parte un aumento di
reddito potrebbe non indurre il consumatore ad un immediato aumento del consumo.
EQUILIBRIO SUL MERCATO DEI BENI COME UGUAGLIANZA INVESTIMENTO=RISPARMIO
Un modo alternativo di pensare l'equilibrio è stato studiato da Keynes in termini di eguaglianza tra
risparmio ed investimento: dire “investimento = risparmio” è equivalente a dire “domanda =
produzione”.
Il risparmio è pari alla somma tra “risparmio privato” (“saving”) (S) (definito come differenza tra
reddito disponibile e consumo S≡Y d −C ≡Y −T −C ) e “risparmio pubblico” (come differenza tra
imposte, al netto dei trasferimenti, e spesa pubblica T −G , che se positiva prende il nome di
“avanzo di bilancio”, se negativa, “disavanzo di bilancio”).
Dall'equazione di equilibrio nel mercato dei beni Y =CI G possiamo riscrivere
Y −C−T = I G−T ⇒ S= I −T −G da cui otteniamo l'eguaglianza tra risparmio ed investimento
nell'equazione I =S T −G .
ANALISI DELL'EQUILIBRIO IS
Dall'equazione di comportamento del consumo possiamo riscrivere l'equazione del risparmio come
S=Y −T − c0 c 1⋅Y −T  che possiamo riscrivere come S=−c 01−c 1 ⋅Y −T  .
Riscriviamo dunque l'equazione d'equilibrio IS come I =−c 01−c 1⋅Y −T T −G  da cui,
risolvendo rispetto ad Y, otteniamo l'equazione della produzione di equilibrio
1
Y=
⋅c I G−c 1 T 
1−c1  0
IL MERCATI FINANZIARIO
La “moneta” è un'attività finanziaria che può essere agevolmente utilizzata in transazioni, ma non
paga interessi. I “titoli”, d'altra parte, sono attività finanziarie non utilizzabili direttamente nelle
transazioni che hanno il vantaggio di pagare un interesse positivo “i”.
I due fattori che determinano le quantità di
ricchezza distribuite tra moneta e titoli sono
il “livello delle transazioni” (che sono
ragionevolmente proporzionali alla
grandezza dell'economia, e quindi al reddito)
ed il “tasso di interesse” dei titoli, secondo
d
l'equazione M =€ Y⋅Li , dove Md è la
-
“domanda di moneta”, che prendiamo come
direttamente proporzionale al reddito
nominale e dipendente negativamente dal
tasso di interesse secondo una funzione L.
Se la domanda si sposta verso destra, a
causa di un aumento del reddito disponibile,
a parità di offerta di moneta dalla banca
centrale, si avrà (raggiunto l'equilibrio tra
domanda ed offerta di moneta) un aumento del tasso di interesse: quindi un aumento del reddito
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nominale provoca un incremento del tasso di interesse.
La ragione è che al tasso di interesse iniziale la domanda di moneta eccede l'offerta: per indurre gli
individui a tenere una quantità inferiore di moneta è necessario un aumento del tasso di interesse.
Supponiamo che (data una funzione di
domanda di moneta) la banca centrale
decida di agire indirettamente sul tasso di
interesse decidendo la quantità di moneta
da offrire sul mercato: essa sceglierà una
quantità di moneta offerta tale per cui il
tasso varierà in tal modo da indurre gli
individui a tenere una quantità di moneta
pari all'offerta.
Se la banca centrale aumenta l'offerta di
moneta, questa inizialmente eccede la
domanda: per far salire la domanda al livello
dell'offerta si avrà una riduzione del tasso di
interesse per incentivare gli individui a
tenere una maggiore quantità di moneta.
POLITICA MONETARIA E OPERAZIONI DI MERCATO APERTO
Nelle economie moderne, la banca centrale varia l'offerta di moneta tramite “operazioni di mercato
aperto” nel mercato dei titoli: comprando i titoli, pagandoli con moneta, la banca centrale fa “azione
espansiva”, aumentando (“espandendo) l'offerta di moneta ed abbassando indirettamente i tassi di
interesse. Quando la banca centrale vende titoli nel mercato aperto dei titoli, fa “azione restrittiva”,
abbassando (“restringendo”) l'offerta di moneta ed alzando indirettamente i tassi di interesse.
Quando una banca centrale varia l'offerta di moneta lo fa col preciso obiettivo di variare i tassi di
interesse: un determinato movimento dell'offerta di moneta ha il preciso obiettivo di raggiungere un
determinato tasso d'interesse.
Nella realtà, però ,il mercato dei titoli non determina direttamente gli interessi sui titoli, ma il loro
prezzo, dal quale viene poi calcolato il tasso di interesse secondo
remunerazione− prezzo titolo € r −€ PT
i=
=
prezzo titolo
€ PT
In quest'ottica, in un'azione espansiva di mercato aperto la banca centrale aumenta l'offerta di
moneta acquistando titoli, il cui prezzo sale con l'effetto di far scendere i tassi d'interesse; in
un'azione restrittiva di mercato aperto la banca centrale vende titoli provocando una diminuzione
della loro domanda e conseguentemente del loro prezzo con l'effetto di alzare “i”.
IL RUOLO DELLE BANCHE PRIVATE
Nel bilancio della banca centrale le attività sono costituite dai titoli che tiene in portafoglio, le passività
sono invece costituite dallo stock di moneta nell'economia: le operazioni di mercato aperto
comportano variazioni di pari importo nell'attivo e nel passivo del bilancio.
La moneta, nella realtà, non è interamente circolante, ma risiede in parte in depositi bancari forniti da
intermediari finanziari come le banche private. Le banche investono la moneta depositata dai privati
in titoli o concedono prestiti con un remunerativo tasso di interesse oppure, a loro volta, depositano
nelle riserve della banca centrale.
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Ammettendo (per semplicità) che le banche non concedano prestiti ma investano solo in titoli, tra le
attività nel bilancio avremo titoli e riserve (in parte tenute sotto forma di contanti ed in parte
depositate in banca centrale), mentre tra le passività avremo i depositi dei clienti.
Le riserve (oltre ad essere obbligatorie per una certa parte, proporzionale ai depositi in conto
corrente) sono motivate dalla necessità delle banche private di contante a disposizione per
fronteggiare eventuali uscite (non coperte dalle entrate) verso clienti o verso altre banche.
DOMANDA ED OFFERTA DI MONETA EMESSA DALLA BANCA CENTRALE
Date queste premesse, riesaminiamo la determinazione del tasso di interesse attraverso l'equilibrio
tra offerta e domanda di “moneta emessa dalla banca centrale”.
L'offerta di moneta emessa è sotto il diretto controllo della banca centrale per cui H s =H
La domanda di moneta emessa dalla banca centrale sarà uguale alla somma tra domanda di
circolante da parte degli individui e domanda di riserve da parte delle banche private. Il tasso di
interesse sarà tale per cui domanda ed offerta di moneta emessa dalla banca centrale siano uguali.
Assumiamo semplicemente che data una qualsiasi quantità di moneta a disposizione, l'individuo la
distribuisca tra moneta circolante (CI)(per le piccole transazioni) e depositi (D)(per le grandi
c
transazioni) secondo una proporzione
per cui si ha CI d =c⋅M d e D d =1−c⋅M d .
1−c
Supponendo che la domanda di riserve da parte delle banche sia direttamente proporzionale
d
d
d
all'ammontare dei depositi R =⋅D =⋅1−c ⋅M .
La domanda di moneta emessa dalla banca centrale diventa H d =CI d Rd =c⋅M d ⋅1−c⋅M d che
d
d
si può riscrivere come H =c⋅1−c⋅M che, scritta la domanda di circolante come
d
d
M =€ Y⋅Li , diventa H =c⋅1−c⋅€ Y⋅Li .
-
-
.
H s =H d per cui H =c⋅1−c ⋅€ Y⋅L i
Se gli individui tenessero tutta la moneta come circolante si avrebbe c=1 per cui l'equilibrio
sarebbe H =€ Y⋅Li , identico a quello studiato nell'equazione M =€ Y⋅Li che descriveva un
Per la condizione di equilibrio si ha che
-
-
modello nel quale tutta la moneta era circolante. Per tutti gli altri valori di c, dove c1 , (essendo
per legge 0 e nell'interesse delle banche 1 ), si ha che la somma c⋅1−c1 .
Ciò implica che per qualunque valore di c1 la domanda di moneta emessa dalla banca centrale
Hd è inferiore alla domanda aggregata di moneta Md : ciò deriva dal fatto che la domanda di riserve
da parte delle banche è solo una frazione della domanda di depositi.
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In generale l'equilibrio è viene nella
situazione per cui il tasso di interesse è tale
per cui la funzione di domanda di moneta
emessa dalla banca centrale interseca la
funzione di offerta di moneta emessa dalla
banca centrale. Ancora una volta, se la
banca centrale decide di aumentare l'offerta
di moneta emessa, il tasso di interesse
scende; se, invece, decide di abbassare
l'offerta di moneta emessa dalla banca
centrale, a parità di domanda, il tasso di
interesse sale.
In generale, un maggior tasso di interesse
comporterà una minor domanda di moneta
emessa dalla banca centrale in quanto
decrescono sia la domanda di circolante da
parte degli individui sia la domanda di depositi e, conseguentemente, di riserve da parte delle
banche.
MERCATO DEI “FEDERAL FUNDS” E TASSO DI INTERESSE SUI “FEDERAL FUNDS”.
Un modo alternativo di pensare all'equilibrio dei mercati finanziari come uguaglianza tra domanda ed
offerta di moneta è in termini di uguaglianza tra domanda ed offerta di riserve.
Negli Stati Uniti esiste un vero e proprio mercato delle riserve (le bance a fine giornata hanno riserve
in eccesso e le prestano a quelle che ne hanno in difetto). In USA tassi di interesse delle riserve sono
regolati dalla FED che può scegliere il tasso sui “Federal Funds” variando l'offerta di moneta emessa,
acquistando o vendendo nel mercato dei fondi federali.
EQUILIBRIO TRA DOMANDA ED OFFERTA AGGRAGATA DI MONETA
Partendo dall'equazione di equilibrio tra domanda ed offerta di moneta emessa dalla banca centrale
H =c⋅1−c ⋅€ Y⋅L i possiamo ri-esaminare l'equilibrio nel mercato finanziario come domanda
-
ed offerta aggregata di moneta secondo l'equazione:
1
⋅H =€ Y⋅L i dove
c⋅1−c 
-
1
⋅H rappresenta l'offerta aggregata di moneta che risulta pari all'offerta di moneta
c⋅1−c 
1
emessa dalla banca centrale moltiplicata per il moltiplicatore
.
c⋅1−c 
Per comprendere il significato di questo moltiplicatore esaminiamo un modello nel quale c=0 per
cui gli individui depositano tutto il loro circolante. Se la banca centrale compra titoli per l'ammontare
di un'unità (aumentando di un'unità l'offerta) da un individuo, questi li deposita in banca, la quale a
sua volta ne tiene  come riserva e re-investe 1− in titoli comprati da un secondo venditore; il
secondo venditore deposita la somma alla sua banca che tiene a riserva ⋅1− e ne re-investe
1−⋅1− in titoli. Dopo una serie di acquisti di titoli (dei quali il primo è eseguito dalla banca
centrale ed i successivi dalle diverse banche coinvolte), l'incremento totale dei depositi è pari a
2
3
n
 D=11−1− 1− ...1− che, ammettendo infiniti investimenti, diventa
n=k
1
1
n
=
 D=lim ∑ 1− che, essendo 01−1 , tende al limite finito  D=
.
1−1− 
k ∞ n = 0
L'INVESTIMENTO COME VARIABILE ENDOGENA NELL'EQUILIBRIO NEL MERCATO DEI BENI
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Hicks e Hansen sintetizzarono la descrizione congiunta del mercato dei beni e dei mercati finanziari
in quello che chiamarono il “modello IS-LM”.
In una prima approssimazione dell'equilibrio nel mercato dei beni (descritto dall'equazione di
I G ) l'investimento veniva preso come una variabile esogena.
equilibrio Y =C Y −T
+
Effettivamente, però, l'investimento dipende da variabili interne al nostro sistema: la funzione
dell'investimento si può scrivere come I =I Y+ , i-  dove questo dipende positivamente dalla
grandezza dell'economia (e perciò dalla
produzione) e negativamente dal tasso di
interesse: un aumento della produzione
provoca un aumenta dell'investimento, un
aumento del tasso di interesse provoca una
riduzione dell'investimento.
La produzione di equilibrio si determina,
quindi, graficamente tramite l'intersezione tra
la curva di offerta Y =Y e la curva di
I Y , i G
domanda Z =C Y −T
+ +
secondo la nuova equazione di equilibrio
I Y , i G .
estesa Y =C Y −T
+ +
La curva di domanda è positivamente
inclinata poiché un aumento di Y aumenta
sia il consumo che l'investimento: la sua
inclinazione (meno di 45°) non è giustificata teoricamente, ma dall'esperienza empirica.
DERIVAZIONE DELLA CURVA IS E SUE CARATTERISTICHE
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Se il tasso di interesse aumenta ( i 1i 0 )
una riduzione dell'investimento che implica
un abbassamento della curva di domanda
che provoca, a sua volta, una riduzione della
produzione che genera un'ulteriore
abbassamento della curva di domanda (per
l'effetto del moltiplicatore): in generale,
quindi, un aumento del tasso di interesse
implica una riduzione della produzione.
Possiamo quindi desumere che la curva IS
(che deriviamo graficamente, ricavando dal
grafico produzione-domanda ogni valore
della produzione di equilibrio associato a
ciascun tasso di interesse) abbia
un'inclinazione negativa: un tasso di
interesse maggiore è infatti associato ad un
livello inferiore di produzione.
Naturalmente, ogni altra variazione di un
fattore che modifica la produzione, varia
indirettamente la curva IS: in generale, dato
un tasso di interesse, ogni fattore che fa
diminuire il livello di equilibrio della
produzione fa spostare la curva IS verso
sinistra; al contrario, ogni fattore che che fa
aumentare il livello di produzione di
equilibrio fa spostare verso destra la curva.
Ad esempio, un aumento positivo delle
imposte ( T 1T 0 ), a parità di tasso di
interesse, farebbe diminuire il reddito
disponibile che farebbe a sua volta diminuire
il consumo e quindi abbassare la funzione di
domanda dei beni, causando (per effetto del
moltiplicatore) una riduzione della
produzione di equilibrio: per cui la curva di
domanda si sposterebbe verso il basso. A
seguito dello spostamento della curva di
domanda la curva IS si sposta verso sinistra:
aumentando le imposte, a parità di tasso di
interesse, la produzione diminuisce.
Allo stesso modo, a parità di tasso di
interesse, un aumento della spesa pubblica
(G), che fa aumentare la domanda (quindi il
reddito, la produzione, ed ancora la domanda) fa aumentare la produzione (poiché vi è stato uno
spostamento verso destra della curva IS).
I MERCATI FINANZIARI E LA CURVA LM
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Se ammettiamo che lo stock nominale di moneta sia direttamente controllato dalla banca centrale
.
M s =M possiamo scrivere l'equazione di equilibrio dei mercati finanziari come M =€ Y⋅L i
Questa equazione stabilisce una relazione tra moneta, reddito nominale e tasso di interesse che può
essere tradotta in una relazione tra “offerta reale di moneta” (moneta in termini dei beni che possono
effettivamente essere acquistati), reddito reale e tasso di interesse.
€Y
Perciò, dalla definizione di deflatore del PIL P=
da cui € Y =P⋅Y , si ottiene l'uguaglianza tra
Y
offerta reale di moneta e domanda reale di
M
M
=Y⋅Li dove
moneta:
P
P
rappresenta la moneta in termini di beni
effettivamente acquistabili.
Un incremento del reddito induce gli individui
ad aumentare la loro domanda di moneta
per ogni livello del tasso di interesse e la
curva di domanda reale di moneta si sposta
verso destra: a parità di offerta di moneta
reale, ciò provoca un aumento del tasso di
interesse che deve indurre gli individui a
tenere la stessa quantità di moneta anche
se è aumentata la domanda di moneta, a
seguito dell'aumento del reddito.
Data l'offerta reale di moneta , è possibile determinare il valore del tasso di interesse associato ad
ogni valore del reddito reale e derivare quindi la curva LM che esprime la relazione che intercorre tra
produzione (reddito) e tasso di interesse: poiché l'equilibrio dei mercati comporta che quanto
maggiore è il livello di produzione tanto maggiore è la domanda di moneta e quindi in tasso di
interesse di equilibrio, avremo che la curva LM avrà un andamento crescente.
La curva LM è stata derivata prendendo come dati sia lo stock nominale di moneta (M) che il livello
M
dei prezzi (P), e perciò anche lo stock reale di moneta
Ne segue che per qualunque variazione
P
di M o di P varia lo stock reale di moneta, provocando uno spostamento della curva LM.
All'aumento, per esempio, dello stock di moneta ( M 1M 0 ), a parità di livello dei prezzi, aumenterà
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M1 M 0
l'offerta di moneta per cui si avrà

P
P
: ad ogni livello di reddito Y il tasso di
interesse d'equilibrio nei mercati finanziari
scenderà facendo dunque spostare verso il
basso la curva LM.
Analogamente, ad ogni livello di reddito, una
riduzione della quantità di moneta provoca
un aumento del tasso di interesse, che
sposta la curva LM verso l'alto.
Gli spostamenti della curva LM sono verso
l'alto o verso il basso poiché nei mercati
finanziari determiniamo i dato un certo valore di Y: è interessante vedere quindi come cambi i (che si
trova nell'asse delle ascisse) al variare di una variabile esogena.
Gli spostamenti della curva IS sono verso destra o sinistra poiché nel mercato dei beni determiniamo
la produzione Y dato un certo valore del tasso di interesse i: è interessante vedere quindi come
cambi Y(che si trova nell'asse delle ordinate) al variare di una variabile esogena.
IL MODELLO IS-LM
Se la curva IS deriva dalla condizione che
l'offerta dei beni sia uguale alla domanda dei
beni, la curva LM deriva dalla condizione
che l'offerta di moneta sia uguale alla
domanda di moneta.
La curva IS ci dice come il tasso di interesse
influenza la produzione; la curva LM ci dice
come la produzione influenza a propria volta
il tasso di interesse.
Ogni punto della curva IS corrisponde
all'equilibrio nel mercato dei beni; ogni punto
della curva LM corrisponde all'equilibrio nei
mercati finanziari.
Le due curve si incontrano nel punto in cui sono verificati entrambi gli equilibri, il punto d'incontro
rappresenta cioè la condizione nella quale produzione e tasso di interesse sono compatibili per
raggiungere contemporaneamente equilibrio nel mercato dei beni e nei mercati finanziari.
POLITICA FISCALE, PRODUZIONE E TASSO DI INTERESSE
Supponiamo che il governo decida di ridurre il disavanzo di bilancio (politica chiamata “stretta fiscale”
o “contrazione fiscale”) attraverso, ad esempio, un aumento delle imposte, mantenendo invariata la
spesa pubblica (una politica che tende a far aumentare il disavanzo è detta “espansione fiscale”).
A seguito dell'aumento delle imposte gli individui hanno minor reddito disponibile che corrisponde a
minor consumo e, attraverso il moltiplicatore, una riduzione della produzione. Per ogni tasso di
interesse, si ha una minore produzione, quindi la curva IS è spostata verso sinistra.
La curva LM, invece, non si sposta: le imposte non compaiono infatti nella relazione LM.
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In generale, una curva si sposta in seguito alla variazione di una variabile esogena, soltanto se
questa variabile appare direttamente nell'equazione rappresentata da una curva stessa.
Poiché la curva LM non si è spostata, l'equilibrio si muove lungo la LM nel punto di intersezione con
la nuova curva IS: l'incremento delle imposte, che diminuendo i consumi ha ridotto, per l'effetto del
moltiplicatore, il reddito ha quindi
indirettamente determinato una riduzione
della domanda di moneta che ha causato
una riduzione del tasso di interesse che in
parte mitiga l'effetto delle maggiori imposte
sulla domanda dei beni
Riguardo alle componenti della domanda, G
rimane invariato, C sicuramente diminuisce,
sia a causa della riduzione del reddito
disponibile ( Y d =Y −T ), sia perché il
reddito si riduce per effetto del
moltiplicatore. L'effetto della stretta fiscale
ha un ambiguo risultato, invece,
sull'investimento, in quanto la diminuzione
del reddito diminuisce l'investimento, che
d'altra parte cresce per effetto della
riduzione del tasso di interesse.
POLITICA MONETARIA, PRODUZIONE E TASSO DI INTERESSE
Supponiamo, invece, che la banca centrale decida di fare un'“espansione monetaria”, aumentando
l'offerta di moneta (una diminuzione dell'offerta di moneta è detta “stretta monetaria” o “contrazione
monetaria”).
A parità di livello dei prezzi, aumenterà lo
M1 M 0
stock nominale di moneta e
.

P
P
Poiché l'offerta di moneta non influenza
direttamente né la domanda né l'offerta di
beni, la curva IS non subisce spostamenti.
D'altra parte, l'aumento dell'offerta di moneta
diminuirà il tasso di interesse compatibile
con l'equilibrio nei mercati finanziari a parità
di reddito; perciò la curva LM subirà uno
spostamento verso il basso.
L'equilibrio nell'economia dunque si sposta
lungo la curva IS nel punto di intersezione
con la nuova curva LM: in tale punto avremo
un incremento della produzione ed una
riduzione del tasso di interesse.
L'aumento dell'offerta di moneta porta ad un tasso di interesse inferiore che, a sua volta, stimola gli
investimenti e, attraverso il moltiplicatore fa aumentare la domanda e la produzione.
Nel caso di un'espansione monetaria, a parità di livello dei prezzi, il reddito disponibile aumenta (a
parità di imposte fiscali, essendo aumentato il reddito Y) e di conseguenza cresce anche il consumo.
L'effetto sull'investimento di un'espansione monetaria è certo: la riduzione del tasso di interesse e
l'aumento delle vendite (cresce infatti con Y la grandezza dell'economia) favoriscono gli investimenti.
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UN MIX DI POLITICA ECONOMICA
Spostamento IS
T 1T 0
Spostamento LM
Variazione Y
Variazione i
sinistra
nessuno
positiva
negativa
1
0
destra
nessuno
negativa
positiva
1
0
destra
nessuno
negativa
positiva
1
0
sinistra
nessuno
positiva
negativa
1
0
nessuno
giù
positiva
negativa
1
0
nessuno
su
negativa
positiva
T T
G G
G G
M M
M M
Gli effetti di politica fiscale ed economica riportati in tabella sono spesso utilizzati in modo combinato
in quello che si chiama “mix di politica economica”.
Gli effetti della politica economica non sono nella realtà immediati:
– i consumatori non aggiustano istantaneamente il consumo ad una variazione di reddito disponibile
– le imprese non aggiustano istantaneamente l'investimento in seguito ad una variazione delle
vendite o del tasso di interesse
– le imprese non aggiustano istantaneamente la produzione ad una variazione delle vendite
I tempi di aggiustamento (collegato a queste fonti di effetti dinamici), può essere calcolato solo in via
empirica attraverso i dati riscontrati nella realtà: dallo studio dei dati si ha che, nonostante gli effetti
della politica economica non siano immediati, sono descritti in modo realistico dal modello IS-LM.
Già nel medio periodo, si riscontra però che le previsioni perdono di attendibilità, soprattutto a causa
del cambiamento del livello dei prezzi, che nel medio periodo diventa rilevante.
L'APERTURA DEI MERCATI NELL'ECONOMIA
Nella realtà, l'apertura dell'economia ha delle importanti implicazioni nei modelli macroeconomici:
– l'apertura dei mercati dei beni ha dato ai consumatori, infatti, la possibilità di scegliere se
acquistare beni nazionali o beni esteri (soprattutto negli ultimi anni, essendo stati ridotti i vincoli,
dazi sui beni importati e quote restrittive sulle quantità massime di importazione, che gravavano
su questa scelta).
– l'apertura dei mercati finanziari ha permesso agli investitori finanziari di poter scegliere se
investire in attività finanziarie nazionali ed estere (soprattutto negli ultimi anni, essendo stati ridotti
i “controlli ai movimenti di capitale”, restrizioni alla detenzione di attività finanziarie estere da parte
dei residente ed alla detenzione di attività finanziarie nazionali da parte dei residenti all'estero).
Se l'apertura dei mercati dei beni e dei mercati finanziari hanno implicazioni nel breve e medio
periodo, l'apertura del mercato dei fattori, la possibilità delle imprese di localizzare le proprie attività
produttive all'estero per sfruttare possibili vantaggi di costo e quella dei lavoratori di decidere se
spostarsi in un paese con un salario medio più alto, ha effettivamente meno rilevanti, se non nel
lungo periodo.
ESPORTAZIONI ED IMPORTAZIONI
Il volume degli scambi coi paesi esteri non è un indice esauriente del grado di apertura dei mercati:
un altro importante effetto dell'apertura dei mercati si riflette nella riduzione dei prezzi dei “beni
commerciabili” (beni che competono con i beni esteri sia sul mercato interno sia sui mercati esteri”)
da parte delle imprese nazionali per reggere la concorrenza, mantenere le proprie quote di mercato e
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limitare le importazioni dall'estero.
Il rapporto percentuale tra esportazioni e PIL è un indice determinato da fattori che non si limitano
alle barriere agli scambi di mercato, ma presenta determinanti tra le quali la distanza da altri mercati
e le dimensioni del paese (un paese con dimensioni ridotte non potrà permettersi di specializzarsi
nella produzione di una gamma di beni vasta quanto quella di un paese più grande; di conseguenza
più piccolo è un paese, tanto maggiore sarà la quantità di scambi con l'estero).
LA SCELTA DEGLI ACQUIRENTI TRA BENI NAZIONALI ED ESTERI
Se quando il mercato dei beni è chiuso i consumatori si pongono il solo problema di quanto
consumare, quando il mercato è aperto i consumatori nazionali (così come tutti gli acquirenti,
consumatori, imprese, governo sia nazionali sia esteri) si trovano di fronte ad un ulteriore scelta: se
acquistare beni esteri o nazionali.
Questa decisione ha un effetto sulla produzione di beni nazionali ed esteri: una domanda maggiore di
beni nazionali implica un aumento della produzione nazionale, una domanda maggiore di beni esteri
implica un aumento dei beni esteri.
La variabile cruciale nella scelta tra beni nazionali ed esteri è rappresentata dal “tasso di cambio
reale” (  ) che rappresenta il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri.
Se prendiamo come “tasso di cambio nominale” ( E ) il prezzo della moneta nazionale in termini di
moneta estera (esempio, prezzo di un euro in termini di dollari): i tassi di cambio tra le moneta
subiscono continue variazioni chiamate “apprezzamenti nominali” (aumento del prezzo della moneta
nominale in termini di moneta estera; in altri termini, aumento del tasso di cambio) o “deprezzamenti
nominali” (diminuzione del prezzo della moneta nazionale in termini di moneta estera; in altri termini,
diminuzione del tasso di cambio).
“Rivalutazioni” e “svalutazioni” sono termini utilizzati per definire le rare modifiche di tassi di cambio
fissi (fissati per accordo tra due o più paesi).
Il tasso di cambio reale tra due paesi che producono un solo stesso bene sarebbe uguale al rapporto
tra il prezzo, tradotto da valuta nazionale a valuta estera, ( p⋅E ) del bene prodotto dal primo paese
 p⋅E 
ed il prezzo in valuta estera ( p*) del bene prodotto nel paese estero: =
p*
Per costruire un tasso di cambio reale che rifletta il prezzo di tutti i beni nazionali prodotti in termini di
tutti i beni prodotti da uno stato estero ricorriamo alla definizione di deflatore del PIL, che rappresenta
 P⋅E 
l'indice dei prezzi di tutti i beni prodotti in un'economia, per cui abbiamo che ≡
.
P*
Essendo l'indice reale dei prezzi costruito da due variabili (P e P*) definite in modo arbitrario, così
anche  non avrà un valore informativo ma arbitrario: il valore economico che possiamo però
 t−t - 1 
ricavare dal tasso di cambio reale è il “tasso di variazione del tasso di cambio reale”
che
t - 1
rappresenta la variazione del prezzo di tutti i beni nazionali in termini di tutti i beni prodotti in un
paese estero; un aumento del tasso di cambio reale prende il nome di “apprezzamento reale”, una
riduzione del tasso di cambio reale prende il nome di “deprezzamento reale”.
Le fluttuazioni del tasso di cambio nominale si manifestano anche nel tasso di cambio reale: quando i
 t− t - 1   E t −E t - 1 
≈
tassi di inflazione sono molto simili tra due paesi si verifica che
.
t - 1
Et-1
Per passare da tassi di cambio bilaterali a “tassi di cambio multilaterali” (che possano riflettere la
composizione del commercio che è aperta verso più economie) si utilizzano i flussi commerciali di un
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paese con i suoi partner commerciali: si possono costruire, dunque, un “tasso di cambio reale
all'importazione” ed un “tasso di cambio reale all'esportazione” dalla cui media si ricava il “tasso di
cambio reale multilaterale” (o, semplicemente, “tasso di cambio reale”).
I MERCATI FINANZIARI IN ECONOMIA APERTA
L'apertura dei mercati finanziari consente agli investitori di tenere attività finanziarie sia nazionali sia
estere, diversificando il proprio portafoglio, e di speculare sulle fluttuazioni dei tassi di interesse e dei
tassi di cambio.
Dato che l'acquisto o la vendita di attività finanziarie estere comporta l'acquisto o la vendita di “valuta
estera” (moneta estera), la dimensione delle transazioni sul mercato delle valute è un indicatore
dell'importanza delle transazioni finanziari internazionali: la maggior parte delle transazioni in valuta
non sono infatti associate al commercio internazionale, ma alla compravendita di attività finanziarie.
Il fatto che l'economia sia aperta implica che un paese possa registrare avanzi o disavanzi
commerciali (determinati dalla differenza tra la produzione venduta all'estero ed i beni acquistati
dall'estero X −IM ): se un paese è in disavanzo commerciale ha necessità di colmare questo
disavanzo tramite “prestiti” sotto forma di aumenti di quote di attività finanziarie nazionali da parte di
investitori esteri, incentivati da tassi di interesse più remunerativi.
LA BILANCIA DEI PAGAMENTI
Le transazioni di un paese con il resto del mondo sono riassunte in una serie di conti chiamati
“bilancia dei pagamenti” che si divide in “transazioni di conto corrente” e “conto capitale”.
Alle transazioni di conto corrente partecipano la bilancia commerciale (differenza tra esportazioni ed
importazioni), i “redditi netti da investimento” (la differenza tra i “redditi da investimento ricevuti” dalle
attività finanziarie estere che possiedono i residenti, ed i “redditi da investimento pagati” agli
investitori esteri sulle attività finanziarie nazionali che possiedono nel loro portafoglio) ed i
“trasferimenti netti ricevuti” (differenza tra aiuti donati ai paesi esteri ed aiuti ricevuti dai paesi esteri).
Il “saldo di conto corrente” è la somma dei pagamenti da e verso il resto del mondo la cui consistenza
positiva o negativa determina un “avanzo di conto corrente” o “disavanzo di conto corrente”.
Un paese che registri disavanzo di conto corrente deve necessariamente presentare un avanzo di
“conto capitale”, che rappresenta i flussi degli investimenti da e verso il resto del mondo: i “flussi netti
di capitale” (altrimenti detti “saldo del conto capitale”) deve pareggiare il “saldo di conto corrente”.
Per quanto concettualmente i due valori debbano coincidere nella realtà si verifica una discrepanza
statistica tra i due valori.
LA SCELTA TRA ATTIVITA' FINANZIARIE NAZIONALI ED ESTERE
Quando i mercati finanziari sono aperti, gli investitori si trovano di fronte alla decisione se investire in
attività finanziarie nazionali od estere: questa scelta non dipende solamente dai diversi tassi di
interesse ma anche dalle previsioni sugli andamenti dei tassi nominali di cambio.
Un investitore residente che decidesse di investire in titoli nazionali si assicurerebbe, dopo un anno,
per ogni unità investita un ritorno di 1i t  dove i t rappresenta il tasso di interesse nazionale
nominale nell'anno t.
Un investitore residente che decidesse di investire un'unità in titoli esteri, dovrebbe innanzitutto
comprare valuta estera (al tasso di cambio E t ) con un ritorno in valuta estera, dopo un anno, di
E t⋅1i t * dove i t * rappresenta il tasso di interesse sui titoli nel paese estero: riconvertito in
1
valuta nazionale, sarà stato ottenuto un ammontare di E t⋅1i t *⋅ e
dove E et + 1 rappresenta il
 E t + 1
tasso di cambio atteso. In pratica la scelta tra titoli nazionali ed esteri è determinata dalla
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disuguaglianza
1i t *⋅
1i t 
L'equazione 1i t  = 1i t *⋅
Et
Et
e
 E t + 1
.
è chiamata “parità scoperta dei tassi di interesse” (o “parità
e
 E t + 1
dei tassi di interesse”) e rappresenta la condizione di arbitraggio per cui è parimenti conveniente
investire in titoli nazionali od esteri.
In realtà questa equazione non tiene conto dei costi di tutte le singole separate transazioni
necessarie per effettuare un investimento e del rischio insito nel dover prevedere il tasso di cambio
nominale tra le valute da un anno all'altro. Tuttavia, l'equazione spiega abbastanza bene i movimenti
di capitale tra i principali mercati finanziari del mondo dove piccole variazioni dei tassi di interesse o
notizie di imminenti apprezzamenti o deprezzamenti possono spostare capitali nell'ordine dei miliardi
di dollari in pochi minuti. In paesi dove i mercati dei capitali sono di dimensioni inferiori e meno
avanzati, o dove esistono controlli di capitale, gli investitori sono più propensi a scegliere il tasso di
interesse nazionale di quanto non risulti dall'equazione di parità dei tassi di interesse.


e
E et + 1−E t
E t + 1−E t
=1i t * dove
è il tasso di
Et
Et
apprezzamento della valuta nazionale: per valori non elevati del tasso di apprezzamento e dei tassi
E et + 1−E t
di interesse, l'equazione diventa i t ≈ i t * −
per cui la scelta dipende sia dai tassi di
Et
interesse, nazionale ed estero, sia dal tasso di apprezzamento della moneta nazionale previsto.
Riscrivendo l'equazione come 1i t ⋅ 1
Dall'equazione, se i mercati finanziari non si aspettano un sensibile apprezzamento o deprezzamento
di una moneta rispetto a quella di un suo partner commerciale, ritengono anche che i due tassi di
interesse si muoveranno tendenzialmente insieme.
LA CURVA IS IN ECONOMIA APERTA
Ammettendo che l'economia sia aperta al commercio estero, al domanda nazionale di beni e la
domanda di beni nazionali non vengono più a coincidere: parte della domanda nazionale di beni è
rivolta a beni esteri; parte della domanda di beni nazionali proviene dall'estero.
In un'economia aperta la “domanda di beni nazionali” è data da Z ≡CI G X −IM / dove
C I G rappresenta la “domanda nazionali di beni” mentre  X −IM / è il “saldo commerciale”
(dove con IM/ si intendono le importazioni espresse in termini di beni nazionali, ed X è sono le
esportazioni). CI G−IM/ rappresenta la “domanda interna di beni nazionali”.
L'apertura del mercato all'economia influenza principalmente la distribuzione di consumo ed
investimento tra nazionale ed estero, ma ha molta meno importanza nel determinare una loro
I Y , i G .
variazione, per cui si può riscrivere che C I G=C Y −T
+ +
Il livello delle importazioni dipende principalmente da due grandezze: la dimensione dell'economia
(naturalmente se Y, che rappresenta indifferentemente produzione o reddito anche in economia
aperta, è maggiore saranno in generale maggiori i consumi, sia di beni nazionali che esteri) ed il
tasso di cambio reale (tanto maggiore sarà il prezzo dei beni nazionali rispetto a quelli esteri, tanto
maggiori saranno le importazioni dall'estero), per cui possiamo scrivere la funzione che descrive le
importazioni come IM=IMY ,   .
+
+
Le esportazioni dipenderanno invece dal reddito estero (maggiore sarà Y * , la produzione del resto
del mondo, più grande sarà l'economia dei paesi esteri e quindi i loro consumi) e sempre dal tasso di
cambio reale (questa volta negativamente, in quanto maggiore sarà il prezzo dei beni nazionali,
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meno i paesi esteri saranno interessati ad acquistare tali beni), per cui la funzione che descrive le
esportazioni può essere riscritta come X = X Y * ,   .
+
-
LA CURVA DI DOMANDA DI BENI NAZIONALI
Per poter disegnare la domanda di beni
nazionali, cominciamo a disegnare la curva
di domanda nazionale di beni, che
rappresentiamo, in via di semplificazione,
come una retta di inclinazione positiva ma
minore di 45°.
Sottraendo alla curva le importazioni, oltre a
scendere, la nostra domanda subirà una
diminuzione dell'inclinazione in quanto
ammettiamo che la quantità di importazioni
aumenti con il reddito (maggiore è il reddito,
maggiori saranno le importazioni).
Dall'inclinazione di questa nuova curva (che
rappresenta la domanda interna di beni
nazionali), possiamo dedurre il consumo
interno di beni esteri cresca più rapidamente
all'aumentare del reddito rispetto al consumo
interno di beni (che è comunque crescente).
Sommando alla curva le esportazioni,
questa subirà solo uno spostamento verso
l'alto (in quanto si suppone che le
importazioni rimangano costanti all'aumento
della produzione interna).
Sottraendo alla curva di domanda di beni
nazionali la curva di domanda interna di beni
nazionali, si può ottenere la curva
rappresentante le “esportazioni nette” (od in
altre parole la bilancia commerciale): il
diagramma di questa funzione ha inclinazione negativa ed intercetta con l'asse delle ascisse in
corrispondenza della produzione per cui la domanda nazionale di beni coincide con la domanda di
beni nazionali (quando, in altre parole, importazioni ed esportazioni coincidono). Per tutti i valori di Y
a sinistra di questo punto il paese registra avanzo commerciale, per tutti i valori di Y a destra di
questo punto il paese registra disavanzo commerciale.
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PRODUZIONE DI EQUILIBRIO E BILANCIA COMMERCIALE
Il mercato dei beni è in equilibrio quando la
produzione interna è uguale alla domanda di
beni nazionali, cioè quando Y =Z .
In questo nuovo modello la produzione di
equilibrio si potrà trovare dalla nuova
equazione di equilibrio per la quale la
produzione Y deve essere uguale a
C Y −T I Y ,i G−IM Y , / X Y * ,  
+
+
-
+
+
+
-
La produzione di equilibrio si ottiene per
l'intersezione tra produzione interna e domanda
di beni nazionali: non c'è alcuna ragione per cui
il livello di equilibrio della produzione debba per
forza pareggiare la bilancia commerciale.
EFFETTI SUL SALDO COMMERCIALE DI UN AUMENTO DELLA SPESA PUBBLICA
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Supponiamo che, per superare una
recessione, il governo decida di attuare un
aumento della spesa pubblica onde
incentivare la produzione.
Aumentando G, la domanda di beni
nazionali viene traslata verso l'alto ed
incontra la funzione di produzione in un
nuovo punto di equilibrio.
La funzione che rappresenta il saldo delle
esportazioni nette non subisce variazioni
poiché la spesa pubblica non compare
direttamente né nella funzione delle
esportazioni né in quella delle importazioni.
Cresciuta quindi la produzione di equilibrio,
ma invariata la funzione del saldo
commerciale, si verificherà un aumento del
disavanzo commerciale pari a  NX (dove
NX sta per Net-eXport).
In un economia aperta, un aumento della
domanda interna incide sulla produzione
meno che se l'economia fosse chiusa, ed ha inoltre un effetto negativo sulla bilancia commerciale.
EFFETTI SUL SALDO COMMERCIALE DI UN AUMENTO DELLA DOMANDA ESTERA
Ipotizziamo che a seguito di un aumento
della spesa pubblica estera (G*), si abbia un
incremento della produzione estera (Y*).
Questo avrebbe innanzitutto un effetto sulla
domanda di beni nazionali, che registra una
traslazione verso l'alto, mentre non vi è
alcuno spostamento della curva
rappresentante la domanda interna di beni.
Effetto di questi spostamenti è il fatto che
anche la funzione NX viene spostata verso
l'alto di una quantità  X .
L'aumento della produzione estera induce
un incremento della produzione nazionale
attraverso il moltiplicatore. A migliorare è
anche la bilancia commerciale: nel punto di
equilibrio il saldo commerciale è
rappresentato dalla differenza tra la nuova
curva di domanda di beni nazionali (che è
salita) e la curva di domanda nazionale (che
non si è spostata).
Se anche le importazioni aumentano, non in
misura tale da compensare l'incremento
delle esportazioni.
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LA POLITICA FISCALE ALLA LUCE DELL'APERTURA DEI MERCATI
Lo spostamento della curva di domanda nazionale di un paese va ad incidere nella produzione di tutti
gli altri paesi, tanto maggiori sono i loro legami commerciali: maggiori saranno le interazioni,
maggiormente i paesi avranno andamenti economici simili.
Per uscire da periodi di recessione, i governi prediligono aumenti della domanda estera (che
provocano un miglioramento della bilancia commerciale) piuttosto che aumenti della domanda
interna: il motivo è semplicemente per evitare di dover pareggiare la bilancia commerciale
indebitandosi con il resto del mondo e dovendo pagare interessi maggiori sui “prestiti” ricevuti.
Per risolvere particolari situazioni economiche la migliore soluzione è il coordinamento delle politiche
macroeconomiche dei vari paesi per uscire da una recessione senza che questo vada a creare
disavanzi commerciale tra di loro (il disavanzo commerciale nei confronti del resto del mondo
aumenterà in ogni caso): un simultaneo incremento della domanda interna di ogni singolo paese
provocherebbe un contemporaneo di importazioni ed esportazioni.
Non sempre però i paesi sono disposti ad intervenire in modo coordinato con gli altri: primo motivo
fra tutti è che ogni paese ha un forte incentivo a promettere di aderire al coordinamento per poi
rinnegare la promessa (se gli altri paesi aumentano ad esempio la spesa pubblica, mantenere la
propria spesa pubblica costante provocherebbe un miglioramento della bilancia commerciale).
DEPREZZAMENTO, BILANCIA COMMERCIALE E PRODUZIONE
Supponiamo che un governo intraprenda misure di politica economica che portino ad un
deprezzamento della propria valuta su quelle estere: poiché supponiamo che nel breve periodo i
P
prezzi rimangano costanti, da ≡ ⋅E ricaviamo che ad un aumento del cambio nominale,
P*
corrisponde un pari aumento del cambio reale.
Le esportazioni nette sono descritte dalla funzione
NX = X Y * , −IM Y , / , per cui un
+
+ +
-
cambiamento del tasso di cambio reale va ad incidere su X (che aumenta, in quanto i beni nazionali
sono meno costosi di quelli dei paesi esteri, che trovano conveniente acquistarli), su IM (che
diminuisce, in quanto i beni esteri diventano più costosi e questo provoca un aumento della domanda
interna) e sul prezzo relativo dei beni esteri in termini di beni nazionali per cui (diminuendo  ) la
stessa mole di importazioni IMY ,  / diventa più costosa.
+
+
Affinché quindi si ottenga un miglioramento della bilancia commerciale, le esportazioni devono
aumentare e le importazioni diminuire in modo tale da compensare l'aumento dei prezzi dei beni
importati. La condizione in base alla quale un deprezzamento aumenta le esportazioni nette è detta
“condizione di Marshall-Learner”.
EFFETTI DEL DEPREZZAMENTO E COMBINAZIONE DI POLITICHE FISCALI E DI CAMBIO
Gli effetti del deprezzamento, oltre ad influire direttamente sulla bilancia commerciale, fa a sua volta
variare la produzione nazionale, influenzando ulteriormente le esportazioni nette. L'effetto di un
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deprezzamento è molto simile a quello di un aumento della produzione estera: un deprezzamento
comporta, ad ogni livello di reddito, un
aumento delle esportazioni nette (assumendo
che valga la condizione di Marshall-Learner).
La bilancia commerciale migliora: l'aumento
delle importazioni indotto da un incremento
della produzione interna è inferiore al
miglioramento della bilancia commerciale
indotto direttamente dal deprezzamento.
Il deprezzamento agisce rendendo i beni
esteri più costosi: a parità di reddito, le
persone, che spendono di più per acquistare
beni esteri, vedono sensibilmente ridotto il
loro tenore di vita.
Se il governo volesse mantenere la
produzione iniziale, dovrebbe far nuovamente
abbassare la domanda di beni nazionali
mantenendo invariata la funzione delle
esportazioni nette, ad esempio abbassando la
spesa pubblica: la combinazione di
deprezzamento e stretta fiscale riesce
dunque a migliorare la bilancia commerciale
evitando un'eccessiva espansione della
produzione.
LA DINAMICA DEGLI EFFETTI DEL DEPREZZAMENTO: L'EFFETTO J
Un deprezzamento  01 genera un aumento delle esportazioni ed una riduzione delle
importazioni: questo effetto non è però immediato. Se nei primi mesi le quantità di importazione ed
esportazione non subiranno sensibili cambiamenti, l'effetto del deprezzamento si rifletterà
immancabilmente sui prezzi.
La bilancia commerciale è intaccata dal fatto che, in un primo momento, il prezzo delle importazioni
aumenta mentre quello delle esportazioni diminuisce per cui X −IM/ 0 X −IM/1 .
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Col passare del tempo, gli effetti di una variazione
dei prezzi relativi, sia delle esportazioni che delle
importazioni si rafforzano: le esportazioni
aumentano mentre le importazioni diminuiscono.
Se, alla fine, la condizione di Marshall-Learner è
soddisfatta, le esportazioni nette crescono più di
quelle iniziali e si ha un miglioramento della
bilancia commerciale.
Questo processo di aggiustamento prende il
nome di “curva J”: tra il momento in cui viene
attuato il cambiamento del tasso di cambio
nominale (e conseguentemente del tasso di
cambio reale) ed il momento in cui la bilancia
commerciale migliora definitivamente rispetto alla
situazione iniziale può durare dai sei mesi
all'anno.
Questo ritardo ha conseguenze anche sulla produzione, in quanto il deprezzamento ha un iniziale
effetto recessivo sulla produzione. Se il governo fa affidamento sul deprezzamento per migliorare la
bilancia commerciale, sia per espandere la produzione nazionale, deve tener presente che
inizialmente gli effetti andranno nella direzione opposta.
RISPARMIO, INVESTIMENTO E DISAVANZO COMMERCIALE
Dalla condizione di equilibrio Y =CI G X −IM/ possiamo riscrivere (sostituendo l'equazione
del risparmio privato S=Y −C−T e la definizione di esportazioni nette NX = X −IM / )
l'equazione come NX =S T −G− I da cui deduciamo che, in equilibrio, la bilancia commerciale
deve essere uguale al risparmio (privato e pubblico) meno l'investimento: in altre parole un avanzo
commerciale corrisponde ad un eccesso di risparmio sull'investimento).
Un avanzo commerciale comporta un prestito netto al resto del mondo, un disavanzo comporta un
debito netto nei confronti del resto del mondo.
Per quanto non sia esplicito dall'equazione NX =S T −G− I , un deprezzamento incide sia sul
risparmio che sull'investimento, attraverso la domanda di beni nazionali ed attraverso un aumento
della produzione: una produzione più elevata fa aumentare il risparmio rispetto all'investimento (od
equivalentemente migliora il saldo commerciale).
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