Claudio Malagoli - Aspetti socio-economici della coesistenza tra coltivazioni biologiche, convenzionali e transgeniche Socio-Economic Aspects of the Coexistence of Biological, Conventional and Transgenic Agricultural Cultivation Economista Agrario, Università degli studi di Bologna. Agrarian economist, University of Bologna ABSTRACT “Ogni imprenditore deve essere libero di coltivare per il mercato ciò che ritiene più conveniente e/o più opportuno!” E’ questa, con ogni probabilità, la considerazione sulla base della quale l’Unione Europea, e conseguentemente il nostro Paese, prevede l’emanazione di specifiche norme per la coesistenza tra coltivazioni biologiche, convenzionali e transgeniche. Trattasi, ovviamente ed in termini generali, di una considerazione accettabile, con una semplice differenza nel caso degli OGM, in quanto se “è vero che non si può impedire a chi vuol coltivare transgenico di farlo, è altrettanto vero che non si può obbligare a coltivarli coloro che non li vogliono coltivare”. Tale considerazione è dettata dal fatto che questi “nuovi organismi viventi” hanno transgeni di tipo costitutivo, che si esprimo in ogni parte della pianta (polline, foglie, radici, ecc.) e, pertanto, originano “inquinamento genetico” (il polline di queste piante si diffonde autonomamente nell’ambiente e può fecondare piante convenzionali, che, nel caso in cui il prodotto per il mercato sia costituito dal seme, originano una produzione che in parte deve essere considerata transgenica). In termini generali l’inquinamento genetico può verificarsi e rimanere circoscritto alle piante coltivate (per esempio tra mais transgenico e mais coltivato), ma può diffondersi anche tra piante coltivate e altre piante parentali selvatiche infestanti (per esempio tra colza transgenica e senape selvatica). Nel primo caso, con i dovuti e costosi accorgimenti, l’inquinamento genetico, con ogni probabilità, potrebbe anche essere “controllato” (adeguate distanze tra campi OGM e campi convenzionali, specifiche misure agronomiche, barriere fisiche, ecc.), mentre nel secondo caso l’inquinamento genetico sarebbe di tipo pervasivo, in quanto la “pianta infestante transgenica” si diffonderebbe autonomamente nell’ambiente (col vento, con gli animali, con l’acqua, ecc.), anche a distanza di chilometri, ed il suo polline in annate successive andrebbe a fecondare “piante parentali coltivate”, che darebbero così origine ad una produzione che, in parte, sarebbe transgenica. La problematica introdotta precedentemente non è di poco conto, poichè nel caso di coesistenza, e soprattutto nel caso in cui l’inquinamento genetico provocasse dei danni di tipo economico, verrebbe meno quella certezza “causa/effetto” in grado di risolvere contenziosi, tra “inquinatori e inquinati”. In particolare, mentre nel caso di piante coltivate che non hanno parentali selvatiche sarebbe semplice individuare la fonte dell’inquinamento (con ogni probabilità il campo coltivato confinante con piante transgeniche), la stessa cosa non si può dire nel caso di piante coltivate che possono essere fecondate dal polline di parentali selvatiche. Chi ha causato l’inquinamento? Il confinante che coltiva OGM, oppure il polline delle parentali selvatiche? Le sentenze dei Giudici potranno avvalersi di elementi di certezza, oppure no? E’ ovvio che nel secondo caso gli elementi di incertezza non porteranno ad individuare un “colpevole certo”, per cui nel dubbio..................