Intervento di Mons. Gabriele Filippini

Mons. Luigi Morstabilini.
Esempio di fede
Figlie di S. Angela, 16 febbraio 2013.
Obiettivo di questo intervento consiste nell’indicare, soprattutto a chi non
ha conosciuto bene mons. Luigi Mosrtabilini, alcuni spunti esemplari della
sua vita e della sua azione,in questo Anno della fede a 50 anni dal
Vaticano II. La testimonianza data dal Vescovo che resse ora la diocesi
dal 1964 al 1983 è attuale ancora oggi.
Il nostro percorso partirà da una breve biografia, darà poi una
valutazione pastorale globale.Seguiranno infine alcune riflessioni sul
Sinodo e sulla Visita pastorale, infine alcune note sulle sue Lettere.
Biografia
Luigi Morstabilini nacque il 15 settembre 1907 a Ripa di Gromo, una
piccola frazione della bergamasca Val Seriana, da una famiglia povera ma
dignitosa. Risiedeva in un cascinale lontano del centro abitato e dalla
parrocchiale e fin da bambino si abituò a sostenere notevoli sacrifici per
essere fedele ai doveri religiosi. Entrato nel Seminario di Bergamo, vi
compì gli studi superiori e teologici e fu ordinato sacerdote a Bergamo il
30 maggio del 1931.
Per le sue doti fu destinato all’insegnamento in Seminario. Pur essendo un
giovane professore di morale, fu fra i primi preti in Italia a interessarsi di
sociologia e a frequentare corsi sulla Dottrina sociale della Chiesa.
Oltre all’insegnamento non ha mai trascurato l’apostolato diretto,
svolgendo il ministero nelle varie parrocchie bergamasche che lo
invitavano per svariate circostanze.
Proprio per la stima generale di cui godeva nel 1962 venne nominato
Vescovo di Veroli-Frosinone.Consacrato Vescovo il 9 settembre del 1962,
ressa la diocesi laziale solo per due anni. Infatti nell’ottobre del 1964
Paolo VI lo trasferì a Brescia. Nella città lombarda giunse l’8 dicembre del
1964.
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A Brescia rimase fino alla primavera del 1983. Poi si ritirò a
Scanzorosciate, presso Seriate, fino alla morte che lo colse il 26 luglio del
1989.
È sepolto nella Cattedrale di Brescia, proprio all’ombra del monumento a
Paolo VI che lo volle Vescovo della sua città natale.
Valutazione pastorale
La tempra morale di mons. Morstabilini si è rivelata in modo singolare con
la sua morte. Dopo aver lasciato la guida della diocesi si ritirò in un
modesto appartamento messo a disposizione dalle Suore Orsoline di
Gandino a Scanzorosciate, vicino a Bergamo.
Era il 26 luglio della caldissima e deserta estate del 1989 quando il
vescovo emerito di Brescia chiudeva gli occhi su questo mondo. Aveva 82
anni.
La sua salma prima fu composta nella cappella delle Orsoline, poi portata
a Brescia in episcopio. In Cattedrale furono celebrati i funerali, seguiti
dalla sepoltura, all’ombra del monumento a Paolo VI.
Sospendendo la distrazione tipica dell’estate, in quei giorni la città e la
diocesi sembravano fermarsi, quasi concentrate e assorte nel ripensare lo
spessore e il dono di grazia di un episcopato durato quasi vent’anni, in
gran parte sotto il pontificato di Paolo VI. E nel piangere con gratitudine
un pastore che ha guidato la comunità cristiana con amore e abnegazione,
accettando sofferenze e umiliazioni, in una stagione del Novecento fatta di
confusi sentieri, rotte indecise e passioni contrastanti.
Sulla tomba di mons. Giacinto Tredici si fa riferimento ai triginta vexatos
annos del suo episcopato dalla fine degli anni Trenta ai primi anni
Sessanta. Ma anche gli anni di Morstabilini non furono facili e meno duri:
erano quelli delle tensioni ecclesiali createsi in seguito al rinnovamento
post conciliare, della contestazione globale, della disobbedienza ritenuta
dialogo, degli abbandoni e delle defezioni da tante trincee, non solo dal
sacerdozio. Nella società e nella politica vi era quel clima che sfocerà negli
anni di piombo. E Brescia in quel clima subirà una profonda e lacerante
ferita: la strage di Piazza Loggia.
Senza ambizioni leaderistiche e protagonismi personali proprio “in quegli
anni” il vescovo Morstabilini è stato un riferimento per tutti, anche per
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quei “lontani” ai quali volle indirizzare una sua lettera pastorale. È stato un
padre, un maestro, un fratello.
La sua azione pastorale, determinata dall’avvenimento del Concilio
Ecumenico Vaticano II, è ben sintetizzata nella triade di espressioni della
sua epigrafe tombale riferite proprio all’animum del Concilio: libens
accepit, diligens confecit, strenue aluit. Volentieri accolse, diligentemente
applicò, attivamente incrementò.
I tre verbi, apparentemente notarili, in realtà significano giorni e notti di
impegno, di sofferenza, fatica. Sono sintesi di una vita.
Se ci si chiede quale sia stato l’elemento che ha permesso a mons.
Morstabilini di realizzare tanto in tante difficoltà, si può rispondere senza
temere sofisticazioni della verità, che tutto è dovuto alla sua capacità di
“mettersi in ascolto”.
Ha amato la sua Chiesa ascoltando; ha operato solo dopo aver ascoltato; ha
insegnato solo quello che aveva colto come necessario e essenziale dopo
l’ascolto.
Quello di mons. Morstabilini è stato un ascolto esemplare anche per la sua
dimensione ascetica e virtuosa. Non si è limitato all’ascolto dei consiglieri
del principe ma ha ascoltato la gente, i fedeli, le periferia, la “base” si
usava dire allora. Ascoltava pure coloro che lo offendevano, accusandolo
taluni di essere troppo conservatore, altri di debolezza verso scriteriati
progressismi.
Ascoltava e poi sceglieva alla luce di quella sapientia crucis che, sola, fa
operare le scelte giuste. Una logica che volle anche nel motto del suo
stemma episcopale: in morte vita. Un motto che ha onorato, sempre. Fino
alla fine.
Il suo secondo successore, mons. Giulio Sanguineti, ha parlato di “quattro
grandi fedeltà” di mons. Morstabilini nel suo episcopato bresciano:
all’uomo, a Cristo, alla Chiesa e al Concilio.
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Mons. Morstabilini è stato un pastore sempre attento all’uomo del suo
tempo, alla società che andava via via cambiando, a volte anche
vertiginosamente. Fu uno dei primi ad interessarsi di studi sociali e di
problemi morali che si andavano imponendo con lo sviluppo della
modernità. Questa attenzione è stata ancor più affinata con il Concilio che
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vide nella lettura sapiente ed evangelica dei segni dei tempi una
condizione necessaria per la evangelizzazione.
Durante l’episcopato a Brescia visse una stagione particolarmente carica di
tensioni: erano gli anni della contestazione, della messa in discussione di
tante verità e di tante prassi consolidate, anni caldi anche per la politica
italiana e internazionale. Il clima sociale e culturale di quegli anni era
fortemente condizionato dalle ideologie che coinvolgevano pure la fede
della comunità ecclesiale. Da quel clima si svilupparono il terrorismo e lo
stragismo. Pure la città di Brescia con la bomba di piazza Loggia nel 1974
fu gravemente ferita. In quel difficile contesto mons. Morstabilini era
vicino al suo popolo, condannando Caino ma operando anche per un futuro
di pace e riconciliazione. Il Vescovo Morstabilini, senza mai cedere alle
mode o al facile populismo, scelse la via difficile del rimanere sul campo
per capire quanto stava accadendo e, conseguentemente guidare,
illuminare, tenere il gregge fedele a Cristo.
Difficilmente i bresciani dimenticheranno la messa da lui celebrata in
piazza Loggia per le vittime: fra i fischi e gli slogan la sua fu una voce di
pacificante, ragionevole, umana.
La vicinanza all’uomo e alla società è testimoniata da alcune lettere
pastorali che avevano il sapore della profezia: alle donne, ai lontani, ai
sacerdoti che lasciarono il ministero…
Accusato da taluni di essere troppo aperto coi progressisti e da altri di
essere conservatore, in realtà ha amato tutto il gregge a lui affidato. Ha
soprattutto ascoltato, pazientemente e lungamente, cercando di capire le
ragioni di tutti. E poi ha scelto sempre la strada che porta con più certezza
a Cristo, nella convinzione che è Lui l’unica risposta ai problemi
dell’uomo.
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In mons. Morstabilini, infatti, la fedeltà all’uomo non ha mai intaccato la
fedeltà a Cristo. La sua fede cristiana era granitica, sobria, impastata di
convinzioni profonde e scelte coerenti, lontana dai facili sentimentalismi.
La sua fede rispecchiava quella della sua umile famiglia e della sua gente
dell’Alta Val Seriana. Una fede avvezza ai sacrifici e all’essenzialità,
capace di sostenere e illuminare tutta la vita, con le sue gioie e i suoi
dolori. Ma proprio perché solo la fede in Dio rivelato da Cristo dà senso al
vivere dell’uomo, il messaggio cristiano per mons. Morstabilini era da
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annunciare e far conoscere, soprattutto perché si intravedevano già gli
amari frutti della scristianizzazione anche nelle nostre comunità di antica e
forte tradizione cattolica. Il Vescovo Morstabilini aveva profonda
coscienza della sua missione legata all’evangelizzazione. Per questo, dopo
una lunga e faticosa Visita pastorale nelle oltre 470 parrocchie bresciane,
volle indire il Sinodo diocesano proprio col titolo “Per una Chiesa
comunità che segue e annuncia Cristo”.
Egli stesso era un esempio credibile di vita donata al vangelo e totalmente
dedita alla sequela di Cristo, portando dietro a Lui la propria croce, ogni
giorno.
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E a questa Chiesa, comunità che segue e annuncia Cristo, è pure rimasto
mirabilmente fedele. Una Chiesa concreta che aveva il volto delle diocesi,
delle parrocchie, del clero, dei laici e dei gruppi ecclesiali che andavano
crescendo e che ha sempre promosso con simpatia. Ma la dimensione
della Chiesa locale non ha mai sminuito in lui la coscienza che la Chiesa di
Cristo è sparsa su tutta la terra e che tutte le Chiese del mondo sono
sorelle. Membro per anni della Commissione Cei per la Cooperazione
missionaria fra le Chiese, aiutò molto la diocesi di Brescia a sviluppare il
suo spirito missionario; favorì la collaborazioni con le diocesi del Terzo
Mondo incentivando l’invio dei sacerdoti Fidei Donum; compì memorabili
viaggi missionari nei vari continenti quando raggiungere alcune missioni
in Africa o America Latina significava ancora giorni e giorni di disagi e
fatica.
E si fece anche pellegrino umile ma determinato il Uruguay a perorare la
causa, presso non facili autorità politiche e militari, della scarcerazione di
don Pier Luigi Murgioni, un prete bresciano missionario ingiustamente
detenuto e torturato per l’accusa di aver protetto i “tupamaros”…
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Mons. Morstabilini è poi ancora oggi esemplare per la sua fedeltà al
Concilio. Egli stesso fu padre conciliare e guidò la diocesi di Brescia dal
1964 al 1983 , vale a dire durante l’intero pontificato di Paolo VI e i primi
anni di quello di Giovanni Paolo II la cui visita a Concesio e Brescia il 26
settembre del 1982, proprio in ricordo di papa Montini, sembrò coronare al
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meglio l’episcopato di quel Vescovo a cui costò fatica e sofferenza
l’attuazione del Concilio in diocesi. Ma lo volle applicare e rimase fermo,
pur con dolcezza, nei confronti di tutte le spinte estremiste che facevano
letture parziali o unilaterali, se non deviate, dei documenti conciliari con
gravi pericoli di derive in campo dottrinale, morale e pastorale.
Le sue posizioni improntate a fermezza coniugata a mitezza e bontà sono
state e sono ancora riferimento importante per la Chiesa bresciana,
nell’evitare una lettura ideologica del Concilio per una più appropriata
lettura di fede, in perfetta sintonia col magistero di Paolo VI e Giovanni
Paolo II, ed ora di Benedetto XVI.
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Morstabilini va certamente annoverato fra i grandi Vescovi italiani della
stagione conciliare. A lui ben si addicono le parole usate dal documento
Christus Dominus dedicato dal Concilio stesso ai Vescovi: il ministero del
Vescovo esiste per perpetuare l’opera di Cristo, eterno pastore.
Visita pastorale e Sinodo.
La Visita pastorale di mons. Luigi Morstabilini, indetta il 30 goiugno del
1968, impegnò il Vescovo per un decennio.
Fu una fatica immane anche per lo “stile” nuovo che il Concilio
richiedeva: non più, scriveva Morstabilini, visita di ispezione e controllo,
ma un “incontro” costruttivo del pastore con il suo popolo, un incontro che
non escludeva la revisione e la verifica partendo anche da carenze e
mancanze, ma sempre teso a prospettare per il futuro una Chiesa credibile,
rinnovata, che “segue e annuncia Cristo” all’uomo contemporaneo.
Le parrocchie furono coinvolte tutte, visitate una per una. Ma furono
valorizzati anche momenti “zonali”.Fu infatti con mons. Luigi Morstabilini
che la suddivisione in Vicarie fu rivista in 32 Zone pastorali.
Per la prima volta furono coinvolti anche i neonati “organismi” di
comunione a cominciare dai Consigli pastorali parrocchiali, i gruppi,i
movimenti e le associazioni e le varie istituzioni.
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Mons. Morstabilini passava la seconda parte della settimana nelle
parrocchie visitate. Per il clero non lesinava il tempo di incontri.
Ascoltava con attenzione tutti e annotava su piccoli quaderni quanto
andava via via ascoltando.
Non era una stagione facile: trovava resistenze da parte di alcuni sacerdoti
a coinvolgere i laici. Ma trovava anche pericolose deviazioni.
In un grosso centro fu contestato aspramente da un gruppo ecclesiale
spontaneo di giovani che rimproveravano al Vescovo di essere espressione
della Chiesa dei ricchi mentre la Chiesa di Cristo era quella dei poveri. E si
riferivano alla croce pettorale e all’anello episcopale. A quei giovani
rispose che non era certo una croce di latta o un anello, di nessun valore,
simile a quello di tutti i Vescovi del Concilio che determinava
l’appartenenza o meno alla Chiesa dei poveri.
In una fabbrica camuna apparve uno striscione “Venga pure il Vescovo a
visitarci, lo bruceremo con la fiamma ossidrica”. Erano anni così. D’altro
canto sui muri dell’Università Cattolica di Milano, dopo l’Humanae Vitae
apparve la scritta “Paolo VI iena bianca”.
Il Vento della contestazione si faceva sentire anche nella Chiesa. Il
Vescovo ascoltava con mitezza e pazienza anche i contestatori. A volte il
suo volto sbiancava o arrossiva rivelando un uomo di sentimento. Ma in
lui prevalse sempre la calma,
il desiderio di comprendere e capire, per scegliere al meglio e nella più
assoluta fedeltà allo Spirito.
E il frutto di questo ascolto, lo disse lui stesso, sono stati il Sinodo
diocesano e le Lettere “Il cammino post-conciliare di una Chiesa locale”.
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Il Sinodo indetto da mons. Luigi Morstabilini il 4 agosto del 1978, il
XXVIII, seguiva quello di mons. Giacinto Tredici tenuto nel 1952.
Per un anno si lavorò attorno al tema centrale: Per una Chiesa comunità
che segue e annuncia Cristo.
Il comitato creato ad hoc lavorò assiduamente e tutte le parrocchie furono
coinvolte nella preparazione.
L’assemblea Sinodale si svolse al Centro pastorale Paolo VI nei giorni 78-9 dicembre 1979. Fu quasi un piccolo Concilio bresciano: erano presenti
tutte le componenti ecclesiali.
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I lavori furono raccolti nel Libro del Sinodo che fu solennemente
consegnato alle comunità parrocchiali nella solennità di Cristo Re del
1981.
Ancora oggi il Libro del XVIII Sinodo diocesano di Brescia rimane un
riferimento. Tranne pochi numeri rivisti i successori Foresti e Sanguineti
hanno tenuto fede a questo documento che esprime “il cammino
postconciliare di una Chiesa locale”.
Il Libro del Sinodo, nella parte contenutistica, fa una rilettura della
ecclesiologia del Vaticano II applicata alla realtà della Chiesa bresciana e
della sua storia. Nella parte pastorale-organizzativa offre tutte le
indicazioni per i vari settori della pastorale, gli Uffici di Curia, gli
organismi di comunione, le istituzioni cattoliche.
Le Lettere
Tutte sotto il titolo “Il cammino post-conciliare di una Chiesa locale” le
lettere di mons. Luigi Morstabilini sono cinque. Egli stesso volle come
sottotitolo “riflessioni suggerite dalla Visita Pastorale alla Chiesa
bresciana”.
Questi scritto sono, dunque, il frutto del paziente ascolto del Pastore, del
suio discernimento, di quella “lettura dei segni dei tempi” che il Concilio
aveva riscoperto.
La prima, scritta alla diocesi in occasione della Pasqua del 1975 è dedicata
al rapporto fra evangelizzazione, sacramenti e comunità.
In questo scritto mons. Morstabilini fotografa mirabilmente la Chiesa
bresciana con le sue tensioni i suoi tradizionalismi e le4 sue meravigliose
potenzialità. Ma indica chiaramente che non bisogna accontentarsi di una
fede di tradizione, ma bisogna giungere ad una fede non solo di
convinzione ma ad una fede che rennde apostoli e missionari.
Mons. Mostabilini ne indica le strade in assoluta fedeltà ai Documenti
Conciliari che cita spesso. Invita a correggere errori di valutazione o i
prassi. Indica anche strade da percorrere in futuro. Fra queste c’è la
considerazioni della necessità di affidare più parrocchie a un solo parroco.
La seconda lettera, datata 15 aprile 1976, giovedì santo. In una realtà
industriale come era la Brescia negli anni Settanta, con tante fabbriche che
davano lavoro facilmente ad operai di ogni età e in un territorio laborioso
per la presenza di tante realtà artigiane, commerciali e agricole il Vescovo
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non poteva rimanere indifferente al fatto che il mondo del lavoro in
rapporto all’evangelizzazione era quello più ignorato e trascurato.
Il Vescovo, movendo dalla Gaudium et Spes e dalla Dottrina sociale della
Chiesa, dava indicazioni anche molto pratiche dal punto di vista pastorale.
A distanza di anni rimangono valide:ai problemi che allora individuava va
solo aggiunto quello di una massiccia presenza di lavoratori stranieri, molti
dei quali appartenenti ad altre religioni.
Il 7 aprile del 1977, giovedì santo, mons. Morstabilini rivolgeva ai
bresciani la terza lettera sul tema: “ La promozione della donna”.
Erano gli anni del femminismo e delle rivendicazioni. Erano anche gli anni
nei quali le donne sentivano la Chiesa distante. Mons. Morstabilini soffrì
molto quando un gruppo di donne bruciò l’immagine di Paolo VI proprio
in Piazzetta del Vescovado.
La lettera legge in chiave positiva la questione femminile e la relativa
promozione della donna. Ma è altrettanto lucido nel dire che la comunità
cristiana ha molto da dare alle donne e le donne hanno molto da offrire alla
Comunità cristiana. Quasi anticipando la lettera di Giovanni Paolo II, la
Mulieris Dignitatem, mons. Mostabili9ni aveva intuito la grande carica che
può venire dal mondo femminile alla causa della evangelizzazione.
Il 27 marzo del 1978, sempre giovedì santo, mons. Mostabilini indirizza la
lettera i sacerdoti e parla di “Conversazione con i miei sacerdoti”. Erano
anni non facili. In politica si parlava di anni di piombo. Nella Chiesa si
acuiva il fenomeno degli abbandoni dei sacerdoti ( il Vescovo a indirizzerà
loro un toccante scritto intitolato “A coloro che hanno lasciato”). In forma
amabile mons. Mostabilini ricorda loro il dovere di essere “presbiteri”
(anziani) vale a dire guide del popolo di Dio. Credibili perché
obbedienti,poveri e casti, capaci contemporaneamente di essere uomini di
Dio e fratelli fra fratelli, capaci di rapportarsi coi laici promovendone lo
specifico.
Il giovedì santo 12 aprile del 1979, dichiarato anno sinodale, mons.
Morstabilini scrive ai lontani. A loro dedica lo scritto con queste parole: “a
qui molti fratelli che forse non leggeranno mai questo scritto, ma ai quali
va sincero e cordiale il mio affetto di pastore di questa santa chiesa
bresciana.”.
La lettera, dopo aver individuato precise categorie di “lontani”, si domanda
quali sono le cause della lontananza per poi entrare in merito al come
annunciare Cristo ai lontani, differenziando i compiti propri del sacerdote
e quelli della comunità cristiana.
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Dopo oltre trent’anni a Brescia il numero dei lontani si è allargato: ma le
indicazioni di mons. Luigi Morstabilini restano attuali.
Mons. Morstabilini nel 1979 chiudeva le sue lettere scrivendo che l’anno
Sinodale ci chiama ad una maggior attenzione a tutti questi problemi e a
vivere con maggior intensità la nostra vocazione sacerdotale, religiosa e
cristiana. “La nostra carità apostolica – concludeva mons. Morstabilini –
sia il miglio invito a chi sta fuori per entrare o per ritornare alla casa
paterna dove dei fratelli sono in attesa di accoglierli in festa”.
Concludendo
Se lo scopo dell’anno della fede è quello di rafforzare e irrobustire prima di tutto
la fede dei credenti, in questo è di grande aiuto la testimonianza dei nostri
pastori: il Vescovo Morstabilini, come già Paolo VI ( e ora anche Benedetto XVI
col suo gesto di rinuncia al Pontificato per meglio servire la Chiesa da anziano)
fanno capire quali sono le virtù irrinunciabili per una fede operosa per un
autentico amore alla Chiesa: la loro vita virtuosa è di grande attualità pure oggi.
Come diceva bene il Vescovo Tonino Bello “la fede ci fa credenti, la speranza ci
fa credibili, la carità ci fa creduti”.
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