Società e denaro: “homo oeconomicus” o “uomo relazionale”? a cura di Alice Chiusano (classe VA) Nella società contemporanea il denaro è posto come un idolo, un bene a cui ciascun individuo deve aspirare per potersi realizzare, ma allo stesso tempo la società non offre possibilità reali per tutti per raggiungere tale risorsa. Da alcune ricerche riguardanti la distribuzione della ricchezza emerge che nei paesi industrializzati il 10% della popolazione possiede il 90% della ricchezza economica. Nella società capitalistica in cui viviamo, gli individui sono chiamati a scegliere quale valore attribuire al denaro affinché l'uomo non risulti ridotto o schiavizzato da esso. Nello specifico, come afferma lo psichiatra Andreoli ne Il denaro in testa, la società del denaro non è in grado di cogliere la bellezza del mondo e riduce il soggetto ad un salvadanaio dimenticandosi dei bisogni che caratterizzano l'uomo. Il denaro può essere un bene che concorre a soddisfare maggiormente i bisogni dell'uomo, essi però non dipendono dal denaro. La tesi di Andreoli è legata al pensiero dello psicologo umanista R. Maslow il quale delineando i bisogni dell'uomo li gerarchizza in una piramide. Alla base vi sono i bisogni fisiologici (cibo, riposo...) che servono per la sopravvivenza, e per la soddisfazione di questi bisogni ė necessario l'utilizzo del denaro; i bisogni appena superiori sono quelli di sicurezza (casa, abiti, lavoro...) e anche questi bisogni necessitano di una ricchezza economica; successivamente vi sono i bisogni di appartenenza che, insieme ai bisogni di stima e riconoscimento, consentono al soggetto di raggiungere l'autorealizzazione. Di fatto bisogni di appartenenza, stima e riconoscimento non implicano l'utilizzo del denaro, ma sono strettamente legati alle relazioni sociali. Tutti questi bisogni fanno capire che la natura dell'uomo è relazionale. L'idea dell'uomo come “essere relazionale” si sviluppa con il sociologo P. Donati e si contrappone all'idea di homo oeconomicus che si struttura dalla disciplina economica. Per homo oeconomicus si intende un individuo che per raggiungere la massima ricchezza non si cura di chi gli sta intorno ed utilizza tutti i mezzi possibili per il raggiungimento del suo scopo. Questo tipo di agire, tipico dell’uomo contemporaneo, viene definito dal sociologo Weber come “agire razionale rispetto a uno scopo”. Un altro autore che tratta di questa tematica è il sociologo economista Pareto che si discosta parzialmente da Weber parlando di azioni logiche e azioni non logiche. Per azioni logiche si intendono tutte quelle azioni dove avviene il calcolo dei mezzi per il raggiungimento di uno scopo e sono di competenza dell’economia; le azioni non logiche sono invece tutte quelle azioni in cui avviene un errore della valutazione nel calcolo dei mezzi e sono di competenza della sociologia (sono infatti comunque azioni razionali). Vi è però un legame stretto tra economia e sociologia perché tutte le azioni economiche hanno dei risvolti sociali e viceversa. L’economia nella società contemporanea, così come viene vissuta, sta portando a delle problematiche sociali d antropologiche. La nostra è una “società dei consumi”, come afferma il sociologo Z. Bauman; il marketing cerca di colmare l’insoddisfazione tipica dell’indole umana, cerca inoltre di determinare come un soggetto dovrebbe essere, le sue aspirazioni, lo stile di vita e persino una gerarchia di valori. C’è bisogno quindi di educatori in grado di insegnare ad attribuire un significato adeguato al mondo economico e consumistico. Occorre la strutturazione di criticità nel vivere gli scambi economici per non dimenticare la questione antropologica, e quindi che l’economia è uno strumento e non un fine che determina l’uomo. Il denaro può essere usato non solo per un arricchimento personale ma anche per contribuire al soddisfacimento dei bisogni di altri individui. Difatti il denaro può assumere una funzione filantropica, ciò lo si può notare dalla solidarietà presente nella società. In particolare nella ricerca del CENSIS del 2013 dal titolo “I valori degli italiani 2013. Il ritorno del pendolo” emerge un’alta percentuale di uomini che sarebbero disposti a prestare aiuto a coloro che si trovano in un momento di difficoltà. Dalla ricerca emerge inoltre che occorre collaborazione tra i soggetti e promuovere una “economia dei gesti” (ovvero di gratuità) per uscire dalla crisi economica. Ciò emerge da numerose iniziative che gli italiani prendono a fronte di problematiche sociali ed ambientali, basti pensare a come gli italiani si sono attivati tempestivamente quando il 19 novembre la Sardegna ha avuto bisogno di aiuto a causa della catastrofica alluvione, inviando denaro e persone pronte ad aiutare gli alluvionati (specialmente gli uomini della protezione civile). Uno dei settori che richiede più aiuti filantropici è quello della povertà. Quest’ultima viene definita come una situazione temporanea o duratura di mancanza dei beni necessari, fino a compromettere la sopravvivenza. Essa può essere assoluta o relativa: per povertà assoluta si intende una situazione di mancanza di beni necessari per il soddisfacimento dei bisogni primari; per povertà relativa, invece, si intende una situazione di mancanza di quei beni appartenenti al paniere, ovvero l’insieme dei beni senza i quali un soggetto è sotto la media del benessere di una società. I dati ISTAT 2013 rivelano un tasso di povertà assoluta pari al 5,4%, mostrando un aumento considerevole rispetto agli anni passati. Allo stesso tempo, però, non è sufficiente avere aiuti legati unicamente ai bisogni fisiologici, perché in una ricerca svolta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Università Bicocca è emerso che la povertà è innanzitutto sociale in quanto riguarda la carenza di relazioni sociali. A parità di bisogni, infatti, un soggetto con relazioni sociali di qualità mostra avere più possibilità di migliorare le proprie condizioni rispetto a chi, invece, ne è carente. Di fatto sappiamo tutti che la felicità di un individuo è legata non solo al possesso di beni ma anche alla ricchezza di relazioni di qualità che vive. Della povertà, della ricchezza e della felicità di ogni individuo se ne deve occupare lo Stato (promuovendo interventi di welfare) ma, allo stesso tempo, ciascun individuo deve farsi carico di questi fattori, preoccupandosi di investire sulle relazioni e sui rapporti con chi incontra. Quando un soggetto vede un altro uomo in difficoltà è chiamato, attraverso il principio di sussidiarietà, a rispondere con responsabilità e attenzione, per consentire una prossimità e una vicinanza reale.