Progettazione strutturale in zona sismica: considerazioni

Atti del Seminario : “Aspetti Meccanici del Calcestruzzo e Comportamento Strutturale”
Senise (PZ), 17 gennaio 2015
Progettazione strutturale in zona sismica: considerazioni
generali e suggerimenti
Edifici in c.a. nuovi - Concezione dell’impianto strutturale
Ph. Dott. Ing. Giuseppe Di Palma, Titolare dello Studio Tecnico SG, Prignano Cilento (SA)
1.INTRODUZIONE
In occasione della pubblicazione del libro “Effetti differiti della deformazione nel
calcestruzzo” (Edizioni EAI), del Dott. Matteo Felitti, presentato il 17 gennaio 2015 nell’ambito del
seminario tecnico – scientifico : “Aspetti Meccanici del Calcestruzzo e Comportamento Strutturale”,
ho avuto il piacere di presentare delle brevi considerazioni, di carattere generale data
l’eterogeneità dei partecipanti al seminario, sulla concezione strutturale degli edifici in c.a., con
particolare attenzione al problema sismico, oggi di grande centralità nella progettazione strutturale.
La progettazione in zona sismica delle strutture in calcestruzzo armato ha subito notevoli sviluppi
negli ultimi decenni; gli studi effettuati in questo periodo su strutture in calcestruzzo armato
collassate a seguito di eventi sismici di entità più o meno prevedibile hanno contribuito a
evidenziare quali sono i principali fenomeni che portano al collasso, e a differenziare tra i vari tipi di
collasso possibili, in termini di elementi (travi, pilastri, pareti) oppure in termini di tipo di
sollecitazione (flessione, pressoflessione, taglio). Si analizzano brevemente alcuni aspetti di
carattere generale sull’impianto dell’edificio in c.a., allo scopo di indicare dei criteri di buona
progettazione innanzitutto architettonica.L’intervento in oggetto ha riguardato alcuni aspetti della
progettazione strutturale degli edifici in calcestruzzo armato di nuova realizzazione, aspetti di
concezione generale dell’edificio:
Regolarità in pianta: Simmetria in termini di rigidezze e di masse - Rigidezza membranale
dell’impalcato,rapporto L/B limite tra i lati della pianta, e casi di non applicabilità per eccessivo
rapporto tra rigidezze dei telai e rigidezza della soletta, carichi eccessivi, presenza di fori
nell’impalcato.Regolarità in elevazione: Richiami propedeutici sulle più comuni tipologie strutturali
e strutture deformabili torsionalmente - Presenza di pareti ad un solo piano: il caso del semiinterrato - Uniformità della rigidezza lungo l’altezza: il controllo delle rastremazioni - Presenza del
tompagno: il piano pilotis e la vetrata a tutta parete.
2.REGOLARITA’ IN PIANTA: SIMMETRIA IN TERMINI DI RIGIDEZZE
Assunto un edificio a pianta rettangolare con rapporto dei lati L/B<4, con una massa per
unità di superficie omogenea su tutta la pianta, per garantire un comportamento sismico
prevalentemente traslazionale è necessario tenere sotto controllo la distribuzione delle
rigidezze dei telai e delle pareti a tutti i livelli, disponendo i telai paralleli in modo abbastanza
simmetrico ed evitando l’inserimento di pareti da un solo lato della pianta; ciò permette di
mantenere il baricentro delle rigidezze abbastanza vicino al centro geometrico del rettangolo,
laddovesi localizza il baricentro delle masse. In tal modo, viene minimizzata (e al limite, per
piante perfettamente simmetriche, annullata) l’eccentricità tra la forza sismica in ingresso
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(applicata nel baricentro delle masse) e la forza di risposta dell’edificio, espressa dagli elementi
sismoresistenti (telai e pareti) e localizzata globalmente nel baricentro delle rigidezze.
Figura 1. Edificio non regolare in pianta per dissimmetria delle rigidezze
Un semplice esempio è qui presentato per evidenziare l’effetto, sulla posizione del
baricentro delle rigidezze, di pareti non disposte con simmetria. L’edificio è a pianta
rettangolare, con rapporto dei lati L/B<4, e strutture costituite da telai ad eccezione di un
elemento perimetrale, costituito da parete (caso tipico in presenza
presenza di edifici semi-interrati
semi
o
costruiti verso un fronte in roccia, il cui lato contro terra è risolto con una parete che funge
anche da sostegno
egno del terrapieno retrostante). La disposizione dei telai nelle due direzioni è
all’incirca simmetrica, con differenze non eccessive tra le dimensioni delle campate. La
presenza eccentrica della parete su uno dei lati corti, però, genera un notevole allontanamento
allo
del baricentro delle rigidezze dal centro geometrico del rettangolo che costituisce la pianta, con
conseguente notevole eccentricità tra la forza sismica in ingresso, diretta come y, posizionata in
prossimità del centro, e la corrispondente reazione
reazione degli elementi sismoresistenti, parallela
anche essa a y e dello stesso modulo, ma molto più vicina alla parete in c.a.; la coppia che ne
nasce genera un moto dell’edificio notevolmente torsionale quando il sisma è parallelo a y.
Figura 2. Eccentricità
ricità tra baricentri di massa e rigidezza: moto sismico notevolmente torsionale
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Una delle principali conseguenze di un moto sismico così nettamente torsionale è la
grande sollecitazione tagliante scaricata sui pilastri del lato opposto a quello costituito dalla
parete, che sono soggetti ai massimi spostamenti; tale aspetto giustifica la prescrizione
normativa riportata nel DM 14/01/2008, punto 7.2.2,, al fine di poter assumere la regolarità in
pianta dell’edificio.
3. REGOLARITA’ IN PIANTA: SIMMETRIA IN TERMINI DI MASSE
Assunto un edificio a pianta rettangolare con rapporto dei lati L/B<4, con telai o pareti
disposti in modo pressoché simmetrico in entrambe le direzioni della pianta, per garantire un
comportamento sismico prevalentemente traslazionale è necessario anche controllare la
uniformità della massa su tutta la pianta. Tale parametro
parametro è solo in parte governabile, perché se
è vero che i carichi permanenti possono essere
essere progettati in modo bilanciato con certe
accortezze, i carichi variabili (accidentali) dipendono dalla destinazione d’uso e quindi dalla
funzione architettonica dell’edificio,
ell’edificio, che non può essere messa in discussione da scelte
strutturali. E’ quindi necessario controllare gli effetti di una eventuale disomogeneità della
distribuzione delle masse in pianta, pur senza poterla eventualmente neutralizzare, per
verificarne
ne l’entità degli effetti in termini di componente torsionale del moto sismico.
Figura 3. Edificio non regolare in pianta per dissimmetria delle masse
mass
Un semplice esempio è qui presentato per evidenziare l’effetto di carichi non disposti
con omogeneità. L’edificio è a pianta rettangolare, con rapporto L/B<4, e presenta macromacro
elementi sismoresistenti verticali abbastanza simmetrici rispetto alla pianta, in particolare telai
nelle due direzioni. La massa sismica delle due zonegiustapposte ad ogni livello presenta
pr
però
una netta differenza: l’edificio è infatti adibito a civile abitazione, sui tre livelli dal lato sinistro, e a
biblioteca sugli stessi tre livelli dal lato destro. Questa diversa destinazione d’uso nell’ambito di
uno stesso impalcato provoca un netto sbilanciamento della posizione del baricentro delle
masse rispetto al centro geometrico del rettangolo della pianta, in quanto il carico accidentale
della biblioteca è notevolmente maggiore di quello della abitazione (6000 N/m2 contro 2000
N/m2), e viene sismicamente considerato in proporzione maggiore (Ψ
( 2=0.8 contro Ψ2=0.3).
Inoltre, il maggiore carico accidentale comporta una progettazione più severa per il solaio della
biblioteca, che avrà anche uno spessore maggiore e quindi, ancora, massa maggiore.
maggio Avviene
così, analogamente all’esempio precedente (che
(
riguardava la dissimmetria delle rigidezze) che
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la eccentricità tra baricentri delle masse e delle rigidezze, in direzione x (sisma parallelo a y),
non sia trascurabile, con conseguente aliquota non
non trascurabile di torsionalità del moto, per
sisma parallelo a y.
Figura 4. Edificio non regolare in pianta per dissimmetria delle masse
mass
Come nell’esempio precedente, conseguenza di tale torsionalità è l’aggravio in termini di
taglio su una parte dei pilastri, quelli soggetti ai massimi spostamenti; tale aspetto giustifica la
prescrizione normativa riportata nel DM 14/01/2008, punto 7.2.2, al fine di poter assumere la
regolarità in pianta dell’edificio.
4. REGOLARITA’ IN PIANTA: RIGIDEZZAMEMBRANALE DELL’IMPALCATO
L’ipotesi di infinita rigidezza dell’impalcato nel suo piano è usualmente assunta nel
calcolo degli edifici in c.a., ed è richiesta ancheai
anche fini della regolarità in pianta. E’ però da notare
che in svariati casi, l’impalcato di un edificio in c.a., la cui parte resistente è tipicamente
costituita da una soletta dello spessore minimo di 4 cm, non può essere assunto come
infinitamente
tamente rigido nel suo piano. Di seguito si discutono brevemente alcuni casi di non
applicabilità di tale ipotesi, da cui si deduce la necessità di effettuare sempre un calcolo
dedicato alla verifica di questa assunzione.Risulta
assunzione.Risulta ovviamente importante il rapporto
ra
di
allungamento L/B: si è partiti, nell’esempio, da un caso in cui il limite indicato dalla Norma
nazionale,, L/B=4, corrisponde a valori di deformazione membranale al limite dell’accettabilità
(secondo la CM 02/02/2009 al punto C7.2.6,
C7.2.6 differenza massima
ssima del 10% delle deformazioni
ottenibili in ipotesi di impalcato rigido).Tale
rigido).Tale edificio è denominato Edificio A. Nella successiva
Tabella A è riportato, accanto all’indice denominativo di ogni pilastro, lo spostamento in
direzione y conseguente ad una forza
forza sismica, anche essa diretta come y, applicata nel
baricentro della masse dell’impalcato (che data la perfetta simmetria, coincide con il baricentro
delle rigidezze). Le colonne U2 RIG e U2 DEF indicano rispettivamente gli spostamenti di ogni
nodo nell’ipotesi di impalcato infinitamente rigido oppure di impalcato modellato con la sua
effettiva deformabilità, funzione dello spessore della soletta e del modulo elastico del
calcestruzzo assunti.. Come si vede, nel caso di impalcato modellato come infinitamente
infinitamen rigido,
complice la centralità della forza applicata e la simmetria della struttura, ogni pilastro presenta
alla sua testa il medesimo spostamento; con tale valore vengono confrontati quelli, variabili, dei
singoli pilastri nello schema con impalcato deformabile.
de
Come si osserva, nell’esempio di
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partenza le differenze di spostamento
postamento tra i due modelli FEM sono vicine al limite del 10%
ammesso dalla Norma (e dal buon senso ingegneristico) per poter accettare l’ipotesi di
impalcato rigido.
Figura 5. Edificio A:: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano accettabile “al limite”
TabellaA. Edificio A: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano accettabile “al limite”
A partire dallo schema appena visto, un primo parametro da analizzare è il rapporto
r
tra
la rigidezza dei telai in una fissata direzione e la rigidezza
rigidezza della soletta nel suo piano. Di
seguito, si assume di variare la dimensione dei pilastri che da 45 cm x 45 cm divengono 35 cm
x 60 cm, mantenendo inalterate le altre dimensioni strutturali (travi, spessore soletta), i carichi, i
materiali e la forza sismica (assunta
assunta sempre uguale e parallela a y). Tale edificio, indicato come
Edificio B, è mostrato nella seguente Figura 6, seguita poi dalla Tabella B che riporta il
confronto tra gli spostamenti dello schema con l’impalcato assunto infinitamente rigido nel suo
piano, e lo schema in cui si èmodellata la deformabilità della soletta, tramite il suo spessore e il
modulo elastico del calcestruzzo. Come è possibile osservare, si può concludere che telai di
maggiore rigidezza, a parità
tà di altre condizioni, provocano
provoca maggiori differenze di deformazione
membranale della soletta tra i casi di impalcato rigido e impalcato deformabile, fino
f
a rendere
inaccettabile l’ipotesi di impalcato infinitamente rigido. Nel caso in esame, a fronte di una
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differenza massima accettabile del 10%, si giunge ad una differenza, per i telai maggiormente
esterni (quelli adiacenti ai lati corti) del 22.4%.
Figura 6.. Edificio B: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano non accettabile (22.4% > 10%)
TabellaB.. Edificio B: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano non accettabile
Appare così evidente che al fine di avere un impalcato considerabile rigido nel suo
piano, al crescere della rigidezza dei macro-elementi
macro elementi sismoresistenti verticali la rigidezza
membranale della
lla soletta deve crescere, cioè deve crescere il suo spessore, assunto costante il
materiale scelto (e quindi ill modulo di Young E dello stesso). Se, tipicamente, lo spessore è
limitato da criteri tecnologici, architettonici e finanche strutturali (peso), va accettata l’ipotesi di
impalcato deformabile, con la conseguenza che la analisi dinamica lineare da svolgere per
l’analisi della struttura non potrà essere
es
la classica analisi modale dove si assume che per ogni
impalcato ci siano tre soli gradi di libertà (due traslazioni orizzontali ed una rotazione attorno
all’asse verticale), ma dovrà svolgersi una analisi dinamica
di
“nodale”,, in cui ogni nodo è
associato ad una aliquota di massada eccitare, in funzione delle aree di influenza dei singoli
sing
pilastri e delle singole pareti. Ciò comporta il dover considerare un numero di modi di vibrare in
genere assai maggiore, indice
ice della maggiore “libertà” di ogni singolo pilastro, non più costretto
a muoversi solidalmente agli altri data la non infinita rigidezza dell’impalcato.
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Un secondo parametro da controllare è l’entità delle masse sismiche di impalcato; infatti,
a parità dii telai (quindi di rapporto tra rigidezza degli stessi e rigidezza estensionale della
soletta), maggiori masse sismiche provocano forze sismiche più grandi (a parità di
accelerazione all’impalcato), e quindi maggiori deformazioni, le cui differenze possono essere
superiori ai limiti accettabili per la regolarità in pianta; viceversa, al diminuire delle sole masse
sismiche (magari per diversa destinazione d’uso, con carichi variabili nettamente minori), la
stessa soletta può esibire deformazioni differenziali
differenziali minori, ed avere perciò un comportamento
che può essere approssimato come infinitamente rigido nel suo piano. Ad esempio, con
riferimento all’edificio precedente, che aveva come destinazione biblioteca (qk=6000 N/m2), se
si varia solamente la destinazione in civile abitazione (qk=2000 N/m2),, si ottiene l’edificio in
Figura 7, denominato Edificio C; se si ripete il calcolo delle deformazioni della soletta
modellando l’impalcato come deformabile, il confronto con il modello a impalcato rigido fornisce
for
i risultati riportati nella seguente Tabella C.
Figura 7.. Edificio C: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano non accettabile (12.4% > 10%)
TabellaC. Edificio C:: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano non accettabile
accettab
Si nota quindi che, nonostante il limite accettabile del 10% sia ancora stato soverchiato,
la differenza di deformazione tra lo schema a impalcato deformabile e quello a impalcato rigido,
rigido
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al diminuire della massa sismica, è nettamente diminuita, avvicinandosi molto al 10%, e in
particolare scende dal 22.4% al 12.4% per l’esempio in esame.
Un terzo aspetto, che non è affatto trascurabile, va attentamente analizzato per
verificare la applicabilità dell’ipotesi di impalcato infinitamente
infinitamente rigido nel suo piano: la presenza
di eventuali fori nel solaio. Questa situazione si presenta tipicamente in presenza di corti interne
o vani scala, ma anche se l’architettura dell’edificio prevede ambienti a doppia altezza, o
aperture a lucernario
nario su impalcati piani di copertura. La presenza del foro produce un
decremento della rigidezza membranale di insieme dell’impalcato, e per quantizzare tale
decremento, va effettuato un calcolo dedicato in cui si modella l’impalcato come deformabile. Il
seguente esempio si riferisce ad un edificio
edificio ad un piano, a corte interna, ancora adibito a
biblioteca, rappresentato in Figura 8.
Figura 8. Edificio a corte interna:: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano non accettabile (23.6% > 10%)
TabellaD. Edificio a corte interna:
rna: ipotesi di impalcato infinitamente rigido nel suo piano non accettabile
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Ripetendo il confronto tra le due ipotesi (impalcato deformabile e impalcato rigido nel
suo piano) si ottengono i risultati riportati nella Tabella D. Come si può osservare, la rigidezza
membranale della zona centrale è pesantemente decrementata rispetto al caso in cui il solaio
fosse privo di foro, e ciò provoca deformazioni molto maggiori nella zona centrale. Infatti, dalla
Tabella D si osserva che i nodi 58-59-60,
58
92-93-94, 76-77-78, 110-111-112,
112, appartenenti alle
due zone centrali di impalcato, esibiscono spostamenti molto maggiori rispetto agli spostamenti
sposta
della zona centrale; le differenze di spostamento tra il modello ad impalcato deformabile
deform
ed il
modello a impalcato rigido arrivano in queste zone al 23.6%, sicché non è affatto ammissibile,
nel caso in esame, assumere per l’impalcato nel suo insieme l’ipotesi di infinita rigidezza nel
piano.
5. REGOLARITA’ IN ALTEZZA:
ALTEZZA STRUTTURE TORSIONALMENTE
MENTE DEFORMABILI
Volendo effettuare alcune considerazioni sulla regolarità in altezza, nell’ambito del
seminario si è sono preliminarmente richiamate le tipologie strutturali più ricorrenti nelle
strutture in c.a.. Qui si riportano soltanto alcune considerazioni sulla tipologia definita “edifici
torsionalmente deformabili”, giacché ad un primo sguardo tali edifici potrebbero essere
classificati semplicemente come tipologia a telaio. Gli edifici torsionalmente deformabili
deform
sono
edifici la cui forma in pianta, unitamente alla scelta dei macro-elementi
macro elementi sismoresistenti verticali,
produce un moto sismico notevolmente torsionale, ovvero caratterizzato da forti rotazioni
dell’impalcato attorno ad un asse verticale. La pianta di siffatti edifici, tipicamente, ha forma
analoga alle sezioni di travi sottili che soffrono spiccatamente il problema della torsione
secondaria: forme a C sono casi tipici. Si riporta nel seguito un esempio di edificio con pianta a
forma di C, tipico di alcuni condomini multipiano con cortile di ingresso comune. Tale edificio,
edificio
indicato come Edificio A, è rappresentato in Figura 9.
Figura 9. Edificio A, da considerare deformabile torsionalmente
La
a presenza di travi a spessore in direzione parallela a y,, o comunque di elementi del
telaio con bassa rigidezza flessionale nella direzione parallela alle ali della C, provoca una
deformabilità torsionale non trascurabile dell’intera struttura, quando investita da sisma parallelo
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alla direzione x; ne consegue che
he la struttura va correttamente classificata come deformabile a
torsione. Tale tipologia può usufruire di un fattore di struttura più basso rispetto a quello che si
potrebbe adottare in presenza di tipologia a telaio a più piani e più campate, con conseguente
consegu
maggiore valore dell’azione sismica di progetto (a parità di altri parametri) e quindi maggiore
onerosità del progetto. Inoltre, il comportamento sismico sarebbe comunque non ottimale,
perché notevolmente torsionale anche se con elementi strutturali di
di opportuna resistenza.
resistenza Nella
Tabella E si riporta la verifica di deformabilità torsionale per l’edificio A, che risulta positiva: i
rapporti r/l a tutti gli impalcati risultano tali che r/l<0.8, e quindi per quanto indicato dal DM
14/01/2008 al punto 7.4.3.1,
3.1, la struttura va considerata deformabile torsionalmente.
TabellaE.. Edificio A,
A deformabile torsionalmente (r/l<0.8 a tutti i piani)
Il fattore di struttura da adoperarsi risulta quindi pari a 2 in CDB, e pari a 3 in CDA.Una
CDA.
correzione che permette di rientrare nella tipologia di telaio a più piani e a più campate, con
conseguente sgravio in termini di input sismico e comportamento più “traslazionale”,
“traslazionale” è quella di
irrigidire i telai paralleli alle ali (direzione y), sostituendo alle travi a spessore delle travi
emergenti. Ciò deve costituire una linea guida in fase di progettazione architettonica, portando a
considerare con cautela l’uso eccessivo
eccessivo di travi a spessore di solaio, benché
architettonicamente più desiderabili. Operando la sostituzione delle
delle travi parallele alle ali,
l’edificio (rappresentato in Figura 10 come Edificio B) presenta minore deformabilità torsionale.
Figura 10.
10 Edificio B, considerabile a più piani e più campate
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Infatti, i risultati del calcolo del parametro r/l (dove r rappresenta la radice quadrata del
rapporto tra la rigidezza torsionale e quella flessionale nella direzione di interesse, mentre l
rappresenta il raggio di inerzia polare della pianta dell’impalcato), riportati nella Tabella F,
mostrano che a tutti gli impalcati
palcati il valore r/l supera il limite di 0.8, indicato dalla succitata Norma
per rientrare nella tipologia a più piani e a più campate.
TabellaF.. Edificio B, deformabile torsionalmente (r
( / l > 0.8 a tutti i piani)
piani
Si può così usufruire di un fattore di struttura q0 pari a 3 αu/α1 in CDB e pari a 4.5 αu/α1in
CDA, ben più vantaggioso del precedente, ed inoltre il comportamento sismico sarà più
regolare.E’
E’ quindi sempre necessario, per quanto evidenziato brevemente nell’esempio
riportato, effettuare un calcolo
colo di controllo della effettiva rigidezza torsionale disponibile alla
struttura, e qualora questa non fosse sufficiente,cercare
sufficiente,cercare di individuare quali controventi verticali
vanno irrigiditi per guadagnare
are un comportamento prevalentemente traslazionale.
6. REGOLARITA’ IN ALTEZZA: PRESENZA
ENZA DI PARETI AD UN SOLO PIANO, IL CASO
DEL SEMI-INTERRATO
Il caso che qui si vuole discutere descrive una situazione tipica per gli edifici in c.a.,
riscontrabile spesso in costruzioni erette su un pendio: un edificio con semi-interrato,
semi interrato, realizzato da
pareti in c.a. per quanto riguarda i lati contro terra, e da telai
telai tamponati per quanto riguarda le
pareti del semi-interrato
interrato non a contatto con il terreno,
terreno, dove si ritrovano gli accessi e le prese di luce
e aria. I livelli superiori sono tipicamente realizzati con strutture a telaio. Un esempio di edificio
siffatto è rappresentato in Figura 11.
Figura 11. Edificio in c.a.,
c.a. con semi-interrato, in parte a telaio e in parte con pareti in c.a.
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In primo luogo, la
a presenza di pareti al solo piano interrato genera ambiguità nella scelta
della tipologia strutturale di appartenenza e quindi del fattore di struttura, giacché la struttura
non risulta a telaio (per la presenza di pareti), ma non risulta nemmeno a pareti (perché le pareti
si interrompono dopo il livello interrato). In secondo luogo,, il baricentro delle rigidezze viene
vi
fortemente attratto verso i lati con pareti, risultandone una notevole eccentricità tra baricentri
delle
e masse e delle rigidezze, con conseguente comportamento notevolmente torsionale al
primo impalcato. Appare cosìì desiderabile una ottimizzazione di tale situazione, per dare una
risposta ad entrambe questi difetti. Una
U soluzione contemporanea dei due problemi si persegue
con la totale chiusura del livello semi-interrato
semi interrato in un box di pareti in c.a., in modo da formare
forma un
livello semi-interrato “scatolare”.
”. Tale scatolare,
scatolare, che include all’interno anche pilastri interni ed
eventuali pareti interne, cioè non di perimetro, va considerato un prolungamento delle
fondazioni, e pertanto,, coerentemente a quanto si fa per le fondazioni,
f
va protetto da ogni
possibile plasticizzazione, dovendo rimanere in campo elastico. Di seguito si riporta un esempio
svolto
to per mostrare che, se si realizza il piano scatolare, come rappresentato nella Figura 12,è
12,
lecito considerare la struttura al di sopra di esso come un telaio a più piani e più campate,
incastrato al piano scatolare che costituisce la sommità delle fondazioni (spiccato).
Figura 12.
12 Edificio in c.a. con semi-interrato scatolare in c.a..
La seguente Figura 13 mostra qualitativamente i primi tre modi di vibrare di una struttura
intelaiata identica alla struttura in elevazione al di sopra del piano scatolare dell’edificio in
esame. Si osservano nella tabella inclusa i valori dei tre periodi propri associati a tali modi.
Figura 13.. Modi di vibrare e periodi della struttura in elevazione assunta incastrata al suolo
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In Figura 14 si riportano invece i primi tre modi di vibrare, e i corrispettivi periodi propri,
della struttura reale, munita di semi-interrato
semi
scatolare sovrastato
vrastato dalla cosiddetta struttura in
elevazione.
Figura 14.. Modi di vibrare e periodi della struttura reale comprensiva di semi-interrato
semi interrato scatolare
Essendo
ssendo i modi di vibrazione ed i periodi delle due strutture molto simili,
simili resta dimostrato
che il comportamento delle due strutture è dinamicamente paragonabile. Siccome però nella
struttura privata dello scatolare e incastrata al suolo la massa partecipante raggiunge l’85% del
totale già nei primi tre modi, mentre nella struttura
struttura reale con piano scatolare-fondazione
scatolare
la
massa partecipante nei primi tre modi è notevolmente più esigua, nell’esempio il 65% del totale,
va osservato che è necessario per questa ultima considerare un numero di modi più elevato.
Infatti al primo impalcato
ato compete una massa notevole, che comprende la metà superiore delle
pareti in c.a., e anche delle strutture interne che, dovendo restare in campo elastico, sono
notevolmente robuste. Il problema qui brevemente descritto è preso in considerazione
dall’Eurocodice
ocodice 8, in misura più dettagliata di quanto non faccia la Norma nazionale. Enfasi va
infine posta nel garantire che le cerniere plastiche possano formarsi al di sopra della soletta di
impalcato che costituisce il soffitto del piano semi-interrato,
semi
che deve
eve costituire l’incastro della
struttura spiccante dalle pareti stesse.A
stesse.A tal fine, opportune staffature devono essere previste nei
pilastri e nelle eventuali pareti proseguenti in elevazione, in corrispondenza delle zona a cavallo
di tale soletta, sia al di sopra di essa, sia al di sotto.
7. REGOLARITA’ IN ALTEZZA: IL CONTROLLO DELLE RASTREMAZIONI
Nella progettazione per carichi verticali degli edifici in c.a. si è assistito per decenni alla
applicazione delle rastremazioni dei pilastri, ed eventualmente delle pareti, nel passare da un
piano inferiore ad uno adesso superiore. Tale scelta, se appariva corretta nell’ottica di carichi
gravitazionali,non
non lo è più in ambito di progettazione antisismica, oggi prevalente su tutto il
territorio nazionale. Infatti, a questa rastremazione si associa necessariamente anche la
diminuzione di larghezza delle eventuali travi a spessore, per il rispetto della condizione
normativa (DM 14/01/2008) riportata al 4.4.6.1.1, per la quale la
la larghezza di tali travi deve
essere non
n maggiore della larghezza del pilastro, aumentata da ogni lato di metà dell’altezza
della sezione trasversale della trave stessa.Tutto
stessa.
ciò comporta complessivamente la
diminuzione di rigidezza dei telai man mano che si procede verso i piani superiori. Tale
riduzione, anche in funzione del numero di campate e delle altezze di interpiano, può anche
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risultare eccessiva rispetto ai limiti imposti dalla normativa ai fini della regolarità in
i elevazione.
Anche in casi di apparente regolarità in elevazione è quindi
quindi sempre necessario procedere al
calcolo delle rigidezze traslazionali di piano, in ognuna delle due direzioni orizzontali, e al loro
confronto. Segue un esempio di edificio multipiano (in Figura 15) con rastremazioni ai pilastri e
conseguenti diminuzioni della larghezza
rghezza della base delle travi, in cui al di sopra del piano terra,
le rastremazioni dei pilastri sono di 10 cm alla volta ogni due livelli.
Figura 15.. Edificio multipiano con rastremazioni ai pilastri di 10 cm
TabellaG. Controllo della variazione
ariazione di rigidezza flessionale non soddisfatto: edificio non regolare in altezza
Nella Tabella G seguente è riportato il controllo della variazione di rigidezza flessionale
in direzione x (parallela allato lungo) da un piano al successivo. Come si vede,
vede le variazioni tra
gli impalcati 1 e 2 e tra i piani 3 e 4, quelli a cavallo della rastremazione di 10 cm, superano il
40% e determinano perciò la non regolarità in altezza della costruzione. Se si osserva, invece,
che il taglio sismico non diminuisce ai piani superiori con la stessa velocità con cui diminuisce lo
sforzo normale per effetto deii carichi verticali, si capisce che in zona sismica è desiderabile
limitare, o evitare se possibile, le rastremazioni dei pilastri, anche in vista di garantire agli stessi
s
una sufficiente resistenza al taglio. In tal modo il comportamento sismico della costruzione
risulterà regolare lungo l’altezza, con resistenze flessionali dei controventi più omogenee da
piano a piano. Nella Figura 16 e nella successiva Tabella H sono
sono riportati l’edificio modificato
portando
o le rastremazioni a 5 cm distribuite su tutti i piani, e il calcolo di controllo delle variazioni
di rigidezza. Come si può osservare, le variazioni sono tutte praticamente inferiori o pari al 30%,
limite massimo indicato dal punto 7.2.2
7.2.2 del DM 14/01/2008:con la diminuzione delle
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rastremazioni da 10 a 5 cm, la struttura in esame rientra nel caso di regolarità in altezza, e ha
un comportamento sismico migliore.
Figura 16.. Edificio multipiano con rastremazioni ai pilastri di 5 cm
TabellaH. Controllo della variazione
variazio di rigidezza flessionale soddisfatto: edificio regolare in altezza
Data la sensibilità della rigidezza alle dimensioni degli elementi dei telai o delle pareti,
par
è
importante eseguire sempre un calcolo dedicato al controllo della regolarità in questo senso,
non potendosi sempre stimare “ad occhio” se una struttura rientri o meno in tale classe.
Laddove la verifica non fosse positiva, se si vuole raggiungere la regolarità in elevazione è
necessario introdurre dei controventi che assorbano almeno il 50% delle azioni sismiche,
tipicamente pareti, nel caso di edifici in c.a.,
c.a., e sgravare in tal modo, almeno parzialmente, il
resto della struttura dal compito di controvento
contr
sismico.
8. REGOLARITA’ IN ALTEZZA: PRESENZA DEL TOMPAGNO, IL PIANO PILOTIS E LA
VETRATA A TUTTA PARETE
La presenza delle
lle tamponature rende il comportamento strutturale dell’edificio sotto
sisma ben diverso da quello della struttura pensata priva di qualsiasi chiusura tra le maglie dei
telai,alla
alla quale ci si riferisce di norma nell’eseguire il calcolo. Infatti, le tamponature (tipicamente
in laterizio pieno o semipieno, in tufo,
tufo oppure in blocchi di calcestruzzo), inserite all’interno delle
maglie strutturali
rutturali delineate dai telai, producono un notevole incremento di rigidezza nella
struttura reale, che possiamo definire “vestita”, rispetto alla rigidezza dei soli telai (struttura
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“nuda”). Tale incremento
remento è molto sensibile in fase sismica nel caso di terremoto
rremoto di esercizio
(sisma di bassa entità) oppure nella fase iniziale di un sisma che può poi raggiungere una
elevata forza.Infatti,, in tali condizioni i pannelli murari non hanno ancora subito danni sensibili, e
sono quindi integri, potendo così offrire un notevole contributo in termini di rigidezza. Ci si
riferisca dapprima a tompagni a tutta altezza, che si estendono cioè su tutto l’interpiano. In
assenza di aperture, il tompagno forma una biella compressa diagonale tra nodi opposti della
maglia strutturale,
urale, biella che offre il suo contributo similmente ad una diagonale compressa di
una travatura reticolare, fino a quando, al crescere della forza del sisma, la biella si rompe e
perde consistenza, fino a lasciare la struttura quasi “nuda”, in condizioni simili a quelle di
calcolo. L’azione descritta presenta inconvenienti locali (danneggiamento spinto dei nodi travetrave
pilastro), ma allo stesso tempo protegge i pilastri nella fase sismica iniziale, provocando su essi
una diminuzione di deformazione e quindi di danneggiamento. In presenza di aperture centrali
al pannello e di modesta entità (finestre classiche) il meccanismo della biella viene in qualche
modo riprodotto, sul che non è il caso di approfondire in questa sede. Ma in presenza di
aperture di ampiezza
piezza paragonabile alla maglia o in assenza totale di campi di tamponatura ad
un certo piano dell’edificio,tale piano presenterà rispetto a quelli superiori e inferiori una netta
diminuzione di rigidezza, il che provocherà, in fase sismica, la concentrazione
conce
delle
deformazioni sui pilastri a quel livello,
livello non affiancati dal tompagno. Il problema descritto è
particolarmente frequente negli edifici che a piano terra non hanno tompagni, presenti invece ai
piani superiori (edificio su pilotis); anche un edificio multipiano che, ad un livello intermedio
abbia ad esempio una esposizione commerciale,, con assenza di tompagni sostituiti da vetrate a
tutta altezza, presenta analogo problema. Queste strutture sono soggette al fenomeno del
“piano soffice”, ossia un meccanismo di collasso sismico caratterizzato dalla labilizzazione dello
schema strutturale per formazione di cerniere plastiche alla testa e al piede di tutti e soli i pilastri
del piano non tompagnato, per ili motivo prima elencato (concentrazione delle
dell deformazioni al
piano nettamente meno rigido degli altri).
Figura 17.. Meccanismi di collasso globale,
globale e locale (piano soffice)
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Come si può immaginare, il meccanismo descritto di piano soffice è molto poco duttile, in
quanto la labilità dello schema viene raggiunta dopo la formazione di un numero ridotto di
cerniere, quindi con pochissima dissipazione. Un meccanismo che presentasse la formazione
del maggior numero possibile di cerniere (meccanismo “globale”) sarebbe assai più dissipativo,
e quindi più duttile, e va perseguito in una corretta progettazione antisismica.In Figura 17 è
riportato un confronto qualitativo dei due meccanismi, con riferimento ad un edifico tutto
tompagnato e ad un edifico su pilotis. In fase di progettazione architettonica andrebbero evitati,
per quanto possibile, squilibri notevoli di rigidezza “reale” della struttura vestita tra un piano e
l’altro. In ogni caso, se per esigenze architettoniche o funzionali si debba necessariamente
prevedere la presenza di un piano potenzialmente soffice per assenza di tompagno, è
necessario progettare le strutture a quel piano maggiormente rigide di quelle ai piani in cui è
presente una sostanziosa tamponatura: in tal modo, si evita che la maggiore deformabilità del
piano in oggetto provochi la concentrazione delle deformazioni ai suoi nodi (lasciando
praticamente intatti quelli agli altri piani) e portando la struttura ad un poco dissipativo collasso
(locale) di piano. Secondo il DM 14/01/2008, bisogna incrementare la resistenza del piano non
tamponato (o tamponato con elementi meno rigidi) portandola a 1.4 volte quella dei piani (intesi
nudi) che saranno invece muniti di tamponature, come specificato nel punto 7.2.3.
Altra problematica strettamente collegata ai tompagni è quella del danneggiamento
concentrato dei tronchi di pilastro adiacenti ad eventuali finestre a nastro. In tali casi, la parte di
pilastro «libero» da tompagno si comporta approssimativamente come se fosse una asta
incastrata agli estremi ma di lunghezza pari all’altezza dell’ apertura: la sua rigidezza risulta
molto maggiore di quella di un pilastro a tutta altezza, dato che, almeno in fase elastica, è
funzione di L-3 , per cui, se ad esempio l’altezza della finestra a nastro è Lf=1.00 m, su un
interpiano di Lp=3.00 m, la rigidezza aumenta di [1/(1.00)3 ]/ [1/(3.00)3 ] = 9 volte. Il taglio
sollecitante aumenterà di conseguenza, rendendo «illusoria» la sufficienza della staffatura, a
meno che la presenza di finestre a nastro sia stata tenuta in conto dal progettista strutturale. In
generale, l’effetto negativo delle finestre a nastro sul tronco di pilastro che rimane nudo è
maggiormente sensibile all’aumentare della rigidezza della muratura di tompagno; quindi i danni
peggiori si verificano in presenza di mattoni pieni in laterizio, murature particolarmente rigide. In
tali casi, quando esigenze architettoniche non permettono la eliminazione della finestra a
nastro, una soluzione potrebbe essere quella di interromperela tamponatura in muratura prima
di raggiungere il pilastro, anche di pochi centimetri, completando il vuoto con un rinfianco molto
deformabile, in modo da non vincolare la estremità inferiore del tronco nudo di pilastro: in tal
modo la sua altezza libera resterebbe quella pari all’interpiano, evitando la concentrazione del
danno per eccesso di taglio.
Vediamo un semplice esempio che evidenzi la problematica delle finestre a nastro. Si
considera un edificio ad un piano, con altezza di interpiano 3.20 m, tre campate da 5.00 m in
una direzione, campata da 5.0 m nell’altra direzione, pilastri in c.a. 30 cm x 30 cm, travi in c.a.
30 cm x 40 cm, tompagno in mattoni di laterizio (blocchi semipieni) spessore 30 cm, con
Em=4000 N/mm2; carichi: G=3000 N/m2, G’=2000 N/m2, Q=1000 N/m2 (copertura praticabile). Si
immagina una forza sismica all’impalcato di 80 KN. Tale edificio è mostrato in Figura 18, dove è
stato calcolato come nudo, ottenendo un taglio sul pilastro scelto come riferimento, e indicato
come P, di 22 KN. Questo valore non sarebbe ovviamente quello usato in progetto per le
armature a taglio, giacché il criterio di gerarchia delle resistenze impone che il taglio sollecitante
sul pilastro derivi dai suoi momenti resistenti. Ai soli fini di confronto concettuale tra situazioni di
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vincolo differenti del pilastro, volendo evidenziare l’effetto della tamponatura, registriamo per il
valore di sollecitazione di struttura nuda quellocosì
quell
ottenuto.
Figura 18. Taglio elastico sul pilastro P per telaio nudo
Considerando ora la presenza del tompagno, si distingue tra l’ipotesi di tompagno a tutta
altezza e tompagno con finestra a nastro. Pur essendo in letteratura disponibili molti modelli, di
varia precisione, per il calcolo della larghezza della biella di muratura
muratura in funzione del grado di
danneggiamento accumulato, come il modello di Mainstone, qui si
s preferisce semplicemente
modellare il tompagno come puntone largo Ldiag/10,, valore non lontano da quelli ottenibili con
modellazioni più complesse.L’edificio
edificio con tompagno a tutta altezza è mostrato in Figura 19,
1
quello con finestra a nastro in Figura 20. In entrambi i casi, la biella
ella che simula il tompagno
lavora a sola compressione.
Figura 199. Effetto del tompagnoa tutta altezza sul pilastro P
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Come si vede dalla Figura 19,
19 il taglio elastico sul tronco di pilastro tutto affiancato dal
tompagno risulta essere circa 6.5 volte minore
m
del taglio sul pilastro nudo; ciò conferma quanto
detto sull’effetto protettivo del tompagno nei confronti del pilastro, perlomeno
perlome
nella fase di
integrità della muratura.
.
Figura 20.. Effetto del tompagno con finestra a nastro sul pilastro P
Osservando invece la Figura 20, è possibile vedere che il taglio elastico sul tronco di
pilastro sguarnito di tompagno e che ora risulta tozzo,
tozzo, vale circa 10 volte di più di quello con
tompagno a tutta altezza, e risulta soprattutto maggiore del taglio elastico sul pilastro pensato
come nudo (30.4 KN contro 22 KN). Questo confronto, seppur effettuato sui tagli elastici e non
su quelli di progetto derivati, come correttamente va fatto, dal criterio della gerarchia delle
resistenze, riesce
sce comunque ad evidenziare la pericolosità delle finestre a nastro per i pilastri
ad esse adiacenti, e induce alla conclusione che, in presenza di finestre a nastro o di situazioni
analoghe in cui un tronco di pilastro risulti tozzo, è fondamentale effettuare
uare una analisi dedicata
al calcolo delle vere sollecitazioni sui pilastri, in vista della loro reale condizione di vita, se si
vuole garantire all’edificio un comportamento duttile ed un collasso conveniente in fase sismica.
I alternativa, bisogna prendere
re opportuni provvedimenti di tipo tecnologico (arresto del
tompagno prima del contatto con il pilastro).
9. CONCLUSIONI
Nelle presenti note, tratte dagli atti del seminario tecnico – scientifico : “Aspetti Meccanici
del Calcestruzzo e Comportamento Strutturale”,
Strut
organizzato in
n occasione della pubblicazione
del libro “Effetti differiti della deformazione nel calcestruzzo” (Edizioni EAI), del Dott. Matteo
Felitti,, sono state prese in considerazione e brevemente discusse alcune problematiche della
progettazione
one in zona simica di edifici in c.a.. Lungi dal rappresentare una trattazione rigorosa
ed approfondita di ognuno degli argomenti menzionati, questo breve lavoro si intende rivolto
principalmente agli attori della progettazione
progettazio
architettonica degli edifici.. Gli argomenti trattati,
che riguardano sostanzialmente la verifica operativa di alcuni dei requisiti richiesti dalla
Normativa vigente al fine di poter considerare una costruzione regolare in pianta o in altezza,
sono stati solo esemplificati con l’ausilio
l’ausilio di elementari modelli, finalizzati alla presentazione di
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risultati numerici in grado di destare l’attenzione del Progettista pur se non è uno specialista del
settore strutturale, e pertanto la trattazione è stata volutamente volta alla presentazione di
aspetti fenomenologici senza entrare nel merito di formulazioni analitiche o numeriche accurate.
Ognuno dei temi appena sfiorati può essere approfondito, da parte del Lettore interessato, sulla
copiosissima letteratura scientifica disponibile, anche in lingua italiana, su aspetti sismici
riguardanti edifici in c.a.. Essendo impossibile farne qui un elenco, si riporta solo l’indicazione di
pochi, peraltro pregevoli, testi sulla materia, unitamente alle Normative di uso quotidiano.
10. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
[1] E.Cosenza, G.Maddaloni, G.Magliulo, M.Pecce, R.Ramasco, Progetto antisismico di edifici
in cemento armato, IUSS Press;
[2] L.Petrini, R.Pinho, G.M.Calvi, Criteri di progettazione antisismica degli edifici, IUSS Press;
[3]A.Ghersi, P.Lenza, Edifici antisismici in cemento armato, Flaccovio;
[4] EC2, parte 1;
[5] EC8, parte 1;
[5] DM 14/01/2008;
[6] CM 02/02/2009.
Organizzazione Seminario Tecnico – Scientifico : Engineering& Concrete Consulting di Matteo Felitti
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