Domenica 10 settembre 2006 41 L’Autunno Musicale apre il proprio album fotografico per i lettori de «La Provincia»: al centro un’immagine recente di Gisella Belgeri, che compare a destra con il maestro Italo Gomez, a inizio anni ’70. Nelle foto a sinistra: in alto la Belgeri con un giovanissimo Claudio Abbado, direttore lanciato proprio dall’Autunno e, sotto, con Paolo Grassi, il fondatore (con Strehler) del Piccolo Teatro di Milano. Sopra: Gomez posa sorridente accanto alle locandine "storiche" del festival musicale. Autunno Musicale «Formidabili quei primi anni di follie» I QUARANT’ ANNI DELL’ Gisella Belgeri era un’affermata concertista quando diede vita al festival, con Italo Gomez «Giravamo in bici e annunciavamo al megafono i concerti. Ma riuscimmo a portare Pollini» ■ Quarant’anni di Autunno Musicale sono una valanga di esperienze e di ricordi. «La Provincia» ne ricostruisce qualche tessera con Gisella Belgeri, fondatrice del festival insieme a Italo Gomez. La conversazione con lei apre una galleria di interviste ai protagonisti, con cadenza settimanale. Signora Belgeri, da dove è partita l’avventura dell’Autunno Musicale? Non è partita dal niente: prima di creare il festival, già da tempo avevamo dato vita a Como alla Gioventù Musicale, con diversi amici conosciuti frequentando quella straordinaria insegnante e musicista che fu Alda Vio. Eravamo scatenatissimi, suonavamo tanto e ci davamo un gran daffare nel cercare fondi e soci - e come ci divertivamo! Poi io iniziai sul serio la professione, concerti e tournée mi portavano all’estero, sembrava che le cose si stessero un po’ appannando. Fu allora che entrò in campo Italo Gomez e che si pensò di dare una sferzata di energia al gruppo, intensificando l’attività. Nel 1969 riuVilla Olmo? Oggi a creare a Como sembra strano: era scimmo l’Orchestra Sinfonia. Negli considerata fuori anni Sessanta le orchestre in Italia non erano molte e mano, nessuno lo Stato puntava su piccovoleva andarci. le realtà per farle divenire Quando la stabili. Sulle prime il comune di Como ci frenò, chiedemmo, ci fu poi riuscimmo nel noconcessa di corsa! ma stro progetto. Che cosa proponevate al pubblico delle prime edizioni? C’era grande inventiva e la musica contemporanea giocava un ruolo molto importante. Le prime esecuzioni sono state tantissime; eravamo noi stessi a metterci in gioco, a contattare i compositori, a suonare. All’inizio la struttura non era quella di un festival, ma piuttosto di una serie di weekend musicali: in settimana si provava, il sabato e la domenica si suonava. Quali erano le prime sedi dei concerti? Partimmo dal centro, con il teatro Sociale, dove si tenevano i concerti con solista e orchestra (venne Pollini, ad esempio) e il Carducci. Fummo anche tra i primi ad organizzare concerti all’aperto. E Villa Olmo? Oggi sembra strano, ma era considerata fuori mano, nessuno voleva andarci - quando la chiedemmo, ce la concessero di corsa! Iniziammo anche molto presto a decentrare i concerti, per raggiungere posti dove non si ascoltava musica. Chi finanziava le prime edizioni? Per i primi due anni fu l’Apt, nel 1969 facemmo richiesta allo Stato per la voce «festival»... e festival fu. Come ha deciso di chiudere l’attività di interprete per dedicarsi all’organizzazione a tempo pieno? Per anni, fin dall’esperienza della Gioventù Musicale, ho fatto la musicista C’erano molti e allo stesso tempo ho imgiovani: a volte parato il mestiere organizzativo sulla mia pelle. Ogerano anche gi ci sono i master, allora si caotici, ma era imparava facendo. Era anbello così. Adesso che un po’ meno compliil pubblico giovane cato, oggi gli adempimenti di cui tener conto si sono mi sembra più moltiplicati... Comunque, disorientato quando l’Autunno iniziò veramente a prendere piede, io e Italo capimmo che non potevamo continuare a dividerci. Era un incubo, salire sul palco per suonare ed essere assillati da mille pensieri: il solista, le sedie, la Siae... Bisognava scegliere. Si è pentita qualche volta di aver lasciato il pianoforte? All’inizio non ero convinta, fu una scel- Gisella Belgeri in un’immagine degli anni Sessanta, quando era una giovane, ma già affermata pianista Gli auguri / Enzo Restagno «Visto il mio interesse per la musica contemporanea, sono stato molte volte all’Autunno Musicale e ricordo bene l’epoca in cui Como rappresentava una vetrina dell’arte contemporanea in Italia. Erano stagioni intense, fra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta; lì incontrai molti grandi autori - uno fra tutti, Iannis Xenakis. A quell’epoca ad occuparsi di musica contemporanea in Italia erano quasi soltanto la Biennale di Venezia e la Rai, con le sue orchestre che lavoravano più per l’etere che per il concerto dal vivo. Le scelte di repertorio di molte stagioni riflettevano l’immagine di un pubblico adagiato nelle convenzioni: l’Autunno fu una scossa salubre. Oggi l’Autunno Musicale compie quarant’anni: la ricetta per far durare nel tempo un festival sta nella capacità di auscultare le pulsazioni del pubblico, di prevenirne gli interessi prima ancora che siano manifesti. Se un festival riesce a muoversi in questo modo, ha garanzia di buona salute e di una durata che si può augurare illimitata». (Direttore artistico di Settembre Musica di Torino) ta un po’ subìta. Adesso invece sono contenta. Poi, le mani col passare degli anni possono tradire, c’è l’artrosi in agguato... Direi che il cervello invece può funzionare ancora per un bel po’! (ride) L’Autunno Musicale è noto per aver fatto ascoltare ai suoi frequentatori tantissima musica, con un tasso molto basso di ripetizioni, pur in un tempo così lungo. C’è qualcosa che all’Autunno non si è mai sentito e non si sentirà mai, qualche piccola idiosincrasia? Riguardo ai generi musicali direi di no. Una reazione può venire - è una convinzione che condivido con Gomez - di fronte a situazioni in cui la cultura rischia di essere mercificata. Se un committente si accosta alla musica non per capirla e sostenerla, ma per sfruttarla, allora scatta il «no». Il pubblico del festival è cambiato negli anni? Moltissimo. Per i primi quindici anni i concerti furono gratuiti, l’imperativo dello Stato era di diffondere la cultura. C’erano moltissimi giovani, a volte erano anche caotici, ma era bello così. Adesso il pubblico giovane mi sembra più disorientato, bisognerebbe poter lavorare di più con le scuole. Ricorda qualche musicista che ha de- buttato giovanissimo a Como? Michele Campanella: aveva 17 anni ed era simpaticissimo, un vero napoletano. Con lui si è creato un rapporto affettivo. Un altro giovanissimo era Gelmetti. Le viene in mente qualche episodio curioso? Ce ne sarebbero un’infinità. Una volta avevamo un gruppo di "boys" che ci aiutavano nella promozione. Il metodo era perlomeno curioso: andavano in giro in due in bici, uno guidava e l’altro gridava nel megafono per annunciare i concerti! A volte mi capita di incontrare alcuni di loro, ormai professionisti affermati, e si ricordano con simpatia di quel clima un po’ folle. Al diciottesimo anniversario facemmo la rimpatriata dei boys, ne vennero più di settanta e ognuno si accapigliava con gli altri perché era assolutamente convinto che la "sua" edizione fosse stata la migliore. Incidenti? Qualche gaffe? Un giorno - siamo nel ’75 - aspettiamo una danzatrice. Mandiamo un ragazzo a Linate e ritorna dicendo che non l’ha trovata. Nel frattempo la ballerina, di un gruppo sperimentale di danza moderna, telefona stizzita. Il ragazzo si precipita e solo dopo un bel po’ arriva con la danzatrice. «Come avevi fatto a non vederla?», chiediamo. «Beh... era combinata come un manovale!», confiderà poi il ragazzo, che si aspettava forse una diva in tutù... Marina Riboni Ai primi spettacoli famiglie intere: era una maratona condita di goliardia e cene indimenticabili ■ Quarant’anni: oggi sono circa mezza vita. Eppure tanti anni di eventi musicali sembrano fuggiti in un attimo, per uomini non più usi a fermarsi per riflettere sul passato. In questo momento mi rendo conto della fortuna cultural-musicale di cui ha goduto la convalle e i paesi limitrofi. Amara constatazione il fatto che, tutto sommato, non è oggi così apprezzata dai molti concittadini che non hanno vissuto l’Autunno dall’inizio. Tutto cominciò poco prima del 1966 in Accademia Bossi, e precisamente nella classe di Alda Vio, dove si radunava la giovane intelligentia musicale comasca con a capo Gisella Belgeri. A lei si deve l’organizzazione della piccola cellula di Gioventù Musicale che qualche anno dopo, con la complicità di Italo Gomez, cambiò formula dando inizio ai week end nelle basiliche. I concerti erano gratuiti; curioso l’andirivieni di famiglie con bimbi spesso frignanti da condurre rapidamente fuori. Da cui la scherzosa catalogazione lessicale (tra di noi) di «concerti promenade». Alda Vio, già in età, era la cronista de La Provincia, ma ogni anno il materiale da recensire aumentava, sicché doveva chiedere aiuto a forze più giovani. Nel 1972, lasciò definitivamente indicando me come successore. Anch’io rimasi sola, condannata a seguire concerti e tavole rotonde mattino, pomeriggio e sera. Tanto era il materiale di cronaca che si usciva sul giornale il mercoledì e la domenica, spesso con due pagine fitte fitte. Fu un bel periodo, siglato dallo spirito di amicizia e di goliardia, cementato anche dalle cene dopo i concerti in compagnia di personaggi un po’ stravaganti ma simpaticissimi. I filoni che più volentieri ricordo sono quelli cui devo la mia formazione musicale, come gli eventi (e lo erano davvero) di musica contemporanea. Performances durante cui succedeva di tutto, dall’arpista fasciata come una mummia alla cottura, sul palco, di due uova al tegamino. Era il periodo delle provocazioni, ma gli autori Manzoni, Grossi, Bryars, Bussotti, Cage, Cardew, Clementi, Cowell, Nymann, Ferneyhoug (tanto per nominarne qualcuno) sono citati dalla storia come rappresentati della musica moderna. Così gli interpreti: De Simone, Canino, Ballista, Desderi, Filippini, Panni, Berberian, Poli, Sacchetti, Gelmetti, Chailly, Fadini, Paoli, Battiato, Trenet, Latham - Koening e altri, ancora oggi in carriera. Per me fu interessantissima e illuminante la musica sacra e profana dai primordi fino al ‘900. Per la prima volta avemmo anche l’occasione di ascoltare musica del ‘600 e ‘700 eseguita da strumentisti specialisti. Per non tacer della musica popolare italiana e straniera, illustrata e fatta eseguire dal vivo da Roberto Leydi. Il Festival di Como era considerato quasi avveniristico. Tutta la stampa nazionale e internazionale ne parlava. A un certo punto il Ministero stabilì che per avere i fondi era indispensabile introdurre il pagamento di un biglietto. Qui fu la crisi; improvvisamente i pienoni non furono che un ricordo; la programmazione ne soffrì. Fatta salva la serie del Canto delle Pietre che, essendo a ingresso gratuito, aveva addirittura un pubblico itinerante per tutta la Lombardia. Desidererei citare, poiché fu proprio un grande "Evento", l’esecuzione della Messa di Requiem di Verdi con i complessi della Scala diretti da Claudio Abbado. In quella occasione Gomez, per ovviare all’acustica pessima del Duomo, fece costruire previdenze foniche che in parte attenuarono l’eccesso di riverbero sonoro. Mi rendo conto, scrivendo a braccio, di aver privilegiato piuttosto il lato emozionale che non quello tecnico, attorno al quale ci sarebbe argomento di ricordi. Belli. Maria Terraneo Fonticoli