Parte generale – Genetica dei microrganismi

Parte generale – Genetica dei microrganismi
Ciclo dello sviluppo dei microrganismi
Possiamo vedere lo sviluppo dei m.o. come il risultato di un aumento quantitativo dei costituenti chimici della cellula,
ma anche come un aumento del numero di cellule per loro moltiplicazione.
Fissione binaria trasversa
È il processo riproduttivo più usato, conosciuto anche come scissione; è un tipo di riproduzione agamica, in cui una
cellula si divide in due dopo aver formato un setto divisorio trasversale; in seguito a questo processo, la cellula madre
divide uniformemente i suoi costituenti, che andranno alle cellule figlie. È tipica di Alghe unicellulari, Protozoi e
Lieviti del genere Schizosaccharomyces.
Gemmazione
In questo tipo di riproduzione, la cellula madre forma un’escrescenza che alla fine si stacca lasciando una cicatrice; in
alcuni generi, la gemmazione è polare o bipolare, in altri multilaterale. Con la gemmazione, nella cellula figlia
finiranno i materiali di nuova sintesi, mentre quelli vecchi rimarranno nella cellula madre. La riproduzione avviene
solo con gemme che si formano da zone libere da cicatrici. È tipica di tutti i Lieviti.
Accrescimento apicale
Tipico dei funghi filamentosi, in cui le cellule tubuliformi determinano l’allungamento in avanti dell’ifa. Anche in
questo caso, le cellule figlie riceveranno il materiale di nuova sintesi.
Riproduzione per spore
La sporificazione è un processo riproduttivo adottato da diversi m.o. e porta alla produzione di spore. I batteri
sporigeni producono le endospore, organi di resistenza a diverse condizioni avverse alla vita del batterio; quando si
presentano condizioni favorevoli, la spora germina liberando la cellula vegetativa. Nel caso dei funghi, le spore non
sono considerate organi di resistenza poiché non sono più resistenti delle cellule vegetative, inoltre possono essere
prodotte sia asessualmente che sessualmente (nei batteri vengono prodotte asessualmente).
Raggruppamenti caratteristici delle cellule microbiche
Dopo la divisione cellulare, le due cellule Diplococchi: le cellule si dividono su un solo piano e
formate possono separarsi o rimanere
rimangono unite due a due
attaccate, continuando a dividersi e a
Streptococchi: le cellule si dividono su un solo piano
formare dei raggruppamenti caratteristici.
formando delle catene
I bacilli possono formare strutture a coppie
Sarcine: le cellule si dividono su tre piani, formando
(diplococchi) o corte catene (streptococchi),
ammassi di forma cubica
anche se di solito hanno forma isolata.
Gli spirilli rimangono sempre distaccati.
Raggruppamenti si possono avere anche nei
Stafilococchi: le cellule si dividono su tre piani,
funghi non filamentosi (lieviti), producendo
formando ammassi irregolari
una serie di gemme che restano unite,
formando pseudomiceli (non esistono setti
divisori tra le cellule).
Le alghe verdi formano strutture senza forma dette cenobi.
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Sviluppo di una popolazione microbica
Si è detto che lo sviluppo può essere definito come un accrescimento ordinato dei componenti cellulari; in condizioni
particolari, come nei terreni di coltura, questo si traduce nel fatto che ad una crescita di biomassa corrisponde un
proporzionale incremento dei diversi componenti cellulari (DNA, RNA, numero delle cellule, proteina totale cellulare,
carboidrati totali, ecc). Questo ci permette di osservare l’andamento dello sviluppo microbico misurando anche uno
solo dei parametri indicati. Questa situazione è detta stato di sviluppo bilanciato, e in tale condizione la velocità di
accrescimento è direttamente proporzionale al quadrato della biomassa prodotta: da una cellula si hanno due cellule, da
due quattro e così via (1 > 2 > 22 > 23 > 24 >25 > 26). È per questo motivo che lo sviluppo bilanciato è detto anche
sviluppo esponenziale.
Tempo di generazione
È il tempo richiesto ad una cellula per dividersi in due unità o ad una colonia per raddoppiare la biomassa. Il tempo di
generazione viene indicato con la lettera g, e varia sia in funzione delle specie che delle condizioni ambientali. Il
valore di g lo si può ottenere inoculando in un terreno di coltura un numero noto di cellule e determinare il numero di
cellule alla fine dell’accrescimento. I dati di cui dovremo disporre sono:
1. numero di cellule iniziali
2. numero di cellule dopo un dato periodo di tempo
3. lunghezza del periodo di tempo
Il calcolo di g è dato dall’equazione:
t
t
=
b
n
3,3 log
B
g=
dove:
• t = tempo
• n = numero delle generazioni
• B = numero di cellule iniziali
• b = numero di cellule finali
Ad esempio, avendo t = 4 ore, B = 104, b = 108, si ha:
t
3,3 log
b
B
=
4h
8
3,3 log
10
104
=
4
4
=
= 0,303
3,3 ⋅ 4
13,2
Curva di sviluppo di una coltura microbica
Facendo delle conte colturali di una coltura inoculata in un terreno di coltura, è possibile disegnare una curva che
esprime l’andamento dell’accrescimento della colonia nel tempo.
Fase di latenza: accrescimento nullo
Log del n° di cellule vive
Fase esponenziale: accrescimento esponenziale
Fase stazionaria: il numero di cellule è costante
Fase di morte: riduzione del numero di cellule vive
Tempo
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Fase di latenza: l’accrescimento della coltura si ha dopo il periodo di latenza. In questa fase le cellule sono molto attive
e iniziano a sintetizzare gli enzimi che permetteranno loro di sfruttare gli elementi nutritivi apportati con il terreno di
coltura. Il tempo di latenza non viene osservato nel caso in cui si esegue un inoculo con cellule attive che provengono
da un uguale terreno di coltura.
Fase esponenziale o logaritmica: in questa fase si ha uno sviluppo continuo e costante della colonia, che raddoppia la
dimensione ad intervalli costanti. Tale fase non dura molto a causa di fattori come composizione fisica dell’ambiente.
La crescita si blocca con circa 10 cellule/ml, per esaurimento dei nutrienti o accumulo di prodotti tossici derivanti dal
metabolismo degli stessi m.o.
Fase stazionaria: è caratterizzata dal fatto che il numero delle cellule rimane costante a causa dell’impossibilità di
dividersi, quindi in questo periodo lo sviluppo delle cellule non è bilanciato e le cellule manifestano una maggiore
resistenza agli agenti fisici e chimici. La sua durata varia con la specie.
Fase di declino o di morte: durante questa fase, la velocità con cui le cellule muoiono è maggiore di quella con cui si
moltiplicano. La morte può essere causata dall’esaurimento delle sostanze nutritive e di riserva, nonché dall’accumulo
di sostanze inibitrici; anche questa fase varia con la specie.
Misura dello sviluppo microbico
Lo sviluppo microbico può essere misurato con uno dei seguenti metodi:
1. conta delle cellule:
a. conta diretta al microscopio
b. conta indiretta o colturale
2. determinazione della massa cellulare:
a. per pesata diretta
b. per analisi dell’N cellulare
c. per turbidometria o nefelometria
3. determinazione dell’attività metabolica cellulare:
a. produzione di CO2
b. consumo di O2
c. produzione di acidi
La cellula procariote
Strutturalmente, la cellula procariotica è formata da:
• parete cellulare
• membrana citoplasmatica
• ribosomi
• inclusioni citoplasmatiche
• nucleoide
La membrana citoplasmatica
È una sottile struttura che circonda la cellula, separandola dall’ambiente esterno. Essa è formata da un doppio strato
fosfolipidico, costituito da una parte idrofoba (acido grasso) e da una parte idrofila (glicerolo), che si viene a formare
grazie alla capacità che hanno i fosfolipidi di aggregarsi in soluzione acquosa. Lo studio della membrana
citoplasmatica è stato possibile utilizzando come modello le vescicole gassose, strutture che si vengono a formare
spontaneamente in seguito all’unione di frammenti di membrana generati dalla lisi di una cellula batterica; è bene però
che le cellule vengano preventivamente trattate con acido osmico o con qualche altra sostanza elettrondensa in grado
di associarsi alla componente idrofila della membrana. La membrana presenta delle proteine che attraversano l’intero
spessore del doppio strato, dette proteine transmembrana. La struttura della membrana è stabilizzata dalla presenza di
legami H, da interazioni idrofobiche e da cationi Ca2+ e Mg2+ i quali stabiliscono interazioni anche con le cariche dei
fosfolipidi.
Funzioni della membrana citoplasmatica
La membrana citoplasmatica svolge diversi ruoli; essa è innanzitutto una barriera selettiva che permette il passaggio di
molecole non polari e liposolubili come gli acidi grassi, il benzene e gli alcoli, nonché di molecole neutre come
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l’acqua, mentre rende difficoltoso il passaggio di molecole cariche come gli ioni. Nonostante la membrana non
consenta la diffusione libera di molecole polari come gli zuccheri, gli amminoacidi e gli ioni, esse possono comunque
attraversarla grazie all’azione delle proteine di trasporto della membrana, delle quali ne sono stati individuati tre tipi:
1. uniporter: proteine che trasportano le sostanze solo da un lato della membrana
2. simporter: proteine che trasportano specifiche sostanze insieme ad una seconda sostanza, indispensabile per il
trasporto della prima nella stessa direzione
3. antiporter: proteine che trasportano una sostanza in una direzione e l’altra in direzione opposta.
Le proteine di tipo simporter e antiporter vengono dette cotrasportatrici poiché il trasporto di una sostanza richiede la
presenza di una seconda sostanza. È stato detto precedentemente che le proteine di trasporto si estendono attraverso
l’intero spessore del doppio strato fosfolipidico, risultando esposte per metà verso l’ambiente citoplasmatica e per
metà verso l’ambiente esterno. Questa disposizione fa si che il passaggio di soluti avvenga in seguito a delle
modificazioni conformazionali della proteina, determinando la formazione di un gradiente di concentrazione; questo
tipo di diffusione è detta diffusione facilitata poiché non comporta alcun dispendio energetico; La maggiore parte dei
processi di trasporto risulta essere energia–dipendente, e determina una concentrazione di molecole trasportate
maggiore all’interno che all’esterno della cellula; l’energia richiesta può provenire sia da composti fosforilati come
l’ATP, che dalla dissipazione di un gradiente di protoni o di ioni Na+, posto attraverso la membrana. I meccanismi di
trasporto che richiedono energia sono due:
1. traslocazione di gruppo: meccanismo nel corso del quale una sostanza viene contemporaneamente trasportata e
modificata chimicamente mediante fosforilazione
2. trasporto attivo: la sostanza che viene trasportata non subisce alcuna modificazione chimica (pompe
elettrogeniche)
Parete cellulare
È il rivestimento più esterno della cellula che serve sia per sopportare l’elevata pressione che si viene a creare in
seguito alla concentrazione di soluti disciolti all’interno della cellula, che per conferirle forma e rigidità.
In base alla struttura della parete, i batteri possono essere suddivisi in due gruppi:
1. Gram–positivi: presentano una parete monostratificata molto spessa
2. Gram–negativi: presentano una parete pluristratificata complessa
Strutturalmente la parete cellulare è formata da una sottile lamina, detta peptidoglicano (da cui dipende la rigidità),
formato da due derivati polisaccaridici: N–acetilglucosammina e l’acido N–acetil–muramico oltre che da un gruppo di
quattro amminoacidi rappresentati da L–alanina, D–alanina, lisina, e acido glutammico. Tutti questi costituenti sono
uniti per formare un’unità di ripetizione detta glican–tetrapeptide. Nello specifico, la rigidità della parete è dovuta
principalmente alla presenza di legami crociati tra le catene di glicano, il cui numero varia tra i batteri e ad un loro
aumento corrisponde una maggiore rigidità.
Flagelli
La mobilità di molti batteri è legata alla presenza di strutture particolari dette flagelli, che si presentano come lunghe e
sottili appendici cellulari libere ad un’estremità. Strutturalmente, essi sono formati da sub-unità proteiche, la cui
proteina principale è la flagellina. Il flagello, nel suo complesso, è formato da:
• regione basale: ha una struttura diversa dal resto del flagello ed é costituita dall’uncino
• uncino: regione più ampia facente parte della regione basale, situata alla radice del flagello
• corpo basale: è la struttura motrice che collega l’apparato flagellare con l’involucro cellulare.
I flagelli, non essendo delle strutture flessibili, si muovono per rotazione di due anelli interni, localizzati nella
membrana, e per la presenza di energia proveniente dalla forza motrice dei protoni.
La crescita del flagello avviene non dalla base ma dalla parte apicale, grazie all’aggiunta di molecole di flagellina che,
sintetizzate nella cellula, risalgono la cavità interna del flagello e vanno a sistemarsi nell’estremità terminale attraverso
un processo di autoassemblaggio. Altri tipi di batteri, come quelli acquatici, si muovono invece tramite altre strutture
denominate vescicole gassose, che conferiscono alle cellule la capacità di galleggiare. Le vescicole gassose sono
strutture di natura proteica, a forma di fuso, vuote ma rigide, collocate nel citoplasma, circondate da una membrana
costituita da sub-unità proteiche ripetute e allineate così da formare una struttura rigida, provvista di nervature e
stabilizzata, mediante legami crociati, da un altro tipo di proteina; è proprio la presenza delle molecole proteiche che
conferisce loro la rigidità necessaria per sopportare le pressioni che l’ambiente esterno esercita.
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Fimbrie e pili
Le fimbrie sono delle strutture simili ai flagelli, dai quali si differenziano per la minor lunghezza, il maggior numero e
perché non sono coinvolte nel movimento e, analogamente ai flagelli, sono formate da proteine; la loro importanza è
legata al fatto che permettono ai m.o. di aderire a superfici inerti o di formare degli strati sulle superfici dei liquidi.
I pili, simili alle fimbrie, sono più lunghi e presenti sulla superficie cellulare in una o due coppie.
Capsule e strati mucosi
Con i termini di capsula e strato mucoso ci si riferisce agli strati polisaccaridici che si vengono a formare sulla
superficie dei procarioti per secrezione di sostanze mucose o vischiose. La maggior parte di queste sostanze è
costituita da polisaccaridi. Si può utilizzare anche il termine di glicocalice, definito quindi come il materiale ricco in
polisaccaridi, che viene depositato sulla superficie della cellula.
L’endospora
Le endospore sono delle strutture estremamente resistenti ai mezzi fisici e chimici. Esse si formano internamente alle
cellule e possono essere visualizzate con il microscopio ottico. Si presentano formate da tre strati, che dall’esterno
verso l’interno sono:
1. esosporio: strato di rivestimento sottile e delicato
2. tunica: formata da uno o più strati proteici, anche detta parete della spora
3. corteccia o cortex: formata da uno strato di peptidoglicano lasso all’interno del quale è presente il core della
spora
4. core: costituito da strutture convenzionali come parete cellulare, membrana citoplasmatica, nucleoide, ecc.
Una sostanza tipica dell’endospora è l’acido dipicolinico, che manca nelle cellule vegetative, dal quale dipende la sua
resistenza all’ambiente avverso. L’acido dipicolinico, costituito da un anello amminico che lega in posizione 2-6 due
gruppi carbossilici viene complessato a ioni Ca2+, rende il citoplasma molto più viscoso rallentando i movimenti
interni della spora rendendola resistente alle condizioni ambientali avverse.
Le fasi che portano alla trasformazione della spora in cellula vegetativa sono tre:
1. attivazione: le spore appena ottenute possono o essere scaldate ad una temperatura elevata ma non letale per
qualche minuto oppure conservate per settimane o mesi a 4 °C o a temperatura ambiente. L’attivazione
avviene in presenza di nutrienti specifici
2. germinazione: è una fase molto rapida (dura qualche minuto) che comporta la perdita di rifrangenza, un
incremento della capacità di legare i coloranti e perdita di resistenza al calore e agli agenti chimici. Viene
perso il complesso [Ca2++– acido dipicolinico] e la corteccia
3. crescita: rigonfiamento della cellula per assunzione di acqua e sintesi di nuovo DNA, RNA e proteine; la
cellula fuoriesce dall’involucro e inizia a dividersi.
Sporulazione
La sporulazione avviene quando, in seguito all’esaurimento delle sostanze nutritive, la cellula smette di accrescersi
(fase stazionaria). Il meccanismo può essere suddiviso in 7 fasi e inizia con l’attivazione di geni spora–specifici, che
codificano proteine specifiche della spora:
Fase 1:
• Mancanza di sostanze nutritive essenziali
• Compattamento del DNA
• Attivazione dei geni spora–specifici
Fase 2:
• Invaginazione della membrana per formare il setto della spora
Fase 3:
• Accrescimento del setto intorno al protoplasto
• Formazione della pre–spora
• Formazione delle membrane interna ed esterna
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Fase 4:
•
•
Fase 5:
•
•
Fase 6:
•
Fase 7:
•
Comparsa dell’esosporio tra le due membrane
Formazione dell’abbozzo della corteccia
Incorporazione del Ca2+ nella tunica
Formazione della tunica
Maturazione (sviluppo della resistenza al calore e agli agenti chimici)
Lisi cellulare e liberazione della spora.
Organizzazione del DNA procariotico
Il DNA procariotico, a differenza di quello eucariotico, non è contenuto in una struttura delimitata da membrana quale
è il nucleo, ma si presenta come un aggregato al quale si da il nome di nucleoide. In prossimità del nucleoide non ci
sono ribosomi. Nelle cellule procariotiche oltre al nucleoide possono essere presenti una o più piccole molecole di
DNA circolari, dette plasmidi.
La cellula eucariote
La cellula eucariotica è più grande e più complessa di quella procariotica, dalla quale si differenzia per la presenza di
un nucleo, struttura delimitata da una membrana, internamente al quale è presente il DNA, organizzato in cromosomi,
strutture che rimangono invisibili fino al momento della divisione cellulare (mitosi). Le cellule eucariotiche si
contraddistinguono anche per la presenza di organelli, importanti per lo svolgimento di funzioni particolari. Al pari
della cellula procariotica, anche la cellula eucariotica è circondata da una membrana plasmatica, la cui unità strutturale
di base è rappresentata dagli steroli, molecole planari rigide che stabilizzano la membrana rendendola meno fluida.
Negli eucarioti, il movimento è reso possibile dalla presenza di flagelli, che si muovono secondo un movimento a
frusta e sono formati da microtubuli; altre strutture coinvolte nel movimento sono le ciglia, simili ai flagelli ma più
corte e più numerose.
La principale differenza tra procarioti ed eucarioti è la presenza del nucleo, formato da due membrane, separate da uno
spazio di spessore variabile, delle quali quella esterna si fonde in diverse parti con i sistemi di membrane presenti
all’interno del citoplasma. La membrana nucleare è provvista di numerosi pori, generati dalla fusione delle due
membrane, che permettono il movimento molecolare in entrambe le direzioni. Internamente al nucleo, è presente il
nucleolo, ricco di RNA e sede della sintesi dell’r–RNA. Sempre nel nucleo, è presente la molecola del DNA che si
avvolge intorno ai complessi istonici, che hanno la funzione di neutralizzare le cariche repulsive della catena del DNA,
formando così il nucleosoma. I diversi nucleosomi, aggregandosi gli uni agli altri, formano la cromatina. Molte
funzioni vitali, nelle cellule eucariotiche, avvengono all’interno di diversi organelli cellulari, tra i quali i più importanti
sono i mitocondri e, nelle cellule vegetali, i cloroplasti.
Mitocondri
I mitocondri rappresentano la sede dei processi di respirazione e fosforilazione ossidativa. Sono provvisti di una
membrana esterna piuttosto permeabile e di un sistema di membrane interne ripiegate a formare le cosiddette creste
mitocondriali. Sulle membrane interne, formate per invaginazione di quelle esterne, risiedono la maggior parte degli
enzimi coinvolti nei processi di respirazione e di produzione di ATP, nonché le proteine che regolano il trasporto dei
metaboliti verso l’interno e verso l’esterno della matrice mitocondriale.
Cloroplasti
I cloroplasti rappresentano il deposito della clorofilla, e sono coinvolti nei processi fotosintetici. Sono formati da una
membrana esterna permeabile, una interna poco permeabile e uno spazio inter–membrana. La membrana interna
circonda il lume del cloroplasto, detto stroma. Internamente si possono trovare una serie di dischi membranosi piatti
detti tilacoidi, sui quali sono collocati la clorofilla, le proteine specifiche, le catene per il trasporto degli elettroni e tutti
gli altri componenti del processo fotosintetico.
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Genetica dei microrganismi
Con il termine di mutazione s’intende una variazione ereditabile della sequenza delle basi dell’acido nucleico. Un
ceppo che porta una simile variazione è detto mutante, e differisce dal ceppo parentale nel genotipo (sequenza dei
nucleotidi del DNA di un genoma) e nel fenotipo (caratteristiche immediatamente identificabili).
Il genotipo viene identificato da tre lettere minuscole seguite da una lettera maiuscola, il tutto in corsivo (es. aaaA).
Il fenotipo è indicato da una lettera maiuscola seguita da due lettere minuscole, affiancate da un segno + o –, che
indica la presenza o meno di quel carattere (es. His+).
Isolamento di mutanti
Le mutazioni possono essere distinte in:
• selezionabili: conferisce, al mutante che le presenta, un vantaggio selettivo tale che la sua progenie sarà in
grado di prendere il sopravvento su quella parentale. Un esempio può essere la resistenza ad un farmaco: il
ceppo parentale in presenza di questa sostanza verrebbe ucciso, ma non il ceppo mutante. È possibile
individuare un ceppo che porta questa mutazione mediante la selezione, poiché ci permette di isolare un
singolo mutante da una popolazione contenente diverse cellule parentali.
• non selezionabili: queste mutazioni non conferiscono al mutante né un vantaggio né uno svantaggio. Queste
possono essere identificate esaminando un’estesa popolazione di organismi, anche se spesso il fenotipo non è
semplice da riconoscere. Esistono inoltre altri mutanti, come quelli nutrizionali, che possono essere identificati
con la tecnica della Replica plating, che permette di replicare le colonie su piastre prive di elementi nutritivi.
Un mutante nutrizionale, definito come mutante che presenta una particolare richiesta per un fattore di
crescita, è detto auxotrofo, mentre il ceppo parentale da cui esso deriva prende il nome di prototrofo.
Un metodo molto usato per isolare mutanti nutrizionali è basato sull’uso della penicillina come agente
selettivo: normalmente i mutanti che presentano richieste nutrizionali sono svantaggiati nella competizione
con le cellule parentali e per questo non esiste un modo per isolarli. Poiché la penicillina uccide solo le cellule
in crescita, se questa viene somministrata ad una popolazione in crescita su un terreno che manca di un fattore
nutrizionale, le cellule parentali moriranno, mentre il mutante che non è in grado di crescere sfuggirà
all’azione dell’antibiotico. Si farà quindi incubare la popolazione microbica in assenza del fattore di crescita e
in presenza di penicillina, l’antibiotico verrà poi allontanato e si farà crescere la popolazione in condizioni
permissive. Tra le colonie ve ne saranno di tipo wild type che sono sfuggite all’azione della penicillina e altre
che rappresentano il mutante nutrizionale cercato. L’uso della penicillina è un esempio di selezione negativa in
quanto si seleziona il mutante contro il parentale.
Le modificazioni a livello del DNA si ripercuotono sulle caratteristiche dell’organismo: esse sono spesso dannose
anche se occasionalmente possono apportare vantaggi.
Basi molecolari della mutazione
Un’altra classificazione, permette di suddividere le mutazioni in:
• spontanee: dovute all’azione di radiazioni naturali che alterano la struttura delle basi del DNA e portano ad un
appaiamento sbagliato delle basi durante la replicazione del DNA.
• indotte: dovute all’azione di agenti mutageni
• puntiformi: sono mutazioni che coinvolgono una o pochissime paia di basi di DNA. Possono essere causate da
sostituzione, inserzione o delezione. Come per tutte le mutazioni, il cambiamento dipende dal punto esatto in
cui cade la mutazione nel gene, da quale nucleotide è cambiato e da quale è il prodotto del gene.
Sostituzione di basi
Sono mutazioni causate dalla sostituzione di una base in una tripletta. Un esempio potrebbe essere rappresentato dalla
tripletta UAC che codifica per l’amminoacido tirosina; se in questa tripletta andiamo a sostituire la terza base C con
un’altra base come l’uracile, ottenendo il codone UAU, possiamo notare che anche questa tripletta codifica per lo
stesso amminoacido. Questo tipo di mutazione è detta silente, e si verifica sempre a livello della terza base.
Le mutazioni più significative sono quelle che interessano le prime due posizioni, le quali determinano un
cambiamento nell’amminoacido che viene codificato. Queste sono chiamate mutazioni missenso, poiché la sequenza
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amminoacidica del peptide è cambiata e se il cambiamento è avvenuto in un punto critico della catena, la proteina può
risultare inattiva.
Vi sono inoltre casi in cui la sostituzione può portare alla formazione di un codone di arresto, al quale si deve la
conclusione anticipata della traduzione. Queste sono le mutazioni nonsenso, poiché determinano la formazione di un
codone per il quale non esiste il corrispondente t–RNA.
Mutazioni dovute a scivolamento della fase di lettura (frameshift)
L’inserzione o la delezione di una base in un codone, provoca uno slittamento della fase di lettura, modificando
completamente la traduzione del gene, la cui funzionalità può essere ripresa, inserendo una base nel punto in cui se ne
è verificata la delezione.
Retromutazione o reversione
Essendo la mutazione puntiforme un processo reversibile, è possibile riottenere il fenotipo wild type con una seconda
mutazione. Queste mutazioni vengono dette mutazioni soppressive, che compensano gli effetti della mutazione
originale.
Mutazioni che coinvolgono molte paia di basi (macrolesioni)
Le delezioni sono mutazioni che comportano l’eliminazione di una regione del DNA. Le microdelezioni sono invece
mutazioni che coinvolgono una o poche paia di basi, determinando lo spostamento nella lettura del codice genetico,
inattivando così il gene.
Esistono anche delezioni che coinvolgono centinaia o migliaia di basi, che causano l’inattivazione di tutti i geni
coinvolti nella delezione. Visto che alcune delezioni possono interessare più geni, è possibile ripristinare il fenotipo
wild type soltanto tramite il processo della ricombinazione genetica.
Le inserzioni si hanno invece in seguito all’aggiunta di nuove basi nel DNA. Anche in questo caso le basi aggiunte
possono essere molto numerose, e tali da interessare l’inserimento di grossi frammenti di DNA, di lunghezza variabile
da 700 a 1400 bp, dette sequenze d’inserzione.
Vi sono altre mutazioni, dette traslocazioni, che sorgono in seguito all’inserimento di un frammento di DNA in una
nuova posizione, e le inversioni, mutazioni causate dall’inversione nell’orientamento di un particolare segmento di
DNA.
Agenti mutageni
Mutageni chimici
Si distinguono diversi tipi di mutageni chimici:
• Analoghi delle basi: composti strutturalmente simili alle basi puriniche (adenina e guanina) e pirimidiniche
(citosina e timina) del DNA, ma dotate di una diversa capacità di appaiamento. La replicazione può avvenire
normalmente ma in loro presenza si potrebbe avere l’incorporazione di una base sbagliata nell’elica replicata.
• Agenti alchilanti: agiscono direttamente sul DNA, inducendo cambiamenti anche in assenza di replicazione.
• Acridine: sono molecole planari che funzionano da agenti intercalanti; si inseriscono nella doppia elica del
DNA, distorcendone la struttura e determinando lo spostamento di lettura del codice genetico in seguito
all’incorporazione di una base.
Radiazioni
Vengono suddivise in:
• Radiazioni ionizzanti: sono i raggi X e i raggi γ, dotati di un elevato contenuto energetico. Esercitano il loro
effetto mutageno indirettamente, tramite la produzione di radicali liberi, come i gruppi ossidrili OH–, i quali,
legandosi al DNA ne determinano l’inattivazione. La loro dannosità sul DNA è in funzione della dose che
viene utilizzata, poiché se usate a basse dosi hanno un effetto limitato, ma se usate a dosi maggiori, possono
determinare la morte cellulare. Hanno la capacità di attraversare diversi materiali, ma essendo molto dannose e
difficilmente disponibili, non vengono usate per indurre mutazioni sui m.o.
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•
Radiazioni non ionizzanti: sono i raggi UV, che inducono la formazione di dimeri di pirimidine nel DNA,
meccanismo mediante il quale due basi pirimidiniche (citosina e timina) adiacenti sono legate covalentemente.
Di conseguenza aumenta la probabilità che la DNA–polimerasi incorpori nucleotidi errati.
Mutazioni che insorgono in seguito alla riparazione del DNA
I diversi agenti mutageni possono danneggiare il DNA la cui riparazione a volte non avviene correttamente,
determinando così il verificarsi di una mutazione. In seguito al danneggiamento del DNA, viene attivato il sistema
regolativo SOS, responsabile del processo di riparazione, ultimato il quale, il sistema SOS viene represso dalla
proteina LexA, che a sua volta viene inattivata dalla RecA, proteasi attiva solo nel caso in cui il DNA sia stato
gravemente danneggiato. Possono verificarsi mutazioni poiché la riparazione avviene in assenza di uno stampo.
Ricombinazione genetica
La ricombinazione genetica è il processo attraverso il quale due elementi genetici provenienti da fonti diverse si
vengono a trovare nella stessa unità genetica. Ciò che a noi interessa maggiormente è la ricombinazione generale o
omologa, che consiste nello scambio di materiale genetico tra due sequenze omologhe di DNA di diversa provenienza.
Eventi molecolari della ricombinazione genetica
Nei batteri, il meccanismo della replicazione prevede il coinvolgimento di una specifica proteina, detta RecA, la quale
quando si lega al DNA a singolo filamento, porta alla formazione di una struttura ad elica che facilita il processo. Le
fasi che regolano il fenomeno sono:
1. taglio di uno o due filamenti di DNA e sua rimozione da parte di un’elicasi
2. una proteina si lega all’altro filamento di DNA
3. la proteina RecA si lega al filamento rotto e lo posiziona in maniera tale da favorirne l’appaiamento con la
sequenza complementare di un’altra molecola di DNA, dalla quale sarà stato rimosso uno dei filamenti.
Questo processo è detto anche invasione di filamento. Con l’appaiamento dei due filamenti può avvenire la
ricombinazione.
È un processo che vede la partecipazione di DNA–polimerasi e ligasi. Da esso si formeranno nuovi genotipi se le due
molecole differiscono geneticamente nelle regioni esterne a quella coinvolta nella ricombinazione. Nei procarioti, la
ricombinazione genetica, prevede il trasferimento di un frammento di DNA da una cellula donatrice verso una cellula
ricevente secondo tre meccanismi:
1. trasformazione: il frammento di DNA è inserito direttamente in una cellula competente
2. trasduzione: il trasferimento è mediato da un fago
3. coniugazione: il trasferimento richiede che le due cellule entrino in contatto.
Trasformazione genetica
È il meccanismo con cui un frammento di DNA viene inserito direttamente nella cellula, la quale dev’essere
competente, ossia dev’essere in grado di accettare il frammento e di essere trasformata. Il carattere della competenza è
un fattore ereditabile, posseduto solo da alcuni ceppi di m.o. In alcuni batteri è regolata da specifiche proteine
coinvolte nei meccanismi di adsorbimento e processamento del DNA. Queste proteine includono una proteina di
membrana, una autolisina e varie nucleasi (adesine e porine).
Adsorbimento del DNA
L’assunzione del DNA da parte dei batteri può avvenire in diversi modi. In alcuni casi (Gram+) le molecole di DNA
vengono introdotte interamente, ma alla fine solo un filamento verrà incorporato nel genoma tramite ricombinazione.
In altri casi (Gram–) verrà introdotto un solo filamento mentre il filamento complementare viene degradato.
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Integrazione del DNA trasformante
Il DNA trasformante si lega alla superficie della cellula mediante una proteina di membrana, quindi viene introdotto o
come doppia elica o come singolo filamento (poiché l’altro è stato degradato da una nucleasi). Una volta entrato, il
DNA si lega ad una proteina specifica della cellula competente, in modo che lo protegga dall’attività di un’altra
nucleasi, finché non raggiunge il cromosoma, in prossimità del quale viene sostituita dalla RecA. Il DNA viene
integrato nel genoma, e dalla sua replicazione vengono formate altre due molecole di DNA: una con caratteri parentali
e l’altra con quelli ricombinanti.
Trasfezione
È il processo con cui i batteri possono essere trasformati mediante il DNA estratto da un virus e non da un altro
batterio.
Induzione artificiale della competenza
La competenza può essere indotta artificialmente tramite la modificazione di fattori come i terreni di coltura, la
temperatura, il pH. È importante anche la presenza di nucleasi intracellulari. La competenza può essere indotta in E.
coli trattando il terreno di coltura con alte concentrazioni di Calcio e incubando il tutto a basse temperature.
Elettroporazione
Consiste nel sottoporre le cellule ad un campo elettrico che determina la formazione nella membrana di piccoli pori,
attraverso i quali le molecole di DNA possono penetrare più frequentemente. Con questa tecnica è possibile inserire un
plasmide da una cellula ad un’altra, entrambe presenti durante il trattamento.
Negli eucarioti, visto che le cellule sono più grandi, per introdurre DNA è stato sviluppato un altro sistema, che
prevede l’uso di una pistola a particelle, che spara microproiettili ad alta velocità. Un piccolo cilindro con polvere da
sparo viene usato per sparare, sulle cellule bersaglio, le particelle sulle quali è stato adsorbito l’acido nucleico. Le
particelle bombardano la cellula perforando la parete cellulare e la membrana, senza distruggerle. L’acido nucleico
penetrato nella cellula può ricombinare con il DNA ospite. È un metodo usato anche per trasferire lieviti, alghe, cellule
vegetali, cloroplasti e mitocondri. È un metodo utile perché, a differenza dell’elettroporazione, può essere usato in
tessuti intatti.
Trasduzione
Nella trasduzione, il DNA viene trasferito da una cellula all’altra mediante un virus. Il trasferimento può avvenire in
due modi:
1. Trasduzione generalizzata: qualsiasi porzione del genoma dell’ospite può sostituire il genoma virale nel
virione maturo.
2. Trasduzione specializzata: solo un gruppo specifico di geni dell’ospite viene integrato direttamente nel
genoma virale.
Trasduzione generalizzata
È stata studiata per la prima volta nel batterio Salmonella typhimurium, infettato dal fago P22. Durante l’infezione, gli
enzimi responsabili dell’impacchettamento del DNA virale introducono accidentalmente DNA dell’ospite, portando
alla formazione di particelle trasducenti, le quali, non possedendo DNA virale, non danno inizio ad un’altra infezione,
risultando quindi difettive. Le particelle trasducenti possono essere formate sia da fagi virulenti che temperati, purché
presentino un meccanismo di impacchettamento del DNA, che permetta il riconoscimento accidentale del DNA
dell’ospite, prima che il genoma dell’ospite sia completamente degradato.
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Trasduzione specializzata
È stata studiata usando come esempio la trasduzione dei geni responsabili dell’utilizzo del galattosio mediata dal fago
temperato λ di E. coli. In questo caso, quando una cellula viene infettata, il DNA del fago va ad inserirsi in un punto
ben preciso del DNA batterico, ossia nella zona adiacente a quella occupata dai geni responsabili dell’utilizzo del
galattosio. Per induzione (ottenuta con raggi UV) della cellula lisogena, il DNA del fago si separa da quello batterico,
si moltiplica e determina la lisi cellulare. A volte, però, insieme al DNA del fago, si separa anche quello batterico,
portando alla formazione di particelle fagiche alterate, che sono difettive perché non mature.
Se generiamo un’infezione mista, mediata da fagi difettivi e da fagi normali (helper), i fagi difettivi acquisteranno la
capacità di infettare nuove cellule batteriche inducendo la trasduzione.
Un’importante differenza tra trasduzione specializzata e generalizzata è che nella prima il DNA trasducente che verrà
incorporato nel fago, si origina in seguito all’induzione di una cellula lisogena, mentre nella seconda, il DNA
trasducente si può formare sia per induzione della cellula lisogena, sia mediante l’infezione di una cellula non lisogena
con un fago temperato, a cui seguirà la replicazione del fago e la lisi cellulare.
Conversione fagica
È un fenomeno analogo alla trasduzione specializzata, che si ha quando un fago temperato normale lisogenizza una
cellula ed integra il suo DNA come profago. Questo fa si che la cellula diventi immune nei confronti di un secondo
attacco da parte dello stesso fago. L’acquisizione di immunità viene vista come un cambiamento fenotipico, insieme al
quale se ne possono verificare degli altri.
Plasmidi
I plasmidi sono elementi genetici extracromosomali, in grado di riprodursi autonomamente. Essi possono essere
trasferiti da una cellula all’altra tramite la coniugazione (plasmidi coniugativi), mentre altri possono integrarsi nel
cromosoma, risultando così la loro replicazione sotto il controllo cromosomale.
Evidenze fisiche dell’esistenza dei plasmidi
Strutturalmente i plasmidi si presentano come molecole di DNA circolare a doppia elica, la cui dimensione è venti
volte inferiore di quella del cromosoma; se questa molecola viene isolata, si presenta in forma superavvolta, la quale si
trasforma in forma circolare aperta o in forma lineare a doppia elica se vengono tagliati rispettivamente uno o entrambi
i filamenti.
Perdita di plasmidi (curing)
Spesso i plasmidi vengono persi dalla cellula ospite che li contiene, ciò è dovuto all’inibizione della replicazione del
plasmide non accompagnata da una contemporanea inibizione della replicazione del cromosoma. Di conseguenza, in
seguito a divisione cellulare , il plasmide non sarà ereditato da tutte le cellule.
Struttura e replicazione dei plasmidi
Il plasmide F di E. coli è un plasmide coniugativo, che può essere trasferito nella cellula ricevente sia in forma isolata
che integrato nel DNA cromosomale della cellula donatrice. I plasmidi coniugativi sono più grandi di quelli non
coniugativi, e la loro trasmissibilità, mediante coniugazione, è regolata da un gruppo di geni plasmidici denominata
regione tra, la quale, in riferimento al plasmide F, occupa circa 30 kilobasi, inoltre, il plasmide F contiene diverse
sequenze specifiche che gli permettono di unirsi al cromosoma formando i ceppi Hfr. I plasmidi che hanno la capacità
di integrarsi nel cromosoma sono detti episomi. Molti plasmidi di batteri Gram+, si replicano secondo un meccanismo
a cerchio rotante, che porta alla formazione di un intermedio a singolo filamento, quindi questi plasmidi vengono
riportati come plasmidi a singolo filamento.
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Pili F e pili I
I pili F sono coinvolti nel trasferimento del plasmide F. I pili I sono coinvolti nel trasferimento di plasmidi responsabili
della resistenza ad antibiotici e di altri caratteri.
Plasmidi di resistenza
I plasmidi R hanno la capacità di conferire resistenza verso gli antibiotici e ai diversi fattori che inibiscono la crescita;
ciò è possibile perché portano diversi geni che codificano proteine che possono o inattivare l’antibiotico o influenzare
il suo trasporto nella cellula; essi inoltre, possono portare geni che codificano per caratteristiche diverse da quella della
resistenza, come la regione tra, coinvolta nel processo coniugativo, oppure portano i geni necessari per la propria
replicazione e quelli che controllano la produzione di proteine che impediscono l’introduzione di un altro plasmide
simile secondo un processo di incompatibilità.
Coniugazione
La coniugazione è un metodo di ricombinazione
genetica, con il quale il trasferimento di materiale
genetico è possibile mediante l’unione della cellula
donatrice con quella ricevente. Nel processo, l’unione tra
le cellule è resa possibile grazie alla presenza di strutture
particolari, situate sulla superficie cellulare, denominate
pili sessuali i quali, dopo avvenuto il contatto,
regrediscono portando così alla formazione di un ponte
coniugativo, attraverso il quale il DNA passa nella cellula
ricevente. Il trasferimento del DNA richiede però che
esso venga sintetizzato nella cellula donatrice, mediante
un meccanismo a cerchio rotante, con il quale il plasmide
rompe il suo DNA. Quindi il DNA ruota su se stesso, e
proprio durante questa rotazione il filamento viene
trasferito nella cellula ricevente, nella quale dev’essere
sintetizzato
contemporaneamente
il
filamento
complementare; il plasmide coinvolto nel processo è il
plasmide F di E. coli, la cui presenza conferisce alla cellula tre proprietà:
1. Capacità di sintetizzare il pilo F
2. Capacità di mobilizzare il DNA, in modo da trasferirlo in un’altra cellula
3. Capacità di alterare i recettori di membrana in modo che la cellula non si comporti più da ricevente nel
processo.
Formazione e caratteristiche di un ceppo Hfr
I ceppi Hfr si formano grazie all’integrazione del plasmide F in siti specifici del cromosoma. Questi, nonostante
trasferiscono geni cromosomali ad alta frequenza, non hanno la capacità di trasformare cellule F– in F+, poiché il
plasmide F può essere trasferito solo in rari casi, mentre le cellule F+ possono trasformare le cellule F– in F+, a causa
della natura trasmissibile del plasmide.
• Le cellule F– sono cellule che non possiedono il plasmide
• Le cellule F+ sono cellule che possiedono un plasmide F non integrato nel cromosoma.
Trasferimento di geni cromosomali sul plasmide F
Si possono verificare dei casi in cui il plasmide F si separa dal cromosoma e incorpora geni di origine cromosomale e
formanti i plasmidi F', che differiscono dal plasmide F poiché presentano geni cromosomali identificabili che possono
trasferire con alta frequenza in cellule riceventi.
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Mappe genetiche dei batteri
I tre meccanismi di ricombinazione genetica studiati ci permettono di ottenere delle mappe genetiche, ossia di
localizzare i diversi geni. Di solito questo è realizzabile con la coniugazione, mediante l’utilizzo di ceppi Hfr diversi
che iniziano il trasferimento del DNA in punti diversi del cromosoma. Con questo metodo, è possibile mappare
l’intero cromosoma batterico.
Ingegneria genetica e biotecnologie
Clonaggio genico
Il clonaggio genico è la tecnica che permette di isolare grandi quantità di geni specifici in forma pura; ciò è possibile
trasferendo il gene desiderato da un genoma grande e complesso verso uno più piccolo e più semplice mediante il
meccanismo della ricombinazione in vitro, con cui il DNA verrebbe frammentato e i frammenti riuniti. Le fasi del
clonaggio genico sono 5:
1. isolamento e frammentazione del DNA
2. legazione del frammento di DNA con un vettore di clonaggio mediante DNA–ligasi
3. introduzione nell’ospite e formazione delle genoteche, ossia miscele di cloni, dei quali alcuni possiedono il
gene desiderato mentre altri sono il risultato dell’unione di altri frammenti di DNA con i vettori di clonaggio
4. isolamento e purificazione del clone desiderato
5. produzione di un elevato numero di cellule contenenti il clone desiderato, che verrà isolato per essere studiato
Plasmidi come vettori di clonaggio
I vettori di clonaggio che vengono usati maggiormente sono i plasmidi perché:
• hanno delle dimensioni molto ridotte e questo facilita la manipolazione e l’isolamento del DNA
• hanno una forma circolare, e questo rende stabile il DNA durante l’isolamento
• hanno una replicazione indipendente dal controllo cromosomale
• hanno un elevato numero di copie per cellula, rendendo facile l’amplificazione del DNA
• hanno dei marcatori selezionabili (resistenza ad antibiotici), agevolando quindi l’identificazione e l’isolamento
dei cloni contenenti plasmidi
Un esempio di vettore di clonaggio è il plasmide pBR322, il quale presenta:
• dimensione ridotta
• si mantiene stabilmente nel suo ospite ad un numero alto di copie per cellula
• può essere amplificato fino ad un numero elevato di copie per cellula
• è facile da isolare in forma superavvolta
• presenta diversi siti unici per diversi enzimi di restrizione, in modo da linearizzare la molecola senza
frammentarla
• presenta due marcatori di resistenza agli antibiotici Ampicillina e Tetraciclina, che permettono una facile
selezione delle cellule ospiti contenenti il plasmide
Nel caso in cui il DNA esogeno si inserisca in uno di questi siti, la cellula perde la resistenza nei confronti
dell’antibiotico, secondo un processo detto inattivazione inserzionale.
Il pBR322 è un plasmide realizzato in vitro, mentre inizialmente venivano usati i plasmidi presenti in natura.
Attualmente vengono usati altri plasmidi, dotati di un poli–linker o sito di clonaggio multiplo, ossia un breve segmento
di DNA con molti siti di restrizione unici.
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Batteriofagi come vettori di clonaggio
Anche il fago λ può essere usato come vettore di clonaggio per la ricombinazione in vitro. I vantaggi che esso
comporta sono:
• può contenere una maggiore quantità di DNA rispetto ai plasmidi
• può essere usato per infettare cellule ospiti, in modo da ottenere una più efficiente trasformazione
• ha un genoma complesso, una parte del quale (tra i geni J ed N) non è fondamentale e può essere sostituita con
DNA esogeno
Vettori derivati del fago λ
Il fago λ originario, non si presta molto bene ad essere usato come vettore di clonaggio, poiché presenta molti siti di
restrizione per diversi enzimi; per superare questo inconveniente, sono stati ottenuti dei fagi λ modificati, per
mutazioni puntiformi, da quelli originari, ottenendo così fagi λ modificati con un solo sito di restrizione, nel quale
s’inserisce il DNA esogeno, e fagi λ modificati con due siti di restrizione, in modo che il DNA fagico venga sostituito
con DNA esogeno, chiamato questo come vettore di sostituzione, che viene usato quando si vuole clonare un
frammento di DNA di grandi dimensioni.
Cosmidi
Sono vettori plasmidici in cui sono stati inseriti i siti cos del genoma di λ, che servono per impacchettare il DNA nel
virione di λ; il loro utilizzo permette:
1. di clonare grossi frammenti di DNA
2. di conservare il DNA per molto tempo, essendo più stabili di un fago.
Ospiti per i vettori di clonaggio
Devono presentare:
• crescita rapida
• capacità di svilupparsi in un terreno di coltura poco costoso
• non devono essere patogeni
• capacità di essere trasformato con DNA e stabilità in coltura
Ospiti procarioti
•
Escherichia coli: non è adatto ad essere usato su larga scala poiché:
è un batterio patogeno
trattiene le proteine prodotte nell’ambiente periplasmatico, evitandone l’estrazione e la purificazione.
Tuttavia, sono stati ottenuti dei ceppi di E. coli modificati che hanno permesso di ovviare a tutti questi problemi.
•
Bacillus subtilis: è un batterio Gram+:
non patogeno
non produce tossine
riversa le proteine prodotte nel terreno di coltura
Al contempo presenta:
instabilità plasmidica
il DNA esogeno viene perso facilmente
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Ospiti eucarioti
•
Saccharomyces cerevisiae: per il clonaggio in lievito, vengono usati i plasmidi YAC, che permettono la
trasformazione con DNA geneticamente manipolato. I plasmidi YAC sono cromosomi artificiali di lievito, che si
replicano in lievito come normali cromosomi ma contengono siti dove può essere inserito il DNA.
Identificazione del clone corretto
L’identificazione del clone corretto è un punto fondamentale nella tecnologia del DNA ricombinante; un modo di
identificazione è quello di basarsi su un marcatore (resistenza agli antibiotici), cui il gene d’interesse sia associato;
all’interno delle colonie di cellule, dovremo individuare quelle che presentano il marcatore, e in queste, quelle che
presentano brevi tratti di DNA esogeno che interessa o che producono le proteine che si vogliono.
Il gene esogeno è espresso nell’ospite
Se il gene esogeno è espresso nell’ospite, cioè la proteina viene sintetizzata, possiamo adottare diversi metodi che
evidenziano la presenza della proteina nei cloni ricombinanti. Visto che il gene codifica per una proteina, il clone
ricombinante produrrà questa proteina, che però non dev’essere prodotta dall’ospite; se invece l’ospite produce la
proteina, dovrà essere reso difettivo, ossia dovrà andar incontro ad una mutazione che gli permetta di sintetizzare la
proteina solo dopo l’incorporazione del DNA esogeno.
Gli anticorpi come mezzo di identificazione di proteine
Le proteine possono essere identificate mediante l’uso di anticorpi, che sono delle sieroproteine, che si combinano in
maniera specifica con altre proteine dette antigeni (che nel nostro caso rappresentano la proteina che c’interessa);
l’identificazione dell’anticorpo legato all’antigene, è possibile mediante l’uso di sostanze radioattive specifiche per
l’anticorpo.
Le sonde ad acidi nucleici: ricerca del gene
Le sonde ad acidi nucleici vengono usate quando nell’ospite che è stato clonato non si ha l’espressione del gene, o
quando non si hanno anticorpi specifici per la proteina di interesse. Il loro utilizzo richiederà la presenza di una
porzione chiave della sequenza di basi del gene che c’interessa, e potrà essere data sia dal DNA che dall’RNA.
Nella procedura generale, si punta ad ottenere l’ibridazione tra la sonda (marcata con P radioattivo) e il gene che
c’interessa, per via della elevata complementarietà di questi due tratti.
Amplificazione del DNA: reazione a catena della polimerasi (PCR)
La PCR è una tecnica che ci permette di amplificare il DNA in vitro, per far ciò è richiesta la presenza di un enzima, la
DNA–polimerasi (estratto da E. coli) e di sequenze oligonucleotidiche dette innesti. La PCR consiste nel:
1. denaturare la doppia elica di DNA–bersaglio mediante calore
2. abbassamento della temperatura per favorire l’ibridazione fra gli inneschi
3. estensione degli inneschi per attività della DNA–polimerasi
La DNA–polimerasi è però un enzima che viene facilmente danneggiato dalle elevate temperature che si raggiungono
durante la denaturazione, e questo impone l’aggiunta, ad ogni ciclo di PCR, di nuova polimerasi, determinando
maggiori spese riducendo il numero dei cicli di PCR da effettuare. Questo inconveniente è stato risolto mediante l’uso
di un altro enzima, ossia la Taq–polimerasi, estratto dal batterio acquatico Thermus acquaticus, che risulta più stabile a
95 °C, risentendo meno delle elevate temperature che si raggiungono durante la denaturazione; esso però non ha
attività nucleasica, nel senso che non demolisce i nucleotidi che vengono incorporati erroneamente.
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