IMMAGINI
AL SERVIZIO DELLA PROPAGANDA
di Christine Pennison
1. Cartolina Gloria ai difensori della Patria, scaricata dal sito
internet www.grandeguerra.org
Il conflitto scoppiato in Europa nell’agosto del 1914 e che,
nelle intenzioni degli alti comandi, avrebbe dovuto concludersi
“entro Natale”, ebbe un impatto sociale senza precedenti - la
coscrizione e il reclutamento di massa, la trasformazione
industriale necessaria per far fronte alla richiesta di materiale
bellico, l’impegno finanziario e economico, la necessità di
provvedere ai mutilati e alle famiglie dei morti, l’inserimento
delle donne nel mondo del lavoro in sostituzione degli uomini
mandati al fronte. Per tutti i governi divenne essenziale
conservare il consenso non soltanto delle forze armate ma anche
della popolazione civile e in conseguenza la prima guerra mondiale
divenne anche la prima guerra a richiedere un imponente sforzo di
informazione e di propaganda. In Italia questa necessità divenne
anche più impellente nell’ultimo anno della guerra dopo l’avanzata
austriaca a Caporetto.
La propaganda prendeva la forma di selezione delle notizie da
diffondere, citando la necessità di non pubblicare cose che
avrebbero potuto fornire informazioni utili al nemico, ma era
anche di fatto mirata a nascondere o ad offuscare tutto ciò che
avrebbe potuto sconvolgere i civili che leggevano. In un simile
momento di pericolo nazionale non si poteva rischiare lo sviluppo
del dissenso. Così la causa era sempre gloriosa, i propri soldati
sempre valorosi, la vittoria sempre certa, il nemico sempre
vigliacco e barbaro. Se la censura dei propri giornali dimostrava
buon senso e patriottismo la propaganda nemica era ovviamente
simbolo di disonestà. Cambiavano le frasi e i personaggi, ma i
temi fondamentali della propaganda rimanevano quasi costanti, da
un paese all’altro e da una alleanza all’altra.
Si trattava di un tipo di propaganda che mirava essenzialmente
alla popolazione civile. Sarebbe stato infatti piuttosto difficile
convincere i soldati della nobiltà della guerra viste le
condizioni che dovevano affrontare ogni giorno nella dura realtà
del combattimento in trincea. Nel fango delle Fiandre e fra le
nevi delle Alpi il vero nemico si trovava non tanto dall’altro
lato del filo spinato quanto nelle sfide meteorologiche. È stato
calcolato per esempio che fra i due eserciti sul fronte italoaustriaco furono 60.000 gli uomini uccisi da valanghe, e un numero
ancora maggiore fu colpito da assideramento, polmonite e altre
malattie.
Non si era ancora diffusa la frase “un’immagine vale 10.000
parole”, ma si ricorreva in maniera massiccia all’uso di disegni
su manifesti, giornali illustrati e cartoline che riportavano
caricature e simboli per incoraggiare il popolo. Questo ricorrere
alle immagini invece che alle parole fu ancora più importante in
quei paesi, fra cui l’Italia, dove sussisteva ancora un alto tasso
di analfabetismo. Infatti, come si vede dai ruoli matricolari dei
soldati in cui spesso appare la parola “No” alle domande “sa
scrivere?/ sa leggere?” questo rimaneva un problema comune per
contadini e braccianti, nonché per le loro famiglie.
Non era tanto l’impiego di disegni per scopi propagandistici
la novità nella Grande Guerra quanto la vasta diffusione di
questi. Il vero elemento originale fu il ricorso su vasta scala
alla fotografia. L’impressione di realismo, e in conseguenza di
veridicità, delle fotografie e di disegni talmente accurati da
sembrare fotografie, erano infinitamente più convincenti delle
caricature o dei simboli. Un ritratto a penna di Cesare Battisti
davanti ai suoi carnefici non avrebbe mai potuto produrre lo
stesso effetto della fotografia che lo ritrae, fiero e deciso, che
va verso la morte a testa alta, convinto dei suoi ideali. Non si
erano ancora sviluppate le tecniche che negli anni ’40 e ’50
avrebbero permesso ai governi di falsificare o “aggiustare” le
fotografie secondo i propri scopi politici e la popolazione si
fidava implicitamente delle immagini presentate, e in conseguenza
anche del messaggio nascosto. Anche le dichiarazioni più esagerate
e più assurde acquisivano una certa credibilità se accompagnate da
fotografie. Naturalmente vi fu un certo contrasto con le
fotografie scattate dai soldati, lontani dal controllo della
censura, che rappresentavano una guerra ben diversa. Questa fu
anche la prima guerra nella quale tanti uomini, soprattutto
ufficiali,
potevano
permettersi
il
lusso
dell’apparecchio
fotografico.
Alcuni degli esempi di propaganda compresi in questo fascicolo
si
riferiscono
ad
avvenimenti
specifici,
ad
esempio
all’affondamento del Lusitania o alla morte di Cesare Battisti,
per molti invece non vi sono chiare indicazioni cronologiche e di
conseguenza i documenti non sono stati ordinati per data ma divisi
secondo i seguenti temi:
In patria
I militari valorosi
I soldati generosi e premurosi
Gli alleati
La popolazione civile
Gli avversari
Il nemico deriso
Il nemico disprezzato
Il nemico spietato
I militari valorosi della patria
Le cartoline riprodotte qui, che ritraggono i vari corpi delle
forze armate italiane, dovevano fare appello al senso di
patriottismo della popolazione civile e hanno ben poco in comune
con
l’esperienza
dei
soldati
al
fronte
che
le
avranno
probabilmente accolte con un certo senso di ironia o addirittura
con rabbia. Sempre in divisa impeccabile, in posizione formale
oppure eroica (si veda in particolare la cartolina che sembra una
carica della cavalleria ma che avrebbe dovuto invece ritrarre
l’artiglieria), questi militari disegnati ricordano i soldatini di
piombo dei bambini e sembrano ricalcare una visione della guerra
più
tipica
dell’era
vittoriana.
Persino
le
cartoline
con
fotografia, ambientate specificamente sul campo di battaglia,
offrono una visione idilliaca delle condizioni incontrate. Anche
la vita normale dei soldati nei momenti di tregua o dietro le
linee
veniva
riportata
sempre
in
versione
edulcorata
per
rassicurare le famiglie e la popolazione civile. Si vedono le
truppe che ricevono pacchi e doni da casa oppure che avanzano in
marcia allegri e spensierati e non vengono riportati i veri rischi
della guerra di trincea, dal fango delle Fiandre alle valanghe
delle Alpi.
Anche quando la realtà non si poteva nascondere, ad esempio il
numero di morti in battaglia, questi venivano ritratti in
fotografie dignitose, senza accenno alle sofferenze o al sangue.
La pagina che ritrae 25 morti per la patria riportata qui è una
delle tante pubblicate sulla rivista La Guerra Italiana ed è stata
selezionata perché illustra l’impatto della guerra anche sulle
singole comunità. Dei 25 morti ben dodici provenivano da un
singolo paese,Vetralla in provincia di Roma(oggi in provincia di
Viterbo). La seconda fotografia nell’ultima fila è invece di un
pisano.
I soldati generosi e premurosi
Nessuna delle potenze europee voleva che la propria politica
fosse messa in cattiva luce o che i propri militari sembrassero
degli aggressori assassini. Per tutti era essenziale giustificare
l’entrata in guerra e la condotta dei soldati. Così sul periodico
La Guerra Italiana nel 1915 si vede la figura dell’Italia che
sguaina la spada, correndo in aiuto della Britannia e della
Marianne francese contro il barbaro teutonico armato con la torcia
ardente e serpenti, simboli della ferocia e dell’insidia, che
calpesta i cadaveri dei belgi. La rivista tedesca Illustrierter
Kriegs-Kurier invece si soffermava non sulle motivazioni che avevano
portato all’invasione del Belgio neutrale ma sulla generosità
delle truppe nei confronti delle popolazioni civili in tutti i
territori occupati, ivi comprese la Francia e la Russia. Si
ripetono le fotografie di soldati tedeschi che distribuiscono
viveri ai poveri, che dividono il rancio con i bambini, che
trattano con estremo rispetto i morti e feriti nemici, che
trasportano i senza tetto in località più sicure o li aiutano a
portare in salvo le masserizie dalle case in rovine. Naturalmente
manca qualsiasi accenno al modo in cui quelle case erano state
distrutte o alle responsabilità per gli attacchi.
Per un paese che si vantava della propria cultura era
necessario anche far notare la cura con la quale si portavano in
salvo le opere d’arte e il modo con il quale l’artiglieria evitava
di danneggiare le chiese medioevali o altri monumenti. La
responsabilità di eventuali distruzioni veniva poi scaricata sulle
provocazioni del nemico. È colpa dei belgi se le loro chiese sono
a rischio di bombardamenti perché sono stati loro per primi ad
utilizzare i campanili come posti di osservazione, tramutando
edifici di culto in bersagli legittimi di guerra. La notizia è
ancora più autorevole perché riportata originariamente da una
fonte di un paese neutro, un giornale americano.
Gli alleati
Lo stesso rispetto mostrato per i propri soldati si estendeva
ovviamente anche agli alleati. Nelle cartoline di propaganda di
tutti i paesi belligeranti si ripetono gli stessi simboli - le
bandiere, le uniformi militari, i vestiti tradizionali e i
ritratti dei capi di stato delle singole nazioni. Così, pur nel
rispetto delle caratteristiche individuali di ciascun paese, si
dimostra una unione forte, compatta, decisa e in perfetta sintonia
di fronte al pericolo comune.
Nella prima delle due cartoline inglesi riportate qui sono
ritratti i paesi in guerra contro le potenze centrali nel 1914,
con la figura britannica ovviamente davanti a tutti in prima fila,
mentre la seconda ritrae l’ingresso in guerra dell’Italia,
salutata con entusiasmo dagli altri combattenti. L’Italia viene
rappresentata da un bersagliere, un fatto che si ripete sia nelle
cartoline amiche sia in quelle del nemico perché, di tutte le
divise militari delle forze armate italiane, le piume sull’elmetto
costituivano l’elemento più chiaro di identificazione. Allo stesso
modo i tedeschi vengono distinti dall’elmetto con il chiodo. La
cartolina italiana invece riporta le bandiere dei paesi che hanno
aderito alla causa sacra contro la tirannia germanica.
La popolazione civile
Le fotografie dei civili apparse nella stampa avevano un
duplice scopo: da una parte dovevano rassicurare le truppe al
fronte, garantendo loro l’appoggio morale e politico nonché la
cura
delle
loro
famiglie,
mentre
dall’altra
servivano
ad
incoraggiare la popolazione, a massimizzare l’impegno produttivo,
morale e finanziario. Così, inizialmente quando ancora si pensava
ad una guerra che si sarebbe conclusa rapidamente, venivano
pubblicate immagini dell’economia e del lavoro nelle fabbriche che
continuava indisturbato, mentre con il passare degli anni
l’attenzione si spostava sulla Croce rossa, sulle opere di
beneficenza a favore dei soldati, le nuove strutture per
accogliere ad assistere le famiglie dei militari, e infine le
manifestazioni politiche nelle grandi città a favore della guerra
nel momento della crisi dopo Caporetto. Si pubblicizzavano anche
le attività delle donne che partecipavano direttamente alle
attività legate alla guerra, subentrando agli uomini nelle
fabbriche di munizioni o svolgendo il compito di trasporto dietro
le linee.
In tutti i paesi il prolungarsi della guerra e la necessità di
armare e gestire un esercito di milioni di uomini richiedevano
anche finanziamenti straordinari tramite prestiti pubblici. In
Italia i manifesti affissi sui muri di tutte le città con appelli
generici al patriottismo per la sottoscrizione cambiarono tono
dopo il disastro del 1917. Nei manifesti per il V Prestito
Nazionale si ricorse per la prima volta esplicitamente ad immagini
di feriti e di mutilati oltre che alla necessità di resistere
sulla linea del Piave.
Il nemico deriso
Le cartoline disegnate promuovevano una glorificazione delle
virtù e dell’onore del proprio paese e dei suoi alleati, ma anche
la caricatura più spietata e più rozza del nemico. Basati su
pregiudizi razzisti e sul disprezzo culturale, spesso scadendo
nella volgarità, queste immagini furono diffuse da tutte e due le
alleanze in campo. Spesso le raffigurazioni dei singoli paesi si
basavano sulle caratteristiche fisiche, vere o presunte, dei capi
di stato: l’imperatore austriaco vecchio e debole, quello tedesco
grasso, il re d’Italia di bassa statura, ecc. Se la cartolina
italiana La situazione fa vedere il nemico tedesco come un ciccione
talmente stupido che guarda verso le cannonate sull’orizzonte del
tutto ignaro di essere stato preso come bersaglio per freccette
ornate
di
bandiere
francesi,
la
cartolina
Das
europäische
Gleichgewicht 1914 mostra invece i due soldati austriaco e tedesco
come eroi vigorosi più che capaci di far fronte nel tiro alla fune
alla folla di alleati goffi e deboli. Sul fondo la figura piccola
con il cappello troppo grande per la testa che guarda senza
partecipare dovrebbe rappresentare l’Italia. Le Avventure di Cecco
Beppe illustrate da Golia fa vedere l’imperatore austriaco come
vigliacco e, alla fine, destinato al manicomio. Le cartoline
contro i tedeschi tendevano a prendere di mira le loro pretese di
superiorità intellettuale e culturale, mentre la cartolina
austriaca Brigantenfreundschaft (l’amicizia dei briganti) non è
certo più gentile nei confronti degli italiani. Qui il soldato
austriaco, alto e fiero, guarda sprezzante il brutto nanerottolo
italiano, identificato dall’elmetto dei bersaglieri, che finge di
mostrargli tanto affetto, ma che in realtà tiene il pugnale
nascosto.
Il tema dell’italiano traditore e infido era un topos comune
nella propaganda austriaca in riferimento alla decisione italiana
nel 1914 di non entrare in guerra accanto ai poteri centrali e
alla
decisione
successiva
di
stringere
un’alleanza
con
l’Inghilterra e con la Francia. Anche nella cartolina Katzelmocha…
si vede la stessa figura italiana che cerca di colpire alle spalle
il soldato austriaco il quale invece lo caccia dalla montagna con
una pedata senza neanche girarsi. Più minacciosa è l’immagine
della mano di acciaio che blocca la mano assassina italiana
avvertendo “Pensa a Novara e a Custoza, non dimenticare il colpo
subito a Lissa, ci conosciamo e conosciamo i tuoi intrighi,
certamente sta per arrivare il giorno della vendetta”.
Il nemico disprezzato – sconfitto e barbaro
Esprimere disprezzo nei confronti del nemico era essenziale
per rafforzare il morale della popolazione civile, e anche delle
truppe al fronte, e per questo era importante non solo
ridicolizzare l’avversario con caricature ma anche far vedere le
fotografie di prigionieri nemici, scoraggiati e deboli, per
dimostrare l'inevitabilità della vittoria finale. Ancora più
efficace contro il nemico era la propaganda che lo mostrava come
un barbaro incivile, indifferente ai richiami della giustizia o
della clemenza, giustificando così lo sforzo e i sacrifici della
guerra. Le immagini si concentravano su attacchi ad ambulanze o
ospedali, a luoghi di culto e a monumenti storici o culturali e
soprattutto a bersagli civili colpiti senza alcuna giustificazione
apparente. I civili inermi in questione erano naturalmente sempre
rappresentati da donne e bambini mentre gli attacchi sotto accusa
erano quelli lanciati da aerei, sommergibili o dall’artiglieria
pesante a lungo raggio, cioè da quelle armi vigliacche che non
concedevano la possibilità di difendersi o di contrattaccare. Tale
propaganda era utile anche per convincere l’opinione pubblica dei
paesi neutri. Ad esempio nel caso dell’affondamento della nave
inglese Lusitania, l’immagine recepita oltre oceano di donne e
bambini annegati in conseguenza di un attacco spietato e
imperdonabile contribuì a convincere il popolo americano ad
entrare in guerra.
Le truppe coloniali
Anche la presenza di truppe di razza o di religione diversa,
ad esempio di soldati arabi, africani o indiani negli eserciti
francese e britannico, offrì un’occasione propagandistica ai
tedeschi che sfruttarono il senso di superiorità razziale e
culturale diffuso in tutte le società occidentali in quel periodo.
La rivista Illustrierte Kriegs-Kourier - Il Corriere della Guerra di
Berlino, utilizzando una forma di persuasione relativamente
subdola, non denunciava enfaticamente la profanazione del sacro
suolo del continente europeo, ma riportava senza altro commento un
numero di fotografie di soldati africani e asiatici del tutto
sproporzionato alla presenza effettiva di truppe coloniali
all’interno delle forze armate alleate sul fronte occidentale,
lasciando al singolo lettore il compito di trarne le dovute
conclusioni. Da parte italiana invece le varie fotografie di
militari britannici, francesi e statunitensi apparse su La Guerra
Italiana non accennavano alla presenza di truppe di colore e il
tocco più “esotico” era fornito dall’immagine di soldati scozzesi
nel tradizionale gonnellino.
Un trattamento ben diverso veniva riservato dalla stessa
rivista tedesca agli alleati islamici dell’impero ottomano. Nelle
fotografie pubblicate in occasione della proclamazione della
guerra santa dichiarata contro i nemici della Turchia, si vedono
non tanto le immagini dei soldati o dei preparativi della guerra
quanto i massimi luoghi sacri della religione islamica, la tomba
del profeta a Medina e soprattutto la Mecca “il luogo santo dal
quale partirà e si divulgherà nel mondo la proclamazione della
guerra santa”. In realtà la religione non si è rivelato il fattore
determinante per quanto riguardava le popolazioni arabe che hanno
preferito scegliersi le alleanze secondo la situazione politica
locale allo scopo di liberarsi dal dominio straniero, accettando
le armi e aiuti necessari per sollevare rivolte contro i
colonizzatori francesi, inglesi e italiani in nord Africa ma
contro i turchi nel Golfo persico.
Il nemico spietato - Martiri, traditori e spie
L’esemplificazione maggiore della inciviltà del nemico si ha
nei casi di quelle persone che furono considerate martiri perché
trattate ingiustamente come traditori o spie. Le regole e
convenzioni internazionali di guerra prevedevano la pena di morte
anche per i civili dichiarati colpevoli di atti di spionaggio o di
sabotaggio. In pratica però tali condanne si dimostrarono spesso
controproducenti e i danni politici e propagandistici provocati
non solo presso il nemico ma anche in paesi ancora neutri o nei
territori occupati dal martirio di persone considerate vittime
innocenti
pesarono
più
dell’effetto
di
dissuasione
o
di
repressione della resistenza. Si può dire addirittura che alcuni
di questi martiri abbiano contribuito allo sforzo bellico più da
morti che da vivi. Furono esemplari i casi dell’infermiera inglese
Edith Cavell e dell’irredentista trentino Cesare Battisti.
Nel 1915 la Cavell fu mandata davanti al plotone di esecuzione
perché accusata di aver usato l’ospedale da lei gestita a
Bruxelles come nascondiglio per soldati britannici, francesi e
belgi in fuga. La fucilazione di una civile accusata semplicemente
di aver fornito assistenza ai propri connazionali e ai loro
alleati ebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica e la scena
apparve su giornali, manifesti e cartoline. Per rafforzare il
messaggio propagandistico della vittima innocente e indifesa
travolta dalla crudeltà dei militari nemici lei venne sempre
ritratta nell’uniforme di infermiera e sempre sola davanti ai
soldati assassini - i suoi quattro compagni di sventura belgi
invece furono in genere trascurati. La fucilazione costituì un
gigantesco errore di calcolo da parte dei tedeschi che provocò una
condanna universale, anche nei paesi neutrali, e un rafforzamento
delle forze armate alleate sia sul piano morale che su quello
meramente numerico. È stato calcolato infatti che nei due mesi
successivi alla morte della Cavell il reclutamento di truppe
raddoppiò rispetto al periodo precedente (nel 1915 il Regno Unito
non aveva ancora introdotto il servizio di leva e l’esercito era
costituito esclusivamente di professionisti e di volontari).
Altrettanto scalpore sollevò in Italia l’esecuzione di Cesare
Battisti. Nato cittadino austriaco a Trento, fra i principali
sostenitori da anni della liberazione e dell’autonomia delle zone
di lingua e cultura italiane, eletto nel 1911 come deputato al
parlamento di Vienna dove perorò la causa dell’indipendenza,
all’inizio
della
guerra
egli
si
arruolò
come
volontario
nell’esercito italiano, nel corpo degli Alpini. Catturato dagli
austriaci nel 1916 fu condannato in un processo- spettacolo e poi
giustiziato come traditore. A differenza della Cavell però
Battisti viene visto nelle cartoline non tramite disegni di
fantasia, ma in una serie di immagini fotografiche che lo mostrano
in prigione, davanti ai suoi giudici, che si dirige in maniera
dignitosa e a testa alta verso la morte, al momento del supplizio
e in fine come cadavere messo in mostra dal boia. Le fotografie
furono scattate con il consenso delle autorità austriache e poi
largamente diffuse, presumibilmente allo scopo di intimorire la
popolazione di lingua italiana e di scoraggiare altri atti di
ribellione da parte degli irredentisti. L’immagine di Battisti che
“viene consegnato ai suoi carnefici – nello sfondo ufficiali
austriaci puntano gli obbiettivi per ritrarne la scena” dimostra
la volontà, dettata dalla rabbia e dall’odio, di registrare un
ricordo permanente dell’avvenimento. Permettere però che tali
fotografie cadessero in mano agli italiani e che venissero poi
usate
come
propaganda
contro
la
ferocia
e
la
barbarie
dell’esercito nemico si rivelò poi chiaramente contrario agli
interessi dell’impero. I dettagli espliciti del suo martirio, una
morte né rapida né indolore, avranno sicuramente sconvolto tutti
gli italiani che avranno visto le fotografie, rafforzando la
determinazione a liberare i territori del Trentino e di Trieste dal
dominio straniero. La morte del Battisti fu poi sfruttato per
incoraggiare la sottoscrizione al Prestito Nazionale. Queste
immagini sono in netto contrasto con la maggior parte delle
riprese o disegni di guerra distribuiti con l’approvazione delle
autorità che tendevano invece a dimostrare una visione idealizzata
e non cruenta della guerra.