l`uomo, la bestia e la virtu` - luigi pirandello

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Luigi Pirandello.
L'INNESTO - LA PATENTE - L'UOMO, LA BESTIA E LA VIRTU'.
Con la cronologia della vita di Pirandello e dei suoi
tempi
un'introduzione e una bibliografia a cura di Corrado Simioni e
Elena
Albertini.
"L'innesto" copyright Fratelli Treves 1921.
"La patente" copyright La Rivista d'Italia 1918.
"L'uomo, la bestia e la virt—" copyright Comoedia 1919.
Copyright 1950 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
la
raccolta di tutto il teatro in lingua italiana.
Prima edizione B.M.M. gennaio 1950.
4 edizioni Oscar Mondadori.
Prima edizione Oscar Teatro e Cinema novembre 1984.
Quinta ristampa Oscar Teatro maggio 1991.
SOMMARIO.
Pirandello e il suo tempo: pagina 3.
Introduzione: pagina 19.
Bibliografia: pagina 44.
Alcuni giudizi critici: pagina 61.
L'innesto: pagina 77.
La patente: pagina 155.
L'uomo, la bestia e la virt—: pagina 176.
Pirandello e il suo tempo.
La vita e le opere (1867-1936)
1867-1879.
per
Luigi
Pirandello nasce a Girgenti - poi Agrigento - il 28 giugno
1867
da Caterina Ricci-Gramitto e da Stefano Pirandello. La madre
proveniva
da una famiglia che aveva partecipato alle lotte antiborboniche e
per
l'unit… d'Italia. Il padre Stefano era stato garibaldino.
Luigi
trascorse la sua prima infanzia tra Girgenti e Porto Empedocle,
sul
mare. Assiduo lettore di romanzi, a dodici anni scrive una tragedia
in
cinque atti che rappresent• con le sorelle e gli amici.
1880-1886.
Il padre,
vittima di una frode,
cade in dissesto,
e la famiglia
si
trasferisce
a
Palermo.
Nascono
in
Pirandello,
fanciullo
e
poi
adolescente, le prime appassionate accensioni sentimentali;
comincia,
in quegli anni, la sua preparazione umanistica e si palesa la
sua
vocazione letteraria. Nel 1885 la famiglia si stabilisce a
Porto
Empedocle e Luigi rimane a Palermo, dove, lo stesso anno, termina
il
liceo. Ritornato a Porto Empedocle prende coscienza della realt…
umana
e sociale delle solfatare. Si iscrive alle facolt… di legge e
di
lettere a Palermo, dove conosce alcuni dei futuri dirigenti dei
Fasci
siciliani.
1887-1891.
Nel novembre del 1887 si iscrive all'universit… di Roma. Vive
alcuni
mesi in casa dello zio Rocco, luogotenente di Garibaldi ad
Aspromonte.
Scrive in questo periodo alcune opere teatrali che sono
andate
perdute. Nell"89 pubblica "Mal giocondo", una raccolta di poesie.
In
seguito a un incidente con un insegnante decide di
abbandonare
l'universit… di Roma e continua gli studi a Bonn, dove scrive
le
liriche raccolte in "Elegie renane" e "Pasqua di Gea". Il 21
marzo
1891 si laurea con una tesi sugli sviluppi fonetici dei
dialetti
greco-siculi.
1892-1902.
Rientrato a Roma,
collabora
a
diverse
riviste
letterarie.
Il
27
gennaio 1894 sposa a Girgenti Maria Antonietta Portulano.
Fra il
1895
e il 1899 nascono tre
figli:
Stefano,
Lietta
e
Fausto.
Nel
1894
pubblica
una prima raccolta di novelle "Amori senza amore".
Dal
1897
insegna letteratura italiana all'Istituto superiore di Magistero.
Nel
1898
stampa
sulla
rivista "Ariel" il primo testo teatrale,
un
atto
unico dal titolo "L'epilogo",
poi ribattezzato "La morsa".
Nel
1901
pubblica il romanzo "L'esclusa" e nel 1902 "Il turno".
1903-1910.
Una frana
allaga
all'improvviso
la zolfara nella quale il padre
di
Pirandello aveva investito i suoi averi e la dote di Maria
Antonietta.
Lo scrittore si trova in gravi difficolt… economiche e sembra
pensare
al suicidio. Forse sulla base di questa esperienza scrive "Il
fu
Mattia Pascal" (1904). Moltiplica il suo lavoro letterario. Continua
a
collaborare al "Marzocco" e alla "Nuova antologia" e comincia a
dare
lezioni private di tedesco e di italiano: una vita di intenso
lavoro.
Nel 1908 viene nominato ordinario
dell'Istituto
superiore
di
Magistero; nello stesso anno scrive due saggi: "L'umorismo" e "Arte
e
scienza". Ne nasce una lunga polemica con Benedetto Croce. Il
successo
del "Fu Mattia Pascal", tradotto subito in varie lingue, vale
a
Pirandello l'ingresso nella importante Casa editrice Treves.
Collabora
alla rivista "Trisettimanale politico-militare" e successivamente
al
"Corriere
della
Sera".
Nel
1909
pubblica
sulla
"Rassegna
contemporanea" il romanzo "I vecchi e i giovani". Il 9 dicembre
191O
vengono rappresentati al Teatro Metastasio di Roma gli atti unici
"La
morsa" e "Lumie di Sicilia". Nel 1910 pubblica la raccolta di
novelle
"La vita nuda".
1911-1917.
Nel 1913 riscrive "I vecchi e i
giovani",
che
viene
pubblicato
in
volume da Treves. Nel 1912 pubblica la raccolta di novelle
"Terzetti";
"La trappola", altra raccolta di novelle, esce nel 1915, sempre per
le
edizioni Treves. Tra il 1912 e il 1915 scrive una cinquantina
di
novelle, tra cui "Berecche e la guerra", in parte pubblicate
su
rivista, le pi— raccolte in volume. Nel luglio del 1916 Angelo
Musco
porta al successo "Pensaci, Giacomino!".
Pirandello,
stimolato
dall'esito della commedia, scrive altre opere teatrali: "Il berretto
a
sonagli" e "Liol…", entrambe rappresentate da Musco. Nel 1917
scrive
le commedie: "Cos Š (se vi pare)", "La giara" e "Il
piacere
dell'onest…", che vengono rappresentate lo stesso anno. Queste
opere
segnano il passaggio dal verismo all'arte propriamente
pirandelliana.
Nel 1915 gli muore la madre, e si aggrava la malattia psichica
della
moglie. Inoltre il figlio Stefano viene inviato al fronte e
cade
prigioniero.
1918-1922.
Scrive "Il giuoco delle parti" e "Ma non Š una cosa seria", portati
in
scena
rispettivamente
da
Ruggero
Ruggeri
e
da Emma Gramatica
sul
finire del 1918. Presso Treves esce il volume di novelle "Un
cavallo
nella luna". Nel 1920 lascia l'editore Treves e diventa autore
di
Bemporad.
Il 10 maggio 1921 Dario Niccodemi rappresenta
"Sei
personaggi in cerca d'autore", che provoca contrasti nel pubblico
e
nella critica. Nel 1921 la figlia Lietta si sposa e si trasferisce
nel
Cile. Il 24 febbraio 1922 viene rappresentato l'"Enrico
Quarto",
mentre altre sue opere entrano nel repertorio di molte
compagnie
italiane. Nello stesso anno scrive "Vestire gli ignudi", mentre
a
Londra e a New York vengono rappresentati i "Sei personaggi in
cerca
d'autore".
Sempre nel 1922,
Adriano Tilgher,
amico e ammiratore
di
Pirandello,
pubblica "Studi sul teatro contemporaneo", opera che
pone
le basi della critica pirandelliana.
1923-1930.
Prosegue la febbrile attivit… letteraria di Pirandello: fra il
'22
e
il '23 scrive gli atti unici "All'uscita",
"L'imbecille", "L'uomo
dal
fiore in bocca" e "L'altro figlio", e la commedia in tre atti "La
vita
che ti diedi". Nel 1924 scrive per il teatro "Ciascuno a suo
modo",
nel 1927 "Diana e la Tuda", nel 1929 "Lazzaro", nel 1930 "Come tu
mi
vuoi" e "Questa sera si recita a soggetto".
Contemporaneamente
riprende a scrivere novelle e romanzi nel 1926 pubblica "Uno,
nessuno
e centomila". Stefano Pirandello, Orio Vergani, Massimo Bontempelli
e
altri fondano a Roma un Teatro d'Arte: la direzione artistica
Š
assunta da Pirandello. In questa Compagnia debutta Marta Abba,
la
giovanissima interprete che diverr… l'ispiratrice dell'opera di
Luigi
Pirandello degli ultimi anni. Nel 1928, scioltasi la
Compagnia
Pirandelliana, Marta Abba former… poi una propria Compagnia
che
porter… ovunque il teatro di Luigi Pirandello.
1931-1936.
Il successo
internazionale
del
suo
teatro
induce
Pirandello
a
viaggiare
ininterrottamente.
Sono
forse gli anni migliori della
sua
vita.
Il 9 novembre 1934 riceve a Stoccolma il Premio
Nobel
per
la
letteratura. Scrive i drammi "Trovarsi" (1932), "La favola del
figlio
cambiato" (1933), "Quando si Š qualcuno" (1933), "Non si sa
come"
(1934) e "I giganti della montagna". Quest'ultimo rester…
incompiuto
(manca il terzo atto, che Pirandello non giunse a scrivere ma
che
raccont• al figlio Stefano) e andr… in scena, postumo, a Boboli il
5
giugno 1937. Scrive inoltre un soggetto cinematografico e un
libretto
d'opera. Muore il 10 dicembre 1936.
La vita politica e sociale.
1867-1879.
Sono gli anni in cui l'Italia unificata deve affrontare
gravi
problemi. La questione romana divide gli italiani sul piano politico
e
religioso. La guerra franco-prussiana consente all'esercito
italiano
di entrare in Roma, che diventa capitale del regno. Si attua in
questi
anni il passaggio dal governo della Destra a quello della
Sinistra,
guidata da Depretis, con il suo cosiddetto "trasformismo". Nel
1878
muore Vittorio Emanuele Secondo.
1880-1886.
Il "trasformismo"
di
Depretis
riesce
a dare un governo stabile
al
paese, ma non ne risolve i problemi: primo fra tutti quello
sociale.
Si
rafforza il movimento operaio e nelle elezioni dell"82
si
verificano i primi successi socialisti. L'Italia stringe con
Germania
e Austria la Triplice Alleanza, mentre nel paese prendono forza
le
correnti militariste. Garibaldi muore nei 1882.
1887-1891.
Primo ministero Crispi,
che intraprende
la
politica
coloniale.
Si
allarga in Italia e in Europa la questione sociale: nelle
maggiori
citt… italiane si costituiscono le prime Camere del Lavoro. Nel
1889
vengono fondati a Messina i Fasci siciliani, che si estendono poi
a
Catania e a Palermo.
1892-1902.
Nel 1893 si produce in tutta la Sicilia un'impetuosa
agitazione
sociale. Nello stesso anno avviene lo scandalo della Banca Romana.
Nel
1894, in seguito a gravi disordini, viene proclamato lo
stato
d'assedio per l'intera Sicilia. Nel 1898 la tensione sociale in
Italia
si aggrava: a Milano il generale Bava Beccaris dichiara lo
stato
d'assedio,
e
molti cittadini cadono vittime della
repressione
militare. 1900: Umberto Primo Š ucciso a Monza dall'anarchico Bresci.
1903-1910.
Dopo la caduta
-
1903
-
del
ministero
Zanardelli,
l'Italia
si
riaccosta alla Francia. La vita politica italiana Š dominata per
oltre
un decennio da Giolitti. Il distacco progressivo dagli imperi
centrali
Š stimolato dal nazionalismo. All'interno si inizia una politica
di
apertura sociale e viene richiesto il suffragio universale. In
questi
anni l'Italia progredisce economicamente e socialmente;
aumenta
tuttavia la sperequazione economica tra nord e sud. Giolitti tenta
di
assorbire sul piano parlamentare le forze socialiste.
1911-1917.
La guerra in Libia - 1911-1912 - termina con la vittoria
italiana
sulla Turchia. L'introduzione del suffragio universale e il
ritiro
dell'appoggio da parte dei socialisti porta Giolitti ad accostarsi
ai
cattolici. Le elezioni del 1913 vedono la vittoria del blocco
clericomoderato, che d… al governo un'impronta conservatrice. Nel
1914,
avvengono in Italia gravi disordini sociali, mentre scoppia la
prima
guerra mondiale. L'Italia interviene nel 1915. Nel 1917
l'esercito
italiano subisce la sconfitta di Caporetto. In Russia trionfa
la
rivoluzione bolscevica.
1918-1922.
Conclusa vittoriosamente la
guerra,
l'Italia
entra
in
uno
tra
i
periodi
pi—
tormentati
della sua storia.
Il ritorno di Giolitti
al
governo non ristabilisce l'equilibrio politico. Mentre gran
parte
dell'Europa Š scossa dalla lotta tra forze rivoluzionarie e
forze
conservatrici o reazionarie,
in Italia le agitazioni
prendono
caratteri di violenza particolarmente aspri e prolungati. Nascono
il
Partito popolare e il Partito comunista. L'impresa dannunziana a
Fiume
e i timori della piccola e media borghesia favoriscono le
correnti
nazionalistiche. Mussolini guida il movimento fascista che giunge
al
potere nel 1922. In Germania la lotta politico-sociale mette gi…
in
pericolo la repubblica di Weimar che ha raccolto l'eredit…
del
disciolto impero germanico. La Societ… delle Nazioni, fondata
nel
1920, Š incapace di ristabilire un equilibrio mondiale.
1923-1930.
Superata la crisi per l'assassinio di Matteotti (1924), che
sembrava
aver segnato la condanna definitiva per il governo fascista,
Mussolini
rafforza il suo potere. Nel 1925 viene soppressa ogni libert…, e
negli
anni seguenti tutte le organizzazioni democratiche sono sciolte.
Il
crollo della Borsa di New York porta, nel 1I929, a una
gravissima
crisi mondiale.
1931-1936.
Germania, Austria e Portogallo cadono a loro volta sotto
regimi
fascisti; in Russia lo stalinismo soffoca ogni fermento di
libert…
politica e culturale.
L'Italia invade l'Etiopia e dopo
averla
conquistata (1935-'36) si trasforma in "impero". Hitler riarma
la
Germania e si appresta a scatenare l'attacco contro le
nazioni
democratiche e l'Unione Sovietica. Ha inizio la guerra di Spagna.
La vita letteraria e artistica.
1867-1879.
Nascono in
questi
anni Trilussa,
Marinetti,
la Deledda,
Proust
e
Thomas Mann. Nel 1873 muore Manzoni. Nel 1870-1871 viene pubblicata
la
"Storia della letteratura italiana" di De Sanctis; nel 1872 il
"Teatro
italiano contemporaneo" di Luigi Capuana, manifesto del
verismo
italiano. Carducci pubblica "Giambi ed epodi" e le "Odi barbare".
La
letteratura europea si arricchisce di nuove opere di
Dostoevskij,
Flaubert, Ibsen, Tolstoj, Zola.
1880-1886.
Nascono Saba, Tozzi, Gozzano, Joyce, Kafka, Luk…cs, Pound.
Mentre
Carducci domina nella cultura letteraria italiana, comincia a
emergere
D'Annunzio, che pubblica nel 1882 "Canto novo", e quindi
"Intermezzo
di rime" e i migliori racconti. Verga pubblica alcuni tra i
suoi
capolavori: "Vita dei campi" (1880), "I Malavoglia" (1881),
le
"Novelle rusticane" (1883). "Cavalleria rusticana" viene
rappresentata
per la prima volta nel 1884. Tra il 1885 e il 1886 si diffonde
il
termine "decadente" per indicare le opere di poeti come Verlaine
e
Mallarm‚. Nel 1883 Nietzsche pubblica "Cos parl• Zaratustra".
1887-1891.
In Italia,
accanto a Carducci,
si riafferma il valore delle opere
di
D'Annunzio e si rivela quello della poesia
pascoliana.
Nel
1888
De
Marchi pubblica il "Demetrio Pianelli"; nel 1889 appaiono il
"Mastrodon Gesualdo" di Verga e "Il piacere" di D'Annunzio. Si stampano
le
opere dei filosofi Henri Bergson e William James. Sulle scene
italiane
primeggiano gli attori Zacconi e Salvini, con un repertorio
che
comprende Giacosa, Praga, Bertolazzi, Shakespeare e Ibsen.
L'attivit…
drammaturgica di Ibsen e Strindberg continua ad affermarsi. Comincia
a
prendere rilievo la personalit… di Stanislavskij, che fonda il
Circolo
moscovita di arte e letteratura.
1892-1902.
Muoiono in questo periodo Daudet, De Marchi, Zola.
Corrado
Alvaro, Montale, Quasimodo, Majakovskij,
Brecht.
si
Nascono
In
Italia
pubblicano "I vicer‚" di De Roberto (1894),
"Piccolo mondo antico"
di
Fogazzaro
(1895),
"Senilit…"
di
Svevo
(1898),
"Il
Marchese
di
Roccaverdina" di Capuana (1901). Thomas Mann pubblica "I
Buddenbrook"
(1901), Maurice Blondel "L'azione" (1893), Bergson "Materia e
memoria"
(1896), James "La volont… di credere" (1897), Bergson "Il
riso"
(1900), Croce "L'Estetica" (1902). Sulle scene italiane
vengono
rappresentati "Come le foglie" di Giacosa, "Cirano di Bergerac"
di
Rostand e "Romanticismo" di Rovetta. Eleonora Duse porta sulle scene
i
primi drammi di D'Annunzio. Nel 1898 Stanislavskij fonda il
Teatro
d'Arte di Mosca: si rappresentano opere di Ibsen,
Gorkij,
e
soprattutto di Cechov.
1903-1910.
Nascono in
questo
periodo Brancati,
Moravia,
Vittorini,
Pavese
e
Sartre. Muoiono Ibsen, Cechov e Jarry, Carducci e Tolstoj.
Pascoli
eredita la cattedra di Carducci a Bologna. Il 20 febbraio
1909
Marinetti pubblica il primo manifesto del futurismo. Prezzolini e
De
Robertis fondano "La voce". Sulle scene vengono rappresentate opere
di
D'Annunzio e di Sem Benelli. Stanislavskij allestisce con Gordon
Craig
un memorabile "Amleto",
che esemplifica tutte le nuove
teorie
rappresentative. Freud pubblica i "Tre saggi sulla teoria
della
sessualit…"; nel 1908 si tiene a Salisburgo il primo convegno
sulla
psicoanalisi.
1911-1917.
Muoiono in questo periodo Fogazzaro, Pascoli, Graf, Capuana,
Tommaso
Salvini, Gozzano e Strindberg. Poeti come Palazzeschi e Gozzano,
Saba,
Rebora, Campana, Ungaretti, Cardarelli, Bacchelli segnano, insieme
ai
nuovi prosatori, una rigogliosa fioritura letteraria. Il
neoidealismo
di Gentile e di Croce si Š ormai affermato sulle vecchie
correnti
positivistiche. Dopo che nel 19I0 Marinetti, Carr…, Boccioni,
Balla,
Russolo e Severini hanno pubblicato il primo manifesto della
pittura
futurista, nel 1912 appare il "Manifesto tecnico della
letteratura
futurista". Nascono nel frattempo in Russia i gruppi egofuturisti
e
cubofuturisti.
Majakovskij scrive nel 1913 il suo primo
testo
teatrale:
"Vladimir
Majakovskij".
Viene fondata
l'Associazione
internazionale di psicoanalisi. Nel 1913 comincia la
pubblicazione
della "Ricerca del tempo perduto" di Proust. Lo stesso anno
Einstein
diffonde la teoria della relativit….
1918-1922.
Muoiono Tozzi, Verga, Wedekind, Proust. Anche in Italia si
diffondono
le esperienze di avanguardia europee. Si pubblicano le raccolte
di
poesie di Ungaretti. Sulle scene appaiono i drammi di Bontempelli e
di
Rosso di San Secondo, nei quali Š evidente l'influenza di
Pirandello.
Dal 1919 al 1923 esce a Roma la rivista "La Ronda". Nel 1918
Simmel
pubblica "Il conflitto della civilt… moderna", e Joyce, nel
1922,
l'"Ulisse". In questi anni Brecht scrive e rappresenta i suoi
primi
drammi. In Russia fioriscono,
favoriti dalla rivoluzione,
gli
esperimenti
teatrali di Majakovskij e di Mejerchol'd.
Vengono
pubblicate alcune opere fondamentali di Freud e di Jung.
1923-1930.
Muoiono De Roberto,
Svevo,
Praga.
Si pubblicano "Ossi di seppia"
di
Montale
(1925),
"Gente
di
Aspromonte"
di
Alvaro
(1930),
"Gli
indifferenti" di Moravia (1929).
Nel
1925
Gentile
e
altri
intellettuali
sottoscrivono
il
"Manifesto
degli
intellettuali
fascisti", e Umberto Fracchia fonda la "Fiera letteraria". Sempre
nel
1925 Kafka pubblica "Il castello". Mentre in Francia si affermano
i
surrealisti, il cui testo teatrale principale Š "Victor, o i
bambini
al
potere",
in
Germania
si
diffondono
le
esperienze dadaiste
ed
espressioniste. Toller rappresenta "Uomo massa" e Goering
"Battaglia
navale". Piscator fonda il Teatro politico, e Brecht pubblica nel
1926
la sua prima raccolta di poesie; scrive in seguito una serie
di
drammi, il pi— famoso dei quali, "L'opera da tre soldi",
viene
rappresentato in Italia da Anton Giulio Bragaglia. Si affermano
i
nuovi scrittori americani: Hemingway, Scott Fitzgerald, Dos
Passos,
Faulkner. Nel cinema emergono Eisenstein, Pudovkin, Pabst, Chaplin.
In
Russia
lo stalinismo comprime il fervore creativo del
periodo
rivoluzionario. Majakovskij rappresenta "La cimice e il bagno"
(1930);
qualche settimana dopo si uccide.
1931-1936.
Muoiono in questi anni Dino Campana, Di Giacomo, Grazia
Deledda,
Gor'kij e Unamuno. In Italia si pubblicano opere di Saba,
Ungaretti,
Cardarelli, Moravia, Bacchelli, Cecchi, Quasimodo e Gadda.
Compaiono
sulla scena letteraria anche Vittorini e Pavese. In campo teatrale
si
rappresentano opere di De Filippo e di Viviani, attori e
drammaturghi.
In questi anni il trionfo delle dittature arreca un danno
irreparabile
alla cultura europea: in Italia sono arrestati Giulio Einaudi,
Pavese
e Ginzburg, in Germania sono proscritti i maggiori scrittori,
in
Spagna viene ucciso Garcia Lorca. Nel 1934 si pubblica "Il
pensiero"
di Blondel, e "Assassinio nella cattedrale" di Eliot.
INTRODUZIONE.
Il teatro Pirandelliano.
Nel luglio del 1916, dopo il fortunato esito di "Pensaci,
Giacomino!"
Pirandello scriveva al figlio Stefano: "... La commedia
'Pensaci,
Giacomino!' ha avuto una serie di repliche con esito felicissimo
e
correr… certo la penisola trionfalmente. Musco Š entusiasta
della
parte... Ho preso l'impegno di scrivergli un'altra commedia per
il
prossimo ottobre, e spero di mantenerlo, bench‚ il teatro, come
tu
sai, mi tenti poco". E in effetti Pirandello giunse al
teatro
relativamente tardi, dopo aver scritto alcuni romanzi e centinaia
di
novelle, e quasi controvoglia. Tuttavia il teatro costitu•, in
qualche
misura, lo sbocco naturale dell'arte pirandelliana. Non solo
perch‚
all'epoca in cui Pirandello si dedic• precipuamente alla
composizione
drammatica - gli anni intorno alla prima guerra mondiale - le
novelle
contenevano gi… un impianto teatrale fatto di intensi, quasi
frenetici
dialoghi; ma anche perch‚ tutto lo sviluppo della sua
tematica
artistica conteneva un elemento di "teatralit…". Il concetto
cardine
del suo pensiero estetico, quello di umorismo - cos• com'egli lo
aveva
elaborato nel saggio "L'umorismo"
del
1908
sfociava
nel
convincimento che la vita fosse una "buffonata", una finzione
molto
simile a quella che si svolge sul palcoscenico. Da questo punto
di
vista appare assai poco accettabile la tesi esposta da Luigi
Russo,
secondo la quale: "Il teatro,
succeduto nella vita
spirituale
dell'artista quand'egli aveva in gran parte vuotato la sua anima
e
dato sfogo alle sue pi— genuine ispirazioni, non poteva essere che
una
forma divulgativa o una complicazione intellettuale del
primitivo
problema artistico".
E' indubbio che con il teatro
Pirandello
arricchisce, e quindi complica e in qualche modo appesantisce, la
sua
tematica pi— genuina. Ma non si tratta di un mero
procedimento
tecnico, di una "descrizione" delle novelle; si tratta, piuttosto,
di
una chiarificazione interiore che lo conduce a una dimensione
creativa
nuova e pi— elevata, il cui perno Š costituito dal rapporto tra
realt…
e finzione, tra persona e personaggio, tra normalit… e anormalit….
In questo senso,
possiamo distinguere tre fasi nello
sviluppo
dell'opera drammatica pirandelliana. Particolarmente importante per
la
comprensione del primo periodo - che giunge fino al 1918 e
comprende
commedie come "Pensaci, Giacomino!", "Lum¡e di Sicilia", "Liol…",
"Il
berretto a sonagli" - Š "Pensaci, Giacomino!". Come scrive
Mario
Baratto: "L'individuo che vuol far apparire delle ragioni
personali,
pi— meditate, non conformiste, accetta gi…, se si guardi bene,
non
solo di apparire, ma di essere anormale. Al tipico si
sostituisce
allora l'originale, lo strano... Da una parte l'anormale diventa
una
sorta di ascesso che la societ… tende continuamente a riassorbire
come
un male episodico: mentre esso Š il prodotto costante della
sua
normalit…... Dall'altra la psicologia tesa e maniaca, la
pazzia
latente ed espressa, Š una realt… interiore connessa a una
condizione
umana: l'individuo Š sempre insidiato da un conflitto
interiore
insanabile".
Il
professor Toti,
il protagonista di
"Pensaci,
Giacomino!", Š il tipico personaggio pirandelliano di questo
periodo:
un
egocentrico
piccolo borghese che non riesce ad
acquistare
consapevolezza storica della propria condizione. Tuttavia, rispetto
ai
personaggi delle commedie pi— "naturalistiche", d'ambiente
siciliano,
entra qui un elemento dialettico: il farsesco, il comico
diventa
"anormale" e quindi si contrappone alla "normalit…"
dell'ambiente,
mettendola radicalmente in discussione. La conseguenza di
questo
dramma Š per• la frustrazione dell'individuo, la sua impotenza
ad
agire.
Questo si nota,
per esempio, nell'ambito dei
rapporti
sentimentali e sessuali.
I personaggi pirandelliani cercano
il
paradosso, si assumono l'incarico di offendere a ogni costo
la
sensibilit… morale della borghesia, ma non sperimentano mai
l'amore.
Si limitano a una serie di esercitazioni verbali intorno a che
cosa
potrebbe essere l'amore senza mai coglierlo.
La seconda fase del teatro pirandelliano - che giunge fino al 1927
e
comprende le maggiori opere pirandelliane, dal "Giuoco delle parti"
ai
"Sei personaggi in cerca d'autore", da "Enrico Quarto" a "Vestire
gli
ignudi" - ruota intorno al problema del rapporto con la realt….
Dice
Pirandello: "La vita allora, che si aggira piccola, solita, tra
queste
apparenze, ci sembra quasi che non sia davvero, che sia come
una
fantasmagoria meccanica. E come darle importanza? Come
portarle
rispetto?". E' su queste domande che il teatro pirandelliano prende
un
nuovo respiro: esasperando cioŠ i conflitti tra apparenza e
realt…,
fra normalit… e anormalit…, fra individuo e mondo esterno, che
nelle
commedie del primo periodo dava luogo - per esprimerci in
chiave
psicoanalitica - a uno stato perenne di
ansiet…,
determinato
dall'incapacit… di interpretare tutte le percezioni che
affluiscono
dal mondo esterno,
nella seconda fase genera
uno
stato
di
schizofrenia.
CioŠ,
il
personaggio
pirandelliano
si
chiude
ermeticamente in se stesso. La dialettica tra anormalit… e
normalit…
stessa si spezza; l'anormalit… diventa sistema di vita, incurante
del
rapporto col mondo. Il rapporto fra apparenza e realt…
assume
dimensioni tanto pi— tragiche quanto pi—, come scrive Silvio
D'Amico,
Pirandello "rinnega addirittura il 'penso, quindi sono' di
Cartesio:
per
lui neanche pensare significa essere.
Qui sarebbe
lecito
chiedersi: ci• non finisce col distruggere l'essenza della
grande
poesia tragica, la nobilt… del dolore? Ma appunto qui vuole
essere
l'originalit… del
Pirandello
drammaturgo;
appunto
da
questa
impossibilit… di una tragedia egli trae la pi— disperata
delle
tragedie, la sua".
L'ultimo periodo del teatro pirandelliano - che, da "Uno, nessuno
e
centomila" giunge sino ai "Giganti della montagna" - nasce da
una
crisi profonda dello scrittore e della sua
arte.
L'individuo
pirandelliano,
il
personaggio,
scopre
la
sua
inadeguatezza
nell'affrontare la realt…; I'isolamento soggettivistico in cui
opera
lo conduce continuamente allo scacco, anzi a una sconfitta che
si
verifica ancor prima della lotta. Nella "Favola del figlio
cambiato",
e ancor pi— nei "Giganti della montagna", la coerenza
"ideologica"
dell'arte pirandelliana si dissolve nell'ambiguit…, in una sorta
di
grandioso sdoppiamento: mentre si eleva l'elegia
all'individualit…
destinata a sparire, condannata da forze cieche e brutali che
la
frantumano, entrano in gioco, come protagonisti, entit…
collettive,
personaggi corali ai quali spetta "l'ultima parola". Nello
stesso
tempo, si scioglie la contrapposizione fra arte e vita. L'arte,
come
momento privilegiato, Š destinata a sparire; ma forse potr…
essere
sostituita dalla creativit… generale, cioŠ da un mondo che
viva
secondo ritmi e leggi di armonia e di bellezza. Questa grande utopia
Š
presente nelle parole con cui Stefano Pirandello, su indicazione
del
padre morente, ricostruisce il finale dei "Giganti della
montagna":
"Non Š, non Š che la Poesia sia stata rifiutata; ma solo questo: che
i
poveri servi fanatici della vita, in cui oggi lo spirito non parla,
ma
potr… pur sempre parlare un giorno,
hanno innocentemente
rotto
come
fantocci ribelli, i servi fanatici dell'arte, che non sanno
parlare
agli uomini perch‚ si sono esclusi dalla vita, ma non tanto poi
da
appagarsi soltanto dei propri sogni, anzi pretendendo di imporli a
chi
ha altro da fare, che credere in se stessi".
Pirandello e il pirandellismo.
Si Š molto parlato della filosofia pirandelliana, del
"pirandellismo"
come concezione generale della vita. Dal "Fu Mattia Pascal" in
poi,
ogni opera di Pirandello scatenava una gara tra pubblico e
critica
nella scoperta del problema, della cifra che doveva
puntualmente
nascondersi dietro le complicate trame di parole. Come scrisse
Giacomo
Debenedetti, "(La critica), di fronte all'artista di
apparentemente
difficile accesso, sent• il bisogno di chiarire pi— che di capire;
e
con le sue lanterne cieche corse e si ravvolse dietro Pirandello
per
gli speciosi labirinti di Pirandello... Sulla facciata esterna
della
sua opera Pirandello mostrava quella che si chiama una 'filosofia',
e
la critica sotto, a dare una traduzione, una divulgazione letterale
di
quella filosofia".
L'origine di questa "maniera" critica Š da ricercarsi all'interno
del
clima culturale in cui si trov• a operare lo scrittore; un
periodo
caratterizzato in Italia dall'egemonia crociana, che se da un lato
ha
contribuito alla liquidazione di anacronistici residui
positivistici,
dall'altro ha indubbiamente bloccato, o comunque ritardato,
la
comprensione dei fenomeni artistici e culturali pi— nuovi.
Cos•
critici di derivazione crociana (Russo, Momigliano, Flora, e i
loro
epigoni) mostrano, come il Croce stesso, nei confronti di
Pirandello
un impaccio che impedisce loro di "calarsi" entro la sua opera.
E
invero
anche
i
pi—
benevoli sembrano guardare lo
scrittore
dall'esterno; circoscrivendolo entro aspetti marginali del suo
mondo,
quelli
di
derivazione
veristica,
oppure
limitandolo a
mere
rappresentazioni di quel sentimento doloroso della vita che Š solo
un
elemento - e neppure il pi— importante - della tematica
pirandelliana.
Contro questa interpretazione e valutazione dell'opera
pirandelliana
(che contribu• a ritardare il successo dello scrittore) si
schier•
decisamente Adriano Tilgher, il quale gi… nel 1913 aveva
pubblicato
una "Teoria della critica d'arte". Questa, rifacendosi alla
"filosofia
della vita" di Simmel e Dilthey, spezzava l'antitesi
neoidealistica
tra poesia e non-poesia per sostituirvi quella tra vita e forma,
assai
pi— adatta all'intendimento della "poesia dialettica" di
Pirandello.
In seguito Tilgher dedic• a Pirandello un saggio nel suo libro
"Studi
sul teatro contemporaneo" (1922), del quale lo stesso Tilgher
scriver…
pi— tardi: "Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva
centro
intorno a una visione della Vita come forza travagliata da
un'intera
antinomia per la quale la Vita Š, insieme, necessitata a darsi
forma
e, per uguale necessit…, non pu• consistere in nessuna forma, ma
deve
passare di forma in forma. E' la famosa, o famigerata, antitesi
di
Vita
e Forma,
problema centrale dell'arte pirandelliana".
Si
stabilisce a questo punto un rapporto tra Pirandello e Tilgher
che
rischia di incapsulare l'artista nell'ambito di una forma.
Anche
perch‚ il Croce, dal canto suo, finiva per accettare
l'interpretazione
tilgheriana, rovesciandone il valore: non esiste il Pirandello
artista
ma soltanto il Pirandello "filosofo", e cattivo filosofo. Dal
canto
suo
Pirandello nutre verso il critico che sembra quasi gestire la
sua
fama e la sua concezione del mondo un sentimento
ambivalente:
da
un
lato
ne
accetta
alcuni
parametri interpretativi,
ma dall'altro
si
ribella non tanto a Tilgher quanto all'immagine globale che
(dopo
il
giudizio di Tilgher), circola nei confronti delle sue opere. E
nella
prefazione al "Dramma di Pirandello" di Domenico Vittorini,
scrive:
"Fra i tanti Pirandello che vanno in giro da un pezzo nel mondo
della
critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa
e
niente cuore, strampalati, sgarbati, lunatici, nei quali io,
per
quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo
tratto...".
E altrove precisa: "In Italia pare si voglia insistere a seguire
la
falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie
cose
un contenuto filosofico, che non c'Š, vi garantisco che non c'Š".
E' tuttavia soltanto con Massimo Bontempelli (e con alcune note
di
Gramsci che riguardano per• la valutazione ideologico-culturale e
non
quella artistica dell'opera pirandelliana) che
l'interpretazione
"intellettualistica"
viene
superata.
Nella
commemorazione
di
Pirandello pronunciata il 17 gennaio 1937, Bontempelli affermava
che
la qualit… fondamentale dello scrittore Š il "candore", precisando
che
"La prima qualit… delle anime candide Š la incapacit… di accettare
i
giudizi altrui e farli propri... Luigi Pirandello si affacci•
anima
candida alla vita e alla intelligenza delle cose, in uno dei
tempi
meno candidi che si possano immaginare... Quel tempo, con gli anni
che
lo seguirono fino alla guerra d'Europa, segna la fine del
mondo
romantico, nato diciannove secoli prima. E nell'opera di
Pirandello,
il mondo romantico e le sue postreme deduzioni si distruggono
fino
all'ultima cellula. Di qua dal mondo che Pirandello ha denudato
la
compagine umana non
pu•
trovare
che
la
distruzione
totale
o
il
ricominciamento".
La forza dell'arte
pirandelliana
non
consisterebbe
dunque in
una
scelta "filosofica"
dei
temi,
dei
personaggi
e
dello
stile,
ma
piuttosto
in
una
non-scelta: nell'avere pescato con obiettivit…
(ma
non con neutralit…) nel mare della vita, e nella vita della
piccola
borghesia italiana del suo tempo, raccogliendo tutto ci• che in
essa
si agitava. "L'umanit… del mondo pirandelliano Š veramente per
servirmi d'una parola venuta in grande uso alcuni anni pi— tardi,
cioŠ
con la guerra - 'massa'." Ed Š appunto in questa massa che
Pirandello
trova quella "smania di vivere", al tempo stesso irriducibile e
debole
- quella vitalit… incrinata e ottusa che costituisce il sottofondo
di
tutta la grande letteratura europea (non tornano a sproposito i
nomi
di Proust e di Joyce). Contrapposta a questo vitalismo immotivato Š
la
conoscenza, ma una conoscenza ottenebrata, involuta, priva di luce
e
incapace
di uscire dal proprio tortuoso labirinto: appunto
la
conoscenza (si potrebbe anche dire l'ideologia) delle masse
piccolo
borghesi. E anche qui, sempre secondo Bontempelli, Pirandello
non
sceglie: "Ha accolto le conoscenze che erano state date alla gente
per
aiutarla a vivere". Discorso quest'ultimo,
che potrebbe
essere
integrato da un'acuta osservazione di Gramsci, il quale si chiede
se
in Pirandello non prevalga l'umorismo, e cioŠ se egli non si
"diverta
a far nascere dubbi 'filosofici' e meschini per 'sfottere'
il
soggettivismo e il solipsismo filosofico".
E, dal canto suo, Giacomo Debenedetti avanzava in un saggio del
1937
l'ipotesi che la "filosofia" pirandelliana altro non fosse se
non
un'astuzia della Provvidenza: il materiale isolante che gli
permetteva
di maneggiare il fuoco bianco del suo nucleo poetico e
umano.
Nell'ambito
della
critica
pi—
recente
la
tendenza
a
darci
un
"Pirandello senza pirandellismi" Š nettamente prevalsa anche se
si
Š
forse rischiato di andare troppo oltre,
negando cioŠ a Pirandello
una
problematica intellettuale,
che resta probabilmente
il
motivo
fondamentale della sua arte. In questo senso appare assai
interessante
la posizione assunta da Renato Barilli in un suo saggio sulla
"Poetica
di Pirandello" dove si pone in discussione tanto
l'interpretazione
tilgheriana
del
"poeta
del
problema
centrale",
quando
l'interpretazione a-ideologica di gran parte della critica attuale.
Il
discorso
viene
invece impostato sulla "Weltanschauung",
sulla
concezione del mondo di Pirandello: e cioŠ su una visione
globale
della vita che ha il suo perno nel gi… citato concetto di umorismo,
o
meglio in una scala di gradazioni che dal comico passa all'umorismo
e
via via giunge alla tragedia. Tragedia che non ha radici epiche,
come
quella, ad esempio, di un Verga (e cioŠ dedotta da una
concezione
statica della vita, entro la quale il poeta ha la funzione
di
riconoscere, di ritrovare, l'eterno ripetersi del dramma di
essere
uomo) ma che si sviluppa dialetticamente da una iniziale
disponibilit…
verso la vita com'Š, da un'accettazione incondizionata del reale.
La
prima rottura di questa compattezza del reale avviene
inizialmente
attraverso il comico, e cioŠ attraverso l'avvertimento di qualcosa
che
non Š come dovrebbe essere, qualcosa di anormale, di abnorme. E'
a
questo punto che nasce la possibilit… di una valutazione
dell'opera
pirandelliana alla luce della cultura contemporanea e nell'ambito
di
quella crisi della civilt… che ha avuto i suoi maggiori
interpreti
letterari in Proust, Joyce, Kafka, Musil, e altri. Frantumato
il
vecchio ordine di valori (e non sarebbe avventato, al di l…
della
contingente
polemica,
scorgere
nell'avversione di Croce
verso
Pirandello un momento della lotta del filosofo contro la crisi
dei
valori borghesi, o piuttosto della sua disperata negazione di un
fatto
incontestabile), sparisce la distinzione tra normale e anormale,
tra
giusto e ingiusto, tra bello e brutto. Tutto diventa
problematico,
tutto diventa possibile: la compagine della vita quotidiana
si
frantuma nella girandola degli atti gratuiti, delle scelte
immotivate
Basta
rileggere
una
qualsiasi
delle
novelle
o dei
drammi
pirandelliani: sarebbe impossibile ricondurli a un qualsiasi
genere
letterario, catalogarli secondo lo schema della farsa, della
tragedia,
della commedia, del realismo o del non-realismo. E questo non
perch‚
Pirandello (e Joyce e Kafka e Musil, e diversi altri interpreti
del
dramma contemporaneo) sia vittima di una confusione ideologica o
di
un'incertezza estetica, ma proprio al contrario, perch‚ in lui
(in
loro) la realt… contemporanea si riflette col massimo rigore,
nel
rifiuto che in certa misura potremmo chiamare eroico, di ogni
idea
preconcetta, di ogni mistificazione ideologica. In Pirandello
il
soggettivismo non Š mai un narcisismo (come accade in D'Annunzio
per
esempio) ma diventa dramma. L'impossibilit… di aderire alle forme,
ai
valori costituiti si traduce in totale abbandono alla vita, e
infine
nel recupero della comprensione e della compassione verso tutti
gli
aspetti e le forme che pu• assumere di volta in volta la
condizione
umana. In questo senso l'"uomo solo" pirandelliano Š assai
vicino
all'Ulisse joyciano, all'Uomo senza qualit… di Musil, ai personaggi
di
Kafka.
Persona e personaggio.
"La
natura
si
serve
dello
strumento
della
fantasia
umana
per
proseguire la sua opera di creazione. E chi nasce merc‚
questa
attivit… creatrice che ha sede nello spirito dell'uomo, Š ordinato
da
natura a una vita di gran lunga superiore a quella di chi nasce
dal
grembo mortale d'una donna. Chi nasce personaggio, chi ha ventura
di
nascere
personaggio vivo...".
Cos• Pirandello formulava
quella
distinzione tra persona e personaggio che sta alla base della
sua
arte. Distinzione fra due momenti dell'animo umano: il primo,
della
persona, ancora informe, disponibile ad assumere ogni forma che
gli
venga
imposta
dall'interno
o dall'esterno;
il secondo,
del
personaggio, ruotante intorno a un perno, fissato nel gioco
delle
parti, destinato a ripetere ogni giorno gli stessi gesti, a
ripetere
per sempre lo stesso dramma.
Massimo Bontempelli chiariva: "Insomma i personaggi sono le
sole
verit…. Col personaggio l'umanit… ha ritrovato
l'inconfondibile,
l'immodificabile, l'indistruttibile, l'eterno". La tensione
dell'arte
pirandelliana nasce per• dall'altalena fra persona e personaggio,
e
dall'impossibilit… dell'uomo a essere definitivamente l'una o
l'altro.
E per ripetere una distinzione cara ai primi esegeti di Pirandello
a
essere o "vita" o "forma".
L'arte pirandelliana si colloca per• al di l… di questa distinzione:
e
deriva
direttamente dall'atteggiamento dell'autore verso i
suoi
personaggi. E' stato notato che Pirandello mostra verso i
suoi
personaggi ostilit… e astio, quasi destassero in lui ripugnanza.
Ne
mette in evidenza particolari sgradevoli, si accanisce nel
descriverne
le miserie fisiche e spirituali, li colloca in ambienti che,
prima
d'essere illuminati dalla luce della tragedia o della farsa,
sono
immersi in un ossessivo grigiore. E neppure sono vittime di un
destino
sociale, come presso i naturalisti,
o di un destino religioso come
in
Verga. Essi, piuttosto, sembrano artefici della propria
sventura,
talvolta in modo consapevole e determinato. E poich‚ dall'esterno
non
possono attendersi riscatto e salvezza, ci appaiono
irrimediabilmente
dannati. Ma quale peccato stanno scontando? Una risposta penetrante
ci
viene offerta da Giacomo Debenedetti quando, alludendo al
protagonista
di "Vittoria delle formiche" che vive in uno stato di bislacca,
ma
serena solitudine, annota: "D'improvviso Š diventato brutto, Š
andato
a raggiungere la media dei suoi fratelli: davvero qualcosa
di
ripugnante Š suppurato in lui. Ed Š semplicemente successo che,
da
'uomo solo' qual era, di qua dal mondo della convivenza umana con
i
suoi inevitabili confronti e giudizi, quell'individuo Š decaduto sia
pur soltanto col pensiero e col rammarico - nella gazzarra cieca
di
quella convivenza. E' voluto tornare a essere 'una parte nel
gioco
delle parti'".
Questa
nostalgia
della "persona",
dello stato di
primitivit…
dell'uomo, di ci• che non Š ancora condizionato e contaminato
dalla
convivenza, costituisce il polo ideale dell'arte pirandelliana,
quasi
il "limite" esterno al quale lo scrittore si riporta per trovare
i
termini di riferimento della sua realt… letteraria. Ma, come
abbiamo
detto,
questo Š soltanto il "limite" esterno: perch‚
l'opera
pirandelliana si svolge tutta intorno alla tematica del personaggio,
e
al suo modo di esistere. E' attraverso la parola che si
diventa
personaggi. Infatti il connotato stilistico pi— evidente
nell'opera
pirandelliana Š un dialogo fittissimo e incessante, che soltanto
di
rado lascia spazio alla contemplazione o all'azione.
I gesti hanno sempre una funzione dialettica; attraverso di loro
i
personaggi cambiano (forse solo apparentemente) la loro vita,
o
prendono coscienza di ci• che sono. Tuttavia questi gesti sono
ridotti
a momenti; la continuit… Š data dal dialogo, dal tentativo
quasi
esasperante
di
"farsi intendere",
di uscire dalla
solitudine
attraverso la comunicazione. Un tipo di comunicazione
particolare,
misteriosamente frenata, che non raggiunge mai l'altro.
Il risvolto stilistico di questa situazione esistenziale sta
nella
natura "astratta", quasi senza riferimenti di tempo e di luogo,
del
linguaggio pirandelliano. Nonostante la sua derivazione veristica e
gli stretti legami culturali e sentimentali con la sua terra
d'origine
(quella Sicilia tanto presente nella prosa verghiana) - il
linguaggio
di Pirandello si avvale pochissimo degli elementi dialettali o
gergali
della lingua italiana corrente. Ogni personaggio sembra
piuttosto
avere elaborato una sua forma espressiva particolare, fatta
di
ripetizioni, di allusioni ammiccanti, di costruzioni
sintattiche
affannose che ubbidiscono a un ritmo interiore dei
sentimenti
piuttosto che alla convenzione della lingua parlata o scritta.
Anche
il linguaggio pirandelliano ci riporta alla tematica della
solitudine:
"l'uomo solo" parla per se stesso oppure per un
interlocutore
inesistente. Nonostante il "successo" che ha arriso alla sua
opera,
anche a Pirandello, come a tutti i grandi interpreti del nostro
tempo,
manca quel lettore fraterno e partecipe al quale si
rivolgeva
l'artista classico. Nel mondo della crisi anche lo scrittore Š
un
"uomo solo".
®L'innesto¯.
Commedia in tre atti,
venne rappresentata per la prima
volta
il
29
gennaio 1919 al Teatro Manzoni di Milano dalla compagnia di
Virgilio
Talli: prima attrice Maria Melato. Nel 1922 fu pubblicata, sempre
a
Milano, dalla casa editrice Treves.
Ambientata in luoghi precisi (a Roma e a Monteporzio) e in
un'epoca
definita (contemporanea all'autore), "L'innesto" rivela
immediatamente
la costruzione di stampo classico. Con le altre due commedie
raccolte
in questo volume, appartiene al primo periodo della
drammaturgia
pirandelliana: quando l'autore, partendo generalmente da una
visione
personale del mondo piccolo-borghese, crea personaggi "inquieti
e
pavidi, sorpresi sempre dalla forza stragrande della vita" e li sta
a
osservare mentre tentano affannosamente "di trovare la chiave
del
giuoco, la soluzione dell'indovinello che li circonda, la parola
che
aprir… le porte della libert… o che li far… signori della
vita
dintorno" (Confronta Mario Apollonio, "Storia del teatro
italiano",
Sansoni, Firenze 1950, volume 4). E' sufficiente allora che uno
di
essi, il pi— astuto o il pi— coraggioso, si faccia avanti e
proponga
una nuova "formula" dentro la quale tutti gli altri possano
placarsi,
perch‚ il dramma di ognuno si risolva facilmente in
commedia.
Nell'"Innesto" la "formula" non Š una convenzione borghese - come,
ad
esempio, nell'"Uomo, la bestia e la virt—" - ma esattamente il
suo
capovolgimento. Pirandello, che non Š mai riuscito a concepire
una
storia d'amore completa, ha creato con questa commedia una delle
pi—
amare che mai siano state scritte. Dopo sette anni di matrimonio
Laura
e
Giorgio Banti sono ancora molto innamorati: unica
tristezza
l'assenza di figli per difetto del marito. Un giorno Laura
viene
violentata da un bruto e ne resta incinta. Di fronte alla
moglie
"contaminata", Giorgio dapprima si ribella (®No! E' la selva!
E'
sempre la selva originaria!... E io che devo essere generoso;
mentre
qua il sentimento mi rugge come una belva...¯), ma le parole di
Laura
che
insorge
contro
di lui non in nome della maternit… (vecchio
tema
ormai abusato), ma dell'amore per il marito (®... In me non c'Š
altro!
Sei tu in me, e non c'Š altro!¯) convincono Giorgio che il
nascituro
gli appartiene, sia fisiologicamente che sentimentalmente, perch‚
la
moglie non ha mai cessato di appartenergli. Soluzione paradossale,
che
va contro la logica comune e che fa comprendere perch‚ durante
la
prima a Milano ci siano stati applausi e zittii, impressioni e
giudizi
contrastanti. Si ha infatti la netta scomposizione del personaggio
in
due: la persona fisica e il sentimento, scomposizione che
precorre
quelle dell'"Enrico Quarto" e dei "Sei personaggi in cerca d'autore"
e
che, dopo la prima, ha fatto dire a Marco Praga nel corso di
una
conversazione con Pirandello: ®"L'innesto" Š ancora del
Pirandello
autentico, sincero, ammirabile... perch‚ Š roba tua, carne della
tua
carne, fosforo del tuo cervello; perch‚ appartiene al 'tuo'
teatro,
che non Š il teatro degli altri, ma Š un teatro diverso, un
teatro
nuovo, come fu nuovo e diverso quello dell'Ibsen in Norvegia,
quello
dello Shaw in Inghilterra, quello del de Curel in Francia ¯.
®La patente¯.
Atto unico tratto da una novella omonima del 1911, fu steso nel 1917
e
pubblicato nella "Rivista d'Italia" del 31 gennaio 1918,
quindi,
nel
1920,
presso la casa editrice Treves
di
Milano.
La
prima
rappresentazione (nella versione in dialetto siciliano curata
dallo
stesso autore e intitolata "A patenti") venne data il 19 febbraio
1919
al Teatro Argentina di Roma dalla compagnia del "Teatro
Mediterraneo"
diretta da Nino Martoglio, nell'interpretazione di Angelo Musco.
La
patente fu tradotta anche in dialetto genovese (da Gilberto Govi)
nel
1931 e, nel 1937, in napoletano e in veneziano. Con altre
opere
pirandelliane ("La giara", "Il ventaglino", "Marsina stretta") Š
stata
ripresa nel 1953 in un film a sketch dal titolo "Questa Š la
vita",
per la regia di Luigi Zampa e l'interpretazione di Tot•.
Dalla trama esilissima della novella Pirandello Š arrivato a
comporre
in quest'atto unico un insieme di brevi quadri di schietto
umore
teatrale. Il dramma e il grottesco della vicenda si
risolvono
teatralmente in un accorato e vivo monologo cui fa da contrappunto
come nel teatro classico - un "coro": in questo caso i giudici.
Come sempre l'autore fissa l'attenzione del pubblico su un nucleo,
su
un fatto icasticamente rappresentato: in quest'atto unico Š
la
sfortunata storia di Rosario Chi…rchiaro, un disgraziato padre
di
famiglia cui Š stato misteriosamente attribuito il
potere
di
iettatore. Licenziato dal lavoro in seguito a questa fama, al
colmo
della disperazione, egli "non pu• vivere" scrive Mario Apollonio
"se
non codificando la sua fama di jettatore, facendosi
riconoscere
ufficialmente come possessore di un potere funesto e invincibile"
e
ottenere in tal modo la sua "patente".
®La patente!¯ grida infatti il pover'uomo ®Sar… la mia professione!
Io
sono stato assassinato, signor giudice! Sono un povero padre
di
famiglia. Lavoravo onestamente. M'hanno cacciato via e buttato
in
mezzo a una strada... con la moglie paralitica... e con due
ragazze...
Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a far
la
professione di jettatore...¯: solo cos, infatti, potr… guadagnarsi
da
vivere perch‚ tutti, per tenerlo lontano, saranno costretti a
pagargli
una tassa. Nella "Patente" si ha dunque la denuncia di tutto un
gioco
di rapporti e preconcetti in cui la persona umana Š
inevitabilmente
coinvolta dalla presenza dei pi—: per sopravvivere l'uomo deve
crearsi
delle "apparenze", "ci vediamo vivere", dice Pirandello.
Sviluppato
con assoluta efficacia anche nel presente atto unico, Š questo
il
punto focale della tematica pirandelliana gi… abbozzato in
precedenti
commedie e romanzi (ad esempio "Il berretto a sonagli" e "Il fu
Mattia
Pascal") e destinato a giungere all'esasperazione nel "Giuoco
delle
parti" e, soprattutto, nell'"Enrico Quarto". Come Rosario
Chi…rchiaro,
ciascuno ha una maschera, un ruolo da giocare, maschera e ruolo
che
gli sono plasmati addosso dagli altri, dalla gente che gli
vive
attorno, maschera e ruolo cui nessuno pu• sottrarsi, perch‚
il
pregiudizio della massa non solo ha una parte importante nella
vita
del singolo, ma finisce per avere sempre il sopravvento. "La
tragedia
dell'uomo Š proprio questa" dice in proposito Silvio D'Amico "che
per
illudersi di vivere non ha altra risorsa se non d'affidarsi a
codesta
maschera, a cotesta larva, come gli altri (o lui stesso)
l'hanno
foggiata." Quella "larva", quella maschera sociale che accomuna
tutti
gli uomini in una situazione di angosciosa solidariet…, e che
nel
"Berretto a sonagli" ha fatto esplodere Pirandello nel grido
crudele
del protagonista: ®... Pupi siamo, pupo io, pupo lei, pupi
tutti...¯,
uomini svuotati d'ogni vera realt…, costretti a vivere una vita
che
non avrebbero mai voluto vivere.
®L'uomo, la bestia e la virt—¯.
Commedia
in tre atti tratta dalla novella "Richiamo all'obbligo",
fu
rappresentata per la prima volta al Teatro
Olimpia
di
Milano
2
maggio 1919 dalla compagnia di Antonio Gandusio. Il 10 settembre
dello
stesso anno veniva pubblicata nella rivista "Comoedia", quindi,
nel
1922, presso l'editore Bemporad di Firenze. Venne ben presto
tradotta
il
e rappresentata anche all'estero: alla fine del 1923 in Spagna
(dalla
compagnia di Dario Niccodemi) e in Polonia (al Teatro Polski
di
Varsavia); nel 1925 in Ungheria e, rispettivamente, il 22 settembre
e
il 20 novembre dello stesso anno, al Piccolo Teatro di Berlino e
al
Teatro Burianovo di Praga (regista il comico Vasta Burian);
l'anno
successivo, prima ad Atene poi, il 31 dicembre, al Garrick Theatre
di
New York; quindi, il 19 novembre 1931, al Th‚atre St.-Georges
di
Parigi: protagonista femminile Marta Abba, che recit• in francese.
Nel
1953 il regista Steno ne ha tratto il film omonimo.
Alla luce del successo venuto poi, Š assai curioso rileggere
la
cronaca della prima serata: vi si dice che, dopo le tre chiamate
alla
fine del primo atto - peraltro contrastate - ci furono
chiare
disapprovazioni e proteste durante il secondo e il terzo atto, le
cui
ultime battute vennero rese addirittura inascoltabili da una serie
di
"atti clamorosi". L'accoglienza sfavorevole del pubblico fu,
del
resto, avallata dalla critica. Dopo la prima rappresentazione
Renato
Simoni ha cercato di attenuare il giudizio negativo con queste
parole:
"Pirandello Š un nobilissimo artista e da un errore pur grave, come
la
commedia di ieri, non esce diminuito". Ma tre anni dopo, nel
1922,
Silvio
D'Amico
esprime
al
riguardo
un'opinione
totalmente
contrastante: "Tutto Š trattato con spirito originale, e in
tutto
s'avverte un sapore acre e nuovo non conosciuto nel nostro
teatro
prima che Pirandello v'apparisse". Il giudizio favorevole di D'Amico
Š
convalidato dal fatto che, fra le numerose commedie
pirandelliane,
"L'uomo, la bestia e la virt—" Š stata una delle pi— rappresentate
e
meglio accolte dal pubblico, a causa, probabilmente, delle
sue
esteriori apparenze di "pochade"
che
ne
nascondono
l'intima
drammaticit…
e
il suo pi— valido e intrinseco significato: quello
di
una satira graffiante delle ipocrisie e del perbenismo
borghese,
satira che la rende attuale anche oggi, a mezzo secolo di
distanza.
L'intreccio, che ci riporta per certi versi alla "Mandragola" e
alla
novellistica di tipo classico, Š semplice. Vi si narra il
caso
grottesco del "trasparente" professor
Paolino,
("l'uomo"),
un
insegnante onesto e rispettabile, che dopo aver reso madre
"la
virtuosa signora Perella" durante una delle frequenti assenze
del
marito ammiraglio, costringe quest'ultimo (infedele e insensibile
al
fascino della moglie, e perci• definito "la bestia"), a compiere
contrariamente al suo solito - il proprio dovere coniugale: mezzo
per
raggiungere
tale
scopo
una
torta
dall'effetto
afrodisiaco
appositamente preparata. In un succedersi di scene non prive
di
angosciosa suspense per i due amanti,
dove la
"vis
comica"
pirandelliana ha modo di rivelarsi pienamente, il nascituro
riuscir…
ad avere un padre legittimo cui essere attribuito, mentre la
virt—
della signora Perella e la rispettabilit… del professor
Paolino
continueranno ad essere inattaccabili.
Questo apologo scorato (tutti i personaggi vi vengono
grottescamente
paragonati ad animali) Š, nella sua situazione boccaccesca,
una
commedia di costume tipicamente italiano.
In essa tuttavia
il
"sentimento del contrario" (come Pirandello ha definito il
suo
umorismo) ribalta ancora una volta la consuetudine della
morale
borghese; e il tradizionale "triangolo" ne esce totalmente
capovolto.
E' l'amante infatti a gettare la moglie tra le braccia del
legittimo
marito: ®Che Perella sia un buon marito, voglio!¯ grida il
professor
Paolino. ®Che non sbatta pi— la porta in faccia alla moglie
quando
sbarca qui!¯
Nonostante
le apparenze di farsa un po' scabrosa,
in questi tre
atti
si rivela in realt… un Pirandello malinconico che - come ha detto
bene
la critica - "costruisce deliberatamente dall'assurdo per spremere
gli
umori agri di una falsa onest… e di ipocrite convenzioni".
Pi— che
a
un
"apologo",
la commedia meglio corrisponde alla definizione che
ne
ha data l'autore: "tragedia annegata
in
una
farsa".
Pirandello
in
verit…,
come
scrisse Marco Praga,
"sotto l'apparenza della farsa
ha
voluto mettere qualcosa, una satira tragica e atroce...
maschera
da
trivio
imposta
ai
voleri
astratti,
morali
religiosi
dell'umanit…".
una
e
Bibliografia.
Diamo,
qui di seguito,
un elenco delle prime edizioni delle opere
di
Pirandello; per le commedie diamo anche le indicazioni della
prima
rappresentazione. Tutte le opere di Pirandello sono ristampate
nei
"Classici Contemporanei Italiani" di Mondadori. Per una
bibliografia
completa delle opere di Pirandello, rimandiamo a Manlio Lo
Vecchio
Musti, "Bibliografia di Pirandello", Mondadori, Milano 1937. Per
gli
scritti su Pirandello,
oltre alle
opere
fondamentali,
valga
l'indicazione di alcuni tra gli scritti pi— recenti, che
esemplificano
l'attuale orientamento critico.
Una completa bibliografia
degli
scritti su Pirandello Š quella di Alfredo Barbina, "Bibliografia
della
critica pirandelliana", 1889-1961, Firenze 1967.
PRIME EDIZIONI DELLE RACCOLTE DI NOVELLE.
"Amori senza amore", Stabilimento Bontempelli Editore, Roma 1894.
"Beffe della morte e della vita", Lumachi, Firenze 1902 (Prima
serie)
e 1903 (Seconda serie).
"Quand'ero matto", Streglio, Torino 1902.
"Bianche e nere", Streglio, Torino 1904.
"Ermes bifronte", Treves, Milano 1906.
"La vita nuda", Treves, Milano 1911.
"Terzetti", Treves, Milano 1912.
"Le due maschere", Quattrini, Firenze 1914.
"La trappola", Treves, Milano 1915.
"Erba del nostro orto", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1915.
"E domani, luned•", Treves, Milano 1917.
"Un cavallo nella luna", Treves, Milano 1918.
"Berecche e la guerra", Facchi, Milano 1919.
"Il carnevale dei morti", Battistelli, Firenze 1919.
Dal
1922 inizia la raccolta delle "Novelle per un anno",
edite da
R.
Bemporad e F. e Mondadori, in 15 volumi, di cui diamo qui di seguito
i
titoli e le
date
delle
prime
edizioni,
tenendo
presente
che
si
riferiscono tutte alle edizioni R. Bemporad e F., che sono le prime
ad
uscire, salvo quelle degli ultimi due volumi, editi solamente
presso
Mondadori. "Scialle nero",
1922;
"La vita nuda",
1922;
"La
rallegrata",
1922; "L'uomo solo", 1922; "La mosca", 1923;
"In
silenzio", 1923; "Tutt'e tre", 1924; "Dal naso al cielo", 1925;
"Donna
Mimma", 1925; "Il vecchio dio", 1926; "La giara", 1928; "Il
viaggio",
1928; "Candelora", 1928; "Berecche e la guerra", 1934; "Una
giornata",
1937.
PRIME EDIZIONI DELLE POESIE.
"Mal giocondo", Libreria Internazionale Lauriel di Carlo
Clausen,
Palermo, 1889.
"Pasqua di Gea", Libreria Editrice Galli, Milano 1891.
"Pier Gudr•", Enrico Voghera, Roma 1894.
"Elegie renane", Unione Cooperativa Editrice, Roma 1895.
"Zampogna", Societ… Editrice Dante Alighieri, Roma 1901.
"Scamandro", Tipografia Roma di Arnani e Stein, Roma 1909.
"Fuor di chiave", Formiggini, Genova 1912.
"Elegie romane" (traduzione da Goethe), Giusti, Livorno 1896.
PRIME EDIZIONI DEI SAGGI.
"Arte e scienza", W. Modes Libraio Editore, Roma 1908.
"L'umorismo", R. Carabba, Lanciano 1908.
PRIME EDIZIONI DEI ROMANZI.
"L'esclusa", in "La tribuna", giugno-agosto 1901; poi presso
Treves,
Milano 1908.
"Il turno", Giannotta, Catania 1902.
"Il fu Mattia Pascal", in "La nuova antologia", aprile-giugno
1904,
poi edito da "La nuova antologia", Roma 1904.
"Suo marito", Quattrini, Firenze 1911; fu ripubblicato poi col
titolo
"Giustino Roncella nato Boggi•lo".
"I vecchi e i giovani", in "Rassegna contemporanea", gennaionovembre
1909; poi presso Treves, Milano 1913.
"Si gira", in "La nuova antologia", giugno-agosto 1915; poi
presso
Treves,
Milano 1916; in seguito venne ripubblicato col
titolo
"Quaderni di Serafino Gubblio operatore", R. Bemporad e F.,
Firenze
1925.
"Uno, nessuno e centomila", in "La fiera letteraria", 1925-26;
poi
presso R. Bemporad e F., Firenze 1926.
PRIME EDIZIONI E PRIME RAPPRESENTAZIONI DELLE OPERE TEATRALI.
"La morsa" (col titolo "L'epilogo"), pubblicata in "Ariel", 20
marzo
1898; poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a
Roma,
Teatro Metastasio, dalla compagnia "Teatro minimo", diretta da
Nino
Martoglio, 9 dicembre 1910.
"Lum¡e di Sicilia", pubblicata in "La nuova antologia", 16 marzo
1911;
poi presso Treves, Milano 1920;
rappresentata a Roma,
Teatro
Metastasio,
dalla
compagnia "Teatro minimo",
diretta da
Nino
Martoglio, 9 dicembre 1910.
"Il dovere del medico", pubblicata in "Noi e il mondo", gennaio
1912;
poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a Roma,
Sala
Umberto Primo, dalla compagnia "Teatro per tutti", diretta da
Lucio
d'Ambra e Achille Vitti, 20 giugno 1913.
"CecŠ",
pubblicata
in
"La
lettura",
ottobre
1913;
poi presso
R.
Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a S. Pellegrino, Teatro
del
Casino, dalla compagnia Armando Falconi, 10 luglio 1920.
"Se non cos•", pubblicata in "La nuova antologia", gennaio 1916;
poi
(col titolo "La ragione degli altri") presso Treves, Milano
1917;
rappresentata a Milano, Teatro Manzoni, dalla compagnia
Stabile
Milanese, diretta da Marco Praga, 19 aprile 1915.
"All'uscita", pubblicata in "La nuova antologia", novembre 1916;
poi
presso Treves, Milano 1917; rappresentata a Roma, Teatro
Argentina,
dalla compagnia Lamberto Picasso, 22 settembre 1922.
"Pensaci, Giacomino!", pubblicata in "Noi e il mondo", aprilegiugno
1917; poi presso Treves, Milano 1918; rappresentata a Roma
(nella
versione
originale
in dialetto siciliano col titolo
"Pensaci,
Giacominu!"), Teatro Nazionale, dalla compagnia Angelo Musco,
10
luglio 1916.
"Liol…" (testo in siciliano), pubblicata da Formiggini, Roma
1917;
rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla compagnia Angelo
Musco,
4 novembre 1916.
"Cos Š (se vi pare)", pubblicata in "La nuova antologia", 116
gennaio 1918; poi presso Treves, Milano 1918; rappresentata a
Milano,
Teatro Olimpia, dalla compagnia Virgilio Talli, 18 giugno 1917.
"La patente", pubblicata nella "Rivista d'Italia", 31 gennaio
1918;
poi presso Treves, Milano 1920;
rappresentata a Roma,
Teatro
Argentina, dalla compagnia "Teatro Mediterraneo", diretta da
Nino
Martoglio (tradotta in siciliano dallo stesso Pirandello), 19
febbraio
1919.
"Il piacere dell'onest…", pubblicata in "Noi e il mondo",
febbraiomarzo 1918; poi presso Treves, Milano 1918; rappresentata a
Torino,
Teatro Carignano, dalla compagnia Ruggero Ruggeri, 27 novembre 1917.
"Il berretto a sonagli", pubblicata in "Noi e il mondo",
agostosettembre 1918; poi presso Treves, Milano 1920; rappresentata a
Roma
(nella versione originale in dialetto siciliano col titolo "A
birritta
cu' i ciancianeddi"), Teatro Nazionale, dalla compagnia Angelo
Musco,
27 giugno 1917.
"Il giuoco delle parti", pubblicata in "La nuova antologia", 116
gennaio 1919; poi presso Treves, Milano 1919; rappresentata a
Roma,
Teatro Quirino, dalla compagnia Ruggero Ruggeri, 6 dicembre 1918.
"L'uomo, la bestia e la virt—", pubblicata in "Comoedia", 10
settembre
1919; poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1922; rappresentata
a
Milano, Teatro Olimpia, dalla compagnia Antonio Gandusio, 2
maggio
1919.
"Ma non Š una cosa seria", pubblicata da Treves, Milano
1919;
rappresentata a Livorno,
Teatro Rossini,
dalla compagnia
Emma
Grammatica, 22 novembre 1918.
"Tutto per bene", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1920;
rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Ruggero
Ruggeri,
2 marzo 1920.
"L'innesto", pubblicata da Treves, Milano 1921; rappresentata
a
Milano, Teatro Manzoni, dalla compagnia Virgilio Talli, 29
gennaio
1919.
"Come prima, meglio di prima", pubblicata da R. Bemporad e F.,
Firenze
1921; rappresentata a Venezia, Teatro Goldoni,
dalla
compagnia
Ferrero-Celli-Paoli, 24 marzo 1920.
"Sei personaggi in cerca d'autore", pubblicata da R. Bemporad e
F.,
Firenze 1921; rappresentata a Roma, Teatro Valle, dalla
compagnia
Niccodemi, 10 maggio 1921.
"Enrico Quarto", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1922;
rappresentata a Milano, Teatro Manzoni, dalla compagnia
Ruggero
Ruggeri, 24 febbraio 1922.
"La signora Morli, una e due", pubblicata da R. Bemporad e F.,
Firenze
1922; rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla compagnia
Emma
Grammatica, 12 novembre 1920,
"Vestire gli ignudi", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1923;
rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Maria Melato,
14
novembre 1922.
"La vita che ti diedi", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1924;
rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Alda Borelli,
12
ottobre 1923.
"Sagra del Signore della Nave", pubblicata nel "Convegno",
30
settembre 1924,
poi presso R.
Bemporad e F.,
Firenze
1925;
rappresentata a Roma, Teatro Odescalchi, dalla compagnia
"Teatro
d'arte", diretta da Pirandello, 4 aprile 1925.
"Ciascuno a suo modo", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1924;
rappresentata a Milano, Teatro dei Filodrammatici, dalla
compagnia
Niccodemi, 22 maggio 1924
"L'altro figlio", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1925;
rappresentata a Roma, Teatro Nazionale, dalla compagnia Raffaello
e
Garibalda Niccoli (tradotta in vernacolo toscano da F. Paolieri),
23
novembre 1923.
"La giara",
pubblicata da R.
Bemporad e F.,
Firenze
1925;
rappresentata a Roma, Teatro Nazionale, dalla compagnia Angelo
Musco
(tradotta in siciliano dallo stesso Pirandello), 9 luglio 1917.
"L'imbecille", pubblicata da R.
Bemporad e F.,
Firenze
1926;
rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Alfredo
Sainati,
10 ottobre 1922.
"L'uomo dal fiore in bocca", pubblicata da R. Bemporad e F.,
Firenze
1926; rappresentata a Roma, Teatro degli Indipendenti, dalla
compagnia
degli "Indipendenti", diretta da Anton Giulio Bragaglia, 21
febbraio
1923.
"Diana e la Tuda", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1927;
rappresentata a Zurigo, Schauspielhaus, 20 novembre 1926
(traduzione
tedesca di Hans Feist); prima rappresentazione italiana a
Milano,
Teatro Eden, "Compagnia Pirandello", 14 gennaio 1927.
"L'amica delle mogli", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1927;
rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla "Compagnia
Pirandello",
28 aprile 1927.
"La nuova colonia", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1928;
rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla "Compagnia
Pirandello",
24 marzo 1928.
"Bellavita", pubblicata in "Il Secolo XX", luglio 1928; poi
presso
Mondadori, Milano 1937; rappresentata a Milano, Teatro Eden,
dalla
compagnia Almirante-Rissone-Tofano, 27 maggio 1927.
"Liol…" (testo italiano), pubblicata da R. Bemporad e F.,
Firenze
1928; rappresentata a Milano, Teatro Nuovo, dalla compagnia
TofanoRissone-De Sica, 8 giugno 1942.
"Sogno (ma forse no)", pubblicata in "La lettura", ottobre 1929;
poi
presso Mondadori,
Milano 1936; rappresentata a Lisbona,
Teatro
Nacional, 22 settembre 1931 (traduzione portoghese di Caetano de
Abreu
Beirao); prima rappresentazione italiana a Genova, Teatro
Giardino
d'Italia, compagnia Filodrammatica del Gruppo Universitario di
Genova,
10 dicembre 1937.
2O di uno o di nessuno", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze
1929;
rappresentata a Torino, Teatro di Torino, dalla compagnia
AlmiranteRissone-Tofano, 4 novembre 1929.
"Lazzaro", pubblicata da Mondadori, Milano 1929; rappresentata
a
Huddersfield, Theater Royal, 9 luglio 1929 (traduzione inglese di
C.
K. Scott Moncrieff); prima rappresentazione italiana a Torino,
Teatro
di Torino, compagnia Marta Abba, 7 dicembre 1929.
"Questa sera si recita a soggetto", pubblicata da Mondadori,
Milano
1930; rappresentata a Koenigsberg, Neues Schauspielhaus, 25
gennaio
1930 (traduzione tedesca di Heinrich Kahn); prima
rappresentazione
italiana a Torino,
Teatro di Torino,
Compagnia
appositamente
costituita diretta da Guido Salvini, 14 aprile 1930.
"Come tu mi vuoi", pubblicata da Mondadori, Milano 1930;
rappresentata
a Milano, Teatro dei Filodrammatici, dalla compagnia Marta Abba,
18
febbraio 1930.
"I giganti della montagna", pubblicata: il Primo atto in "La
nuova
antologia", 16 dicembre 1931; il Secondo atto in "Quadrante",
novembre
1934; poi, completa, presso Mondadori, Milano 1938; rappresentata
a
Firenze, Giardino di Boboli, dal Complesso Artistico diretto da
Renato
Simoni, 5 giugno 1937.
"Trovarsi", pubblicata da Mondadori, Milano 1932; rappresentata
a
Napoli, Teatro dei Fiorentini, dalla compagnia Marta Abba, 4
novembre
1932.
"Quando si Š qualcuno", pubblicata da Mondadori,
Milano
1933;
rappresentata a Buenos Aires,
Teatro Odeon, 20 settembre
1933
(traduzione spagnola di Homero Guglielmini); prima
rappresentazione
italiana a San Remo, Teatro del Casino Municipale, compagnia
Marta
Abba, 7 novembre 1933.
"La favola del figlio cambiato", pubblicata, con la musica
di
Malipiero, da Ricordi, Milano 1933; rappresentata a
Braunschweig,
Landtheater, 13 gennaio 1934 (traduzione tedesca di Hans
Redlich);
prima rappresentazione italiana a Roma, Teatro Reale dell'Opera,
24
marzo 1934.
"Non si sa come", pubblicata da Mondadori, Milano 1935;
rappresentata
a Praga, Teatro Nazionale, 19 dicembre 1934 (traduzione ceca
di
Venceslao Jivina); prima rappresentazione italiana a Roma,
Teatro
Argentina, compagnia Ruggero Ruggeri, 13 dicembre 1935.
"Pari" (incompiuta), pubblicata nell'"Almanacco Letterario
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Editore, Caltanissetta 1961.
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"Veltro",
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"La poetica di Pirandello" e "Le novelle
di
Pirandello" in "La barriera del naturalismo. Studi sulla
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italiana contemporanea", U. Mursia e C., Milano 1964.
Giuseppe
Giacalone: "Luigi Pirandello", La Scuola, Brescia 1966.
Luigi PersonŠ: "Luigi Pirandello" in "Scrittori italiani moderni
e
contemporanei", Le Monnier, Firenze 1968.
Filippo Puglisi: "Pirandello e la sua lingua", Nuova Cappelli,
Bologna
1968.
Lucio Lugnani: "Pirandello", La Nuova Italia, Firenze 1970.
G. Mazzali: "Pirandello", La Nuova Italia, Firenze 1973.
Silvana Monti: "Pirandello", Palumbo, Palermo 1974.
Ferdinando Virdia: "Pirandello", Mursia, Milano 1975.
Georges Pirou‚: "Pirandello", Sellerio editore, Palermo 1980.
Enzo Lauretta: "Luigi Pirandello", Mursia, Milano 1980.
Giovanni Macchia, "Pirandello o la stanza della tortura",
Mondadori,
Milano 1981.
"Pirandello poeta", Atti del convegno di Agrigento, Vallecchi
Firenze
1981.
Antonio
Illiano:
"Metapsichica
e
letteratura in
Pirandello",
Vallecchi, Firenze 1982.
Nino Borsellino: "Ritratto di Pirandello", Laterza, Bari 1983.
Franco Zangrilli: "L'arte novellistica di Pirandello", A.
Longo,
Ravenna 1983.
Alcuni giudizi critici.
Adriano Tilgher.
In "Studi sul teatro contemporaneo" (1923)
esponeva
compiutamente la sua teoria sull'arte e
Parimenti
impostava
il problema critico dell'arte
fondato
sull'antitesi fra Vita e Forma. Stralciamo un
Adriano Tilgher
sul
teatro.
pirandelliana,
brano significativo.
"L'antitesi Š perci• la legge fondamentale di quest'arte.
L'inversione
dei comuni ordinarii abituali rapporti della vita trionfa sovrana.
Fra
le commedie, "Pensaci, Giacomino!" svolge il motivo del marito
che
riconduce a viva forza presso la moglie il giovane amante di
lei;
"L'uomo, la bestia e la virt—", al contrario, il motivo
dell'amante
che riconduce a viva forza il marito nel talamo coniugale; Ma non
Š
una cosa seria, il motivo del matrimonio antidoto contro il
pericolo
del matrimonio; e fra le novelle, "Da s‚", il motivo del morto che
se
ne va con le sue gambe al cimitero godendo di tante cose di cui
n‚
vivi n‚ morti si accorgono e godono; "NenŠ e Nini", il motivo di
due
orfanelli che sono la causa della rovina di tutta una serie
di
patrigni e matrigne; "Canta l'epistola", il motivo di un
duello
mortale causato dall'estirpazione di un filo d'erba; Il dovere
del
medico, il motivo del medico che per dovere lascia che il
malato
affidatogli muoia dissanguato; "Prima notte", il motivo di due
coniugi
che la passano piangendo sulle tombe l'una del fidanzato,
l'altro
della prima moglie; "L'illustre estinto", il motivo di un
illustre
estinto sepolto di notte e di nascosto come un cane mentre al
suo
posto un ignoto riceve onori regali, e basta, ch‚ non si finirebbe
pi—
di esemplificare.
Dualismo della Vita e della Forma o Costruzione; necessit… per la
Vita
di calarsi in una Forma ed impossibilit… di esaurirvisi: ecco
il
motivo fondamentale che sottost… a tutta l'opera di Pirandello e le
d…
una ferrea unit… e organicit… di visione.
Ci• basta da solo a far comprendere di quanta freschissima
attualit…
sia l'opera di questo nostro scrittore. Tutta la filosofia moderna
da
Kant in poi sorge sulla base di questa intuizione profonda
del
dualismo tra la Vita, che Š spontaneit… assoluta, attivit…
creatrice,
slancio perenne di libert…, creazione continua del nuovo e
del
diverso, e le Forme o Costruzioni o schemi che tendono a
rinserrarla
in s‚, schemi che la Vita, di volta in volta, urtandovi
contro,
infrange
dissolve fluidica per passare pi— lontano,
creatrice
infaticata e perenne. Tutta la storia della filosofia moderna non
Š
che la storia dell'approfondirsi del conquistarsi del chiarificarsi
a
se medesima di questa intuizione fondamentale. Agli occhi di
un
artista che di questa intuizione viva - Š il caso di Pirandello la
realt… appare nella sua stessa radice profondamente drammatica,
e
l'essenza del dramma Š nella lotta fra la primigenia nudit… della
vita
e gli abiti o maschere di cui gli uomini pretendono, e
debbono
necessariamente pretendere, di rivestirla. "La vita nuda",
"Maschere
nude". I titoli stessi delle opere sono altamente significativi."
Corrado Alvaro.
Quando Pirandello consegu• nel 1934 il Premio Nobel, Corrado
Alvaro
scrisse per "La nuova antologia", 16 novembre 1934, un articolo che
riportiamo quasi per intero - dal titolo "Pirandello, Premio
Nobel
1934". E' un articolo che contribuisce ad avvicinarci alla
personalit…
artistica e umana dello scrittore siciliano.
"La sua lingua, al principio ripicchiata e di vocabolario, diviene
nel
meglio
della
sua
opera
un
modo
d'esprimersi
naturale,
come
si
esprimono gli elementi nella luce;
punto
investono l'uomo e divengono rimpianti
incubi,
le
sue manie a un certo
di
angeli
decaduti,
segni
del
destino.
Tanto Š vero che non c'Š grande poeta senza
idee
fisse.
Non Š chiara ancora
la
trasmutazione
dei
valori
nell'arte
pirandelliana; non Š chiara l'operazione per cui i suoi
personaggi
provinciali, vestiti di nero, divengono i rappresentanti d'un
mondo
borghese preso dalla vertigine del mutamento d'un'epoca. E non
Š
chiaro come la grossa farsa paesana torna con lui, a una
data
temperatura, al modello d'una commedia classica. V'Š in lui una
forza,
pi— che governata, primordiale, un risentimento atavico di
destini
umani; soltanto un provinciale che serbi i sogni e gl'ideali
del
fanciullo di provincia verso un mondo pi— alto e pi— puro,
verso
l'astrazione e i concetti, poteva operare la trasmutazione
dell'arte
pirandelliana per la quale, nelle esplicazioni maggiori, non si
pu•
parlare quasi d'altro che d'una forza di convinzione e d'una
qualit…
di fede. Il suo segreto e la sua forza stanno in quello che
credette
fanciullo e uomo giovane, nei suoi stessi pregiudizi:
nell'eredit…
insomma del suo ceppo borghese, nel doloroso decoro dei borghesi
di
provincia, nel loro sacrificio oscuro, nella loro facolt… di
ammirare
e di credere, perfino in una certa dose di malignit… e di
cattiveria,
di emulazione, di orgoglio e di culto delle apparenze, d'ideali
e
d'impulsi segreti pei quali alla fine, giunti alla scoperta del
mondo,
ne rifuggono inorriditi, poich‚ lo immaginano sempre pi— alto e
pi—
nobile. La rivolta di Pirandello davanti ad alcuni fatti non ha
pi—
che queste ragioni e spinte. Egli appartiene a una classe che ha
una
storia di ideali e di sacrifici. Sulle prime, la stessa societ… di
cui
Pirandello ha fatto la storia Š saltata in piedi indignata,
quasi
quanto sono indignati i suoi personaggi di scoprirsi sul
palcoscenico.
Essi credono alla purit… e all'onest…, hanno diviso il mondo in bene
e
in
male,
e
questi
limiti non li hanno mai aboliti;
credono in
una
verit… assoluta e incontrovertibile,
ciascuno ha in s‚ il suo odio
e
il suo giudice; lottano contro la malignit… umana che strappa loro
gli
ultimi schermi e le ultime povere e dignitose apparenze, si
confessano
a un certo punto con dolore; vorrebbero essere ben alti, ben
grandi,
ben puri; anche se non v'Š posto ad altezza e a grandezza.
Vorrebbero
che vi si credesse ancora. Quando il Padre, nei "Sei
personaggi",
comincia a narrare di s‚, lo fa quasi in sogno; in genere,
nell'opera
pirandelliana, quando l'uomo comincia a raccontare di s‚ ad alta
voce
scopre quale Š veramente egli stesso: la colpa, il peccato,
l'orrore,
sentimenti ben forti nell'opera dello scrittore, prendono
consistenza
come una lastra fotografica al reagente degli acidi: Š il
definirsi,
che uccide gli uomini; l'atto della parola diviene una forma
di
confessione e di espiazione; i drammi si compiono parlandone; fino
a
quando tutto rimane sepolto nel fondo della coscienza, Š
ancora
increato e ingiudicato, e l'uomo Š tranquillo; parlando, l'uomo crea
e
foggia se stesso, stabilisce il suo destino. Per arrivare a
questo,
occorreva uno scrittore penetrato di tanti elementi indefiniti
della
coscienza, colpito dagli stessi pregiudizi che tessono il
destino
degli eroi dei drammi antichi e che fanno il fondo della
psicologia
popolare, della sua giustizia e delle sue leggi oscure.
L'uomo
s'inventa e si scopre parlando...
Pirandello coglie esattamente questo momento,
prima ancora
che
quindici anni di critica e di fatti compiano l'opera: la
sua
apparizione sull'orizzonte del teatro ha questo valore
annunziatore.
Davanti allo smarrimento di se stessi e al crepuscolarismo, la
stracca
commedia di salotto diventa in Pirandello ancora capace di
reazioni:
l'uomo vi si rivolta come un disperato eroe, la revisione dei
valori
convenzionali e la ricerca d'una leva morale divengono fin
troppo
acute. Alla fine, l'individuo in giacchetta potrebbe portare un
peplo
di tragedia: pu• di nuovo uccidere, cioŠ offendere, affermare
il
valore d'una verit… fondamentale, d'un fatto morale e d'una
coscienza.
Nel dramma borghese tutto finiva fatalmente nel suicidio. Il
valore
dell'apporto pirandelliano alla rappresentazione del costume Š in
una
specie d'intuizione della societ… nuova; i suoi personaggi si
possono
ridurre a una sola espressione e a un solo atteggiamento: la
reazione
a tutto quello che nella societ… Š senza pi— contenuto vitale,
un
cammino a ritroso dagli appetiti agli istinti. Uccidere diventa
in
Pirandello la sanzione dell'istinto, la voce del sangue, il
ritorno
dell'uomo a una fatalit… umana e a una legge.
Una delle vie per cui opera Pirandello Š l'amletismo; tutti i
suoi
personaggi hanno in s‚ qualcosa di Amleto, e tra questi un
discendente
diretto Š il suo "Enrico Quarto". Come Amleto, i suoi personaggi,
in
un mondo di tradizioni consunte, portano qualcosa di essenziale, e
il
sapore della morte, e il demone del pensiero in confronto con
la
debolezza della volont…. Anche in Pirandello appare la demenza
come
una via per riguadagnare il senso della personalit… umana, e
qualcosa
di fatale che supera la stessa personalit… e volont… dell'uomo.
Siamo,
cioŠ, al ritorno d'una verit… e d'un valore morale di
sentimenti,
ritorno tanto insopprimibile, connaturato quasi all'essenza umana,
da
manifestarsi con la violenza con cui si manifest• nel dramma greco.
A
un certo punto le leggi morali acquistano la violenza dell'istinto,
e
colpiscono ciecamente come colpiva il destino.
Si apre cos il sipario sull'anima dell'et… nuova, degli uomini
nuovi.
Massimo Bontempelli.
Un contributo fondamentale alla comprensione e alla
definizione
dell'arte pirandelliana fu dato da Massimo Bontempelli. Dal
discorso
commemorativo pronunciato il 17 gennaio 1937 e raccolto nel
volume
"Introduzioni e discorsi", Bompiani, Milano 1945, riportiamo
alcuni
brani significativi.
Luigi
Pirandello
si
affacci•
anima
candida
alla
vita
e
alla
intelligenza delle cose, in uno dei tempi meno candidi che si
possano
immaginare. L'ultimo quarto dell'Ottocento Š un tempo in cui
la
qualit… principale Š l'abilit…, che anch'essa Š lontana al
possibile
dal candore. Volendoci stringere nel campo dell'arte, dei maggiori
di
quel tempo il solo Verga era un elementare. Anche a scendere
di
qualche anno sarebbe confusione credere Pascoli un candido: Pascoli
Š
un composito.
Quel tempo, con gli anni che lo seguono fino alla guerra
d'Europa,
segna la fine del mondo romantico, nato diciannove secoli prima.
E
nell'opera di Pirandello il mondo romantico e le sue
postreme
deduzioni si distruggono fino all'ultima cellula.
Di qua dal mondo che Pirandello ha denudato - ecco la denuncia la
compagine umana non pu• trovare che la distruzione totale, o
il
ricominciamento. Ricominciare, dai primi elementi. Ma
ricominciare
carichi delle esperienze assorbite e dimenticate.
[...]
Ma per ricominciare con onest… occorre vedere chiaro intorno a
s‚,
rendersi conto delle condizioni raggiunte dalla conoscenza umana; e,
a
costo di tutto (ecco lo spirito candido) a costo di tutto
"denunciare
le conseguenze".
Per
potere far questo,
l'arte di Pirandello comincia
subito,
d'istinto, con un atto audace. Egli non sceglie i suoi
personaggi.
Quasi tutta l'arte narrativa e teatrale prima di lui s'era
aggirata
intorno alle individualit… tipiche, era una messa in valore
di
persone, dall'immancabile protagonista gi— per una gerarchia
bene
stabilita di caratteri. Questa scelta e misurazione e
giudicamento
senza appello era il lavoro fondamentale dello scrittore.
Pirandello non ha scelto. Ha messo le mani in mezzo a un groviglio
di
gente e ha tirato su come con le reti, uomini e donne a grappoli.
Era
quella la piccola borghesia della fine dell'Ottocento, margine
d'una
pi— grossa borghesia in dissoluzione. Come non li ha scelti, cos•
non
li ha giudicati, non ha voluto valutarne le tendenze e le
credenze
individuali: un pi— vasto giudizio aveva egli da preparare. Li
ha
presi come venivano e come stavano, ha mostrato di accettare le
loro
leggi, convenzioni, mediocri costumi, la loro abbandonata
incapacit….
L'umanit… del mondo pirandelliano Š veramente - per servirmi
d'una
parola venuta in grande uso alcuni anni pi— tardi, cioŠ con la
guerra
- "massa". Tuttavia massa non puoi chiamarla.
Questa parola "massa" Š carica di energia. E spaventosa. D… un
senso
di forza cieca. La massa, piena di forza e tutta in s‚ coesa, Š
priva
di volont… possibile, di ansia. Occorre un volere che la superi
a
farle da motore, che tutta unita la scagli a un fine, ad
aprire
varchi,
a sommuovere; lui le d… le sue leggi nuove, le
sue
convenzioni. La guerra ci ha insegnato l'espressione "massa
di
manovra".
Invece l'umanit… in cui Pirandello ha affondato le mani fin
da
principio, per farsene materia alla creazione d'un mondo suo
proprio,
non era se non un groviglio che si sente vivere; non massa, e
quasi
neppure folla: non incapace di ansie, ma nuda di energie. In ognuno
perch‚ quel groviglio Š pur fatto di tanti "ognuno" - suppura
una
certa dose di piccola volont…,
ma piuttosto che volont… Š
voglia,
e
manca di direzione; nel tutto non c'Š quel tanto di coesione da
farlo
diventare peso di manovra in mano a un volere.
[...]
Se voi leggete specialmente i primi volumi dei racconti, quel mondo
di
stanzucce, scialletti, lettini di ferro, spalle strette, finestre
sul
vicolo, luci stentate, anime chine, piccole croci, vi pare un
mondo
gi… pronto per l'ultimo respiro e che senza spostare niente basti
un
piccolo tocco per farne un cimitero.
In realt… tutte quelle persone non sono affatto pronte alla
morte,
penano perch‚ non si sentono abbastanza vive. Il dramma
pirandelliano
Š
gi…
dai
principii,
e
sar…
sempre,
proprio questo:
la
rappresentazione del primo movimento in cui nasce la vita;
quella
smania per cui basta che tu getti un po' d'acqua sopra un po'
di
terra, e in breve ecco un brulicare di vite vegetali e animali
che
stavano ansiose in un angolo dell'increato ad aspettare.
Diego Fabbri.
Al "Congresso
internazionale
di
studi
pirandelliani",
tenutosi
a
Venezia nell'ottobre 1961, Diego Fabbri presentava una
comunicazione
su "Pirandello poeta drammatico", dalla quale stralciamo un
brano
significativo.
In fondo quel che Pirandello stima e rispetta e ama di pi— nel
teatro
Š il pubblico, quel pubblico che vede, osserva, analizza ogni sera,
di
cui studia e rispetta le reazioni, quel pubblico che non riesce mai
ad
offenderlo
anche
quando
lo contrasta e gli si oppone.
Sul
palcoscenico, in fondo, Pirandello potrebbe fare tutto da
solo:
l'autore come lo fa, ma anche l'attore, e il regista; e
dello
scenografo, dopo tutto, che bisogno c'Š perch‚ accada quel che
lui,
l'autore, vuol fare accadere? Gli basta un palcoscenico nudo e un
po'
di luce... Ma il pubblico no, quello non se lo pu• creare,
non lo
pu•
in nessun modo sostituire, e non lo pu• - e non lo vuole nemmeno
influenzare. Io e il pubblico siamo gi… il teatro, sembra
dire
Pirandello.
Eppure pochi come lui hanno "vissuto" il teatro nella molteplicit…
dei
suoi elementi e dei suoi motivi. Pochi come lui sono stati direi
organicamente, costituzionalmente - "teatro" fin dalle origini
della
sua attivit… non soltanto letteraria, ma umana. Pirandello s'Š
portato
dietro, s'Š cresciuto dentro il teatro fin dal primo racconto;
e
prima, prima ancora: fin dal giorno in cui ha contemplato e sentito
e
poi giudicato i fatti della vita, i drammi di "relazione" che
lo
circondavano e lo stringevano da vicino e lo colpivano, nella
casa,
nelle persone care, nelle cose. E' con questo intenso carico umano
di
vicende vere gi… raccolte e intrecciate in un viluppo
alternamente
drammatico, che Pirandello passa naturalmente e inconsapevolmente
dal
"teatro della vita" al "teatro
del
palcoscenico".
Ho
detto
inconsapevolmente: poich‚ il vero e proprio palcoscenico ch'era
l•,
nella sua concretezza, a dargli la consapevolezza del teatro
teatrale,
Š naturalmente scansato da Pirandello quasi a convincerlo, o
a
illuderlo, che, dopo tutto, quello che s'accingeva a fare non
era
teatro, o per lo meno non era quel certo teatro fatto, appunto, di
un
palco con gli attori e di una platea con il pubblico separati,
distinti - e distanti, entit… diverse. Quando Pirandello si
decider…,
di malavoglia e a malincuore, a salire sul palco, ne aveva
gi…
ampiamente rimosso le strutture e le separazioni con la vita
della
platea. Non potendo, non volendo rimodellare la vita del pubblico
ch'Š sacra perch‚ Š vera -, Pirandello aveva gi… sommosso la vita
del
palcoscenico.
Luigi Ferrante.
In questo scritto
su
"La
poetica
di
Pirandello",
presentato
al
"Congresso internazionale di studi pirandelliani" del 1961,
Luigi
Ferrante analizza acutamente il rapporto tra Pirandello "poeta"
e
Pirandello "artista".
Parlando dell'umorismo e muovendo dalla
sua
poetica,
Pirandello
ha
introdotto
motivi
nuovi
nella
cultura
filosofica italiana: se
non
disegnano una
estetica,
recano
un
contributo
sovente
geniale
al
dibattito intellettuale. Il "momento critico" posto,
intimamente,
accanto al "momento creativo", il rapporto interiore tra intuizione
e
riflessione, passione e razionalit…, memoria e coscienza, sono i
temi
delle poetiche europee del Novecento. Non Š di poco conto il fatto
che
Pirandello prenda come esempio dell'umorismo e del "sentimento
del
contrario" un personaggio di Dostojevskij, Marmeladoff, e
un'opera
come "Delitto e castigo" (In "L'umorismo", pagina 127). Nasce,
con
l'Umorismo, la pirandelliana finzione consapevole: portata
sulla
scena, rivoluzioner… la poetica della teatralit… affermata sin
dai
tempi della riforma goldoniana, il "naturale e verisimile", un
nuovo
linguaggio critico imporr… all'attore di lasciare la maschera e
di
porsi
al
centro,
tra
realt…
e finzione,
nell'inquietudine
problematica. Il confronto tra l'esistenza e l'arte sar… questo:
vera
la scena quando la vita Š mistificazione, vero il personaggio
quando
l'uomo finge d'essere come non Š.
La vena ideale pirandelliana ha diramazioni antiche, un modo
di
assumere gli argomenti e di svolgerli che ha fatto pensare ai
sofisti.
Sarebbe errore cercare, nella filosofia, in Gorgia poniamo (come
Š
stato fatto) o anche nel momento dell'idealismo
i
"concetti"
pirandelliani.
Cerchiamoli nella letteratura e nel teatro comico.
Non
va dimenticato, infatti, che la logica, nella nostra
letteratura
comica ha carattere formale, neosofistico e aristotelico,
spesso
riproduce la forma del sillogismo, rivela l'obbiettivo dei
suoi
"assalti", l'educazione scolastica e retorica, una concezione
della
societ… fondata su concezioni dette morali che si volevano
eterne
anche nell'ingiustizia e nell'errore. I pi— antichi strumenti,
la
antilogica e la logica formale, permangono nel loro valore
agonistico
lungo un arco plurisecolare: la logica, fondata sulle
premesse
categoriche che portano, "per necessit…", a conclusioni
determinate,
abbandonato il campo della retorica scolastica, trova, nel comico,
un
impiego democratico.
Rifugio estremo della piet… e della malinconia,
della
stessa
intelligenza, il comico italiano rivela tracce d'una
condizione
servile, d'una rivolta che ha larghi tratti popolari; ci offre
squarci
d'una filosofia violata, ridotta, quasi ferocemente, a
strumento
antilogico e agonistico, per dimostrare l'esistenza della fame
e
dell'oltraggio come si dimostrava l'esistenza dell'anima.
Si pensi alla rivolta degli uomini nel teatro di Pirandello: a
Ciampa
ne "Il berretto a sonagli", a Rosario Chi…rchiaro ne "La patente",
ma
anche ad altre figure, intellettuali e ragionanti, come Baldovino
ne
"Il piacere dell'onest…", a Leone ne "Il gioco delle parti".
Con Pirandello, dicevamo, si entra nel mondo dell'umorismo e
della
finzione consapevole: le forme dello scetticismo teorico e
del
soggettivismo
pratico
scorrono
in
una
vena dialettica,
la
contraddizione tra il sentire individuale e la convenzione
sociale
appare rivelata, diventa, talvolta, il tema stesso del dramma,
nelle
forme concrete del teatro, non in quelle astratte della speculazione.
Il pensiero, il teatro pirandelliano sono specchio di una
societ…
diversa, che non riesce a stabilire, tra gli individui, un
dialogo
morale: di qui la impossibilit… di conoscersi, di comunicare,
il
bisogno della piet…, la rivolta contro le mistificazioni, i
giudizi
che ci "fissano", temi, tra gli altri, di commedie come "Cos Š (se
vi
pare)", "Sei personaggi in cerca d'autore".
La crisi del verismo, l'abbandono d'una indagine oggettiva, non
Š
rinuncia ad approfondire il rapporto individuo-societ… gi…
avviato.
Mutano il metodo e il fine della ricerca.
Pirandello sent• il peso della miseria che opprimeva le
popolazioni
contadine del Sud; comprese il disagio morale che spegneva la
piccola
borghesia urbana;
not• il corrompersi di ogni forma di
vita
tradizionale, ma prefer cogliere, di questa realt…, gli
aspetti
ideali; l'impossibilit… di stabilire un contatto etico profondo tra
le
coscienze individuali; il disintegrarsi della vita quotidiana
fuori
della
storia;
la degradazione dei sentimenti nel
pregiudizio,
dell'onest… nella finzione legale e, dunque, la necessit… d'una
nuova
condizione etica.
Egli sent la vita della societ… nei suoi nodi intellettuali e
morali
e, dunque, la storia dell'uomo avvinta a quei nodi.
L'agnosticismo del dramma "Cos Š (se vi pare)" d… luce al
sentimento
della piet…, della alineazione negli altri; il relativismo dei
"Sei
personaggi" mostra un tragico confronto tra esperienze
individualmente
sofferte che, vanamente, cercano un fondamento oggettivo per una
stona
da affidare agli altri; il dissidio tra la vita, mobile e
irrazionale,
e la storia, stabile e conseguente, coincide col "momento critico"
che
attraversa il dramma passionale e lo riscatta. Lo scrittore
rompe,
cos, i nodi che avvincono una societ… vinta dalla mistificazione.
L'innesto.
(1918)
Personaggi:
Laura Banti, moglie di Giorgio Banti.
La Signora Francesca Betti, madre di Laura e di Giulietta.
L'Avvocato Arturno Nelli.
La Signora Nelli.
Il Dottor Romeri.
Il Delegato.
La Zena, contadina.
Filippo, vecchio giardiniere.
Un Cameriere, una Cameriera, il Portiere, due Guardie che non
parlano.
Il primo atto a Roma.
Il secondo e il terzo in una villa a Monteporzio. - Oggi.
ATTO PRIMO.
(Salotto elegantemente mobiliato in casa Banti. Uscio comune in
fondo,
e laterali a destra e a sinistra (dell'attore)).
SCENA PRIMA.
La SIGNORA NELLI, la SIGNORA FRANCESCA, e GIULIETTA.
(Al levarsi della tela la signora Nelli,
in visita,
attende,
sfogliando in piedi presso un tavolinetto una rivista
illustrata.
Entrano poco dopo dall'uscio a sinistra, anch'esse col cappello
in
capo, la signora Francesca e Giulietta).
FRANCESCA (vecchia provinciale arricchita, troppo stretta in un
abito
troppo elegante, che contrasta con l'aria un po' goffa e il modo
di
parlare. Non Š sciocca; piuttosto un po' sguaiata): Cara signora mia!
SIGNORA NELLI (elegante, ma gi… sciupata, con qualche velleit…
di
tenersi ancor su, in un mondo che non Š pi— per lei): Oh! la
Signora
Francesca! Giulietta!
(Scambio di saluti).
FRANCESCA: Vede? Qua anche noi, ad aspettare.
SIGNORA NELLI: Gi…; ho saputo.
FRANCESCA: Sar… un'ora. No,
pi—,
pi—,
che dico?
Saranno almeno
due
ore!
GIULIETTA (molto fine, atteggiamento stanco, con qualche
affettazione
di superiorit…): E' veramente strano, creda. Sto in pensiero.
SIGNORA NELLI: Perch‚? Manca forse da troppo tempo?
GIULIETTA: Ma s•! Da questa mattina, alle sei; si figuri!
SIGNORA NELLI: Uh! Alle sei? Laura Š uscita di casa alle sei?
FRANCESCA (a Giulietta, risentita): Se dici cos• ®alle sei¯, chi
sa
che cosa puoi far credere, Dio mio! Bisogna dire che Š uscita con
la
co... con la cosa...
GIULIETTA (piano, seccata, suggerendo): Con la scatola.
FRANCESCA: Ecco, gi…! dei colori.
SIGNORA NELLI: Ah brava! Ha ripreso dunque a dipingere, Laura?
FRANCESCA: Sissignora. Da tre giorni. Va in campagna - cioŠ, non
so,
in un bosco...
GIULIETTA: Ma che bosco! A Villa Giulia, mamm…!
FRANCESCA: Io ho vissuto sempre a Napoli, signora mia. Di queste
ville
di qua, poco m'intendo.
GIULIETTA: Gi…! Ma jeri e l'altro jeri, capisce? alle undici
al
massimo Š stata di ritorno. Ora, a momenti Š sera, e...
SIGNORA NELLI: Avr… voluto forse finire il suo bozzetto!
FRANCESCA: Ecco, benissimo.
(A Giulietta).
Vedi? quello che penso io.
SIGNORA NELLI: Ma sar… certo cos!
Se Š uscita
con
la
scatola
dei
colori, non c'Š da stare in pensiero. Si spiega.
GIULIETTA: No, ecco, per questo non si spiegherebbe, scusi. Chi
esce
da
tre
giorni
quasi
all'alba,
vuol
dire
che
s'Š
proposto
di
ritrarre...
non
so,
certi
effetti di prima luce che,
avanzando
il
giorno, non si
SIGNORA NELLI:
GIULIETTA: No,
FRANCESCA: Non
possono pi— avere.
Ah, Š pittrice anche la Giulietta?
che pittrice, per carit…!
dia retta; se n'intende anche lei.
Ah,
quella che
Š
istruzione,
signora mia,
m'Š piaciuta assai,
a me, sempre! Non
l'ho
potuta avere io; ma le mie figliuole, per grazia di Dio, i
meglio
professori! Francese, inglese, la musica... E Laura, che ci aveva
la
disposizione, anche la pittura, col professor Dalbuono, che lei lo
sa,
rinomatissimo! Giulietta non la volle studiare, ma SIGNORA NELLI (compiendo la frase): - stando accanto alla sorella FRANCESCA: - ecco, gi…!
(A Giulietta, che s'allontana, scrollando le spalle urtata:)
Che cos'Š?
SIGNORA NELLI (fingendo di non capire la mortificazione della
ragazza
per la goffaggine della mamma): Via, signorina, non stia cos•
in
pensiero! Lei dice bene; ma scusi non potrebbe essere venuto in
mente
a Laura di cominciare l• per l• qualche altro studio?
GIULIETTA (freddamente, concedendo per cortesia): E' probabile, s•.
SIGNORA NELLI: Se ha ripreso a dipingere coll'antico fervore...
GIULIETTA: No, che! Non ha pi— nessun fervore, Laura.
FRANCESCA: Ma quando si prende marito, sfido! Queste sono cose,
come
si dice? adorni, ecco, adorni, signora mia, per le ragazze. Non
le
pare? Per• mio genero li vuole, sa! Bisogna dire la verit…! La
spinge
lui, mio genero.
SIGNORA NELLI: E fa bene! Ah, certo. Fa benissimo. Sarebbe un
vero
peccato che Laura, dopo tante belle prove...
GIULIETTA: Non lo fa mica per questo, mio cognato. Forse, se
Laura
vedesse in suo marito una certa passione per la sua arte... Ma sa
che
la spinge a riprendere la tavolozza, come la spingerebbe... che so?
a
qualunque altra occupazione...
FRANCESCA: E ti par male? Bisogna pur darsi un'occupazione.
Signora
mia, quando si Š cresciute, come le mie due figliuole, negli agi...
Sa
qual Š il vero guajo qua? Che mancano i figliuoli!
SIGNORA NELLI: Ah! per carit…, signora, non li chiami! Se
sapesse
quanto invidio Laura, io! Ha sposato due anni prima di me, Laura:
sono
gi… sette anni, Š vero? E io, in cinque, gi… tre...
FRANCESCA: Eh! ma scusi! ma perch‚ lei, volendola dire, si vede che
ci
s'Š buttata proprio a corpo perduto!
SIGNORA NELLI (ridendo, con finto orrore): No! Che! Povera me!
Sono
venuti...
FRANCESCA: Io dico uno! Uno, almeno, creda ci vuole!
SIGNORA
NELLI:
Mi
sembra che vivano cos• bene d'accordo Laura e
suo
marito...
FRANCESCA: Ah, s•, per questo...
(Si china verso la signora Nelli e le confida piano all'orecchio:)
Troppo anzi, signora mia! troppo! troppo!
SIGNORA NELLI (piano, restando, ma un po' anche sorridente):
Come,
troppo?
FRANCESCA: Ma s, perch‚... sa com'Š? nei primi tempi, quando marito
e
moglie, giovani, si vogliono bene, se s'affaccia il pensiero
d'un
figliuolo, l'uomo specialmente si... si...
(Fa un gesto espressivo con te mani,
contraendo le
dita
davanti
al
petto e tirandosi indietro col busto, come per dire: si arruffa.)
mi
spiego?
perch‚
teme
di
non
poter
pi—
avere
tutta per s‚
la
mogliettina.
SIGNORA NELLI: Eh! lo so... Poi passa un anno, ne passano due,
tre...
Lo desidera dunque il signor Banti, il figliuolo?
FRANCESCA: No, Laura! Lo desidera Laura! Tanto! Giorgio dice che
lo
desidera per lei.
GIULIETTA: E naturalmente, allora, Laura, lo desidera per s‚!
FRANCESCA: Ma che dici? Perch‚ dici cos•? Vuoi far credere
alla
signora qua, che Laura non sia contenta di suo marito?
GIULIETTA: Ma no, mamm…! Io non ho detto questo. Quando passano,
non
tre, ma cinque, ma sette anni!
FRANCESCA: Tu non capisci niente! La donna, signora mia, dopo
tanti
anni, se non si hanno figliuoli, sa che cosa fa? Si guasta.
Glielo
dico io! E anche l'uomo si guasta. Si guastano tutti e due. Per
forza!
(Accenna a Giulietta).
Non posso parlare.
Ma Š proprio tutto
il
contrario
di
quello
che
immagina questa ragazza. Perch‚ l'uomo perde l'idea di vedere
domani
nella propria moglie la madre, e... e... e... con lei mi
sono
spiegata, Š vero?
SIGNORA NELLI: S•, capisco, capisco.
FRANCESCA: Queste benedette ragazze! Chi sa come sognano la vita!
GIULIETTA: Oh! Dio mio, mamm…! Sai bene che non sogno affatto, io!
FRANCESCA: Gi…, non sogna, lei! E credi che sia bello non sognare?
Non
le posso soffrire, signora mia, queste ragazze d'oggi, con
tutta
quest'aria cos•... cos•...
SIGNORA NELLI (suggerendo con un sorriso): "Fan‚e".
FRANCESCA: Come ha detto?
SIGNORA NELLI: "Fan‚e".
FRANCESCA: Gi…, cos•!
GIULIETTA (con dispetto): E' la moda.
FRANCESCA: Io non so il francese, ma so che codesta moda non mi
piace
per nientissimo affatto.
SCENA SECONDA.
DETTE e CAMERIERA.
CAMERIERA
(accorrendo
in grande agitazione dall'uscio
comune):
Signora! Signora!
FRANCESCA: Che cosa Š?
CAMERIERA: Oh Dio! La signora Laura! Venga! venga!
FRANCESCA: Mia figlia?
(Balza in piedi).
SIGNORA NELLI (alzandosi anche lei): Oh Dio, che Š stato?
CAMERIERA: La portano su, ferita!
FRANCESCA: Ferita? Come! Laura?
GIULIETTA (con un grido, accorrendo per l'uscio in fondo): Lo
dicevo
io!
FRANCESCA (accorrendo anche lei): Figlia mia! Figlia!
SCENA TERZA.
DETTE, LAURA, il DELEGATO, il CAMERIERE, il PORTIERE, due GUARDIE.
(Laura, sostenuta dal Delegato e dal cameriere, si presenta
sulla
soglia, cascante, come disfatta, con gli abiti e i capelli
in
disordine. Nel pallore cadaverico, le fa sangue il labbro. Ha,
lungo
il collo,
aspri,
sanguinosi strappi.
Il portiere reca
in
mano
il
cappello
della
signora,
la
scatola
dei colori.
Le due guardie
si
tengono presso l'uscio).
FRANCESCA (che s'Š lanciata per accorrere con le altre,
dapprima
indietreggia spaventata, all'apparizione della figlia in quello
stato;
poi con un grido, andandole incontro): Ah! Laura! Che t'hanno
fatto?
Laura mia!
LAURA (buttandosi al collo della madre, in preda a un
convulso
crescente, di ribrezzo e di disperazione): Mamma... mamma... mamma...
FRANCESCA: Sei ferita? Dove? Dove?
GIULIETTA (cercando d'abbracciare anche lei la sorella): Laura!
Laura
mia! Che hai? che hai?
SIGNORA NELLI: Ma come Š stato? chi Š stato?
FRANCESCA: Chi t'ha ferita? Figlia! figlia mia! Dove sei ferita?
GIULIETTA (portando una seggiola e gridando): Qua, mamm…...
FRANCESCA: Dove? dove?
GIULIETTA: No, dico, falla sedere! Vedi? non si regge.
FRANCESCA: Ah s, siedi, figlia, siedi... Ma chi Š stato
l'assassino?
Chi...
(Non pu• seguitare a parlare, perch‚ Laura, cascando a sedere
senza
staccarsi dal collo di lei, la obbliga a piegarsi.)
GIULIETTA: Chi Š stato?
(Al Delegato, forte:)
Lo dica lei, chi Š stato?
IL DELEGATO (con imbarazzo, guardando la signora Nelli, come per
farsi
intendere): La... la signora Š stata vittima d'una... di
una...
aggressione, ecco.
SIGNORA NELLI (con un grido soffocato): Ah!
GIULIETTA (inginocchiandosi e facendo per cingere con le braccia
la
sorella): Oh, Laura... di,' di'... come?
LAURA (staccando le braccia dal collo della madre e respingendo
per
impulso istintivo, ma pur con angoscioso affetto, la sorella):
No...
tu no, Giulietta... Va', tu... va'... va'...
GIULIETTA (a sedere sui ginocchi, tirandosi indietro,
smarrita):
Perch‚?
FRANCESCA
(intuendo,
alzando le mani
occhi):
Questo?... - Ah Dio mio!... - Questo?
e
sbarrando
gli
(Alla signora Nelli, facendole cenno di condurre di l… Giulietta:)
Signora...
(Poi, chinandosi su Laura:)
Ma come? Figlia mia...
Di nuovo, alla signora Nelli:)
Signora, per carit…...
SIGNORA NELLI (a Giulietta): Venga... venga, cara. Andiamo di l…...
GIULIETTA: Ma perch‚? Poi guarda il Delegato; capisce che deve
andare;
scoppia in singhiozzi su la spalla della signora Nelli che la
conduce
via per l'uscio in fondo.
LAURA (mostrando il collo alla madre): Guarda... guarda...
FRANCESCA: Ma chi Š stato? Chi?
LAURA (non pu• parlare; il convulso Š giunto al colmo; tre volte,
fra
il tremore spaventoso di tutto il corpo, storcendosi le mani
per
l'onta, per lo schifo, grida quasi a scatti): Un bruto... un
bruto...
un bruto...
(E rompe in un pianto che pare
viscere
contratte).
un
nitrito,
balzante
dalle
FRANCESCA: Figlia mia!
(Si precipita su lei,
l'ajuto
della cameriera).
e sentendola mancare,
la solleva con
Portiamola di l…!
(Poi, conducendola verso l'uscio a sinistra:)
Un medico, presto! Il dottor Romeri!
IL CAMERIERE: E' gi… avvertito, signora.
IL PORTIERE: L'ho chiamato al telefono...
(Francesca, Laura, la cameriera via per l'uscio a sinistra).
SCENA QUARTA.
DETTI, il DOTTOR ROMERI, poi GIORGIO BANTI,
SIGNORA
NELLI.
ARTURO NELLI,
la
IL CAMERIERE (al Delegato): L'hanno preso?
(Il Delegato non risponde; apre le braccia).
IL PORTIERE: Ma dove Š stato?
(Entra dall'uscio in fondo in fretta il dottor Romeri).
IL CAMERIERE: Ah, ecco qua il signor dottore.
ROMERI: Dov'Š? dov'Š?
IL CAMERIERE: Ecco, di qua, signore dottore, venga!
(Indica
l'uscio a sinistra.
Si odono intanto dall'interno le voci
di
Giorgio Banti e di Arturo Nelli che chiamano: ®Dottore...
Dottore...¯.
Il dottor Romeri si ferma: si volta. Sopraggiungono Giorgio
Banti,
pallido, scontraffatto; l'avvocato Nelli, la signora Nelli).
GIORGIO: E' ferita? E' ferita?
ROMERI: Sto arrivando adesso, io.
GIORGIO: Venga, venga!
(Corre per l'uscio a sinistra, seguito dal dottor Romeri).
SCENA QUINTA.
DETTI, meno GIORGIO e ROMERI.
SIGNORA NELLI (al Delegato): Ma com'Š stato?
NELLI (al cameriere, al portiere): Andate, andate di l…, voi!
Signor
Delegato, queste guardie...
IL DELEGATO (alle guardie): Potete ritirarvi.
(Le due guardie salutano e vanno via col cameriere c col portiere).
SCENA SESTA.
NELLI, la SIGNORA NELLI, il DELEGATO.
NELLI: Un'aggressione?
IL DELEGATO: Gi…. A Villa Giulia, pare.
SIGNORA NELLI: Vi s'era recata a dipingere.
IL DELEGATO. Io non so bene ancora. Sono stato incaricato delle
prime
indagini.
SIGNORA NELLI: Vi andava da tre giorni.
NELLI: Sempre allo stesso posto?
SIGNORA NELLI: Pare! L'ha detto Giulietta. Ogni mattina, alle sei.
NELLI: Ma come mai? sola?
IL DELEGATO: Un guardiano della villa la trov• per terra SIGNORA NELLI: - svenuta? IL DELEGATO: - dice che non dava segni di vita. Pare che abbia
sentito
prima i gridi della signora.
SIGNORA NELLI: Ma come? E non Š accorso?
IL DELEGATO: Dice ch'era troppo lontano. La villa Š sempre deserta.
NELLI: Ma che pazzia! Andar cos• sola!
SIGNORA NELLI: Ecco l… la scatola dei colori...
(Gli altri due si voltano e restano con lei a guardare quella
scatola
con quell'impressione che si prova davanti a un oggetto che Š
stato
testimonio d'un dramma recente).
IL DELEGATO: Gi…, e il cappello...
(Pausa).
Furono
trovati
dal
guardiano
a
molta
distanza
dal posto dove
la
signora giaceva.
NELLI: Ah! Ma, dunque...
1L DELEGATO: Evidentemente la signora avr… tentato di fuggire.
SIGNORA NELLI: Inseguita?
IL DELEGATO: Non so! Una cosa incredibile! Fu trovata riversa tra
le
spine d'una siepe di rovi.
SIGNORA NELLI (stringendosi in s‚, per orrore): Ah! forse
voleva
saltare...
IL DELEGATO: Forse. Ma ghermita l•...
SIGNORA NELLI: Era tutta strappata! Il collo, la bocca... Una piet…!
NELLI (tentennando il capo, con amara irrisione): Tra le spine...
IL DELEGATO: Un villanzone. Pare che lo abbia visto, il guardiano.
NELLI (con ansia): Ah s•?
IL DELEGATO: Sissignore. Buttarsi di l… dalla siepe. Un villanzone,
un
giovinastro. Ma invece d'inseguirlo, come avrebbe dovuto, pens•
di
soccorrere la signora, e...
(S'interrompe, voltandosi verso l'uscio a sinistra, donde vengono
voci
concitate).
SCENA SETTIMA.
DETTI, GIORGIO, il DOTTOR ROMERI, FRANCESCA, poi GIULIETTA.
ROMERI (dall'interno): E io le dico di no! Scusi! La prego...
FRANCESCA (dall'interno): Per carit…, Giorgio! per carit…!
GIORGIO (venendo fuori dall'uscio a sinistra, sconvolto,
tra
i
singhiozzi, ad altissima voce): Ma io ho pur diritto di sapere!
Debbo,
voglio sapere!
ROMERI (forte anche lui): Sapr…, perdio, ma a suo tempo!
GIORGIO: No: ora! ora!
ROMERI: Io le dico che per ora lei non solo non deve farla parlare,
ma
neppur farsi vedere!
(Agli altri:)
Lo tengano qua!
(Ritorna indietro per l'uscio a sinistra).
NELLI: Vieni, Giorgio...
(E come Giorgio, convulso,
petto,
rompendo in pianto).
gli appoggia il capo e le mani sul
Povero amico! povero amico mio...
FRANCESCA (alla signora Nelli): La prego, signora, mi faccia la
grazia
d'accompagnarmi a casa la Giulietta!
SIGNORA NELLI: S•, signora, non dubiti! Vuole subito?
FRANCESCA: S•, per carit…! Le dica che io resto ancora qua...
finch‚
posso... Dio mio, Š gi… sera, e bisogna che attenda a quel poverino
di
mio marito... lei sa in quale stato!
SIGNORA NELLI: Eh lo so... Se potessi io...
FRANCESCA: No, ch‚! la ringrazio. Non si lascia toccare da
nessuno...
Ma eccola l…, Giulietta...
(Giulietta
si
mostra piangente
Francesca
chiamandola con la mano:)
all'uscio
di
fondo.
Tu andrai via con la signora. Io verr• appena mi sar… possibile.
GIULIETTA: Ma Laura?
FRANCESCA: Laura Š di l…!
GIULIETTA: E non posso neanche vederla?
FRANCESCA: Che vuoi vedere! Bisogna che stia tranquilla per ora.
Va',
va' da quel poverino di tuo padre... Ma non dirgli nulla, per carit…!
GIULIETTA: Ma... ma che cos Š che cos'Š?
FRANCESCA: Non Š niente! non Š niente! Signora, se la porti via.
SIGNORA NELLI: S•. Andiamo, signorina.
GIULIETTA (risolutamente, avvicinandosi al cognato): Giorgio,
me
lo
dici tu che non Š niente?
GIORGIO: Io?
GIULIETTA: Lo voglio sapere da te!
GIORGIO: Io... che vuoi che ti dica io? Io non so... non so...
FRANCESCA: Ma vai, santa figliuola! Mi fai stare qua... Va', va'
con
la signora!
(Via per l'uscio a sinistra).
SIGNORA NELLI (conducendosi via Giulietta): Andiamo, cara, andiamo.
(Via per l'uscio in fondo con Giulietta).
SCENA OTTAVA.
NELLI, GIORGIO, il DELEGATO.
GIORGIO
(al
Delegato,
investendolo): Che sa lei?
Mi dica,
che
sa?
Bisogna averlo,
darlo,
darlo in mano a me,
subito!
Perch‚,
per
un
delitto come questo, se lo prendono...
(A Nelli:)
di' tu... quanto?... due, tre anni di carcere, Š vero?
(Al Delegato:)
Mentre io ho il diritto d'ucciderlo! Lo sa lei?
IL DELEGATO: Io non so nulla, signore. Sono qua per le indagini.
NELLI: Ma se non c'Š nulla da sapere!
GIORGIO: Come non c'Š nulla da sapere?
NELLI: Nulla, nulla da sapere! nulla da indagare! Basta cos•, perdio!
GIORGIO: Come basta?
NELLI. Ma s•! Ti dico che basta! La signora ha patito
un'aggressione
in una villa; il ladro...
GIORGIO: Il ladro?
NELLI: Ma s, il ladro... un miserabile qualunque, non s'Š
potuto
rintracciare: e basta: finisce tutto cos! Che c'Š da far
chiasso
ancora?
GIORGIO: Ah no, caro mio! T'inganni!
IL DELEGATO: Io ho avuto un ordine. Il reato Š d'ordine pubblico.
NELLI: Vuol dire che mi recher• io in pretura, o passer•
dal
Commissario. Lei se ne pu• andare: dia ascolto a me!
GIORGIO: No! no! E io? Finisce per gli altri cos•! Ma io?
NELLI: Tu?
Che vorresti fare?
Ti figuri ch‚, se pure lo prendono,
te
lo daranno in mano, perch‚ tu l'uccida? Baje! E allora? L'hai detto
tu
stesso. Sissignori, per un delitto che tu, offeso, potresti punire
con
la morte e non avresti un giorno di pena,
la legge non d… che
due
o
tre anni di carcere! Vuoi questo? E lo scandalo di un dibattimento?
La
pubblicazione della sentenza sui giornali? Ma via!
(Al Delegato:)
Vada, vada, signor Delegato.
IL DELEGATO: Io per me, tanto pi— che il medico ha detto di non
farla
parlare per ora, posso ritirarmi.
NELLI: S, s; non dubiti, passer• io dal Commissario.
IL DELEGATO: Riverisco.
(Il Delegato s'inchina e via per l'uscio in fondo).
SCENA NONA.
GIORGIO e NELLI.
NELLI: E' un destino, perdio! A un bisogno, questa gente manca
sempre!
S'ostina poi a restarti tra i piedi dove Š superflua e non serve
ormai
che a far pi— danno!
GIORGIO: Ma che m'importa degli altri! Che vuoi che me ne importi?
NELLI: Oggi; lo so. Ma vedrai che te ne importer… domani.
GIORGIO: Prima di tutto, Š inutile, perch‚ ormai sanno tutti: qua,
l…
dove l'hanno vista e raccolta... Ma quand'anche nessuno sapesse, se
lo
so io, non capisci che per me Š finito tutto?
NELLI: Io capisco, Giorgio, l'orrore che tu devi provare in
questo
momento. Ma bisogna che tu lo vinca con la compassione che
deve
ispirarti quella poverina!
GIORGIO: Tu parli a me di compassione?
NELLI: Non vorresti averne?
GIORGIO: Io sono il marito! Potete averla voi, la compassione,
e
chiunque sappia di questo scempio. Ma sono io, io solo, veramente
in
presenza dell'orrore di questo scempio, che non Š stato fatto a
lei
sola, ma anche a me! E in nessun altro, pi— che in me - neppure in
lei
- pu• essere pi— vivo e pi— atroce, questo orrore!
NELLI: S•, s•, t'intendo, Giorgio, t'intendo! E' crudele,
s•.
Ma
che
vorresti fare?
GIORGIO: Non lo so... non lo so... Impazzisco... Compassione, tu
dici?
Sai quale sarebbe la compassione "vera" in questo momento per me?
Che
mi recassi l…, sul letto di lei e "per questo stesso amore"
la
uccidessi, innocente.
NELLI: Ma Š irragionevole, scusa!
GIORGIO: Vuoi che ragioni?
NELLI: Devi pur ragionare!
GIORGIO: Lo so, lo so: tu devi dirmi cos•, lo so! Ma se il caso
fosse
capitato a te? Ragioneresti tu?
NELLI: Ma s, che ragionerei! Se qui non c'Š colpa, scusa!
GIORGIO: E appunto questa Š per me la crudelt…! Che ci sia
l'offesa
pi— brutale, senza esserci la colpa! Per me Š peggio! Peggio, s•!
Ci
fosse la colpa, sarebbe offeso l'onore; potrei vendicarmi! E'
offeso
invece l'amore! E non intendi che niente Š pi— crudele per il
mio
amore, che quest'obbligo che gli Š fatto, di avere piet…?
NELLI: Ma il tuo amore appunto, scusa, dovrebbe ispirare a te
stesso
la compassione!
GIORGIO: Impossibile! L'amore, no!
NELLI: Ma sarebbe allora pi— crudele GIORGIO (interrompendo): - pi— crudele, s•! NELLI (seguitando): - di ci• che quella poverina ha patito! GIORGIO: - s•, s•! E' proprio cos•! Il non aver compassione
sarebbe
crudele per lei; ma averne, Š crudele per me! E quanto pi— tu
ragioni,
e quanto pi— io riconosco che sono giuste le tue ragioni, tanto
pi—
cresce la crudelt… per me! Debbo ragionare, gi…! Riconoscere che
non
c'Š colpa; che lei Š stata offesa pi— di me, nel suo stesso corpo
e
che Š l… che soffre della violenza, dell'onta, del ludibrio... E
io
che voglio? Che pretendo io? Rincarar la dose della crudelt… su
lei?
lasciarla cos• in quest'onta? disprezzarla? NELLI: - sarebbe ingeneroso! GIORGIO: - sarebbe vile! NELLI: - vedi? Lo riconosci! -
GIORGIO: - vile, s•, vile! Ma se si rivela cos• vile l'amore quando
si
trova,
come
mi
trovo io adesso,
qua,
al limite della sua pi—
viva
gelosia, che posso farci io? che posso farci?
(Rompe in disperati singhiozzi).
NELLI: Via, via, Giorgio... Tu ti strazii inutilmente... E' il
primo
momento, credi...
GIORGIO: No! E' la selva! E' ancora la selva! E' sempre la
selva
originaria! Ma prima almeno c'era l'orrore sacro di quel
mostruoso
originario, nella natura, nel bruto... Ora, una villa coi suoi viali
e
le siepi e i sedili... Una signora in cappellino, che vi sta
a
dipingere, seduta... Ed ecco il bruto... Ma vestito, oh! Decente.
Mi
par di vederlo! Chi sa se non aveva i guanti! Ma no: l'ha
tutta
sgraffiata! Non senti quanto Š pi— laido? quanto Š pi— vile? E io
che
devo esser generoso; mentre qua il sentimento mi rugge come
una
belva... Generoso.
(Subito, troncando lo scherno:)
No, no. Sento che non posso. Non posso. Ho bisogno d'andarmene.
Parto.
Me ne vado.
NELLI: Ma come? ma dove? che dici! Vorresti davvero lasciarla cos•?
GIORGIO: Sarei pi— crudele, restando.
NELLI: Ma che vuoi fare? dove vuoi andare?
GIORGIO: Ho bisogno di disperdere, fuggendo come un pazzo, quello
che
ora provo per questa ignominia!
SCENA DECIMA.
DETTI, la SIGNORA FRANCESCA, il DOTTOR ROMERI.
FRANCESCA (accorrendo ansiosa, seguita dal dottor Romeri, dall'uscio
a
sinistra): Giorgio... Giorgio...
(Raffrenando
a un tratto l'ansia alla vista della sovreccitazione
del
genero:)
Che cos'Š?... Ah, figliuolo mio... s•... povero figliuolo mio...
s•...
s•...
GIORGIO: Per carit… non mi s'accosti! non mi dica nulla!
ROMERI: Signora, dia ascolto a me... Vede?
GIORGIO: Lei comprende, dottore?
ROMERI: Ma s•: comprendo che lei in questo momento...
FRANCESCA: Ma se lo chiama di l…! Se non fa altro che chieder di lui!
GIORGIO (con orrore, ritraendosi): Non posso... ah, non posso,
non
posso, non posso.
ROMERI: Vede? Le farebbe pi— male, signora: creda a me! Ha
bisogno
anche lui d'aspettare un po'...
GIORGIO: Che vuole che aspetti pi—, io!
ROMERI: Eh, un po' di tempo...
GIORGIO (con scherno): E la rassegnazione?
FRANCESCA: Perch‚, la rassegnazione? Ma dunque, tu...
NELLI: Lasci, signora! Bisogna considerare anche lui...
FRANCESCA: S•, figliuolo mio, io ti considero, e come! Ma
l'unico
rimedio a quello che soffrite GIORGIO: - Š la piet…! Anche lei! Ma tutti, si sa! La piet…! FRANCESCA: - l'uno dell'altra, s•, subito. Cos• l'intendo io, che
sono
una povera ignorante! Non la rassegnazione a un male che non c'Š!
GIORGIO: Come non c'Š?
FRANCESCA: Non c'Š! non c'Š! E lo deve dire il vostro amore che
non
c'Š! Se tu ami davvero la mia figliuola! Se no chi ami tu? Che
ami?
Non Š vero? Dica lei, signor dottore! Via, avvocato!
GIORGIO (prorompendo di nuovo in pianto, stringendosi in s‚, con
le
mani premute sul volto): Io l'amavo... io l'amavo... tanto,
tanto...
Ma appunto perch‚ l'amavo tanto. Voi non capite! Pu• essere per
quella
che amavo, la piet…! Ma non pi—, ora...
FRANCESCA: Non l'ami pi—, ora? E perch‚?
GIORGIO: Ma se volete che ne abbia piet…! Quale piet…? Quale?
La
vostra, la mia, possono ajutarmi? Io ho bisogno d'essere crudele!
Lei
crede perch‚ non amo sua figlia? No, sa! Appunto perch‚ l'amo!
FRANCESCA: Non Š vero! Non Š vero! Tu non ami lei cos•!
GIORGIO: Ma vuole che il mio amore sia come il suo? Il fatto Š
forse
per lei quello stesso che Š per me? Quello che sento io non
pu•
sentirlo lei!
FRANCESCA: Va bene! Ma come, come vorresti essere crudele?
GIORGIO: Come? L'ho detto come! E se lei di l… sentisse quello
che
sento io dovrebbe esserne contenta.
FRANCESCA: Ma lei di l… ti chiama! Che pensi di fare?
GIORGIO: Non penso nulla! Ma bisogna che me ne vada, che me ne vada!
FRANCESCA: E vuoi abbandonarla cos•?
ROMERI: Ma s, Š meglio, signora! Lo lasci andare!
FRANCESCA: Ma pu• restar sola, cos, di l…, se sa che lui se
n'Š
andato?
ROMERI: Rimanga qua lei.
NELLI: Ecco... sarebbe opportuno...
FRANCESCA: E chi glielo dir…? Tu che hai il cuore di farlo,
dovresti
anche avere il cuore di dirglielo!
GIORGIO (risolutamente): Vuole che glielo dica io?
ROMERI: No, per carit…, signora!
FRANCESCA: Ma dunque lei capisce che pu• morirne, la mia figliuola,
a
vedersi abbandonata cos•, in questo momento, da colui che
dovrebbe
starle pi— vicino, se avesse un po' di cuore?
ROMERI: No, no, non Š questo, signora!
NELLI: Se non riesce a vincere se stesso in questo primo momento...
GIORGIO: Per me Š fnita! E' finita! Sento che per me Š finita!
Posso
avere la piet… di restare. Ma come resto? Non lo capite? Per
gli
altri, ecco! Resto. Ma sar… peggio.
NELLI: No, no! Vedrai, Giorgio...
GIORGIO: Che vuoi che veda!
NELLI: Vedrai... Non voglio dirti nulla, perch‚ capisco che
ogni
parola Š per te una ferita in questo momento. Senta, signora: lei
ha
da badare a suo marito? Vada.
FRANCESCA: Ma come?
NELLI: Vada; dia ascolto a me, e stia tranquilla. Giorgio rimane.
GIORGIO: Per gli altri! per gli altri!
NELLI: Va bene, s•, per gli altri!
(Alla signora Francesca, facendole segni e occhiate di
intelligenza
per significarle che Š meglio che marito e moglie restino soli).
Ora andr… a rivestirsi, e passer… la sera con me.
FRANCESCA: E Laura?
ROMERI: La signora ha bisogno di esser lasciata tranquilla. Vada lei
a
dirle che ho obbligato io il signor Banti a tenersi lontano.
FRANCESCA: Ma sola, impazzir…!
ROMERI: No, signora. Vedr… che riposer… col rimedio che le ho dato
per
calmare l'agitazione. Forse a quest'ora riposa. Vada, vada a vedere.
FRANCESCA: Ecco, s•, vado, vado...
(Francesca via per l'uscio a sinistra).
SCENA UNDICESIMA.
DETTI, meno FRANCESCA.
ROMERI: E vado via anch'io.
(Appressandosi e stringendo le mani a Giorgio).
Mi
raccomando.
Bisogna
sempre esser pi— forti della sciagura che
ci
colpisce.
GIORGIO: Questa Š peggiore per me d'una morte.
l'immagina,
dottore, lei ancora viva, domani, davanti a me?
Ma
se
SCENA DODICESIMA.
DETTI e FRANCESCA.
FRANCESCA (sopravvenendo lieta dall'uscio a sinistra,
col cappello
di
nuovo in capo): S•, s•, riposa, riposa veramente.
ROMERI: Gliel'ho detto, io?
FRANCESCA: E allora vado, s! Non posso farne
a
meno.
qui
domattina.
(Si appressa a Giorgio).
Addio, Giorgio. E... non ti dico...
figliuolo
mio...
GIORGIO: A rivederla.
NELLI: Vengo anch'io Con lei, signora.
non ti dico nulla,
(A Giorgio:)
Vuoi che passi a riprenderti?
GIORGIO: No, no... Passer• io, se mai, da te.
NELLI: Quando vuoi. Sono a casa. A rivederci.
(Alla signora Francesca e al dottore:)
Andiamo, andiamo...
(Via con gli altri due per l'uscio in fondo.)
SCENA TREDICESIMA.
GIORGIO solo, poi il CAMERIERE, in fine LAURA.
Sar•
GIORGIO (rimane un pezzo assorto nella sua sciagura, esprimendo con
la
contrazione del volto i sentimenti in contrasto. Poi sorge in
piedi,
si passa le mani sulla fronte, si volta verso l'uscio a sinistra
e
ripete): Non posso... non posso...
(Suona il campanello elettrico e compare il cameriere).
Di' ad Antonio che tenga pronta la macchina. Andremo in villa.
IL CAMERIERE: Il signore... solo?
GIORGIO: Solo, s•, subito. Tu preparami intanto la valigia.
(Il cameriere, via. Giorgio fa per ritirarsi, quando Laura
appare
sull'uscio a sinistra, pallida, in una vestaglia violacea, con un
velo
nero al collo. Giorgio, appena la vede, leva le mani come a parare
la
piet… che gli ispira, e ha in gola un lamento, che Š come un
ruglio
breve, cupo; d'esasperazione e di spasimo. Laura lo guarda e
gli
s'appressa, lenta, senza dir nulla, ma esprimendo col volto
il
bisogno, che ha di lui, di stringersi a lui; e nel suo avanzarsi,
la
certezza che egli non fuggir…. Giorgio, come se la vede vicina,
rompe
in un pianto convulso e cecamente, in quel pianto, la abbraccia.
Ella
non muove un braccio: ma Š l•, sua. Solo alza il volto come in
uno
stiramento di tragica aspettazione, che egli cancelli comunque, con
la
morte o con l'amore, l'onta che la uccide. E come egli, preso
gi…
dall'ebbrezza della persona di lei, sempre singhiozzando, le cerca
con
la bocca le ferite nel collo ancora proteso, piega la
guancia
appassionatamente sul capo di lui, con gli occhi chiusi).
TELA.
ATTO SECONDO.
(Spiazzo
a
innanzi
alla villa Banti a Monteporzio.
La villa si erge
sinistra, con vestibolo a loggiato.
tutto
alberato. Autunno).
In fondo,
e a destra,
Š
SCENA PRIMA.
LAURA e il GIARDINIERE FILIPPO.
(Laura Š su una sedia a sdraio, pallida, un po' molle d'un
languore
ardente d'inesausta passione; presta ascolto con interesse e,
insieme,
con un certo turbamento che vorrebbe dissimulare, a ci• che le dice
il
vecchio giardiniere, il quale le sta presso, in piedi, con
un
sacchetto a tracolla, un fascetto di ramoscelli sotto il braccio
e
l'innestatoio in mano).
FILIPPO: Eh, ma l'arte ci vuole! Se non ci hai l'arte, signora, tu
vai
per dar vita a una pianta, e la pianta ti muore.
LAURA: Perch‚ pu• anche morirne, la pianta?
FILIPPO: E come! Si sa! Tu tagli - a croce, mettiamo - a forca a
zeppa - a zampogna - c'Š tanti modi d'innestare! - applichi la
buccia
o la gemma, cacci dentro uno di questi talli qua;
(mostra uno dei ramoscelli che tiene sotto il braccio)
leghi bene; impiastri o impeci - a seconda -; credi d'aver
fatto
l'innesto; aspetti... - che aspetti? hai ucciso la pianta. - Ci
vuol
l'arte, ci vuole! Ah, forse perch‚ Š l'opera d'un villano?
d'un
villano che, Dio liberi, se con la sua manaccia ti tocca, ti fa
male?
Ma questa manaccia... Ecco qua.
(Va a prendere un grosso vaso da cui sorge una pianta frondosa,
e
la
reca presso Laura).
Qua
c'Š una pianta.
Tu la guardi: Š bella,
s•;
te la godi,
ma
per
vista soltanto: frutto non te ne d…!
Vengo io,
villano,
con le
mie
manacce; ed ecco, vedi?
(Comincia
a sfrondarla,
per fare l'innesto;
parla e
agisce,
prendendosi tutto il tempo che bisogner… per compire l'azione).
pare che in un momento t'abbia distrutto la pianta: ho strappato:
ora
taglio,
ecco;
taglio
-
taglio - e ora incido - aspetta un poco -
e
senza che tu ne sappia niente,
ti faccio dare il
frutto.
-
Che
ho
fatto?
Ho preso una gemma da un'altra pianta e l'ho innestata qua.
E' agosto?
- A primavera ventura tu avrai il frutto.
- E sai come
si
chiama quest'innesto?
LAURA (sorride, triste): Non so.
FILIPPO: A occhio chiuso. Questo Š l'innesto a occhio chiuso,
che
fa d'agosto.
fa
si
Perch‚ c'Š poi quello a occhio
aperto,
che
si
di
maggio, quando la gemma pu• subito sbocciare.
LAURA (con infinita tristezza): Ma la pianta?
FILIPPO: Ah, la pianta, per s‚, bisogna che sia in succhio,
signora!
Questo, sempre. Ch‚ se non Š in succhio, l'innesto non lega!
LAURA: In succhio? Non capisco.
FILIPPO: Eh, s•, in succhio. Vuol dire... come sarebbe?... in
amore,
ecco! Che voglia... che voglia il frutto che per s‚ non pu• dare!
LAURA (interessandosi vivamente): L'amore di farlo suo, questo
frutto?
del suo amore?
FILIPPO: Delle sue radici che debbono nutrirlo; dei suoi rami
che
debbono portarlo.
LAURA: Del suo amore, del suo amore! Senza saper pi— nulla, senza
pi—
nessun ricordo donde quella gemma le sia venuta, la fa sua, la fa
del
suo amore?
FILIPPO: Ecco, cos•! cos•!
(Si sente da lontano, a destra, la voce di Zena, che chiama.
®Filippo!
Filippo!¯)
Ah, ecco la Zena col suo figliuolo. Vado ad aprirle!
(Corre via, tra gli alberi, a destra).
LAURA (resta assorta;
poi si alza,
s'appressa
alla
pianta
or
ora
innestata,
e
mette
il
capo
fra
le sue fronde,
ripetendo tra
s‚,
lentamente,
con angoscia
suo
amore... del suo amore...
d'intenso
disperato
desiderio):
Del
SCENA SECONDA.
DETTI e la ZENA.
FILIPPO (dall'interno): E vieni avanti! che paura hai?
(Rientra in iscena per la destra seguito dalla Zena,
che veste a
modo
delle contadine della campagna romana).
Eccola qua. Si vergogna, scioccona.
ZENA: No. Che m'ho da vergognare? Buon giorno, signora.
LAURA: Buon giorno.
(La guarda, forzandosi a dissimulare la disillusione.
Ah, sei tu la Zena?
ZENA: Io, signora, s•. Eccomi qua.
FILIPPO: Vedi come s'Š fatta brutta e vecchia?
LAURA: No, perch‚?
ZENA: Siamo poveretti, signora.
FILIPPO: Quanti anni hai? Non devi averne pi— di venticinque!
ZENA: Tu mi guardi, signora? Eh, tu che non sai, hai forse ragione
di
meravigliarti.
Ma tu,
brutto vecchiaccio,
che fai il signore qua
in
villa e sei tutto storto l•,
che vuoi mettere?
le fatiche tue con
le
mie?
FILIPPO: Oh! oh! Gran fatiche, s•!
ZENA: E cinque figliuoli, signora, chi li ha fatti? Li ha fatti lui?
FILIPPO (accorgendosi soltanto ora): E come? Sei venuta senza
il
ragazzo? T'avevo detto di portarlo con te, ch‚ la
voleva
conoscerlo.
ZENA: Non l'ho portato, signora.
LAURA: Perch‚ non l'hai portato?
ZENA: Ma... perch‚ mi lavora il ragazzo, col padre.
FILIPPO: E non potevi chiamarlo un momento?
ZENA: Gi…, davanti al padre, per dirgli che la signora
FILIPPO: E che c'era di male?
ZENA: Dopo le chiacchiere che ci sono state?
FILIPPO: Ma va' l…! Vuoi che tuo marito pensi
quelle
chiacchiere?
ZENA: Non ci pensa, se qualcuno non ce lo fa pensare.
che
c'entra il ragazzo qua? - Tu che volevi dal ragazzo,
Noi
non n'abbiamo pi— parlato, da allora.
signora
lo voleva qua?
ancora a
- Ma
poi
signora?
-
LAURA: Lo so, lo so, Zena. T'ho fatto chiamare perch‚ volevo io,
ora,
parlare con te. Da sola.
ZENA: E di che?
LAURA: Tu va', Filippo; va' per le tue faccende.
FILIPPO: Vado, s•, signora. Ma la Zena, in coscienza - lasciamelo
dire
per il male che le voglio - la Zena... - io sono vecchio e so
tutto,
di quando lei era qua coi padroni antichi, che aveva appena
sedici
anni e il signorino non ne aveva neanche venti - non fu mai lei
a
parlare!
ZENA: Ecco! La verit…, signora!
FILIPPO: Fu la madre, fu la madre.
ZENA: Ma nessuno ci pensa pi—, adesso! Neppure mia madre!
LAURA: Lo so, ti dico! Non Š per questo, Zena. - Vai, vai Filippo.
FILIPPO: Ecco, ecco, me ne vado, s•. - Scusami, signora, se
ho
parlato. Me ne vado.
(Via per la sinistra).
SCENA TERZA.
LAURA e la ZENA.
ZENA (subito risentita): E' forse venuto qualcuno a mia
insaputa,
signora, a parlarti di quel ragazzo?
LAURA: No, Zena: nessuno, t'assicuro.
ZENA: Signora, dimmelo! Perch‚ una parola ebbi allora, quando
avrei
potuto approfittarmene, se non avessi avuto coscienza - io sola,
sai?
contro tutti! - e una parola ho anche adesso.
LAURA: Ma no, no, non Š venuto nessuno - stai tranquilla. E' venuto
in
mente a me. Cos. Perch‚ mi sono ricordata che, prima di sposare,
mi
fu detto che mio marito, qua, in villa, da giovane...
ZENA: Ma che vai pensando pi—, signora!
LAURA: Aspetta. Io voglio sapere. Voglio parlare con te, Zena.
Siedi,
qua, accanto a me.
(Indica uno sgabello).
ZENA (sedendo,
impacciata): Ma sai che mi pare tu voglia parlarmi
di
un altro mondo, ormai, signora?
LAURA: S, perch‚ tu eri tanto ragazza, allora.
ZENA: Oh, una ragazzaccia senza testa! E non ero mica cos•...
LAURA: Me l'immagino. Dovevi esser bella.
ZENA: Bruttaccia non ero.
LAURA: Ed eri gi… fidanzata, Š vero?
ZENA: Sissignora. Con questo che ora Š mio marito.
LAURA: Ah!
ZENA (con gli occhi bassi, alza un po' le spalle e sospira):
Eh,
signora, che vuoi?
(Breve pausa).
LAURA (quasi con timidezza): E lui lo sapeva?
ZENA (impronta, ma senza impudicizia): Chi? Il signorino?
LAURA: S•; che eri fidanzata?
ZENA: Sissignora, come non lo sapeva? Ma era un ragazzo anche lui,
il
signorino.
LAURA: S•, ma dimmi...
ZENA: Signora, sono una poveretta; ma credi che se male feci
allora,
lo feci soltanto a me, e non volli che ne fosse fatto ad altri
senza
ragione!
LAURA: Ti credo, Zena; lo so. Ma dimmi: ecco, io voglio sapere.
®Senza
ragione¯, hai detto. Ne eri proprio, dunque, cos• sicura tu?
ZENA: Di che? Che il ragazzo non era del signorino?
LAURA: Ecco, s. Perch‚, tu sai, tante volte... avresti potuto
tu
stessa essere in dubbio.
ZENA (la guarda, sorpresa, scontrosa; poi si alza): Perch‚ mi
fai
codesto discorso, signora?
LAURA: No. Perch‚ ti turbi? Siedi, siedi...
ZENA: No, non seggo pi—.
LAURA: Vorrei saperlo perch‚... perch‚ sarei... sarei contenta che
tu
mi dicessi...
ZENA (la guarda, di nuovo, sorpresa, scontrosa): Che il ragazzo
era
del signorino?
LAURA: Tu non hai nessun dubbio?
ZENA (sŠguita a guardarla male, poi, come per richiamarla a
s‚):
Signora...
LAURA (ansiosa): Di' di'...
ZENA: Tu dovresti esser contenta, mi pare, di quello che ho
sempre
detto!
LAURA: Se ne sei proprio sicura...
ZENA
(come sopra): Bada,
signora,
che la povert… Š
cattiva
consigliera.
LAURA: Ma no: perch‚ io anzi, ora, alla tua coscienza mi
rivolgo,
Zena!
ZENA: La mia coscienza,
lasciala stare. Parl• allora, la
mia
coscienza, e disse quello che doveva dire.
LAURA: Proprio la tua coscienza? Ecco, vorrei saper questo! O
non
forse per timore...
ZENA (ride, quasi con ischerno): Ma sai che tu mi stai
parlando
adesso, come mi parl• mia madre, allora, quando s'accorse
del
signorino? Proprio cos• mi disse: ragazza... inesperta... se non
avevo
almeno qualche dubbio... se non negavo per timore...
LAURA: Anche tua madre, vedi?
ZENA Ma di mia madre lo capisco. Il male me l'ero gi… fatto,
con
quell'altro.
LAURA: Col tuo fidanzato?
ZENA: S. E gi… lo sapeva, lui, il mio fidanzato, che sarei
stata
madre. Ma tu perch‚, signora, adesso, dopo nove anni, mi vieni
a
riparlare di quel ragazzo?
LAURA: Perch‚... perch‚ so, ecco... so che tuo marito pretese
molto
danaro, allora, per sposarti.
ZENA: Ah, per questo? Ma si sa, signora! Non era povero per
niente...
Mia madre lo mise s—, facendo sapere a tutti del signorino. Non
mi
voleva pi— sposare, pur sapendo bene che il figliuolo era suo.
C'era
da spillar danaro, qua, dai signori; e se ne volle anche
lui
approfittare. E bada che se ora viene a sapere che a te piacerebbe
(la guarda in in modo ambiguo e provocante:)
- chi sa perch‚... - che io avessi ancora qualche dubbio...
LAURA: Ah! Tu mi fai pentire d'aver voluto parlare con te a
cuore
aperto, per uno scrupolo che non puoi neanche intendere!
ZENA: E chi sa? forse t'intendo, signora; non ti pentire!
LAURA: Che cosa intendi?
ZENA: Eh, siamo furbi noi contadini! Vedo che ti piacerebbe che
tuo
marito avesse avuto un figlio con me. Ebbene, io ti dico
questo
soltanto: che io contadina, il figlio lo diedi a chi ne era il
padre
vero. - Ah, eccolo qua, il signorino...
(Si trae indietro, a testa bassa).
SCENA QUARTA.
GIORGIO e DETTI.
(Laura, appena vede entrare Giorgio,
balza in piedi tutta fremente
e
corre ad aggrapparsi a lui in una crisi di pianto).
LAURA: Giorgio! Giorgio! Ah Giorgio mio!
GIORGIO (sorpreso, premuroso, non badando a Zena): Ebbene? Che cos'Š?
LAURA: Niente... niente...
GIORGIO: Ma tu piangi?
LAURA: Niente.. no...
GIORGIO: Come no? Che Š stato?
LAURA: Niente, ti dico... Cos•! La sorpresa... Non t'aspettavo
cos•
presto di ritorno...
ZENA: Io me ne vado, signora. Addio, eh?
LAURA: S•, s•, va', puoi andare, Zena!
(Zena, via per la destra).
SCENA QUINTA.
LAURA e GIORGIO.
GIORGIO (Sorpreso, addolorato): Ma come? tu parlavi con... Che forse
Š
venuta a dirti qualche cosa?
LAURA (subito, negando con forza): No, no! Ma che! Nulla! Non ci
pensa
pi—!
GIORGIO: E perch‚ Š venuta qua, allora?
LAURA: No, non Š venuta lei; l'ho fatta chiamare io.
GIORGIO: Tu? E perch‚?
LAURA: Per un capriccio... per una curiosit…...
GIORGIO: Hai fatto male, Laura! Non dovevi farlo.
LAURA: Ne parl• Filippo... cos•, per caso... E mi venne desiderio
di
conoscerla, ecco, e di conoscere anche il ragazzo. Ma non
l'ha
portato! Come l'ho veduta...
GIORGIO: Ti ha detto torse...
LAURA: No, niente! Sai pure che neg• sempre!
GIORGIO: Sfido! Volevano fare un ricatto!
LAURA: Lei, no! La madre. Me lo disse, difatti.
GIORGIO: Ma tu perch‚, allora, hai pianto?
LAURA: Non per lei! non per lei! E' stato... te l'ho detto... non
so
perch‚,
appena t'ho visto all'improvviso...
E'
per
quello
che
io
sento, Giorgio... E vedi che rido, ora, poich‚ tu sei qua di
nuovo,
con me...
GIORGIO: Hai pur detto tu stessa che non m'aspettavi cos• presto
di
ritorno...
LAURA: S, Š vero. Ma ho tanto sofferto, sai? a restar sola!
Ho
bisogno di te, tanto! Che tu ml tenga cos•, stretta cos•, senza
pi—
staccarti da me, mai, mai!
GIORGIO: Ma io sono andato per te, Laura mia...
LAURA: Lo so, s, Š vero!
GIORGIO: Vedi come sono fredde queste tue manine? T'ho portato
da
ricoprirti bene. Siamo scappati qua tutt'a un tratto. E' volato pi—
di
un mese. E' venuto il freddo...
LAURA: Ma staremo qua ancora! Sar… pi— bello, ora, qua, soli
soli...
Tu non hai paura del freddo, Š vero?
GIORGIO: No, cara.
LAURA: Non devi aver paura con me...
GIORGIO: Ma io ho avuto paura di te, cara!
LAURA: Non dirmi ®cara¯ cos•!
GIORGIO: Come vuoi che ti dica?
LAURA: Laura... come sai dirlo tu.
GIORGIO: Ebbene, Laura...
LAURA: Cos•! Mi piace guardarti le labbra quando stacchi le sillabe.
GIORGIO: Perch‚? Come le stacco?
LAURA: Non so... Cos•...
GIORGIO: Laura mia...
LAURA: Tua, tua, s•! Ah, non puoi immaginarti come, ora! E pure
vorrei
ancora di pi—! Ma non so come!
GIORGIO: Ancora di pi—?
LAURA: S•, ancora pi— tua - ma non Š possibile! Tu lo sai, Š vero?
lo
sai che di pi— non Š possibile?
GIORGIO: S•, Laura.
LAURA: Lo sai? Di pi—, si morirebbe. Eppure ne vorrei morire.
GIORGIO: No! Che dici?
LAURA: Per me dico; per non esser pi— io... non so, una cosa che
senta
ancora minimamente di vivere per s‚... ma una cosa tua, che tu
possa
fare pi— tua, tutta del tuo amore, del tuo amore, intendi? tutta
in
te, cos•, del tuo amore, come sono!
GIORGIO: S•, s•, come sei! come sei!
LAURA: Tu lo senti, Š vero? lo senti che sono cos• tutta del
tuo
amore?
e che non ho per me pi— niente,
niente, n‚ un pensiero, n‚
un
ricordo per me, di nulla pi—... tutta, assolutamente tua, per te,
del
tuo amore?
GIORGIO: S•, s•!
(Laura, che ha proferito le parole precedenti con la pi—
immedesimata
intensit…, che Š quasi il succhio della pianta di cui le ha parlato
il
giardiniere, si fa pallidissima, sorridendo di un sorriso che
vanisce
nella beatitudine di un deliquio, e gli appoggia la fronte sul
petto).
Laura!
LAURA: Ah?
GIORGIO: Oh Dio! Laura! Che hai?
LAURA: Nulla... nulla...
(Sorride, levando il volto).
Vedi? Nulla.
GIORGIO: Ma ti sei fatta pallida!
LAURA: No; non Š niente.
GIORGIO: Sei tutta fredda! Siedi, siedi!
LAURA: Ma no... Non mi dare ajuto... Tu non capisci...
GIORGIO: Che cosa?
LAURA: Che Š cos... che Š cos.
GIORGIO: Che cosa Š cos•?
LAURA: Che io sono tutta del tuo amore - cos•!
GIORGIO: Ma s•, siedi... siedi qua...
LAURA: L'ho toccata qua sul tuo petto... per un attimo, congiunta...
GIORGIO: Che cosa?
LAURA: S•, col tuo amore e col mio, congiunta, sul tuo petto per
un
attimo - la vita.
GIORGIO: Ma che dici?
LAURA (ha un brivido violento che
la
scuote
tutta
e
di
nuovo
la
costringe ad aggrapparsi a lui): Oh Dio!
GIORGIO (sorreggendola): Ma tu ti fai male! Che hai?... Che hai?...
LAURA: Niente. Un po' di freddo. Un po' di smarrimento.
GIORGIO: E' troppo, vedi! Ti sei troppo...
LAURA (subito, con ardore quasi eroico): S•, ma voglio cos•!
GIORGIO: No, cos Š male! No.
(Le prende il volto fra le mani).
Tu sei il mio amore; ma io non voglio, non voglio che tu ne
abbia
male!
LAURA (bevendo la dolcezza delle parole di lui): No?
GIORGIO: No, non voglio! Vedi? I tuoi occhi...
(S'interrompe vedendosi guardato in un modo
che
gli
fa
perdere
la
voce).
LAURA (seguitando a guardarlo, quasi provocante): Di'...
parla,
parla...
GIORGIO (ebbro): Dio mio, Laura...
LAURA (ridendo, gaia): I miei occhi? Ma guarda, guarda... Non vedi
che
ci sei tu?
GIORGIO: Lo vedo. Ma tu ridi...
LAURA: No, no, non rido pi—!
GIORGIO: E' per te, bada!
LAURA: S•. Basta. Siamo buoni, ora! Siedi, siedi qua anche tu:
ti
faccio posto!
(Nella sedia a sdraio).
GIORGIO: No, siedo qua allora!
(Indica lo sgabello).
LAURA (si alza dalla sedia a sdrajo): No, qua... e io, cos•.
)Gli siede sulle ginocchia).
GIORGIO: S•, s•.
LAURA: No, buoni! Di', sei passato dalla mamma?
GIORGIO: S•, ma non l'ho trovata.
LAURA: Non hai veduto neanche Giulietta?
GIORGIO: Era uscita con la mamma.
LAURA: E non t'hanno detto nulla a casa?
GIORGIO: No, nulla. Perch‚?
LAURA: Perch‚ ho telefonato di qua alla mamma.
GIORGIO: Tu? Stamattina?
LAURA: S•.
GIORGIO: Per me? Volevi forse qualche cosa?
LAURA: No. Mi sono sentita un po' male.
GIORGIO: Ah s•? Quando?
LAURA: Poco dopo che sei andato via tu. Quando mi sono levata.
Ma
nulla, sai? E' passato!
GIORGIO: Che ti sei sentita?
LAURA: Nulla, ti dico. Non so. Mi son sentita mancare,
appena mi
sono
alzata. Un momento, sai? Ecco, come dianzi!
GIORGIO: E hai telefonato alla mamma per il medico?
LAURA: No? Che medico! Per te. Per dire a te che tornassi presto.
La
mamma mi rispose che avrebbe fatto venire il dottor Romeri con te.
GIORGIO: Ma non m'ha detto niente nessuno!
LAURA: Meglio cos•! E' stata una pensata della
mamma.
Io
mi
sono
opposta.
Le ho ripetuto dieci volte che non ce n'era bisogno!
Ma
sai
com'Š la mamma? Ho paura che ce la vedremo spuntare da un
momento
all'altro, qua, col dottor Romeri.
GIORGIO: E sar… bene! Cos vedr…...
LAURA: Ma no! Che vuoi che veda! Io avevo bisogno che tornassi
tu
presto! Sei tornato. Basta.
GIORGIO: Ma forse il medico...
LAURA: Che vuoi che mi faccia il medico? Bada: se viene, non mi
faccio
neanche vedere!
GIORGIO: Ma perch‚?
LAURA: Perch‚ no! Non mi faccio vedere. O se no, guarda: gli
parlo
cos•
(Eseguendo:)
con la faccia nascosta sotto la tua giacca. E gli dico...
GIORGIO (sorridendo): Che Š per causa mia?
LAURA (dopo una pausa, in ascolto sul petto di lui): Aspetta!
GIORGIO: Che fai?
LAURA: Un b…ttito forte, lento; un b…ttito piccolo piccolo,
lesto,
Šsile...
GIORGIO: Che dici?
LAURA: Il cuore e l'orologio!
GIORGIO: Bella scoperta!
LAURA: Possibile che misurino lo stesso tempo? Il mio cuore
batte
certo pi— del tuo! Oh! Dio, no! Che brutto cuore!
GIORGIO (ridendo): Brutto? Perch‚?
LAURA: Non te l'avevo mai sentito battere, il cuore! Ma sai come
ti
batte placido, forte, lento...
GIORGIO: E come vuoi che batta?
LAURA: Come? Se io sapessi che tu ascolti il mio, sarebbe
un
precipizio! Mentre il tuo, niente: non si commuove!
GIORGIO: Sfido! Parli del medico che non vuoi vedere...
LAURA: No; invece parlavo del medico a cui volevo accusarti!
GIORGIO: Gi…! Ma con la faccia nascosta! Perch‚ tu sai bene che
non
sono io!
(Non ha finito di proferir queste parole, che si turba vivamente,
come
se esse,
abbiano
rispetto al male di cui Laura soffre,
d'improvviso
acquistato un valore davanti a lui, altro da quello che egli
intendeva
dar loro).
LAURA: Non sei tu? Come non sei tu?
GIORGIO (con sempre crescente turbamento): No, io...
LAURA (levandosi dalle ginocchia di lui): Giorgio, che pensi?
GIORGIO (con sempre crescente turbamento, alzandosi): Oh Dio,
nulla...
(Poi, cupo:)
Tu credi che il dottor Romeri debba venire?
LAURA: Non so... Ma perch‚?
GIORGIO: Perch‚ Š bene che venga! Voglio che venga!
LAURA: Ma, Dio mio, Giorgio, io ho scherzato...
GIORGIO: Lo so, lo so!
LAURA: Vuoi che possa accusarti, se non per ischerzo?
GIORGIO: Ma no, Laura: non Š per questo!
LAURA: E che cos'Š allora?
GIORGIO: Ma... se tu stai male...
LAURA: No! no! io non ho niente! io ho te! Ecco: te - e non ho
niente
altro, che non mi venga da te! - Se godo, se soffro, se muojo sei
tu! Perch‚ io sono tutta cos•, come tu mi vuoi, come io mi
voglio,
tua. E basta! Tu lo vedi, tu lo sai!
GIORGIO: S•, s•...
LAURA: E dunque - basta! Che male vuoi che abbia?
(Si sente di nuovo vacillare).
Dio... vedi?
GIORGIO: Di nuovo?
LAURA: No... E' un po' di stanchezza... Sorreggimi...
SCENA SESTA.
DETTI, FILIPPO, poi la SIGNORA FRANCESCA, infine ROMERI.
FILIPPO (di corsa, da destra): Signora! signora! Viene la mamma con
un
altro signore!
GIORGIO: Ah! Ecco il medico.
LAURA: No, no! Giorgio! non voglio vederlo!
GIORGIO: E io voglio invece che tu lo veda!
(Si avvia verso il fondo per andare incontro al dottore).
LAURA: No... no... Vai,
mi
faccio vedere.
vai.
Portalo su in villa,
di l…!
Io non
FRANCESCA (entrando): Buon giorno, Giorgio.
GIORGIO (per uscire in fretta): Buon giorno. Il dottore?
FRANCESCA: Eccolo!
LAURA: No, per carit…! Di l…, Giorgio! P•rtatelo via di l…!
(Giorgio via).
SCENA SETTIMA.
LAURA e FRANCESCA.
FRANCESCA (stordita): Ma che cos'Š?
LAURA (eccitata): Ah! non dovevi, mamma, non dovevi!
FRANCESCA: Che cosa?
LAURA:
Portare quel medico!
Hai fatto male,
male!
Un
male
incalcolabile, mamma!
FRANCESCA: Ma perch‚? Mi hai telefonato, che t'eri sentita male...
LAURA: Io non ho nulla! non ho nulla!
FRANCESCA: Bene! tanto meglio!
LAURA: Ma che meglio! Che vuoi che intenda, che sappia, che
rimedio
vuoi che abbia, un medico, per quello che io sento, per quello che
io
soffro, e che non voglio, non voglio, capisci? che sia un male, e
che
con la presenza di quel medico che hai portato acquisti per
lui
un'immagine di male! Ancora di quel male che mi fu fatto!
FRANCESCA: Non vuoi? Ma che forse...? Che dici, Laura? Oh Dio...
Che
forse, tu?
LAURA (convulsa, afferrando la madre): S• s•, mamma! S•!
FRANCESCA: Ah, Dio! E lui? tuo marito? lo sa?
LAURA: Ma Š appunto questo il male che tu hai fatto, mamma!
FRANCESCA: Io?
LAURA: S•! Ch'egli lo sappia, che egli lo pensi ora, come un male
a
cui si possa portar rimedio: un rimedio pi— odioso del male.
FRANCESCA: Ma se dici che Š...
LAURA: Non Š! non Š! E io lo so bene che non Š! Lo sento!
FRANCESCA: Come? Che senti? Io ho paura che tu, figliuola mia,
sia
troppo esaltata e che...
LAURA: Ti pare che vaneggi? No! Non posso spiegartelo con la
ragione,
ma l'ho saputo, qua, ora, mamma, che Š cos! E non pu• essere
che
cos•!
FRANCESCA: Che cosa, figlia mia? Io non ti capisco!
LAURA: Questo! Questo ch'io sento. La ragione non lo sa; forse non
pu•
ammetterlo.
Ma
lo sa la natura,
che Š cos•!
Il corpo,
lo sa!
Una
pianta - qua, una di queste piante! Sa che non potrebbe essere
senza
che ci sia amore! Me lo hanno spiegato or ora. Neanche una
pianta
potrebbe, se non Š in amore! Vedi com'Š? Non sono esaltata! No,
mamma.
Io so questo: che in me, in questo mio povero corpo - quando fu in
questa mia povera carne straziata, mamma, doveva esserci amore. E
per
chi? Se amore c'era, non poteva essere che per lui, per mio marito.
(Con gesto di vittoria, quasi allegra:)
E allora!
FRANCESCA: Che dici? Ah, questo Š un nuovo martirio, figliuola mia!
Ne
sei certa? proprio certa?
LAURA: Si. Ma Š cos! Š cos! E' per forza cos!
FRANCESCA: Ma lui, dimmi un po', tuo marito, lo sa?
LAURA: Credo che gi… lo sappia. Ma ora, l…, con quel medico...
Ah!
proprio questo, vedi, non doveva avvenire! Che egli lo sapesse cos•!
FRANCESCA: Ma se gi… lo sa, figlia mia!
LAURA: Volevo che sentisse anche lui, naturalmente, quello che
io
sento! E che s'unisse a me, s'immedesimasse in me, fino a
sentirlo,
ecco, e volerlo in me, con me, quello che io sento e voglio!
FRANCESCA: Oh Dio! Ho paura, figliuola mia, che...
LAURA (subito, interrompendo): Zitta!... Eccoli... Andiamo,
andiamo
su!
(Si trascina via la madre).
Non voglio farmi vedere, non voglio farmi vedere!
GIORGIO (chiamando dal fondo): Laura... Laura...
LAURA: No, Giorgio! T'ho detto no! Vieni, mamma!
(Via con la madre).
SCENA OTTAVA.
GIORGIO e il DOTTOR ROMERI.
GIORGIO: Venga, dottore.
ROMERI: Eccomi, eccomi.
GIORGIO (seguitando con calma grave e contenuta il
col
suo
discorso
dottore): Mi piegai allora; mi vinsi, come dovevo. Era una
sciagura!
Forse anche a lei, dottore, la mia violenza ROMERI (interrompendo): - no; io per me GIORGIO: - se non a lei, pot‚ parer troppa ad altri, che non erano
in
grado di sentire in quel punto come me.
ROMERI: Ciascuno sente a suo modo!
GIORGIO: Ma fu, del resto, in quello stesso primo momento una
violenza
anche per me. Tanto vero, che appena la vidi, dottore, appena ella
mi
venne davanti, la mia violenza cadde di colpo, e io la raccolsi tra
le
braccia, non per dovere di piet…, no, ma perch‚ dovevo, dovevo per
il
mio stesso amore fare cos•. E le giuro che non ci ho pi—
pensato,
nemmeno una volta. Siamo stati un mese qua, insieme, come due
nuovi
sposi.
(Cambiando tono ed espressione).
Ma ora, ora, dottore, se Š vero questo...
ROMERI: Eh, comprendo...
GIORGIO: Passar sopra a uno scempio, s•, l'ho fatto. Ma oltre, no!
ROMERI: Speriamo ancora che non sia!
GIORGIO: Non lo so. Ma lo temo! Se fosse... lei mi comprende?
ROMERI: Comprendo, comprendo!
GIORGIO: E allora vada, la prego. E glielo dica, se mai:
lento,
spiccato, quasi sillabando: io non potrei transigere. Vada.
Aspetto
qua.
TELA.
ATTO TERZO.
(Una sala della villa. Uscio in fondo. Uscio laterale a
destra.
Finestra a sinistra. Immediatamente dopo il secondo atto).
SCENA PRIMA.
Il DOTTOR ROMERI, la SIGNORA FRANCESCA.
(Al levarsi della tela il dottor Romeri
Š
solo,
presso
l'uscio
a
destra in attesa.
signora
Francesca).
Poco
dopo,
l'uscio
s'apre
ed entra la
FRANCESCA: Non vuole! dice che non vuole, dottore: assolutamente!
ROMERI: Ma
FRANCESCA:
ROMERI: Ma
FRANCESCA:
sa che il marito lo desidera?
Gliel'ho detto. Se n'Š irritata di pi—.
perch‚?
Anche con me stamattina, del resto, quando le
dissi
per
telefono che avrei portato lei qua in villa.
ROMERI: E' curioso!
FRANCESCA: Dice che non ce n'Š bisogno.
ROMERI (con lieta sorpresa, come alleggerito da un gran peso): Ah!
Non
ce n'Š bisogno?
FRANCESCA: E pare che lo abbia detto gi— anche a Giorgio...
ROMERI: Ma tanto meglio, allora! Avvertiamone subito suo genero
che
sta in pensiero!
(Fa per avviarsi).
FRANCESCA: Aspetti, dottore! Sta in pensiero Giorgio? Di che?
ROMERI: Ma... Lei lo comprende, signora!
FRANCESCA: Eh, se Š per questo, temo purtroppo che non ci possa
esser
dubbio.
ROMERI (stordito, senza pi— raccapezzarsi): Ah si? E come?
FRANCESCA: S•, dottore.
ROMERI: Ma allora?
FRANCESCA: S'Š dunque affacciato a Giorgio il sospetto che...?
ROMERI: Dio mio, s•, signora!
FRANCESCA: Ma perch‚ il sospetto?
ROMERI: Perch‚... perch‚, signora mia, pu• affacciarsi anche a
lei...
anche a me... a tutti...
FRANCESCA: Ma no, scusi: non c'Š poi mica da stabilire una certezza!
ROMERI: Basta il dubbio, signora!
FRANCESCA: E se mia figlia non ne avesse?
ROVERI: Dica che non vorrebbe averne!
FRANCESCA: Precisamente. Non vuole, non vuole averne!
ROMERI: Eh! se si trattasse soltanto di volont…...
FRANCESCA: Ma dunque anche lei crede, dottore...?
ROMERI: Lasci star me. Sua figlia dovrebbe ispirare al marito la
sua
stessa certezza. Pare non ci sia riuscita. Il solo fatto, scusi,
che
gli ha nascosto finora il suo stato, dimostra, del resto - mi sembra
che quel sospetto si sia affacciato anche a lei.
FRANCESCA: No! Non ha nascosto niente! Il dubbio sul suo stato data
da
questa mattina soltanto!
ROMERI: E perch‚ s'oppone allora, cos•, al desiderio del marito?
FRANCESCA: Ma perch‚ per lei Š naturale!
ROMERI: E vorrebbe che apparisse naturale anche a lui?
FRANCESCA: Ecco: proprio cos•!
ROMERI: Temo, signora, che la sua figliuola pretenda troppo.
FRANCESCA: No, non pretende, non pretende! E' che non pu•
ammettere...
ROMERI: Non vorrebbe, capisco.
FRANCESCA: E non le sembra naturale che non voglia? Le
ripugna
ammetterlo!
ROMERI: Capisco. Ma capisca anche lei, signora, che allo stesso
modo
ripugna al marito il dubbio, anche il pi— lontano. Tanto pi— che,
lei
lo sa, Š avvalorato, questo dubbio, dal fatto che in sette anni
di
matrimonio non ha avuto figliuoli.
FRANCESCA: Si, Š vero! Dio mio! Dio mio!
ROMERI: Bisognerebbe che ella si provasse a farlo intendere alla
sua
figliuola.
FRANCESCA: Io?
ROMERI: Suo genero mi ha detto gi— esplicitamente, che su questo
punto
non potrebbe transigere, a nessun patto.
FRANCESCA: Ma, e lei, dottore?
ROMERI: Io... Sa lei, signora, che sono stato medico militare e che
mi
sono dimesso?
FRANCESCA: Si, lo so.
ROVERI: Sa perch‚ mi sono dimesso?
FRANCESCA: No.
ROMERI: Perch‚ alla nostra professione son fatti doveri, a cui non
si
fanno corrispondere uguali diritti.
FRANCESCA: E che intende dire, dottore?
ROMERI: Intendo dire, signora, che mi trovai una volta - e mi bast•
davanti a un caso, in cui l'esercizio del mio dovere sentii
che
diventava addirittura mostruoso.
FRANCESCA: Ma si, sarebbe difatti mostruoso!
ROMERI: No, signora, lei non intende in qual senso io lo dica.
E'
proprio il contrario. Un soldato, in caserma - sono ormai tant'anni
in un accesso di furore, spar• contro un suo superiore; poi
rivolse
l'arma contro se stesso per uccidersi anche lui. Rimase
ferito
mortalmente. Ebbene, signora: di fronte a un caso come questo,
nessuno
pensa al medico a cui Š fatto obbligo di curare, di salvare - se pu•
quel ferito; come se il medico fosse soltanto uno strumento
della
scienza e nient'altro; come se il medico non avesse poi per se
stesso,
come
uomo,
una
coscienza
per giudicare se - ad esempio - contro
al
dovere che gli Š imposto di salvare,
egli non abbia
diritto
di
non
farlo,
o
il
diritto
almeno
di disporre poi della vita che egli
ha
restituito a un uomo che se l'era tolta
per
punirsi
da
s‚
con
la
maggiore
delle
punizioni: uccidendosi!
Nossignori!
il medico ha
il
dovere di salvare, contro la volont… patente, recisa, di quell'uomo.
E
poi? quando io gli ho restituita la vita? perch‚ gliel'ho
restituita?
Per farlo uccidere, a freddo da chi ha imposto a me un dovere
che
diventa infame, negandomi ogni diritto di coscienza sull'opera
mia
stessa! Questo, signora, per dirle che io ho riconosciuto sempre,
e
voglio riconoscere, nel casi della mia professione, di fronte
ai
doveri che mi sono imposti, anche diritti che la mia
coscienza
reclama.
FRANCESCA: E allora lei si presterebbe...?
ROMERI: S•, signora: senza la minima esitazione. Dato il caso
s'intende - che la signora volesse consentire.
SCENA SECONDA.
DETTI e GIORGIO.
(Giorgio s'Š presentato sull'uscio della
ultime
battute del dialogo ed e stato in ascolto).
sala
durante
le
GIORGIO (facendosi avanti): E che non vorrebbe forse consentire?
FRANCESCA: No, no! Non sappiamo ancora, Giorgio!
GIORGIO: Ma dunque Š sicuro?
ROMERI: Pare di s•.
GIORGIO: Come, e lei?
(Allude a Laura).
ROMERI: Non l'ho ancora veduta.
FRANCESCA (per calmarlo, quasi supplichevole): Forse Laura crede...
GIORGIO (subito, interrompendola): Crede? Che crede? Se Š sicura,
come
pu• ancora esitare? Io lo esigo!
ROMERI (scrollandosi, seccato, anzi sdegnato): Ma no, scusi!
GIORGIO (con forza, duramente): S•, lo esigo! Lo esigo!
ROMERI (fiero, reciso): Lei non pu• esigerlo cos•!
GIORGIO: Come no? Posso ammettere che Laura esiti?
ROMERI: Ma deve dirlo lei, spontaneamente. Non mi presterei io,
n‚
si
presterebbe nessuno, altrimenti!
GIORGIO: Ma il mio stupore Š questo, che lei non l'abbia gi…
chiesto,
non lo chieda subito!
FRANCESCA: Non Š mica una cosa da nulla per una donna, Giorgio! A
te
basta esigerlo!
GIORGIO: Come! Ma per se stessa, io dico, dovrebbe chiederlo subito,
a
qualunque costo! Dovrebbe esser nulla per lei, di fronte
all'orrore
d'un simile fatto! Ma come? Crederebbe forse che io potrei
sorpassare
ancora, cedere, chiudere gli occhi, accettare? Ah! perdio! Ma
dov'Š?
Dov'Š?
(Smaniando, la per andare nella camera di Laura).
FRANCESCA (cercando d'impedirglielo): No, per carit…, Giorgio!
ROMERI (forte, con fermezza): Non cos•! Non cos•!
GIORGIO (alludendo a Laura): Che dice? Posso sapere almeno che
cosa
dice? O vorrebbe forse darmi a intendere che il suo amore...
SCENA TERZA.
LAURA e DETTI.
LAURA (entrando dall'uscio a destra): Che il mio amore... -?
(Al suo apparire, alle sue parole restano tutti sospesi, interdetti).
Di', di'! Finisci!
GIORGIO: Laura, io ho bisogno di saper subito che tu non ti opponi.
LAURA: A che cosa?
FRANCESCA (cercando d'interporsi): Ma se non sa ancor nulla! Non
le
abbiamo ancora parlato!
GIORGIO: Lasciatemi allora spiegare con lei, vi prego!
LAURA: S, Š meglio!
GIORGIO: Attenda un po' di l…, dottore.
LAURA (subito, severamente): E anche tu, mamma!
(La signora Francesca e il dottor Romeri si ritirano
in
fondo).
per
l'uscio
SCENA QUARTA.
LAURA e GIORGIO.
LAURA: Parlavi del mio amore, cos•, davanti GIORGIO (subito, compiendo la frase): - davanti a tua madre e
al
dottore!
LAURA: Anche la madre, in questo caso,
diventa un'estranea.
Non
dico
quell'altro. Avevi l'aria di buttarmelo in faccia!
GIORGIO: Ma s, perch‚ non credo, non voglio credere,
che tu
ora
possa, o voglia avvalertene!
LAURA: Dio! Giorgio, ma guardami! Tu non puoi pi— guardarmi?
GIORGIO: No! Se Š vero questo, no! che tu possa pensare... Io
voglio
sapere - e subito, subito, senza tante parole - quello che tu
vuoi
fare!
LAURA: Che debbo fare? Dipende da te, Giorgio. Dal tuo animo.
GIORGIO: Come! E tu hai bisogno che te lo dica io, qual Š il
mio
animo? Quale pu• essere? Non lo comprendi? Non lo vedi? Non lo senti?
LAURA: Sento che tu mi sei tutt'a un tratto nemico. Come... come
se
io...
GIORGIO: Dunque tu dici di no?
LAURA (abbattendosi a sedere, disperatamente, dice quasi tra s‚):
Ah
Dio! ah Dio! Non Š valso dunque a nulla?
GIORGIO (la guarda, come sbalordito, un pezzo; poi): Che cosa non
Š
valso? Che dici? Voglio che tu mi risponda!
LAURA: Tu dunque ricordi solo una cosa? E dimentichi tutto?
GIORGIO: Ma che vuoi che pensi io in questo momento?
LAURA: Non puoi neanche pensare che per me Š proprio tutto
il
contrario?
GIORGIO: Il contrario? che cosa?
LAURA (come assorta lontano, trucemente, con lentezza): Ch'io non
ho
memoria, n‚ immagine: nulla! io non vidi! io non seppi nulla!
Nulla,
capisci?
GIORGIO: Sta bene. E poi?
LAURA: E poi...
(S'interrompe in un silenzio opaco. Poi dice:)
Niente. Se hai perduto tu, invece, la memoria di tutto.
GIORGIO: Ah, del tuo amore, Š vero? Ma Š proprio cos•,
Tu
dunque?
m'hai circondato del tuo
amore,
tu
mi
hai
avviluppato
nelle
tue
carezze, sperando ch'io credessi?
LAURA (con un grido): No!
(Poi con nausea:)
Ah!
GIORGIO: E allora?
LAURA: Non ho ragionato, io: io ho amato: io sono quasi morta
d'amore
per te; mi sono fatta tua come nessuna donna mai al mondo Š stata
d'un
uomo; e tu lo sai; tu non hai certo potuto non sentirlo questo, che
ho
voluto averti tutto in me; che mi sono voluta tutta di te...
GIORGIO: E con questo? con questo?
LAURA (gridando): Non ho ragionato, ti dico!
GIORGIO: Ma che hai sperato?
LAURA: Ma d'aver cancellato... d'aver distrutto...
GIORGIO: Che cosa? Come?
LAURA: Niente.
(Alzandosi:)
Tu hai ragione. E' stata la mia follia.
GIORGIO: Ma s•, una follia! Tu lo vedi bene!
LAURA: S. E ne esco, ecco. Ne sono gi… uscita.
Ma bada!
Tu non
puoi
pi— parlarmi, ora, come si parla a una folle!
GIORGIO: Ma io voglio appunto che tu ragioni, Laura!
LAURA (freddissimamente): E poi?
GIORGIO: Ma che si faccia - purtroppo LAURA: Solo per un ragionamento, Š vero? e dopo che m'hai buttato
in
faccia con disprezzo, con orrore, tutto ci• che t'ho dato di me? e
che
tu hai potuto stimare
un
calcolo
vile...
un
laido
inganno...
un
espediente...
GIORGIO: No, no, Laura! Ma se l'hai chiamata tu stessa una follia?
LAURA: Ah, una follia, s•! E sperai che t'avesse sollevato con
me
nell'ardore di essa, qua, in mezzo alle piante che pure la
sanno,
questa mia stessa follia! O che tu almeno me lo chiedessi, come
si
chiede a una povera folle un sacrifizio che essa non sa... della
sua
stessa vita... e chi sa! avresti forse ottenuto quello che
volevi.
Perch‚ non puoi credere ch'io volessi salvare in me chi ancora
non
sento
e
non
conosco.
Io
l'amore
volevo
salvare!
cancellare
una
sventura brutale, non brutalmente come tu vorresti...
GIORGIO: Ma come? come, in nome di Dio?
LAURA: Posso dirti come, se tu non l'intendi?
GIORGIO: Accettando la tua follia?
LAURA (con un grido di tutta l'anima): S! Tutta me stessa!
Perch‚
tu
vedessi
tutta
me stessa tua,
nel figlio tuo: tuo perch‚ di tutto
il
mio amore per te! Ecco, questo! questo volevo!
GIORGIO (ritraendosi, quasi inorridito): Ah, no!
LAURA: Non Š possibile: lo vedo.
GIORGIO: Come vuoi ch'io possa accettare?
LAURA: E lascia allora che accetti io, invece, la mia sventura.
GIORGIO: Tu?
LAURA: Io sola, s•, tutta intera la mia sventura.
GIORGIO: Ah, dunque Š detto? Tu ti rifiuti?
LAURA: Perch‚ lo farei, se dopo tutto quello che ho dato di me,
non
sono riuscita a cancellarla?
GIORGIO: Ah, no perdio! Tu non puoi! tu non devi!
LAURA: Perch‚ non posso?
(Martellato).
GIORGIO: Dopo
LAURA: Che ho
GIORGIO: Dopo
LAURA: Che ho
quello che hai fatto?
fatto?
quello che hai voluto?
voluto?
GIORGIO (con ferocia): Il mio amore, "dopo"!
LAURA (con disprezzo): Per nascondere, Š vero?
GIORGIO: Ma sai che c'Š di mezzo il mio nome?
LAURA: Ah, non temere. Avr• il coraggio che ebbe la Zena.
Peccato
ch'io non possa darlo - dopo l'inganno - al suo padre vero!
GIORGIO: Ma tu volevi darlo a me! E non Š questo un inganno?
LAURA: Chiamalo inganno! Io so che era amore!
GIORGIO: Ti dico che tu non puoi!
LAURA: E che vorresti? Con la violenza?
(Si fa all'uscio in fondo, e chiama:)
Mamma! Mamma!
GIORGIO (inveendo): Anche con la violenza, s•!
(Accorrono dall'uscio in fondo
signora
Francesca e il dottor Romeri).
in
grande
SCENA QUINTA.
DETTI, la SIGNORA FRANCESCA, il DOTTOR ROMERI.
agitazione
la
FRANCESCA: Laura! Che cos'Š?
GIORGIO (al Romeri che lo trattiene): Dottore, le dica che essendo
mia
moglie...
LAURA: Non sono pi— tua moglie! Mamma, io vengo con te!
GIORGIO: Ma non basta che tu te ne vada!
LAURA (fieramente): Perch‚? Che ho io di te?
(Giorgio casca a sedere, come schiantato. Lunghissima pausa).
Mamma, possiamo andare!
S'avvia con la madre.
GIORGIO (balzando in piedi,
con
un
grido
d'esasperazione
e
di
disperazione): No... Laura... Laura...
(Proferir… cos• due volte il nome di lei con due diversi
sentimenti:
d'angoscioso sgomento, prima, poi d'implorazione quasi irosa.
Laura
s'arresta. Lo guarda. Pausa. Giorgio si copre il volto con le mani
e
rompe in singhiozzi.
LAURA (accorrendo a lui): Giorgio, tu mi credi?
GIORGIO: Non posso! Ma non voglio perdere il tuo amore!
LAURA (con impeto di passione): Ma a questo solo tu devi credere!
GIORGIO: Come credere? A che?
LAURA (come sopra): Ma a ci• che io ho voluto, con tutta me
stessa,
per te, e che devi volere anche tu! E' mai possibile che tu non
ci
creda?
(Lo abbraccia, lo scuote).
GIORGIO: S•, s•... Nel tuo amore, credo.
LAURA (quasi delirando): E dunque, che vuoi di pi—,
se credi nel
mio
amore? In me non c'Š altro! Sei tu in me, e non c'Š altro! Non c'Š
pi—
altro! Non senti?
GIORGIO: S•, s•...
LAURA (raggiante, felice): Ah, ecco! Il mio amore! Ha vinto! Ha
vinto!
Il mio amore!
TELA.
La patente.
(1917)
Personaggi:
Rosario Chi…rchiaro.
Rosinella, sua figlia.
Il Giudice istruttore D'Andrea.
Tre altri Giudici.
Marranca, usciere.
Stanza del Giudice istruttore D'Andrea. Grande scaffale che
prende
quasi tutta la parete di fondo, pieno di scatole verdi a
casellario,
che si suppongono zeppe d'incartarnenti. Scrivania, sovraccarica
di
fascicoli, a destra, in fondo e, accanto, addossato alla parete
di
destra, un altro palchetto. Un seggiolone di cuojo per il
Giudice,
davanti la scrivania. Altre seggiole antiche. Lo stanzone Š
squallido.
La comune Š nella parete di destra. A sinistra, un'ampia
finestra,
alta, con vetrata antica, scompartita. Davanti alla finestra, come
un
quadricello alto, che regge una grande gabbia. Lateralmente
a,
sinistra, un usciolino nascosto.
(Il giudice D'Andrea entra per la comune col cappello
in
capo
e
il
soprabito.
Reca
in mano una gabbiola poco pi— grossa d'un pugno.
Va
davanti alla gabbia grande sul quadricello, ne apre lo sportello,
poi
apre lo sportellino della gabbiola e fa passare da questa nella
gabbia
grande un cardellino).
D'ANDREA: Via, dentro! - E su, pigrone! - Oh! finalmente... Zitto
adesso, al solito, e lasciami amministrare la giustizia a
questi
poveri piccoli uomini feroci.
(Si
leva
il
soprabito
e
lo
appende insieme col
cappello
all'attaccapanni. Siede alla scrivania, prende il fascicolo
del
processo che deve istruire, lo scuote in aria con impazienza,
sbuffa:)
Benedett'uomo!
(Resta un po' assorto a pensare, poi suona il campanello e
dalla
comune si presenta l'usciere Marranca).
MARRANCA: Comandi, signor cavaliere!
D'ANDREA: Ecco, Marranca: andate al vicolo del Forno,
qua vicino;
a
casa del Chi…rchiaro.
MARRANCA (con un balzo indietro,
facendo le corna): Per amor di
Dio,
non lo nomini, signor cavaliere!
D'ANDREA (irritatissimo, dando un pugno sulla scrivania):
Basta,
perdio! Vi proibisco di manifestare cos•, davanti a me, la
vostra
bestialit…, a danno d'un pover'uomo. E sia detto una volta per
sempre.
MARRANCA: Mi scusi, signor cavaliere. L'ho detto anche per il
suo
bene!
D'ANDREA: Ah, seguitate?
MARRANCA: Non parlo pi—. Che vuole che vada a fare in casa di...
di
questo... di questo galantuomo?
D'ANDREA: Gli direte che il giudice istruttore ha da parlargli, e
lo
introdurrete subito da me.
MARRANCA: Subito, va bene, signor cavaliere. Ha altri comandi?
D'ANDREA: Nient'altro. Andate.
(Marranca esce, tenendo la porta per dar passo ai tre
Giudici
colleghi, che entrano con le toghe e i tocchi in capo e scambiano
i
saluti col D'Andrea, poi vanno tutti e tre a guardare il
cardellino
nella gabbia).
PRIMO GIUDICE: Che dice eh, questo signor cardellino?
SECONDO GIUDICE: Ma sai che sei davvero curioso con codesto
cardellino
che ti porti appresso?
TERZO GIUDICE: Tutto il paese ti chiama: il Giudice Cardello.
PRIMO GIUDICE: Dov'Š, dov'Š la gabbiolina con cui te lo porti?
SECONDO GIUDICE (prendendola dalla scrivania a cui s'Š
accostato):
Eccola qua! Signori miei, guardate: cose da bambini! Un uomo serio...
D'ANDREA: Ah, io, cose da bambini, per codesta gabbiola? E
voi,
allora, parati cos•?
TERZO GIUDICE: OhŠ, ohŠ, rispettiamo la toga!
D'ANDREA: Ma andate l…, non scherziamo! siamo in "camera
caritatis".
Ragazzo, giocavo coi miei compagni ®al tribunale¯. Uno faceva
da
imputato; uno, da presidente; poi, altri da giudici, da avvocati...
Ci
avrete giocato anche voi. Vi assicuro, che eravamo pi— serii allora!
PRIMO GIUDICE: Eh, altro!
SECONDO GIUDICE: Finiva sempre a legnate!
TERZO GIUDICE (mostrando una vecchia cicatrice alla fronte): Ecco
qua:
cicatrice d'una pietrata che mi tir• un avvocato difensore
mentre
fungevo da regio procuratore!
D'ANDREA: Tutto il bello era nella toga con cui ci paravamo.
Nella
toga era la grandezza, e dentro di essa noi eravamo bambini. Ora Š
al
contrario: noi, grandi, e la toga, il giuoco di quand'eravamo
bambini.
Ci vuole un gran coraggio a prenderla sul serio! Ecco qua,
signori
miei,
(prende dalla scrivania il fascicolo del processo Chi…rchiaro)
io debbo istruire questo processo. Niente di pi— iniquo di
questo
processo. Iniquo, perch‚ include la pi— spietata ingiustizia
contro
alla quale un pover'uomo tenta disperatamente di ribellarsi,
senza
nessuna probabilit… di scampo. C'Š una vittima qua, che non
pu•
prendersela con nessuno! Ha voluto, in questo processo,
prendersela
con due, coi primi due che gli sono capitati sotto mano, e
sissignori - la giustizia deve dargli torto, torto, torto,
senza
remissione, ribadendo cos, ferocemente, la iniquit… di cui
questo
pover'uomo Š vittima.
PRIMO GIUDICE: Ma che processo Š?
D'ANDREA: Quello intentato da Rosario Chi…rchiaro.
(Subito, al nome i tre Giudici, come gi… Marranca, danno
balzo
indietro, facendo scongiuri, atti di spavento, e gridando).
TUTTI E TRE: Per la Madonna Santissima!
- Tocca ferro!
un
-Ti vuoi
star
zitto?
D'ANDREA: Ecco,
vedete?
E dovreste proprio voi rendere
giustizia
a
questo pover'uomo!
PRIMO GIUDICE: Ma che giustizia! E' un pazzo!
D'ANDREA: Un disgraziato!
SECONDO GIUDICE: Sar… magari un disgraziato!
ma scusa,
Š pure
un
pazzo!
Ha sporto querela
per
diffamazione,
contro
il
figlio
del
sindaco, nientemeno, e anche D'ANDREA: - contro l'assessore Fazio TERZO GIUDICE: - per diffamazione? PRIMO GIUDICE: - gi…, capisci? perch‚ dice, li sorprese nell'atto
che
facevano gli scongiuri al suo passaggio.
SECONDO GIUDICE: Ma che diffamazione se in tutto il paese, da
almeno
due anni, Š diffusissima la sua fama di jettatore?
D'ANDREA: E innumerevoli testimonii possono venire in tribunale
a
giurare che in tante e tante occasioni ha dato segno di
conoscere
questa sua fama, ribellandosi con proteste violente!
PRIMO GIUDICE: Ah, vedi? Lo dici tu stesso!
SECONDO GIUDICE: Come condannare, in coscienza, il figliuolo
del
sindaco e l'assessore Fazio quali diffamatori per aver
fatto,
vedendolo passare, il gesto che da tempo sogliono fare
apertamente
tutti?
D'ANDREA: E primi fra tutti vojaltri?
TUTTI E TRE: Ma certo! - E' terribile, sai? - Dio ne liberi e scampi!
D'ANDREA: E poi vi fate meraviglia, amici miei, che io mi porti qua
il
cardellino... Eppure, me lo porto - voi lo sapete - perch‚
sono
rimasto solo da un anno. Era di mia madre quel cardellino; e per me
Š
il ricordo vivo di lei: non me ne so staccare. Gli parlo,
imitando,
cos•, col fischio, il suo verso, e lui mi risponde. Io non so che
gli
dico; ma lui, se mi risponde, Š segno che coglie qualche senso
nei
suoni che gli faccio. Tale e quale come noi, amici miei,
quando
crediamo che la natura ci parli con la poesia dei suoi fiori, o con
le
stelle del cielo,
mentre la natura
forse
non
sa
neppure
che
noi
esistiamo.
PRIMO GIUDICE: S‚guita,
s‚guita,
mio caro,
con codesta filosofia,
e
vedrai come finirai contento!
(Si sente picchiare alla comune,
e,
poco dopo,
Marranca
sporge
il
capo).
MARRANCA: Permesso?
D ANDREA. Avanti, Marranca.
MARRANCA: Lui in casa non c'era, signor cavaliere. Ho lasciato detto
a
una delle figliuole che, appena arriva, lo mandino qua. E'
venuta
intanto con me la minore delle figliuole: Rosinella. Se
Vossignoria
vuol riceverla..,
D'ANDREA: Ma no: io voglio parlare con lui!
MARRANCA: Dice che vuol rivolgerle non so che preghiera,
signor
cavaliere. E' tutta impaurita.
PRIMO GIUDICE. Noi ce n'andiamo. A rivederci, D'Andrea!
(Scambio di saluti: e i tre Giudici vanno via).
D'ANDREA: Fate passare.
MARRANCA: Subito, signor cavaliere.
(Via, anche lui. Rosinella, sui sedici anni,
poveramente vestita,
ma
con una certa decenza, sporge il capo dalla comune,
appena
il volto dallo scialle nero di lana).
mostrando
ROSINELLA: Permesso?
D'ANDREA. Avanti, avanti.
ROSINELLA: Serva di Vossignoria. Ah, Ges— mio, signor
giudice,
Vossignoria ha fatto chiamare mio padre? Che cosa Š stato,
signor
giudice? Perch‚? Non abbiamo pi— sangue nelle vene, dallo spavento!
D'ANDREA: Calmatevi! Di che vi spaventate?
ROSINELLA: E' che noi, Eccellenza, non abbiamo avuto mai da fare
con
la giustizia!
D'ANDREA: Vi fa tanto terrore, la giustizia?
ROSINELLA: Sissignore. Le dico, non abbiamo pi— sangue nelle vene!
La
mala gente, Eccellenza, ha da fare con la giustizia. Noi siamo
quattro
poveri disgraziati. E se anche la giustizia ora si mette contro
di
noi...
D'ANDREA: Ma no. Chi ve l'ha detto? State tranquilla. La giustizia
non
si mette contro di voi.
ROSINELLA: E perch‚ allora Vossignoria ha fatto chiamare mio padre?
D'ANDREA: Perch‚ vostro padre vuol mettersi lui contro la giustizia.
ROSINELLA: Mio padre? Che dice!
D'ANDREA: Non vi spaventate. Vedete che sorrido... Ma come? Non
sapete
che vostro padre s'Š querelato contro il figlio del sindaco
e
l'assessore Fazio?
ROSINELLA: Mio padre? Nossignore! Non ne sappiamo nulla! Mio padre
s'Š
querelato?
D'ANDREA: Ecco qua gli atti!
ROSINELLA: Dio mio! Dio mio! Non gli dia retta, signor giudice!
E'
come impazzito mio padre: da pi— d'un mese! Non lavora pi— da un
anno,
capisce? perch‚ l'hanno cacciato via, I'hanno gettato in mezzo a
una
strada; fustigato da tutti, sfuggito da tutto il paese come
un
appestato! Ah, s'Š querelato? Contro il figlio del sindaco
s'Š
querelato? E' pazzo! E' pazzo! Questa guerra infame che gli
fanno
tutti, con questa fama che gli hanno fatto, l'ha levato di
cervello!
Per carit…, signor giudice: gliela faccia ritirare codesta
querela!
gliela faccia ritirare!
D'ANDREA: Ma s•, carina! Voglio proprio questo. E l'ho fatto
chiamare
per questo. Spero che ci riuscir•. Ma voi sapete: Š molto pi—
facile
fare il male che il bene.
ROSINELLA: Come, Eccellenza! Per Vossignoria?
D'ANDREA: Anche per me. Perch‚ il male, carina, si pu• fare a tutti
e
da tutti; il bene, solo a coloro che ne hanno bisogno.
ROSINELLA: E lei crede che mio padre non ne abbia bisogno?
D'ANDREA: Lo credo, lo credo Ma Š che questo bisogno d'aver fatto
il
bene, figliuola, rende spesso cos• nemici gli animi di coloro che
si
vorrebbero beneficare,
che il beneficio diventa
difficilissimo.
Capite?
ROSINELLA: Nossignore, non capisco. Ma faccia di tutto
Vossignoria!
Per nojaltri non c'Š pi— bene, non c'Š pi— pace, in questo paese.
D'ANDREA: E non potreste andar via da questo paese?
ROSINELLA: Dove? Ah, Vossignoria non lo sa com'Š! Ce la
portiamo
appresso, la fama, dovunque andiamo. Non si leva pi— neppure
col
coltello. Ah, se vedesse mio padre, come s'Š ridotto! S'Š
fatto
crescere la barba. una barbaccia, che pare un gufo... e s'Š tagliato
e
cucito da s‚ un certo abito. Eccellenza, che quando se lo
metter…,
far… spaventare la gente, fuggire i cani finanche!
D'ANDREA. E perch‚?
ROSINELLA: Se lo sa lui perch‚! E' come impazzito, le dico!
Gliela
faccia, gliela faccia ritirare la querela, per carit…!
(Si sente di nuovo picchiare alla comune).
D'ANDREA: Chi Š? Avanti.
MARRANCA (tutto tremante): Eccolo,
debbo
fare?
ROSINELLA: Mio padre?
signor cavaliere! Che... che
(Balza in piedi).
Dio! Dio! Non mi faccia trovare qua, Eccellenza, per carit…!
D'ANDREA: Perch‚? Che cos'Š? Vi mangia, se vi trova qua?
ROSINELLA: Nossignore. Ma non vuole che usciamo di casa.
Dove
mi
nascondo?
D'ANDREA. Ecco. Non temete.
(Apre l'usciolino nascosto nella parete di destra).
Andate via di qua; poi girate per il corridojo e troverete l'uscita.
ROSINELLA: Sissignore, grazie. Mi raccomando a Vossignoria! Serva
sua.
(Via ranca ranca per l'usciolino a destra. D'Andrea lo richiude).
D'ANDREA: Introducetelo.
MARRANCA (tenendo aperto quanto pi— pu• la
tenersi
discosto): Avanti, avanti... introducetevi...
(E come Chi…rchiaro entra,
va via di furia.
comune
per
Rosario Chi…rchiaro
s'Š
combinata
S'Š
una faccia da jettatore che Š una meraviglia a vedere.
lasciato crescere su le
cave
gote
gialle
una
barbaccia
ispida
e
cespugliuta; s'Š insellato sul naso un paio di grossi
occhiali
cerchiati d'osso che gli d…nno l'aspetto d'un barbagianni. ha
poi
indossato un abito lustro, sorcigno, che gli sgonfia da tutte
le
parti, e tiene una canna d'India in mano col manico di corno. Entra
a
passo di marcia funebre, battendo a terra la canna a ogni passo, e
si
para davanti al giudice).
D'ANDREA (con uno scatto violento d'irritazione, buttando via le
carte
del processo): Ma fatemi il piacere!
Che storie son
queste!
Vergognatevi!
CHIARCHIARO (senza scomporsi minimamente allo scatto del
giudice,
digrigna i denti gialli e dice sottovoce): Lei dunque non ci crede?
D'ANDREA: V'ho detto di farmi il piacere! Non facciamo scherzi,
via,
caro Chi…rchiaro! - Sedete, sedete qua! Gli s'accosta e fa
per
posargli una mano sulla spalla.
CHIARCHIARO (subito, tirandosi indietro e tremendo): Non mi
s'accosti!
Se ne guardi bene! Vuol perdere la vista degli occhi?
D'ANDREA (lo guarda freddamente, poi dice): Seguitate... Quando
sarete
comodo... - Vi ho mandato a chiamare per il vostro bene. L… c'Š
una
sedia: sedete.
CHIARCHIARO (prende la seggiola. siede, guarda il giudice, poi
si
mette a far rotolare con le mani su le gambe la canna d'India come
un
matterello e tentenna a lungo il capo. Alla fine mastica): Per il
mio
bene... Per il mio bene, lei dice... Ha il coraggio di dire per il
mio
bene! E lei si figura di fare il mio bene, signor giudice, dicendo
che
non crede alla jettatura?
D'ANDREA (sedendo anche lui): Volete che vi dica che ci credo? Vi
dir•
che ci credo! Va bene?
CHIARCHIARO (recisamente, col tono di chi non ammette
scherzi):
Nossignore! Lei ci ha da credere sul serio, sul se-ri-o! Non solo,
ma
deve dimostrarlo istruendo il processo.
D'ANDREA. Ah, vedete: questo sar… un po' difficile.
CHIARCHIARO (alzandosi e facendo per avviarsi): E allora me ne vado.
D'ANDREA: Eh, via! Sedete! V'ho detto di non fare storie!
CHIARCHIARO: Io, storie? Non mi cimenti;
o ne far… una
tale
esperienza... - Si tocchi, si tocchi!
D'ANDREA: Ma io non mi tocco niente.
CHIARCHIARO: Si tocchi, le dico! Sono terribile, sa?
D'ANDREA (severo): Basta, Chi…rchiaro! Non mi seccate.
Sedete
e
vediamo d'intenderci.
Vi ho fatto chiamare per dimostrarvi che la
via
che
avete
preso
non Š propriamente quella che possa condurvi a
buon
porto.
CHIARCHIARO: Signor giudice,
io sono con le spalle al muro dentro
un
vicolo cieco. Di che porto, di che via mi parla?
D'ANDREA: Di questa per cui vi vedo incamminato e di quella l…
della
querela che avete sporto. Gi… l'una e l'altra, scusate, sono tra
loro
cos•.
(Infronta
gl'indici
delle
due
mani
per significare che le due
vie
sembrano in contrasto).
CHIARCHIARO: Nossignore. Pare a lei, signor giudice.
D'ANDREA: Come no? L… nel processo, accusate come diffamatori
due,
perch‚ vi credono jettatore; e ora qua vi presentate a me,
parato
cos•, in vesti di jettatore, e pretendete anzi ch'io creda alla
vostra
jettatura.
CHIARCHIARO: Sissignore. Perfettamente.
D'ANDREA: E non pare anche a voi che ci sia contraddizione?
CHIARCHIARO: Mi pare, signor giudice, un'altra cosa. Che lei
non
capisce niente!
D'ANDREA: Dite, dite, caro Chi…rchiaro! Forse Š una sacrosanta
verit…,
questa che mi dite. Ma abbiate la bont… di spiegarmi perch‚
non
capisco niente.
CHIARCHIARO: La servo subito. Non solo le far• vedere che lei
non
capisce niente; ma anche toccare con mano che lei Š un mio nemico.
D'ANDREA: Io?
CHIARCHIARO: Lei, lei, sissignore. Mi dica un po': sa o non sa che
il
figlio del sindaco ha chiesto il patrocinio dell'avvocato Lorecchio?
D'ANDREA: Lo so.
CHIARCHIARO: E lo sa che io - io, Rosario Chi…rchiaro - io stesso
sono
andato dall'avvocato Lorecchio a dargli sottomano tutte le
prove
del
fatto:
cioŠ,
che
non
solo
tutti,
vedendomi passare,
io mi ero accorto da pi— di un anno
che
facevano le corna e altri scongiuri pi—
o
meno puliti; ma anche le prove, signor giudice, prove
documentate,
testimonianze irrepetibili, sa? ir-re-pe-tibi-li di tutti i
fatti
spaventosi, su cui Š edificata incrollabilmente, in-crol-labilmente,
la mia fama di jettatore?
D'ANDREA: Voi? Come? Voi siete andato a dar le prove
all'avvocato
avversario?
CHIARCHIARO: A Lorecchio. Sissignore.
D'ANDREA (pi— imbalordito che mai): Eh... Vi confesso che
capisco
anche meno di prima.
CHIARCHIARO: Meno? Lei non capisce niente!
D'ANDREA: Scusate... Siete andato a portare codeste prove contro
di
voi stesso all'avvocato avversario; perch‚? Per rendere pi—
sicura
l'assoluzione di quei due? E perch‚ allora vi siete querelato?
CHIARCHIARO: Ma in questa domanda appunto Š la prova, signor
giudice,
che lei non capisce niente! Io mi sono querelato perch‚ voglio
il
riconoscimento ufficiale della mia potenza. Non capisce ancora?
Voglio
che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza terribile, che
Š
ormai l'unico mio capitale, signor giudice!
D'ANDREA (facendo per abbracciarlo, commosso): Ah, povero
Chi…rchiaro,
povero Chi…rchiaro mio, ora capisco! Bel capitale, povero
Chi…rchiaro!
E che te ne fai?
CHIARCHIARO: Che me ne faccio? Come, che me ne faccio? Lei,
caro
signore, per esercitare codesta professione di giudice - anche
cos•
male come la esercita - mi dica un po', non ha dovuto prendere
la
laurea?
D'ANDREA: Eh s•, la laurea...
CHIARCHIARO: E dunque! Voglio anch'io la mia patente. La patente
di
jettatore. Con tanto di bollo. Bollo legale. Jettatore patentato
dal
regio tribunale.
D'ANDREA: E poi? Che te ne farai?
CHIARCHIARO: Che me ne far•? Ma dunque Š proprio deficiente lei? Me
lo
metter•
come
titolo
nei biglietti da visita!
Ah,
le par poco?
La
patente! Sar… la mia professione! Io sono stato assassinato,
signor
giudice! Sono un povero padre di famiglia. Lavoravo onestamente.
Mi
hanno cacciato via e buttato in mezzo a una strada, perch‚
jettatore!
In mezzo a una strada, con la moglie paralitica, da tre anni in
un
fondo di letto! e con due ragazze, che se lei le vede, signor
giudice,
le strappano il cuore dalla pena che le fanno: belline tutte e due;
ma
nessuno vorr… pi— saperne, perch‚ figlie mie, capisce? E lo sa di
che
campiamo adesso tutt'e quattro? Del pane che si leva di bocca il
mio
figliuolo, che ha pure la sua famiglia, tre bambini! E le pare
che
possa fare ancora a lungo, povero figlio mio, questo sacrificio
per
me? Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare
la
professione di jettatore!
D'ANDREA: Ma che ci guadagnerete?
CHIARCHIARO: Che ci guadagner•? Ora glielo spiego. Intanto, mi
vede:
mi sono combinato con questo vestito. Faccio spavento! Questa
barba...
questi occhiali... Appena lei mi fa ottenere la patente, entro
in
campo! Lei dice, come? Me lo domanda - ripeto - perch‚ Š mio nemico!
D'ANDREA: Io? Ma vi pare?
CHIARCHIARO: Sissignore, lei! Perch‚ s'ostina a non credere alla
mia
potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, ci
credono!
Questa Š la mia fortuna! Ci sono tante case da giuoco nel
nostro
paese! Baster… che io mi presenti. Non ci sar… bisogno di dir
niente.
Il tenutario della casa, i giocatori, mi pagheranno sottomano, per
non
avermi accanto e per farmene andar via! Mi metter• a ronzare come
un
moscone attorno a tutte le fabbriche; andr• a impostarmi ora davanti
a
una bottega, ora davanti a un'altra. L… c'Š un giojelliere? Davanti
alla vetrina di quel giojelliere: mi pianto li,
(eseguisce)
mi metto a squadrare la gente cos•,
(eseguisce)
e chi vuole che entri pi— a comprare in quella bottega una gioja,
a
guardare a quella vetrina?
Verr… fuori il padrone,
e mi
metter…
in
mano tre, cinque lire per farmi scostare e impostare da
sentinella
davanti alla bottega del suo rivale. Capisce? Sar… una specie di
tassa
che io d'ora in poi mi metter• a esigere!
D'ANDREA: La tassa dell'ignoranza!
CHIARCHIARO: Dell'ignoranza? Ma no, caro lei! La tassa della
salute!
Perch‚ ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta
questa
schifosa umanit…, che veramente credo, signor giudice, d'avere qua,
in
questi occhi, la potenza di far crollare dalle fondamenta
un'intera
citt…! - Si tocchi! Si tocchi, perdio! Non vede? Lei Š rimasto
come
una statua di sale!
(D'Andrea,
compreso di profonda piet…,
Š rimasto veramente
come
un
balordo a mirarlo).
Si alzi, via! E si metta a istruire questo processo che far… epoca,
in
modo che i due imputati siano assolti per inesistenza di reato;
questo
vorr… dire per me il riconoscimento ufficiale della mia professione
di
jettatore!
D'ANDREA (alzandosi): La patente?
CHIARCHIARO (impostandosi grottescamente e battendo la canna):
La
patente, sissignore!
(Non ha finito di dire cos•,
che la vetrata della
finestra
si
apre
pian
piano,
come
mossa
dal vento,
urta contro il quadricello e
la
gabbia, e li fa cadere con fracasso).
D'ANDREA (con un
Il
grido,
accorrendo):
Ah,
Dio!
Il
cardellino!
o
cardellino!
Ah,
Dio!
E' morto...
Š morto... L'unico ricordo di
mia
madre... Morto... morto...
(Alle grida,
si spalanca la
comune
e
accorrono
i
tre
Giudici
alla
vista
e
Marranca,
che
subito
si
trattengono
allibiti
di
Chi…rchiaro).
TUTTI: Che Š stato? Che Š stato?
D'ANDREA: Il vento... la vetrata... il cardellino...
CHIARCHIARO (con un grido di trionfo): Ma che vento! Che vetrata!
Sono
stato io!
Non voleva crederci e gliene ho dato la prova!
Io!
Io!
E
come Š morto quel cardellino,
(subito, gli atti di terrore degli astanti, che si scostano da lui:)
cos•, a uno a uno, morirete tutti!
TUTTI (protestando, imprecando, supplicando in coro): Per
l'anima
vostra! Ti caschi la lingua! Dio, ajutaci! Sono un padre di famiglia!
CHIARCHIARO (imperioso, protendendo una mano): E allora qua, subito
pagate la tassa! - Tutti!
I TRE GIUDICI (facendo atto di cavar danari dalla tasca): S•,
subito!
Ecco qua! Purch‚ ve n'andiate! Per carit… di Dio!
CHIARCHIARO (esultante, rivolgendosi al giudice D'Andrea, sempre
con
la mano protesa): Ha visto? E non ho ancora la patente! Istruisca
il
processo! Sono ricco! Sono ricco!
TELA.
L'uomo, la bestia e la virt—.
(1919).
Personaggi:
Il trasparente signor Paolino, professore privato.
La virtuosa signora Perella, moglie del
Capitano Perella.
Il dottor Nino Pulejo.
Il signor Tot•, farmacista, suo fratello.
Rosaria, governante del signor Paolino.
Giglio e Belli, scolari.
Non•, ragazzo di 11 anni, figlio dei Perella.
Grazia, domestica di casa Perella.
Un marinajo.
In una citt… di mare, non importa quale. Oggi.
ATTO PRIMO.
Stanza modesta da studio e da ricevere in casa del signor
Paolino.
Scrivania, scaffali di libri, canapŠ, poltrone, eccetera.
La comune Š a sinistra. A destra, un uscio. Un altro in fondo, che
d…
in uno sgabuzzino quasi buio.
SCENA PRIMA.
ROSARIA e il SIGNOR TOTO'.
Al levarsi della tela la stanza Š in disordine.
Parecchie seggiole
in
mezzo alia scena,
le une sulle altre, capovolte; le poltrone fuori
posto,
Entra dalla comune Rosaria con la cuffia in capo
di
eccetera.
e
ancora i diavolini attorti tra i capelli ritinti d'una quasi
rosea
orribile manteca. Ha l'aspetto e l'aria stupida e petulante
d'una
vecchia gallina. La segue il signor Tot• col cappello in capo,
collo
torto da prete, aspetto e aria da volpe contrita. Si stropiccia
di
continuo le mani sotto il mento, quasi per lavarsele alla
fontana
della sua dolciastra grazia melensa).
ROSARIA: Ma scusi, ma perch‚ vuole entrarmi in casa ogni mattina?
Non
vede che Š ancora in disordine?
TOTO': E che fa? Oh, per me, cara Rosaria...
ROSARIA (con scatto di stizza,
voltandosi, come volesse beccarlo):
Ma
come, che fa?
TOTO' (restando male, con un sorriso vano): Dico che io non ci
bado...
- Vi lascio la chiave, perch‚ la consegniate a mio fratello,
il
dottore, appena ritorna, poverino, dalla sua assistenza
notturna
all'ospedale.
ROSARIA: Va bene. Potrebbe darmela sulla porta, la chiave,
e
andarsene, senza entrare.
TOTO': Per me Š ormai una cara abitudine, questa...
ROSARIA: Ma dica un brutto vizio!
TOTO': Mi trattate male, Rosaria...
ROSARIA: Ho da fare! Ho da fare! E poi, secca, capir…! Io sono
ancora
cos•
(indica i diavolini ai capelli)
- e,
qua,
le seggiole,
vede?
a gambe all'aria.
La casa
quando
Š
onesta, ha anch'essa i suoi pudori; come la donna, quando Š onesta.
TOTO': Ah, lo credo, lo credo bene! e mi piace tanto sentirvi
dire
cos•...
ROSARIA: Gi…! lo crede, le piace, e intanto lo... lo violenta!
TOTO' (come inorridito): Io?
ROSARIA: Sissignore! Il pudore della casa!
(Cos• dicendo,
rimette sui quattro
piedi
le
seggiole
capovolte
e
abbassa con grottesca pudicizia la fodera di tela che le ricopre,
come
se nascondesse le gambe a una sua figliuola).
Dio sa quanto ci bado, io, con un padrone che...
(Fa con la mano un gesto di rammarico, indicando l'uscio a destra).
- farebbe prendere la fuga anche... anche alle seggiole,
sissignore,
per non stare a sentirlo, cos• sempre sulle furie... Io, se
fossi
seggiola di questa casa, vorrei essere... guardi, piuttosto
seggiola
d'uno di quelli che vendono cerotti per le strade, che vi
montano
sopra.
(Di nuovo, alzando una mano verso l'uscio a destra:)
- Sgarbato! Le afferra cos•
(afferra la seggiola per la spalliera)
- quand'Š arrabbiato - le scrolla, le pesta, le scaraventa anche...
TOTO': Voi le volete bene, come se fossero vostre figliuole...
ROSARIA: Le vorrei tener linde come sposine! M'affeziono, io!
TOTO': Ah, avere una casa!
ROSARIA: E come? Non ce l'ha, lei, la casa, di l…? Dica che non
vuol
tenere una donna di servizio.
TOTO': Ma casa, oh, casa, io intendo famiglia, mia buona Rosaria...
ROSARIA, E lei prenda moglie, allora! O una governante
affezionata!
Sarebbe un bene anche per suo fratello il dottore.
TOTO' (subito, con orrore): Eh... lui, se mai, mio fratello! E
vi
giuro che ne sarei tanto contento. Ma non la prende. Non la
prende,
perch‚ ci sono io.
ROSARIA: E che pu• fargli da moglie, lei, a suo fratello?
TOTO': No! Ma perch‚ bado io a tutto, capite? E cos• egli non ne
sente
nessun bisogno. Pi— tardi, rientrer… dalla sua assistenza
notturna;
verr… qui a domandarvi la chiave, e trover… di l… tutto in
ordine,
rassettato, con tutti i suoi bisogni prevenuti.
ROSARIA: Ah, Š comodo per lui.
TOTO': Lo faccio con tutto il cuore, credetemi. Per me, mio fratello
Š
tutto! La casa Š per lui, non Š per me.
ROSARIA: Gi…, perch‚ lei se ne sta tutto il giorno in farmacia...
TOTO': No, non per questo. Anche lui, poverino, allora, Š tutto
il
giorno in giro per le sue visite... La casa, cara Rosaria, credete
a
me, non Š mai quella che ci facciamo noi e che ci costa tanti
pensieri
e tante cure. La vera casa, quella di cui sentiamo il sapore quando
si
dice casa... un sapore che nel ricordo Š cos• dolce e cos•
angoscioso,
la vera casa Š quella che altri fece per noi, voglio dire
nostro
padre, nostra madre, coi loro pensieri, e le loro cure. E anche
per
loro, per nostro padre e nostra madre, la casa, la vera casa per
loro
qual era? Ma quella dei loro genitori, non gi… quella ch'essi
fecero
per noi... E' sempre cos•... Oh, ma ecco qua Paolino.
SCENA SECONDA.
PAOLINO e DETTI.
(Il signor Paolino entrer… precipitosamente dall'uscio a destra. E'
un
uomo
sulla
trentina,
vivacissimo,
ma di una vivacit… nervosa,
che
nasce da insofferenza. Tutte le passioni, tutti i moti
dell'animo
traspaiono in lui con una evidenza che avventa. Subitanei scatti
e
cangiamenti di tono e d'umore. Non ammette repliche e taglia corto).
PAOLINO (al signor Tot•): Carissimo...
(E subito, rivolgendosi a Rosaria:)
Non gli avete dato ancora il caffŠ? Ma dateglielo, per Dio santo!
Con
quante chiacchiere volete che ve la paghi,
ogni mattina, una tazza
di
caffŠ?
TOTO': Oh! Dio, no, Paolino! non Š per questo!
PAOLINO: Tot•, fammi il piacere: non essere
ipocrita,
oltre
che
spilorcio!
TOTO': Ma io parlavo...
PAOLINO (attaccando subito): Della casa, mezz'ora che parli
della
casa; t'ho sentito di l…: della poesia della casa.
TOTO': Ma la sento davvero!
PAOLINO: Non dico di no. Ma te ne servi per vestire davanti a
te
stesso, con decenza, la tua spilorceria.
TOTO': No...
PAOLINO: E' cos come ti sto dicendo io! Tant'Š vero che,
appena
Rosaria t'avr… dato il caffŠ, te n'andrai stropicciandoti le mani
gi—
per le scale, tutto contento della tazzina di caffŠ che vieni
a
scroccarmi ogni mattina con codeste chiacchieratine poetiche.
TOTO': Ah, se credi cos•...
(Mortificato, fa per andarsene).
PAOLINO (subito, acchiappandolo per un braccio): Che? Tu ora il
caffŠ,
perdio, te lo devi prendere! Io credo cos, perch‚ Š vero cos!
TOTO': Ma no...
PAOLINO: Ma s! E appunto perch‚ Š vero cos, ti devi prendere
il
caffŠ!
TOTO': Non me lo prendo, no!
PAOLINO (seguitando con foga crescente): Due caffŠ, tre caffŠ!
Perch‚
tu ora te lo sei guadagnato con lo sfogo che m'hai offerto,
capisci?
Quando una cosa mi resta qua,
(indica la bocca dello stomaco)
caro mio sono rovinato!
Te l'ho detta,
pago. Un caffŠ al giorno
puoi
contarci! V…ttene!
(Lo spinge fuori come se fosse un affare concluso;
signor
Tot• accenna di voltarsi, incalza:)
e poich‚ il
No, v…ttene, v…ttene senza ringraziarmi!
TOTO': No, non ti ringrazio! Ma sarei pi— contento,
se tu me
lo
facessi...
PAOLINO (con scatto iroso): Pagare?
TOTO' (umile come sempre): A fin di mese,
per come te n'ho
fatto
la
proposta!
PAOLINO: E che sono io, caffettiere? che Š, un caffŠ, la mia casa?
TOTO': No: Š che io di l…, vedi, non ho chi me lo faccia. Tu hai
qua
la tua governante. Non fai mica il caffŠ per me, per venderlo.
Lo
fai
per te. Ne fai una tazzina di pi—, e io te la pago.
PAOLINO: Eh gi…! Prendo moglie. Non la prendo mica per te,
per
vendertela. La prendo per me. Ma te la cedo, ecco, per soli
cinque
minuti, ogni giorno. Va bene? Che cosa sono cinque minuti?
TOTO' (sorridendo): No, che c'entra! La moglie...
PAOLINO (subito): E la governante?
TOTO' (non comprendendo): Come?
PAOLINO (gridando): Ma il caffŠ non si fa mica da solo! Ci vuole
la
governante per fare il caffŠ. Animale, o perch‚ credi che un
operajo
sia pi— ricco d'un professore? Perch‚ un operajo, se vuole, pu•
farsi
tutto da s‚, mentre un professore no: ha bisogno di tenere
la
governante, il professore!
ROSARIA (interloquendo, melliflua e persuasiva): Che lo serva, lo
curi
e faccia di tutto per dargli quelle comodit…...
PAOLINO (comprendendo il fiele di quel miele, per troncare):
Lasciamo
andare! lasciamo andare!
ROSARIA (risentita e con sottintesi di riprovazione): Ma dico,
perch‚
fuor di casa non abbia poi a mostrarsi disordinato o distratto.
PAOLINO: Grazie tante!
(Al signor Tot•:)
La stai a sentire? E io, s•, di questa bella fortuna
d'esser
professore debbo piangere le conseguenze, e tu farmacista, no? Va'
al diavolo! - Ohi, Rosaria: per oggi, glielo darete, il caffŠ;
da
domani in poi - pi— niente!
TOTO': Scusa, m'hai dato anche dell'animale...
PAOLINO: Ah gi…! Glielo darete allora anche domani! Ma
v…ttene!
Vorresti che ti caricassi d'insulti, per avere una tazza di caffŠ
per
ogni insulto che ti faccio?
TOTO': No, no, me ne vado... Grazie, Paolino...
(Via con Rosaria per l'uscio di sinistra).
SCENA TERZA.
PAOLINO, poi GIGLIO e BELLI.
PAOLINO: Dio, che gente! Dio, che gente!... Ma com'Š? Tutti cos•?
GIGLIO (dall'interno): Permesso, signor professore?
PAOLINO: Uh, ecco gi… la prima lezione. Avanti!
(Entrano coi libri sotto braccio,
e con le sciarpe di lana al collo
uno,
rossa;
l'altro,
turchina - Giglio e Belli.
Hanno anch'essi
un
aspetto bestiale che consola: Giglio,
da
capro
nero,
e
Belli,
da
scimmione con gli occhiali).
GIGLIO: Buon giorno, signor professore.
BELLI: Buon giorno, signor professore.
PAOLINO: Buon giorno. Sedete.
(Indica la scrivania).
GIGLIO (sedendo): Grazie, signor professore.
BELLI (sedendo): Grazie, signor professore.
PAOLINO (sedendo anche lui e rifacendo loro il verso,
all'uno
poi all'altro, accennando un inchino): Non c'Š di che,
Giglio!
prima
caro
Non c'Š di che, caro Belli!
(Li guarda e sbuffa esasperatamente).
Ahhh!
(Prendendosi la testa tra le mani:)
Dio mio!
Dio mio!
Dio!
Dio! Dio! Io veramente credo che la vita
fra
gli uomini, tra poco, non mi sar… pi— possibile!
GIGLIO: Perch‚, signor professore?
BELLI: Dice per noi, signor professore?
PAOLINO (tornando a guardarli con ira contenuta): Ma quant'anni
avete?
GIGLIO: Diciotto, signor professore!
BELLI: Diciassette, signor professore!
PAOLINO (tentennando il capo in contemplazione del loro
aspetto
bestiale): E gi… cos• uomini tutti e due! Dite un po': come si dice
in
greco commediante?
GIGLIO: In greco?
PAOLINO: No: in arabo! Lei non lo sa!
(A Belli:)
E lei?
BELLI: Commediante? Non ricordo.
PAOLINO: Ah, lei non ricorda? Perch‚ vuol dire che prima lo sapeva,
Š
vero? e ora non lo ricorda pi—!
BELLI: Nossignore: non l'ho mai saputo.
PAOLINO: Ah, cos• si dice!
(Sillabando:)
Non-lo-so! - Ve l'insegno io: - Commediante, in greco, si
dice:
upocritŠs - E perch‚ upocritŠs?
A lei: che cosa fanno i commedianti?
BELLI: Mah... rŠcitano, mi pare.
PAOLINO: Le pare? Non ne Š sicuro? E perch‚ rŠcitano, si
chiamano
"ipocriti"? Le pare giusto chiamare ipocrita uno che recita
per
professione? Se recita, fa il suo dovere! Non pu• chiamarlo
ipocrita!
- Chi chiama cos• lei, invece, cioŠ con questo nome che i greci
davano
ai commedianti?
GIGLIO (come se tutt'a un tratto gli si facesse lume): Ah, uno
che
finge, signor professore!
PAOLINO: Ecco. Uno che finge, come un commediante appunto, che
finge
una parte, poniamo di re, mentre Š un povero straccione; o
un'altra
parte qualsiasi.
Che c'Š di male in questo?
Niente.
Dovere!
professione! - Quand'Š il male, invece? Quando non si Š pi—
cos•
ipocriti per dovere, per professione sulla scena; ma per gusto,
per
tornaconto, per malvagit…, per abitudine, nella vita - o anche
per
civilt… - sicuro! perch‚ civile, esser civile, vuol dire
proprio
questo: - dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi;
in
corpo fiele; in bocca miele. O quando si entra qua e si dice: Buon
giorno, signor professore, invece di: - Vada al diavolo,
signor
professore!
GIGLIO (balzando): Ma come! scusi! per questo?
BELLI (come sopra): Dovremmo dirle: - ®Vada al diavolo¯?
PAOLINO: L'avrei pi— caro, l'avrei pi— caro, v'assicuro! - O
almeno,
santo Dio, non dirmi nulla, ecco!
GIGLIO: Gi…! E lei allora direbbe: - Che maleducati!
PAOLINO: Giustissimo! Perch‚ la civilt… vuole che si auguri il
buon
giorno a uno che volentieri si manderebbe al diavolo; ed essere
bene
educati vuol dire appunto
esser
commedianti.
"Quod
erat
demonstrandum" - Basta. Storia oggi, Š vero?
BELLI (risentito): Ma no, scusi, professore...
PAOLINO: Basta v'ho detto! - Chiusa la digressione. Questa
civilt…,
figlioli miei, questa civilt… mi sta finendo lo stomaco! Chiusa,
chiusa la digressione. - Storia. - A lei, Giglio.
(Si sente picchiare alla porta).
Chi Š? - Avanti!
SCENA QUARTA.
DETTI e ROSARIA.
ROSARIA (entrando per la comune e chiamando a s‚ il signor Paolino
con
un comico gesto della mano): Qua un momentino, signor professore!
PAOLINO: Che volete? Sto a far lezione; e sapete bene che quando sto
a
far lezione...
ROSARIA: Lo so,
benedetto Iddio,
lo so!
Ma appunto perch‚ lo so,
se
sono entrata,
mi scusi,
Š segno che debbo
dirle
qualche
cosa
che
preme.
PAOLINO (agli scolari): Abbiate pazienza un momento.
(Appressandosi a Rosaria:)
Cosa che preme?
ROSARIA: E' venuta una signora,
con un ragazzo,
che - dice - lei
la
conosce bene.
PAOLINO: La mamma di qualche allievo?
ROSARIA (sospettosa): Non so. - Sar…! - Ma Š agitatissima...
PAOLINO: Agitatissima?
ROSARIA: Sissignore. E, chiedendo di lei, si Š fatta bianca,
rossa...
di cento colori.
PAOLINO: Ma chi Š? il nome! V'ho detto mille volte di domandare
il
nome a chi viene a cercar di me!
ROSARIA: E l'ho fatto! Me l'ha detto. Si chiama... - aspetti... la
signora... la signora Pe...
PAOLINO (con un balzo, quasi atterrito, in vivissima
agitazione):
Perella? - La signora Perella, qua? - Oh Dio! E che sar…
avvenuto?...
Aspettate... aspettate... - Ditele che attenda un po'.
ROSARIA: Ah, la conosce dunque davvero?
PAOLINO (facendole gli occhiacci): Non mi seccate! Ditele che
attenda
un po'.
ROSARIA: Va bene... va bene...
(Esce).
PAOLINO (cercando
di
dominare
l'agitazione
e
riaccostandosi
alla
scrivania): Ragazzi, non... non perdiamo tempo. - Guardate:
invece
della storia e della geografia, mi... mi farete anche oggi
una
versioncina...
GIGLIO e BELLI (protestando): Ma no, scusi, professore!
PAOLINO: Dall'italiano al latino!
GIGLIO e BELLI: No, professore, per carit…!
PAOLINO: Facile facile.
GIGLIO: L'abbiamo fatto jeri!
BELLI: Sempre latino! sempre latino!
PAOLINO: E' il vostro debole!
GIGLIO Ma non ne possiamo pi—!
PAOLINO (severo): Basta cos•!
BELLI: Non abbiamo neanche i dizionari.
PAOLINO: Ve li dar• io!
(Li cava in fretta dallo scaffale).
Eccoli qua! - A voi!
GIGLIO: Ma professore...
PAOLINO: Basta cos•, ho detto!
"Prende dalla scrivania un libro e comincia a sfogliarlo).
Tradurrete... tradurrete...
(Cercando, si distrae e comincia a parlare tra s‚).
Qua?... Cos• per tempo?... E quando mai?... Che...
(S'accorge che i due scolari guardano curvi, e intenti nel
libro
ch'egli tiene aperto in mano, come se vi cercassero le parole da
lui
proferite, e si riprende).
Che cercate?
GIGLIO: Eh... la traduzione...
BELLI: Quello che lei leggeva...
PAOLINO: Io non leggevo un corno! - Tradurrete - ecco - qua...
questo
passo qua... breve breve. - Oh! Mi farete il piacere...
(Va ad aprire l'uscio dello sgabuzzino in fondo e li attira a
col
gesto delle mani).
qua, venite qua... - di mettervi qua, in questo camerino...
abbiate
pazienza!
BELLI (con orrore): L…?
GIGLIO (come sopra): Professore, ma non ci si vede!
PAOLINO: Abbiate pazienza, per un momentino! Andiamo!
(Li spinge dentro).
Traducete ciascuno per suo conto, mi raccomando! Al lavoro, al
lavoro.
Non perdiamo tempo!
(Richiude l'uscio e corre alla comune per invitare la signora
Perella
a entrare).
s‚
Signora, venga... venga avanti...
SCENA QUINTA.
Il signor PAOLINO,
la SIGNORA PERELLA e NONO', poi, dietro l'uscio
in
fondo, GIGLIO e BELLI.
(Entra per l'uscio a sinistra la signora Perella con Non•. La
signora
Perella sar… la virt—, la modestia, la pudicizia in persona; il
che
disgraziatamente non toglie ch'ella sia incinta da due mesi per
quanto ancora non paia - del signor Paolino, professore privato
di
Non•. Ora viene a confermare all'amante il dubbio divenuto pur
troppo
certezza. La pudicizia e la presenza di Non• le impediscono
di
confermarlo apertamente; ma lo lascia intendere con gli occhi e
anche
- senza volerlo - con l'aprir di tanto in tanto la bocca, per
certi
vani conati di vomizione, da cui, nell'esagitazione, Š assalita.
Si
porta allora il fazzoletto alla bocca, e con la stessa compunzione
con
cui vi verserebbe delle lagrime, vi verser… invece di
nascosto
un'abbondante e sintomatica salivazione. La signora Perella Š
molto
afflitta, perch‚ certo per le sue tante virt— e per la sua
esemplare
pudicizia non si meriterebbe questo dalla sorte. Tiene
costantemente
gli occhi bassi, non li alza se non di sfuggita per esprimere
al
signor Paolino, di nascosto da Non•, la sua angoscia e il
suo
martirio. Veste, s'intende, con goffaggine, perch‚ la moda ha per
sua
natura l'ufficio di render goffa la virt—, e la signora Perella Š
pur
costretta ad andar vestita secondo la moda, e Dio sa quanto ne
soffre.
Parla con querula voce, quasi lontana, come se realmente non
parlasse
lei, ma il burattinaio invisibile che la fa muovere,
imitando
malamente e goffamente una voce di donna malinconica. Se non che,
ogni
tanto, urtata o punta sul vivo, se ne dimentica, e ha scatti di
voce,
toni e modi naturalissimi. Non• ha un bellissimo aspetto di
simpatico
gatto, con un magnifico cravattone rosso a farfalla e un
collettone
rotondo inamidato.
Non sarebbe male che impugnasse con
molta
convinzione un bastoncino di quelli per ragazzi con testina di
cane.
Ride spesso, e pi— spesso ancora tira sorsi col naso per
risparmiare
il fazzoletto che gli fa bella comparsa sporgendo dalla tasca
della
giacca, ben ripiegato e intatto).
PAOLINO (subito, scambiando uno sguardo d'intelligenza con la
signora
e smorendo alla vista di lei che con gli occhi gli fa cenno di
badare
alla presenza di Non•): S•? Ah Dio... s•?
(Volgendosi a Non•, per rispondere al cenno della signora:)
Caro Non•.
NONO': Buon giorno!
PAOLINO: Buon giorno! Bravo, il mio Non•... S'accomodi, signora...
(Piano, porgendole da sedere:)
Non c'Š pi— dubbio? proprio certo?
(A un nuovo e pi— pressante cenno degli occhi della signora
voltandosi
verso Non•.)
Eh, sei venuto a trovare il tuo professore, Nonotto bello?
NONO' (fa cenno di no col dito, prima di parlare, con un verso che
gli
Š abituale): Siamo andati a Santa Lucia, allo Scalo.
PAOLINO: Ah si? A veder le barchette?
NONO' (come sopra): A domandare a che ora arriva pap… col ®Segesta¯.
(Poi,
con un sorriso da scemo,
guardando e indicando
a
Paolino
la
madre che, appena seduta, apre la bocca come un pesce:)
Ma ecco che mamm… apre di nuovo la bocca!
PAOLINO (rivoltandosi di scatto): Chi? come? la bocca? Spaventato
alla
vista della bocca aperta della signora: Oh Dio! che Š?... che Š?...
(E accorre a lei,
che,
alzandosi col fazzoletto alla bocca,
si
reca in fondo alla scena, presso l'uscio dello sgabuzzino).
ora,
SIGNORA PERELLA (appoggiandosi
sfinita
a
uno
degli
scaffali,
col
fazzoletto
sempre
alla
bocca e facendo cenni disperati a Paolino
di
non accostarsi e di badare per amor di Dio a Non•): Per carit…...
per
carit…...
NONO' (a
Paolino
che
si
volge
a lui come basito,
placidamente
e
sorridente): Da tre giorni apre la bocca cos•!
PAOLINO: Ah, ma non Š niente sai, caro Non•...
Niente!
La...
la
mamma... la mamma sbadiglia - ecco. - Cos•... - sbadiglia.
NONO' (facendo prima il solito verso col dito, e poi con lo
stesso
dito, accennando allo stomaco): E' cosa che le viene di qua.
PAOLINO (con un grido): No! Benedetto figliuolo, che dici?
NONO': Ma s•, s•, debolezza di stomaco. L'ha detto lei!
PAOLINO (rifiatando): Ahhh - gi…... - ecco, s• - debolezza, va
bene.
Un po' di debolezza di stomaco, Non•! Nient'altro!
SIGNORA PERELLA (gemendo dal fondo della scena): Ah! per carit…...
NONO': E ora sputa dentro il fazzoletto, guarda! tanto tanto!
SIGNORA PERELLA: Per carit…...
PAOLINO: Ma Non•! insomma? Sei impazzito? Sono cose che si
dicono,
queste?
NONO': Perch‚ no?
SIGNORA PERELLA (lamentosa, senza forza di parlare): Le dice...
le
dice anche davanti alla persona di servizio...
NONO': E che male c'Š?
PAOLINO: Nessun male, no! Ma scusa, ti pare buona educazione,
davanti
a una persona di servizio?
SIGNORA PERELLA (come sopra): E al padre! Subito lo dir… al
padre,
appena lo vedr… arrivare!
(A Paolino, con terrore, piano:)
Arriva oggi! Arriva oggi!
PAOLINO (restando allibito): Oggi?
NONO' (festante, battendo le mani): Oggi, s•.
(Subito accorrendo alla madre, con petulanza:)
Oh, mi mandi, mi mandi col marinajo a bordo?
PAOLINO: Ma Non•! Scostati.
NONO' (per rassicurarlo): Non Š niente! Ora le passa.
(Alla madre:)
Mi mandi a bordo, mamm…? S, s! Mi piace tanto quando pap… dal
ponte
comanda la manovra d'attracco, col berretto da capitano e il
cappotto
di tela cerata! Mi mandi, mamm…?
SIGNORA PERELLA: Ti mando, si... ti mando...
(A Paolino, indicando Non•:)
Mi fa morire...
PAOLINO: Ah, Non•, ti perdo tutta la stima, sai? Non vedi che
mamma
soffre?
NONO': Mi fa tanto ridere, quando apre la bocca cos•,
(Eseguisce:)
come un pesce...
PAOLINO: Bravo! La mamma soffre, e tu ridi! Bravo!
E lo dirai anche
a
pap…, che la mamma apre la bocca come un pesce,
anche
lui, Š vero?
perch‚ ne rida
(Va alla scrivania e ne prende un grosso libro illustrato).
Guarda: ti volevo regalar questo, oggi!
NONO': E' ®La vita degli insetti...¯ Oh bello! S•! S•!
PAOLINO: No, caro! Tu sei cattivo, e non te lo dar• pi—.
(A questo
punto
si
sente
picchiare
forte
all'uscio
in
fondo
e
contemporaneamente:)
Le voci di GIGLIO e BELLI: Professore! Professore!
SIGNORA PERELLA (ancora presso l'uscio, balzando e correndo
avanti,
atterrita): Oh Dio!... Chi Š?
PAOLINO: Ma sono quegli animali! Niente, signora, due scolari...
non
tema!
NONO': Oh bella! Nascosti l…?
PAOLINO
(recandosi
all'uscio
in
fondo,
aprendolo
appena
e
introducendovi il capo): Che diavolo volete?
NONO' (accostandosi curioso per vedere tra le gambe di Paolino):
Li
tieni l• in castigo?
SIGNORA PERELLA (richiamandolo): Non•, qua!
La voce di GIGLIO: Un lume! una candela almeno, signor professore!
Non
ci si vede!
La voce di BELLI: Non riusciamo a decifrar le lettere nel dizionario!
PAOLINO: Sta bene! Silenzio! Vi porter• una candela!
(Richiude l'uscio).
NONO': E perch‚ li hai nascosti li dentro?
PAOLINO: Ma non li ho nascosti! Fanno una versione.
NONO' (spaventato): Al bujo?
PAOLINO: No, vedi? Vado a prender loro un lume.
(S'avvia).
NONO': Io intanto guardo il libro.
PAOLINO: Ah, no! non te lo do pi—... non te lo do!
(Esce
per la comune e,
poco dopo,
rientra con una candela accesa
in
mano. Nel frattempo,
i due scolari Giglio e Belli,
prima l'uno e
poi
l'altro, sporgono il capo dall'uscio in fondo a guardare con
sorrisi
maliziosi la signora Perella, che se ne spaventa, mortificata; e
poi
Non•, cacciando fuori la lingua.
NONO' (a Paolino che rientra): Han cacciato fuori la testa, sai?
SIGNORA PERELLA (tremante): M'hanno vista! m'hanno vista!
NONO': Prima l'uno e poi l'altro! E mi hanno fatto cos•!
(Caccia fuori la lingua).
PAOLINO: Ho dimenticato di chiudere a chiave! Pazienza signora!
(Si
reca
all'uscio
in
fondo,
lo
apre
di nuovo appena,
porge
la
candela).
Ecco qua la candela! Attendete alla traduzione!
(Richiude l'uscio a chiave. Poi, appressandosi a Non•:)
Dunque tu vorresti codesto libro?
NONO': Io, s•! L'hai comprato per me?
PAOLINO S•. E te lo do; ma a patto che tu prometti...
NONO': S•, s•...
(Guarda la madre che riapre la bocca.)
Ma, oh! - guarda. E' inutile! Io non lo dico, ma lei lo rif…!
PAOLINO: Ah Dio! ah Dio! Ma questo Š atroce!
(Volgendosi a Non•:)
Tu intanto, caro mio, non lo ridici pi—! Ho la tua promessa, bada!
Se
non mantieni, il libro, via! - Mettiti qua -
(Lo fa sedere su una seggiola con le spalle voltate verso la
madre,
gli colloca su un'altra davanti il libro:
ecco - cos• - e gu…rdatelo!
(S'appressa alla signora Perella,
fazzoletto
sulla bocca).
che combatte ancora col
E' atroce! Š atroce! E' d'una evidenza che grida, tutto questo!
SIGNORA PERELLA (lamentosa): Sono perduta... sono finita, non c'Š
pi—
rimedio per me... La morte sola...
PAOLINO: Ma no! che dici?
SIGNORA PERELLA: S•... s•.
PAOLINO: Se t'avvilisci cos•; fai peggio!
SIGNORA PERELLA: Ma tu capisci, che se mi viene di
farlo
davanti
a
lui...
PAOLINO: E tu non farlo!
SIGNORA PERELLA (con scatto di voce naturale): Come se dipendesse
da
me!... Mi viene.
(Rimettendosi a parlare come prima:)
Ed Š lo stesso segno, preciso, di quando fu di Non•.
PAOLINO: Anche allora? Ah! E lui lo sa?
SIGNORA PERELLA: Lo sa. E ne rideva, quando me lo vedeva fare,
come
ora ne ride Non•...
PAOLINO: Oh Dio! Ma allora se ne accorger…?
SIGNORA PERELLA: Sono perduta... sono finita...
PAOLINO: Ma non puoi sforzarti di non farlo, perdio?
SIGNORA
PERELLA
(con
voce
naturale):
Mi
viene
di
qua,
all'improvviso... Una specie di contrazione!
NONO' (accorrendo col libro in mano): Oh guarda,
mamma!
Bello!
Il
ragnetto che tesse la tela!
PAOLINO (con scatto d'ira,
ma
subito
frenandosi e passando a
una
comica esageratissima affettuosit…): Ma s•,
lascia
in
questo
momento... caro Nonotto bello: il ragnetto s•, che tesse la
tela...
gu…rdatelo da te! Ci sono tant'altre belle bestioline, sai?
tante!
tante! gu…rdatele da te; ch‚ poi mamm… se le guarder… anche lei
con
comodo, eh? Ragnetti, formichette, farfalline...
(Lo rimette a sedere come sopra).
Qua, qua... bonino! bonino!
(Si sente di nuovo picchiare all'uscio in fondo e contemporaneamente)
La voce di BELLI: Professore! Professore!
PAOLINO: Parola d'onore, io li uccido!
(Correndo all'uscio in fondo e aprendolo come sopra).
Che altro c'Š?
Non sapete star fermi un quarto d'ora ad
attendere
a
una versione, che farebbe un ragazzino di seconda ginnasiale?
BELLI (sporgendo il capo dall'uscio): Non solo, ma anche,
signor
professore.
PAOLINO: Che cosa, "ma anche"?
BELLI; Dice cos• qua.
(Mostra il libro).
Non solo ma anche. - Forma avversiva, Š vero?
PAOLINO: Avversativa? Come avversativa, asino! Non vede che
esprime
una coordinazione?
GIGLIO (facendosi avanti): Ecco! ecco, sissignore! gliel'ho detto
io,
signor professore! Crescente d'intensit… e di valore...
PAOLINO: Ma se lo sa anche quel ragazzino l….
(Indica Non•).
®Non solo, ma anche¯, a te, Non•! Come si traduce? "Non solo"...
NONO' (pronto, sorgendo in piedi, sull'attenti): "Non solum"!
PAOLINO: Benissimo! Oppure?
NONO': Oppure... "Non tantum"!
PAOLINO: Benissimo! Oppure?
GIGLIO: "Non modo", signor professore, "non modo", o "tant—mmodo"!
PAOLINO (ricacciandoli dentro lo sgabuzzino): Ma se lo sapete!
Andate
al diavolo tutt'e due!
(Richiude l'uscio).
SIGNORA PERELLA: Dio, che vergogna... Dio, che vergogna!
PAOLINO: Ma no! Perch‚? Non temere! Tu figuri qua la mamma
d'un
allievo... Ho interrogato Non• apposta! E' per quella
maledetta
Rosaria, piuttosto!
SIGNORA PERELLA: Come m'ha guardata! Come m'ha guardata!
PAOLINO: Hai fatto male a venire. Sarei venuto io prima di sera!
SIGNORA PERELLA: Ma il ®Segesta¯ arriva alle cinque! Avevo bisogno
di
prevenirti che non c'era pi— dubbio.
Lo vedi!
Non c'Š,
non c'Š
pi—
dubbio, purtroppo. Come far•?
PAOLINO: Sai quando ripartir…?
SIGNORA PERELLA: Domani stesso!
PAOLINO: Domani?
SIGNORA PERELLA: S, per il Levante! e star… fuori altri due mesi,
per
lo meno!
PAOLINO: Passer… dunque qui soltanto questa notte?
SIGNORA PERELLA: Ma far… come tutte le altre volte,
ne puoi
star
sicuro!
PAOLINO: No, perdio, no!
SIGNORA PERELLA: Ma come no? Lo sai!
PAOLINO: Non deve farlo!
SIGNORA PERELLA: E come? Come? Non
perduta,
Paolino. Sono perduta.
lo
sai,
com'Š?
Sono
(Si sente picchiare all'uscio a sinistra).
PAOLINO: Chi Š?
SCENA SESTA.
DETTI e ROSARIA.
ROSARIA (aprendo l'uscio): Prendo, se permette, la chiave lasciata
dal
signor
Tot•
per
suo
fratello il dottore.
L'ho dimenticata qua
sul
tavolino.
(S'avvia per prenderla).
PAOLINO (a cui Š balenata un'idea): Il dottore? Aspettate!
E di l…
il
dottore?
ROSARIA Vuole la chiave.
PAOLINO (levandole la chiave dalle mani): Datela a me.
Ditegli
che
aspetti un momentino, perch‚ ho da parlargli.
ROSARIA: Ma casca dal sonno, sa? Ha vegliato tutta la notte.
PAOLINO: Vi ho ordinato di dirgli che aspetti un momento.
ROSARIA: Ecco: sar… obbedito...
(Esce).
SIGNORA PERELLA (spaventata): Oh Dio, che vuoi fare? Che vuoi fare
col
dottore, Paolino?
PAOLINO: Non lo so. Gli parler•. Gli domander• ajuto, consiglio.
SIGNORA PERELLA: Che ajuto? Per me?
PAOLINO: S•! Lasciami fare, lasciami tentare...
SIGNORA PERELLA: No, no, Paolino! Che vuoi dirgli? Per carit…!
PAOLINO Ma bisogna ch'io t'ajuti!
SIGNORA PERELLA: Mi comprometti!
PAOLINO: Vuoi morire?
SIGNORA PERELLA: Ah, piuttosto morire! E non questa vergogna!
PAOLINO: Tu sei pazza! Ci sono qua io! Lascia fare a me.
SIGNORA PERELLA: Che cosa?
PAOLINO: Non lo so, ti dico! Qualche cosa! Il dottore Š amico
mio,
intimo,
da fratello.
Lasciami parlare con lui.
Tu vattene!
Verr•
a
casa prima dell'arrivo del ®Segesta¯. Sar• a tavola con voi!
(Andando verso Non• che seguita a guardare il libro:)
Su, Non•. P•rtati via codesto libro e vai con la mamma,
tardi
io verr• a scriverti qua
ch‚ pi—
(Indica il frontespizio del libro).
una bella dedica: ®Al caro Nonotto in premio dei suoi progressi
nello
studio del latino¯. Va bene?
NONO': S, s... E' tanto bello, sai? anche com'Š scritto!
PAOLINO: Dammi un bacio.
SIGNORA PERELLA: E ringrazia il signor professore, Non•...
NONO' (solito gesto col dito, poi): Non ce n'Š bisogno.
SIGNORA PERELLA: Come non ce n'Š bisogno?
NONO': Ma l'ha detto lui.
(A Paolino).
E' vero?
PAOLINO: Verissimo, verissimo! Vai, vai, Non•.
NONO': Vieni anche a tavola con noi?
PAOLINO: S e ti porter• le pasterelle che ti piacciono.
NONO': S•, s•... Addio! Presto, eh?
PAOLINO: A rivederla tra poco, signora.
(Piano:)
Coraggio! coraggio!
SIGNORA PERELLA: A rivederla!
(Esce per la comune con Non•,
La
scena resta vuota un momento).
SCENA SETTIMA.
accompagnata
dal
signor
Paolino.
PAOLINO, il DOTTOR PULEJO poi GIGLIO e BELLI.
PAOLINO (dando passo al dottor Pulejo): Entra, entra, dottore...
(Lo fa entrare; entra anche lui).
E siedi l•.
(Gl'indica una poltrona).
PULEJO (bell'uomo, sui trent'anni, biondo, con gli occhiali):
Seggo?
Ah no davvero! Ho bisogno d'andare a dormire, io, caro mio!
PAOLINO: E io ti dico, invece, che te ne puoi scordare per oggi!
PULEJO: Che?
PAOLINO: Ho da parlarti d'una cosa gravissima!
PULEJO: E vuoi che non vada a dormire? Tu sei matto!
PAOLINO: Sei medico, s• o no?
PULEJO: Ah. Hai forse bisogno della mia professione?
PAOLINO: S•, subito!
PULEJO: E va bene: parla.
PAOLINO Parlo.... gi…! parlo... Ti dico che si tratta d'una
cosa
gravissima, e vuoi che ti parli cos•, su due piedi, mentre mi dici
che
hai sonno e che vuoi andare a dormire?
PULEJO: Ma se ho sonno, scusa, c'Š poco da dire: ho sonno! Ho
diritto
anch'io di dormire, dopo una notte di guardia, mi pare!
PAOLINO: Ti faccio portare un caffŠ! due caffŠ!
PULEJO: Ma che caffŠ! Parla piuttosto!
PAOLINO: Oh, sai che faccio? M'arrampico, l… su quello scaffale;
mi
butto gi—; mi fratturo una gamba, e ti costringo a starmi attorno
per
una mezza giornata!
PULEJO: Bravissimo! Mi costringerai a curarti la gamba; ma
non
parlerai.
PAOLINO: S, si, che parler•, perdio!
PULEJO: Parlerai; ma io non ti darei ascolto, perch‚ dovrei curarti
la
gamba.
PAOLINO: Ma non andrai a dormire!
PULEJO: E che ci guadagnerai, scusa? Io perder• il sonno; tu
ti
fratturerai la gamba; e mezza giornata andr… perduta. Se invece
mi
lasci riposare un pajo d'ore...
PAOLINO: Non posso! non posso! Non c'Š tempo da perdere! Mi devi
dare
ajuto subito!
PULEJO: Ma che ajuto? Di che si tratta insomma?
PAOLINO: Della mia vita,
Nino!
della mia vita,
perch‚ - se
tu
non
m'ajuti
-
sono
un uomo finito,
io: morto: da sotterrare!
e non
io
solo! Š in giuoco la vita di quattro persone... no, no, di
cinque
anzi; s•, quasi di cinque! Perch‚ io, al punto in cui mi trovo,
posso
fare anche una carneficina!
PULEJO: Nientemeno!
PAOLINO: S•, s•, te lo giuro! Nasce un macello te lo giuro!
PULEJO: Ma insomma, che cos'Š? che t'Š accaduto?
PAOLINO: Devi darmi un rimedio, subito, in mattinata!
PULEJO: Rimedio! Che rimedio?
PAOLINO: Non lo so! Lasciami dire...
PULEJO: Se dipende da me...
PAOLINO: S•, un rimedio che forse tu solamente mi puoi suggerire.
PULEJO: Ebbene, sentiamo.
PAOLINO: M'ascolti bene?
PULEJO: Ma s•, perdio! Parla!
PAOLINO: Come a un fratello, bada! Ti parlo come a un fratello.
Anzi,
no! il medico Š come il confessore, non Š vero?
PULEJO: Certo. Abbiamo anche noi il segreto professionale.
PAOLINO: Ah, benissimo. Ti parlo allora anche sotto il sigillo
della
confessione. Come a un fratello e come a un sacerdote.
(Si posa una mano sullo stomaco,
d'intelligenza,
aggiunge, solennemente:)
e con
uno
sguardo
Tomba, oh!
PULEJO (ridendo): Tomba, tomba, va bene! Avanti!
PAOLINO: Nino!
(Sbarra
tanto
d'occhi,
stende
una
mano
e congiunge l'indice e
il
pollice quasi per pesare le parole che sta per dire:)
Perella ha due case.
PULEJO (stordito): Perella? E chi Š Perella?
PAOLINO (prorompendo): Perella il capitano, perdio!
(Poi, piano, ricordandosi che di l… ci sono i due scolari:)
Perella della
Navigazione
Generale!
capitano
di
lungo
corso!
Il
comandante del ®Segesta¯!
PULEJO: Va bene, s•. Ho capito. Il capitano Perella. Non lo conosco.
PAOLINO: Ah, non lo conosci? Tanto meglio! Ma tomba lo stesso, oh!
(Con la stessa aria cupa e grave ripiglia:)
Due case. Una qua, una a Napoli.
PULEJO: Fortunato. Due case. E poi?
PAOLINO (lo squadra; poi scomponendosi
tutto
nella rabbia che
lo
divora): Ah, ti par niente? Un uomo ammogliato,
e con un figlio,
che
approfitta
vigliaccamente
del
suo
mestiere
di
marinajo
e
si
fa
un'altra casa in un altro paese, con un'altra donna, ti par niente?
Ma
sono cose turche, perdio!
PULEJO: Turchissime, chi ti dice di no? Ma a te, che te n'importa?
Che
c'entri tu?
PAOLINO: Ah, che me n'importa a me, tu dici?
PULEJO: Che Š tua parente, la moglie di Perella?
(Si sente picchiare ancora, forte, all'uscio in fondo.)
Le voci di GIGLIO e BELLI: Professore! Professore!
PAOLINO (scattando): Ancora! Io faccio davvero uno sproposito, oggi!
(Senza alzarsi, urla verso l'uscio in fondo:)
Che altro avete?
La voce di BELLI: Abbiamo finito, professore!
La voce di GIGLIO: Apra! Qua si soffoca! Apra!
PAOLINO: Ancora un momento! Non Š possibile che abbiate finito!
La voce di BELLI: Ma se abbiamo finito, scusi!
La voce di GIGLIO: Non respiriamo pi—, qua dentro! Apra!
PAOLINO: Non apro un corno! Correggete, e statevi zitti! L'ora non
Š
finita.
(Al dottor Pulejo:)
Ah,
non deve importarmene,
tu dici,
perch‚ non Š mia parente?
E
se
fosse?
PULEJO: Ah, se Š una tua parente...
PAOLINO: No! E' una donna povera che soffre pene d'inferno! Una
donna
onesta, capisci? tradita in un modo infame, capisci? dal
proprio
marito! C'Š bisogno d'esser parente per sentirsene
rimescolare,
indignare, rivoltare?
PULEJO: Ma s... si... per• non vedo che ci possa fare io, scusa...
PAOLINO: Se non mi lasci finire, sfido! Mi piace, intanto, codesta
tua
impassibilit…, mentre io friggo. - Non vedi che friggo? Permetti?
Gli
afferra una mano e gliela stringe fino a farlo gridare.
PULEJO (ritirando la mano): Ahi! Oh, mi fai male! Sei matto?
PAOLINO: Ma per farti sentire com'Š quando si parla
degli
altri!
Li
guardi da fuori,
tu,
gli altri;
e non te n'interessi! Che cosa
sono
per te? Niente! Immagini che ti passano davanti, e basta!
Dentro,
dentro bisogna sentirli; immedesimarsi; provarne... ecco, cos•...
(indica la mano che il dottore si liscia ancora, movendo le dita).
una sofferenza, facendola tua!
PULEJO: Grazie tante, caro! Mi bastano le mie! Ognuno, le sue. Ma
sai
che sei buffo davvero?
(Ride guardandolo).
PAOLINO Esilarante, eh, lo so! Esilarantissimo. Lo so. La
vista
chiara, aperta, delle passioni - e siano anche le pi— tristi, le
pi—
angosciose - ha il potere, lo so, di promuovere le risa di
tutti!
Sfido! non le avete mai provate, o usi come siete a
mascherarle
(perch‚ siete tutti foderati di menzogna!), non le riconoscete pi—
in
un pover'uomo come me, che ha la sciagura di non saperle nascondere
e
dominare! SŠntimi! SŠntimi, perdio! Dentro di te, sŠntimi! Io soffro!
PULEJO: Ma di che soffri? Eccomi! Sono qua! Se non mi dici di
che
soffri! Mi parli della signora Perella...
PAOLINO: Ma appunto, s•, di lei!
PULEJO: Soffri della signora Perella?
PAOLINO: Si, Nino mio! Perch‚ tu non sai! tu non sai! Lasciami
dire.
Quel caro capitano Perella, quel carissimo capitano Perella, non
si
contenta, capisci? di tradire la moglie, d'avere un'altra casa,
a
Napoli, come ti dicevo, con un'altra donna. No! Ha tre o quattro
figli
l…, con quella, e uno qua, con la moglie. Non vuole averne altri!
PULEJO: Eh, cinque - mi pare che bastino!
PAOLINO: Ah cos• tu la pensi? Con la moglie ne ha uno, uno
solo!
Quelli di l… non sono legittimi; e se ne ha qualche altro l…
con
quella, pu• buttarlo via come niente, in un ospizio di
trovatelli,
capisci? Invece, qua, con la moglie, no! D'un figlio legittimo
non
potrebbe disfarsi, Š vero?
PULEJO: Naturalmente...
PAOLINO: E allora, brutto manigoldo, che ti combina? (Oh,
dura da
tre
anni,
sai, questa storia!) Ti combina che, nei giorni che sbarca
qui,
piglia il pi— piccolo pretesto per attaccar lite con la moglie,
e
la
notte si chiude a dormir solo. Le sbatte la porta in faccia,
capisci?
ci mette il paletto; il giorno appresso, se ne riparte, e chi
s'Š
visto s'Š visto! Da tre anni - cos•.
PULEJO (con una commiserazione da cui non riesce a staccare
un
sorriso): Oh povera signora... - la porta in faccia?
PAOLINO: In faccia... - e il paletto... - e il giorno dopo...
(Gesto della mano per significare che se la fila).
PULEJO: Povera signora, ma guarda!
PAOLINO: Ah, cos•... E non sai dirmi altro?
PULEJO: Che vuoi che ti dica? Non capisco ancora,
scusa che cosa
ci
possa fare io... Mi dispiace... mi duole...
PAOLINO: E basta? Se fosse tua sorella, se Perella fosse tuo cognato
e
tu sapessi che tratta la moglie cos•...
PULEJO: Ah, perdio! Lo piglierei per il collo!
PAOLINO: Lo vedi? Lo vedi? Per il collo lo piglieresti!
PULEJO: Sfido! Da fratello!
PAOLINO: E se questa povera signora, fratelli non ne ha?
e non
ha
nessuno?
nessuno,
dico,
che possa legittimamente prenderlo
per
il
collo, questo signor capitano Perella, e richiamarlo ai suoi doveri
di
marito,
si deve lasciar perire cos• una donna,
senza darle ajuto?
Ti
pare giusto? ti pare onesto?
PULEJO: Gi…... - ma tu?...
PAOLINO: Io, che cosa?
PULEJO: Scusa... - come le sai tu, prima di tutto, codeste cose?
PAOLINO: Come le so!... Le so... le so... perch‚... s•, da... da
un
anno io... do lezione di... latino al ragazzo, al figlio di
Perella,
che ha undici anni.
PULEJO (comprendendo): Ah... Era quella signora che Š uscita di
qua,
poco fa, con un ragazzo?
PAOLINO (subito, quasi saltandogli addosso): Tomba, oh!
Segreto
professionale!
PULEJO: Ma s•, diavolo! Non dubitare.
PAOLINO: Per carit…! La virt— in persona!
E tu non puoi sapere,
Nino
mio, non puoi sapere quanta piet… m'ha inspirato, per tutte le
lagrime
che ha pianto, quella povera signora! E che bont…! che nobilt…
di
sentimenti! che purezza! Ed Š pure bella! L'hai vista?
PULEJO: No... Col velo abbassato...
PAOLINO: E' bella! Fosse brutta, capirei. E' bella! Ancora giovane!
E
vedersi trattata cos•, tradita, disprezzata e lasciata in un
canto,
l…, come uno straccio inutile... Vorrei vedere chi avrebbe
saputo
resistere! chi non si sarebbe ribellata! E chi pu• condannarla?
(Quasi venendogli con le mani in faccia:)
Tu oseresti condannarla?
PULEJO: Io no!
PAOLINO Vorrei veder questa, che tu la condannassi!
PULEJO: Ma no! Se Š vero che il marito la tratta cos•...
PAOLINO: Cos•! Cos•! Non metterai in dubbio, spero, la mia parola!
PULEJO: Ma nient'affatto!
PAOLINO: E allora, amico mio, dammi subito una mano per
salvarla,
perch‚ questa donna si trova adesso come sospesa all'orlo
d'un
precipizio.
Ajutami, ajutami, prima che precipiti gi—!
Bisogna
salvarla!
PULEJO: Gi…... ma come?
PAOLINO: Come? E non intendi quale pu• essere il precipizio per
lei,
lasciata l• da tre anni dal marito? Si trova... si trova purtroppo...
PULEJO (lo guarda, crede di capire e non vorrebbe): Che...?
PAOLINO (esitante, ma in modo da non lasciar dubbio): S•... in
una...
in una terribile situazione... disperata...
PULEJO (irrigidendosi e guardandolo ora severamente e
freddamente):
Ah, no no, caro! Ah, non faccio di queste cose, io, sai? Non
voglio
mica aver da fare col Codice Penale, io!
PAOLINO (con uno scatto pieno di stupore e di sdegno):
Pezzo
d'imbecille! E che ti figuri adesso? che ti figuri che io voglia
da
te?
PULEJO: Come, che mi figuro! Sono medico... e se mi dici che
si
trova...
PAOLINO: Pezzo d'asino! E per chi m'hai preso? Ma quella Š una
donna
onesta! Quella, ti dico, Š la virt— fatta persona!
PULEJO: E via... lasciamo andare!
PAOLINO: No! Senza lasciare andare! E' cos• come ti dico!
PULEJO: Sar…! Ma scusa, non mi domandi...?
PAOLINO (incalzando): Che ti domando? Vuoi che ti domandi un
delitto?
Una immoralit… di questo genere, per lei e per me stesso? Mi credi
un
birbaccione capace di tanto? che chieda il tuo ajuto per... Oh! mi
fa
schifo, orrore, solo a pensarlo!
PULEJO (perdendo del tutto la pazienza): Ma insomma: mi dici che
corno
vuoi, allora, da me? - Io non-ti-ca-pi-sco!
PAOLINO (imperterrito): Quello che Š giusto, voglio! Voglio quello
che
Š onesto e morale! PULEJO: Che cosa?
PAOLINO (a gran voce): Che Perella sia un buon marito - voglio!
Che
non sbatta pi— la porta in faccia alla moglie, quando sbarca qui!
Questo voglio!
PULEJO: E lo vuoi da me, questo?
(Scoppia in una interminabile risata).
Ah!
ah!
ah!
ah! E che pre... e che pre... e che pretendi... ohi
ohi
ohi... ah... ah... ah... pre...
pretendi che costringa l'asino a
bere
per forza? ah! ah! ah!
PAOLINO (mentre il dottore seguita a ridere, guardandolo in
bocca):
Che ridi, che ridi, animalone? C'Š in vista una tragedia, e tu
ridi?
una donna minacciata nell'onore, nella vita, e tu ridi? E non ti
parlo
di me!
(Risolutamente, stringendo le braccia al dottore:)
Oh! Sai che avverr…?
(Truce).
Perella,
imbarcato
da
tre
mesi,
arriva
questa sera.
Passer…
qui
soltanto una notte. Questa notte.
Ripartir… domani per il Levante,
e
star… fuori, per lo meno, altri due mesi. Hai capito ora?
Bisogna
assolutamente approfittare di questo giorno ch'egli passa qui, o
tutto
Š perduto!
PULEJO (frenando a stento le risa): Va bene, va bene; ma... ma io...
PAOLINO: Non ridere! non ridere, o ti strozzo!
PULEJO: Non rido, no!
PAOLINO: O anche ridi, ridi, se vuoi, della mia disperazione; ma
dammi
ajuto, per carit…! Tu avrai un rimedio... - sei medico - tu avrai
un
mezzo...
PULEJO: Per impedire che il capitano prenda un pretesto
d'attaccar
lite questa sera con la moglie?
PAOLINO. Precisamente!
PULEJO: Per la morale, Š vero?
PAOLINO: Per salvare quella povera martire e me! Seguiti a scherzare?
PULEJO: No - mi interesso, vedi? - Ma se questo capitano... Scusa:
quant'anni ha?
PAOLINO: Non so. Una quarantina.
PULEJO: Ah, ancora in gamba?
PAOLINO: Un bestione!
PULEJO: M'hai detto che torna da un viaggio di tre mesi?
PAOLINO: Gi…, s; ma ha gi… toccato Napoli, capisci?
PULEJO: Ah... dove ha l'altra casa?
PAOLINO: Precisamente. - Manigoldo! - E fa sempre cos•!
PULEJO: Tocca prima Napoli?
PAOLINO: Napoli!
PULEJO: Bisogna che pensi allora questa sera - assolutamente - che
ha
una casa anche qui?
PAOLINO: Una moglie!
PULEJO: Che lo aspetta...
PAOLINO (avvertendo un sapor d'ironia nel tono del dottore
e
irritandosene): Ah, senti! Vorresti discutere?
PULEJO: No! no! Dio me ne guardi! - Il torto Š suo! - Ma
ecco...
c'Š... c'Š forse qualche... s, dir•... qualche cosa di pi—...
PAOLINO: No: nient'affatto! non c'Š altro che il suo torto, e
le
conseguenze di esso!
PULEJO: Gi…, ecco, s•... una conseguenza che forse avresti potuto...
PAOLINO (subito, interrompendo): Ma chi l'ha voluto? - N‚ io, n‚
lei!
- Questo Š positivo! - Ora, scusa: chi Š imputabile? L'intenzione,
Š
vero? Non il caso. - Se tu l'intenzione non l'hai avuta! - Resta
il
caso. - Una disgrazia! - Guarda: Š come se tu avessi una terra, e
la
lasciassi abbandonata. - C'Š un albero in questa terra, e tu non te
ne
curi. Come se fosse di nessuno! - Bene. Uno passa. - Coglie un
frutto
di quell'albero; se lo mangia; butta via il nocciolo. - Lo
butti...
cos•, per il solo fatto che hai colto quel frutto abbandonato. Bene.
Un bel giorno, da quel nocciolo l… ti nasce un altro albero! L'hai
voluto? - No! - N‚ lo ha voluto la terra che ha ricevuto...
cos•...
quel nocciolo. - Scusa: l'albero che nasce a chi appartiene? - A
te,
che sei il proprietario della terra!
PULEJO: A me? - Ah no, grazie!
PAOLINO (lo investe subito, furibondo, afferrandolo per le braccia
e
scrollandolo): E allora gu…rdati la terra, perdio! gu…rdati la
terra!
impedisci che altri vi passi e colga
un
frutto
dall'albero
abbandonato!
PULEJO: S•, s•, d'accordo! - Ma tu dici a me, scusa! Io non
c'entro!
Questo lo far… il capitano!
PAOLINO: E deve farlo! deve farlo! - Ma tu dici che lo far…?
PULEJO: Dio mio, procureremo di farglielo fare...
PAOLINO (baciandolo con veemente
effusione
di
gratitudine
e
d'ammirazione): Nino, sei un dio! - Ma di', di': come? come?
PULEJO: Come... Aspetta...
(Pausa. Sta a pensare).
Dimmi un po': mangia in casa il signor Capitano?
PAOLINO: In casa, s•... verso le sei, appena sbarcato. Sono
anch'io
invitato a tavola.
PULEJO: Ah, bene. - E allora... - si, dico, tu non ci andrai
cos•,
suppongo, a mani vuote.
PAOLINO: Perch‚? - Ah, ho promesso di portare al ragazzo un po'
di
paste.
PULEJO: Benissimo!
(Troncando:)
Senti: va' a comperare codeste paste.
PAOLINO (non comprendendo ancora): Come? Perch‚? E tu?
PULEJO: Le porti in farmacia, da mio fratello Tot•.
PAOLINO: Ma tu che vuoi fare?
PULEJO: Aspettami l… in farmacia. Il tempo almeno di
lavarmi
la
faccia, santo Dio! M'hai fatto perdere il sonno!
PAOLINO: Ah no, sai! Non ti lascio, Nino! non ti lascio! Se prima
non
mi dici...
PULEJO: Che vuoi che ti dica,
scusa?
Ti dico d'andare a comperar
le
paste, e dammi intanto la chiave di casa mia.
PAOLINO: Ma le paste sono per il ragazzo.
PULEJO: Va bene. Ma ne offrirai anche alla signora, suppongo, e
anche
al signor Capitano.
(Lo guarda con intenzione).
Mi spiego?
PAOLINO: Le paste?
PULEJO: Ma s•, via! Lascia fare a me. Dammi la chiave.
PAOLINO: No! Non te la do! Tu ti butti a dormire...
PULEJO: Ma no, fidati! Il sonno m'Š passato.
PAOLINO: L…vatela qua da me, la faccia.
PULEJO: Andiamo, via! Mi sembri un ragazzino! Da', da'...
PAOLINO (dandogli la chiave): Eccola qua. Mi fido di te, bada!
Bada,
Nino, ne va della vita!
(Riassalito da un dubbio angoscioso:)
Ma che vuoi fare con queste paste?
PULEJO: Ti dico di lasciar fare a me!
PAOLINO: Ah, si? - Puoi... puoi con... con la scienza?
(Riprendendosi, con scatto di sdegno.)
Ah Dio, questo! io, questo!
PULEJO: Che cos Š?
PAOLINO: Che cos'Š... che cos'Š... - Ti pare forse che io, quello
che
io sono, sia tutto qua,
in questo caso per cui ti domando ajuto?
Io,
io, domandare ajuto, per questo,
della
scienza... s•, ti servi per
l'amo
disinteressatamente, la scienza!
sacrifizi!
PULEJO: Oh sai? se ti paresse di
PAOLINO: No! Intendimi! Io dico,
alla scienza, - io! - a te, che
campar
la
vita
-
mentre
io
la venero a costo di tanti
profanarla...
esser costretto a ricorrere...
(Sbuffa).
Uff... Tutte le viscere mi si torcono dentro, credi! Esser
preso
cos•... senza saper come... - per niente... - per un po' di
piet…
verso una donna che vedi piangere e che non te ne vuol dire, in
prima,
il perch‚... Tu la forzi a dirtelo... La... la conforti...
oggi...
domani... E... e poi... sissignore, ti trovi stretto cos• - per
la
feroce e beffarda crudelt… d'un manigoldo, ecco qua - in una
necessit…
come questa - buffa, s•, ti pare che non lo senta? Tu ne ridi...
ne
hai riso...
PULEJO: Eh, veramente... Ma no!
PAOLINO: Ma si! ma si! E t'ho fatto ridere io - perch‚ voglio...
PULEJO: Che il Capitano faccia il suo dovere di marito...
PAOLINO. Perch‚ non posso voler altro - tu lo capisci!
PULEJO: La morale, la morale, s•...
PAOLINO: Ma non la mia! La vostra! Come la volete voi! Perch‚
io,
invece, lo ucciderei - e ti giuro, sai, che lo uccido, io! - se non
fa
l'obbligo suo, questo signor capitano! - Tu devi sentirlo
veramente,
perdio, che sono un uomo onesto, io, e che me la sposerei, io,
se
stesse in me, quella signora, subito, per riparare!
PULEJO: Si, s•... Ma andiamo; non discutiamo pi— adesso...
PAOLINO: Andiamo, si, andiamo. - L'uccido, ti giuro!
PULEJO: Ma no! speriamo che non ce ne sar… bisogno.
PAOLINO: Di': venti basteranno?
PULEJO: Che cosa?
PAOLINO: Venti paste?
PULEJO: Uh, anche troppe!
PAOLINO: Ne compro trenta, sai? trenta, quaranta...
(Si avvia con Pulejo,
e
sta
per
uscire,
quando
scoppia
un
gran
fracasso all'uscio in fondo tra grida altissime).
Le voci di GIGLIO E BELLI: Professore!
Professore!
Apra,
perdio!
Ci
lascia qua?
PAOLINO (al dottore): Ah,
gi…...
Aspetta!...
Gli scolari...
Chi
ci
pensava pi— (corre ad aprire l'uscio).
GIGLIO e BELLI (vengono fuori scapigliati, con le facce
congestionate,
furibondi, scaraventando per terra libri e dizionari e protestando
a
coro):
- Questa Š soperchieria! prepotenza!
- Siamo asfissiati!
- Non verremo pi—!
PAOLINO (correndo a placarli): Abbiate pazienza! abbiate pazienza!
TELA.
ATTO SECONDO.
Tinello in casa del Capitano Perella. Veranda in fondo, con
ampia
vista sul mare. Due usci laterali a sinistra: quello prossimo
al
proscenio Š la comune; l'altro d… nella camera da letto del
Capitano.
Tra un uscio e l'altro un portafiori con cinque vasi bene in
vista.
Lateralmente a destra, un altro uscio, vetrine con stoviglie
da
tavola, credenza, e poi divano, con sulla spalliera, uno
specchio;
poltrone, un tavolinetto. La tavola Š apparecchiata in mezzo,
con
cura, per quattro. Alla parete, quadri rappresentanti marine,
vecchie
fotografie, e qua e l… oggetti esotici, ricordi dei viaggi
del
Capitano Perella. Lo stesso giorno del primo atto. Pomeriggio. A
poco
a poco si far… sera e, sul finire dell'atto, entrer… dalla veranda
un
bel chiaro di luna.
SCENA PRIMA.
Il SIGNOR PAOLINO, NONO', poi GRAZIA.
(Il signor Paolino, seduto al tavolinetto con Non• accanto sfoglia
un
quaderno di versioni latine e segna con un lapis rosso
e
turchino
i
voti sotto ogni versione).
PAOLINO, E qua possiamo segnare un bel nove.
NONO': Un altro nove?
(Batte le mani, esultante).
Che bellezza! E cos• fanno: tre otto, un dieci e due nove!
PAOLINO: S, e tu lo mostrerai a pap…, appena arriva, questo
quaderno.
NONO': Eh altro! eh altro!
(Si mette a fare un conto sulle dita).
PAOLINO:
Perch‚
-
bada,
Non•!
-
devi far di tutto quest'oggi
per
lasciar contento pap…...
NONO' (senza badargli, seguitando a contare): S•... s•...
PAOLINO (seguitando): E non dargli il minimo pretesto di
inquietarsi!
Ma che conti stai facendo?
NONO': Aspetta... Tre
(e si tiene con la destra tre dita della mano sinistra)
poi quattro e cinque
(e mostra le cinque dita della sinistra)
sei e sette
(e mostra l'indice e il pollice della destra)
otto, nove e dieci
(e mostra a uno a uno le altre tre dita della destra)
Mezza lira! mezza lira!
PAOLINO: Che vuol dire mezza lira?
NONO': Ma s, mezza lira! Che bellezza! Perch‚ pap… mi d… un soldo
per
ogni otto: sono tre: tre soldi, dunque. Poi due soldi per ogni
nove:
sono due: quattro soldi. Tre soldi per ogni dieci. Dunque: tre
e
quattro, sette, e tre: dieci, che fanno mezza lira!
PAOLINO: Ah, benissimo! Sei contento?
NONO': Eh io si! Fig—rati! Ma lui no!
PAOLINO (restando male): Come come? Lui non sar… contento?
NONO': Eh no... Prima mi dava tre soldi per ogni nove e cinque
per
ogni dieci. Ma poi, visto che tu li semini gli otto, i nove e
i
dieci...
PAOLINO: Ah s•? t'ha detto cos•? che io li semino?
NONO': S•, ha preso il quaderno, l'ultima volta, e l'ha
buttato
all'aria... cos•
(eseguisce con sprezzo)
gridando: Ma perdio, li semina questo professore, gli otto, i nove e
i
dieci...
PAOLINO: E s'Š arrabbiato?
NONO': Tanto! E ha ribassato la tariffa!
PAOLINO (subito): Ah, ma allora...
(riprende il quaderno e ritorna a sfogliarlo in furia)
aspetta... aspetta, Nonotto mio... ribassiamo noi subito i
punti...
segnamo cinque... segnamo sei... segnamo sette...
NONO' (con un grido, come se si sentisse strappare un dente):
Come!
No! E la mezza lira?
PAOLINO: Ma te la dar• io, Non•! Ecco... ecco...
(cava la borsetta dal taschino)
te la do io... te la do io...
NONO': No... no...
PAOLINO: Ma s, figliuolo mio! M'immaginavo che pap… dovesse
esserne
contento! Se mi dici che s'arrabbia, invece! Ecco, prendi... Per te
Š
la stessa cosa che te la dia io o che te la dia pap…, non Š vero?
NONO' (pestando i piedi): No, no: io voglio i tre otto, i due nove
e
il dieci!
PAOLINO: Ma non te li meriti, in coscienza, figliuolo mio! Non te
li
meriti proprio!
NONO': E perch‚ allora me li davi?
PAOLINO: Ma perch‚... perch‚ non sapevo che costassero soldi e
un
dispiacere a pap…! Non dobbiamo far dispiacere a pap…, Non•! E
oggi,
oggi dobbiamo esser lieti tutti! Anche tu, con la tua mezza lira,
che
ti d… in premio, di nascosto, il tuo professore - (oh, non dirne
nulla
a pap…, bada!) - te la do, perch‚ se non ti meriti i nove e i
dieci,
un premio pure te lo menti per i progressi che fai...
NONO': Come mi hai scritto nel libro?
PAOLINO: Ecco, s•... benissimo! Come ti ho scritto nel libro.
(Entra Grazia
faccia
cavallina).
dalla
comune.
GRAZIA. La signora non c'Š?
PAOLINO (indicando l'uscio
E
a
una
vecchia
destra):
dalla
burbera
La signora credo sia di
l…,
Grazia.
GRAZIA. E allora ci vada lui
(indica Non•)
ad avvertirla che Š arrivato il marinajo.
NONO' (subito, scattando): Il marinajo? E'
a
bordo! vado a bordo!
(S'avvia correndo per la comune).
arrivato
pap…!
Vado
PAOLINO: No,
che fai,
Non•? Vieni qua! Bisogner… prima avvertirne
la
mamma.
NONO': La mamma lo sa! lo sa!
(Fa per uscire).
PAOLINO: F‚rmati, ti dico!
(A Grazia:)
Andate voi, vi prego, ad avvertire la signora.
NONO': Ma se lo sa, Dio mio!
GRAZIA (andando a picchiare all'uscio a destra,
Quante
storie! quante storie!
borbotta):
(Picchia all'uscio e, senza neanche aspettar la risposta, entra).
SCENA SECONDA.
DETTI, la SIGNORA PERELLA, il MARINAJO.
NONO': (Che s'Š fermato presso la comune,
l'interno):
Marinajo! Marinajo! vieni qua!
MARINAJO (entrando subito): Eccomi qua!
grida verso
(Si piega sulle gambe e apre le braccia per ricevere sul
Non•,
che spicca un salto e gli s'appende al collo).
petto
Ah! Viva l'ammiraglio!
NONO': Portami da pap…! Subito subito!
(Entra dall'uscio a destra la signora Perella abbigliata con una
certa
cura straordinaria che la fa apparire pi— goffa).
MARINAJO (a Non• che gli sta in braccio): Aspettiamo che ce lo dica
la
mamma!
(Si toglie il berretto).
Ai comandi, signora!
SIGNORA PERELLA: E' gi… entrato in porto il vapore?
MARINAJO. Stava per entrare, signora. A quest'ora sar… entrato!
NONO': E andiamo allora subito! Voglio veder la manovra!
MARINAJO: Eh, durer… un pezzo, prima che abbassino la scala!
SIGNORA PERELLA: Mi raccomando, per carit…, Non•! Lo affido a
voi,
Filippo!
MARINAJO: Non dubiti,
signora!
Al vecchio Filippo pu•
affidarlo!
A
rivederla! Andiamo, ammiraglio!
(Via per la comune con Non• in braccio).
SCENA TERZA.
La SIGNORA PERELLA e il SIGNOR PAOLINO.
PAOLINO
(appena
andati
via Non• e il Marinajo,
voltandosi verso
la
signora Perella,
pudicamente afflitta
nel
goffo
impaccio
del
suo
straordinario
abbigliamento): Ma no!
ma no,
cara!
no!
Come ti
sei
combinata? Cos• no
SIGNORA PERELLA: Mi... mi sono acconciata...
PAOLINO: Ma che acconciata! No! Ci vuol altro!
SIGNORA PERELLA (guardandosi addosso): Perch‚?
PAOLINO: Ma perch‚ cos• no! non va!
SIGNORA PERELLA: Pi— di cos? Dio sa quanto m'Š costato!
PAOLINO: Lo vedo! Ma cos non va, anima mia! Tutto dipender…,
forse,
dal primo incontro! A momenti egli arriva... Ti deve trovar
piacente!
Ora cos• non va... Capisco, capisco che ti dev'esser costato!
Ma
ancora non basta!
SIGNORA PERELLA: Oh Dio! E come allora?
PAOLINO: E' enorme, s•, anima mia, lo intendo, enorme il
sagrifizio
che devi compiere, tu casta, tu pura, per renderti appetibile a
una
bestia come quella! Ma bisogna che tu lo compia, intero!
SIGNORA PERELLA (esitante, con gli occhi bassi): Pi—... pi— scollata?
PAOLINO: Pi—! s•, pi—! molto, molto pi—!
SIGNORA PERELLA: No, no... Dio mio...
PAOLINO: S! Per carit…! Tu hai grazie, tesori di grazie nel
tuo
corpo, che tieni gelosamente, santamente custoditi. Bisogna che tu
ti
faccia un po' di violenza!
SIGNORA PERELLA: No, no... Dio, Paolino, che mi dici? Sarebbe
inutile
poi, credi! Non ci ha mai badato!
PAOLINO: Ma dobbiamo
appunto
forzarlo
a
badarci!
forzarlo,
quest'animale che non capisce la bellezza modesta, pudica,
che
nasconde i suoi tesori di grazia! Presentarglieli, ecco - lascia
fare
a me - metterglieli sotto gli occhi, almeno un po'...
(Appressandosi con le mani avanti:)
Guarda... cos•, permetti?
SIGNORA PERELLA (arretrando, spaventata, e con ribrezzo riparandosi
il
seno): Ma no! Li sa, Dio mio, Paolino!
PAOLINO (incalzando): Ricordarglieli!
SIGNORA PERELLA (come sopra): Ma se non se ne cura!
PAOLINO: Lo so; ma perch‚ tu, anima mia - e questo Š il tuo
pregio,
bada, per me! quello per cui io ti ho cara e ti stimo e ti venero!
codesti tesori, tu, non hai saputo mai farli valere...
SIGNORA PERELLA (quasi inorridita): Farli valere? E come?
PAOLINO: Come? Vedi, tu non te l'immagini neppure, come! Eh,
altro!
Tante lo sanno bene!
SIGNORA PERELLA (come sopra): Ma che fanno! come fanno?
PAOLINO: Niente. Non... non nascondono cos•, ecco! E poi... via,
non
farmi disperare! Credi che costi a te soltanto, del resto? Costa
anche
a me, perdio, predisporti, acconciarti perch‚ tu possa piacere a
un
altro!
(alzando le braccia al cielo)
preparare la
virt—,
Dio,
per
comparire
davanti
alla
bestia!
Ma
bisogna, per la tua salvezza e per la mia! Lasciami fare! Non
abbiamo
pi— tempo da perdere. Prima di tutto, via codesta camicetta!
E'
funebre! Viola, colore deprimente! Una rossa, che strilli!
SIGNORA PERELLA: Non ne ho!
PAOLINO: E allora quella di seta giapponese, che ti sta tanto bene!
SIGNORA PERELLA: Ma Š accollata...
PAOLINO: Sc•llala! In nome di Dio, sc•llala! Non ci vuol
nulla...
Ripieghi in dentro i due lembi, qua davanti; ci appunti, su giro
giro,
un merletto... Ma …prila bene, mi raccomando!... molto, molto!
almeno
fin qua... Indica sul seno di lei, molto gi—.
SIGNORA PERELLA (inorridita): No! Tanto?
PAOLINO: Tanto! Tanto! Da' ascolto a me!
SIGNORA PERELLA (come sopra): Ma tanto, no!
PAOLINO: Tanto, s; se no, ti dico che Š poco! E pŠttinati un
po'
meglio, per carit…! con qualche ricciolino sulla fronte. Uno
lungo,
qua, in mezzo alla fronte, a gancio! E due altri qua, che
s'allunghino
sulle gote, a gancio!
SIGNORA PERELLA (come sopra non comprendendo): A gancio?
Oh Dio,
come
a gancio? Perch‚?
PAOLINO: Perch‚ s•!
Da' ascolto a
me!
Non
farmi
perder
tempo
in
spiegazioni! A gancio Š cos•
(glielo mostra col dito, contraendolo,)
insomma,
come un punto interrogativo sottosopra!
Uno qua; uno qua,
e
uno qua...
(indica la fronte, poi la guancia destra, poi la sinistra).
Se non sai farteli, te li faccio io! Vai, vai, cara...
(La spinge verso l'uscio a destra).
E scolla,
sc•llala molto,
la camicetta!
Io intanto esamino
qua
la
tavola se non ci manca nulla per il pasto della belva!
(La signora Perella esce per l'uscio a destra, lasciandolo
aperto.
Paolino si reca alla tavola apparecchiata in mezzo, la
esamina,
aggiusta qua e l…, posate, bicchieri.
PAOLINO
(eseguendo):
Cos•...
cos•...
cos•...
E quella marmotta
di
Tot•, intanto, che ancora non viene! Mi disse fra cinque
minuti...
eccoli qua, i cinque minuti del signor farmacista! Un'ora! Š
passata
un'ora!
SIGNORA PERELLA (dall'interno, strillando): Ahi!
PAOLINO (accorrendo davanti all'uscio): Che hai fatto?
SIGNORA PERELLA: Mi sono punta un dito, con lo spillo!
PAOLINO: Ti esce sangue?
SIGNORA PERELLA: No. Non ne ho pi— nemmeno una goccia nelle vene!
PAOLINO: Eh, lo so! E dovresti averne tanto, anima mia, per dare
un
po' di colore alle tue guance bianche!
SIGNORA PERELLA: M'ajuter… la vergogna, Paolino!
PAOLINO: Non ci contare! Hai tanta paura che la tua vergogna non
avr…
nemmeno il coraggio d'arrossire! Ma ho qua l'occorrente: non
temere!
L'ho portato con me.
(Trae
la
di
tasca
una
scatoletta
di
belletto e altri oggetti per
truccatura e li depone sul tavolinetto).
Ho qua tutto. Dico di quell'imbecille di Tot• che non mi porta
ancora
le paste! Sono sulle spine. A fidarsi! Se non fa a tempo! Ma mi
disse:
®Vai, fra cinque minuti sar• da te...¯
SIGNORA PERELLA (dall'interno, piangendo): Dio... Dio... Dio...
PAOLINO: Che cos'Š? Un'altra puntura? Piangi?
(Guarda nell'interno della soglia e arretra).
Ah! E' spaventoso! Apre di nuovo la bocca!
SIGNORA PERELLA (come sopra, in un gemito): Che avvilimento...
che
avvilimento..
SCENA QUARTA.
DETTO, GRAZIA e il SIGNOR TOTO'.
(Si sente picchiare all'uscio a sinistra).
GRAZIA (dall'interno): Permesso?
PAOLINO: Avanti.
GRAZIA (entrando, con voce sgarbata): C'Š un signore con un
involto,
che domanda di lei.
PAOLINO Ah, Tot•... meno male! Fatelo, fatelo entrare.
GRAZIA: Qua?
PAOLINO: Qua, s•... se non vi dispiace...
GRAZIA: Ma che vuole che mi dispiaccia, a me! Se dice qua, lo
faccio
entrare qua, e basta! PAOLINO: Ecco, s•... qua... scusate...
GRAZIA: Oh, quante storie!
PAOLINO: Ingozziamo, Paolino!
(Poi, recandosi in fretta a chiudere l'uscio a destra,
verso
l'interno:)
annunzia
Le paste! Le paste!
TOTO' (dall'interno): Permesso?
PAOLINO: Vieni, vieni avanti, Tot•. Cinque minuti, eh?
(Il signor Tot• entra tenendo nascosto dietro le spalle un involto).
TOTO': Abbi pazienza: cosa delicata, Paolino. C'Š pure di mezzo la
mia
responsabilit…,
capirai...
quella
di
mio
fratello...
Qua
c'Š
un
innocente...
PAOLINO (investendolo): Un innocente? Chi? chi Š l'innocente?
Ah,
tu
vieni a dire a me che qua c'Š un innocente? Lui, l'innocente?
Quando
siamo tutti qua, anche tu, per costringerlo a fare il suo
dovere,
nient'altro che il suo dovere, a costo di farmi scoppiare il
cuore,
dalla rabbia, dall'angoscia, dalla disperazione! Uno come me, che
non
ha mai finto, che ha gridato sempre in faccia a tutti la
verit…,
costretto a usare un inganno di questo genere, col concorso
d'un
imbecille come te!
TOTO': Ma no! Che pensi? Io dicevo per il ragazzo, Paolino! Non c'Š
un
ragazzo qua, scusa?
PAOLINO: Ah, tu parlavi del ragazzo?
TOTO': Ma s•, del ragazzo. Se dico un innocente, scusa...
PAOLINO: Scusami, scusami tu, allora! Scusami, caro... Sono in
uno
stato d'animo... Hai portato intanto ci• che dovevi portarmi?
TOTO': Ecco, ti volevo dire appunto... Essendoci un ragazzo... tu
capirai - ho pensato... se Dio liberi...
PAOLINO (comprendendo): Gi…... gi…... s•...
TOTO': E non ho voluto... non ho voluto assolutamente...
PAOLINO (restando): Come! Non hai voluto? E che hai fatto allora?
TOTO': Delle paste? Me le sono mangiate.
PAOLINO: Tu? Te le sei mangiate tu? Quaranta paste?
TOTO': Met…. E met… le ho conservate per mio fratello, stasera.
PAOLINO: Come! E allora? Che mi hai portato?
TOTO': Eh, non ci hai perduto nulla, non temere! Ci hai
guadagnato,
anzi!
(Mostrandolo).
Un bel pasticcetto di crema, squisito.
PAOLINO: Da leccarmene le dita, gi…! Perch‚ difatti sar… un
festino
per me!
TOTO': No, non dico questo; non t'arrabbiare! Dico per spiegarti
il
ritardo. Ho dovuto prepararlo... Guarda...
(Lo posa sul tavolinetto e apre l'involto).
PAOLINO: Ma... Oh!
(e gli fa un cenno d'intelligenza).
TOTO': Non dubitare!
(Lo mostra).
Condizionato a meraviglia, perch‚ non si possa sbagliare.
Vedi?
Met…
bianco... e questa met… Š per il ragazzo... per te, se
vorrai
mangiarne. E met… nero, crema di cioccolato! Niente al ragazzo,
di
questa! mi raccomando! Sta' attento, veh!
PAOLINO: La nera, s•, va bene! Ma...
(Cenno come sopra).
TOTO': Non dubitare!
PAOLINO: Bene. Vai, vai, allora, amico mio! E' gi… tardi! Il vapore
Š
arrivato! Vai, vai... E speriamo! Speriamo bene!
TOTO': Stai sicuro!
PAOLINO: Come vuoi che sia sicuro!
(Subito, staccando:)
Oh, tomba, siamo intesi!
TOTO': Puoi dubitare di me?
PAOLINO: Mi sei amico... E il caffŠ te lo dar• ogni mattina, sai?
Puoi
contarci. V…ttene! V…ttene!
TOTO': S•, s•, grazie. Addio, Paolino.
(Esce per l'uscio a sinistra).
PAOLINO (va a prendere il pasticcio per collocarlo, con
solennit…
sacerdotale in mezzo alla tavola, altare della Bestia, e
tenendolo
prima sollevato come un'ostia consacrata):
Oh, Dio, fa' che valga! fa' che valga! La sorte d'una famiglia,
la
vita, l'onore d'una donna, Dio, la mia stessa vita, tutto Š
sospeso
qui!
SCENA QUINTA.
La SIGNORA PERELLA e DETTO.
(La signora Perella rientra
dall'uscio
a
destra
pi—
che
mai
vergognosa,
gli
con le spalle voltate verso Paolino,
il capo basso,
occhi
a
terra,
ambo
le
mani
parate
a
nascondere
il
seno.
E'
scollatissima, e s'Š fatti i ricci a gancio, uno in mezzo alla
fronte;
gli altri due alle gote.
SIGNORA PERELLA: Paolino...
PAOLINO (accorrendo): Ah! Hai fatto? Brava, brava... L sciati vedere!
SIGNORA PERELLA (schermendosi): No... no... Muojo di vergogna...
no...
PAOLINO: Ma che vorresti stare cos davanti a lui? E allora perch‚
ti
sei scollata? Via, gi— codeste mani!
SIGNORA PERELLA (come sopra): No... no...
PAOLINO: Ma non capisci che bisogna che egli veda?
(La signora Perella si reca allora le mani al volto, sollevando di
qua
e di l… le braccia per scoprire abbondantemente il seno imbandito).
SIGNORA PERELLA: Eccoti, Šccoti...
PAOLINO: Ah... be... benissimo... s•... be... benissimo...
(Se non che,
la signora Perella,
col volto cos• nascosto scoppia
in
pianto).
Che? Piangi? Ma no! Piangi? E brava, s•! Piangi adesso! Sci—pati
anche
gli occhi!
(Subito, intenerendosi e abbracciandola:)
Anima mia,
anima mia,
perdonami! credi, soffro pi— di te, pi— di
te,
di codesto tuo strazio, che dev'essere atroce! M'ucciderei,
credi,
m'ucciderei per non veder codesto spettacolo della virt— che
deve
prostituirsi cos•! Su, su... E' il tuo martirio, cara! Bisogna che
tu
lo affronti con coraggio! E tocca a me di fartelo, il coraggio!
SIGNORA PERELLA: Giovasse almeno!
PAOLINO: Cos• no, di certo! Devi persuadertene! Cos• non giova
a
nulla! No! Sorridente... sorridente, cara!
Pr•vati,
f•rzati
a
sorridere!
SIGNORA PERELLA: E come, Paolino?
PAOLINO: Come? Ecco... cos•... guarda...
(Sorride a freddo, smorfiosamente).
SIGNORA PERELLA: Ma non posso, cos•...
PAOLINO:
S•...
s•...
Ecco...
guarda...
Che vuoi che ti faccia
per
farti ridere? qualche piccolo lezio da scimmia?
(Eseguisce).
Ecco, vedi?... s•, s•... cos•, eh? s•!... ridi! Mi gratto... eh eh...
(La signora Perella ride tra le lacrime d'un riso convulso).
Ridi... s•... brava, cos•... ridi!
terra,
eh?... cos•, gattone!
E guarda,
ora mi butto per
(Eseguisce e la convulsione di riso della signora Perella cresce).
Brava, cos•!... ridi... ridi... ridi... E ora faccio salti da
montone!
(Eseguisce e la convulsione della signora arriva fino allo spasimo).
Viva la bestia! viva la bestia!
SIGNORA PERELLA (mentre Paolino seguita a saltare come un
montone,
torcendosi dalle risa): Basta... per carit…... non ne posso pi—...
non
ne posso pi—...
(E trapassa subito dal riso a un pianto disperato).
PAOLINO (cessando subito di saltare e accorrendo, frenetico): Come!
ti
rimetti a piangere? Ridevi cos bene!
Ah,
Š la disperazione,
lo
so.
Su, su, basta! Finiscila, perdio! Mi fai impazzire!
(In preda a una frenesia crescente, la scrolla con rabbia e la
rimette
su a forza, come un fantoccio che tra le mani gli caschi a pezzi).
Mi
fai impazzire!
Su!
stai su!
zitta!
Voglio che stia zitta e
su!
Cos•, cos•! Ti debbo dipingere!
SIGNORA PERELLA (stordita dagli
sbalordita):
Dipingere?
PAOLINO: S•!
scrolloni,
atterrita,
(La fa sedere su una seggiola a un lato del tavolinetto, con le
spalle
al pubblico).
Asci—gati bene gli occhi!
Le guance!
Sei pallida!
sei smorta!
Come
vuoi che la bestia capisca la finezza del bello delicato, la
soavit…
della grazia malinconica? Ti dipingo! Alza la faccia... cos•!
(Gliela alza).
SIGNORA PERELLA (come un automa, rimanendo con la faccia
alzata,
mentre Paolino prende dal tavolinetto gli oggetti per la
truccatura):
Ah Dio, fa' di me quel che vuoi...
PAOLINO (cominciando a imbellettarla, a bistrarla, sulle gote,
negli
occhi, alla bocca, con spaventosa esagerazione): Ecco, aspetta.
Prima
le guance... Cos•!... cos•!.. Per lui, che non capisce altro,
devi
essere come una di quelle!... Cos!... La bocca, adesso!... Dov'Š
il
cinabro?... Qua, ecco... Schiudi un po' le labbra... Ecco,
aspetta...
cos•... Non piangere, perdio! Sciupi ogni cosa! Cos•... cos•...
Gli
occhi, adesso! devo annerirti gli occhi... Ci ho tutto qua... ci
ho
tutto... Chiudi gli occhi, chiudi gli occhi... Ecco... cos•...
cos•...
cos•... E ora ti rafforzo col lapis le sopracciglia... Cos•...
cos•...
cos. L…sciati vedere adesso!
(La signora Perella quasi stralunata, Š rimessa in piedi,
e mostra
il
volto spaventosamente dipinto, come quello d'una baldracca da
trivio).
PAOLINO (come ubriacato dall'orgasmo, con grottesca aria di
trionfo):
E ora mi dica il signor capitano Perella, se vale di pi— quella
sua
signora di Napoli!
SIGNORA PERELLA (dopo essere rimasta l• un pezzo, esposta come
uno
sconcio pupazzo da fiera, si alza e si reca a guardarsi allo
specchio
sul divano, inorridita): Oh Dio!... Sono uno spavento!
PAOLINO: Sei come devi essere per lui!
(E intanto si mette a nascondere gli oggetti da truccatura).
SIGNORA PERELLA: Ma non sono pi— io!... Non mi riconoscer…!...
PAOLINO: Non deve pi— riconoscerti, difatti! Deve vederti cos•!
SIGNORA PERELLA: Ma Š una maschera orribile!
PAOLINO: Quella che ci vuole per lui!
SIGNORA PERELLA (con strazio): E Non•?... Non•?... Io sono una
povera
madre, Paolino!
PAOLINO (intenerendosi fino alle lagrime, abbracciandola): S•...
s•...
hai ragione, povera anima mia, s•! hai ragione! Ma che vuoi farci?
Ti
vuole lui, cos•. Non ti vuole madre! E tu la darai a lui,
codesta
maschera, alla sua bestialit…! Sotto di essa, sei poi tu, che
ne
spasimi; tu come sei per te stessa e per me, cara! E tutto il
nostro
amore!
SCENA SESTA.
DETTI, NONO', il CAPITANO PERELLA, poi GRAZIA.
(Dall'interno si sente la voce di Non• che grida, accorrendo).
La voce di NONO': Ecco pap…! ecco pap…!
PAOLINO (staccandosi subito dall'abbraccio e allontanandosi
dalla
signora Perella): Eccolo! Mi raccomando!
SIGNORA PERELLA: Oh Dio... Oh Dio...
PAOLINO: Sorridente! Sorridente, cara! Sorridente!
NONO' (dall'interno ancora, riprende a gridare): E' arrivato pa...
(quando un soave calcio del Capitano lo
scena,
troncandogli in bocca la parola).
(Spunta il Capitano Perella che ha l'aspetto
sbuffante
cinghiale setoloso).
PERELLA
(a Non• accompagnando il calcio,
accompagna sulla
d'un
enorme
che gli appioppa dietro):
E
zitto, che non ho bisogno di trombettieri!
SIGNORA PERELLA (con un grido, ricevendo Non• tra
le
braccia):
Ah!
Non• mio!
PAOLINO: Ti sei fatto male, Nonotto?
PERELLA: Non s'Š fatto nulla! Mio padre, caro professore, quando
avevo
poco pi— di sei anni, per punirmi di non avere ancora imparato
a
nuotare, sa che fece? m'afferr• per la cuticagna e mi butt• a
mare,
vestito, dalla banchina del molo, gridando - ®O morto, o nuotatore!¯
PAOLINO: E lei non mor•!
PERELLA: Imparai a nuotare! Questo per dirle, che non sono
d'accordo
con lei circa al metodo, caro professore. Troppo dolce Š lei,
troppo
dolce!
PAOLINO: Dolce?
io?
Ma no,
scusi,
perch‚?
Anch'io,
creda,
all'occorrenza...
PERELLA: Che occorrenza! che occorrenza! Tempra, tempra ci vuole!
Le
dico che lei Š troppo dolce, e me lo vizia, me lo vizia, quel
ragazzo
l….
PAOLINO (subito, con calore): No! Ah no! scusi... questo no,
questo
non me lo deve dire, signor capitano, perch‚ il vero guajo qua,
se
vuol saperlo, Š un altro; e lei avrebbe gi… dovuto capirlo da
un
pezzo!
PERELLA: La madre?
PAOLINO: No, non la madre! Viene di conseguenza, scusi, che il
ragazzo
si vizii: Š figlio unico!
PERELLA: Ma niente affatto! Che unico! Lo dice lei!
PAOLINO: Come, scusi, non Š unico?
PERELLA (forte, riscaldandosi): Bisogna saperlo educare!
PAOLINO: S•! certo... Ma se fossero due!
PERELLA (infuriandosi, col sangue agli occhi): Non lo ridica
neanche
per ischerzo, sa! Neanche per ischerzo! Ne ho d'avanzo d'uno!
PAOLINO (subito, rimettendosi): Non si inquieti... non si
inquieti,
per carit…! Dicevo... dicevo per scusarmi...
PERELLA: Un altro figlio! Starei fresco, starei...
(Mentre si svolge questo dialogo tra Perella e il signor
Paolino,
dietro, se ne svolge un altro, muto, tra Non• e la madre.
Non•,
finendo di piangere, vedendo la madre, subito s'Š arrestato con
gli
occhi e la bocca sbarrati nello scorgerla conciata a quel modo.
La
madre, allora, ha congiunto pietosamente le mani per pregarlo di
non
gridare il suo spavento e il suo stupore; poi, assalita dalla
solita
contrazione viscerale, ha spalancato la bocca come un pesce e
s'Š
recato subito il fazzoletto alla bocca lasciando Non• sbigottito
a
scuotere le manine per aria).
PERELLA (come pentito chiamando): Qua, Non•!
(Si volta, scorgendolo nell'atto di scuotere le manine).
Oh! e che fai?
(Guarda verso la moglie).
Che cos'Š?
(Scorgendola cos• dipinta e scollata).
Oh! e come... tu?...
(Scoppia in un'interminabile, fragorosa, faticosissima risata,
durante
la quale il signor Paolino, alle sue spalle serra le pugna,
convulso;
le apre, artigliate, per la tentazione di saltargli addosso
e
strozzarlo:
mentre la signora Perella,
avvilita,
mortificata,
atterrita, guarda a terra).
Come ti...
come ti sei impiastricciata?
ah!
ah!
ah!
ah!
ah!
una
bertuccia...
ah!
ah!
ah!
vestita,
sull'organetto... parola d'onore!
(Le s'appressa,
sempre
ridendo).
la
prende
per
ah!...
una
mano;
una
e
bertuccia
la
contempla
Uh... ma guarda!...
(Le vede il seno scoperto).
Uh... abbondanza!... E che cos'Š?
(Voltandosi verso il signor Paolino).
Professore!...
Ah!
ah!
ah!
ah! E non ne Š sbalordito anche lei,
di
questo magnifico spettacolo?
PAOLINO (frenando a stento l'indignazione, con sorrisi
spasmodici):
Nien... niente affatto!... Scusi, perch‚? Vedo che... che la
signora
s'Š... s'Š messa con una certa cura...
PERELLA: Cura? La chiama cura, questa, lei? S'Š mascherata! S'Š...
(Accennando al seno scoperto)
s'Š scodellata tutta! Ah! ah! ah! ah!
SIGNORA PERELLA: Ma Francesco... Dio mio... scusa...
PERELLA: Ti sei forse mascherata cos•, per me? No, no, no, no, no!
Ah,
grazie! No, no, no, no, no!
(Accennando al seno di lei)
Puoi pure chiudere bottega! Non ne c•mpero!
(Voltandosi al signor Paolino)
Pass• quel tempo, Enea,
neanche
toccar l'ugola!
caro professore!
Non me ne sento pi—
(Alla moglie:)
Grazie, cara, grazie! Va', va' a lavarti la faccia, va'...
Voglio
andare subito a tavola, io! subito!
SIGNORA PERELLA: E' tutto pronto, Francesco.
PERELLA: Pronto? Ah, brava! Possiamo allora sedere? Lei, professore,
Š
con noi?
PAOLINO: Ma... s•, credo...
SIGNORA PERELLA: S•, s•, Francesco... il professore Š invitato...
PERELLA: Mi fa piacere. Venga, venga, professore, segga. Ma non
si
scandalizzi, perch‚, mangio, io, sa? mangio! E si vede, eh? si
vede...
(Mostra l'epa, poi,
sedersi
dirimpetto a lui:)
rivolgendosi
alla
moglie
che
fa per
No, no, cara: fa' il piacere, senti... Se non vuoi andare a
lavarti,
non mi seder d• fronte, cos• conciata! Mi metto a ridere di nuovo,
e
qualche boccone, Dio liberi, mi pu• andar di traverso. Ma che idea
t'Š
venuta, di'?
SIGNORA PERELLA: Oh Dio, nessuna idea, Francesco...
PERELLA: E come, allora? cos•?
(Fa un gesto espressivo con la mano
per
significare:
®E'
stato
un
estro?¯, ride).
Ah! ah! ah! ah! Possibile che lei, sul serio, professore, dica che...
PAOLINO (interrompendo): Ma s•! dico che lei dovrebbe
riconoscere,
scusi, che la signora, cos•, sta benissimo!
PERELLA: Benissimo, s•... Non dico di no! Ma se fosse un'altra,
ecco!
Se fosse una... lei m'intende! Come moglie, no... scusi! Come
moglie,
cos, via, dica la verit…: Š buffa!
(Scoppia di nuovo a ridere).
Niente! Rido! Abbia pazienza, professore: la faccia sedere qua, al
suo
posto; e segga lei di fronte a me.
PAOLINO (alzandosi e prendendo il posto della signora): Oh,
me...
come vuole...
PERELLA: Scusi, sa, grazie...
per
(Alla moglie:)
Oh, dunque, si mangia?
(Voltandosi
verso
Non•
che
sta
ingrugnato
e tutto aggruppato
sul
divano:)
Ohi, Non•, a tavola!
NONO': No, non vengo, no!
PERELLA (dando un pugno sulla tavola): A tavola, dico!
Subito!
Ubbidisci senza replicare!
PAOLINO: Non•, via, vieni!
PERELLA (dando un altro pugno sulla tavola): No! La prego,
professore!
PAOLINO: Scusi, scusi...
PERELLA: Lei me lo vizia, gliel'ho detto! Deve obbedire,
senza
sollecitazioni! Ho detto a tavola, e dunque, a tavola!
(Si alza e va a prenderlo di peso dal divano).
SIGNORA PERELLA (piano nel frattempo, a Paolino, quasi per
piangere):
Dio mio... Dio mio...
PAOLINO ( piano, come sopra, alla signora Perella):
Coraggio!...
Pazienza! Sorridente... sorridente... Ecco... cos•... come me!
PERELLA (calando a seder di forza Non• sulla seggiola, a tavola):
Qua!
Cos•! Sederai e non mangerai, per castigo! Dritto, su! Dritto,
dico!
Dritto, o con un pugno t'attondo.
(Lo minaccia; e come Non•, spaventato, si raddrizza)
Cos•! E fermo l•!
(Rivolgendosi alla moglie:)
Insomma, dico, si mangia, s• o no?
SIGNORA PERELLA (vedendo entrare Grazia dalla comune,
zuppiera
fumante): Ecco, ecco, Francesco...
con la
(Grazia servir… dalla credenza in tavola e durante il pranzo uscir…
e
rientrer… parecchie volte).
PERELLA: Finalmente!
(A Paolino,
rimasto dopo il consiglio dato alla signora Perella,
con
un sorriso involontario rassegato sulle labbra:)
Oh, senta professore, gliel'avverto perch‚ la tratto da amico!
Lei
mi
farebbe proprio un gran piacere, se non sorridesse, quando
faccio
qualche rimprovero al ragazzo o a mia moglie.
PAOLINO (cascando dalle nuvole): Io? sorrido? io?
PERELLA: Lei, s•, mi pare! Ha la bocca atteggiata di sorriso
anche
adesso!
PAOLINO: S•? Proprio? Sorrido?
PERELLA: Sorride! sorride!
PAOLINO: Oh Dio... E allora io non lo so! Le giuro, Capitano, che
ho
proprio paura di non essere io... Perch‚ io, le giuro, non sorrido.
PERELLA: Ma come non sorride, se sorride?
PAOLINO: Ah s? Ancora? Non sono io! non sono io! pu• crederci!
non
sono io! Ho tutt'altro che intenzione di sorridere, io, in
questo
momento! Se sorrido, saranno... che vuole che le dica? saranno
i
nervi... i nervi, per conto loro.
PERELLA: Lei ha i nervi cos• sorridenti?
PAOLINO: Gi…! Pare... Sorridenti...
PERELLA: Io no, sa!
PAOLINO: Neppure io, veramente, di solito... Si vede che oggi ha
preso
loro cos•... Nervi!
(Si mette a mangiare - Pausa).
NONO' (a cui Grazia ha posto gi… da un pezzo davanti la
scodella):
Posso mangiare, pap…?
PERELLA: Ti avevo detto di no!
(Alla moglie:)
Chi l'ha servito?
SIGNORA PERELLA: L'ha servito Grazia, Francesco...
PERELLA: Non doveva!
PAOLINO: Veramente... ecco, forse... non lo sapeva...
PERELLA: E allora lei
(indica la moglie)
doveva dirglielo!
(A Non•:)
Basta! Per questa volta, mangia!
(Non• si agita sulla seggiola, senza mangiar la minestra).
SIGNORA PERELLA: Mangia, mangia, Non•...
(Non• fa il suo solito cenno col dito).
PERELLA (scorgendolo): Che significa?
NONO': Non dicevo per la minestra, io, pap…...
PERELLA: E per che dicevi allora? Ora si mangia la minestra!
NONO' (esitante, birichino): Eh... Vedo una cosa!
SIGNORA PERELLA (in tono di lamentoso rimprovero): Ma che
cosa,
Non•...
PAOLINO (sulla brace): Benedetto ragazzo...
NONO' (indicando con un rapido gesto, subito ritratto, il pasticcio
in
mezzo alla tavola): Eccolo l…!
PERELLA: Che c'Š l…?
(Guarda).
Ah, un pasticcio?
PAOLINO: Gi…... mi... mi sono permesso, signor capitano...
PERELLA: Ah, l'ha portato lei?
PAOLINO: S•... mi... mi scusi... mi sono permesso...
PERELLA: La scuso? E come? Oh bella! Debbo scusarla d'avermi
regalato
un pasticcio? Debbo invece ringraziarla, mi sembra, caro professore!
PAOLINO: No, che dice? per carit…... debbo io, debbo io,
signor
capitano, ringraziare lei...
PERELLA: D'averla invitata a tavola? Ebbene, vuol dire che
ci
ringrazieremo, all'ultimo, a vicenda!
PAOLINO (con un'esclamazione che gli scappa spontanea): Eh! Speriamo!
PERELLA: Come, speriamo?
PAOLINO (cercando di rimediare): S•...
dico che...
che sia di...
di
suo gradimento, ecco... speriamo che... che le piaccia!
NONO': A me, tanto, sai? tanto!
(Si mette ginocchioni sulla sedia).
Guarda! Guarda qui! Questa qui! Questa nera!
PERELLA: Gi— a sedere, perdio!
(Non• eseguisce).
PAOLINO
(sudando
freddo):
E
non facciamo storie,
sai,
Non•!
Non
cominciamo con quella nera; se no, mi fai pentire d'averlo portato!
Tu
di quella nera li non devi neanche assaggiarne!
NONO': Perch‚?
PAOLINO: Perch‚ no! Perch‚ mamma mi ha detto che...
che soffri di
un
po' di riscaldamento,
Š vero,
signora?
qua,
allo stomaco...
ed
il
cioccolatto per te, in questo momento...
NONO': Ma no! Io? La mamma! Soffre di stomaco la mamma, non io!
PAOLINO (subito): Non•
SIGNORA PERELLA (con altra voce): Non•!
PERELLA (con altra voce): Non•! insomma, finiamola!
PAOLINO: Se l'ho fatto fare apposta, figliuolo mio, cos met…
e
met…...
NONO': Ma a me piace quella col cioccolatto!
PERELLA: E avrai di quella col cioccolatto, sta zitto Tanto, a me
non
piace!
PAOLINO (spaventato, subito): Come! A lei non piace? il cioccolatto?
PERELLA: No... cioŠ, cos•... poco! Preferisco quell'altra...
PAOLINO (sentendosi cascar l'anima e il fiato): Oh Dio...
PERELLA, Che cos'Š?
PAOLINO: Niente... Niente... vedo che... mi... mi sono
ingannato...
e...
PERELLA: Ma non si confonda! Mangio di tutto, io! mangio di tutto!
La
questione Š, che qui, mi pare che si mangiano soltanto
chiacchiere!
Dov'Š Grazia! Che fa? che fa?
(Scrolla la tavola).
Che fa?
(Grazia rientra con l'altro servito).
SIGNORA PERELLA: Eccola, eccola, Francesco.
PERELLA (a Grazia): Io voglio esser servito a tamburo!
detto
mille volte che a tavola non voglio aspettare. Da' qua!
T'ho
(Le strappa il bislungo dalle mani con tale violenza, che il
contenuto
sta per rovesciarglisi addosso; balza in piedi, buttando il
bislungo
sulla tavola e rompendo,
se c…pita, qualche piatto e
qualche
bicchiere).
Ah, perdio! Come lo porgi?
GRAZIA: Se lei me lo strappa!
PERELLA: E tu me lo rovesci addosso,
animale?
- Mangiate voi!
-
Non
voglio pi— mangiare!
Fa per avviarsi alla sua camera.
PAOLINO (correndogli dietro): No,
guardi... per carit…,
signor
capitano...
SIGNORA PERELLA (correndogli dietro anche lei): Pensa, pensa
che
abbiamo un ospite a tavola, Dio mio, Francesco.
PERELLA (a Paolino): Mi si fa dannare, caro professore, mi si
fa
dannare in questa casa! Lei vede?
PAOLINO: Io la prego d'aver un po' di pazienza.
PERELLA: Ma che pazienza! Me lo fanno apposta!
SIGNORA PERELLA: Noi cerchiamo di far di tutto per
lasciarti
contento...
PERELLA (notando di nuovo il volto di lei cos•
impiastricciato):
Guarda che faccia... guarda che faccia...
PAOLINO Venga... sia buono... venga... lo faccia per me,
signor
capitano... Sono di confidenza, Š vero, ma... ma dopo tutto, sono
un
invitato...
PERELLA (arrendendosi): Per lei, sa! Mi arrendo per lei! Ma
non
garantisco che arriviamo alla fine!
PAOLINO: No! non lo dica! Speriamo... speriamo che non trover…
pi—
ragione da lamentarsi!
PERELLA: Che vuole sperare! Non mi riesce pi— da anni, a casa
mia,
d'arrivare alla fine del pranzo!
(Rivolgendosi alla moglie:)
E' inutile,
tavola!
oh,
sai,
ripetermi
che
abbiamo
un
ospite a
Quand'io m'arrabbio, professore, deve scusarmi, perdo la vista
degli
occhi e non bado pi— a chi c'Š o a chi non c'Š! Per non fare
uno
sproposito, me ne scappo!
(Durante questa scena, Non•, rimasto a tavola, si sar… pian
piano
accostato alla tavola, si sar… messo ginocchioni sulla seggiola,
e
come un gattino con la zampetta avr… assaggiato il pasticcio,
dalla
parte del cioccolatto.
PERELLA (scorgendolo): Ecco qua! Lo vede? lo vede? Se questo Š il
modo
d'educare il ragazzo!
(Afferra Non• per un orecchio e lo trascina verso l'uscio a destra).
Va' s—bito a letto! s—bito a letto, senza mangiare! s—bito!
(Appena arrivato davanti all'uscio lo spinge dentro col piede).
Via!
(Tornando a tavola).
Ma io non resisto, sa! Non resisto!
mangiare
ogni volta?
SIGNORA PERELLA: Benedetto ragazzo!
Vede come mi tocca di
(A Paolino:)
Non se n'Š mica mangiato poco...
PAOLINO: Ma s•, via... poco... non vede?
un tantino appena appena
di
qua...
PERELLA: Professore,
per carit…, non me lo faccia vedere! Mi viene
la
tentazione di prenderlo e d'andarlo a buttare di l…!
(Fa per prenderlo, indicando la veranda).
PAOLINO (riparando): No! Per carit…! Mi vuol fare
quest'affronto,
signor capitano?
PERELLA: E allora mangiamocelo subito!
PAOLINO: Subito! subito! Ecco, s, bravo! Questa Š una bella
pensata!
E se permettete, taglio io... faccio io le parti, eh? Ecco...
subito
subito!
(Eseguisce).
Alla signora, prima; ecco qua; questa, alla signora, cos•!
SIGNORA PERELLA: Troppo.
PAOLINO: No, che troppo!
(Rivolgendosi al capitano:)
Ora, se permette... badi, dico se permette, perch‚, se non
permette,
niente! in qualit… di professore, solo in qualit… di professore...
PERELLA: Ne vorrebbe dare a Non•?
PAOLINO: Non oggi! ah, non oggi! Lei l'ha castigato, e ha
fatto
benone! Dico, conservargli la sua porzione, se lei permette, badi!
per
domani. Tutta questa bianca! Gliel'avevo promesso in premio,
ecco...
come professore...
PERELLA (battendo con la nocca di un dito sulla tavola, tutto
contento
della freddura che sta per dire): Vede? vede? Non gliel'ho detto,
io,
che il suo metodo Š troppo dolce? Eh, pi— dolce di cos•!
(E scoppia a ridere, lui per il primo).
PAOLINO (ridendo a freddo, mentre la signora Perella gli fa
eco):
Ah... gi…... benissimo... E di questa met… qua, ora, ecco,
facciamo
cos•...
PERELLA: Ma che cos! La d… tutta a me? Ma no!
PAOLINO: La prego! Perch‚ sa? la crema, a me... mi... mi... non
mi...
insomma, non mi... come dico?... ecco, si... mi... mi fa
acidit…,
ecco... acidit… di stomaco... Quanto meno ne mangio, meglio Š...
Lei
ha mangiato poi cos• poco!
PERELLA (mangiando a gran boccate): Buona... buona... Ah,
buona...
buona... buona... buona! Bravo, professore!
PAOLINO: Lei non sa il piacere che mi sta facendo in questo momento!
SIGNORA PERELLA: Ne fa tanto anche a me, quando lo vedo mangiare
cos•
di buona voglia...
PAOLINO: Vuole anche quest'altro pezzo? Guardi, non l'ho
ancora
toccato!
PERELLA: No... no...
PAOLINO: Per me, senza cerimonie... Mi farebbe male, gliel'assicuro!
PERELLA: Ne prendo, se mai, un tantino della porzione di Non•.
Mi
sembra troppa!
PAOLINO: No, guardi, proprio mi fa un piacere,
porzione
mia...
PERELLA: Oh! Se a lei fa male... dia qua!
se prende la
(La prende e mangia anche quella).
Non c'Š pericolo che faccia male a me! Ne potrei mangiare due
volte
tanto, tre volte tanto, non mi farebbe niente!
(Alla moglie:)
Che mi d…i da berci su adesso?
SIGNORA PERELLA: Ma... non so...
PERELLA: Come, non sai? Non c'Š neanche un po' di marsala?
SIGNORA PERELLA: Non ce n'Š, Francesco...
PERELLA (infuriandosi apposta, rivolto al signor Paolino, per
piantare
al solito la moglie e andare a chiudersi in camera): Ha
visto?
S'invita uno a tavola e non si prepara neanche un po' di marsala!
PAOLINO: Oh, sa, se Š per me...
PERELLA: Ma Š per la cosa in se stessa! per tutto quello che manca
di
previdenza, d'ordine, di buon governo a casa mia! La signora pensa
a
lisciarsi!
SIGNORA PERELLA (ferita): Io?
PERELLA: Ah no? Lo negheresti?
SIGNORA PERELLA: Ma Š la prima volta, Francesco...
PERELLA (afferrando la tovaglia, strappandola gi— con tutto quello
che
vi sta sopra e balzando in piedi): Ah, perdio!
PAOLINO (spaventato): Capitano... capitano!
PERELLA: Osa rispondermi, perdio!
SIGNORA PERELLA: Ma che ho detto?
PERELLA: E' la prima volta? Sia l'ultima, sai! Perch‚, tanto, con
me,
Š inutile! Non mi pigli! non mi pigli! non mi pigli! Piuttosto
mi
butto dalla finestra! Va' al diavolo!
(Corre, cos• dicendo, verso l'uscio della sua camera,
caccia
dentro, e si sente il rumore del paletto, che sar… bene
esagerare
grottescamente).
SCENA SETTIMA.
si
PAOLINO, la SIGNORA PERELLA e GRAZIA.
(Restano tutti e due, come basiti, a guardarsi un pezzo,
nella
crescente penombra. Entra Grazia dalla comune, vede lo scompiglio
per
terra, e scuote in aria le mani, tentennando il capo).
GRAZIA. Al solito, eh?
SIGNORA PERELLA (risponde appena al tentennio del capo, poi dice):
No,
vai, Grazia. Sparecchierai domani...
(Accenna all'uscio della camera del marito).
Non far rumore...
GRAZIA: Accendo?
SIGNORA PERELLA: No, lascia... lascia...
GRAZIA (ritirandosi): Ogni volta, cos•!
(Esce per la comune).
SCENA OTTAVA.
DETTI meno GRAZIA.
(Si avviva a poco a poco sempre pi— dalla finestra aperta
della
veranda un raggio di luna, che investe principalmente i cinque
vasi
del portafiori tra i due usci laterali di sinistra).
SIGNORA PERELLA: Hai sentito? Dice che piuttosto si butterebbe
dalla
finestra!
PAOLINO: Eh! Aspetta! Bisogna aspettare!
SIGNORA PERELLA: Tu ci speri? Io non ci spero, no, Paolino...
PAOLINO: Mi hanno detto tutt'e due i fratelli di non dubitare...
di
star sicuro!
SIGNORA PERELLA: S•. Ma io dico per lui! Non lo conoscono! Non
lo
conosci neanche tu, Paolino! Piuttosto davvero si butterebbe
dalla
finestra...
PAOLINO: Oh, senti... Se tu vai incontro alla prova con
quest'animo...
SIGNORA PERELLA: Io? Io sono qua, Paolino. Aspetto... aspetter•
tutta
la notte.
PAOLINO: Ma devi aspettar con fiducia!
SIGNORA PERELLA: Ah, no, credi, invano.
PAOLINO: Ma bisogna che tu la abbia,
almeno,
un po' di fiducia!
Pu•
giovare, credi, se ne hai, ad attirarlo! S•! s•! Io credo nella
forza
dello spirito! E tu devi averne! devi averne! Pensa che, se no,
c'Š
l'abisso aperto per noi! Io non so che faccio, non so che
faccio
domani! Per carit…, anima mia!
SIGNORA PERELLA: Ma s•... ecco... vedi? io mi metto qua... cos•...
(Siede su un seggiolone a braccioli, antico, rivolta verso
l'uscio
della camera del marito, in modo che se questi aprisse, se
la
troverebbe davanti,
in atteggiamento di ®Ecce Ancilla
Domini¯
circonfusa nel raggio di luna.
PAOLINO: S•... s•... ecco... cos•... Oh santa mia! Io ti prego,
ti
prego di farmi trovare un segno domani, domani all'alba. Questa
notte
io non dormir•. Verr• domattina all'alba, davanti alla tua casa. Se
Š
s•, fammi trovare un segno; ecco, guarda, uno di questi vasi di
fiori
qua, alla finestra della veranda l…, perch‚ io lo veda dalla
strada
domani all'alba. Hai capito?
(Rester… un momento nell'atteggiamento dell'Angelo
annunziatore,
col
vaso in mano,
nel quale sar… un giglio gigantesco. S'udr… friggere
il
riflettore che manda il raggio di luna).
SIGNORA PERELLA: Io sono qua. A domani, Paolino!
PAOLINO: Cos• sia!
TELA.
ATTO TERZO.
La stessa stanza dell'atto precedente. E' l'alba del giorno
appresso.
Sul davanzale della finestra, nella veranda in fondo, nessun vaso
di
fiori. Sono ancora per terra la tovaglia e la suppellettile da
tavola
rovesciate dal Capitano Perella.
SCENA PRIMA.
GRAZIA, poi il MARINAJO.
(Al levarsi della tela, Grazia, tutta scarduffata, con
l'occorrente
per la pulizia, Š curva a raccogliere i cocci del vasellame rotto e
i
piatti, i bicchieri rimasti sani, che poser… a mano a mano
sulla
tavola. Raddrizzandosi di tratto in tratto, si stirer…, contraendo
il
volto,
per
significare
che ha tutta la persona
indolenzita,
segnatamente le reni; protender… allora una mano a pugno chiuso
in
direzione dell'uscio della camera del Capitano e borbotter…
qualche
inintelligibile imprecazione).
GRAZIA: Guardate qua...
guardate
qua
che
rovina!
piatti...
bicchieri... E tutto insozzato! Povera tovaglia! Neanche una
stalla
sarebbe per lui! Il porcile... il porcile, per lui! Ah, manco
male...
una bottiglia Š sana...
(Raddrizzandosi).
Ahi,
ahi,
ahi! Non mi reggo pi— su le reni... Sfasciate... ahi,
ahi!
ahi... spezzate...
(Suono di campanello alla porta).
Chi sar…?..
(Avviandosi per aprire).
Ahi, ahi, ahi...
(Gesto verso la porta del Capitano,
un borbottamento,
ed esce per
la
comune. Poco dopo rientrer… in scena col Marinajo).
GRAZIA: Ma se vi dico
MARINAJO: E allora il
GRAZIA: Che ne so io,
MARINAJO: Ma s•, che
che la signora non m'ha lasciato nulla per voi!
Comandante non riparte oggi?
se riparte o non riparte?
deve ripartire oggi! E la roba, la signora,
deve
averla preparata jersera.
GRAZIA. Jersera, s•! Aveva proprio testa da pensare a
la
roba, jersera.
preparar
MARINAJO: Gran putiferio?
GRAZIA: Il diavolo a quattro!
MARINAJO: Uh, e ha rovesciato tutto, al solito?
GRAZIA: Questo solo? Cose... cose dell'altro mondo! cose, vi dico,
che
non si sono mai n‚ viste n‚ sentite!
MARINAJO: Ah s•? Che ha fatto? che ha fatto?
GRAZIA: Che ha fatto!? Ha fatto che...
MARINAJO: Dite, dite...
GRAZIA (facendo gli occhiacci): Non lo so!
MARINAJO: Maltratti alla signora, mi figuro! sgarbi al ragazzo! Se
l'Š
presa anche con voi?
GRAZIA (lo guarda, sta per dire chi sa che cosa; ma taglia
corto):
Lasciatemi, lasciatemi fare qua...
MARINAJO: Anche con voi? Eh! a chi i confetti e a chi i dispetti!
Da
una parte le piglia e dall'altra le d…!
GRAZIA. Che d…? che piglia?
MARINAJO: Le piglia! le piglia!
(Fa cenno di busse con la mano).
Ah,
se le piglia!
Da quell'altra - a Napoli.
- Qua fa il lupo;
con
quell'altra, invece, Š pi— mansueto d'un agnellino!
GRAZIA. Ma che agnellino!
(Avviandosi per aprire. Piano, con gli occhiacci:)
Un majalone Š! ecco quello che Š!
MARINAJO: S•, va bene; ma quella l• lo sa far stare a dovere.
Lo
so
io! Fin da quando ero imbarcato al suo servizio. Ci sono andato
poche
volte io, in casa di quella signora! Tutti i giorni, fin tanto che
si
stava a Napoli. E ho assistito a certe scene! Ma al contrario,
le
faceva lei a lui! Un donnone, se vedeste! Due quintali! E brutta,
oh!
Certi occhiacci... Ma chi sa come gli sembrer… bella, a lui!
Una
rovina, poi! Un figlio all'anno! Glien'avr… fatti altri cinque,
sei...
da allora!
GRAZIA: Com'Š? giovane?
MARINAJO: Giovane, giovane... Dev'essere ancora giovane, sotto
la
trentina...
GRAZIA. Ah! E non gli basta?
MARINAJO: A chi? a lei?
GRAZIA: Dico a lui! dico a lui!
MARINAJO: Ah... perch‚ ha qui anche la moglie, volete dire?
GRAZIA: Che moglie e moglie! Non la guarda nemmeno la moglie!
MARINAJO: E allora? OhŠ! Ne sapreste forse qualche cosa anche voi?
GRAZIA: Lasciatemi sbrigare qua, v'ho detto!
MARINAJO (ride): Ah! ah! ah! ah! Sarebbe da ridere...
GRAZIA: Insomma, ve n'andate?
MARINAJO: S, vado, vado. Ritorner• pi— tardi... Ma avvertitela
la
signora, che son venuto per la roba... che la prepari...
rivederci,
eh?
GRAZIA: A rivederci:
A
(Il marinajo esce per la comune. Grazia ritorna a cercar tra le
pieghe
della tovaglia per terra qualche piatto o bicchiere rimasto sano
e,
trovandone qualcuno e levandosi per posarlo sulla tavola, rif…
il
gesto per esprimere l'indolenzimento delle reni. Si sente poco dopo
grottescamente di nuovo esagerato - il rumore del paletto
tratto
dall'uscio della camera del Capitano).
SCENA SECONDA.
DETTA e il CAPITANO PERELLA.
GRAZIA: Eccolo qua, che esce dalla gabbia, la belva!
(Il Capitano vien fuori, tutto ammaccato dal sonno,
occhi
pesti e un umore pi— che mai bestiale).
PERELLA (scorgendo
Grazia
per
terra):
Ah...
tu,
con gli
cost•?
chi
parlavi?
GRAZIA: Col marinajo, parlavo...
PERELLA: E' andato via?
GRAZIA: E' andato via.
PERELLA: E che era venuto a fare, a quest'ora?
GRAZIA: Era venuto per la roba da portare a bordo.
(Pausa).
PERELLA. E tu non sai augurare il buon giorno al tuo padrone?
GRAZIA: Gi…! Per giunta! Eccolo qua, il mio buon giorno!
(Indica i cocci per terra).
PERELLA: Lo fai adesso, codesto servizio? Che hai fatto tutto
jersera?
Con
GRAZIA (gli lancia una lunga occhiataccia,
servizio
senza rispondere).
PERELLA: Rispondi!
poi torna al suo
(Le viene innanzi, minaccioso).
GRAZIA (si leva, lo guarda di nuovo,
poi dice): Lo domanda a me,
che
ho fatto?
(Breve pausa).
Lei strappa; lei rompe; lei
(sottolineando in modo ambiguo)
obbliga la gente a servizi, a cui non Š tenuta...
PERELLA: Io voglio subito il caffŠ!
GRAZIA: Ancora non Š pronto.
PERELLA (facendosele sopra con la mano levata): Ah, cos• mi rispondi?
GRAZIA (sfuggendo): Non mi s'accosti! non mi tocchi o grido, sa!
PERELLA: Vai subito a preparare il caffŠ! Non sai che voglio
trovarlo
pronto, appena mi alzo dal letto?
GRAZIA: Potevo difatti immaginare, che proprio questa mattina lei
si
dovesse levare all'alba... dopo che...
PERELLA: Insomma! La finisci di rispondere? Vai subito per il caffŠ!
GRAZIA: Vado... Vado...
(Via, per l'uscio a sinistra).
SCENA TERZA.
Il CAPITANO PERELLA, solo, poi il SIGNOR PAOLINO e GRAZIA.
PERELLA (tentennando il capo): Ma guarda un po'!
(Con
la faccia pi— che mai aggrondata e disgustata,
gli occhi cupi
e
truci, sta un po' a pensare; poi sbuffa, poi si brancica gli
abiti
addosso, smaniosamente, e accompagna l'atto con una specie di
rugghio
bestiale nella gola, scrolla il capo e va un po' per la stanza.
Ha
caldo! ha caldo! si sente soffocare! Va alla veranda, s'affaccia
alla
finestra in fondo, guarda il mare e trae un ampio respiro; poi
finge
di guardare in gi— nella strada e di scorgervi il signor Paolino,
fa
un atto di sorpresa e si china a parlare).
PERELLA: Oh - buon giorno, professore! E come,
fuori a quest'ora?
da
queste parti?
(Tendendo l'orecchio:)
Che?...
- Gi…,
gi…...
- anch'io... Un po' d'aria...
Questo
venticello... s•. Delizioso. - Vuol venir su? Venga, venga...Le
offro una tazza di caffŠ... - S•, bravo, venga!
(Rimane ancora un po' sulla veranda; poi viene incontro al
signor
Paolino, che entra per la comune con una faccia da morto ansiosa,
gli
occhi lividi, lampeggianti di foll•a, come se, non avendo trovato
il
segno sulla veranda, avesse deciso di commettere un delitto).
PERELLA:
PAOLINO:
PERELLA:
PAOLINO:
Ih, che sveltezza! E' salito di corsa?
S•. Mi dica. Ha visto che tornavo dallo Scalo?
L'ho vista col naso in su, che guardava qua, da me.
Si. Ma ero di ritorno. Sono arrivato fino allo Scalo.
passare
davanti la sua casa,
Nel
la prima volta.
andando,
c'era gi—
che
caduto,
un
crocchio di gente che gridava.
- Dica un po':
sia
per
caso, dalla finestra l…, della veranda, qualche vaso di fiori?
PERELLA (stordito): Vaso di fiori? Gi— nella strada?
PAOLINO: S• - da quella finestra!
PERELLA: Ma no... Ch'io sappia...
PAOLINO: No?
PERELLA: Io non so di vasi... - Ma perch‚?
PAOLINO: Perch‚ mi parve di vedere gi—, sotto la finestra, tra
quel
crocchio di gente che gridava,
un mucchio,
non so...
di
cocci
per
terra; e
PERELLA:
PAOLINO:
affacciato?
PERELLA:
ho immaginato che gridasse per questo.
Io non ho inteso nulla.
Non c'era proprio nessun vaso la, quando lei si Š
Nessuno... Eccoli l…, i vasi
(indica il portafiori)
- tutti e cinque.
PAOLINO: Sono stati sempre cinque?
PERELLA: Cinque, s. Non vede? non c'Š posto, qua, per altri vasi.
PAOLINO (quasi tra s‚, addolorato, friggendo): E allora...
allora...
niente...
PERELLA (squadrandolo): E come? Oh bella! Pare che lei sia dolente
che
non sia caduto davvero nessun vaso.
PAOLINO (subito, riprendendosi): No; io? che! - E' che... che
m'ero
figurato che... che dovesse esserci, quel vaso... ecco!
PERELLA: Perch‚ la gente gridava sotto?
PAOLINO: Gi…... Sa com'Š, quando uno s'immagina una cosa? L'ho
creduto
proprio come una realt…, passando e sentendo gridar quella gente.
®C'era un vaso - mi son detto - alla finestra l… del capitano, e
sar…
caduto...¯
PERELLA: Ma no! che vaso! E' curioso che io di l… non ho
sentito
affatto gridare gi— in istrada.
PAOLINO: Non ne parliamo pi—! - Ma scusi, lei...
(E s'interrompe
segno
impressionante).
come
se
gli
notasse
in
faccia
qualche
PERELLA (turbato, non comprendendo): Io... che cosa?
PAOLINO: S•, dico... lei...
(E s'interrompe
faccia
ammaccata).
di
nuovo
per spiarlo pi— intensamente nella
PERELLA: Che cosa? - Oh sa che lei ha un curioso modo di guardarmi?
PAOLINO: No, niente... Perch‚... perch‚ la vedo... s•, la vedo...
PERELLA: Come mi vede?
PAOLINO: Niente... no... Vedo che... che si Š levato per
tempo,
ecco...
PERELLA: Gi…, ma anche lei, mi pare, - molto prima di me, se Š
gi…
fuori di casa a quest'ora, ed Š arrivato fin allo Scalo.
PAOLINO: S•... mi... mi... mi son difatti levato anch'io per tempo...
PERELLA (lo guarda e scoppia a ridere): Ah! ah! ah! ah! Ma
com'Š
strano lei questa mattina!
PAOLINO: Sono un po' nervoso...
PERELLA: E s'Š fatta una passeggiatina al fresco? - Fa bene,
fa
bene... igienico, igienico passeggiare di buon mattino!
PAOLINO: Igienico, gi…!
(Tra s‚, appena il Capitano si volta:)
(Io l'uccido! Parola d'onore, io l'uccido!)
PERELLA: Non c'Š di meglio, quando uno Š nervoso... Fuori,
all'aperto,
svaporano tutte le ubbie.
PAOLINO: Difatti, s•... Non... non ho dormito bene, questa notte e...
PERELLA: Ah! Neanche lei? - Non me ne parli!
PAOLINO (contento, ansioso): Non... non ha dormito bene,
dunque,
neanche lei?
PERELLA (con rabbia): Non ho dormito affatto, io!
PAOLINO (con ansia crescente): Ah... - e...?
PERELLA: Che cosa?
PAOLINO: S•, dico... vedo... - guardavo or ora, difatti, che lei
Š
molto sbattuto... un po'... s•... un po' pesto, ecco.
PERELLA (come sopra): Se non ho chiuso occhio, le dico!
Una
nottataccia d'inferno! Il caldo, forse... io non so!
PAOLINO: Caldo, gi…... ha fatto un gran caldo, un gran caldo,
questa
notte...
PERELLA: Da impazzire!
PAOLINO: E si sar…... si sar… alzato di letto, forse?
PERELLA (lo guarda, poi): Anche, s•...
PAOLINO: Eh, me lo immagino! Quando... quando il letto comincia
a
scottare... Col caldo... l•
(indica la sua camera)
le... le sar… parsa un forno, quella sua camera, suppongo!
PERELLA: Un forno! un forno, proprio!
PAOLINO: E ne sar… uscito, no? m'immagino...
PERELLA (torbido, dopo averlo guardato un po ): S•... difatti...
ne
sono uscito un po'... perch‚...
pareva
proprio di soffocare...
- perch‚ a un certo punto,
mi
(Vedendo entrare Grazia con un vassojo, su cui Š una tazza di caffŠ:)
Ah,
ma ecco qua il caffŠ...
Brava, Grazia... - Ma come! ne porti
una
tazza sola? - E per il signore?
GRAZIA (aggrondata, sgarbatissima): E che ne so io, se debbo
portargli
o non debbo portargli il caffŠ, se nessuno me lo ordina?
PERELLA: Non rispondere cos, ti ho detto! C Š bisogno che ti
si
ordini? Ma guarda un po' che confidenza osa prendersi!
GRAZIA
(facendo
gli
occhiacci
e
masticando):
Confidenza...
confidenza... Sono io che mi piglio, ora, la confidenza; Š vero?
PERELLA: E' impudente questa donna! Bada che ti caccio via su
due
piedi, sai?
GRAZIA. Mi caccia? Chi caccia? Badi lei piuttosto, che io
posso
mettermi a gridare, e se mi metto a gridare quello che lei ha
fatto...
PAOLINO (quasi tra s‚, basito, all'orribile sospetto che gli
balena,
guardando ora il Capitano, ora la serva): Oh Dio... Oh Dio...
possibile?
PERELLA: Professore, ma la sente!
PAOLINO: Sento, vedo... s•...
PERELLA (a Grazia, per troncare, sulle furie): Vai a prendere
subito
un'altra tazza di caffŠ!
(A Paolino).
Ecco, lei prenda questa, professore...
(Gli offre la tazza).
PAOLINO: No... grazie, no!...
(A Grazia:)
Non... non v'incomodate...
PERELLA: Ma che incomodarsi! - Prenda!
PAOLINO: Grazie, le dico! no! proprio non ne desidero.
- Mi...
mi
farebbe male...
PERELLA: Ma che male!
(A Grazia:)
Vai a prendere l'altra tazza!
PAOLINO: Sono eccitato, capitano,
per
carit…!
Sono
eccitato...
eccitato; nervoso!
GRAZIA. Insomma - s•? - no?
PERELLA: Vai al diavolo!
(Grazia,
sulle
furie,
se
ne va,
e allora,
gridandole dietro
fino
all'uscio)
E smetti codeste arie, sai? - Se no, te le faccio smettere io!
PAOLINO: Sfido: scusi; se si d…... se si d… troppa confidenza a
una
serva...
PERELLA: Non si dovrebbero tenere troppo in casa, le serve, ecco!
PAOLINO: Ma mi faccia il piacere! No! quando si sanno tenere al
loro
posto... che non abbiano a prendere arie da padrone...
PERELLA (stupito dall'aria indignata che assume il signor
Paolino):
OhŠ, che dice, professore?
PAOLINO (frenandosi a stento): Dico che... che... sono...
sono
meravigliato, ecco... sono veramente... non so come dire...
stupito...
PERELLA: Dell'arroganza di questa donna?
PAOLINO: Gi…! E che lei...
PERELLA: Che io?
PAOLINO: Che lei...
s•,
la possa sopportare!
Mi... mi
pare
incredibile, che vuole che le dica! Inverosimile, ecco:
inverosimile,
arrivare... Dio mio... arrivare fino a questo punto! - Possibile?
PERELLA (lo guarda, torbido, poi, abbassando gli occhi): Gi…... Š...
Š
enorme!
PAOLINO: E' enorme!
(Pausa).
PERELLA (quasi umile): Ma non glie l'ho detto il perch‚?
troppo
tempo per casa!
E' da
(Arrabbiandosi:)
La colpa Š di mia moglie!
PAOLINO (scattando e subito frenandosi): Ah, s•? anche? ne ha
colpa
sua moglie?
PERELLA: Sissignore, sissignore! Che me la tiene ancora tra i
piedi!
perch‚ ha visto nascere Non•! perch‚ sa gli usi di casa! per
il
diavolo che se li porti via tutti quanti!
PAOLINO (friggendo): Ma scusi, e lei per questo...?
PERELLA: Che, per questo? Oh, insomma, sa che lei, professore,
mi
assume certe arie che io non tollero?
PAOLINO: No, Š che... scusi, mi... mi pare troppo, ecco, che
per
questo lei debba pigliarsela con la sua signora.
PERELLA: Me la piglio con tutti, io! Perch‚ Š una disperazione
questa
maledetta casa per me! - Vi' soffoco, vi soffoco! Maledico sempre
il
momento che vi rimetto i piedi! Neanche dormire quieto vi posso!
Sar…
stato anche il caldo... Una smania... E quando io non dormo,
sa?
quando non riesco a prender sonno, -...arrabbio, arrabbio...
PAOLINO: Gi…...
ma che colpa,
scusi... che... che colpa ci hanno
gli
altri, scusi?
PERELLA: Di che?
PAOLINO: Eh... se dice che s'arrabbia... Con chi si arrabbia?
con
chi
se la piglia, se fa caldo?
PERELLA: Con me, me la piglio! me la piglio col tempo! e me la
piglio
anche con tutti, sissignori! Perch‚ io voglio aria! aria! io
sono
abituato al mare!
(Poi, calmandosi:)
E la terra,
caro professore,
specialmente d'estate,
la terra non
la
posso soffrire - la casa... le pareti... gli impicci... le donne...
PAOLINO: Anche... anche le donne?
PERELLA: Prima di tutto le donne! Del resto, le donne, con me... Sa?
Si viaggia... si sta tanto tempo lontani...
- Non dico ora,
che
sono
vecchio...
Ma quando ero giovanotto...
Le donne...
Ci ho avuto
per•
sempre questo di buono,
quando
non voglio, non voglio
io - che quando voglio,
voglio...
ma
(Ride orgogliosamente).
Il padrone sono restato sempre io!
PAOLINO: Ah, sempre?
(Tra s‚:)
(L'uccido! l'uccido!)
PERELLA: Sempre che ho voluto,
s'intende!
- Lei no, eh? Lei forse
si
lascia prendere facilmente?
PAOLINO: Lasci star me, la prego!
PERELLA (ride torte): Ah! ah!
ah!
ah!
-
Un
sorrisetto...
una
mossetta...
PAOLINO (friggendo): La prego, capitano. La prego...
PERELLA (con altra risata): Eh! eh! eh! - Me lo figuro... me lo
figuro
come deve essere con lei... - Un'aria umile... vergognosetta...
Dica, dica la verit…, eh?
PAOLINO: Per carit…, smetta, capitano... sono veramente nervoso...
PERELLA (ride ancora): Pieno... pieno di scrupoli ideali deve
esser
lei in amore... - Dica la verit…!
PAOLINO (scattando): Ebbene!
vuole che le dica la verit…? E allora
le
dico che io, se avessi moglie...
PERELLA (scoppia a ridere di nuovo pi— forte): Ah! ah! ah! ah!
PAOLINO (perdendo ogni freno): Non rida, per Dio! Non rida!
PERELLA: Ma perch‚ si adira cos•? Ah! ah! ah! ah! Come
c'entrano
adesso le mogli, scusi? Noi stiamo parlando delle donne...
PAOLINO: E che non sono donne, le mogli? Che cosa sono?
PERELLA: Ma saranno anche donne... qualche volta... s•...
PAOLINO: Ah... qualche volta, s•! Lo... lo ammette dunque, che
qualche
volta il marito deve pur considerarla come una donna, la moglie!
PERELLA: Certo, s•! certo! Ma non abbia paura che ci pensa lei,
la
moglie, a farsi considerar come donna da altri, se suo marito se
ne
dimentica!
PAOLINO: Un marito saggio, dunque, non se ne dovrebbe mai
dimenticare!
PERELLA: Ma s! Ci penser… lui, a questo! Lei, intanto, non ne
ha,
caro professore; e io le auguro per il suo bene di non averne mai!
PAOLINO (irritatissimo, cercando il pretesto per litigare): Ma
questo
Š in contraddizione con ci• che lei ha detto or ora di me!
PERELLA: Che cosa ho detto?
PAOLINO: Che io sono pieno di scrupoli... non so quali...
PERELLA (stordito): Ah, lei desidera allora di prender moglie?
PAOLINO: No! Non dico questo! Dico che lei s'inganna sul conto mio!
PERELLA: M'inganno?
PAOLINO:
Sissignore!
E
commette
anche la pi— crudele
delle
ingiustizie!
PERELLA: Verso chi? Verso lei? Verso le mogli?
PAOLINO: Verso le mogli, sissignore!
PERELLA: Lei le difende?
PAOLINO: Le difendo, sissignore!
PERELLA: Ah! ah! ah! ah! - Le difende... - Sa perch‚ le difende
lei?
Perch‚ non ne ha! E si serve - ci scommetto - di quelle degli
altri...
- Ecco perch‚ le difende!
PAOLINO: Io? Io? Lei dice questo a me? osa dire questo a me? Lei?
PERELLA (richiamandolo costernato): Professore!
(E lo richiamer… cos• altre volte durante la battuta seguente,
sempre
pi— costernato).
PAOLINO: Lei m'insulta!
Sono un uomo onesto,
io!
Sono
un
di
coscienza, io! Sono un uomo, per sua regola, che si pu• anche
trovare,
uomo
s• - senza volerlo, - in una situazione disperata. S!, ma non Š
vero,
non Š vero che vorrei servirmi delle mogli degli altri! Perch‚
se
fosse cos•, non le avrei detto, come le ho detto or ora, che un
marito
non dovrebbe mai trascurare la moglie! E le aggiungo ora, che
un
marito che trascura la moglie, per me, commette un delitto! e non
uno
solo! pi— delitti! S, perch‚ non solamente costringe la moglie che
pu• anche essere una santa donna - a venir meno ai suoi doveri
verso
se stessa, verso la sua onest…, ma anche perch‚ pu• costringere
un
uomo, un altro uomo, ad essere infelice per tutta la vita! S•!
s•!
legato a soffrire di tutto il martirio di quella povera donna! E
chi
sa! chi sa! Ridotto all'estremo limite della sua sofferenza, anche
la
libert…, la libert… pu• perdere, quest'uomo! glielo dico io,
glielo
dico io, signor capitano!
(Il signor Paolino dir… tutto questo con foga man mano
crescente,
facendosi quasi sopra al Capitano, che lo ascolta sbalordito. Pare,
a
un certo punto, che il signor Paolino debba da un momento
all'altro,
trarre un'arma dalla tasca e uccidere il Capitano. Si schiude
allora
l'uscio a destra e compare la signora Perella, atterrita,
disfatta,
con tutta la truccatura andata a male sulla faccia squallida. Non
ha
forza n‚ di muoversi n‚ di parlare).
SCENA QUARTA.
La SIGNORA PERELLA e DETTI.
SIGNORA PERELLA: Oh Dio... che cos'Š? che cos'Š?
PERELLA: E chi ne capisce nulla? Il professore qua Š montato su
tutte
le furie, discutendo delle mogli e dei mariti...
PAOLINO: Ma perch‚ io dicevo...
SIGNORA PERELLA: Calma! Calma! Per carit…... Non dica... non dica
pi—
nulla, professore... Guardi, piuttosto... - mi ajuti...
(S'avvicina al portafiori e fa per prendere un vaso)
...m'ajuti, la prego...
PAOLINO (raggiante): Ah... s•?
(Prende il vaso).
Questo vaso? Vuole, vuole che lo porti alla veranda?
SIGNORA PERELLA: S•... ma lo dia a me, questo... lo porto io...
Ne... ne prenda un altro lei... Se non se n'ha a male...
PAOLINO (restando e facendosi brutto): Un altro? A male
io?
Ma
che
dice? Fe... felicissimo!
SIGNORA PERELLA: E allora... la prego...
(Va a collocare il vaso sul davanzale della finestra sulla veranda).
PAOLINO: Ecco... ecco...
(Eseguisce).
Lo mettiamo qua?
(Lo posa accanto al primo).
Cos•?
SIGNORA PERELLA: S•, grazie...
(E seguita per suo conto a prendere e a portare al davanzale il
terzo
e il quarto vaso mentre Paolino, pieno di sdegno e di sarcasmo,
si
precipita ad abbracciare il Capitano che guarda sbalordito).
PAOLINO: Ah! Mi scusi, mi scusi tanto, caro capitano, mi scusi!
PERELLA: E di che?
PAOLINO: Ma di tutte le bestialit… che poc'anzi mi sono scappate
di
bocca! Ero cos nervoso! Ma Š stato uno sfogo, che mi ha
tanto
giovato! M'Š passato tutto... Sono contento ora... tanto
contento...
Mi scusi e grazie, grazie, signor capitano! Con tutto il
cuore!
Guardi, l…... che azzurro... che bella giornata s'Š fatta!
(e quei... con stupore che Š quasi terrore)
uh! cinque, cinque vasi l…!
SIGNORA PERELLA (che ha il quinto vaso tra le mani,
che contiene
il
giglio,
la
mostrandolo,
vergognosa,
con gli occhi bassi):
Ridanno
vita...
PAOLINO (subito): A una casa,
gi…! Grazie, grazie, capitano! Scusi!
Sono veramente una bestia!
PERELLA (scrollando il capo,
professore,
bisogna essere uomini!
sentenzioso):
Eh,
caro
(E si tocca pi— volte il petto col dito).
PAOLINO:
A
lei Š facile,
la
Virt— in persona!
TELA.
capitano - con una signora come la sua:
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