Bolletino 2008-2009.indd

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Comune di Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro di Documentazione Fotografica nel Comune di Pontedera e nel Territorio della Valdera
Anno 2009
BOLLETTINO pubblicazione periodica delle attività del Centro
a cura di Mario Lupi
Redazione:
Angela Loretta, Anna Vanni, Jonath Del Corso, Mario Lupi, Nancy Barsacchi, Valentina Reino
Testi di:
Africano Paffi, Alessandro Salvini, Andrea Lupi, Angela Loretta, Anna Ferretti, Anna Maria Braccini,
Anna Vanni, Daniela Quirici, Enzo Gaiotto, Jonath Del Corso, Lara Parisotto, Luigi Nannetti,
Mario Lupi, Mario Mannucci, Mario Piatti, Michele Gorini, Nancy Barsacchi,
Sara Taglialagamba, Simone Stefanelli, Valentina Reino
Fotografie di:
Africano Paffi, Alessandro Salvini, Angela Loretta, Antonella Papiro,
Enzo Gaiotto, Eric Perrone, Foto Fatticcioni, Foto Pagni, Marco Bruni, Mario Lupi, Mauro Binci,
Norbert Nengebaner, Simone Salvini
Si ringraziano per il contributo alle ricerche in campo musicale:
Giancarlo Calamai, Michele Gorini, Sauro Lupi,
Ringraziamo gli autori delle foto pubblicate che non siamo riusciti a contattare
©Copyright 2009 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
BOLLETTINO
Presentiamo il quarto numero del Bollettino del Centro
Studi e Documentazione Andrea da Pontedera. La sua pubblicazione avviene di solito a fine anno, mese più, mese
meno, perché realizzata essenzialmente con il contributo
volontario degli Autori che non percepiscono compenso.
Sono infatti la passione e l’impegno civile e culturale che li
spingono a occuparsi dei problemi artistici e a valorizzare
le potenzialità e le personalità del territorio. È un impegno
questo che il Centro Studi, che opera nel campo della Ricerca e Documentazione, si è sempre preso fin dalla sua
nascita. Un occhio di riguardo è sempre stato tenuto anche
per la scuola producendo materiali per la didattica dell’arte,
intervenendo con personale qualificato in varie classi, tenendo lezioni sull’Arte e su Andrea da Pontedera. Il Bollettino è il diario delle nostre attività e delle nostre ricerche; è
anche uno dei pochi canali di cui possiamo servirci per farci
conoscere poiché possiamo contare solo sul contributo finanziario del Comune che non ci permette però di poter intraprendere iniziative importanti. Ci sono comunque molti
cittadini e alcune Istituzioni, sia nel territorio che all’Estero
(Francia, Inghilterra, Russia, U.S.A…) che conoscono la
nostra pubblicazione e ci stimolano a continuare nel nostro
lavoro gravoso ma gratificante.
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
ANDREA PISANO
E L’ASSIMILAZIONE
DELLA LEZIONE DI
GIOTTO E DELL’ANTICO
di Sara Taglialagamba
L
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5
a rivoluzione giottesca apportata alle arti e declinata avrebbe segnato sia la pittura che la
scultura. Infatti è il Ghiberti a scrivere che Giotto fu “dignissimo in tutta l’arte, ancora nell’arte statuaria”.
Giotto si misurò con l’arte statuaria
quando nel 1334 fu nominato capomastro nella costruzione della torre
campanaria di Santa Maria del Fiore.
L’apporto giottesco è rintracciabile
nel complesso programma iconografico che decora il campanile incentrato sul tema escatologico della salvezza dell’uomo grazie al lavoro attraverso le arti meccaniche, le virtù, le
arti liberali, i pianeti e i sacramenti,
che fu certamente ideato in ambito
domenicano. La forte connotazione
ideologica e teologica infatti richiamava l’enciclopedismo medioevale
di Isidoro da Siviglia, Vincenzo de
Beauvis, Tommaso d’Aquino e Brunetto Latini. L’intero ciclo apriva una
visione positiva, escludendo episodi
con una connotazione negativa come
ad esempio la Cacciata dal Paradiso
Terrestre: l’uomo ha dunque la possibilità di riscattarsi grazie al lavoro e
alla fatica, entrambi visti come strumenti di riscatto ed espiazione per
grazia e misericordia divina. La critica propone di assegnare l’elaborazione del progetto a Giotto e l’esecuzione dei lavori a un cantiere di scultori
attivi a Firenze, tra cui il cosiddetto
Maestro di Noè e il Maestro dell’Armatura, all’interno del quale Andrea
Pisano godette di una posizione guida tanto da diventare sovrintendente
dei lavori al Campanile dopo la morte
di Giotto nel 1337 fino al 1348, anno
della partenza per Orvieto. Nei rilievi
che Andrea eseguì per il basamento
del Campanile è possibile rilevare
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
una sempre più consistente influenza
giottesca. Consideriamo le due formelle della Creazione di Eva e dell’Ercole vittorioso su Caco: il nuovo
scarto stilistico seppe tradursi in un
sempre più preciso ed articolato inserimento delle immagini nello spazio,
in una più aggiornata sensibilità descrittiva di sapore quasi lenticolare,
in una sintesi narrativa tagliente e diretta ed in una definizione anatomica
che pienamente recepisce e mette in
pratica la grande lezione dell’antico.
Nella formella esagonale della Creazione di Eva, pendant della formella
gemella con la Creazione di Adamo,
la scena è scandita su due piani: in
primo piano vediamo i corpi sensuali dell’Adamo addormentato, di
cui sono apprezzabili i particolari
realistici del braccio reclinato sotto
la testa e della gamba piegata sotto
a quella superiore salvo il rovesciamento a piatto del tallone, e di Eva
nascente, il cui corpo tradisce già
nelle sue forme appena svelate quella
esattezza anatomica e quel modellato
vibrante delle forme presenti anche
nell’Adamo. Il vero protagonista della formella è il Dio Benedicente che
dona la Vita, raffigurato in scorcio
possente nell’atto di sorreggere la
donna per l’avambraccio: è la presa
del Dio a farsi quasi ricettacolo emotivo dell’evento e si noti con quanta
maestria Andrea seppe risolvere il
particolare del braccio in scorcio. La
pesante veste di cui è ammantato il
Dio, in contrasto con i corpi nudi dei
Progenitori, disvela e si modella grazie al corpo sottostante cadendo in
pieghe leggere. Il lembo della veste
alzato ben inserisce per riequilibrare
la figura reclinata impreziosita dai
particolari lenticolari: l’ammantarsi
della veste in prossimità della vita, il
naturale scoprirsi del braccio benedicente, i preziosi riccioli ondulati e
la conformazione attenta della barba.
Lo sfondo, in secondo piano, è occupato da un Eden rigoglioso parte
integrante dell’Atto della Creazione:
i tre alberelli sullo sfondo, carichi
di fiori e frutta, sono descritti con
un’inedita precisione lenticolare e
con un’attenzione naturalistica di sapore catalogatorio. Dal punto di vista
stilistico si rivela la vibrante intensità
della scena, ricca di chiaroscuri e vicina alla formazione peculiare come
orafo di Andrea di cui aveva dato un
saggio magistrale nella Porta bronzea del Battistero di San Giovanni; i
preziosismi cesellati dei particolari,
che ben si amalgamo con il substrato della pittura fiorentina di tendenza
miniaturistica che permette al nostro
scrittore di indugiare nella compiaciuta descrizione dei fichi e dei fiori
che dona la natura dell’Eden; infine
l’assimilazione della grande lezione
della scultura antica, tanto che è stata
proposta una citazione per l’Adamo
tratta da un sarcofago antico raffigurante scene bacchiche conservato al
Camposanto Monumentale di Pisa e
che dunque Andrea avrebbe potuto
studiare direttamente.
Passiamo all’Ercole vittorioso su
Caco: l’eroe, atteggiato all’antica
grazie alla calcolata ponderatio delle
membra che evoca direttamente antecedenti classici, è raffigurato al centro della composizione inquadrata
entro la formella esagonale. Rispetto
all’iconografia canonica che raffigura l’eroe in media res nell’atto della
stretta marziale di Caco, l’evento si
è appena concluso: Ercole, vestito della pelle di leone e appoggiato
alla clava, è rappresentato in tutta la
sua fierezza di eroe vincitore mentre
Caco è esangue e sconfitto a terra.
Più che come gigante ferino e spietato descritto da Virgilio, il corpo di
Caco quasi inghiottito dall’antro della grotta è il centauro apostrofato da
Dante come colui che fece “cessar le
sue opere biece sotto la mazza d’Ercule” come si legge nel Canto XXV
dell’Inferno. Rispetto alla formella
precedente quello che colpisce è la
massima sintesi evocativa dell’evento: si aboliscono i dettagli accessori e
il paesaggio è evocato solo dall’esile
alberello e dalla montagna, strettamente funzionale alla scena visto che
è l’antro in cui Caco aveva nascosto
il bestiame rubato e quindi elemento narrativo essenziale. L’attenzione
è focalizzata sui due corpi umani:
quello atletico e bellissimo di Ercole
basato sul fiero e potente ancheggiamento, potenziato dal delizioso gesto
della mano nascosta e appoggiata sul
fianco, dalla presa sicura della clava,
dal ricadere soffice in pieghe inviluppate della veste di pelle di leone
Giotto di Bandone,
Cristo benedicente fra
San Giovanni Evangelista,
la Vergine,
San Giovanni Battista,
San Francesco d’Assisi.
North Carolina, Museum
of Art, Kress Collection
(Samuel H. Kress).
Esposto alla mostra
L’eredità di Giotto presso
gli Uffizi nel 2008
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
ed infine dal trattamento prezioso e
cesellato della barba, oltre che dall’evidente consapevolezza anatomica; quello esangue e rilasciato di
Caco con la testa reclinata all’indietro, il braccio rilasciato
ormai privo di vita e
di quella ferinità che possedeva
in vita, il torso
potente che si fa
scandaglio spaziale suggerendo
verosimilmente la
profondità della
grotta grazie alla
sua posizione di
scorcio. In
parti-
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In questa pagina alcune
delle formelle di Andrea
da Pontedera:
La creazione di Adamo,
La creazione di Eva,
Ettore vittorioso su Caco
colare la posizione isolata
di Ercole potrebbe essere finalizzata ad esaltarne
la
condizione
presentandosi,
forse per la prima volta, come
exemplum fiorentino per eccellenza: è l’eroe
che ha liberato la terra
dai mostri e quindi che permette di ripristinare l’ordine sociale necessario al progresso civile
(non a caso la formella che segue è
l’Agricoltura, simbolo della produttività dell’umanità). Dal punto di vi-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
sta stilistico si registra dunque una
sterzata: il ductus si fa più lineare
perché capace di sbalzare le forme in
maniera più netta e precisa rispetto
alla porta bronzea dove invece predominavano preziosità orafe e modellato pittorico, caratteristiche della prima fase fiorentina di Andrea.
Rispetto alle altre formelle, grazie
al progressivo contatto e all’influsso
della pittura plastica e monumentale
di Giotto, Andrea potenzia sempre di
più l’aspetto eroico, lo spazio compositivo, la resa plastica e l’effetto
monumentale. Si provi a paragonare
le due formelle e il Polittico Raleigh
conservato nella Kress Collection
del North Carolina Museum of Art:
si può notare il perfetto inserimento
dei corpi nello spazio, la descrizione
psicologica di ogni personaggio e la
casistica dei gesti naturali e realistici. Valga la pena di apprezzare la
bellezza del gesto della Vergine che
sembra pudicamente nascondere la
mano nel prezioso velo ceruleo quasi a pendant della mano di Ercole
che si intuisce celata dietro la pelle
di leone e appoggiata sul fianco riecheggiando la stessa posa e la stessa naturalezza; il gesto benedicente
di Cristo che realisticamente vede
incresparsi e cadere la veste all’altezza dell’avambraccio così come
accade al braccio benedicente del
Dio della Creazione di Eva; infine
la convincente e realistica presa del
vangelo di San Giovanni Evangelista che potrebbe equivalere in quanto a realismo alla stretta del Dio all’avambraccio di Eva ma anche alla
mano dell’Ercole che grava con tutto
il suo peso sopra la mazza. È nei rilievi della torre campanaria di Santa
Maria del Fiore, detta appunto anche
Campanile di Giotto, che la lezione
giottesca è perfettamente assimilata e realizzata grazie allo scultore
Andrea Pisano, guadagnandosi di
diritto quindi il suo posto in quella
che il Ghiberti aveva definito “Arte
statuaria”.
ANDREA DA PONTEDERA
E L’OREFICERIA PISANA
DAL XIV SECOLO ALLA
CONQUISTA FIORENTINA
di Jonath Del Corso
S
ebbene sotto il nome di scultura si possa comprendere
anche l’oreficeria è doveroso
fare però una marcata distinzione fra
le due arti, visto che gli orafi hanno
sempre formato una classe distinta
dal resto dei maestri di scultura in
pietra e marmo, ed essendo totalmente diverso anche il meccanismo
di lavoro e la materia utilizzata. Piuttosto potrà appartenerle in generale
l’arte fusoria e di conseguenza tutti i
lavori non solo d’argento e d’oro, ma
in bronzo e in qualsiasi altro metallo.
Senza dubbio l’oreficeria, come la
scultura, ha una sua matrice unica in
Costantinopoli da dove provenivano
abili maestri. Si veda a tale proposito l’architrave e gli stipiti del portale
maggiore del battistero pisano, i cui
disegni furono poi migliorati dalla
scuola di Nicola e Giovanni Pisano
tra il XIII e il XIV secolo in cui prende avvio una delle più importanti
scuole scultoree capeggiata appunto
dal pugliese Nicola, i cui insegnamenti furono ripresi successivamente dal figlio Giovanni e dalla sua cerchia per poi essere rielaborati da una
delle ultime botteghe pisane del XIV
secolo, quella di Andrea da Pontedera, la quale cominciò a produrre
opere scultoree significative soltanto a partire dal 1342, quando Nino,
insieme al padre, portò a termine il
sepolcro dell’arcivescovo Simone
Saltarelli per la chiesa di Santa Caterina. Ma Il nome di Andrea Pisano,
figlio di Ugolino di Nino da Pisa, era
già ben noto alle cronache artistiche
prima del 1342, quando compare già
nei documenti fiorentini attestanti la
commissione della porta bronzea del
battistero di Firenze realizzata negli
anni ’30 del XIV secolo.
Non è facile ricostruire le vicende
che hanno portato a suddetta commissione vista la frammentarietà dei
documenti, ma grazie anche all’aiuto
del Vasari sappiamo che i fiorentini
vollero delle porte di metallo massiccio come quelle della cattedrale di
Pisa di Bonanno, così l’Opera di San
Giovanni vi inviò Piero di Jacopo e
nel gennaio del 1330 Andrea è già all’opera come “maestro delle porte”.
Questo testimonia che i fiorentini non
commissionarono l’opera al primo
capitato, ma sicuramente a chi a Pisa,
dove lo trova Piero di Jacopo, aveva
una bottega ben avviata all’interno
della quale, prima del 1330 e dopo,
non si lavorava soltanto marmo, ma
anche oro e argento, come del resto
testimoniano i documenti in base
ai quali risulta che a Nino, insieme
agli orafi Coscio di Gaddo da Cascina e Simone detto Boschiera, viene
commissionata una tavola d’argento
e successivamente viene pagato per
un altro lavoro di oreficeria. I dati
chiariscono pertanto un periodo di
attività precedente al 1330 quando
dalla bottega di Andrea uscivano lavori in oro e argento che andavano a
decorare gli altari, le cappelle e i tesori delle chiese, tra queste quello di
Santa Maria Maggiore. Gran parte di
questa produzione rimane però anonima, è solamente presente in lunghi inventari che tacciono sul nome
dell’artista. Pertanto, l’attività orafa
di Andrea, cui viene fatto riferimento anche per spiegare alcuni aspetti
della sua produzione scultorea, che
vede implicato anche il lavoro del
figlio Tommaso, basti analizzare i
rilievi, quasi incisi, delle predelle
del dossale d’altare della chiesa di
San Francesco a Pisa, è solamente
ipotizzabile attraverso documenti
certi, tra i quali anche quello che lo
vede autore di un marchio in ferro
per bollare i panni francesi commissionato dall’Arte dei Baldigrai, nonché sulla notizia, forse fantasiosa,
del Vasari secondo cui Andrea, tra-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Riproduzione del manto
della Vergine del Duomo
di Orvieto
(da Cellini 1933)
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mite Giotto, avrebbe inviato al Papa
ad Avignone un crocifisso d’oro, o
più concretamente attraverso una
notizia del 1933 di Pico Cellini il
quale afferma di aver visto ad Orvieto un frammento ancora supersite
dell’arabesco d’oro che decorava il
panno azzurro della Vergine sopra la
porta principale del Duomo.
Unica opera di oreficeria, e ormai
concordata dai più autorevoli storici
dell’arte, è il reliquiario della croce
nel Duomo di Massa Marittima in
lamina d’argento lavorato a cesello
con smalti su entrambe le facce, una
tipologia di crocifisso su doppia faccia riscontrabile anche in pittura. Il
reliquiario presenta alla base, costituita da un insieme di sei spioventi
curvilinei, un’iscrizione sulla quale
compaiono tre nomi: HOC MEUS ET
GADDUS CEUS ANDREASQUE
MAGISTRI – PISIS FECERUNT
ARGENTI AUIRQUE MINISTRI. A
Meo, Gaddo e Ceo forse sono riconducibili gli smalti e i lavori a cesello,
mentre per il Crocifisso a tutto rilievo, dal perizoma goticamente mosso
e dal volto con le chiome finissima-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
mente incise, la paternità è da
attribuire
ad Andrea
Pisano, non
solo perché
il suo nome
è al centro
del
distico leonino,
ma perché
l’affinità
stilistica è
vicina ai rilievi della
porta bronzea ed in
particolare
la testa del
Cristo del
reliquiario
non è lontana da quella del Cristo benedicente
di Firenze. Altre analogie, evidenziate dal Kreytenberg, come la stessa
posizione della testa, la definizione
dei particolari del volto, i folti capelli e la barba sono riscontrabili anche
in una croce astile di Montopoli del
XIV secolo nella pieve dei Santi Stefano e Giovanni Evangelista attribuita ad incerta manifattura toscana, a
conferma del carattere complesso e
composito dell’ambiente produttivo
toscano nel quale lavoravano gli artisti, infatti, la croce sembra essere
rappresentativa di una vasta koinè
che, in tutto il XIV secolo fino alla
metà del Quattrocento, interessò gli
ambienti fiorentino, senese e lucchese-pisano, quest’ultimo legato anche
da vicende politiche.
Vista l’abile arte fusoria raggiunta
da Andrea la letteratura artistica gli
attribuisce anche una serie di campane. Il Da Morrona riporta una notizia
tratta dall’archivio delle Riformagioni di Firenze, in cui si trova più
volte la dicitura Magister Andreas
Campanarius identificato come uno
dei cittadini del quartiere di Chin-
zica, quartiere dove si trovavano i beni di Andrea
Pisano, e più precisamente
nella cappella di San Cristoforo, già San Cristofano, inoltre ci riferisce anche di una scritta che egli
aveva visto sulla campana
grossa di San Martino la
quale, datata 1333, riporta
il nome Andreas come uno
degli autori. Sempre il Da
Morrona riporta la notizia
di un’altra campana per il
campanile di San Francesco a Perugia e infine, viene
attribuita ad Andrea Pisano
una campana per la chiesa
di Iglesias in Sardegna datata 1337, sulla quale sono
presenti gli stemmi di Pisa
e di Arborea e con la seguente iscrizione “A.D.
MCCCXXXVII DUS PETRUS VICES COMES
DE BASSO DEI IGRA
IUDEX ARBOREE ANDREAS PISANUS FE”.
Nei suoi lavori Andrea veniva aiutato sia dal figlio Nino sia da
altri collaboratori tra i quali spicca il
nome di Giglio Pisano. Egli risulta
un personaggio chiave per delineare
i difficili aspetti ed intrecci dell’arte
pisana con quella pistoiese, perché
proprio per Pistoia Giglio Pisano
lavorò alla sua più celebre opera,
la statua di San Jacopo che doveva
stare nel mezzo della tavola pittorica sopra l’altare del duomo pistoiese
alla quale vi si impegnò dal 1349 al
1353 e che il Vasari attribuì erroneamente a Leonardo di ser Giovanni da
Firenze. Una delle componenti dirette della cultura artistica di Andrea
Pisano, probabile maestro dell’orafo
Giglio, era stata individuata anche nello stile del pistoiese
Andrea di Jacopo
d’Ognabene, inoltre
non è da escludere la
Sopra:
recto della croce reliquiario
di Massa Marittima
stessa presenza di Andrea a Pistoia
in quanto gli viene attribuito il progetto architettonico del battistero. I
rapporti e gli scambi che sicuramente vi furono non sono ancora oggi
stati chiariti definitivamente, mancano ancora chiarimenti sulle aree
di confine, tanto che anche verso la
scultura senese Giglio sembra essere
attratto, basti pensare all’arca di san
Cerbone a Massa Marittima, scolpita con finezza e mentalità da Goro
di Gregorio nel 1324, non a caso in
quella Massa Marittima dove Andrea
Pisano realizzò il crocifisso reliquiario precedentemente descritto.
Tra le poche notizie dei documenti
In alto a destra:
Parte superiore
della Croce reliquiario
Incisione sul braccio
verticale attestante
il peso della croce
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Nella pagina successiva:
Maestro dell’Universitas
Aurificum,
Madonna degli Orafi, Pisa
Museo Nazionale
di San Matteo
10
11
Bibliografia:
Alampi M. T., Le pergamene
dell’Archivio di Stato di Pisa
dal 1195 al 1198, tesi di laurea, 1967-1968.
Barsotti R., Gli antichi inventari della cattedrale di
Pisa, Pisa 1959.
Becherucci L., La bottega
pisana di Andrea da Pontedera, in “Mitteilungen des
Kunsthistorischen Institutes
in Florenz”, XI, 1965.
Bertolini L. – Bucci M., Catalogo della Mostra d’arte
sacra dal secolo VI al secolo
XIX, Lucca 1957.
Bonaini F., Intorno alla vita e
ai dipinti di Francesco Traini
e altre opere di disegno dei
secoli XI, XIV e XV, Pisa
1846.
Bonaini F., Statuti inediti
della città di Pisa dal XII al
XIV secolo, I, II e III, Firenze 1875.
Bongi S., Inventario del R.
Archivio di Stato di Lucca,
Lucca 1898.
Brugaro A., L’artigianato
pisano nel medioevo (10001406), in “Studi Storici”, vol.
XVI e XX.
Burresi M., Andrea, Nino
e Tommaso scultori pisani,
Milano 1983.
Calderoni Masetti A. R., Il
reliquiario della croce nel
Duomo di Massa Marittima,
in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in
Florenz”, XXII, 1978.
Calderoni Masetti A. R.,
Smalti traslucidi nella Toscana occidentale, in “Annali
della Scuola Normale Superiore di Pisa, III, vol. XIV, 2,
1984.
Casini B., Inventario dell’Archivio del Comune di
Pisa (secolo XI – 1509), Livorno 1969.
Carli E., Goro di Gregorio,
Firenze 1946.
Carli E., Il Museo di Pisa,
Pisa 1974.
Carli E., L’arte a Massa Marittima, Siena 1976.
Carli E., La pittura a Pisa
dalle origini alla bella maniera, Pisa 1994.
ufficiali relative all’arte degli orafi
pisani notevoli sono i passi contenuti rispettivamente nel capitolo XLV,
libro II del Breve del Comune del
1286 e l’altro nel Capitulum contra hospites del Breve della Curia
Mercatorum del 1305, poiché oltre
a rilevare l’esistenza dell’arte degli orefici e la sua dipendenza dalla
curia dei mercanti, attenendoci alle
parole del testo, dimostrano, fin da
quel tempo, l’esistenza di uno statuto andato purtroppo smarrito. Non
possediamo alcuna notizia che illumini la graduale costituzione della
corporativa degli orafi e lo stesso
non possiamo affermare se prima
fosse fusa con una delle affini corporazioni maggiori, quali quella dei
fabbri, come farebbe pensare l’avere
queste due corporazioni in comune
il Santo patrono, Sant’Alò, storpiatura derivata dalla pronuncia francese di Sant’Eligio, apostolo del Belgio che in gioventù aveva esercitato
l’arte dell’oreficeria. Infatti, anche a
Firenze, fino al 1452, gli orafi erano
accorpati ai fabbri, e lo stesso a Bologna dove l’arte degli orafi, anche
se nata tardi, fece da principio parte
della società dei fabbri.
Una spinta verso la sua organizzazione dovette indubbiamente venire
dall’alto, dai Consoli del Comune i
quali avevano tutto l’interesse di avere di fronte un ente collettivamente
responsabile per i singoli, ente che
era assai più facile tenere soggetto
anziché un numero grande di individui esercitanti indipendentemente gli
uni dagli altri. Inducono a pensare
ciò due eventi: il divieto agli orafi di
lavorare alcuni oggetti di ornamento
che alle donne della città e del contado era rigorosamente proibito indossare e la legislazione sancita contro
i falsificatori di moneta. Il raffinarsi
dei costumi, specialmente delle esigenze della moda femminile, insieme
alla gara dei cittadini di qualunque
grado o condizione, nell’arricchire
di preziosi oggetti di culto il patri-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
monio artistico delle chiese sono da
annoverarsi fra i movimenti che favorirono questa attività artistica. Già
nel lamento accorato di Cacciaguida
troviamo un’alta testimonianza dell’eccessiva importanza che fin da
quel tempo i monili preziosi avevano
preso nell’abbigliamento muliebre,
contro la quale la stessa autorità non
tardò a porre dei freni. Gli stessi divieti del breve del 1286 sono ripetuti
nello statuto del 1313-1317, nel 1349
quando era Podestà Francesco di
Ugolino da Gubbio e sotto la dominazione fiorentina quando le autorità
tornarono sull’argomento inserendo,
il 29 febbraio del 1455, negli Statuti un capitolo che regolava il lusso
delle donne e dei cittadini iscritti nel
libro delle gravezze.
La differenziazione fra Arti diverse si
è compiuta a Pisa alla fine del XII secolo: industrie da una parte e mestieri dall’altra. La dipendenza dell’arte
degli orefici dalla Curia dei Mercanti
è chiaramente affermata nel breve del
1321-1341, dove al capitolo III, tra le
corporazioni dipendenti, sono specificatamente indicati li homini dell’arte
delli orafi, mentre nel 1369 l’arte degli
orafi non è più dipendente dalla Curia
dei Mercanti e diventa autonoma in
un momento storicamente felice della
città e di poco segue l’apogeo della
storia artistica di Pisa, appartenendo
a quest’arte lo stesso Giovanni Pisano che nell’iscrizione del pergamo
del Duomo di Pisa si vanta sculpens
in petra ligno et auro, l’iscrizione funebre di Andrea Pisano ricorda che ha
saputo simulacra deum mediis imponere templis ex aere ex auro condenti
et pulcro elephanto e probabilmente
anche una donna come rende testimonianza un libro della nuova massa
delle prestanze di Pisa del 1371 nel
quale si trova inscritta per un fiorino e
60 soldi domina Gemma aurifex della
cappella di San Giorgio porta a Mare
(se non fosse da dubitare che questa
Gemma potesse avere soltanto una
bottega di orefice).
Gli orafi, come gli altri artigiani vengono indicati nel Breve
come artefici. Si tratta evidentemente di artefici nel senso
medievale della parola, cioè di
mercanti veri e propri e di artigiani produttori, così aurifex
è tanto l’orefice quanto il trafficante di oreficeria visto che
l’industria non si era ancora
differenziata molto dal commercio e spesso una persona
si dedicava all’uno e all’altro.
Gli orafi sono un ceto speciale,
non sono dei lavoranti come
gli artisti addestrati a trattare
metalli e le pietre preziose, in
modo da trarne oggetti di squisita fattura. In generale sono
coloro che, dice uno Statuto
fiorentino emunt, vendunt et
operantur aurum et argentum
et stagnum battutum, collam
biancam, azzurrum, cinabrum
et alios colores e materiali simili sono acquistati appunto
da Andrea Pisano ad Orvieto
; e qualche volta al nome generico di orafo aggiungono
quello specifico del metallo
da essi lavorato di preferenza.
Alla lavorazione dei metalli si
affiancava anche quella degli orologi,
infatti, viene ricordato a Pisa l’orefice
Guaspare di Bogiunta che ebbe l’incarico nel 1380 di fare due orologi
per i quali veniva pagato 15 fiorini e
sempre a Pisa il Comune pagava un
orafo per governare gli orologi della
comunità pisana. A Firenze i fabbricatori e i conciatori di orologi erano
chiamati orivoli i quali si unirono nel
1452 in società con gli orafi, distinguendosi così i primi come i meccanici e i secondi come artisti.
Il grande numero di orafi pisani e la
loro grande vitalità produttiva mostra come nel XIV e XV secolo tale
arte fosse molto seguita, iniziando
ad assumere anche aspetti governativi della città e non dimenticando
anche la presenza nella stessa città
di una Universitas Aurificum, cioè
di una compagnia degli Orefici per
la quale nell’ultimo venticinquennio
del secolo un pittore anonimo, meglio conosciuto come Maestro dell’Universitas Aurificum, eseguiva
due pale, una Madonna degli Orafi e
un Polittico, conservate oggi al Museo Nazionale di San Matteo. Di tale
università presso l’Archivio di Stato
di Firenze è conservato forse il primo statuto risalente al 1438 il quale mette in evidenza anche la zona
scelta per aprire le botteghe di suddetta università, presso la cappella di
San Felice, zona detta “cantone degli
orafi”. Dal punto di vista politico,
dal 1287 al settembre del 1406 due
sole volte incontriamo i pittori tra gli
Anziani del Popolo, una delle magi-
Cecchini G., Il Caleffo vecchio del Comune di Siena,
Siena 1931.
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Abbreviazioni:
ASP: Archivio di Stato di
Pisa
ASF: Archivio di Stato di
Firenze
ACP: Archivio Capitolare
di Pisa
AODO: Archivio dell’Opera del Duomo di Orvieto
strature più importanti del Comune e
composta da dodici individui, tre per
ogni quartiere, mentre gli orafi furono ammessi per ben trentadue volte.
In tale documento, pubblicato dal
Bonaini, oltre all’elenco con i nomi
e alla data in cui ricoprono la loro carica, troviamo anche l’indicazione di
provenienza dei loro quartieri, Ponte, Mezzo, Fuor di Porta e Chinzica,
così da delineare le aree lavorative
di questi maestri. Dal documento,
nel quale è presente anche Coscio di
Gaddo da Cascina collaboratore di
Nino Pisano nella realizzazione della
tavola d’argento per l’altare maggiore del Duomo, si evince che provengono dal quartiere di Mezzo 15 orafi,
da quello Fuori di Porta 9, da quello
di Chinzica 7 e da quello di Ponte 1.
Dal documento risulta come l’attività orafa era ben radicata, sia nel XIII
e XIV secolo sia nel XII, in tutta la
città. Orefici, in base ad altri documenti, si potevano rintracciare presso San Michele in Borgo, quartiere di
Fuori Porta, Santa Cecilia, quartiere
di mezzo, S. Cristoforo e San Lorenzo, entrambe del quartiere di Chinzica in cui la presenza degli orafi viene
confermata anche da una Descrizione di Pisa che riflette perfettamente
la situazione della città all’apice del
suo sviluppo urbano : […] et più si
v’è apresso tucti i banchi dè merchatanti et fondachi e molti artigiani,
vaiai, speziali, orafi […].
Se il primo statuto degli orafi è andato perso, quello del 1448 appartiene al periodo della dominazione
fiorentina. Venne redatto dai tre consoli di quell’anno, Niccolaio d’Antone, Simone d’Antone di Neruccio,
Simone di Giovanni (o Nanni) di
Bergo, i quali avevano ottenuto pieni poteri dall’Assemblea degli Orafi
il 18 giugno 1448 e il 9 agosto dello
stesso anno lo statuto venne approvato. Lo statuto mostra l’arresto di
ogni attività, tra le quali quella politica, la sua nuova fisionomia viene
impressa adesso dalle contingenze
dell’epoca in cui fu redatto (sotto
la dominazione fiorentina), pertanto
tale attività venne vigilata con intenti che non erano più quelli ai quali
si ispirava un tempo il Comune di
Pisa. La decadenza e la miseria del
Comune aveva d’altra parte il suo
riflesso nelle tristi condizioni delle
Corporazioni artigiane. Riguardo a
queste, Pisa fu trattata come già Firenze trattava Prato e come verranno trattate Arezzo e Cortona. Furono
conservate le corporazioni quali erano al momento della conquista fiorentina, ma dovevano pagare quelle
tasse che avevano imposto le corporazioni fiorentine. La corporazione
fiorentina dava norma alla corrispondente pisana, la quale doveva
assumere come santo protettore il
santo della fiorentina; pagare quelle tasse che i consoli dell’arte fiorentina avevano imposto e i consoli
fiorentini potevano procedere contro
i morosi; mandare ogni anno, il giorno del santo protettore, un tributo in
segno di omaggio ai capi dell’arte
fiorentina. Una certa indipendenza
venne lasciata per ciò che riguardava le occorrenze interne dell’arte, e
si concedeva anche la facoltà di far
leggi quando i bisogni locali lo richiedessero, pretendendo però una
parte delle entrate e stabilendo che
in tutte le cause i contendenti potessero appellarsi a Firenze.
Un secondo statuto venne redatto
successivamente tra il 1518 e il 1519
non presentando però sostanziali differenze da quello precedente.
Anche nel rapido evolversi dei brevi, si è giunti ormai ad un punto di
stabilità e di cristallizzazione, segno
della decadenza nella quale l’arte,
così attiva nei secoli precedenti, era
precipitata. Lo stesso numero degli
iscritti ne è una conferma. Mentre ad
approvare lo Statuto del 1448, esclusi i tre Consoli, figurano due consiglieri e dieci maestri, ad approvare
quello del 1518-1519, figurano solo
due Consoli e sette maestri.
BENI CULTURALI:
QUALITÀ, VALORE E
SVILUPPO ECONOMICO
PER IL RILANCIO
DEL PAESE
di Angela Loretta
A
ll’interno del nostro Bollettino, attento all’informazione
artistica ed impegnato nella
sensibilizzazione dei cittadini riguardo all’importanza dei beni culturali,
non poteva mancare una riflessione
su Lu.Be.C., Lucca Beni Culturali,
il Convegno nazionale sulla valorizzazione del patrimonio culturale e
l’innovazione tecnologica. Nel suggestivo centro storico di Lucca, all’interno dell’abbraccio rassicurante
delle mura, il Real Collegio, splendida “isola” ristrutturata da tempo,
ma soltanto da poco fruibile, si configura, già per il quarto anno consecutivo, come la cornice ideale per
questo appuntamento importante; la
collocazione prestigiosa consente di
immergersi nella brulicante atmosfera del Convegno, che quest’anno
ha avuto luogo il 23 e 24 ottobre, ed
ha previsto il tema: “Beni culturali:
qualità, valore e sviluppo economico
per il rilancio del Paese”. Tra i soggetti promotori spiccano la “Promo
P.A.” e “Confcultura”: “come affrontare la concorrenza di Paesi incomparabilmente meno dotati del nostro
dal punto di vista dei beni culturali
e paesaggistici, ma che riescono a
valorizzare maggiormente i propri
luoghi e ad intercettare flussi turistici sempre più importanti?”. Questi
i temi e le domande che, nel corso
di Lu.Be.C. 2008, hanno guidato le
sessioni plenarie delle mattine del 23
– 24 ed i Convegni pomeridiani del
23, offrendo ai partecipanti concreti strumenti di lavoro e di scambi di
esperienze. La contestuale rassegna
“Lu.Be.C. Digital Technology” (la
prima rassegna delle soluzione ICT
per la promozione del territorio e del
marketing turistico – territoriale) ha
presentato, in tale quadro, le novità
relative allo sviluppo concreto di tutta la “filiera” beni culturali – turismo
– tecnologia. L’organizzazione di
eventi come il Lu.Be.C è un segno
della volontà di proporre una cultura
di qualità ad una domanda culturale
in crescita continua, ed un passaggio
importante consiste nella capacità di
rendere il bene culturale interessante
innanzitutto per la sua comunità di
appartenenza: le scuole ed i giovani devono quindi configurarsi come
il target principale cui rivolgersi per
attivare un processo di educazione
al patrimonio. L’idea di incardinare
a Lucca una riflessione periodica sul
tema della valorizzazione dei beni
culturali si va consolidando con una
forte stabilità di percorso che ruota
intorno ad alcuni punti come la comunicazione culturale, le esperienze
di cooperazione per fare sistema, le
problematiche legate alla saturazione dei flussi turistici, l’uso delle
tecnologie per valorizzare i beni culturali e promuovere lo sviluppo dei
territori. Dal 2005 al 2008 il Convegno ha conosciuto una forte crescita
partecipativa ed anche quest’anno
si è registrata una forte affluenza: la
prima sessione plenaria, dal titolo
“Lo scenario: criticità, prospettive,
testimonianze” ha avuto luogo nella
mattinata del 23; gli interventi hanno avuto un ritmo serrato, assicurato anche dalla verve del presidente e
moderatore della sessione, Ferruccio
ANGELA LORETTA
Angela Loretta si è laureata
in Scienze dei beni culturali
presso l’Università di Pisa
con una tesi sulla chiesa
del Santo Sepolcro di Pisa,
nell’ambito del settore di
storia dell’architettura. Ha
poi conseguito il titolo di un
Master in Progettazione e
comunicazione dei beni culturali, presso l’Università di
Firenze, facoltà di scienze
politiche. Dopo una esperienza di stage presso l’Opera della Primaziale pisana,
per la quale ha redatto alcuni contenuti del sito web,
lavora attualmente presso il
Sistema Museale del Comune di S. Miniato nei servizi
al pubblico circa le attività
di accoglienza, biglietteria
e visite guidate. Sta inoltre
svolgendo un tirocinio formativo presso il Centro Studi e Documentazione “Andrea da Pontedera” e presso
il Comune di Pontedera.
Consegna del premio
Lubec 2008
a Ferruccio De Bortoli
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Convegno:
sessione plenaria
14
15
De Bortoli, direttore de “Il Sole 24
Ore”, assegnatario inoltre del premio Lu.Be.C. 2008. L’apertura dei
lavori è stata affidata a Salvatore
Settis, presidente del Consiglio superiore per i beni culturali che, nella
sua comunicazione appassionata, ha
proposto di “ripartire”, per attuare
una efficace valorizzazione del Paese, dal paesaggio e dal suo recupero.
Si riportano alcuni passaggi del suo
intervento: “L’Italia soffre di alcuni
elementi di contrasto come lo scollamento tra l’estensione territoriale
limitata ed il più alto tasso di suo uso
e sfruttamento; detiene le più antiche ed organiche leggi di tutela, ma
non le applica in modo coerente; la
scuola, “termometro della cultura”
del Paese, rimane muta di fronte a
queste tematiche ed il paesaggio è
vissuto come qualcosa di estraneo:
lo stesso processo linguistico della denominazione del Ministero e
delle leggi di tutela ha progressivamente messo in ombra il concetto di
paesaggio. Esso godeva però di una
attenzione particolare già nel 1309,
quando il “Costituto del Comune di
Siena”, redatto in lingua volgare,
affermava che il primo dovere per
chi guida una città è quello di conservare la bellezza della città stessa
per la felicità dei cittadini e per la
loro gloria. Il paesaggio altro non è
che la rappresentazione visibile dei
nostri valori, giunta a noi attraverso
la lente dei secoli e l’articolo 9 della nostra Costituzione deve essere la
nostra stella polare. Per capire l’importanza del paesaggio basta guardarsi intorno, esso ci dà orgoglio,
crea la coscienza della nostra storia
e ci comunica il senso di appartenenza. Un bel paesaggio, una volta distrutto, non torna più”. Settis lancia
il suo “grido di dolore” per l’avanzata del cemento che sta distruggendo
l’eredità dei nostri padri e conclude
dicendo: “la nostra identità sta per
implodere”. L’analisi del turismo
culturale e dell’importanza del “fare
sistema” hanno caratterizzato gli interventi successivi: un territorio non
si promuove con l’invenzione di un
logo, e ad attirare sono non gli slogan ma la storia, i luoghi, gli stili di
vita, le comunità e le emozioni, che
permettono di cogliere l’anima di
un luogo. La Commissione europea
ha compilato una “Agenda europea
della cultura”, che prevede alcuni
punti fondamentali quali la promozione della ricchezza, della diversità
culturale e del dialogo interculturale; la cultura come catalizzatore dell’economia e come elemento essenziale delle relazioni internazionali.
La sessione pomeridiana ha visto
lo svolgimento di quattro Convegni
paralleli: “Dal territotio al museo e
dal museo al territorio interpretando
le esigenze di una utenza che cambia”; “Turismo e cultura digitale: la
domanda emergente”; “Partenariato e promozione del territorio: linee
d’azione e casi di successo”; “Integrazione dei percorsi tra beni culturali e luoghi della fede: esperienze,
modelli e professionalità”; “Musica
e management: modelli di sviluppo
del turismo musicale e sostenibilità
economica tra pubblico e privato”.
La sessione plenaria della mattina
del 24 ha conosciuto un momento
di forte impatto durante l’intervento
di Oliviero Toscani, comunicatore e
fotografo di grande fama, del quale si riportano i passaggi più significativi: “La creatività e la bellezza
italiana stanno affrontando una battaglia con l’estetica del brutto, ed il
nostro paesaggio rigurgita cemento.
La creatività deve essere sovversiva
ed eccentrica, e deve porsi al di fuori
degli schemi precostituiti; essa non
ha certezze e presuppone uno stato di
“non – controllo”, di coraggio totale
contrapposto al conformismo. Oggi,
la ricerca ossessiva del consenso genera inevitabilmente un appiattimento ed una mediocrità dilagante, ed
ogni città diventa l’immagine turistica di se stessa. La creatività, surplus
di intelligenza, possibilità tra cuore e
cervello, va insegnata e trasmessa”.
Anche l’edizione 2008 del Lu.Be.C.
è certamente stimolo per una riflessione sui valori che devono caratterizzare le azioni: è possibile realizzare l’obiettivo di un rilancio del Paese
a partire da una valorizzazione integrata del patrimonio culturale, confidando sulle capacità delle pubbliche
amministrazioni, Fondazioni, categorie economiche ed associazioni
culturali, di fare sistema, nel rispetto
della tutela, della conservazione, del
recupero dei nostri straordinari beni
culturali; è arrivato il momento di
creare davvero quel valore aggiunto
capace di sviluppare una maggiore
consapevolezza civile ed un senso
di appartenenza del patrimonio culturale quale bene universale, di tutti
e per tutti.
Convegno:
sessione plenaria
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
DARIO
VIVALDI
Figure sul divano
di Mario Lupi
D
DARIO VIVALDI
Nasce nel 1938 a Pontedera,
dove tuttora risiede e lavora.
É titolare della cattedra di
Anatomia dell’Accademia
delle Belle Arti di Firenze.
Sopra: Autoritratto
A destra: Venere
ario è un amico, un collega,
prima come pittore poi come
insegnante. È una vita che lo
conosco ed è proprio per questo che
ho aspettato tanto tempo a scrivere
di lui sul Bollettino; c’è un meccanismo di rispetto, verso chi si stima che
scatta per considerare, con il dovuto
rispetto i sentimenti dell’altro. È affetto.
Ricordo Dario da ragazzo attaccato al
braccio dell’Armenia, la bidella della
scuola, in giro con la sua timidezza, o
quando con il Piccolo Teatro cercava
di inserirsi nel mondo della comunicazione artistica.
Dario ha poi fatto il suo percorso scolastico, dalla biologia alla anatomia artistica, conciliando un vecchio sogno:
dalla scienza all’arte. Se l’arte è anche
conoscenza non è poi un sogno.
Dario ha sempre conciliato la sua ricerca artistica con la sua vicenda nel
mondo familiare, con le cose care
alla sua sensibilità, ai suoi affetti
(ricordo un bel ritratto della moglie
Raffaella), Questo atteggiamento si
evidenzia anche nei ritratti di amici,
modelle, allievi. Dell’ultima mostra,
tutta di grafica, ricordo gli autoritratti di impianto classico, ma impietosi
come una commemorazione ante litteram che ci ricorda come sia intenso
di pensiero il suo rapporto con la sua
vicenda d’arte.
Il segno languidamente concavo sui
gessi, più duro sugli umani, come è
giusto che sia, ci propone una connotazione diversa del linguaggio del
disegno. Oggi è tuttavia un momento
per fare attenzione ai futuri progetti
perché in ogni artista convivono due
aspetti mutevoli e intensi: il primo è
il proprio percorso personale che gratifica chi lo compie, se ne resta appa-
gato, l’altro è il rapporto con la Storia
dell’Arte di chi si deve confrontare
per un discorso serio che non ripercorra il déjà vu oggi tanto di moda.
Ultimamente Dario ripercorre pittoricamente un momento della memoria
familiare a lui tanto cara, è un ritrovarsi tra le cose care, gli affetti di cui
sente il bisogno. E l’arte che cos’è se
non una visione appassionata della
nostra vita?
A destra: Composizione
A destra: Teatrino
16
17
Lo studio dell’artista
Ritratto di Raffaella
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
OPERE
A CASCIANA TERME:
1977 – San Rocco, affresco, lunetta portale d’ingresso chiesa
di San Rocco, Parlascio, Casciana Terme;
1982 – Resurrezione, pittura
murale, cappella privata, famiglia Bonicoli, Solcini, Casciana Terme;
1988 – Adorazione ai piedi
della croce, affreschi, Oratorio
Madonna dei sette dolori, Casciana Terme;
1989 – M° Giacinto Citi, bassorilievo bronzo, cm. 20 x 25,
famiglia Citi, Casciana Terme;
1990 – Visione di San Antonio,
cappella privata famiglie Ricci,
Del Picchia, Casciana Terme;
1997 – Ritratto di Monsignore
Don Aurelio Veracini, olio su
tavola, archivio parrocchiale
arcipretura di Casciana Terme;
1999 – Vittorio Emanuele II°,
restauro busto in gesso, Castello di Lari;
2000 – Ritratto dell’Arciprete
Don Ernesto Testi, olio su tela,
archivio parrocchiale, arcipretura Casciana Terme;
18
19
AFRICANO PAFFI
a cura della Redazione del Centro
N
ato a Pisa, ha frequentato l’Istituto d’Arte ed il Magistero d’Arte
applicata di Firenze.
Già docente di Linguaggi Visivi e Storia
dell’Arte nelle scuole medie superiori, è
residente a Casciana Terme (Pi), con studio in Piazza Martiri della Libertà.
Dal 1960 ha operato in più settori delle
arti figurative come pittore e scultore.
Attualmente collabora come grafico ed
illustratore con alcune riviste.
Nel suo curriculum personale sono presenti numerosi e importanti riconoscimenti, tra questi la medaglia d’oro della
seconda rassegna nazionale d’arte sacra
a Firenze nel giugno 1978. Le sue opere
si trovano presso collezioni pubbliche e
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
private in Italia e all’estero.
Ha realizzato diverse pubblicazioni e saggi inerenti le arti visive. Nel 1974 è stato
uno dei fondatori del “Premio Via dell’Arco” di Casciana Terme, nel 1985 dell’A.P.A.P.“ Associazione Artisti Pisani”.
Dal 1998 collabora, con pubblicazioni e
studi di storia e arte locale, con la rubrica “Fatti d’Arte” per il periodico “Nuova Casciana”, edito dalla Bottega della
Stampa – La Capannina di Lari (Pi). Ha
fatto parte di svariate giurie e premi, recentemente è stato presente al premio nazionale città di Livorno di pittura e scultura “Rotonda 2003 e 2007”. Ha curato
come critico d’arte la stampa per mostre,
rassegne e convegni (1989 - 2008). È
Presidente dell’Associazione Culturale
Orizzonti Toscani della Valdera e della
Università del Tempo Libero di Casciana
Terme.
Il percorso espositivo di Paffi inizia
tra gli anni’60 / ’70. È presente alla
6° rassegna pisana di arti figurative
del 1966 a cura dell’Amministrazione
Provinciale di Pisa, successivamente a
mostre e concorsi regionali e nazionali
di grafica e di pittura. È allievo dello
scultore Prof. Silvano Pulcinelli con
il quale approfondisce le conoscenze
artistiche cominciando la sua attività
plastico- scultorea.
Il critico Mario Tozzi nell’Annuario bio
- bibliografico del 1978 a cura di Elio
Marcianò – Magalini Ed. Brescia, definisce così la sua ricerca espressiva:
“Una pittura personalissima, dove i rossi vivi di fondo creano con i blu, i verdi
e i gialli, un equilibrio poetico e dove
forme e colori si integrano a vicenda
dando luogo ad una tela ricca nella sua
semplicità… la natura viene caricata di
metafisica astrazione, per una ricerca
sempre più ampia di possibilità espressive. Pittura quindi in divenire questa
di Paffi, che si delinea in senso di impegno e di definizione della posizione
dell’artista rispetto alla realtà”.
Il critico Mario Meozzi sul mensile “La
Zattera”del 1977 così scrive della sua
pittura: “Paffi ha trovato quell’equilibrio fra soggettivismo e realtà che
porta alla sintesi vera degli elementi
indispensabili a fare dell’arte contenuto e forma.” In occasione della mostra
personale al “Ritrovo del Forestiero” di
Casciana nell’ottobre del 1979 il critico
d’arte Nicola Micieli conclude la sua
presentazione sul catalogo della mostra di Paffi, scrivendo: “ Per ora conta
l’aver constatato, alla base di questa vicenda, un problema di definizione della
posizione dell’artista rispetto alla realtà,
cui si guarda con spirito sensibilmente
incline alla meditazione e alla trasfigurazione. È un dato che da solo avvalora l’impegno di un artista e ne nobilita
l’ispirazione.” Il suo percorso artistico,
iniziato dalla grafica e dalla pittura, in
seguito confluisce nella plastica e scultura, con un ulteriore affinamento del
linguaggio espressivo, ispirato al figurativismo moderno.
Il critico d’arte Salvatore Amodei nel
catalogo pisano d’arte contemporanea
del 1987 scrive: “Disegnatore sensibile ed accurato, scultore e medaglista
raffinato e pittore di indubbie capacità espressive, Africano Paffi è uno dei
pochi artisti pisani in grado di vantare
un bilancio più che lusinghiero della
propria attività.”
Nelle recenti opere pittoriche sono
presenti messaggi e percorsi di ricerca,
ispirati all’uomo, alla natura, filtrati attraverso un “modus creandi” ricco di
suggestione.
Africano Paffi ha realizzato dipinti,
sculture, medaglie, ritratti, opere di
soggetto religioso che si trovano in diverse collezioni pubbliche e private.
Nella pagina precedente:
Africano Paffi nello studio
Mostra personale
a Ponsacco nel giugno 2002,
presentata dal Sindaco
Silvano Granchi e dal critico
d’arte Riccardo Ferrucci
1977 - San Rocco,
affresco, cm. 1,65 x 87,
lunetta portale ingresso
chiesa di San Rocco,
Parlascio, Casciana Terme
2004 - Omaggio a Dino
Campana, cm. 50 x 70, proprietà privata,
famiglia Bonicoli
In questa pagina, in alto:
1989 - Giacinto Citi,
bassorilievo bronzo,
cm. 20 x 25, famiglia Citi,
Casciana Terme
Medaglie Celebrative
coniate nelle officine
dei Fratelli Staccioli:
1985 - Medaglia argento
Terme di Casciana - D/
2006 - Medaglia argento
Comune di Casciana Terme
- D/
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
ALBERIGO
E CARLO NOVELLI:
L’ARTE
DAL PADRE AL FIGLIO
di Africano Paffi
A
utorevoli critici hanno spesso
dichiarato la “morte” dell’arte
e dell’artista di derivazione romantica. Personalmente ritengo che nell’arte in generale e in quella figurativa in
particolare, la promozione di indirizzi di
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
studio e di formazione con l’artigianato
siano alla base dell’apprendimento artistico, per la stimolazione delle potenzialità
creative dell’individuo, basi queste estendibili ai molteplici linguaggi espressivi.
Credo che il pittore, lo scultore siano legati strettamente alla manualità con i propri strumenti, colori, pennelli o scalpelli,
nonchè all’utilizzo di nuove e adeguate
tecnologie operative. La premessa è utile
in particolare per poter parlare in modo
opportuno di due artisti ponsacchini: Alberigo e Carlo Novelli, padre e figlio.
ALBERIGO NOVELLI
Alberigo Novelli – (Marsiglia 1906 – Ponsacco 1990). Nel 1916 la sua famiglia rientra a Ponsacco, presso i parenti materni. Dopo
qualche tempo Alberigo inizia il suo lavoro come intagliatore a Cascina nella avviata bottega di Grigò. Il suo apprendistato artigianale è agevolato dall’inclinazione naturale per il disegno, infatti le iniziali difficoltà operative vengono facilmente risolte, le esercitazioni di disegno unitamente alle copie di opere d’arte divengono una consuetudine non solo nella bottega cascinese, ma anche al
di fuori del lavoro.
All’epoca Cascina era considerata una realtà produttiva in costante ascesa, soprattutto per la produzione di un artigianato di stile
neo-rinascimentale richiesto su scala nazionale. Dopo aver acquisito il mestiere e le indispensabili conoscenze tecnico – operative,
Ulderigo, nel primo dopoguerra comincia in proprio la sua attività di intagliatore nella cittadina di Ponsacco, che in quel periodo
vedeva nascere numerose botteghe artigiane indirizzate sulla costruzione del mobile, ed è proprio nel 1950 che si costituisce l’Ente
Mostra del Mobilio. Novelli, oltre all’intaglio decorativo, realizza sculture di soggetti sacri, in bassorilievo e in tuttotondo con immagini di Cristo e della Madonna..
In questo periodo la produzione grafica viene affinata, sono significativi i molteplici schizzi e disegni realizzati a carboncino, spesso
riferiti a modelli classici del primo e secondo Rinascimento fiorentino, sempre interpretati in modo virtuoso.
Negli anni ’60 iniziano le frequentazioni dei diversi ambienti espositivi attraverso le mostre collettive e personali che gli permettono
di conoscere alcuni noti personaggi, come l’eclettico pittore Cristoforo Mercati, detto Krimer, fondatore della famosa “Bottega dei
Vageri” a Viareggio, il livornese Giovanni March, e molti altri pittori labronici; questi rapporti e scambi risultano stimolanti per lo
studio dell’arte del Novecento, delle avanguardie storiche e per l’affinamento artistico. Negli anni successivi la sua attività espositiva
si intensifica, iniziano le mostre su scala regionale e nazionale a Firenze, a Milano alla “Galleria Montenapoleone”, a Napoli alla “
Galleria Yosé ”, con molteplici riconoscimenti di pubblico e critica. Molte opere degli anni ‘60/’70 sono presenti anche in diverse
collezioni private e pubbliche della Valdera e naturalmente a Ponsacco.
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Alberigo Novelli, intagliatore e artista autodidatta, dal talento naturale, riesce con la sua innata sensibilità, a cogliere gli aspetti essenziali della realtà. La sua passione per l’arte figurativa e per la musica lo predispongono verso il mondo circostante, ma soprattutto
verso la figura umana.
In questo artista non troviamo imitazioni stilistiche, l’immagine disegnata, per quanto figurativa, rappresentativa di un volto, di
una figura, di un oggetto, ci appare astratta (e spesso portata al limite dell’astrazione), sicché il figurativo e l’astratto si toccano, si
confondono o meglio si ritrovano l’uno nell’altro, nell’interpretazione dell’opera. Nei bozzetti ritrovati, dove l’idea viene fissata per
poi essere tradotta in scultura o in pittura, appare il suo spirito libero ed anarcoide che rende con immediatezza ed efficacia le sue
inquietudini, i suoi pensieri, i ritmi della sua personale ricerca espressiva.
Osservando con attenzione l’insieme della sua produzione, si riesce a capire il suo mondo umano e artistico, le sue idealità, l’attenzione e la predilezione per le classi sociali più deboli, e infine la prorompente vitalità e unitarietà di stile.
Questa piccola mostra retrospettiva di Alberigo Novelli è doverosa affinché non si perdano le tracce di un artista del Novecento
scarsamente citato e documentato, soprattutto sul piano locale che ha contribuito con la sua operatività, il suo personale linguaggio
espressivo, a tracciare un percorso ascendente, dagli anni ’50 – ’60 del Novecento ad oggi, contribuendo insieme alle molteplici e
numerose aziende artigiane e all’imprenditoria locale a far nascere e crescere sul piano produttivo, Ponsacco come “Città del Mobile”, oggi sicuramente importante e nota a livello europeo.
Nella pagina precedente:
Il catalogo della mostra
pisana alla “Vecchia
Soffitta”, 1962
Alberigo Novelli
e Carlo Carrà alla Galleria
Monteleone, Milano, 1964
A fianco:
Figura di donna,
disegno, 1961
Bestiari, disegno, 1961
Mobile, disegno
del Maestro d’Arte Grigò,
intagli di Alberigo Novelli
in collaborazione con altri
artigiani di Ponsacco, 1956
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
CARLO NOVELLI
Carlo Novelli è figlio d’arte: inizialmente è stato formato e diretto dal padre Alberigo, dal quale ha appreso la tecnica dell’intaglio,
poi perfezionata con lo studio del disegno, della scultura e delle tecniche pittoriche all’Istituto d’Arte di Cascina e all’Accademia
di Firenze.
Il suo percorso espressivo si è arricchito di riferimenti e richiami formali, a contatto diretto con il padre, soprattutto per quelli
relativi allo studio della figura umana, orientata verso una classicità espressiva pienamente reinterpretata; successivamente è stato
ampliato e perfezionato dagli insegnamenti degli scultori Silvano Puccinelli e Quinto Martini.
Le partiture spaziali di Novelli, dai primi semplici elaborati al bassorilievo, al tutto tondo, vengono risolte con volumetrie figurative
e astrazioni, riprese sempre dalla quotidianità, anche se sviluppate con forme plastiche e richiami cubo – futuristi che denotano
l’approdo verso nuove potenzialità espressive. Di questo periodo giovanile tra gli anni ’60 – ’70, il Cristo ligneo nella chiesetta del
Cottolengo a Fornacette, e quello in piombo, oggi a Milano, realizzato all’epoca per l’attrice Marta Abba.
Lo studio della Storia dell’Arte del XX° sec. e dei linguaggi plastici da Brancusi, a Manzù, a Greco, a Moore, a Giacometti, a Picasso, a Guttuso, a Marino Marini, ha costituito una maturazione espressiva e stilistica soprattutto nella scultura, con sperimentazioni
e passaggi dalle superfici chiuse a quelle aperte.
Negli anni ’70 e ’80 è presente in mostre personali e collettive, talvolta insieme al padre Alberigo. Di questo periodo è la Via Crucis
in terracotta nella chiesa dei Boschi di Lari dove troviamo una variante della sua ricerca con volumi plasmati e profondamente
espressivi che denotano la grande capacità interpretativa della nostra tradizione evangelica.
Anche nella grafica e nella pittura, con diversificazioni rispondenti al linguaggio utilizzato, sono evidenti soluzioni espressive molto originali, nelle quali troviamo stilemi compositivi risolti verticalmente con forme schematiche incastrate in giuochi di piani, che
risentono delle esperienze cubiste. In sostanza, in tutto il linguaggio espressivo, Novelli compie una modificazione dei tradizionali
postulati di base, spesso sperimentando nuove stilizzazioni.
Un soggetto affrontato e risolto in modo originale è il tema del cavallo, di origine mitica, come osservazione della natura, che riA fianco:
Carlo Novelli alla mostra
personale nella “Sala Valli”,
Ponsacco, 2008
Sopra:
Figura seduta,
ceramica, 1988
Cavallo e cavaliere,
olio, 1996
Sotto:
Carlo Novelli
nel suo studio, 1988
Cavallo in bronzo,
Esterno edificio
commerciale e direzionale
del palazzo degli affari
di Ponsacco, 1990
A fianco:
Mostra permanente
di Carlo Novelli
in viale 1° Maggio
a Ponsacco
cerca disperatamente con la sua energia vitale l’antico equilibrio. I suoi cavalli riflettono e affrontano l’odierno disagio esistenziale
attraverso una molteplicità di schemi, con soluzioni plastiche diverse, alcune realizzate con volumetrie compatte e scabre, come
l’opera collocata nel 1990 a Ponsacco a corredo dell’edificio Commerciale e Direzionale del Palazzo degli Affari.
Il richiamo al cavallo rievoca per certi versi l’opera di Marino Marini, del Cavallo con cavaliere, verso il quale Novelli mostra una
naturale simpatia soprattutto per le soluzioni scavate e mosse con rientranze dinamiche altamente drammatiche.
L’ultima produzione creativa è caratterizzata da tipiche forme espressive, risolte con masse essenziali, graffiate, dove la luce cade
sui piani inclinati, che esprimono una tragica instabilità tipica della nostra epoca. I dipinti e i disegni, soprattutto quelli segnati da
forti contrasti cromatici, pongono la composizione entro limiti spaziali, accentuando l’effetto tridimensionale, svincolato dagli
schemi usuali.
Il messaggio trasmesso dalle opere plastiche o pittoriche di Carlo Novelli è tratto dalla costante e progressiva penetrazione della
quotidianità, che egli cerca di affrontare, con il suo originale stile, cogliendo le molteplici inquietudini esistenziali e drammatiche
del nostro tempo.
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
GALLERIE D’ARTE
IN CITTÀ:
PRIMO CENSIMENTO
RAGIONATO
a cura della Redazione del Centro
Elenco Gallerie:
- Galleria Andrea
- Galleria Il Ponte
- Galleria Bizacuma
- Saletta A5
- Galleria Centro Arti Visive
- Galleria La Tavolozza
24
25
In alto una tabella
con i dati relativi
alle varie gallerie presenti
sul territorio di Pontedera.
Oltre alle Gallerie sono
stati censiti 3 Ateliers
di artisti locali:
Atelier di Lorenzo Terreni,
Atelier di Luigi Lo Scalzo,
Atelier di Grazia Puccini.
Tre di questi Ateliers
(Lorenzo Terreni, Luigi Lo
Scalzo, Studio Quadrelli)
sono tutt’oggi attivi
A sinistra: una
pubblicazione della
Galleria Andrea
A fianco: una locandina
della Galleria Bizacuma
N
ella città di Pontedera ci sono
attualmente diverse gallerie
d’arte che svolgono un’attività di mostre di opere di artisti con
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
- Galleria Era
- Galleria Liba
- Galleria Autoscatto
- Galleria Il Germoglio
- Galleria 18
- Galleria In Folio
- Museo Piaggio
- Centro per l’Arte Otello Cirri
- Galleria Carrozzeria Rizieri
Elenco Ateliers:
- Lorenzo Terreni (stato: aperto)
- Luigi Lo Scalzo (stato: aperto)
- Grazia Puccini (stato: chiuso)
- Studio Quadrelli Arte (stato: aperto)
una frequenza discontinua come di solito avviene nelle attività di chi opera
in Provincia. È importante chiederci
qual’è la funzione di queste gallerie
che operano in città e quale è la loro
incidenza culturale, oltre a quella economica che riuguarda per lo più vari
impresari.
La nostra città è sprovvista del tutto di
una collezione d’arte permanente organizzata, di una raccolta d’arte, di un
museo, per una fruibilità da parte del
cittadino di quelle opere (poche in verità) disperse nei meandri di vari uffici
comunali. Una catalogazione fu tentata nel 1997 con la pubblicazione di un
catalogo ragionato.
Anche per quanto riguarda il nostro
illustre passato (Andrea da Pontedera)
non si è riusciti a riunire in un luogo
adatto la traccia della sua Opera il cui
valore è universalmente riconosciuto.
Sopra da sinistra:
una pubblicazione
del Centro Arti Visive,
una pubblicazione
della Galleria Bizacuma,
la pubblicazione
Immagini da un inventario
A fianco: una locandina
della Galleria Bizacuma
Sotto da sinistra:
due locandine
della Saletta A5,
l’invito ad una mostra
presso la Galleria 18
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
In questa realtà un po’ deprimente quale può essere la funzione delle gallerie
d’Arte nel tessuto culturale cittadino?
Intanto quello di mostrare a un pubblico vasto quello che offre il territorio
nel campo dell’Arte e poi di avvicinare il cittadino al fatto creativo per
coinvolgerlo, non solo per questioni
economiche, ma emotivamente.
Certo, entro certi limiti non dobbiamo
aspettarci che queste gallerie, escluse
alcune, ci propongano, in rari casi, ar-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
tisti di chiara fama, tuttavia, spesso le
opere che espongono hanno un livello
dignitoso. Forse un aspetto positivo è
la funzione che possono svolgere offrendo un palcoscenico a giovani artisti che non potrebbero aspirare a avere
uno spazio in gallerie più importanti.
In sostanza, pur con vari distinguo, si
può affermare che in città le gallerie
d’Arte svolgano una funzione positiva, anche dal punto di vista dell’informazione.
Interno della Saletta
d’Arte A5, da sinistra:
Dino Carlesi,
Brunero Tognoni
e Otello Cirri
26
27
Interno della Saletta A5:
alcune visitatrici
di una mostra
nelli, Gorini, ecc. ma dopo alcuni anni
il tentativo di fare opera culturale in
città non ebbe esiti positivi.
La Galleria Il Putto gestita dall’ing. Roberto Rinaldi si è distinta per esposizio-
Passiamo ora in rassegna le gallerie
d’Arte che hanno operato e che tutt’ora operano in città:
Una delle Gallerie più note in città, ma
che ha chiuso i battenti, è stata la galleria Bizacuma il cui nome era composto dai nomi dei 4 fratelli Falorni:
Bireno, Zanetto, Cupido, Mandricardo che il padre aveva anagrammato.
Era stata diretta da Zanetto, coadiuvato dal nostro critico e poeta Dino
Carlesi e aveva mostrato alla
città i più importanti artisti
del 900 e i contemporanei
di buon livello come Bussotti, Viviani, Cirri, Krimer,
Trafeli, Schinasi, Pellegrini, Strazzullo e critici come
Carlesi e Miceli. Operando
anche un’intelligente attività
commerciale avevano favorito il formarsi di intelligenti
collezionisti che scoprivano
il valore dell’Opera d’Arte.
La Saletta A5, gestita da Vivaldi Francesco e Mori Wladimirro e diretta da
un gruppo di amici tra i quali Sergio
Vivaldi e Dino Carlesi, Sergio Castellani, portò a più riprese artisti di
ottimo livello, tra i quali Paolucci,
Tamburi, Guttuso, Lotti, Possenti,
Masoni, Maffei, Liberatore, Viviani,
Grazzini, Morena, Vaccarone e pittori
locali quali Dal Canto, Vivaldi, Pucci-
ne di artisti a livello nazionale.
La Galleria Tico Tico Arte ha svolto
la sua attività per un breve periodo dal
1979 al 1986 durante il quale ha orga-
nizzato anche dibattiti, letture di poesie e
vari incontri culturali. Due stanze comunicanti tra loro in un’ambientazione di
gusto esponevano artisti di buon livello.
Una delle gallerie che tra varie difficoltà è ancora attiva è
La Tavolozza, gestita
dal dinamico Mario
Meozzi che dal 1995
ha il merito di proporre oltre ad artisti di livello nazionale anche
ciò che produce il territorio facendo opera
di promozione delle
attività artistiche della Valdera. La Tavolozza svolge un’attività culturale variegata, promuovendo un gruppo artistico
e culturale e organizzando rassegne e
concorsi d’arte a livello nazionale come
Sopra: Prima Rassegna
di Arti Visive,
Mostra di San Luca, 2003
presso la galleria
La Tavolozza diretta da
Mario Meozzi
A sinistra: Interno della
Galleria Immaginarte
di Filippo Lotti, durante
una mostra dell’artista
Fabio Calvetti
1997. I soci fondatori
della Galleria Liba:
da sinistra Roberto
Badulato, Birgit
Schneider, Alessandro
Gamba, Pina Gusella,
Simonetta Boldrini,
Fabrizio Puccioni, Alfonso
Guiggi. In basso da
sinistra: Bruno Biasci,
Antonio Catarsi
L’interno della
Galleria Liba durante
l’esposizione delle opere
di Arturo Carmassi
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Alcune immagini
di opere esposte
alla Galleria In Folio
Sopra: il logo
della Galleria Il Germoglio
28
29
Sopra: l’esterno
della Carrozzeria Rizieri
A destra: locandina
di una mostra svoltasi
presso la Carrozzeria
Rizieri
Sotto: l’esterno
della Carrozzeria Rizieri
il “Premio Gronchi” e incontri di poesia.
Il Meozzi è impegnato, come membro,
anche nel Comitato del Centro per l’Arte “Otello Cirri”. L’attività della galleria
prosegue con un programma per il 2009.
La Galleria Immaginarte di Filippo Lotti ha esposto artisti locali e nazionali. La
sua attività dal 1996 si è protratta fino al
2005 quando il titolare si è trasferito.
La galleria Autoscatto ha avuto un’attività di pochi anni, 1994 – 99, rivolta
soprattutto all’immagine fotografica. La
galleria era diretta da Antonio Lo Bartolo coadiuvato dal critico Mario Lupi.
La galleria L’Autoscatto ha cercato di
dare visibilità alla attività fotografica dei
fotoamatori del territorio ma non sono
mancati grandi nomi a livello nazionale e internazionale come Graziano Villa,
Holger Stumpf, Alessandro Squilloni,
Maniscalchi, Calvani, ecc., presenti con
immagini di foto d’arte.
Il Germoglio, galleria gestita da Manrico Mosti opera da diversi anni ed è
ancora attiva con esposizioni di buon
livello, organizzando incontri culturali
per gli amatori della poesia e della musica. Ancora attiva, propone mostre di
buon livello con artisti di fama nazionale a cominciare da Rosai, Possenti, Grigò, ecc.. Il titolare collabora con Enti
Pubblici in campo Regionale.
La galleria Liba è una galleria che offre
esperienze di artisti di avanguardia. Anch’essa opera da diversi anni e propone
avvenimenti culturali con incontri tra
critici e cittadinanza. Il suo titolare Alessandro Gamba è un esponente di una
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
corrente informale alla quale aderisce un
gruppo di artisti come gruppo culturale.
Le mostre proposte sono prevalentemente di pittura e scultura con qualche
inserimento di fotografi di tendenza.
La Galleria 18 di Carla Burgalassi ha
operato per pochi anni proponendo all’attenzione del pubblico cittadino per lo
più autori locali. La titolare opera nel laboratorio di ceramica attiguo alla galleria che momentaneamente non è attiva.
Il Centro per l’Arte Otello Cirri è una
struttura comunale grande e articolata in
diversi ambienti che offre una superficie
espositiva di circa 400 mq e una segreteria che opera per la gestione della galleria
con personale addetto. Vi sono state presentate mostre di rilievo nazionale sia di
pittura e scultura che di fotografia; vi si
svolgono a rotazione convegni, seminari, conferenze. È gestita da un Comitato
di cui fanno parte artisti, critici e politici,
diretto da Dino Carlesi e presieduto dall’Assessore alla P.I. Il centro si propone
come una delle poche strutture che vogliono avere una funzione culturale sul
territorio e con mostre e avvenimenti di
rilievo nazionale, esplica annualmente
un’intensa attività propositiva.
Il Museo Piaggio è una struttura ampia e organizzata che offre una grande
superficie espositiva ed è organizzata
con criteri di professionalità sia negli
Interno del Centro per
l’Arte Otello Cirri durante
l’inugurazione della mostra
antologica dedicata
a Otello Cirri, artista
e sindaco di Pontedera.
Al centro il direttore artistico Dino Carlesi,
alla sua destra l’Assessore
alla Cultura Daniela
Pampaloni e alla sua
sinistra Silvia Guidi,
coordinatrice del Centro.
allestimenti che nelle attività propositive. Organizza avvenimenti a livello
nazionale e internazionale.
Da notare il fatto che in Pontedera negli anni ’50 e ’60 sono state aperte delle
gallerie di cui abbiamo perso la traccia
perché non avendo avuto un archivio
e non essendoci più i titolari, si hanno
notizie solo in via orale da qualche loro
conoscente. Alcuni esempi: la galleria Il
Ponte, diretta da Otello Cirri, pittore e
sindaco della città e la Galleria Andrea
che aveva la sede in Piazzetta del Teatro
il cui titolare Tamberi porta a Pontedera
l’artista Padre Ugolino da Bolzano.
Da notare che ci sono anche alcuni ateliers che espongono in permanenza opere dei pittori proprietari.
Vi sono poi degli avvenimenti sporadici di Enti e
privati: (Università della
terza età, Biblioteca Comunale, Cooperativa, Cineplex, Atrio Comune,
ecc.) che concludono questa panoramica, che non
vuol essere esaustiva, ma
un primo momento di un
censimento ragionato.
Il laboratorio adattato a
galleria che opera dentro la
carrozzeria Rizieri, gestita
da L. Zucconi, fa un tentativo culturali mostrando
opere d’arte e performances in ambienti di lavoro
per nobilitarli ambedue. La
sua attività si svolge due
volte all’anno con performances che durano pochi
giorni ma richiamano una
miriade di “artisti” che con
i loro interventi, dedicati
soprattutto a un pubblico
di giovani, creano un happening nazionale.
Sulla sinistra:
interno del Centro Arti Visive durante l’inugurazione
di una mostra.
Sotto: l’interno del Museo
Piaggio durante la mostra
dedicata a Pietro Cascella
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
ARTE, BAMBINI,
SCUOLA DELL’INFANZIA
di Anna Maria Braccini
Q
ANNA MARIA
BRACCINI
È nata e risiede a Pontedera. Insegnante nella scuola
primaria in località Romito,
ha dato il suo contributo ai
gruppi di ricerca di Idana
Pescaioli, formatrice per
l’IRSAE, ha fatto varie
esperienze di educazione
per gli adulti, per conto dei
Comuni, delle Provincie, di
varie Associazioni.
Ha fatto diverse pubblicazioni per la promozione di
una cultura per l’infanzia
in direzione nonviolenta.
È laureata in pedagogia ed
ha conseguito tre specializzazioni.
30
31
Esercitazioni di laboratorio
con la tecnica della carta
uesto breve contributo si
sofferma sull’importanza del
percorso logico creativo che
interessa i bambini da tre a sei anni
e in particolare i bambini che frequentano la scuola per l’infanzia “Il
Romito”, da anni impegnata in una
ricerca che tende al superamento di
eventuali stereotipie nelle rappresentazioni grafiche e pittoriche infantili,
in rapporto con il Gusias1.
Ed è proprio nel Gruppo di Ricerca,
frequentato da alcune insegnanti, che
si è condivisa l’idea di una nuova e
diversa concezione di “cultura per
l’infanzia”, che intendiamo nutrita
di Arte e Scienza, per vincere eventuali condizionamenti e stereotipie,
che contraddittoriamente potrebbero essere subite da adulti e bambini,
nell modello di società in cui tutti ci
troviamo a vivere.
Uno dei progetti Gusias, sostiene
l’idea che i bambini, prima di passare all’uso del computer, abbiano bisogno di imparare a dire fare pensare
accanto agli altri e di fruire di stimoli
di qualità, per poter affermare la propria originale creatività.
È importante quindi che il percorso
artistico che i bambini vivono nella
scuola per l’infanzia, sia, ritenuto
fondamentale e basilare anche per la
costruzione dei diversi complessi apprendimenti futuri.
È da questa prima esperienza formativa e dalla impostazione delle attività di gioco e lavoro e di ricerca, che
si pongono le premesse di una nuova cultura, portatrice di valori per
l’infanzia; che li veda attivi e protagonisti nel tempo in cui lo sviluppo
umano consente di dispiegare al massimo le potenzialità individuali. Ciò
è possibile se i bambini sono posti
nelle più adatte condizioni di sviluppo e apprendimento, se si alimenta la
motivazione alla partecipazione attiva, promozionale e non giudicante, in
direzione logica, originale e creativa.
Per lo sviluppo progettuale, nel rispetto dell’impostazione rigorosa
della ricerca è di particolare rilevanza il ruolo dell’adulto che, in prima
istanza, è chiamato a ripensare se
stesso per e nel rinnovamento della
didattica; per non forzare i tempi e
non anticipare risposte, assumendo
che i bambini abbiano bisogno di
elaborare e realizzare in prima persona “atti e fatti” intelligenti, impegnativi e creativi, attraverso il “saper
vedere” gli oggetti della realtà, nei
suoi aspetti costitutivi di “natura e
cultura”; di vivere i processi esplorativi secondo una congeniale sequenza che passa attraverso il corpo,
le mani, il segno. Un ruolo, quello
dell’adulto, che si esplica in scelte
di stimoli di qualità, che attingono al
patrimonio delle Arti e delle Scienze, condivise nella storia dal cammino dell’umanità.
Pertanto i bambini sono accompagnati a “saper vedere”, osservare,
esprimere, progettare; ad elaborare
immagini con utilizzo di più linguaggi e più tecniche di significazione;
ad esprimere parole ed azioni, che si
addentrano nella letteratura e nella
poesia con produzioni individuali e
di piccolo gruppo, all’interno dei laboratori.
Il percorso pedagogico, ma si potreb-
Esercitazione
per l’identificazione
delle forme
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Processi esplorativi
attraverso il gioco
con il corpo in una
sequenza che passa
attraverso il corpo,
le mani, il segno
98
99
be dire anche il rapporto tra bambino
e Arte, si configura come una serie di
azioni che nella quotidiana didattica,
coinvolgono bambini e adulti a partire
da “letture” di immagini, fiabe, filastrocche, poesie, guidate da “domande
stimolo”, pedagogicamente fondate e
scientificamente provate, per facilitare un’osservazione sistematica, che si
arricchisce nel vivace confronto del
piccolo gruppo di bambini.
Nelle scuole sono attivi diversi laboratori, spesso frequentati anche dai
genitori in cui, per il sostegno dell’Ente Locale, sono presenti figure
di artisti, per offrire a tutti stimoli di
qualità, attraverso esperienze dirette;
scopo prioritario è quello di avvicinare all’Arte, ai suoi alfabeti, alle
sue forme espressive e rappresentative, il maggior numero di persone,
per una migliore fruizione possibile,
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
nell’ottica del Diritto allo Studio. I
laboratori sono sempre integrati nel
percorso educativo e formativo delle
singole scuole e tra esperti ed insegnanti sono condivisi scopi, contenuti e metodi, per la ricerca di produzioni di qualità.
Dalla elaborazione degli stimoli di
partenza, dalla osservazione elaborazione dei significati che emergono
dalla lettura dei particolari più riposti nell’immagine o nelle parole,si
impostano sequenze, attività di gioco e lavoro, non aliene dal contesto
di vita, vissuto tra scuola e famiglia
e dalle percezioni, emozioni di ogni
singolo bambino.Attraverso le verbalizzazioni essi comunicano sentimenti e pensieri che offrono spunti per
attività logiche e creative, da vivere
con il movimento e con il gioco, con
i gesti, nel mimo e nel gioco-dram-
ma, con i canti e con le danze. Solo
in seguito si passa a rappresentare i
significati che emergono (dal singolo
e dal gruppo), con elaborazioni ben
organizzate, in forme originali che
testimoniano l’importanza dell’esperienza artistica vissuta.
Per quanto esposto, sembra opportuno sottolineare che nel Gruppo di
ricerca e nei laboratori espressivi, è
forte l’idea che il percorso creativo
individuale sia per buona parte compreso nel proprio vissuto socio culturale di provenienza, sempre molto
complesso e legato a diversi fattori:
che sono insieme biologici ed ambientali, oggettivi e soggettivi, con
influenza sulle intelligenze e sui caratteri, su affettività e socialità, come
sulla costruzione di atteggiamenti,
comportamenti e conoscenze.Di fatto influenti sulle modalità espressive
di ognuno e di tutti.
La scuola dell’infanzia, che agisce
su un’età dei bambini particolarmente interessante dal punto di vista dei
processi di apprendimento, lo abbiamo già ricordato, assume, per il
rapporto bambino-Arte e non solo,
un ruolo di basilare importanza, poichè può stimolare tutta una serie di
potenzialità che non possono essere
rimandate a tempi o ad esperienze
successive.
Le produzioni artistiche dei bambini
impegnati nella ricerca Gusias, come
nei laboratori promossi dall’Ente locale, segnalano, con le forme reali o
magiche rappresentate, con i tratti più
o meno forti, con gli accordi cromatici, con la composizione degli spazi,
con la rappresentazione dei movimenti, quali siano state le situazioni
fruitive di stimoli in cui sono vissuti
Esercitazioni
di laboratorio: ricerca
degli accordi cromatici
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
RIFLESSIONI SULL’ARTE
DEL “CONTEMPORANEO”
di Mario Lupi
...nella marea referenziale,
una voce critica…
L
Esercitazioni di laboratorio:
composizione degli spazi
34
35
In queste pagine abbiamo
riportato alcune immagini
dei bambini della scuola
dell’infanzia
“Il Romito” a lavoro
e in cui sono stati immersi. Queste
produzioni sono da leggere tenendo
conto della più evidente presenza di
“originalità” e o di “stereotipie”, che
possono essere riconducibili al “clima” più o meno promozionale, che
essi possono aver vissuto. Perchè il
“clima” educativo e formativo sia
davvero promozionale, con forti valenze pedagogiche, è necessario che
la presenza degli adulti sia davvero
rigorosa nel non essere impositiva;
nel fare in modo di liberare nel bambino le proprie autentiche potenzialità in progressiva autonomia.
Gli stimoli in cui immergere i bambini, dovranno irrinunciabilmente
essere di qualità e nello stesso tempo
essere il frutto di una consapevole
e approfondita ricerca da parte dell’adulto, rispetto al mondo delle Arti
e delle Scienze, così come testimo-
niano il passato e il presente, con un
futuro tutto da costruire. Stimoli capaci di aiutare l’infanzia a capire e
capirsi, evitando impostazioni adultiste, anticipatorie o peggio ancora
suggerire modelli da seguire, che potrebbero non favorire nei bambini la
motivazione ad esprimersi.
L’adulto ricercatore, sostiene Idana Pescioli, “della propria unicità
creativa è invitato a rivedere continuamente i propri atteggiamenti e
comportamenti, in modo da essere
in ogni caso portatore e promotore
consapevole di stimoli alla originalità, anzichè portatore inconsapevole
di stereotipie”, facilmente leggibili
nell’utilizzo diffuso di materiale graficamente strutturato, che non facilita la costruzione delle singole intelligenze nei bambini da tre a sei anni,
nella prima scuola.
a produzione artistica, negli
anni 2000, è in gran parte una
pseudo produzione d’Arte;
non che tutto sia negativo ma il disorientamento è totale specialmente
in Italia dove le idee, spesso fagocitate dal dio denaro, confliggono con
la cultura e si allineano con le leggi
di mercato ormai in modo sempre
più scoperto. La situazione è ricca
di fenomeni diversi, dai gruppi associativi “dei Molti” che producono “contaminazioni” (assemblaggi
di pittura, scultura, foto, ecc, ecc.)
in ritardo rispetto alla controcultura
americana degli anni ’60 della West
Coast, agli isolati che vivono narcisisticamente la loro “performance”
quotidiana.
P. Daverio ha affermato che in Italia
non si dipinge più dagli anni ’70, significando che le nuove generazioni, sfornate dalle scuole d’Arte, non
hanno avuto più legami con le avanguardie storiche della metà del secolo scorso ma hanno acquisito una
sorta di imbarbarimento biologico
culturale (la pittura è sempre più
marginalizzata nelle mostre e musei
Ginger e Fred, Praga
cult e anche nella Biennale di Venezia. È da considerare che da tempo la
pittura non ci fornisce prove nuove,
convincenti e autonome per i percorsi di Storia dell’Arte).
Si teorizza l’ambiguità dell’arte contemporanea che non può essere un
fatto a sé stante, è il prodotto di correnti di pensiero, esperienze, creatività che si è andata sviluppando su
movimenti che hanno le loro radici
nel pensiero dei secoli precedenti.
Si inventano nuove parole, nuove
definizioni o accezioni di definizioni ripescate e riproposte come nuove per affermare che (“anch’io dico
qualcosa”) sono spesso indice di un
Museo d’Arte
Contemporanea, Bilbao
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Cupola del Reichstang,
Berlino
36
37
Ross L., Capsula alpina
vuoto ideologico.
Si è affermato che l’artista deve
“confliggere con la realtà perché
può agevolare un’azione di rottura con l’attuale stato delle cose”,
“L’atto di creazione è per sua natura
dunque libero, agisce sui processi di
oggettivazione svincolandoli dall’io
dogmatico” (T. Villani). Definire il
nuovo spazio dell’arte senza ideologie per chiarificare il territorio
su cui si muovono gli autori della
produzione contemporanea, è caos.
Attenzione, non c’è più, ad esempio, l’arte di protesta alla guerra del
Vietnam che definiva un terreno di
intervento degli artisti, non perché
non ci siano più guerre, ma perché,
caduta l’utopia socialista, completata l’egemonia del liberismo, le
pratiche artistiche non hanno più un
luogo deputato cui riconoscersi collettivamente, o se c’è, è compresso
dalle leggi di mercato.
Improvvisazioni, fantasia, spontaneismo, definizioni che si utilizzarono anche per definire le performance dei musicisti Jazz, ma nella loro
espressione d’arte vi era il contenuto della loro storia, non nasceva dal
vuoto ideologico.
Il concetto di Opera d’Arte, nella
contemporaneità, è un concetto erroneo. La parola Arte, con l’A maiuscola, si riferisce ad un concetto che
ha dei contenuti specifici, un modo
di lettura acquisito, un modo di relazionarsi con la Storia. Il concetto
che questa parola ha nel mondo contemporaneo quasi sempre non corrisponde a queste definizioni, quindi è
un’accezione erronea. Per questa ragione la produzione di opere, in gran
parte potrebbe essere definita con le
locuzioni: oggetti frutto di gioco,
casualità, fantasia, populismo, produzione, spontaneismo. Questi possono essere i concetti dell’arte con
cui si richiama al “contemporaneo”,
gran parte degli autori italiani attuali. Il “contemporaneo” si manifesta
come produzione senza libertà di
ricerca autonoma che sia svincolata
dalla tradizione, dal divenire storico e spesso senza concetti e idee ma
solo come il “ripetitivo” di esperienze fatte nel secolo scorso.
Alcune tendenze mostrano che dei
percorsi d’arte sono andati, via, via
adattandosi ai nuovi disvalori in gran
parte prodotti dal liberismo esasperato, e da un egocentrismo egoistico
che non valuta il concetto di solidarietà, disponibilità, legalità, eticità.
Quasi sempre la ricerca verte sull’evoluzione formale personale ma
basata su concetti di un secolo scorso, per cui è un ripercorrere antichi
sentieri ormai già indagati e obsoleti. L’unica forma d’Arte del Contemporaneo che sembra non aver perso
(o almeno ha ancora quel barlume
di coscienza) l’A maiuscola è certamente in parte l’Architettura che
per ragioni contingenti e pratiche
è legata alla funzione per cui forma e contenuto hanno un richiamo
alla “contemporaneità”. Es: il nuovo
museo di Bilbao in Spagna, il ponte
di Calatrava a Venezia, ecc…, dove
il divenire della Storia favorisce una
funzione estetica leggibile, legata
alla funzione strutturale. Deludente
invece la Biennale di Venezia del
2008 sull’architettura dove, sembra prendere piede l’effetto Cinque
Terre: telai in verticale, case torri
e minispazi da molti euro al metro
quadro.
Il fatto che oggi si sperimentino
nuove forme espressive di comunicazione è un arricchimento, ma
siamo ancora ai primordi di nuove
forme che dovranno maturare nel
divenire. Si è parlato in un primo
tempo, tanto per giustificare, di “impronte”, “testimonianze”, poi della
bellezza delle “Contaminazioni”.
È, a parer mio, necessario fare delle
precisazioni altrimenti si rischia di
finire in un ibrido di scarso valore
e non otteniamo opere pregevoli:
un quadro pregevole e una scultura
ugualmente pregevole, se concepiti, assemblati come opera unica,
daranno un’opera di scarso valore.
Al contrario si è visto che, una cosa
Ponte di Calatrava,
Venezia
Centro Paul Klee, Berna
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Museo d’Arte
Contemporanea
(vista dal lago), Bilbao
38
39
Interno della stazione
ferroviaria, Lisbona
nuova come le immagini in movimento e il sonoro, abbiano prodotto
nuovi linguaggi e capolavori cinematografici. Significa che la “contaminazione” deve nascere da nuove
forme/tecniche espressive diverse
da quelle tradizionali altrimenti si
cade in un “déjà vu” della Storia.
Sono stati inventati questi nuovi/
vecchi neologismi: “Arte del Contemporaneo” “Testimonianze”, “Inquietudini”, “Avventura di viaggio”,
“Installazioni” e “Contaminazione”.
Sotto queste diciture si inquadrano
tutte le manifestazioni della fantasia
contemporanea, a parer mio, non necessariamente Opere d’Arte. Si sta
ingenerando nuovamente tra molti
“artisti” contemporanei il concetto
romantico di un artista scapestrato,
insofferente delle regole, privo di
cognizione della Storia dell’Arte,
con un pizzico di vertigine e un po’
di pazzia necessarie per la creatività. Sarà lo sconcerto dei tempi che
viviamo che permea tutti indistintamente.È certo che molti giovani che
sono usciti con i diplomi dalle Scuole
d’Arte e dalle Accademie dimostrano una bassa conoscenza culturale e
L’ARTE
CONTEMPORANEA
NELLA SCUOLA:
PERCHÈ E COME
di Anna Ferretti / Foto Marco Bruni
“Non è possibile capire l’arte del passato
se non si capisce l’arte del proprio tempo”
G .C. Argan
una forte impronta che esaltano solo
la dimensione interiore e l’emotività
più che una linea legata a un’idea.
Oggi è il “tempo delle inquietudini”
e ognuno è depositario di un concetto di Arte, ma è bene pensare che
ogni “Artista” percorre due strade:
la prima è il suo percorso personale
che, se lo appaga e lo gratifica, è positivo. La seconda, è quando espone
pubblicamente i suoi lavori e deve
fare i conti con la Storia dell’Arte.
Oggi ampi spazi sono riempiti di
“Artisti” senza motivazioni o ideali.
È necessario che un’Arte abbia un
senso. Lascerà una traccia solo chi
saprà inserirsi nelle problematiche
del nostro tempo.
M
ettere come obiettivo didattico la possibile educazione attraverso l’arte è un
compito istituzionale importante che
avvia un processo in cui è necessario stringere delle alleanze formative con enti presenti sul territorio. La
città di Pontedera grazie alla sensibilità del sindaco Paolo Marconcini e
dell’Assessore alla Cultura Daniela
Pampaloni, da anni sta offrendo alla
città e alle scuole, questa grande opportunità: La connessione con i luoghi deputati delle opere o del patrimonio artistico diffuso sul territorio
che permette di attivare innumerevoli
approfondimenti e percorsi attraverso
approcci e metodi che le stesse opere
d’arte sono in grado di suscitare.
Quando si è a scuola nel ruolo di docente, da dove si parte per proporre un’attività didattica riferita all’arte contemporanea? Come si fa a realizzarla?
Per quanto mi riguarda ho sempre
pensato e sostenuto che certe esperienze nella scuola si devono proprio
fare, e due sono stati gli “avvii” e, all’inizio, estranei alla scuola. Il primo,
una serie di importanti eventi culturali offerti a Pontedera tra il 2004 e il
2006: il tessuto urbanistico della città
si stava facendo “museo all’aperto”
con installazioni di grandi sculture
permanenti come quelle
poste sulle “rotonde” o in luoghi diversi della
città come le
Panchine d’Autore e il Muro
di Baj lungo
la ferrovia, ma
anche con installazioni effimere di grande
suggestione. Ho
partecipato con
grande impatto
emotivo a questi eventi, prima
di tutto come
persona
interessata all’arte
contemporanea.
Il secondo “avvio” mi ha portato a studiare
e approfondire
questi percorsi
contemporanei
dell’arte quando
decisi di propor-
ANNA FERRETTI
È nata a Pisa il 06 gennaio
1960 e vive a Capannoli.
Insegna dal 1987 materie
artistiche nella provincia di
Pisa e dal 2001è docente di
disegno e storia dell’arte all’Istituto Superiore “XXV
Aprile” liceo scientifico
di Pontedera. Si è sempre
interessata all’arte e ha
partecipato a varie mostre
collettive e personali, come
scultrice su metallo. Da
diversi anni si dedica allo
studio di progetti contro la
dispersione scolastica, favorendo l’inserimento dell’arte contemporanea nelle
scuole superiori, realizzando laboratori multimediali
con artisti di chiara fama.
Nel 2002 è stata referente di rete e coordinatrice
del progetto per l’obbligo
formativo “Costellazioni”
Provincia di Pisa, Ministero del lavoro. Nel 2003
è stata referente di Rete e
coordinatrice del progetto
Costell@zioni didattica e
nuove tecnologie Regione
Toscana e insegnante referente di “Storie di minori
a rischio”, progetto pilota
d’informazione sui nuovi
bisogni giovanili proposto
dalla Fondazione Sipario
Toscana di Cascina.
Nel 2004 è stata referente di Rete e coordinatrice
del progetto per l’obbligo
formativo “Costellazioni”
anno II. Provincia di Pisa,
Ministero del Lavoro.
(continua)
FiloTape, 2005
Laboratorio
con Lorenzo Pezzatini
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Nel 2005-2006-2007-2008,
in particolare, ha collaborato insieme all’Assessore
alla cultura e pubblica istruzione, Daniela Pampaloni,
progettando e coordinando
i “laboratori di Espressione
Creativa”: Arte contemporanea nelle Scuole Superiori di Pontedera - Progetto integrato di area della
Valdera- Provincia di Pisa,
Regione Toscana-, che ha
visto la realizzazione di
percorsi culturali di qualità con la partecipazione
di artisti come: Lorenzo
Pezzatini, Stefano Tonelli,
Paolo Grigò, e Nado Canuti. Esperienze documentate
e pubblicate nella collana
“diritto all’arte” edizione
Morgana Firenze.
40
41
Presi per mano, 2006
Laboratorio
con Stefano Tonelli
re una visita guidata ai miei allievi
della classe di maturità della V A del
liceo scientifico. Pensavo che la visita per la città mi avrebbe permesso
di introdurre una nuova esercitazione
sul campo che affiancasse il tradizionale programma di storia dell’arte per
far comprendere la funzione perturbatrice dell’arte contemporanea che
non è soltanto ricerca dell’armonia e
conciliazione degli opposti.
Tuttavia, nella scuola sono necessarie
condizioni favorevoli perché le cose
avvengano e si verifichino. Per questo, in collaborazione con l’Assessore alla Cultura, l’editore Alessandra
Borsetti Venier e la sottoscritta abbiamo costruito questi nuovi “percorsi” istituzionalizzati, documentati, e
successivamente pubblicati.
Il patrimonio artistico è un’eredità viva che permette di mettere in
contatto le generazioni, acquistando continuamente nuovi significati. Per questo occorre conoscerlo e
comprenderlo, ma ciò non avviene
solamente attraverso lo studio delle
diverse metodologie di indagine e di
analisi, né solo attraverso lo studio
della storia dell’arte. Il discorso che
mi ripropongo di fare, quindi, non
riguarda in prima istanza la didattica dell’arte, ma la funzione che l’arte
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
ha nell’educazione. Non si tratta solo
di un contenuto da apprendere, ma di
una proposta di esperienza da elaborare ed interiorizzare. La trasmissione
culturale, per essere veramente tale,
esige che se ne possa fare realmente
esperienza. Fare per capire.
L’ arte contemporanea secondo il mio
punto di vista, è espressione integrale di pensiero, ambito di riflessione
su quanto avviene nella sfera sociale
e nel contesto in cui l’artista si trova ad operare: gli artisti con le loro
opere parlano della società, esprimono questioni, preoccupazioni, istanze
dell’attualità, quelle stesse di cui parliamo noi, di cui scrivono i giornali.
L’arte quindi non è legate alla decorazione, al lusso,né va considerata
come un divertimento per il tempo
libero, ma è qualcosa di sostanziale,
è legata a una ricerca di senso, a percorsi mentali nuovi, soprattutto a una
lettura del presente.
Trovandomi spesso ad interpellare i
ragazzi di varia età, paradossalmente, malgrado la scarsissima o nulla
conoscenza dell’arte contemporanea,
molti di essi risultano già impregnati
di preconcetti negativi. Per esempio
si esprimono attraverso osservazioni come “ ma questa non è arte”, o
“ma è dipinto male”, o “ ma quan-
Officina Canuti, 2007.
Il Maestro Nado Canuti
con i ragazzi
to costa” o ancora “non è bello non
vorrei averlo a casa mia…” Queste
osservazioni sono frutto di una serie
di stereotipi recepiti dall’esterno. Chi
si chiederebbe di fronte ad un opera d’arte antica, se è “fatto bene”,
e chi si chiede veramente davanti
ad un’opera antica “cosa significa”.
Questi preconcetti negativi secondo
me si possono smontare immediatamente nel momento in cui ci rendiamo conto che l’arte, come la cultura
in generale, è legata, non tanto alla
piacevolezza di una forma, né ad un
aspetto decorativo, ma soprattutto ad
una interrogazione su cosa sia la nostra realtà. Ed ecco allora che per i
giovani diventa facile avvicinarvisi.
Basta non mettere filtri tra i ragazzi e
il fare artistico, perché l’arte contemporanea è il nostro presente ed è un
linguaggio comprensibile; e se i ragazzi si avvicinano all’arte in modo
diretto, spontaneo, non influenzato
da luoghi comuni, come è successo
in questi laboratori, l’approccio sarà
senza dubbio positivo.
L’arte contemporanea infine, offre un
ambiente ideale per imparare. Pone
l’insegnante e lo studente sullo stesso
piano perché entrambi sentono la necessità di imparare insieme, dato che
nell’arte non ci sono risposte definiti-
ve e ognuno è in cammino. A scuola,
invece, si seguono percorsi stabiliti,
e codificati in programmi condivisi con i colleghi della materia o del
consiglio di classe. Questa meticolosità dei programmi spesso si “scontra” con la casualità quotidiana degli
eventi che la città offre: un articolo di
giornale, uno spettacolo teatrale, un
film, una mostra, possono spostare
imprevedibilmente l’attenzione, rendendo la didattica e le lezioni talvolta
molto più stimolanti e vivaci. E sta a
noi docenti saper cogliere queste intuizioni lasciandoci anche trasportare
dalla curiosità e dalle reazioni degli
studenti.
Per queste ragioni ho ritenuto e ritengo fondamentale favorire un accesso
più diretto e concreto possibile all’arte contemporanea; l’incontro diretto
con l’artista, l’esperienza dell’opera,
la visita alla mostra, possono essere
strumenti didattici efficacissimi.
Queste esperienze nelle scuole superiori, con gli adolescenti, sono state
veramente degli strumenti didattici
efficaci che hanno combattuto la dispersione scolastica offrendo stimoli
culturali di qualità. Iniziate nel 2005
con“ Forse Immagini L’Oggetto” laboratorio progettato insieme all’artista Lorenzo Pezzatini che ha coin-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Officina Canuti, 2007
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43
volto una classe dell’ultimo anno del
liceo scientifico di Pontedera; con
“Presi per mano”, laboratorio realizzato insieme a Stefano Tonelli, artista
che non ha portato un progetto, ma
stimoli dettati dalla passione per l’arte, per il lavoro, e per le nuove generazioni. Insieme a quaranta ragazzi
del liceo e dell’istituto professionale
di Pontedera, due situazioni completamente diverse, abbiamo trovato una
occasione culturale per incontrarsi e
dialogare. L’esperienza del 2007 ci
ha visto coinvolti nel grande progetto
“Officina Canuti” con l’artista Nado
Canuti. Questo evento non poteva
passare inosservato! L’artista Nado
Canuti stava “contaminando” con
le sue opere i luoghi di Pontedera,
Ponsacco, Palaia, e Lajatico, dando
nuova luce alle piazze, agli edifici, e
a buona parte del tessuto urbano del
territorio. Questo evento non poteva
rimanere fuori dalla Scuola ma essere utilizzato nella pratica didattica in
modo costruttivo.
Così è nata la proposta di coinvolgere l’artista Canuti in un percorso che
prevedesse - come era stato già fatto
nelle due esperienze precedenti - la
realizzazione di un laboratorio dove
l’artista agisse, nel processo creativo
di un’opera, insieme ai ragazzi. Una
volta individuato il luogo - l’ex acciaieria in via Turati - subito è stato
trasformato in una suggestiva officina dove quaranta studenti del Liceo
Scientifico, tutti i lunedì pomeriggio,
coordinati dalla sottoscritta, si sono
“animati” insieme all’artista Canuti
e a Stefano Stacchini, dando il via a
qualcosa di veramente unico e sorprendente! Mentre la mattina circa
200 studenti delle scuole medie frequentavano il laboratorio.
Il progetto del 2008 “Racconti d’argilla,…segni…orme…impronte…di
percorsi di pace”, ha visto impegnati quaranta studenti del liceo e dell’istituto commerciale di Pontedera.
Progetto proposto dalla sottoscritta,
sviluppato in sinergia con la prof.ssa
Roberta Giglioli, diretto dall’artista
Paolo Grigò, si è sviluppato partendo dai segni comunicativi dei ragazzi, giungendo alla realizzazione di
opere in argilla suggerite dall’analisi
di questi segni che sono il loro linguaggio, il loro modo di comunicare, le loro emozioni, il loro “diario”,
attraversati dal tema della Pace. Per
questo anno scolastico abbiamo in
progetto una nuova esperienza diretta
dall’artista Ugo Nespolo che si chiamerà “Laboratorio senza segreti”
Il mio sogno-bisogno è quello di im-
mettere nella scuola tutto questo, con
pari considerazione rispetto agli altri
insegnamenti del curricolo scolastico. La scuola, un’officina dei saperi e
laboratorio del futuro per eccellenza,
grazie anche a docenti “sognatori”,
nella città di Pontedera e nei Comuni della Valdera, ha finalmente dato
via ad un grande progetto innovativo
che non considera l’arte di un tempo
e quella di oggi solamente un esercizio formale, ma piuttosto una viva
e mobile espressione del contesto,
capace di modificarsi in ragione dei
cambiamenti del mondo, accogliendo
e ascoltando le nuove generazioni che
proprio con il loro continuo divenire
ci insegnano crescendo, quanto nella
vita tutto scorre e si rinnova, modificando il senso delle idee e la forma
delle cose. Ora mi rivolgo soprattutto
ai genitori di questi ragazzi, ai cittadini della Valdera e ai loro figli che
frequentano queste scuole e voglio
sottolineare il valore di questa grande
opportunità, perché in modo intelligente, divertente ha dato il via ad una
scuola d’utopia. Anche io mi sono ricordata che ancora credo nell’utopia e
non per nostalgie romantiche, ma perché l’utopia è un bisogno fisiologico
dell’uomo, una necessità corporea e
tangibile in ognuno di noi. E mi chie-
do: ma davvero vogliamo consegnare
a questi ragazzi un mondo fatto di bar,
aperitivi alcol, droga, violenza, isolamento, televisione spazzatura? Qui a
Pontedera, grazie alla sensibilità dell’Assessore alla Cultura, abbiamo fatto
una scommessa : una scuola di utopia,
che non significa nessun luogo, ma - e
sopratutto -, un luogo altro, un luogo
che insegna a nutrire un sogno di un
futuro nuovo, praticabile percorribile
e realizzabile, un luogo in cui il cambiamento sia possibile, dove ognuno,
praticamente concretamente, a partire
dai bambini, possa credere che è possibile cambiare, che è possibile inseguire la speranza, realizzare se stessi,
crescere,vivere nel pieno senso della
parola. Insieme a loro, alla tribù degli
annoiati, come io li chiamo,degli inquieti, degli smaniosi, dei “mutanti”.
E direi che ci siamo riusciti vedendo
tutto questo.
Questi ragazzi che sono venuti e che
sono ritornati, hanno saputo raccontarci che non tutto è perduto che si
può ancora sognare, e ce lo hanno
detto creando questa occasione di
scambio dove si sono veramente
rivelati, creando vicinanze inaspettate. Insieme abbiamo riconosciuto
utile la cosa più inutile del mondo:
l’ARTE.
Laboratorio di ceramica
con Paolo Grigò, 2008
Centro di Documentazione Fotografica
IL BATTELLO FLUVIALE
ANDREA DA PONTEDERA
di Mario Mannucci / Foto M. L.
MARIO MANNUCCI
Mario Mannucci si è laureato
in lettere e dopo brevi esperienze da insegnante decise
di tentare la grande avventura
nel giornalismo locale diventando alla fine degli anni ‘70
il primo giornalista professionista in attività a Pontedera.
Al lavoro quotidiano nel
campo della cronaca politica,
sportiva, sociale e purtroppo
“nera”, Mario Mannucci ha
sempre unito un interesse per
la storia, sia quella “classica”
sia quella locale. E poiché
i fiumi sono per Pontedera
l’elemento essenziale di una
storia millenaria, ecco recentemente l’idea che riportare
la gente sull’Arno sarebbe
stato un grosso contributo
alla riscoperta della vera prima identità cittadina. Da qui
nasce l’esperienza del battello subito sposata dal sindaco
Paolo Marconcini e corredata
da un successo popolare in
proporzioni superiori alle
aspettative.
44
45
C
hi sa quante volte il nostro
Andrea si sarà specchiato e
bagnato in Arno, che sicuramente avrà solcato su barche e navicelli... La storia non ce ne tramanda
notizie, ma vederlo imbarcare o sbarcare al porto fluviale di Pontedera è
quantomeno immaginabile. Dunque
verosimile. Ebbene, Andrea da Pontedera, il grande nostro artista che ci
guarda dal centro della piazza a lui
Centro di Documentazione Fotografica
dedicata (che però conserva anche
un secondo nome) solcherà l’Arno
col suo battello a motore. Sarà infatti
intitolato ad Andrea il natante a vocazione turistica che dopo il grande
successo nella settimana sperimentale del settembre scorso tornerà la
primavera prossima a Pontedera, per
restarci assai più a lungo rispetto alla
prima esperienza, e forse per prendervi la residenza definitiva. L’intitolazione ad Andrea è un’idea del
sindaco Paolo Marconcini, che insieme ad altri (fra cui l’autore dei queste note, poi guida turistica a bordo)
ebbe la prima idea di riportare la na-
vigazione fluviale nel più
grande, ma dimenticato, fiume di Pontedera. Provocando
una reazione
così positiva
da parte della
popolazione
che furono necessari i vigili
urbani e i biglietti a numeri progressivi,
come alla Usl
o al supermercato, per regolare in qualche
modo le file ai
due attracchi.
Realizzati in
fretta e furia al
porto fluviale
di Pontedera
e al neonato
parco fluviale della Rotta.
85 le escusioni nell’arco di
una settimana,
per un totale
di 5000 escursionisti saliti
a bordo, ma
con altre migliaia di perso-
Centro di Documentazione Fotografica
ne rimaste escluse perchè non se la
sentivano di far file lunghe due ore.
Un successo per cui la parola travolgente non è esagerata, mentre i suoi
motivi sono al tempo stesso semplici
e complessi. Il perchè di un interesse così massiccio per una escursione
da cui, per fare un esempio, si scorgeva soltanto una villa di campagna
(sulla bella collina del Bufalo, verso
ponte alla Navetta) mentre i palazzi
pontederesi in vista alla partenza o all’arrivo non sono certo da classificare
46
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Centro di Documentazione Fotografica
come attrazioni artistiche o di storia
altolocata, è da ricercare prima di tutto nella riscoperta di un fiume, che fu
padre e che poi era diventato patrigno.
Di un luogo, che da una trentina d’anni era stato cancellato dalla memoria
dei pontederesi perchè l’inquinamento che lo aveva ucciso ne veva ucciso
anche la memoria. Ma è bastato mostrare ai primi escursionisti un Arno
tornato bello, maestoso e ricco di vita,
per innescare il classico passaparola
— per fortuna, resiste anche in tempi
di internet — da cui è derivato l’assalto quotidiano al battello. Si cominciò
con un’escursione riservata alle autorità, ma centinaia di persone erano
già ad attendere il battello alla Rotta
per applaudirlo e per «pretendere»
l’aumento delle corse e dei giorni in
modo da soddisfare tutti. In questo
meccanismo hanno giocato anche i
tempi della storia. I famosi corsi e
ricorsi, arrivati al momento in cui
tutti si sono ricordati dei racconti
di nonni, babbi e mamme. sui bagni
d’Arno che hanno resistito fino agli
anni Sessanta. Sentendosi travolgere
dalla nostalgia di un tempo per qualcuno perduto e per altri mai vissuto
ma acquisito nell’anima attraverso la voce di persone care. Un mix
di successo che viene da lontano e
dall’anima. L’anno prossimo sarà il
momento della verifica. Ma ci sono
già idee per arricchire, migliorare e
allargare le escursioni. E l’idea di dedicare al battello d’Arno ad Andrea da
Pontedera è già un ottimo inizio.
Centro di Documentazione Fotografica
SALVINI
FOTOGRAFO IN VALDERA
di Alessandro Salvini
Alessandro Salvini
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49
S
ono nato nel 1961 a Santo Pietro Belvedere un paese della
Vald’Era in provincia di Pisa
dove tutt’ora risiedo. Ho iniziato a
fotografare nel 1986, acquistando una
Yashica manuale e dedicandmi a tutto
quello che poteva essere la fotografia.
Sono sempre stato affascinato dalla
natura, e così dal 90 mi dedico esclusivamente a questo tipo di foto. Sempre nel 90 con alcuni amici e l’appoggio dell’asociazione AVIS di S. Pietro
abbiamo dato vita a un concorso fotografico esclusivamente di natura. Il
concorso “FOTONATURA”è durato 5
anni, risquotendo un grande successo
a livello nazionale. Finita l’esperianza del concorso sono diventato socio
del 3C Silvio Barsotti di Cascina e mi
sono iscritto alla FIAF. Intanto dopo
i primi ritratti agli animali, mi sono
sempre più dedicato per cercare di
conoscerne anche il comportamento,
e quindi cercare di fermarne con un
clik le gesta e i rituali tipiche di quella
specie. Le mie foto sono il frutto di
molta osservazione e di lunghe attese,
e tutto questo sempre in luoghi vicino
a dove abito. Oggi scatto esclusivamente in digitale.
Per i numerosi successi in campo internazionale sono stato insignito dell’onoreficenza AFIAP. Ho fatto parte
della selezione nazionale che ha partecipato alla coppa del mondo natura
fiap del 2006 dove ci siamo laureati
campioni del mondo e, quest’anno abbiamo replicato il successo. Quest’anno mi sono laureato anche Campione
Italiano di fotografia naturalistica.
Dicono di me... Grande amante della natura e vero Fotonaturalista ci ha
abituato ad immagini perfette e scatti
irripetibili, mai scontati o banali, i suoi
soggetti non sono gli animali della savana Africana o delle montagne Americane, ma molto più semplicemente
quelli delle “sua “ Toscana, che riesce
sempre a ritrarre, esaltandone ogni pur
piccolo particolare.
Centro di Documentazione Fotografica
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51
Centro di Documentazione Fotografica
Centro di Documentazione Fotografica
I PRIMI 40 ANNI DEL
“TRUCIOLO D’ORO”
di Enzo Gaiotto (BFI-AFI)
Q
Il “Logo” del 40° Truciolo
Sotto da sinistra:
1° Truciolo 1969: Luciano
Monticelli “L’Uomo dei
dolori”
9° Truciolo 1977: Bruno
Dalle Carbonare “La casa”
52
53
uaranta anni pensandoci bene
sono parecchi, specialmente
se vissuti da una manifestazione nata in sordina per il volenteroso
impegno di alcune persone residenti a
Cascina affette dal “mal di fotografia”.
Il lavoro di quei caparbi appassionati
è passato nel futuro come il testimone
di una staffetta che ha inanellato, senza
mai fermarsi, ben quaranta giri nella pista accidentata del tempo.
Ciò che sorprende, a proposito di un
concorso come il “Truciolo d’Oro”, è
la sua vitalità continuamente rafforzata,
malgrado abbia ormai raggiunto la mezz’età con gli inevitabili acciacchi fisiologici dovuti al passare delle stagioni.
Alla sua nascita il Concorso venne battezzato “Truciolo d’Oro” in omaggio
allo scarto del legno piallato, essendo
Cascina la patria del mobile di qualità.
Di sicuro non poteva chiamarsi diversamente, questo trofeo fatto dalle mani di
un orafo arricciolando una duttile lamina di oro zecchino.
Centro di Documentazione Fotografica
La storia del “Truciolo” ebbe inizio
nel ’69, due anni dopo la fondazione
del “3C”, avvenuta nel ’67. L’interesse
delle prime due edizioni del Concorso
venne focalizzato sulle stampe in bianco e nero dedicate a raccontare il legno
e i suoi artigiani. Nell’occasione fu istituito anche il tema libero per stampe
monocromatiche al fine di permettere
la partecipazione dei fotografi che non
frequentavano temi obbligati. Il primo
“Truciolo” se lo portò a casa il cascinese Luciano Monticelli, che fotografò il
viso di Gesù scolpito in un blocco di legno abbandonato in un buio scantinato.
L’anno successivo il trofeo fu appannaggio di Enzo Conti, altro autore di casa,
che presentò una sequenza di quattro
stampe che sorprendevano un artigiano
impegnato a modellare un angelo da un
cilindro di legno.
Proprio alla fine di quelli anni ’60 un
nuovo fermento animava la società: in
giro si respirava desiderio di cultura, voglia di fare, di creare. Le comunicazioni
raggiungevano ogni angolo di mondo e
le notizie appartenevano subito a tutti.
Anche la fotografia amatoriale italiana
avvertiva l’onda lunga del cambiamen-
to: le fiamme di Jan Palach, le esplosioni e le stragi italiane, i concerti di Woodstock e dei Rolling Stones, le guerre,
gli eccidi, il terrorismo. Avvenimenti di
natura diversa che segnavano mutamenti radicali che avrebbero impresso un
corso diverso alla storia dell’umanità.
In questo clima di mutamenti il “Truciolo d’Oro” spiccava il volo. Nel ’70
il Concorso si apriva anche alle stampe a colori e nel ’74 alle diapositive,
spalancando le porte ai fotografi che si
esprimevano usando materiali sensibili
diversi. Nel ’74 il “Truciolo” dette l’addio al tema del legno e dell’artigianato.
Parecchi anni dopo, nel ’96, si aggiunse al “Truciolo” la sezione “Reportage, Racconto, Sequenza, Portfolio” per
accogliere espressioni fotografiche di
ampio respiro creativo. Il fotografo, in
questo caso, si trasformava in sceneggiatore, operatore e regista del proprio
progetto narrativo.
Il merito di questi e altri cambiamenti
fu in gran parte di Silvio Barsotti, eletto
nel ’72 presidente del “3C”, una persona dalle grandi doti organizzative e artistiche.
Parallelamente al crescere del loro Con-
corso i soci del “3C” presero ad affermarsi sempre più nel vasto panorama
della fotografia nazionale. Le loro immagini conquistavano apprezzamenti rivelando sorprendenti e innovative
capacità realizzative. Il Circolo seppe
autodotarsi di una scuola severa e coerente, ma anche appagante, alla luce dei
successi raggiunti.
Il “Truciolo d’Oro” intanto proseguiva
il proprio cammino calamitando i fotoamatori italiani, rassicurati dalla serietà
e l’efficienza del “3C”. Tutti i nomi più
referenziati hanno detto la loro al Concorso cascinese, insieme ai tanti debuttanti nella fotografia che si sono affidati
con fiducia alle giurie del Concorso. Il
“Truciolo” ha contribuito a scoprire e
valorizzare talenti sconosciuti che proprio da Cascina hanno preso il via verso
traguardi ritenuti impensabili.
In così tanti anni hanno vinto il “Truciolo d’Oro” Giorgio Tani, Nando Casellati, Franco Salgarelli, Italo Di Fabio,
Bruno Dalle Carbonare, Umberto Nave,
il Gruppo Quattro di Torino, Mario Marsilia, Giancarlo Baldi, Paolo Fontani,
Sergio Pampana, Giulio Veggi, Mario
Stellatelli, Giorgio Rigon, Angelo Pal-
In basso:
15° Truciolo 1983: Paolo
Fontani “Pensieri Lontani”
Il Truciolo d’oro
Centro di Documentazione Fotografica
La premiazione,
dal parte del Sindaco
di Cascina Moreno
Franceschini,
di Andrea Onofri,
38° Truciolo d’Oro
25° Truciolo 1993: Paolo
Mancinelli “ La sorpresa”
Sotto da sinistra:
39° Truciolo 2007: Mario
Spalla “Still Life in Light
Painting”
23° Truciolo 1991: Claudio
Calvani “Il salto”
mesi, Andrea Grande, Enrico Patacca,
Claudio Calvani, Giovanni Brighente,
Ivo Demi, Roberto Rossi, Giorgio Bertoncello, Gianni Mantovani, Fabio Gherarducci, Roberto Alderighi, Fabrizio
Tempesti, Diego Speri, Andrea Onofri,
Spalla Mario e Valerio Perini. Autori di
ogni parte d’Italia, appartenenti a circoli
dalle diverse culture e formazioni.
Aprendosi alle positive tendenze innovative, il Concorso cascinese è anche
rimasto fedele alle regole formali di cui
la fotografia ha bisogno per esprimersi
al meglio, riuscendo, in certi casi, ad
annullare la separazione che contraddistingue il documentarismo dalla composizione artistica delle immagini.
Il cambiamento epocale del “Truciolo”
avvenne nel ’99, quando Silvio Barsotti
Centro di Documentazione Fotografica
e alcuni soci di ampie vedute proposero
di far nascere, da una costola del Concorso tradizionale, il “Pixel d’Oro”, manifestazione riservata ad immagini digitali. In Italia un paio di associazioni del
nord Italia, affiliate alla FIAF, emettevano i primi vagiti in questo senso, visto il
dilagare dei sistemi informatici applicati
alla fotografia. Le immagini non si imprigionavano più sullo strato sensibile
della pellicola, ma nella memoria di un
sensore digitale. La tecnologia permetteva di poter trattare e conservare con
una certa facilità le foto scattate.
È singolare constatare che il 40° anniversario del “Truciolo” si sovrappone
con il 10° anno di vita del “Pixel”, Concorso frequentato da fotografi che possono partecipare inviando a Cascina le
proprie immagini tramite Internet, oppure su CD-Rom.
Per il “Truciolo d’Oro” il passare
degli anni si è dimostrato una buona
medicina: nel succedersi delle edizioni qualcosa si è sempre modificato in
meglio. Le prime mostre furono allestite nel salone della “Mostra Permanente del Mobilio”, successivamente
nel foyer del “Teatro Nuovo” per poi
usufruire delle sale multimediali del
“Teatro Politeama”. Ogni esposizione
è sempre stata supportata da adeguato
allestimento per presentare nel migliore dei modi le
immagini ammesse e premiate dalle
giurie. Le proiezioni su grande
schermo,
prima
delle diapositive e
poi dei files digitali, sono state corredate da originali colonne sonore
stereofoniche.
Ogni “Truciolo”
ha riscosso successo e il Concorso di Cascina
è divenuto sinonimo di incontro
e partecipazione a
cui non mancare.
Questo grazie anche all’interesse
mostrato dall’Amministrazione Comunale che sin
dalla prima edizione contribuisce
a finanziare l’iniziativa, seguendo
con interesse costante il lavoro del
“3C”.
Nel 2004 il Presidente Silvio Barsotti fu costretto
dal destino ad abbandonare il cammino del “Trucio-
lo d’Oro” non senza aver prima dettato ai suoi “ragazzi” le coordinate per
proseguire il viaggio intrapreso tanto
tempo prima. Nell’edizione di quell’anno, la 36ª, Barsotti, degente in clinica, parlò in collegamento telefonico
con la sala gremita in occasione della
premiazione. La sua voce, sempre sicura e profonda, quel pomeriggio tradì commozione e rammarico per non
essere presente.
Per i molti fotografi, le personalità e
gli appassionati quello fu il suo ultimo saluto.
L’allestimento, al Teatro
Politeama, di una sala
del “Truciolo”
Sotto:
40° Truciolo 2008: Valerio
Perini “Anta”
Centro di Documentazione Fotografica
SIMONE STEFANELLI
FUNERALE A GAZA
di Simone Stefanelli
L
SIMONE STEFANELLI
Simone Stefanelli è nato a
Lucca, classe 1973, Vive da
sempre a Ponsacco.
Fotografo professionista dal
2004 collabora con l’agenzia
Emblema di Milano..
Ho realizzato servizi in Darfur (Sudan), Haiti, Nicaragua, Senegal, Mali, Estonia,
Lettonnia e Lituania, Bielorussia, Burkina Faso, Kenia,
Israele, Palestina e Striscia di
Gaza oltre a coprire eventi a
livello Nazionale.
Le mie foto sono state stampate su numerosi settimanali
quali Panorama, Oggi, Gente, Specchio, Diario, Nigrizia,
Carta, Vita, 30Giorni Popoli e
quotidiani a livello Nazionale
come La Stampa, Quotidiano
Nazionale, Il Giornale etc..
Nel 2005 alla Sorbona di
Parigi sono stati esposti alcuni scatti tratti dal reportage
realizzato in Darfur, in una
collettiva, insieme a quelli di
grandi fotoreporter di guerra.
Le immagini realizzate
nella Striscia di Gaza e in
Israele, per conto della cattedra Unesco per la Pace
dell’Università di Firenze
saranno utilizzate per illustrare una serie di volumi
sulla cultura della Pace.
www.simonestefanelli.com
56
57
Un ringraziamento speciale
a Massimo Adduci che ha
curato la stampa delle fotografie e la realizzazione del
video. Post produzione di
Claudio Carbonetta
Nella pagina seguente:
Invocando Halla,
Il valore di un simbolo
Contro tutti
e immagini, sono una breve
selezione di un ampio lavoro
realizzato tra Marzo e Aprile
di questo anno per la Cattedra UNESCO in Sviluppo Umano e Cultura di
Pace dell’Università di Firenze diretta dal Prof. Paolo Orefice che mi ha
incaricato di svolgere una ricerca dei
saperi locali, tangibili e intangibili,
delle differenti culture Isareliana e
Palestinese coinvolte nel decennale
conflitto. Ho passato quasi due mesi
in giro tra i due “ Paesi “, cercando
di cogliere nascoste somiglianze e
evidenti differenze. Quando sono
riuscito ad entrare nella Striscia di
Gaza ho avuto la sensazione di trovarmi in un’irrealtà dei nostri giorni
e non ho potuto che concentrarmi su
quel che succedeva. Un quotidiano
fatto di manifestazioni più o meno
spontanee, violenze, rassegnazione e
speranza il tutto ripetuto giorno dopo
giorno dove l’unica strada che si crede percorribile sia quella armata.
A circa un anno e mezzo dall’ascesa
al potere di Hamas e all’avvicinarsi
dello scadere dei sei mesi di tregua
firmata tra il partito islamico e il
Centro di Documentazione Fotografica
governo israeliano, un viaggio tra i
detenuti della più grande prigione a
cielo aperto del mondo.
Quotodianamente Gaza
La striscia di Gaza è poco più di un
fazzoletto di terra, quarantacinque chilometri per nove. Un milione e quattrocentomila persone stipate all’inverosimile. Gli Israeliani non possono
entrare. I palestinesi non possono uscire, fatte rarissime eccezioni. Entrano
solo stranieri con un permesso speciale del governo di Tel Aviv, rilasciato
con non poche difficoltà a giornalisti
e operatori delle agenzie umanitarie.
Si accede alla striscia solo dal valico
di Erez, un tunnel blindato lungo un
paio di chilometri dove le voci degli
altoparlanti ti guidano svogliate verso
quello che loro chiamano inferno. Una
striscia di terra circondata su tutti i lati,
da una parte il mare, dall’altra muri e
filo spinato segnano il confine. Uno
dei luoghi più densamente popolato
del mondo.
Un’enorme prigione a cielo aperto.
Le strade sono piene di bambini che
con la loro innocente immaginazione
scambiano le azioni di guerriglia in
un gioco collettivo, una sorta di guardie e ladri dove non si vince niente,
Centro di Documentazione Fotografica
Centro di Documentazione Fotografica
il premio più ambito è tornare a casa.
Una vita rinchiusi in un grande parco
dove non ci sono giardini per giocare ma strade tappezzate di cartelloni,
murales e fotografie dove gli AK 47 e
RPG fanno da scettro per i martiri in
posa. Va da se che durante gli scontri, i più grandi se ne stiano in prima fila a guardarsi lo spettacolo dei
carri armati Israeliani che si avvicinano mentre i più piccoli stanno dietro, defilati a far finta di essere parte
della guerra stessa. Simulano azioni,
strisciano per terra facendo il passo
del giaguaro, si alzano, si voltano sospettosi come se il nemico arrivasse
da tutte le parti, impugnano armi giocatolo, sparano e iniziano a ridere.
Scenette simpatiche e divertenti solo
in altri contesti, qui sono difficili da
accettare. Domani sicuramente non
sarà più un gioco e le armi che impugneranno saranno vere.
La generazione dei ventenni di oggi,
nati tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta è cresciuta con la guerra negli occhi, in pochi hanno avuto la
possibilità di uscire anche solo per una
volta. Allo scoppio della seconda In-
tifada non erano ancora adolescenti.
Molti di loro hanno perso qualcuno di
caro per colpa di questo eterno conflitto: familiari, amici o semplici conoscenti. Si impara prima a riconoscere
le armi che a leggere. Se i bambini
prendono gli scontri come un diversivo alla monotonia, i ragazzi più grandi
sentono il dovere di fare qualcosa, non
ci stanno. Si sentono oppressi e non
hanno intenzione di stare a guardare.
Nel pieno delle loro forze e con l’incoscienza che caratterizza quell’età,
non si tirano indietro alle richieste dei
gruppi armati, pronti a far valere le
proprie motivazioni.
Tutti questi fattori, conditi con un po’
di integralismo religioso, ne fanno
lo scenario ideale dove convertire la
propria vita alla lotta armata e di liberazione.
Secondo le statistiche, l’età media dei
miliziani morti non supera i 25 anni,
molti di loro muoiono alla prima
vera missione. Le celebrazioni fatte
in onore di chi ha omaggiato la Jihad
con la propria vita, diventano solo un
mezzo per riaffermare gli ideali per
cui si muore e si continuerà a morire.
Il pianto della madre
Nella pagina precedente:
In Moschea,
Verso il cimitero
Centro di Documentazione Fotografica
L’ultima visita a casa
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Nella pagina seguente:
L’ultimo saluto,
Quello che resta
Nella striscia di Gaza è più facile assistere ad un funerale che a qualsiasi
altro evento.
Si parte dall’ospedale dove affannate ambulanze portano i cadaveri.
Amici e parenti vengono a onorare il
defunto che viene tenuto nell’obitorio fino a che non scocca l’ora di partire. Il corpo avvolto nella bandiera
del gruppo miliziano di appartenenza, viene caricato su di una barella e
portato in spalla. Fuori dall’ospedale centinaia di persone attendono di
partire per la processione. In testa al
corteo c’è sempre un furgone, dove
alte bandiere sventolano. Un grosso
altoparlante al centro del cassone fa
da eco alla voce di uno speaker che
inneggia contro Israele, contro il sionismo, contro tutti quelli che odiano
e promette vendetta in nome del morto ma sopratutto in nome della Jihad
e della gente di Gaza.
La prima sosta è nella casa natale,
dove la madre sostenuta moralmente e
fisicamente dalle donne della famiglia
aspetta di vedere per l’ultima volta il
figlio. Le scene strazianti e di dolore si
susseguono, resteranno indelebili per
chi sa quanto tempo. Pochi minuti e si
Centro di Documentazione Fotografica
riparte per la moschea, il corpo viene
portato dentro e l’Himam si prepara a
recitare la preghiera in onore del nuovo martire. Finito il momento di raccoglimento religioso, si segue il corpo
fino al cimitero dove è già stato preparato il posto per la sepoltura.
Più che a un vero e proprio funerale, sembra di assistere ad una marcia
funebre al suono di Kalashnikov. Miliziani armati incappucciati e no, si
muovono dentro al corteo, dall’inizio
alla fine sparano a turno raffiche di
mitra in aria per onorare il compagno
caduto. I bambini si affannano a raccogliere i bossoli esplosi. Il dito indice è sempre alzato a indicare il cielo
e Dio ad ogni grido di incitamento
dello speaker. Si arriva al cimitero
dove il corpo viene deposto nella
nuda terra e coperto con alcuni blocchi di cemento a loro volta ricoperti
di sabbia. Una breve preghiera. Le
urla disperate dei padri e dei fratelli fanno da finale. A loro non resterà
che una foto incorniciata da appendere a qualche parete.
Si torna tutti a casa.
Domani ce ne sarà un altro.
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MARCO BRUNI
di M. L.
L
MARCO BRUNI
Nato a Venezia nel 1943,
vive a Pontedera dal 1948.
Dopo aver conseguito il diploma di ragioniere presso
l’istituto E.Fermi, nella sua
città d’adozione, ha iniziato
subito a lavorare presso la
locale Biblioteca Comunale.
Oltre che a occuparsi di biblioteconomia ha seguito e
collaborato all’organizzazione di molte importanti manifestazioni culturali programmate dall’Assessorato alla
Cultura del Comune di Pontedera. Grazie all’esperienza
acquisita documentando vari
eventi (cataloghi per mostre,
spettacoli teatrali, convegni,
ecc.) ha acquisito notevole
dimestichezza nell’uso della
macchina fotografica riuscendo così a perfezionare la
costruzione dell’immagine,
dando a queste un particolare
senso estetico.
Ha effettuato reportage per i
Festival più importanti organizzati dal Comune di Pontedera: Sete Sois Sete Luas;
Musicastrada Festival, Qui
rido io, Utopia del Buongusto, Orme Gialle.
a storia della fotografia non
appartiene solo ai grandi artisti che hanno dato la dignità
d’Arte alla fotografia. La cosiddetta
“Quinta Arte” è nata e si è sviluppata attraverso una miriade di appassionati che l’hanno curata, vezzeggiata, circondandola di esperienze
personali e collettive.
Chi ha fatto l’esperienza della camera oscura non può dimenticare questo
percorso, dalle prime evanescenti immagini raccolte con trepidazione alle
belle stampe “Fine Art”di un risultato
finale, gratificante, ma sofferto.
Il passaggio attuale alla fotografia digitale ha portato tra i fotografi qualche
perplessità e difficoltà sia per la tecnologia sia per il risultato iconografico perché ci ha costretto tutti a ripensare anche
le forme espressive attraverso una tecnologia diversa dalla precedente.
Marco Bruni, fotoamatore da sempre, ha attraversato tutte queste vicende fotografiche. Ricordo le prime
immagini di Marco realizzate alle
performances del Piccolo Teatro, poi
le immagini delle squadre di basket
per documentare l’attività sportiva
dei figli, infine gli avvenimenti cittadini. Le immagini sono didascaliche, descrittive, con una attenzione
alla luce nei ritratti cercando quelle
atmosfere di intima partecipazione e
di contenuto lirismo.
“Tutto cominciò con una piccola
macchina fotografica e da un mio regalo, un ingranditore.
La “camera oscura” era in cantina,
dove Marco sviluppò le prime foto e
soprattutto le prime nostre foto e i tanti
miei ritratti. Foto private e foto pubbliche perché ogni avvenimento della città,
ogni spettacolo lo vedevano presente per
documentare. E così nel nostro archivio ritroviamo foto di Giorgio Gaber, di
Maria Carta, di spettacoli, di dibattiti,
rassegne cinematografiche, avvenimenti
della città, come la costruzione del nuovo palazzetto dello sport o una piena dell’Arno, ed è come rivivere 40 anni della
nostra storia. E Marco sensibile, curioso
e soprattutto attento a quanto gli avveniva intorno riprendeva con taglio originale e con l’attenzione per il momento,
per i particolari e con le angolazioni che
rendevano uniche le immagini, che lasciavano trasparire una dimensione culturale e personale che non banalizzava
neanche la ripresa più scontata.
Gli stessi risultati oggi li cerca con il digitale, ma con un pizzico di nostalgia per
quel bianco e nero che emergeva piano
piano dalle vasche dello sviluppo.
Queste immagini ci raccontano la
nostra vita: il nostro stare sempre insieme, le nidiate dei bambini, le feste
di compleanno, i viaggi, le partite di
basket, gli amici, gli avvenimenti pubblici e la nostra città sempre presente,
e per questo siamo davvero grati con
grande amore a Marco.”
Daniela
Centro di Documentazione Fotografica
A destra: Giovanni Pascoli
fotografato da Michele
Bertagna, inventore
del sistema di riprese a
colori utilizzato anche in
questa occasione (Foto M.
Bertagna)
La Eastman Kodak, la
pellicola mai impressionata
e il libretto di istruzioni
(Foto E. Gaiotto)
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Centro di Documentazione Fotografica
GIOVANNI PASCOLI
IL POETA - FOTOGRAFO
di Enzo Gaiotto (BFI-AFI)
L
a passione per la fotografia assalì
Giovanni Pascoli nel 1899, quando Angelo Orvieto, fondatore e
direttore della rivista letteraria Il Marzocco, per sdebitarsi di una collaborazione,
gli regalò la prima macchina a soffietto di
piccolo formato prodotta dalla Eastman
Kodak e acquistata a Parigi. La febbre
per l’istantanea fu talmente alta che il
Pascoli decise di trattare personalmente
i negativi impressionati nel suo rudimentale ma funzionale, laboratorio.
La fotocamera è oggi conservata in un
cassetto del canterale nella camera da
letto del poeta a Caprona, in Garfagnana. Intatta c’è anche una confezione di
pellicola Eastman da sei pose formato
6X9 con l’indicazione: “Develop before April 1919” e un minuscolo “Manuel
du pocket Kodak pliant - Appareil de
luxe”, edito da Eastman Kodak, Place
Vendòme 4, Paris. In alto a destra del libretto c’è scritto “Pascoli”, a matita per
evidenziarne la proprietà.
La casa di Caprona, a Castelvecchio,
dove il poeta abitava con la sorella Mariù, era sprovvista di energia elettrica
e acqua corrente, per cui il trattamento
delle pellicole e delle carte fotografiche
avveniva in maniera assai artigianale.
Una volta sviluppata nel buio la pellicola impressionata, immergendola e facendola scorrere in un catino di coccio
contenente un bagno rivelatore a base
di fenolo bivalente, Pascoli si dedicava
alla successiva fase di camera oscura. Le
stampine che realizzava erano ottenute
per contatto usando un telaietto con una
doppia cornice di legno combaciante e
cernierata, che racchiudeva un vetro sul
lato anteriore. Al contrario, l’altro lato
era sigillato come il retro di un quadro.
Sopra il vetro scorreva, per mezzo di
una scanalatura, una sottile anta di legno
a prova di luce. Lavorando in completa
oscurità Pascoli metteva nel telaietto la
carta fotografica da impressionare con
l’emulsione verso l’alto; dalla parte del
vetro posizionava sulla carta i negativi
6X9. Sigillato il telaietto con il fermaglio di sicurezza, proteggeva la carta fotosensibile tenendo l’anta chiusa, quindi
usciva alla luce. In giardino cercava un
punto ben illuminato, che conosceva
alla perfezione, quindi esponeva alla
luce solare la carta fotografica per il
tempo stabilito dalla pratica, sollevando l’anta di protezione. Al termine dell’esposizione richiudeva l’anta e poi, di
nuovo al buio, sviluppava in un bagno
rivelatore la carta impressionata.
Le fotografie, fissate a lungo nell’aspro
aceto di Zi’ Meo, una volta lavate e asciugate venivano incollate su dei cartoncini
sui quali aveva fatto stampare il motto
“Opus Aetherii solis et Iani Nemorini”
(Opera dell’etereo sole e di Giovanni,
amante della vita agreste).
Giovanni Pascoli, abituato a raggiungere
livelli altissimi in letteratura, non era del
tutto soddisfatto delle proprie realizzazioni fotografiche e umilmente chiedeva
consigli agli amici più esperti. Nella vicina Barga aveva conosciuto un professore di fisica, Michele Bertagna, che stava
facendo interessanti ricerche in campo
fotografico. Bertagna mise in contatto
Pascoli con il francese Gabriel Lippman,
premio Nobel per la fisica e inventore
di un sistema per fotografare a colori.
Lippman, che si trovava in vacanza estiva proprio a Barga, non fu certamente
avaro di consigli al poeta: passeggiando
insieme discutevano di composizione,
inquadrature e luce, oltre che di chimica
e tecnica. Anche Bertagna, qualche anno
più tardi, seguendo i suggerimenti di Lippman, mise a punto un proprio metodo
per realizzare fotografie a colori.
Da Messina, dove insegnava all’Università, nel 1900, Giovanni Pascoli scriveva
in continuazione a Bertagna chiedendo
aiuto per migliorare le sue foto: “Prestissimo istruzioni semplici… per stampare
così come stampa lei, che pajono vere e
proprie incisioni...”
Le numerose immagini che Pascoli ci ha
lasciato nella sua casa di Castelvecchio
raccontano gli anni di insegnamento a
Messina, ma soprattutto i lunghi periodi trascorsi nel “nido” di Caprona. Nei
piccoli rettangoli ingialliti si affacciano impacciati i personaggi dei Canti di
Castelvecchio: la sorella Mariù, il fido
cane Gulì, Valentino vestito di nuovo,
Zi’ Meo il saggio contadino, Chiara la
cantatrice e tanti altri.
L’obiettivo della Kodak di Pascoli si apre
anche sulla vita del borgo, propone i lavori agricoli, le cerimonie religiose, gli
attimi di festa, il mutare del paesaggio
nel corso delle stagioni e, sullo sfondo,
spesso inquadra le Alpi Apuane che separano la Garfagnana dalla Versilia. Un
mosaico di immagini sottratte all’usura
del tempo, allo svanire della memoria,
di grande valore documentario e storico,
In alto a sinistra: Il Tiro
della forma a Castelvecchio
(Foto G. Pascoli)
In alto a destra: La
“cantatrice” di Caprona,
Chiara Mazzari, con il figlio
Valentino (Foto G. Pascoli)
Sotto a sinistra: Mariù, Zi’
Meo e Gulì durante la fienagione (Foto G. Pascoli)
Sotto a destra: Mariù e le sue
caprette nel giardino della
casa. L’immagine è incollata
sul cartoncino con i fregi e il
motto pascoliano (Foto G.
Pascoli)
Centro di Documentazione Fotografica
In alto a sinistra:
Tempo di trebbiatura a
mano (Foto G. Pascoli)
In alto a destra:
Valentino Arrighi,
“Valentino vestito di
nuovo, come le brocche
dei biancospini…” (Foto
G. Pascoli)
oltre che personale e sentimentale. Le
foto sono state scattate da uno studioso e letterato incantato dalla possibilità
della tecnica di catturare l’essenza dei
momenti più belli e dilatarli oltre i limiti
dell’attimo perduto.
Nella cappellina di lato all’ingresso della
casa a Caprona, Giovanni e Mariù Pascoli dormono il loro giusto sonno nel
profumo intenso dell’erba cedrina, che
ancora oggi cresce e fiorisce in folti ciuffi nel giardino del “nido”.
Intorno tutto è pace; proprio come avrebbe voluto lui, il grande poeta-fotografo.
Il “Nido” di Giovanni e Mariù Pascoli con
gli anni è divenuto un delizioso museo
che vale la pena di visitare. Chi proviene da Lucca deve risalire, per giungere a
Caprona, la Statale 445 della Garfagnana
e valicare il Serchio al Km 41, in località
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L’ingresso di casa Pascoli a
Caprona (Foto E. Gaiotto)
Ponte di Campia, dirigendosi poi verso
Castelvecchio Pascoli, la nostra meta. Chi
invece si trova in Versilia deve attraversare le Alpi Apuane imboccando a Forte
dei Marmi l’antica Via d’Arni, in direzione di Castelnuovo Garfagnana, per poi
raggiungere il vicino Castelvecchio Pascoli. Quest’ultimo itinerario è di grande spettacolarità fotografica: transitando
attraverso le imponenti cave di marmo
pregiato, paradiso di Michelangelo, è
impossibile non fermarsi nelle apposite
piazzole per effettuare qualche scatto di
particolare effetto paesaggistico.
La casa dove i Pascoli vissero dal 1895
al 1912 mantiene la struttura, gli arredi,
la disposizione degli spazi che aveva alla
scomparsa del poeta e ne conserva i libri, i diplomi e i manoscritti. Nel vasto
giardino crescono numerosi alberi messi
a dimora dal Pascoli stesso.
INTRODUZIONE ALLA MUSICA
In questo numero, una buona parte dello spazio è dedicata
alla musica nel territorio della Valdera e della nostra città.
Una consistente tradizione è quella della musica lirica che
ha avuto esecutori e stimatori tanto che il primo teatro a
Pontedera, il teatro dei “Ravvivati”, operava già nel 1850.
Nel 1885, dopo una ristrutturazione e restauro da parte dell’architetto Bellincioni, prese il nome di “Andrea da Pontedera”. Un teatro però esisteva anche nella frazione di La
Rotta dove la Società Filarmonica nel 1872 aveva incaricato
l’architetto Bellincioni della costruzione di un teatro. Questa tradizione musicale ha creato quel tessuto culturale che
ha dato vita a numerosi artisti: come non ricordare Davide
Calamai, violino di prima fila a La Scala di Milano, Brenno
Ristori tenore di buona levatura, Maria Cioppi soprano di
ottime capacità vocali. Per restare nel campo della musica
classica si deve ricordare l’attività del CRAL-Piaggio con i
concerti della Gioventù Musicale Italiana. Alcuni concerti
sono stati fatti anche nelle nostre chiese cittadine. Anche
la musica contemporanea ha avuto e ha una notevole parte
nelle attività culturali giovanili nella nostra città e nella Valdera. Decine di gruppi musicali si esibiscono ancora nelle
piazze e nei locali della città. Alcuni gruppi musicali hanno
varcato anche l’ambito della provincia per esibirsi in tutta
Italia e all’estero. Un’altra importante Istituzione è la Filarmonica “Volere è Potere” che vanta una tradizione importante di successi anche all’estero con la vittoria a Bruxelles
del 1° premio dei complessi bandistici internazionali. Anche il nuovo teatro Era inaugurato recentemente, si innesta
in questa tradizione culturale di cui la città si vanta.
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
FARE MUSICA A SCUOLA:
IL PIACERE DEL FARE
di Mario Piatti (foto di Marco Bruni)
N
MARIO PIATTI
Docente di Pedagogia musicale nel Conservatorio di musica della Spezia e presso la
Scuola di animazione musicale a orientamento pedagogico
e sociale del Centro Studi Musicali e Sociali “M. Di Benedetto” di Lecco, collabora con
Enti pubblici e Associazioni,
per l’aggiornamento e la formazione di insegnanti della
scuola di base.
Con le edizioni PCC di Assisi
ha pubblicato, in collaborazione con altri musicisti, alcune raccolte di canzoni per uso
didattico, su testi propri e di
Gianni Rodari.
Oltre a numerosi articoli su
riviste del settore didatticomusicale, ha pubblicato: Filastroccantando, Nicola Milano, Bologna 1989; Musica e
scuola dell’infanzia, Juvenilia,
Bergamo 1992; Con la musica
si può, Valore Scuola, Roma
1993; Progettare l’educazione musicale, Cappelli, Bologna 1993; Gianni Rodari e la
68
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In queste pagine: interno
del cortile della scuola
Curtatone e Montanara
on ho ancora trovato, nelle mie
continue peregrinazioni nelle scuole, un bambino o una
bambina, un ragazzo o una ragazza che
alla domanda: “Ti piace la musica?” mi
risponda di no. Segno evidente che la
musica (cioè tutto quello che i bambini
e i ragazzi mettono sotto questo termine
ombrello) è qualcosa che viene piacevolmente accolto e ricordato nel vissuto
dei ragazzi: è il piacere di ascoltare, di
cantare, di suonare, di elaborare pensieri e parole sulla musica, o meglio, sulle nostre esperienze musicali, semplici
o complesse che siano, brevi momenti
quotidiani o immersione saltuaria, ma
intensa, in eventi straordinari.
Perché piace la musica? Perché fondamentalmente mette in gioco le emozioni,
i sentimenti, le sensazioni che il suono,
il ritmo, le parole dei canti, la melodia
attivano in noi, sia a livello di sensazioni
corporee, sia nella nostra mente. È quello che capita con tutti quesi ‘saperi’ che
possiamo definire ‘artistici’, che hanno
come caratteristica fondamentale quella
di coniugare in modo strettissimo il fare
con il pensare nel campo delle attività
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
espressive, e che quindi vanno considerati una componente fondamentale per
una equilibrata e completa formazione
di tutti, a dispetto di chi crede che sia
fondamentale solo il leggere, scrivere e
fare conti economici. Il fare, nei saperi
artistici, mette in gioco la creatività.
I problemi che si pongono quando a
scuola si vuole sviluppare la creatività
dei bambini e delle bambine anche con,
attraverso, dentro le esperienze musicali
sono, a mio avviso, attinenti a due aspetti: quello relativo al prodotto finale di
una attività musicale e quello di metodo,
cioè relativo al percorso operativo. Cantare una filastrocca o una canzone, di per
sé, non è una attività creativa, ma tutt’al
più ripetitiva (teniamo conto comunque
che anche nella ripetizione ci può essere
piacere); battere un ritmo su un tamburo può rivelarsi un semplice esercizio
tecnico, che però soddisfa il piacere
sensomotorio; ascoltare un brano musicale può essere funzionale a creare un
ambiente rassicurante e piacevole, senza per questo dover attivare immaginazione e creatività. Il momento finale, il
prodotto conclusivo dell’attività musicale può risultare, all’occhio e all’orecchio
dell’adulto, poco significativo dal punto
di vista della originalità e della novità:
ma ciò che conta, in questo caso, è quanto è stato ricco di stimoli creativi il per-
corso fatto, il lavoro di esplorazione e di
invenzione a partire dal testo di una filastrocca o di una canzone, l’elaborazione
e la ricerca delle molteplici potenzialità
dei ritmi e dei timbri da ottenere sul tamburo prima di scegliere e di organizzare
quelli adeguati ai propri scopi, il confronto e la comparazione tra brani musicali contrastanti prima di individuare
quello più significativo e più funzionale
ai nostri bisogni. Attività sensomotorie,
elaborazione di regole, immaginazione
simbolica: tre elementi che, come ben
sappiamo, sono costantemente presenti
nell’agire e nel pensare dei bambini e
dei ragazzi, anche nell’agire e nel pensare musicale.
Se a scuola la musica viene ridotta a una
‘materia’ da imparare, e quindi il ‘piacere’ viene ridotto a ‘dovere’, la creatività
si spegne.
La musica è un gioco da bambini
François Delalande, studioso e ricercatore francese, ha usato questa frase come
titolo di un suo libro in cui descrive le
ricerche sulle condotte infantili relative
sia alle pratiche d’uso degli oggetti e degli strumenti musicali, sia all’ascolto, sia
alla capacità di invenzione e di composizione di eventi musicali, evidenziando
come esistano profonde analogie tra le
condotte musicali dei bambini e quelle
dei musicisti e dei compositori. Le condotte musicali spontanee dei bambini
hanno però bisogno di essere “educate”,
debbono cioè trovare condizioni favorevoli per potersi sviluppare. Diventa allora fondamentale il ruolo dell’insegnante,
ma anche del genitore, che predispone
situazioni stimolanti, che aiuta i bambini
a trovare i dispositivi giusti per progredire nelle conoscenze e nello sviluppo di
abilità tecniche, che valorizza gli aspetti
di originalità dei prodotti. Delalande usa
anche per le attività musicali la tripartizione, elaborata da Jean Piaget, di gioco
sensomotorio, di regole e simbolico, evidenziando come nelle condotte infantili
siano comunemente presenti aspetti di
creatività che si connotano come: curiosità esplorativa sul materiale sonoro, sia
vocale che strumentale; gusto del mettersi alla prova nell’inventare dispositivi che permettono di ottenere risultati
soddisfacenti sul piano della produzione
musicale; gioia nel vedere valorizzato il
proprio prodotto sonoro, che acquista sapore musicale nel momento in cui si dà
valore estetico a tale produzione: e qui si
aprirebbe un capitolo ampio e profondo
sul rapporto tra creatività e dimensione
estetica dell’esperienza.
Personalmente ho trovato e trovo funzionali per lo sviluppo della creatività
- anche nella didattica musicale - alcune
musica. Appunti pedagogici e
proposte didattiche, Edizioni
del Cerro, Tirrenia (PI) 2001;
con M. Disoteo, Specchi sonori. Identità e autobiografie
musicali, Franco Angeli, Milano 2002, e con Enrico Strobino, Anghingò. Viaggi tra
giochi di parole e musica, Edizioni ETS, Pisa 2003. Infine
ha curato i volumi di AA.VV.,
Pedagogia della musica: un
panorama, CLUEB, Bologna
1994; AA.VV, Un secchiello
e il mare. Gianni Rodari, i saperi, la nuova scuola, Edizioni
del Cerro, Tirrenia (PI) 2001;
G. Rodari, Il mio teatro. Dal
teatro del ‘Pioniere’ a ‘La storia di tutte le storie’, a cura di
Andrea Mancini e mario Piatti, Titivillus, Corazzano (PI)
2006; AA.VV., Saperi artistici
e mutamenti sociali: attualità
di Gianni Rodari, Edizioni del
Cerro, Tirrenia (PI) 2008.
E’ direttore della collana
Musica&Didattica delle edizioni ETS e della rivista on
line www.musicheria.net del
CSMDB di Lecco.
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
70
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tecniche (o regole del gioco) che Rodari
ha esemplificato nel suo libro Grammatica della fantasia : il binomio e l’ipotesi
fantastica, il ricalco, l’inversione, l’errore creativo, ecc. ecc. Al di là (e forse prima) delle tecniche, ciò che conta, fondamentalmente, è avere una mente aperta,
disponibile all’imprevisto, al diverso, ad
accettare anche l’imperfezione, comunque a mettersi in gioco: “Ci sono persone – dice Rodari - a cui è permesso,
socialmente, di continuare a giocare per
tutta la vita. Sono poeti, artisti, scienziati, inventori. Persone che possono continuare a cercare più in là di quello che
già si vede, ed analizzare e sperimentare
nuove possibili combinazioni di parole,
di idee, di concetti. (…) Queste persone
per tutta la loro vita compiono un lavoro che per loro è un grande gioco. Che
comporta la mobilitazione, dentro di
loro, non solo della creatività scientifica,
ma anche della creatività ludica. Ci sono
oggi molti che studiano anche le omologie tra il processo di creatività scientifica
e quello di creatività artistica”.
Un elemento per le nostre regole è l’oggetto stimolo (il rodariano “sasso nello
stagno”) per attivare curiosità e interesse, per motivare alla esplorazione di
materiali, repertori, oggetti musicali,
comportamenti motori funzionali alla
produzione di suoni e ritmi, ecc. Quale
miglior oggetto stimolo di uno strumento musicale, soprattutto se non ancora
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
conosciuto dai bambini e dalle bambine
della nostra scuola? Strumenti dell’altro
mondo, ma anche della nostra tradizione popolare, che ci permettono progetti interdisciplinari e interculturali dove
fantasia e creatività trovano sicuramente
terreno fertile, come sono tutti gli itinerari che possiamo percorrere con spirito
nomade.
Anche le filastrocche sono sicuramente
un buon oggetto stimolo che permette
di correlare alle attività musicali anche
l’educazione linguistica, le attività motorie, le competenze grafiche .
Infine, alcune storie possono senz’altro
essere considerate sasso nello stagno che
può favorire al massimo grado la creatività dei bambini, non solo sul piano linguistico, ma anche per quanto riguarda
la competenza musicale (e Rodari ha
alcuni testi particolarmente significativi a questo proposito, come Il concerto
dei gatti, in: Fiabe lunghe un sorriso, Ed.
Riuniti, o La canzone del cancello, in: Il
gioco dei quattro cantoni, Einaudi .
Perché la musica diventi culla di creatività, per aiutare gli altri a diventare sempre più creativi, dobbiamo innanzitutto
imparare a creare contesti e situazioni
educative dove si possa scegliere tra le
infinite forme del possibile e dell’impossibile, dove non ci si debba modellare
unicamente su standard predefiniti da
esperti poco inclini al sapere creativo,
dove si abbia il coraggio di mettere in
discussione antiche certezze e di andare alla ricerca di variazioni fantastiche.
La musica, o meglio, le musiche dei
vari popoli e delle diverse culture, nella
loro molteplicità di funzioni, di stili, di
generi, di usi, di pratiche sono già oggi
segno e testimonianza di una creatività
diffusa, che non si lascia imprigionare in
tradizionali schemi disciplinaristici. Per
favorire la creatività dei bambini occorre
innanzitutto fare personalmente esercizi
di creatività. Porre attenzione a tutti gli
eventi musicali, ascoltare con curiosità
tutto ciò che risuona nel mondo, provare
a inventare qualcosa, con la voce e con
gli strumenti musicali, valorizzando conoscenze e competenze anche minime
che già possediamo, può essere un buon
inizio per diventare più creativi: lasciamoci contaminare dalla curiosità e dalla
passione di bambini e bambine. Il piacere della musica trasformerà il mondo.
Un laboratorio musicale
Le belle idee hanno però bisogno di gambe organizzative e finanziarie per essere
realizzate. Un buon esempio ci sembra
essere quello messo in atto dai tre Istituti Comprensivi di Pontedera che, in
collaborazione con l’Amministrazione
comunale, hanno dato vita al progetto
“Musicascuola – Laboratorio musicale
di rete”.
Il progetto è articolato in una serie di
iniziative mirate da un lato a dare la
possibilità a tutti i bambini delle scuole dell’infanzia e ai ragazzi della scuola dell’obbligo di poter fare esperienze
musicali significative, dall’altro ad offrire alle insegnanti occasioni di formazione in servizio per migliorare la
propria competenza nel settore della
didattica della musica, sulla base anche
delle nuove Indicazioni per il curricolo
per la scuola dell’infanzia e per il primno ciclo di istruzione (settembre 2007).
Al progetto collaborano le Associazioni
musicali che operano sul territorio, e in
particolare l’Accademia della Chitarra
– Musica & C., L’Accademia musicale Glenn Gould, l’Accademia Musicale
Toscana, l’Associazione culturale Musicastrada, l’Associazione La Girandola,
la Filarmonica Volere è Potere.
Il Laboratorio ha preso avvio nell’a.s.
2007-2008, sviluppando e potenziando
quanto già fatto anche in anni precedenti,
con l’intervento di alcuni esperti in didattica musicale che hanno coadiuvato gli
insegnanti delle otto scuole dell’infanzia
e di una trentina di classi della scuola primaria. Inoltre si è dato vita all’esperienza
del cantare in coro, con la costituzione
di un coro in ogni scuola, ciascuno composto mediamente da una quindicina di
ragazzi. I cori si sono esibiti in occasione
del “Festival dei bambini” di Montecastello nel mese di maggio 2008.
A integrazione degli interventi nelle
scuole, il Laboratorio musicale di rete ha
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
organizzato, con la collaborazione delle
associazioni musicali, ben 26 incontriconcerto rivolti alle scuole dell’infanzia,
elementari e medie, con l’esecuzione di
fiabe musicali, repertori di vari generi
musicali, presentazione di strumenti,
dialogo con i musicisti sulla professione
musicale. Tra febbraio e maggio 2008
hanno partecipato agli incontri-concerto
una ottantina di classi con, complessivamente, circa 400 bambini delle scuole
dell’infanzia, circa 1000 ragazzi delle
scuole elementari e circa 190 ragazzi
delle scuole medie. Le iniziative dell’a.
s. 2007-2008 si sono concluse con la
manifestazione La città in musica che ha
visto la realizzazione di performance e
mini-concerti durante tutta la domenica
25 maggio, nel cortile della scuola ‘Curtatone e Montanara’.
La gestione di “Musicascuola – Laboratorio musicale di rete” è affidata ad una
Giunta esecutiva, composta dai Dirigenti Scolastici e dell’Assessore alla Pubblica Istruzione, e a un Gruppo di Progetto,
composto da venti insegnanti, referenti
per la musica nei vari plessi scolastici,
coordinati da un esperto in pedagogia
e didattica della musica. I finanziamenti sono costituiti da un contributo delle
singole scuole e da un consistente apporto dell’Amministrazione Comunale,
in collaborazione con il CRED, presso il
quale ha sede anche Musicascuola (Via
Manzoni 22).
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Analoghe iniziative verranno realizzate nel corso dell’a.s. 2008-2009, con
riferimento a due temi particolarmente
interessanti: le fiabe e le filastrocche
per fare musica con i più piccoli, il
‘Paesaggio sonoro’ per i ragazzi più
grandi, un paesaggio da osservare (o
meglio: da ascoltare), da descrivere e,
perché no, da reinventare componendo ‘sculturÈ sonore, itinerari musicali,
considerando la città come una grande orchestra capace di ‘armonizzarÈ
i vari ‘strumentisti’ nella produzione
di una piacevole sinfonia. Suonare la
città diventa allora un obiettivo artistico ed espressivo che ha l’ambizione di
rendere piacevole, anche acusticamente parlando, i propri spazi vitali.
Le iniziative di Musicascuola saranno
sviluppate con il supporto determinante dell’Amministrazione Comunale di
Pontedera, particolarmente attenta non
solo al sostegno dell’arte visiva, ma
anche di quell’arte sonora che, a differenza della pittura, della scultura, dell’architettura, vive solo nell’istante in
cui la si produce e la si ascolta. Un’arte ‘fragilÈ, ma che proprio per questo
esige da parte di tutti maggior rispetto,
attenzione, cura, nel tentativo di rendere meno caotico il nostro vissuto sonoro quotidiano, così spesso pieno di
cacofonie deturpanti e inquinanti, non
solo per le nostre orecchie, ma anche e
soprattutto per le nostre intelligenze.
DINO CAVALLINI
LIUTAIO
di M. L.
L
a prima volta che ho sentito
parlare di Dino Cavallini è
stata nella “bottega” di Loris
Lanini in piazza Garibaldi. Si parlava
di un artigiano dalle notevoli capacità tecniche e dotato di una grande
sensibilità nello scegliere i materiali
per i suoi violini. Scoprii dopo, che
questo sensibile artigiano liutaio altro
non era che il mio barbiere. Sì proprio lui, taciturno, schivo, che mai si
vantava dei suoi successi e delle sue
capacità come liutaio. Il suo mestiere
era il “barbiere”, il “liutaio” era un
hobby, È sconcertante vedere come
questi dilettanti raggiungano livelli
di eccellenza, siano apprezzati dai
professionisti e stimati per la qualità
delle loro opere.
Mi hanno raccontato che un musicista di Pontedera, trovandosi a Cremona, patria dei liutai, per portare a
un liutaio il suo contrabbasso a cui
doveva cambiare il ponticello, il liutaio quando seppe che era di Pontedera gli disse: “ Ma voi a Pontedera
avete il Cavallini!…”.
Segue a pagina 76
Dino Cavallini nella sua
bottega di barbiere
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Dino Cavallini
con un amico
per un controllo a due
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Il controllo dello spessore
è determinante per la
riuscita del violino
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Dino con la moglie
Azzaleria. Si discute sul
manico dello strumento
Dino che controlla le fasce
A sinistra: dopo la
verniciatura gli strumenti
sono stati appesi per la
stagionatura
Dino prova il violino per
saggiare il suono
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Alcuni strumenti della
produzione di Dino
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Produzione differenziata
con viola e violino
La nipote
di Dino Cavallini con un
esempio di violino
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Dino Cavallini nato a Pontedera il
9/11/1907, morì il 18/7/1995. Era sposato con Guidi Azzaleria e non avevano
figli. Aveva messo assieme, riunendo
vari componenti, uno dei più bei laboratori di liuteria situato in una mansarda di via Gotti e con un ordine preciso
aveva disposto tutti gli utensili.
Altruista e amante della buona tavola, soggiornava talvolta a Montenero
dove, una volta con la pittrice Bianca Bagnoli, partecipò ad una esposizione mettendo in mostra i suoi violini e viole.
Si dice, che ogni liutaio avesse nella
verniciatura un segreto, decisivo per la
qualità del suono dello strumento. Forse è un aneddoto, ricordo, però, che in
un’occasione, io ero presente mentre
il Cavallini discuteva con il Lanini sul
tono del colore, sulla diluizione della
vernice o sulla qualità dell’abete per
il piano e dell’acero per il fondo della
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
L’ACUSTICA A TEATRO
di Valentina Reino
Q
cassa e sulla struttura delle fasce.
Tutti questi artigiani di valore, e ce ne
sono ancora, penso creino quell’humus
necessario a creare un ambiente ricco
e culturalmente avanzato.
uando le leggi dell’acustica fisica vengono applicate a
delle strutture edilizie, possiamo parlare di acustica architettonica. L’acustica architettonica studia
le caratteristiche volumetriche degli
ambienti e le proprietà dei materiali
utilizzati. Sappiamo che il suono è sia
un fatto oggettivo, sia una sensazione
fortemente soggettiva, infatti l’ascolto
è condizionato da situazioni psicofisiche momentanee, in base alle quali il
soggetto varia il proprio giudizio. A
tale proposito la psicoacustica studia i
meccanismi di elaborazione del suono
da parte del cervello.
I primi studi di acustica risalgono al VI
secolo a.C. con il filosofo greco Pitagora e i pitagorici, che giunsero a stabilire le relazioni fra la lunghezza delle
corde vibranti e l’altezza dei suoni, oltre ad introdurre una delle prime scale
musicali. La possibilità che il suono si
propaghi attraverso onde di pressione
fu evidenziata da Aristotele e dal suo
allievo Aristosseno, le cui teorie sono
state alla base della costruzione dei teatri greci all’aperto del tipo a ventaglio e
degli anfiteatri romani.
Per secoli i progettisti hanno cercato
di ricreare in altri luoghi l’acustica
perfetta dei teatri greci, anche usando
espedienti a volte dettati solo da discutibili convinzioni.
Naturalmente gli antichi trattati greci e romani, come i testi di Vitruvio e
la meccanica di Erone di Alessandria,
vennero ripresi nel corso del Rinasci-
Bayreut, Festpielhaus
mento e furono d’ispirazione a progettisti e mecenati, tra cui la famiglia
de’Medici, che volle meraviglie simili
nei propri palazzi.
Progressi sostanziali avvennero solo
a partire dal XVI secolo. Al filosofo naturale inglese Francis Bacon
(1561-1626), che per la prima volta
usò il termine “arte acustica”, dobbiamo il primo esperimento sulle
misurazioni acustiche.
Durante tutto il ‘600 possiamo annoverare un vasto repertorio strumentale
all’interno della fisica sperimentale, tra
cui il monocordo, i piatti di Chladni e
una ruota dentata in bronzo inventata
da Robert Hooke.
Fino al XVIII secolo la composizione musicale veniva influenzata dalle
condizioni del luogo in cui sarebbe
stata eseguita. Il compositore Henry Purcell (1659-1695) crea impasti
orchestrali e tessiture ritmiche differenti, quando compone per l’Abbazia di Westminster, in cui l’acustica è
determinata dalla presenza di marmi,
pietre dure e vetrate, rispetto a quando compone per la Cappella Reale di
Carlo II d’Inghilterra, dove il suono
viene assorbito da tappeti e arazzi. Fu
durante il tardo barocco che si invertì
questo rapporto, la scienza dell’acustica cominciò a influenzare l’architettura, la quale doveva essere idonea
alla tipologia di musica eseguita.
Il fisico tedesco G.S. Ohm (17871854), durante le sue ricerche, scoprì che l’orecchio si comporta come
un analizzatore acustico, in grado di
scomporre un suono complesso nelle
diverse componenti armoniche.
Grossesschauspielhaus,
Berlino
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Roma, Auditorium
Teatro di Epidauro
Il più antico e famoso teatro semicircolare è quello di Epidauro (360 a.C.) di
Polykleitos. Il proscenio sopraelevato a causa della maggiore altezza della cavea
e la presenza di un logheion sopra il proscenio, riservato al coro, formavano una
alta struttura a telaio, tamponata con riquadri di legno che riflettevano il suono in
direzione del pubblico. Ancora oggi le voci possono essere ascoltate chiaramente dalle file più lontane, distanti circa 60 metri. Le gradinate in quanto superfici
periodiche contribuiscono alla diffusione delle onde sonore e agiscono come un
filtro acustico che sopprime i rumori di fondo, mentre lascia passare le frequenze
alte degli esecutori.
Il principio del riverbero delle onde sonore varia in base ai materiali adoperati, ci
sono differenze a seconda del tipo di pietra e dell’angolazione rispetto alla sorgente sonora. Ad esempio in Sicilia e in Campania si ricorreva spesso alla pietra
lavica come nel teatro greco-romano di Taormina (III secolo) e nell’anfiteatro di
Pompei.
Fu il professor W.C. Sabine che, fra
il 1895 e il 1915, gettò le fondamenta di una nuova scienza: l’acustica
architettonica.
Sabine fu il primo a definire il tempo di riverberazione, ovvero il tempo
impiegato da un suono, dopo il suo
spegnimento, per decrescere di 60 dB
78
79
Sydney, Australia,
Open House
(decibel) di livello di intensità. Inoltre
progettò la Symphony Hall di Boston,
costruita nel 1900 e ancora oggi tra le
migliori sale da concerto.
Dobbiamo tener presente, soprattutto
negli ultimi decenni, dell’impegno di
architetti e progettisti per generalizzare
la fruizione delle sale da concerto.
Teatro Olimpico
Il Teatro Olimpico a Vicenza progettato da Andrea Palladio e realizzato dal figlio
Silla e da Vincenzo Scamozzi nel 1585, è il primo teatro stabile fatto costruire
dopo l’epoca classica, alla quale si ispira. In esso si hanno due innovazioni fondamentali: la sala coperta e la prospettiva nella scena. Quest’ultima rappresentò
una rivoluzione per l’aspetto visivo e per quello acustico: i passaggi ristretti e la
pendenza ascensionale data dal retroscena concedono allo spettatore la sensazione di essere immerso nel dedalo delle sette strade di Tebe.
Questo teatro rappresenta l’anello di congiunzione tra l’antico e il moderno: non è più aperto e semicircolare bensì semiellittico e chiuso da un soffitto piano, con ripida gradinata. Il suono è brillante e c’è una significativa diffusione dovuta alla presenza
delle sculture e delle ricche decorazioni.
Il Teatro Italiano
Con il teatro di S. Cassiano e dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia (1637- 38), in
cui le file delle gradinate vennero sostituite con diversi ordini di palchi riservati
all’aristocrazia, si compì un passo decisivo nella definizione del modello di teatro
italiano. Il tempo di riverberazione era breve e ridotto al minimo l’eco, grazie al
potere assorbente dei palchi e del pubblico in platea.
La ricostruzione del Teatro di Tordinona a Roma (1696) ad opera di Carlo Fontana,
fu un modello e dette luogo ad alcune varianti, denominate pianta a ferro di cavallo
e pianta a campana. Su di esso sorse a Milano il Teatro alla Scala (1778) dove l’originale interprete del neoclassicismo,
Giuseppe Piermarini, ricreò un’acustica perfetta, grazie al giusto rapporto fra masse e spazi vuoti.
A Palermo, nel 1897, l’architetto Basile termina la costruzione del Teatro Massimo. La sala a ferro di cavallo, con
una superficie pari a quella dei teatri di Vienna e Parigi, fu concepita secondo il modello del teatro all’italiana, con
file di logge suddivise in palchi indipendenti e disposti secondo precisi calcoli di acustica e visibilità. La forma della
sala consente al pubblico di avvicinarsi maggiormente alla scena, in virtù di una maggiore intensità del suono diretto;
è la migliore risposta alle esigenze dell’opera all’italiana. L’opera lirica impone requisiti acustici molto diversi dalla
musica sinfonica o da camera. Per mantenere intelligibile il libretto, non così diverso dal parlato, la riverberazione
deve essere breve, affinchè le successive sillabe non siano mascherate dalla riverberazione di quelle immediatamente
precedenti.
Opera House
L’Opera House di Sidney (1973) dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è
stata considerata un capolavoro del linguaggio architettonico moderno. La struttura
avrebbe dovuto suggerire il comportamento sonoro delle conchiglie, ma l’architetto
Jorn Utzon e l’ingegnere Ove Arup, non riuscirono a renderla acusticamente all’altezza delle aspettative, forse per certi volumi inadeguati e per le scelte legate alla
standardizzazione degli elementi costruttivi.
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Festpielhaus di Bayreuth
La Festspielhaus di Bayreuth, costruita nel 1876, come risposta al teatro aristocratico proponeva un nuovo tipo di spazialità atto a modificare il rapporto
tra pubblico e scena, basandosi sulle teorie drammatico - musicali di Richard
Wagner. Le caratteristiche acustiche della sala sono determinate dalla pianta
“a ventaglio”, dalle grandi quinte sporgenti all’interno della sala e degradanti
verso il boccascena con valore di riflessione, e dai palchi e dalle gallerie con
funzione assorbente. Uno degli elementi innovativi è il “golfo mistico”: fossa
orchestrale articolata su sei differenti piani, posti sotto il livello della platea e rivestita da stucco duro, altamente
riflettente. Applicando un riparo curvo dietro l’orchestra Wagner tentò di ottenere uno schermo che invii i suoni
verso l’uditorio, questo ufficio era compiuto, nell’antico teatro romano, dalla parete di fondo.
Il teatro wagneriano mirava alla creazione di un ambiente in cui il pubblico venisse raccolto in un’unica comunità.
Con analoghe intenzioni nacque nel 1919 a Berlino la Grosses Schauspielhaus di Hans Poelzig. Un ottimo esempio
di architettura espressionista, con provvedimenti costruttivi e decorativi che eliminano i riflessi del soffitto troppo
alto e della cupola che fu suddivisa da originali anelli, ciascuno formato ed irrigidito da una serie di archetti.
Hollywood Bowl
Un tipico esempio di teatro moderno che si trova all’aperto è l’Hollywood
Bowl, costruito nel 1922-1929 da Allied Architects e Frank Lloyd Wright jr.
La struttura opera come un riflettore acustico che dirige il suono verso la platea, inoltre è stato ricavato, come nella tradizione greca, in una grande cavità
naturale. L’anfiteatro è stato ristrutturato da Frank O. Gehry con un intervento
in 6 fasi, di cui nel 1980 la sistemazione acustica permanente della copertura
dell’orchestra con sfere di fiberglass.
Philarmonie di Berlino
In Germania Hans Scharoun, esponente di spicco dell’architettura organica, progettò la Philarmonie di Berlino (1956-63) una sala da concerto che
potrebbe sembrare il risultato dell’espressione individuale dell’architetto
per la novità del linguaggio formale. In realtà la disposizione dei sedili in
terrazzamenti ascendenti che circondano i suonatori, costituisce una soluzione razionale ai problemi acustici e risponde all’ obiettivo di generare un
rapporto tra pubblico e orchestra. La struttura dalla forma pentagonale visibile all’esterno viene mantenuta anche all’interno, l’orchestra occupa la sezione centrale della sala mentre
attorno si trovano le gallerie per il pubblico e la copertura esterna è in alluminio dorato.
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Villaggio della Musica
Renzo Piano ha progettato il Villaggio della Musica (2002) di Roma. Attraverso un’attenta analisi acustica, ogni sala è la cassa armonica più idonea
al tipo di musica che vi verrà suonata. Viste dall’esterno le tre sale sembrano rocce che affiorano tra la ricca vegetazione.
La sala Santa Cecilia, è stata studiata per i grandi concerti sinfonici, ha una
scena centrale di configurazione modulabile e le sedute disposte a terrazzamenti. La sala Sinopoli, è la più flessibile delle tre, grazie alla possibilità
di adattare le dimensioni della scena e la disposizione delle sedute secondo
il tipo di spettacolo, può ospitare sia concerti di musica contemporanea che balletti.
La sala più piccola, ha una configurazione simile a quella dei teatri storici, con la fossa per gli orchestrali
e la struttura scenica di tipo tradizionale anche se movibile, è in grado di ospitare opere liriche, concerti di
musica da camera o barocca e spettacoli teatrali. All’interno, le tre sale sono rivestite di legno di ciliegio,
adatto ad accogliere e restituire in modo affidabile le onde sonore.
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
MARIA CIOPPI
CANTANTE LIRICA
di Anna Vanni
H
o incontrato casualmente Maria Cioppi sul “PIAZZONE”
verso la fine dell’estate 2008
. Si è diretta verso di me col suo bel
sorriso cavalcando una bicicletta stracarica di borse della spesa e agitando
una mano in segno di saluto.
Immagine davvero inusuale di una
cantante abituata a calcare importanti
palcoscenici di teatri esteri e italiani.
Immagine inusuale però per chi non
conosce la sua schiettezza e la sua semplicità e non per le persone che hanno
la possibilità di poterla frequentare nel
privato. Ci fermiamo un po’ a parlare;
le chiedo dei suoi successi, dei suoi
impegni futuri ma la reciproca fretta
e il pranzo che aspetta non mi danno,
come vorrei, la possibilità di iniziare
un discorso che metta bene in luce la
sua professionalità.
Domando se possiamo incontrarci di
nuovo e Maria propone di vederci a
casa sua.
Il giorno seguente, sedute sul divano
del salotto, riprendiamo il discorso
interrotto in un ambiente caldo, fantasioso, perfettamente aderente alla
sua personalità.
Le chiedo quando ha deciso di intraprendere una carriera interessante
ma difficile.
Mi risponde che la voglia di esprimersi
con ilcanto non è nata con lei. Voleva
fare altre cose, non pensava assolutamente di poter diventare una cantante
lirica. Le persone a lei vicine però, familiari, parenti, amici, dicendole che
aveva una bella voce, l’hanno consigliata a valorizzare questa sua qualità. Ha cominciato allora a cantare nel
Coro Parrocchiale del Duomo di Pontedera, distinguendosi subito, fra i coristi, per il volume e l’armonia della
voce, elementi questi che l’hanno spinta successivamente a intraprendere lo
studio del canto, uno studio però non
finalizzato nelle, sue intenzioni, a una
possibile carriera di cantante. Pensava
che la conquista di un titolo di studio
o un diploma, le avrebbero permesso
eventualmente di insegnare.
I casi della vita però l’hanno portata a
percorrere strade diverse da quelle immaginate.
Determinante è stata per lei la conoscenza di persone operanti nel campo
musicale che l’hanno convinta a studiare per seguire la strada del canto.
Negli anni di studio, passando da un insegnante a un altro, veniva indirizzata
da alcuni in un senso, da altri in un altro.
Poiché Maria aveva cominciato gli studi quando era una adolescente e aveva
una voce chiara e squillante, i maestri
ritennero che il suo timbro vocale fosse
quello di un soprano leggero. Successivamente, entrando a studiare nel Conservatorio di Lucca, Maria cominciò
“... ad aprire gli occhi”. Sulle sue corde
vocali si erano formati dei noduli che
non le permettevano più di emettere i
toni acuti da soprano leggero. Pensò
allora di abbandonare gli studi. La madre di Maria, però, avendo visto in una
trasmissione televisiva il famoso tenore Carlo Bergonzi che teneva con passione e disponibilità dei Master in una
Accademia Musicale, decise di contattarlo per chiedergli un’audizione per la
figlia. La richiesta fu accolta dal tenore
che, in seguito all’audizione si espresse
in termini positivi dicendo che “quella
voce” meritava assolutamente di essere
valorizzata.
Incoraggiata da questa valutazione
Maria continuò il suo percorso artistico
riuscendo a prendere una borsa di studio e a fare un’Accademia di quaranta
giorni a Busseto.
Queste esperienze la incoraggiarono a
pensare che, forse, “ ce la poteva fare”a
proseguire nel suo cammino.
Ricominciò cantando “L’ELISIR
D’AMORE” di DONIZZETTI e “LE
NOZZE DI FIGARO” di MOZART
però non era ancora ben definito ben
definito quale sarebbe stato in futuro il
percorso artistico.
MARIA CIOPPI
È nata e risiede a Pontedera.
Ha iniziato cantando nel
Coro parrocchiale del Duomo di Pontedera.
Ha studiato con vari insegnanti e, successivamente,
iscrivendosi al Conservatorio “Boccherini” di Lucca.
Avendo vinto una borsa
di studio, ha continuato
ha continuato il suo “iter“
presso l’Accademia Musicale di Busseto. Studiando ancora da privatista, ha
conseguito il Diploma di
Conservatorio presso
il Conservatorio “Niccolò
Paganini” di Genova.
Ha mosso i suoi primi passi nell’ambiente musicale
molto giovane cantando
brani Da “L’Elisir d’Amore“ e da “Le Nozze di Figaro“ di Mozart.
Nel 1989, a Torre del Lago,
ha cantato nell’opera “ Suor
Angelica” di Puccini e, negli anni seguenti, in molti
importanti teatri.
Attualmente, con il maestro
e collega Luca Casarin, studia per affrontare ruoli congeniali alla sua sensibilità.
Collaborando con Mario
Dradi, importante agente
a livello internazionale,
ha interpretato il ruolo di
Colombina nell’opera “Le
Donne Curiose“ di Wolf
Ferrari, ottenendo anche
importanti ruoli di comprimariato in opere rappresentate all’Arena di Verona e al
San Carlo di Napoli.
A Verbania, sul Lago Maggiore, ha cantato nell’opera
“Aida” di Verdi, diretta da
Lorin Mazel e, come interprete principale, in un’opera di Menotti intitolata “Il
telefono“.
Nel Dicembre 2008, si è
esibita durante una tournèe
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
di concerti pucciniani a Las
Palmas, nelle isole Canarie
e nei concerti di Natale a
Ragusa e Augusta.
Arena di Verona,
Rigoletto di Verdi
82
83
Messina,
Il Falstaff di Verdi
Gli insegnanti del Conservatorio non
avevano ben capito le caratteristiche
del suo timbro vocale e le avevano imposto un repertorio non adatto.
Successivamente, continuando a studiare e frequentando anche altri insegnanti, capì che la sua voce avrebbe
potuto affrontare esperienze da soprano lirico.
In seguito a una visita effettuata da una
celebre foniatra, venne poi a sapere
che la sua laringe aveva una conformazione particolare che le permetteva di
emettere toni da soprano leggero ma
che aveva sostanzialmente un apparato
da soprano lirico puro.
Questo fatto la spinse successivamente ad aspirare a ruoli prevalentemente drammatici, passionali come
la “TOSCA “di PUCCINI o DONNA
ELVIRA nel “DON GIOVANNI” di
MOZART.
Attualmente, in sintonia con la sua
scelta, sta facendo un “grande lavoro” con il maestro e collega LUCA
CASARIN.
Studiando con lui ha scoperto nella
sua voce delle qualità che non aveva
mai sfruttato e che possono realmente offrirle l‘occasione di affrontare
ruoli più congeniali alla sua sensibilità di artista.
Secondo Maria però, “... un tempo i
cantanti erano …i cantanti! Per loro
era importante come vivevano un
personaggio”. Pensa invece che oggi
direttori d’orchestra e registi spesso
impongano le loro idee a cantanti e
registi per i quali, pur restando aderenti al testo, è determinante come
“scolpire” un personaggio.
Ritiene comunque che ci siano alcuni
registi, ZEFFIRELLI, UGO GUERRA, ABBADO e altri che non stravolgono i testi e rispettano il ruolo degli
interpreti. Alla domanda se lei pensa
di essere stata capita e valorizzata adeguatamente, secondo la sua professionalità, risponde: “Non in pieno”.
Chiarisce il concetto dicendo che se un
artista non ha un’agenzia con la quale avere rapporti di collaborazione, le
possibilità di lavorare sono poche.
Ha cominciato a cantare molto giovane, nel 1989 a TORRE DEL LAGO
interpretando un piccolo ruolo nella
“SUOR ANGELICA” di PUCCINI.
Successivamente, per 15, 16 anni, le
sono stati offerti ruoli meno importanti perché “…gran parte di quello
che ho fatto, l’ho fatto da sola, senza
alcun aiuto”.
Scriveva ai direttori dei teatri, andava
a fare audizioni ma otteneva solo “ le
briciole“ perché non aveva alle spalle
un’agenzia che la proponeva.
È stato molto difficile per lei continuare nel suo cammino artistico. Ha perseverato spinta dalla passione e dalla sua
forza di volontà finchè ha incontrato
MARIO DRADI, uno dei più importanti agenti, a livello mondiale, di grandi artisti quali PLACIDO DOMINGO,
CARRERAS, RAIMONDI, la GULEGHINA, BRUSON…
L’incontro con Mario Dradi col quale
sta collaborando da qualche anno, è
stato per lei determinante perché le ha
permesso di rinunziare a ruoli minori
per affrontarne più importanti come
quello di COLOMBINA nell’opera
“LE DONNE CURIOSE” di WOLF
FERRARI che è stata rappresentata al
Teatro Filarmonico di VERONA.
Attualmente, sempre in collaborazio-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Concerto a Pontedera
Verona, Le donne curiose
di Wolf Ferrari
84
85
ne con l’Agenzia di M. Dradi, alterna
a questi ruoli altri di “comprimariato” in opere quali il “RIGOLETTO”
di VERDI, cantando in grandi teatri
come l’ ARENA di VERONA e il SAN
CARLO di NAPOLI e facendo anche
importanti registrazioni in DVD. In
occasione del cinquantenario dalla
morte di TOSCANINI, a Verbania sul
Lago Maggiore, ha anche cantato nell’
AIDA diretta da LORIN MAZEL col
quale ha fatto poi una tournée in Brasile.
Nel prossimo mese di dicembre (2008), sempre collaborando con l’Agenzia di
Mario Dradi, il cui impegno
è finalizzato anche alla realizzazione di grandi eventi
a carattere internazionale,
andrà a Las Palmas, nelle
Gran Canarie, dove avrà
luogo una serie di concerti
pucciniani.
Quando ho chiesto a Maria
la sua opinione sui musicisti
contemporanei come LUIGI
NONO, mi ha risposto che
non ha, a tale riguardo, una
conoscenza approfondita.
Ha cantato però in un’opera
di MENOTTI intitolata “IL
TELEFONO” nella quale
gli interpreti sono soltanto
due: un soprano, LUCY, interpretato da Maria e BEN,
interpretato da un baritono.
In pratica l’interpretazione di questa
Lucy si svolge al telefono nella paradossale situazione, decisa dal regista,
di un trasloco per cui la protagonista,
affaccendata a riempire scatoloni e
contemporaneamente a rispondere alle
telefonate, riesce a malapena a scambiare qualche parola col povero fidanzato Ben che vuole chiederle di sposarlo ma che per parlarle è costretto
anche lui a telefonarle dall’esterno.
Maria dice che questo è un tipo di
scrittura musicale molto diverso da
quello con cui si è formata musicalmente però, in qualche modo vicino
al suo “animus” per il “suo aspetto
divertente e comico”.
Afferma anche di essere una “pucciniana sfegatata” perché Puccini tocca le
corde del suo animo e perché, da toscana, ritiene che in opere come BOHEME o BUTTERFLY, emergano “palpiti
e fremiti della toscanità dell’autore”.
Prima di concludere la nostra lunga
conversazione, le chiedo se può parlarmi di alcune cantanti liriche da lei
particolarmente apprezzate . Mi risponde facendo i nomi di : MIRELLA FRENI, RENATA TEBALDI,
MARIA CALLAS.
“... la Callas aveva una voce che le
permetteva di fare ciò che voleva, nonostante il colore di quella voce fosse metallico. La Callas era talmente
padrona del suo strumento - voce che
non lasciava niente al caso, studiava
qualsiasi parola, qualsiasi inflessione,
diventando sul palcoscenico il personaggio che interpretava e portando sul
palcoscenico una ventata di novità”.
A questo punto della nostra amichevole conversazione, ritenendo di avere un
pò “abusato” della disponibilità di Maria, la ringrazio per la sua gentilezza.
Le auguro di proseguire nel suo cammino di artista raccogliendo i successi che merita ma restando la bella
persona che è.
Messina,
Le nozze di Figaro
di Mozart
Verona, Carmen di Bizet
Centro di Documentazione Fotografica
Centro di Documentazione Fotografica
IL TEATRO ERA
Retro della struttura
a cura della Redazione del Centro
I
Entrata del Teatro Era
di Pontedera
l 21 ottobre dopo circa 15 anni dall’inizio dei lavori è stato inaugurato
il teatro Era, un teatro con soluzioni e innovazioni tecnologiche d’avanguardia che lo pongono ai primi posti
nella scala dei valori tecnologici.
È un teatro che è cresciuto con la voglia dei cittadini di avere una struttura degna di questo nome: ricordo una
manifestazione pubblica, a sostegno
del teatro, per la ripresa dei lavori interrotti a cui parteciparono anche Gerzy Grotowski, gli attori dell’Odin Teatret e una gran folla: cose mai viste per
un avvenimento culturale. Quindi, se il
teatro c’è è merito dei cittadini e delle
autorità. Si deve riconoscere anche un
gran merito agli addetti ai lavori che
hanno saputo trasformare un sogno in
una realtà, che ha dato a questa città,
un luogo di incontro culturale per il
teatro e per una scuola di attori.
Un Festival di apertura di questo teatro
si è svolto nei due mesi di ottobre e
novembre e ha coinvolto tutta la città
per la varietà degli interventi. L’impegno proseguirà con i vari laboratori
messi in programma per un lavoro che
si annuncia lungo e gratificante per le
nuove generazioni.
La struttura avrà altre funzioni perché sarà anche la sede il Consiglio di
Quartiere, della filarmonica “Volere
è Potere” e della Fondazione Pontedera Teatro.
Interno
Il Teatro Greco
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Centro di Documentazione Fotografica
Immagini dell’interno
del Teatro Era
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
BRENNO RISTORI
di Michelangelo Gorini
C
i raccontano i vecchi pontederesi
la storia di un tenore dalla voce
chiara e squillante che ebbe i suoi
natali in questa città nel 1912; Brenno Ristori che ebbe anche la fortuna di cantare
ed essere apprezzato dai maggiori artisti
lirici del suo tempo. Iniziò a studiare canto nella scuola del maestro Raul Frazzi di
Firenze, una scuola ritenuta importante
e dalla quale era uscito il baritono Gino
Bechi, un grande della lirica. Brenno Ristori vincitore al concorso “voci nuove”
indetto dal Teatro Comunale di Firenze,
come tenore, insieme a Rolando Panerai
vincitore come baritono, ebbe una carriera artistica ricca di soddisfazioni per
aver interpretato ruoli di rilievo e aver
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BRENNO RISTORI
Appunti cronologici
1947 - Pisa/ Concerto vocale.
1948 - Pisa/ Teatro Italia “Lucia di Lammermoor”.
1948 - Pontedera/ Teatro Italia “Lucia di Lammermoor”.
1948 - Firenze/ Teatro Comunale “Chovanjcina”, “Lombardi alla prima crociata”,
“Salomè”, “Aida”.
1950 - Lucca/ Teatro del Giglio “I Pagliacci”.
1950 - Firenze/ Teatro Comunale “Rigoletto”, “Boris
Godounov”.
1951 - Firenze/ Teatro Comunale “I vespri siciliani”,
“Traviata”, “Ballo in maschera”, “Aida”.
1953 - Firenze/ Teatro Comunale “Dama di picche”,
“Guerra e pace”.
1954 - Firenze/ Teatro Comunale “La fanciulla del
West”, “Il contrabbasso”,
“Nabucco”.
1955 - Firenze/ Teatro Comunale “Don Sebastiano”,
“Werther”, “La fiera di Sorocinsky”.
1957 - Firenze/ Teatro Comunale “Ballo in maschera”.
“Nei “Pagliacci” si sono distinti soprattutto la soprano
Rinetta Romboli (Nedda)
e il giovanissimo baritono
Raoul Di Fiorino (Tonio),
una sicura promessa del
teatro lirico. Bene anche il
tenore Brenno Ristori (Canio), il baritono Alfredo Fineschi (Silvio) ed il tenore
Modigliano Sernissi (Arlecchino)”. (da “Al Teatro del
Giglio”, 14 febbraio 1950)
In alto: Brenno Ristori in
La Fanciulla del West
Sotto: Prove
per La Traviata
A fianco: Brenno Ristori
è il primo a sinistra
seduto con il clarino
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
cantato con i più grandi artisti della lirica
della sua epoca. Nel 1948, dopo “Lucia
di Lammermoor” a Pisa e a Pontedera,
nel ruolo di “Edgardo” accanto al celebre
soprano Lina Pagliughi, lasciò nei vecchi
pontederesi un ricordo indelebile; nello
stesso anno fece il suo debutto al Teatro
Comunale di Firenze in “Chovanscina”
di Mussorgsky diretta da Vittorio Guì e
con artisti del calibro di Nicola Rossi Lemeni e Boris Christoff.
Nel febbraio del 1950 cantò “ I Pagliacci”
al Teatro del Giglio di Lucca nel ruolo di
“Canio” ottenendo un ottimo successo.
Nel 1954 prese parte alla memorabile
In alto a sinistra:
il programma di sala
di Kovanscina, l’opera
fu rappresentata a Firenze
nel dicembre del 1948
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91
“Fanciulla del West” di G. Puccini, diretta dal grande Dimitri Mitropoulos con
la regia di Curzio Malaparte accanto al
tenore Mario del Monaco al soprano
Eleonor Steber e al baritono Gian Giacomo Guelfi nei ruoli principali. Brenno
Ristori è rimasto attivo al Teatro Comunale di Firenze dove ha svolto la maggiore attività artistica nei ruoli di comprimario fino al 1957 partecipando sia
alle stagioni invernali, sia a quelle del
Maggio Musicale, sia a tutte le grandi
produzioni, insieme ai grandi della musica che in quel periodo calcarono quel
palcoscenico. Morì nel 1997.
Locandina de
“La fanciulla del West”
In alto a destra:
Brenno Ristori,
“Il contrabbasso”
Sotto:
Brenno Ristori
è l’ultimo a destra
A fianco:
“Werther”, Brenno Ristori
è il primo a destra
La fanciulla del West
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
RICCARDO MORETTI
A sinistra: ritratto
di Riccardo Moretti
di Anna Vanni
RICCARDO MORETTI
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Riccardo Moretti si è diplomato in flauto presso il
conservatorio “Boccherini”
di Lucca. Ha studiato composizione con il M° Gaetano
Giani Leporini. Ha seguito
corsi superiori di flauto con il
M° Severino Gazzelloni e direzione d’orchestra con il M°
Franco Ferrara presso l’Accademia di S. Cecilia in Roma.
Ha collaborato per molti anni
con il M° Carlo Maria Giulini e, per la musica da film
con il M° Nino Rota. È stato
invitato a dirigere l’orchestra
sinfonica della televisione
belga. È stato direttore stabile
dell’Orchestra Giovanile Toscana e dell’Ensemble Music
Brass formato da solisti della
New York Sinfony e della
Philadelphia Orchestra. Dal
1992 è Guest Director dell’orchestra del teatro Bolshoj
di Mosca, dell’orchestra Gosteleradio e della Moskow
Synfony. Ha composto colonne sonore per film e documentari e musica di scena per
teatro tra cui “Un po’ per non
morire”,sulla vita di Puccini
presentato a Torre del Lago
e al festival di Tel Aviv. A
Mosca gli è stato attribuito
il “Premio Nino Rota” dall’Unione dei Compositori
Russi. Ha curato per la RAI:
“ La musica nel cinema italiano” e”Il 50° Anniversario
del Maggio Musicale Fiorentino. Ha presentato al Teatro
Regio di Parma il suo lavoro
ebraico “Ebraica” con il ballerino Tierry Parmentier. Insegna presso il conservatorio
“A. Boito” di Parma dove ha
la cattedra di flauto e composizione per Musica da Film.
Nel 2008 ha interpretato il
ruolo di Giacomo Puccini
nel film di Paolo Benvenuti
“Puccini e la fanciulla”.
Riccardo Moretti all’interno
del cortile del conservatorio
A. Boito di Parma
A destra: ritratto
di Giacomo Puccini
(straordinaria somiglianza)
A
Pontedera il ricordo di Riccardo Moretti è rimasto nel
tempo molto vivo. Suo padre, Furio Moretti, conosciuto in
città perché portiere dell’ospedale
“Lotti”, aveva trasmesso al figlio, fin
dalla sua prima infanzia, la sua passione per la musica. Frequentando la
scuola elementare, Riccardo ha avuto ulteriori stimoli. Negli anni 1960
infatti, a Pontedera, nell’ambito della scuola primaria, venivano fatte interessanti esperienze di educazione
didattica a carattere teatrale e musicale. Venivano organizzati spettacoli
sotto la direzione di maestri di musica quali la Sig.Vaber e il Maestro
Bonsignori, con la collaborazione di
due giovani insegnanti, Pazzi Maria
Novella e la sottoscritta, desiderose di affrontare nuove esperienze a
carattere didattico. In uno di questi
spettacoli intitolato “Il giro del mondo”, gli alunni, accompagnati da una
piccola orchestra composta da com-
pagni di scuola e diretta dal Maestro Bonsignori, erano impegnati in
danze russe, olandesi, cancan, valzer
viennesi… È proprio in quest’ultimo
ballo che vediamo il nostro piccolo
Riccardo,con i suoi riccioli neri e il
suo bel frac che tiene al braccio la
compagna Enrica Ercoli, nel… vortice della danza.
Negli anni ’70 vediamo Riccardo Moretti ancora impegnato nella
scuola, questa volta però nel ruolo
di flautista. I professori delle materie artistiche della scuola media
“Curtatone e Montanara” avevano
organizzato dei concerti per gli studenti con l’intento di proporre ai
ragazzi la conoscenza di un tipo di
musica,quella classica,che difficil-
mente avrebbero ascoltato se non
guidati. Naturalmente,per coinvolgere i ragazzi, era importante rivolgersi a musicisti giovani che proponessero brani adeguati. Pensarono
allora di invitare a scuola,per fare
alcuni concerti,un giovane flautista,
Riccardo Moretti, che conoscevano bene perché aveva studiato nella loro scuola e si era successivamente diplomato in flauto presso il
“Conservatorio “Luigi Boccherini”
di Lucca. Riccardo accettò volentieri e fece brevi concerti per varie
classi suonando brani con il flauto e
lasciando negli alunni il ricordo di
un’esperienza gratificante. A Pontedera ha diretto anche per diversi anni
la filarmonica “Volere è Potere”,
poi,prendendo il volo verso altri più
importanti lidi, ha raggiunto prestigiosi traguardi,ultimo dei quali nel
2008 quando ha interpretato il ruolo
di Giacomo Puccini nel film del regista Paolo Benvenuti “Puccini e la
Fanciulla”che lo vede protagonista a
livello internazionale.
Queste sue affermazioni,insieme a
molte altre, possono essere di stimolo alla cittadinanza per conoscere meglio il valore di questo nostro
“pontaderese”.
Moretti a Mosca mentre
dirige l’orchestra Bolshoi
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
DAVID CALAMAI
a cura della Redazione del Centro
G
Foto riprese prima
della partenza
per Bruxelles.
Qui a fianco la parte
riquadrata in basso
ingrandita
li episodi che riguardano persone “note” nella vita di una
Comunità, passando di bocca
in bocca, si alterano fino a diventare
“miti”, la tradizione orale poi fa si che
gli episodi diventino patrimonio consolidato della Comunità. Vi è anche il
rovescio della medaglia: avviene che
questi episodi si dimentichino e gli
episodi cadano nell’oblio.
È il caso di David Calamai, violinista di
prima fila, per 44 anni alla scala di Milano. Noi della Redazione e alcuni ricercatori, abbiamo iniziato a interessarci di
lui da molto tempo perché volevamo dedicare il numero del Bollettino 2008 alla
musica nella Valdera. Come si fa di solito
in questi casi si incomincia a consultare i
parenti stretti per poi allargare la ricerca.
Per quanto si sia ricercato tra i parenti,
nessuno aveva una fotografia o una notizia da darci! Sembrava quasi che non
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
fosse mai esistito; eppure io mi ricordavo
che mio padre mi aveva parlato di questo ragazzo prodigio che a 8 anni aveva
tenuto un concerto per violino al Teatro
Comunale di Firenze, che il maestro Arturo Toscanini lo aveva ascoltato mentre
suonava in un locale in Galleria a Milano e lo aveva voluto nella sua orchestra
come “Primo violino”. Lo aveva poi portato con sé in una tourné in America. Altri
I componenti
dell’orchestra della Scala
94
95
mi avevano confermato le stesse notizie,
ma non si trovava traccia di questo prodigio. Una prima conferma venne da Sauro
Lupi, esperto musicofilo, che negli archivi della Diocesi di Pontedera aveva trovato l’atto di nascita del Calamai che informava della nascita il 2 dicembre 1899,
altre notizie indicavano che si era sposato
a Milano e qui era morto il 28 febbraio
1983. Nel Comune di Pontedera, all’Ufficio anagrafe, è stato ritrovato l’atto di
nascita. Quindi l’esistenza era certa ora
mancava il vissuto artistico. L’archivio
del Museo della Scala di Milano ci ha
fornito alcune notizie: Calamai David
è stato dipendente del Teatro alla Scala
per 44 anni come violino di prima fila
ma non dispongono di una sua fotogra-
fia. Michele Gorini, esperto e appassionato di musica ha condotto una ricerca
attraverso molte pubblicazioni librarie
sull’attività della Scala di Milano, ricercando tra le varie immagini pubblicate una possibile immagine di Calamai.
Ingrandite e riprodotte una decina di
immagini con il maestro Toscanini e gli
orchestrali le abbiamo sottoposte ai conoscenti del Calamai per individuarne il
maestro: esito negativo. Michele Gorini
ha infine ritrovato su una pubblicazione
del Teatro alla Scala del 1958, inerente
la tournée dell’orchestra in occasione
dell’Expò a Bruxelles dello stesso anno
le foto dell’orchestra al completo, nell’ingrandimento riconosciamo David
Calamai con il suo violino.
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
LA “VOLERE è POTERE”
di M. L.
U
Una delle prime
esibizioni pubbliche
della “Volere è Potere”
Un’esibizione pubblica
diretta dal maestro Granchi
96
97
Una recente esibizione
per l’inaugurazione della
nuova piazza della stazione
na delle Istituzioni musicali più
longeve, tra alti e bassi, della città di Pontedera è senza dubbio
la Filarmonica “Volere è Potere” fondata
nel 1835. La data è stata tramandata dai
cronisti dell’epoca, non esistendo documentazione a tal proposito. La fondazione avvenne ad opera di un sacerdote,
don Angelo Magnani che la diresse come
Maestro fino al 1865. Via, via poi tanti
altri maestri, musicisti di grande valore e
competenza, portarono questa Filarmonica a raggiungere
livelli di eccellenza a
livello internazionale
come le varie vittorie
riportate in concorsi
a Cannes, Marsiglia
(Francia), Differdange (Lussemburgo)
e ad avere successi
in tutta Italia come a
Torino al Concorso
Internazionale dove
il “Conte di Torino”
fece dono di una spil-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
la in oro e brillanti al Maestro G. Falorni.
In 174 anni di attività la banda ha collezionato vittorie e successi, ma ha avuto
anche di periodi difficili per mancanza di
mezzi finanziari. Le manifestazioni della
vita cittadina hano sempre visto in prima
fila la partecipazione della “Banda” di
Pontedera. Una “Banda”, la Filarmonica
“Volere è Potere” sostenuta in gran parte
dall’entusiasmo dei musicisti del suo organico che partecipano con sacrifici personali non sempre ricompensati.
L’Istituzione musicale della “Banda”ha
sempre avuto un’attenzione particolare
alla scuola musicale dedicata ai giovani
allievi per avere un serbatoio di utenza
da cui attingere i futuri musicisti; l’attività didattica oltre ai docenti qualificati è
sempre stata seguita dai vecchi musicisti
che hanno tramandato l’amore per la musica alle nuove generazioni.
Oggi, dopo tante difficoltà, la “Volere
è Potere” ha trovato una sede definitiva
nei locali del nuovo teatro Era che ha destinato alla Filarmonica parte delle sue
strutture architettoniche.
Filarmonica
Volere è potere
“Nonostante la mia
estrema
riservatezza,
sono ben lieto di stendere
queste poche righe della
mia breve esperienza in
qualità di ex segretario
della banda “Volere è
Potere”, un’istituzione
che tanto onore ha dato
a Pontedera, e che ha
contribuito ad avvicinarmi ulteriormente al
mondo della musica. Il
ricordo a cui sono sicuramente più legato
è la partecipazione al
concorso internazionale
di Differdange in Lussemburgo del giugno
1959; dal 1904 la banda
“Volere è Potere” non
partecipava a concorsi
di carattere internazionale, pertanto l’evento del 1959, in
cui la nostra banda risultò l’assoluta
vincitrice di tale manifestazione conquistando il trofeo Granduca Adolfo,
nonostante l’estrema bravura degli
altri complessi musicali, rappresenta senza ombra di dubbio un rilancio
della “Volere è Potere” e, con essa,
della città di Pontedera. La preparazione al concorso fu lunga e laboriosa, ma il successo di quei giorni
Sotto: alcune esibizioni
pubbliche della banda
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
a Differdange ci ripagò di tutte le
energie profuse. Il nostro soggiorno
in terra lussemburghese fu un susseguirsi di successi ed emozioni, e di
giorno in giorno fu crescente la partecipazione del pubblico. La stessa
critica trovò le nostre esecuzioni impeccabili, ricche di calore e lirismo,
caratteristiche che probabilmente
mancavano negli altri complessi
bandistici, i quali, pur essendo stati
dotati di ottima preparazione e grande esperienza, risultarono esecutori
più freddi. Grande merito del trionfo della nostra banda è da attribuire
La nuova sede
della “Volere è Potere”
presso il Teatro Era
98
99
Una recente esibizione
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
al Maestro Libero Granchi, il quale,
con estrema professionalità, seppe
raggiungere un successo che ancora
oggi rappresenta motivo di vanto per
Pontedera. Per quanto mi riguarda,
ricordo ancora con nostalgia quei
giorni così intensi e ricchi di avvenimenti e successi, così come non
potrò mai dimenticare le magnifiche
emozioni provate allora. Vorrei concludere con un augurio alla nostra
amata “Volere è Potere”, che un
giorno possa ritrovare e rivivere i
fasti di quei lontani giorni.
(Michelangelo Gorini)
SIGNIFICATO
DELL’INSEGNAMENTO.
LA CREATIVITÀ
EDUCABILE
di Luigi Nannetti
T
ra le finalità che nel 2003, al momento della sua nascita, l’Accademia della Chitarra – Musica
& C. si è posta di perseguire attraverso
la propria attività vi è quella della pratica e diffusione della cultura musicale
in ogni sua forma, con particolare attenzione al mondo della contemporaneità. Parlare, ascoltare, ma soprattutto
promuovere attività che abbiano a che
fare con la musica contemporanea in
Italia, e ancor più nel contesto in cui
si muove l’associazione, ovvero Pontedera, la Valdera e i territori limitrofi,
è evidentemente assai difficile. Pochi
sono i frequentatori di questo genere,
quasi del tutto assenti i luoghi ove esso
abbia trovato una dimora stabile nelle
programmazioni concertistiche, moltissime, invece, le iniziative che tendono in direzione diametralmente opposta, perpetrando una tipologia di offerta
musicale ancorata alla mera riproposizione di capolavori del passato che, dati
in pasto senza un’adeguata modalità e
spesso percepiti in opposizione con la
prassi musicale divulgata dai media, da
tempo hanno smesso di rappresentare
l’humus musicale entro cui le nuove
generazioni maturano il proprio gusto
musicale. Del resto è incontrovertibile quanto il problema della fruibilità posto dalla musica contemporanea
– come del resto accade anche per altri
campi artistici – sia avvertito tanto nel
mondo accademico quanto dall’offerta
musicale presente nei grandi centri cittadini italiani, e d’altronde risulta innegabile quanto esista un vero e proprio
doppio canale a livello di produzione:
da un lato il percorso che la musica
classica e popular colta hanno intrapreso nel secolo appena conclusosi, dall’altro, parallelamente, il florilegio di
produzione musicale, spesso semplicisticamente definita “commerciale”, la
quale ri-propone un linguaggio musicale che – escludendo l’aspetto innovativo legato allo sviluppo delle nuove
tecnologie applicate agli strumenti e
alla spettacolarizzazione del momento esecutivo – dal punto vista tecnico
(armonico/melodico) risale più o meno
alla prima metà dell’Ottocento. Del resto, se il gap presente tra i due percorsi
ha trovato tanto sporadici quanto proficui punti d’incontro a livello di discussione e prassi accademica, per quanto
riguarda un ambito, diremmo, più po-
LUIGI NANNETTI
Ha conseguito il Diploma in
Flauto nel 2001 presso l’Istituto Musicale Pareggiato
“L. Boccherini” di Lucca e
si è Laureato in Storia della
Musica presso la facoltà di
Lettere dell’Università di
Pisa nel 2004, con una tesi
dal titolo: La Formazione di
Giacomo Puccini dall’Istituto Musicale “G. Pacini” al
Conservatorio di Milano. Nei
due anni successivi al diploma in flauto ha frequentato
il Corso di Perfezionamento
presso l’Istituto Musicale “P.
Mascagni” di Livorno tenuto
da Stefano Agostini, mentre
nell’anno 2003/2004 ha frequentato il Corso Annuale
di Perfezionamento presso
l’Accademia “San Felice”
di Firenze sotto la guida di
Michele Marasco (1° flauto
dell’ORT). Ha partecipato ai Corsi Estivi di Perfezionamento a Campiglia
Marittima nell’anno 1999,
e al Corso Estivo presso l’
“Associazione Stravinskij”
a S. Martino Val Caudina
nel 2002 entrambi tenuti da
Conrad Klemm. Nel 2003
frequenta il Corso Perfezionamento presso l’Accademia
Chigiana di Siena tenuto da
Patrick Gallois, mentre nel
2004 ha frequentato i corsi di
perfezionamento nell’ambito
del Festival “S. Gazzelloni”
a Roccasecca con Maxence
Larrieu, Carlo Macalli, Mario Caroli e Michele Marasco. Ha al suo attivo numerosi concerti effettuati come
solista e/o come membro di
vari ensemble cameristici e
orchestrali (Vanhal, Nuova
Orchestra Labronica (NOL),
Youth Arts & Sounds Orchestra (YASO) di La Spezia)
e, in qualità di musicista,
di varie compagnie teatrali
(Teatro del Té, Lusiadi). Ha
pubblicato articoli di interesse musicologico su Giacomo
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
100
101
Puccini e programmi di sala
per importanti rassegne concertistiche
(Associazione
Musicale Lucchese, Festival
“Claudio Monteverdi” di
Cremona). Da alcuni anni
ha iniziato un percorso di
specializzazione nell’ambito della didattica musicale,
ottenendo il Diploma di
Specializzazione, abilitante per l’insegnamento delle
discipline musicali, presso
la Facoltà di Musicologia
di Cremona (SILSIS), e
frequentando vari corsi di
perfezionamento sotto il patrocinio della SIEM (Società
Italiana per l’Educazione
Musicale) e GMI (Gioventù Musicale Italiana),
nonché pubblicando alcuni
progetti rivolti alla didattica
dell’ascolto musicale (Lol
Production, 2006). Nel 2006
ha vinto la selezione nazionale per la partecipazione al
Corso Superiore di Ricerca
nel campo dell’Educazione
Musicale, in collaborazione
con la SIEM, la Facoltà di
Scienze della Formazione
dell’Università di Bologna
e l’Accademia Filarmonica
di Bologna, finalizzato alla
realizzazione di un progetto
di ricerca riguardante l’uso
delle nuove tecnologie nella
didattica flautistica, in collaborazione con il M° Stefano
Agostini, Docente e Direttore dell’Istituto Musicale
“P. Mascagni” di Livorno,
presentato alla 28th International Society for Music
Education World Conference di Bologna nel Luglio
2008 e pubblicato nel relativo volume degli abstract.
Studia Composizione con il
M° Fabio De Sanctis De Benedictis presso l’Accademia
della Chitarra – Musica &
C. di Pontedera (PI), di cui
è Direttore dall’A.A. 20082009 e docente di Flauto,
Storia della Musica, Teoria
e Solfeggio, oltre che coordinatore delle attività didattiche rivolte alle scuole cittadine in collaborazione con il
Laboratorio Musicascuola. È
docente di Musica presso le
Scuole Secondarie di Primo
Grado.
polare, la mancanza di divulgazione e
di educazione legata alla storia della
musica, nonché alla pratica esecutiva
nelle scuole pubbliche, nutre ancora
oggi una concezione dell’espressione musicale risalente più o meno allo
stesso periodo di cui sopra. Trovandoci seduti in platea, ad esempio, prima
dell’inizio di un concerto di musica
classica, di uno spettacolo musicale
fatto per o dai bambini, in occasioni
di ricorrenze pubbliche per le quali sia
previsto un intervento musicale, ancora oggi è tutt’altro che infrequente
sentire insistere colui che ha il compito
di introdurre l’evento sull’importanza
del fare e/o ascoltare la musica poiché
nessun altra disciplina artistica, più di
questa, possiede il privilegio di essere
considerata il “linguaggio universale”
per eccellenza. Del resto chi, ad un
primo momento, potrebbe dargli torto
dal momento che l’Inno alla Gioia di
L. van Beethoven, Imagine di J. Lennon, Fra Martino sono solo tre esempi
di melodie che nessuno esiterebbe a
definire “universali”? Volendo ben vedere, però, sebbene tale questione sia
stata oggetto di una copiosa letteratura
scientifica, il doppio errore compiuto
dal nostro oratore sembra ancora oggi
venire ignorato dai più. Volendo semplificare al massimo la questione, infatti, al fine di poter definire la musica
un linguaggio bisognerebbe prima trovare il modo di fissare almeno la maggior parte dei materiali musicali in un
immaginario “vocabolario sonoro”, in
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
modo da potervi andare a rintracciare
i significati – fissati una volta per tutte
– da dare a qualsiasi aggregato sonoro
ascoltato, produrre delle grammatiche,
dei manuali che disciplinino non tanto
le note (significanti) e/o la loro corretta
organizzazione all’interno del sistema
musicale (sintassi), quanto piuttosto la
relazione tra esse e le reazioni scaturite negli ascoltatori che ne fruiscono
(pragmatica): ma c’è di più! Anche
se, per assurdo, vi riuscissimo, prima
di poterlo definire universale dovremmo metterci tutti quanti d’accordo, e
riconoscere che Beethoven è sicuramente uno dei maggiori compositori
mai esistiti al mondo, salvo ignorare
certi bislacchi esperimenti compiuti
nella prima metà del novecento da famosi musicologi i quali, girovagando
per le tribù del centro Africa con una
incisione della Quinta Sinfonia, si sentirono disconoscere perfino il suo status di “musica” da alcuni autoctoni,
peraltro unanimemente riconosciuti
eccellenti musicisti dai loro conterranei. Se il lettore, nonostante l’immeritata stringatezza che qui occorre per
ragioni di spazio, vorrà accettare una
tale evidenza, potrebbe sentire sorgere una domanda agghiacciante: ma se
la musica non è propriamente un linguaggio, e nemmeno può darsi una sua
“traduzione” per coloro i quali siano al
di fuori del contesto musicale nel quale essa è stata concepita (come invece
può avvenire per qualsiasi testo scritto), come concepire, alla luce di tutto
questo, un’offerta musicale concertistica il meno possibile restrittiva e, ancor
di più, una didattica della musica che
vada al di là della mera trasmissione di
nozioni teoriche e tecnico-strumentali?
Non potrebbe essere, forse, che la suggestiva metafora usata dal nostro presentatore, attraverso cui la musica si
traveste da linguaggio universale, non
nasconda invece la difficoltà di parlare
della musica e/o del suo senso senza
termini musicali? “Il senso della musica può apparire solo nella descrizione
della musica stessa. Il significato viene
dato, in musica, nella descrizione del
significante” asserisce Ruwet, e con
lui tantissimi altri filosofi, pensatori,
musicisti consegnano alla natura più
profonda della musica una virtù per
noi sì intelligibile ma al tempo stesso
il più delle volte intraducibile: “il suo
privilegio consiste nel saper dire quello
che non può esser detto in nessun altro
modo” (C. Lévi-Strauss). La matassa
sembra dissiparsi, ma solo apparentemente: può bastare, quindi, dotare i ragazzi di un vocabolario di termini musicali (di questo tipo sì, ne esistono!) in
modo tale che sia possibile formare un
adulto capace di comprendere “il senso
della musica”? Molto probabilmente se
ciò fosse vero la considerazione che la
musica gode in Italia non sarebbe quella a noi tristemente nota. Al di là delle
comprensibili richieste di ampliare lo
spazio consegnato a questa disciplina
nelle scuole, infatti, tale problema è
ancora più sentito a livello di Accademie e Scuole di Musica, le quali vivono la contraddizione di avere le classi
piene di ragazzi e adulti che seguono
le lezioni ma al tempo stesso assistono ad un continuo dimagrimento degli
spettatori nelle stagioni di concerto di
musica classica, direttamente proporzionale tanto all’invecchiamento della
popolazione, quanto alla percentuale
dei programmi incentrati su brani di
musica contemporanea.
L’emergere di un’abitudine inconsapevole nel considerare “musica” solo
una parte assai ristretta dei repertori
attualmente esistenti (o esistiti) ad essa
realmente afferenti, come peraltro solo
alcune delle sua forme e possibilità /
modalità espressive, pone ad un’associazione come l’Accademia della Chitarra il problema di concepire un’offerta musicale fatta di concerti, proposte
didattiche (corsi, concerti per studenti,
dimostrazioni), simposi e occasioni di
incontro in cui innovazione e tradizione, nuovo e già sentito, sperimentazione e classicità possano trovare un
equilibrio funzionale, una terra di confine dove le persone possano sentirsi
circondate da musica che appartiene
al proprio vissuto, ma al tempo stesso
siano chiamate ad affacciarsi per guardare (sentire) ciò che succede fuori,
pena l’angosciosa scelta se tramutarsi
in una copia di tante associazioni già
esistenti o in una realtà produttrice di
eventi incomprensibili per la maggior
parte del proprio bacino d’utenza. È in
questa direzione, quindi, che gli eventi
promossi dall’Accademia della Chitarra hanno preso vita: prima fra tutte la
Mostra di Liuteria, nella quale hanno
trovato posto sia l’incontro tra i maggiori esperti del settore (Paulino Bernabè, Antonio Scandurra, Paolo Co-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
riani, Andrea Tacchi, Rinaldo Vacca e
Franco Barsali) che semplici curiosi di
un mondo in cui l’esperienza italiana è
stata per secoli ed è all’avanguardia nel
mondo. Tale appuntamento, oggi biennale, è stato d’altronde occasione per
ascoltare musica eseguita dai maggiori
interpreti internazionali, i quali hanno
offerto appuntamenti più sperimentali,
come i concerti di Ganesh del Vescovo,
Marco Gammanossi, Nuccio D’Angelo, assieme a percorsi di ricerca sul
timbro degli strumenti originali di Lorenzo Micheli, ed a serate incentrate
su programmi più classici come quelle di Piero Bonaguri e Antigoni Goni.
La stessa filosofia struttura i percorsi
didattici proposti dall’Accademia: da
decenni, ormai, moltissime metodologie riconosciute a livello internazionale (Orff, Dalcroze, Gordon, etc.), sui
quali molti docenti dell’associazione
hanno intrapreso percorsi di perfezionamento, fondano le proprie attività su
modelli e procedure compositive affini
alla musica contemporanea, specie per
quanto concerne gli esercizi che tendono ad attivare i bambini sotto l’aspetto
creativo e non solo come ascoltatori,
in contrapposizione ad una didattica
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Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
fondata sulla sterile ripetizione di modelli non assimilabili che dopo anni di
specializzazione professionale, e che
del resto eviti il più possibile quello
spontaneismo di bassa lega che àncora
spesso l’educazione musicale a pratiche ove tutto e il contrario di tutto è
possibile, dove non esiste verifica degli apprendimenti, dove ciò che si raggiunge è nel migliore dei casi uno spettacolino buono a soddisfare genitori e
maestre nella festa finale. Dunque, anche nella didattica, l’affiancamento, o
per meglio dire, l’intersezione di percorsi tradizionali e sperimentali risulta l’arma vincente anche per quanto
concerne i corsi perfezionamento, le
conferenze, i seminari attivati durante
i primi cinque anni di attività, come
testimoniano quelli svolti da docenti
operanti nel panorama contemporaneo, come Alvaro Company (Presidente Onorario), Fabio De Sanctis
De Benedictis, Salvo Marcuccio, ad
altri che hanno avuto come oggetto i
repertori più frequentati della musica
classica e popular, sempre promossi
da docenti di livello internazionale.
(Per maggiori informazioni: www.accademiachitarra.it)
RICCARDO FOGLI
di Anna Vanni
F
ra gli abitanti della centrale via
Roma, a Pontedera, c’è ancora chi
ricorda un ragazzino sorridente
che passava in bicicletta tenendo a spalla la sua chitarra. Il ragazzino sorridente
era Riccardo Fogli che, pedalando, pedalando andava a Montecalvoli a prendere lezioni di canto e basso elettrico dal
maestro Santarnecchi. Lavorando alla
Piaggio, conobbe, nell’ambiente musicale dell’Enal Piaggio, dei musicisti con
i quali iniziò a cantare nelle sale da ballo
di Pontedera e dintorni, fecendosi conoscere interpretando le canzoni di moda
in quel periodo. Nel 1963 interpretando
la canzone lanciata da Gianni Morandi
(“Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”) vinse il primo premio al Festival di Cascine di Buti.
Quando la sua famiglia si trasferì a
Piombino, dove Riccardo aveva trovato
un lavoro Riccardo conobbe gli “Slenders”, una formazione beat semiprofessionista di Piombino che si esibiva nei
locali della Versilia. Collaborando con il
gruppo come cantante e bassista la sua
passione per la musica si accentuò fino
a diventare una scelta di vita. Sarebbe
lungo a questo punto parlare delle fasi
successive della sua carriera, l’incontro
e la collaborazione con i “Pooh”, l’uscita sofferta dal gruppo, la sua partecipazione nel 1983 all’Eurofestival di Monaco di Baviera a rappresentare l’Italia,
le varie partecipazioni al Festival di San
RICCARDO FOGLI
Remo, in particolare quella al festival
del 1982 in cui ebbe un grande successo con la canzone “Storie di tutti i giorni”. Bisogna ricordare anche i successi
da lui ottenuti lanciando canzoni che
ha reso famose quali: “Piccola Katy”,
“Pensiero”, “Noi due nel mondo e nell’anima” affermazioni che non hanno
alterato la spontaneità del suo carattere. Molti pontederesi ricordano quando
negli anni novanta ritornò a Pontedera
per fare,una sera, un concerto in Piazza
Cavour,davanti al Palazzo Comunale.
Mentre cantava davanti a un pubblico folto e partecipe, riuscendo a individuare fra il pubblico un suo vecchio
amico,interruppe il concerto mettendosi a chiamare: Mintrone! Mintrone!
Dimostrò così che i ricordi legati alla città della sua infanzia e adolescenza erano
per lui ancora vivi.
È nato il 21 Ottobre 1947 a
Pontedera dove ha trascorso la sua infanzia e dove
ha avuto i primi contatti
con l’ambiente musicale,
a Montecalvoli,prendendo
lezioni di canto e basso dal
maestro Santarnecchi.
Ancora adolescente ha fatto parte, come cantante e
bassista,del gruppo “The
Slenders”, formazione semiprofessionista originaria di Piombino. La svolta
decisiva della sua carriera
è avvenuta nel 1966 quando è entrato a far parte dei
“POOK” con i quali ha
condiviso molti successi .
Nel 1973 si è separato dai
“POOH” non tanto a causa
di divergenze di ordine artistico ma per problemi di
carattere personale.
Negli anni seguenti la sua
carriera è stata contrassegnata da molti successi.
Ricordiamo fra i tanti la sua
partecipazione nel 1982 al
Festival di San Remo con
la canzone “Storie di tutti i
giorni “ e la partecipazione
nel 1983 al Festival di Monaco di Baviera dove rappresentò l’Italia.
La carriera di Riccardo
Fogli ha avuto anche negli
anni novanta e nei primi
anni del duemila ulteriori
successi.
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
RIFLESSIONI
di Andrea Lupi
ANDREA “LUPO” LUPI
Nato a Pontedera, padre di
Jaco, convive con Liviana
da 18 anni. Nella sua vita ha
viaggiato molto ed esercitato
lungamente molte professioni legate al mondo dello
spettacolo (dal facchino, al
macchinista teatrale, al fonico, scenografo, fino all’attore
e al programmatore culturale
e soprattutto ha cambiato le
lettere dei titoli dei film sul
tetto dell’ormai scomparso
Cinema Massimo). Da sempre il suo veicolo espressivo
preferito è la Musica che lo
ha portato a bistrattare i suoi
strumenti in varie nazioni tra
cui Italia, Svizzera, Francia,
Belgio, Germania, Olanda,
Danimarca, Inghilterra, Portogallo, Malta e vari stati dell’America del Nord suonando
con tanti veri musicisti. Per
errore, nel 2002 è stato considerato tra i migliori 4 bassisti
italiani in ambito blues.
Umanamente continua a non
credere nelle Autorità ma
semmai nell’Autorevolezza
delle persone e nel rispetto che ad ognuno si deve.
Crede inoltre di aver diritto
di bere due bicchieri di vino
pasteggiando senza incorrere
in sanzioni e spera di non essere travolto da un figlio di
papà che viaggia a tutta birra
con il Suv, mentre lui è fermo al posto di blocco.
il suo curriculum vitae si trova su www.hotellasalle.it
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In alto: Andrea Lupi,
Villa Piccolo Capo
D’Orlando,
Messina
(foto Antonella Papiro)
Q
uando mi è stato chiesto di scrivere un articolo per questa rivista, mi sono trovato francamente
spiazzato, si certo onorato dal fatto che mi
sia stato chiesto da una persona che stimo
molto (e che tra l’altro è mio padre), ma
per uno come me che alterna momenti
di convinzione nei propri mezzi e nelle
proprie idee e motivazioni a più spesso
momenti di autocritica sul proprio operato e sulle proprie reali capacità, non è
stato facile; in parole povere, un diploma
di liceo classico (conseguito in 7 anni!)
non ti rende “un Pavese”, un “Calvino”
o “un Terzani” e una carriera, che chiamerei piuttosto esperienza, musicale, pur
già abbastanza lunga, non ti fa comunque
essere “un Mingus”, “un Hendrix” o “un
Ughi” qualsiasi, anche se ho avuto la fortuna di suonare molto e in molte nazioni
(una dozzina) e di condividere esperienze e incisioni con musicisti di altre parti
del mondo, dall’America al Nepal…
Come spesso abbiamo detto con un musicista con cui collaboro da tanto tempo,
Suonare è un continuo cercare di sfiorare
un cielo che si chiama Musica, alzandosi
sulle punte dei piedi con grande sforzo e
tensione emotiva, ma, al cospetto di essa,
i nostri arti sono molli.
E allora si ricade giù e si riprova con
patetica e cronica ostinazione, cercando di assaporare nuovamente quei
pochi attimi di Arte che ti sei illuso di
creare, di vivere.
Piuttosto, come si fa a scrivere qualcosa che sia così intenso, totalizzante
e al tempo stesso etereo, passeggero…
come la Musica…no, non me la sento,
…del resto anche Frank Zappa diceva
che “scrivere di Musica è come danzare
di Architettura” palesando l’inadeguatezza di qualsiasi critica, saggio o semplicemente articolo...
Ecco, perché ho aspettato fino a pochi
minuti prima di andare in stampa a
consegnare questo scritto, mal scritto
e forse un po’ banale
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Marguerite Duras scrive in un suo raro
saggio: “La liberazione è quando si fa
buio. Quando fuori cessa il lavoro. Rimane il nostro lusso di poter scrivere nel
buio. Possiamo scrivere a qualunque ora.
Non siamo penalizzati da ordini, da orari,
da capi, da armi, da multe, da insulti, da
poliziotti, da capi e ancora da capi. E da
chi sta covando i fascismi di domani.”
Amo sillaba per sillaba di questa frase
e vi riconosco in essa anche quella che
per me è l’essenza del fare musica, che è
stata e continua ad essere un’ esperienza
catartica, anarchica, liberatoria, e anche
di vicinanza al prossimo senza bisogno
di grandi “sbandieramenti” politici o filosofici spesso pretestuosi, arrivisti, sterili;
( non sono un fan dei 99 Posse, ci siamo capiti? ma semmai di Leo Ferré per
il quale ho avuto la fortuna di lavorare
come assistente di palco per pochi indimenticabili giorni, molti anni fa…)
E allora proviamo a scrivere queste quattro righe….e poi pensandoci bene, visto
che a un noto architetto si permette di
stravolgere l’aspetto dell’intera Val d’Era
con interventi spesso di dubbio se non
pessimo gusto, mi sento automaticamente autorizzato a cimentarmi a scrivere
(usanza che non ho propriamente in uso)
di qualcosa che bene o male, mal o bendestramente è la mia vita e non solo un
ambizioso pavoneggiarsi.
Mi è stato chiesto genericamente di fare
un excursus su quella che è la “situazione musicale” sul nostro territorio,
ma meno che mai sono un ricercatore,
uno statista o un giornalista….si certo le
mie attività di musicista, insegnante e di
ideatore e co-direttore del festival Musicastrada mi pongono in una posizione
di protagonista e anche di osservatore
privilegiato…..ma comunque parziale
e soggettivo; però, certo qualche idea a
riguardo ce l’ho, è innegabile.
Io penso che per lungo tempo sia stata
sottovalutata l’enorme potenzialità della
musica nel nostro territorio, che le persone coinvolte o anche inconsapevolmente vicine a questa disciplina artistica
siano state storicamente dieci, cento volte di più di quelle attratte da altre forme
espressive e che tuttora sia così….e ciò
non è mai stato capito davvero profondamente, benché da qualche anno si registri
una ritrovata sensibilità all’argomento da
parte del Pubblico e del Privato.
Godere della musica (e di tutte le Arti)
cambia le persone e le società, riduce il
disagio sociale, l’alienazione, la criminalità e le spese che si sostengono per
arginare questi fenomeni….Un concetto
talmente ovvio che alle volte non lo si
capisce….e fortunatamente dalle nostre
parti lo si capisce più che altrove...
Ma lasciatemi provare a partire da un
po’ di tempo fa: ricordo con piacere e
nostalgia, mio nonno paterno, uomo
di una forza morale alla Nuto Revelli,
alla Pertini per intenderci….lo ricordo
imbracciare una vecchia
chitarra alle feste di famiglia e trasformarsi, magia
della Musica, in dolce,
ironico, romantico…e
poi raccontarmi di come
una lite in osteria riguardo alle Filarmoniche di
Pontedera e Ponsacco
finì con una pistolettata
(del bisnonno?) al malcapitato oppositore...
Dico io, potrebbe mai succedere per la
rotonda delle “Piramidi Ecologiche”
? (e cosa avranno mai di ecologico poliuretano espanso e truciolare, qualcuno
per favore me lo spieghi….) magari per
il Fiore di Carmassi, o per il Teatro Era
avrebbe paradossalmente un senso, ma
nessuno se lo augura...
In questo aneddoto di tipo “bandistico”, peraltro, sta uno dei problemi
atavici della musica e dei musicisti:
competizione, individualismo, e in seconda battuta paura del confronto, rinuncia alla comunicazione...
Altresì è vero che la Musica è sempre stata una forma espressiva estremamente popolare, di conseguenza
difficilmente ha goduto dei favori del
Potere, eccetto che nelle sue forme più
Andrea Lupi on lapsteel
(foto Eric Perrone)
Andrea Lupi e Oscar Bauer,
San Severino Blues 2007
(foto Mauro Binci)
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Hotel La Salle,
Schmolzer Blues Tage 2005,
Schmoelz, Germania
(foto di Norbert
Nengebaner)
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edulcorate e classiche.
Da questo dualismo tra condivisione e
isolamento spesso il musicista fatica a
uscirne in modo costruttivo.
La storia di Pontedera e della Valdera in
generale è piena di personaggi di spessore musicale: liutai, maestri d’orchestra, primi violini alla Scala, musicisti
dalle alterne fortune, cantanti lirici, star
della musica leggera, competenti appassionati, collezionisti di supporti fonici o
di strumenti musicali... una miriade di
storie e di esperienze tra cui molte notevoli e molte di queste sconosciute ai più.
Credo che in questo numero del Bollettino ci sarà chi scriverà meglio di me
riguardo ad alcuni dei molti personaggi
che musicalmente hanno dato davvero
lustro al territorio.
Suppongo che ciò giocherà a favore della
mia affermazione di poc’anzi. E allora è
facile capire di come la Musica dal dopoguerra in poi sia stata ancor più parte
importante della vita di molte persone.
Pontedera, al pari di molte grandi città,
e la Valdera in generale, hanno visto diffondersi ampiamente tra le proprie giovani generazioni tempeste socio-culturali
quali il “beat”, il “rock”, il “punk”, “new
wave”, “afro-reggae”,“pop”… e riflessi,
riflussi vari….eventi che ho conosciuto
dapprima marginalmente o per sentito
dire, poi, crescendo, in maniera diretta e
mano a mano consapevole...
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Ragazzino andavo ad ascoltare i
gruppi provare in camere da letto trasformate in pseudo-cantine,
gioia di genitori e vicinato…e
poi le decine di sala-prove più o
meno attrezzate in cascinali scalcinati, in edifici malconci di umide zone industriali immerse nella nebbia, in case occupate (via
Valtriani, p.za Belfiore…); tante
storie disorganizzate ma che testimoniavano un fermento pazzesco….partire il fine settimana
per andare a sentire il concerto
del gruppo di amici, così come
quello di Santana con Wayne
Shorter, era un pensiero costante... per me come per tanti altri.
Poi nei primi anni ’80, in concomitanza con l’incedere dei miei primi incerti
e maldestri passi nel mondo della musica suonata, il sentire la necessità di fare
qualcosa di più; ed ecco che organizzammo al Palazzetto dello sport tre edizioni di un partecipatissimo Live-Aid dÈ
noartri (Rockline I, II e III); e poi dalle
ceneri di questa esperienza ne nacque
un’altra che fu un importante tentativo di
mettere insieme le forze: il CMP (Coordinamento Musicale Pontederese), nato
in contemporanea con associazioni gemelle di Roma, Torino, Bologna proiettò
Pontedera alla ribalta tra quelle città in
Italia che cercavano di dare una sorta di
struttura al mondo dei gruppi emergenti; arrivammo a coinvolgere una settantina di gruppi dalla Valdera, dal pisano
e dall’empolese... in seguito, per palese
inesperienza, per alcuni nostri errori e per
alcune promesse non mantenute da chi ci
aiutò ma non fino in fondo (vedi: mancata costruzione bagni e impianto riscaldamento alla scuola di musica, divenuta
in seguito, giustamente, Centro Sociale
Okkupato Ex-Enel, zona Oltrera), la cosa
apparentemente si spense.
Durante quegli anni proposi ripetutamente a chi di dovere la costruzione di un auditorium….poi forse perché le idee circolano, e dato che le necessità, appunto, “
necessitano”... si è costruito, dopo molte
tribolazioni, un bel Teatro (ben venga!!!),
una ricchezza per una città che cresce.
Anche in quella esperienza (CMP) ritrovo in embrione molte cose che oggi si
sono avverate; ad esempio attualmente
Pontedera vanta ben tre scuole di Musica di buon livello (Accademia della
Chitarra, Accademia Musicale Toscana, Accademia Glen Gould), che hanno
raccolto i semi di quell’esperienza e di
altre (la Scuola della Filarmonica Volere
e Potere, e quella che era sita in piazzetta
delle erbe e che mi par di ricordare era
intitolata a F.Busoni...); ed altre scuole
private si trovano a Ponsacco, Terricciola, Peccioli, Montopoli...
Giusto ricordare brevemente che recentemente si stanno facendo dei tentativi
per far convivere tutte queste entità (vedi
progetto Musicascuola, che coinvolge le
già citate Accademie, Musicastrada, vari
plessi scolastici, il Comune, ..etc) e nel
rispetto delle rispettive specializzazioni,
cari colleghi, ricordiamoci pure che collaborare è meglio che competere e porta
“ricchezze” di vario tipo ad ognuno.
Stessa cosa per l’annoso problema delle
sala-prove; adesso sul territorio ne esistono varie e di belle (Music Park di Bientina, Music Street di Lugnano,….) con numerose sale bene attrezzate e buoni studi
di registrazione interni…
Si certo, anche gli studi di registrazione a partire dagli storici Sam a Lari e
Westlink a Cascina, sono cresciuti
di numero, anche grazie l’avvento
delle tecniche digitali e delle strumentazioni sempre più compatte e
compatibili con la stessa dimensione homestudio...
Ma allora cosa manca?
Al di là delle facili lamentele, superando l’inevitabile banalità dell’affermazione stessa, ciò che manca
sono le occasioni.
Provo a spiegarmi meglio: Demetrio Stratos rispondendo ad una
domanda di uno zelante critico
musicale su cosa fosse l’Avanguardia rispose laconicamente
“l’avanguardia è nelle emozioni”.
Cosa è uno spartito o una tablatura
se non la si esegue, cosa è una canzone
se non la si suona, la si canta o la si compone, cosa è uno strumento se non lo si
percuote, lo si accarezza, lo si tende,
cosa è una Musica se non la si ascolta
se non si ha possibilità di goderne, profondamente, visceralmente, di emozionarsi, in solitudine o in moltitudine? A
Voi la risposta.
Alcuni festival stanno cercando di rispondere con qualità a questa richiesta
di occasioni: 7 Sois 7 Luas, Collinarea,
il discusso (e non a torto) Metarock, MusicaViva,… e particolarmente il Musicastrada Festival che tra mille difficoltà
ha creato la rete musicale più grande a
livello italiano con ben 23 Comuni ed
ironicamente non riceve supporto dalla
Regione che, da quest’anno, lo considera
una “rassegna” (?!); ma, se non ricordo
male, fino all’anno precedente un Festival non lo si giudicava dalla sua capacità
di coinvolgere il territorio e di farlo conoscere, dalla sua multimedialità (fotografia, video, installazioni a tema, scenografie), dall’impatto economico (tutte le figure professionali risiedono in Provincia
e i vantaggi ottenuti dagli esercenti sono
comprovati da ampia documentazione),
dal suo grado di co-finanziamento (oltre
un terzo del budget è trovato dagli organizzatori e non dal settore Pubblico)?
Andrea Lupi
al Museo Piaggio
(foto Pagni)
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
Hotel La Salle,
Patersdreef Blues Festival,
Belgio 2006,
Andrea, Oscar e alla
batteria “Capello”
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Che rabbia!, e non solo perché sono,
come si sa, coinvolto in prima persona
ma soprattutto perché questo festival è
atteso in gloria dalle Comunità, dai musicisti locali che a turno possono godere di una importante occasione, da uno
stuolo di scenografi-macchinisti, fotografi, cameramen, fonici…cresciuti professionalmente e in armonia all’interno
di questa esperienza, e non ultimo gli appassionati che vengono numerosi e consapevoli che sia una occasione per emozionarsi e che hanno capito che il mondo
è pieno di musicisti semi-sconosciuti di
incredibile livello.
Sulla ripartizione del finanziamento
pubblico destinato a Cultura e Spettacolo, specie a certi livelli politici, potrei
andare avanti a dissertare, ma mi fermo
qui e non per buonismo alla Veltroni,
ma solo perché voglio bene a quel che
resta del mio fegato.
Qualche parola è invece opportuno spenderla anche sui luoghi del fare musica,
non solo quelli estivi che bene o male
presentano diverse soluzioni, ma in particolar modo quelli indoor, invernali.
Ripetendomi, l’arrivo di un Teatro tanto
auspicato quanto tribolato è da salutarsi
come un importante passo avanti al di là
di un certo diffuso scetticismo su quella
che sarà la gestione; io sono fiducioso.
Un Teatro, pur non essendo un vero e
proprio auditorium può facilmente rispondere ad alcuni importanti dettami
tecnici ed acustici e a quel che mi risulta
e da quel che ho potuto vedere da mo-
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
dellini e progetti più volte esposti, credo che così sarà. (purtroppo ad oggi non
sono ancora riuscito ad andare a vedere
gli interni nonostante sia stato invitato,
colpa mia!). Le varie soluzioni di capienza sono una questione aperta.
Ma il problema luoghi resta: una sala da
200 posti per concerti di medio piccola
dimensione (spesso la dimensione più
bella, affascinante e qualitativamente
alta) adeguatamente attrezzata e adeguatamente gestita tecnicamente e artisticamente (magari da un comitato che
riunisca le associazioni) manca e certo
non andrebbe ad inficiare l’attività del
teatro che richiama anche altre categorie
di pubblico e che probabilmente necessiterà della struttura in modo continuativo
anche se non totale.
A questo punto, parlando di luoghi e di
musica dal vivo, non si può esimersi dallo spendere qualche parola sui live-club;
da 40 anni a questa parte è stato un susseguirsi di tentativi più o meno riusciti
da parte del privato di fare una programmazione di musica dal vivo: qualcuno
si ricorderà lo Shys Club, ovvero Il Bar
Olimpico alla Bellaria (fine anni ’60),
oppure il Why Not? nel quartiere Villaggio (anni ’80), e in seguito il Si o No
ad Oltrera, i vari tentativi recenti di bar
Messicano, Bulldog Pub, Civetta….etc.
Qualche considerazione d’obbligo:
alcuni uffici SIAE dovrebbero evitare stupidi atteggiamenti vessatori ma
cercare di facilitare il proliferare delle
iniziative (la Siae spesso si comporta
come la GdF a cui semmai spetterebbe il compito di arginare palesi illeciti,
specialmente nel mondo delle discoteche) e ricordarsi che se esistono è solo
perché esistono musicisti, scrittori, attori da tutelare e non da raggirare; ma per
fortuna c’è anche tra loro chi ha capito
che l’artista è come l’orso polare: una
specie da salvare.
La seconda annotazione è più complicata: possibile che in Valdera non esista
un privato che abbia voglia di investire
su un vero club dove ascoltare musica,
affidandosi a una direzione artistica e
tecnica seria e competente, e non sul solito banale e pretenzioso disco-bar che
si ricicla a live-club occasionale solo
per pura convenienza?
Mi pare che sia un caso di “miopia”
di notevole portata se solo si pensa a
quante generazioni siano trasversalmente coinvolte dalla passione per la
musica suonata.
Forse la soluzione sta in una commistione tra Pubblico e Privato? Perché no?!
Un’altra considerazione è conseguente
a queste ultime su Pubblico e Privato:
spesso si crede che il moltiplicarsi degli
eventi possa essere una ragione del fallimento di alcuni degli stessi; mai valutazione fu più errata!
Il punto sta nel come si progettano gli
eventi culturali, con quanta passione e
professionalità (mezzi adeguati permettendo); non si deve aver premura di difendere il proprio piccolo orto, anzi la
ricchezza di manifestazioni e iniziative
su un territorio è indiscutibilmente motivo di attrazione per un “turismo culturale” variegato e composito, certo a patto
che gli eventi rispondano accettabilmente a quei criteri di qualità e accuratezza
che altrimenti porterebbero il territorio a
diventare un outlet del divertimento.
Oltre a ciò, come da un po’ di tempo avviene qui da noi, coordinare gli eventi più
significativi rispetto al calendario è importante e non va ad escludere comunque
il verificarsi di eventi di minor portata
spontanei e improvvisi che
sono altrettanto importanti: ovvero non si può chiedere a un quindicenne di
perdersi tra mille scartoffie
e permessi di ogni genere.
Adesso, che mi sono stancato (e vi avrò stancato)
cercando di mettere ordine
nei miei pensieri e subito
scriverli, voglio provare a
dedicare qualche altra riga
a me, al mio rapporto con
la Musica….non penso
che dopo questa avrò/vor-
rò molte altre occasioni per esprimere
così a ruota libera le mie dabbenaggini.
A volte mi chiedo quanto sia stata importante la mia dedizione, curiosità e
passione per la musica, e se sia stata più
determinante dell’ambiente culturale e
familiare in cui sono cresciuto. No, per
carità, non voglio riferirmi a presunti
risultati conseguiti, che son sempre arbitrari e passeggeri, semmai mi rivolgo
a quanto la Musica ha condizionato e
riempie la mia vita, a quante persone
mi ha fatto conoscere ed apprezzare,
alla ricchezza di esperienze che mi
ha immeritatamente concesso. A volte guardo i miei allievi, ai quali cerco
maldestramente di comunicare qualcosa, e spesso vedo in loro quella stessa
passione che ancora mi spinge a far
chilometri su chilometri, a non dormire
la notte; non li incoraggio, non ne hanno bisogno, però mi fanno pensare che
tanto tempo fa ho fatto la scelta giusta
e che la Musica continua ad accompagnarmi, ad aiutarmi, ad elevarmi, me e
chi mi sta vicino.
Per il resto penso a una dedica che Leo
Ferrè, alla fine di quel poco tempo insieme, mi scrisse, su un foglio che ancora conservo, usando una frase di una
sua celebre canzone: André, anche tu
farai del tuo peggio!
Je ferai de mon pire! (da “Ni Dieu,
Ni Maitre”)
Libbiano, fine Settembre 2008
Jam Session con John
Beach, Willie Murphy e
vari horn players, al Viking
Bar di Minneapolis
(Foto Fatticcioni)
Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera
SAMUELE BORSÒ
Nelle immagini: Samuele
Borsò durante alcune delle
sue performance
di Mario Lupi
“
Sette sere in musica” è una performance di Samuele Borsò con
la sua chitarra e la sua voce in un
repertorio senza tempo, nel mese di
agosto in città, davanti ad un bar.
Un’altra performance di Borsò ha avuto luogo, nel mese di ottobre, davanti a
un pub per la festa dei commercianti.
Spulciando su internet troviamo una
infinita serie di impegni di questo musicista e cantante cittadino. Chi è questo
“ragazzo” venuto alla ribalta? Intanto
sappiamo che proviene da una famiglia di musicisti di cui fa parte anche il
tenore Umberto Borsò, un grande della
lirica a cui, nel 2006, è stato assegnato
il premio Caruso come ambasciatore
del canto italiano nel mondo.
Samuele Borsò si esibisce a un pubblico di giovani, ma, e questo convince
anche un pubblico eterogeneo, il repertorio che propone va dai cantautori
contemporanei ai classici di ogni tempo. Suona e canta, la sua voce è calda e non uniforme e crea atmosfere di
piacevole godimento.
Un giovane, quindi, che insieme con
altri connota una koinè musicale che
prospera in questa città della Valdera.
110
111
Collaboratori
UNO DEI PIU’ GRANDI
VIAGGIATORI ITALIANI
di M. L.
U
no dei più grandi viaggiatori
italiani è nato in questa città: il dott. Alberto Pacchiani
neurologo. La tradizione definisce
gli italiani poeti e navigatori e anche
con Alberto Pacchiani, detto Pack,
la tradizione non si smentisce. Poeta satirico fin dagli anni del liceo ha
sempre coltivato questa sua abilità,
ma la cosa che stupisce di più è la
sua avventura per le vie del mondo;
e non è un modo di dire: ha visitato
in 42 anni ben 161 paesi del globo,
anche siti negli angoli più sperduti.
In 42 anni di viaggi ha sperimentato
i climi più diversi dal Polo Nord nel
1998 alle zone equatoriali, all’Antartide accumulando avventure ed
esperienze le più diverse possibili.
Conoscitore di 6 lingue straniere (oltre al latino e al greco classico), vero
poliglotta ha sempre comunicato con
i relativi autoctoni nella lingua locale fIno ad essere scambiato per uno
di loro. Conoscitore come pochi del-
le realtà geografiche del pianeta, ha
riportato nei suoi diari di viaggio,
scritti in “maccheronico”, notizie tecniche e alcune impressioni sulle terre
visitate. La sua collezione di immagini è consistente: circa 9200 cartoline, moltissime mappe e 184 quaderni
sempre scritti in “maccheronico” che
rappresentano i diari dei viaggi.
L’ ”Uomo Nero”, chiamato così dagli
amici per il suo eccentrico vestimento, è un uomo pieno di risorse e curiosità, sempre pronto a nuove avventure
come un moderno Livingstone alla ricerca delle sorgenti dell’Umanità.
Nell’ambito dei viaggi più salienti si
possono menzionare:
Ferrovia Transiberiana Moskwa –
Vladivostok.
Giro del mondo in 36 giorni, in senso
antiorario, in aereo, a tappe.
1 volo in Concorde New York – Londra.
2 volte in Antartide.
Raggiungimento dell’altezza di 5220
m/sm. Nel Tibet, in autobus.
Traversata atlantica sulla rotta del
Titanic.
ALBERTO PACCHIANI
Nato a Pontedera nel 1936.
Laureato a Pisa nella facoltà
di Medicina e Chirurgia.
Specializzazione in Malattie
Nervose e Mentali.
Ha abitato per 25 anni a Pontedera, 10 a Pisa, 30 a Volterra, 7 a Pontedera dove attualmente risiede.
Dal 1996 in pensione.
Collaboratori
Contributo dei lettori
ASSOCIAZIONE
MICOLOGICA
BRESADOLA
GRUPPO A. VICHI
L’UOMO MASCHERATO PARTE PER L’ANTARTIDE
AUTORITRATTO
Quando col freddo intenso, a meno trenta,
batton i denti i teschi al cimitero,
ratto, nell’infuriar della tormenta,
s’aggira per Volterra L’”Omo Nero”.
Di notte, chi lo vede si spaventa,
perché l’attornia un’ombra di mistero:
transita, infatti, in una sciarpa avvolto,
che fin sugli occhi gli ricopre il volto.
Spesso, mentr’ei procede a grandi passi,
gli urlan taluni a tergo a più non posso:
“Tappati bene: è freddo!! Passan bassi !?!...”;
Ehi!!, bada, batti... Attento, lì c’è un fosso!...”;
e ridon come tanti satanassi,
provando gusto a dargli sempre addosso.
Ma lui per la sua strada a correr seguita,
in barba a chi lo sfotte e lo perseguita.
- Che sia forse un fantasma da leggende,
l’uomo invisibil, che stragi minaccia?!?...-;
chi poi d’elettrotecnica s’intende
pensa che porti un radar sulla faccia.
Lui, che i commenti altrui non vilipende,
par che del proprio arcano si compiaccia;
e con cappel, cappotto, sciarpa e guanti,
fra vento, neve e gelo tira avanti.
MAMMA MIA!
RESTERÀ LAGGIÙ?
Autore: l’Omo Nero (Packjanow)
VENGO ANCH‛IO?
ANDIAMO PAK!
di Alessandro Pinori
I
l Gruppo Micologico di Pontedera
nasce nel 1973 dall’unione di alcuni amici appassionati di funghi, fra
cui il dott. Raimondo Gonfiantini (farmacista), il dott. Giorgio Caputo (ufficiale sanitario) e il sig. Franco Antonelli (vigile sanitario), costituendosi poi
ufficialmente il 1 aprile 1975.
Il Gruppo viene quasi subito intitolato alla memoria di Arterio Vichi, socio
fondatore prematuramente scomparso.
Già dalla sua costituzione, le finalità
statutarie sono state quelle di promuovere: la cultura ecologica, intesa come
conoscenza degli ecosistemi naturali e
dei comportamenti relativi, lo studio
dei funghi e dei problemi connessi alla
micologia, l’educazione sanitaria relativa alla micologia, la collaborazione
con promozione di iniziative comuni
con altri Enti, Istituti e Associazioni con finalità analoghe, la raccolta
di materiale didattico, bibliografico
e scientifico relativo alla micologia e
alle scienze affini con la relativa fruizione per i soci; quindi un orizzonte di
interessi culturali ben più ampio del
semplicistico “saper riconoscere i funghi buoni da mangiare”.
Il Gruppo Micologico si dimostra subito una fresca novità nella Valdera,
aggregando un cospicuo numero di
associati, sia pontederesi sia di altre
località anche abbastanza distanti, tipo
Santa Croce sull’Arno, Volterra e Pisa,
riuscendo da subito ad organizzare le
mostre micologiche, inizialmente solo
autunnali.
La mostra micologica viene organizzata in occasione della ricorrenza della
“fiera” di Pontedera, per convenzione
il primo giovedi dopo San Luca, solitamente nella terza decade di ottobre,
della durata inizialmente di quattro
giorni poi ridotti a due; è il momento
culminante per il sodalizio, i soci partecipano portando cassette piene di funghi di ogni tipo, per la classificazione
delle specie fungine dal gruppo centrale
di Trento interviene direttamente il cav.
Mauro Angarano e talvolta anche l’ing.
Bruno Cetto.
Passano gli anni, il livello di conoscenza dei componenti del Comitato
Scientifico diventa notevole, quindi
viene “tagliato” il cordone ombelicale e il Gruppo diventa autonomo a
tutti gli effetti.
Comunque l’appartenenza al Bresadola consente l’accesso di due delegati di
Pontedera al Comitato Scientifico Nazionale AMB, due sessioni, una primaverile e l’altra autunnale, tenute sempre
in località diverse e in ogni regione
d’Italia.
Questa palestra continua forgia gli
esperti di Pontedera e consente di crescere a tutti i soci, che dispongono poi
delle conoscenze acquisite.
Per alcuni anni sarà proposta anche una
mostra dei funghi primaverili, ma la difficoltà di reperire il materiale fungino
occorrente per la limitatezza del periodo favorevole e per la scarsità di miceti
presenti, sconsiglierà di continuare con
questa esperienza e il progetto verrà abbandonato.
È con grande soddisfazione possibile
affermare che il Gruppo Micologico di
Pontedera ha contribuito fattivamente
alla riduzione degli avvelenamenti fungini nella nostra zona:
- intervenendo talora presso la struttura
Le specie nuove per la scienza con la data di pubblicazione:
Cortinarius ianuarius
Franchi & M. Marchetti
2006
Inocybe juniperina
M. Marchetti,
Franchi & Bizio
2003
Inocybe fusipes
Bizio, Franchi & M. Marchetti
2006
Inocybe subdecipiens
Bres. ex Bellù, Bizio & M.
Marchetti in Bizio & Marchetti
1998
Psathyrella wavereniana M.
Marchetti
1993
Ramaria dolomitica
Franchi & M. Marchetti
2000
Ramaria mediterranea Schild
& Franchi in Schild
1998
Ramaria subbotrytis f. flavipes
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria thalliovirescens
Franchi & M. Marchetti
2000
Le ricombinazioni operate
con la data di pubblicazione:
Clavulina coralloides
f. bicolor (Donk)
Franchi & M. Marchetti
2000
Clavulina coralloides f. cristata (Holmsk. Fr.)
Franchi & M. Marchetti
2000
Clavulina coralloides f. mutans (Burt)
Franchi & M. Marchetti in
Franchi, Giovannetti, Gorreri,
Marchetti & Monti
2006
Una delle mostre
micologiche allestita
nell’atrio del Palazzo
Comunale di Pontedera
Contributo dei lettori
Recensioni
Boletus Lupinus
Clavulina coralloides f. subcinerea (Donk)
Franchi & M. Marchetti in
Franchi,Giovannetti, Gorreri,
Marchetti & Monti
2006
Clavulina coralloides f. subrugosa (Corner) Franchi & M.
Marchetti
2000
Helvella corium var. macrosperma (Favre) Bizio, Franchi
& M. Marchetti
1998
Helvella leporina (Batsch :
Fries) Franchi, Lami & M.
Marchetti
1999
Inocybe rimosa var. umbrinella
(Bres.) Bizio & M. Marchetti
1998
114
115
La riorganizzazione del genere Ramaria a livello europeo,
con le sezioni pubblicate:
Ramaria sect. Apiculatae
(Corner)
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Avellaneae
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Botrytes
(Corner)
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Dimiticae
(Corner)
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Flavae
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Formosae
(Corner)
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Grandisporae
(Corner)
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Gypseae
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Luteae
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Neoformosae
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Niveae
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Pseudobotrytes
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Spinulosae
Franchi & M. Marchetti
2001
Ramaria sect. Strictae (Corner)
Franchi & M. Marchetti
2001
ospedaliera per classificazioni di reperti fungini non identificabili altrimenti e
causa di intossicazioni da curare;
- avvalendosi della collaborazione di
quotidiani locali per lanciare ai lettori
un monito sul rischio di intossicazioni per la nascita troppo abbondante di una specie velenosa nei boschi
di querce e lecci, il Boletus lupinus,
sosia perfetto dello squisito Boletus
regius, al contrario decisamente poco
comune, come si è reso necessario
nell’autunno del 2005;
- fornendo consulenze e consigli disinteressati ai fruitori delle mostre micologiche e accogliendo presso la sede sociale tutti quei simpatizzanti desiderosi
di farsi classificare i funghi raccolti.
Attualmente e senza fini di lucro, il
Gruppo Micologico di Pontedera svolge le sue attività particolarmente nei
territori della Valdera e del Valdarno inferiore dove, durante la stagione autunnale è consueto curare l’allestimento di
mostre micologiche e delle erbe commestibili in occasione di manifestazioni
di vario genere che si svolgono nei comuni limitrofi, si ricordano oltre a quella
di Pontedera, anche quelle di Ponsacco,
Santa Croce sull’Arno e Uliveto Terme,
più altre saltuarie e occasionali.
Il Gruppo Micologico di Pontedera
è pure inserito nella federazione dei
Gruppi Micologici Toscani, denominata AGMT, associazione che vede le sue
origini nel dicembre del 1993.
L’associazione attualmente è costituita
da 24 gruppi micologici distribuiti su
tutto il territorio toscano, è referente
con l’ARSIA a livello regionale e ha
svolto diversi progetti, fra cui la map-
patura dei funghi in Toscana, a cui ha
partecipato fattivamente anche il Gruppo Micologico di Pontedera, culminato
poi nella pubblicazione di un libro, che
ha consentito alla regione Toscana di
qualificarsi come una delle prime regioni italiane in grado di svolgere progetti
di censimento così articolati e durevoli
nel tempo (periodo di osservazione di
4 anni) e la pubblicazione di un libro
a carattere educativo e divulgativo, “Io
sto con i funghi”, distribuito direttamente dai gruppi.
Grazie alla sensibilità dell’amministrazione comunale che qui si ringrazia, la
sede sociale è in Via Saffi n. 45 a Pontedera, ed è aperta a soci e simpatizzanti ogni martedi dalle ore 21:30 alle ore
23:30 circa (escluso i festivi), mentre la
collocazione della mostra micologica
e delle erbe commestibili è situata nell’ampio salone d’ingresso di Palazzo
Stefanelli, sede del municipio.
A chiusura di questo resoconto, forniamo due dati importanti: la mostra micologica di Pontedera quest’anno è stata
la 34esima, mentre quella delle erbe
commestibili la 6ª edizione; poche sono
in toscana altre Associazioni che possono vantare simili traguardi.
È motivo di orgoglio e di prestigio il
livello di conoscenza raggiunto dai
componenti del Comitato Scientifico
del nostro Gruppo, alcuni di essi infatti
sono diventati autori di numerose pubblicazioni scientifiche e lavori organici
su ambienti particolari, come i funghi
del bruciato e i funghi dei litorali sabbiosi, oppure vere monografie come lo
studio del genere Ramaria in Europa,
da soli o in sinergia con valenti esponenti dell’Università di Pisa e del Parco Naturale Migliarino, San Rossore,
Massaciuccoli.
A lato in queste pagine sono trascritte le
specie “nuove per la scienza” descritte dai nostri soci, distribuite su generi
diversi a dimostrazione delle notevoli
competenze, unitamente alle ricombinazioni tassonomiche che si sono rese
necessarie per allineare la materia agli
studi contemporanei.
TRANSHUMANZ
di M. L.
M
auro Gambicorti, alla “Prima
Rassegna di Fotografi Pisani”
tenuta nel 1994 presso il Centro di Arti Visive di Pontedera, presentò
13 fotografie dal titolo “Terre di Toscana” dove i paesaggi fortemente antropizzati erano proposti con linee colori e
forme amorevolmente plasmati dall’Autore per ritrovare un legame con le origini della sua infanzia. Oggi con questo
libro di viaggi, Transhumanz, di uomini
e animali che ripercorrono vie antiche
nella storia dell’uomo, ritroviamo quell’amore che Mauro ha sempre avuto per
gli odori, di sapori della terra e il lavoro
dell’uomo dove il sudore e la fatica sono
i valori proposti.
In “Transhumanz”, edito da Bandecchi &
Vivaldi ( con la solita maestria nella stampa delle immagini) scopriamo immagini
di grande poesia, segnata dal divenire
delle stagioni e dal paesaggio attraverso
i nostri monti, di uomini e animali in un
antico rito che oggi, nell’era tecnologica,
ci sorprende esista ancora.
Cominciando a sfogliare il libro, piano,
piano si resta coinvolti nell’osservare la
bellezza delle immagini, ma soprattutto
dal sentimento con cui questa immagini
sono state raccolte e dalla commovente
partecipazione di Mauro.
Immagini tratte
dalla pubblicazione
di Mauro Gambicorti
Collaboratori
Collaboratori
LUCA,
FOTOGRAFO D’ARTE
di M. L.
La mostra all’Accademia
degli Euteleti a San Miniato
LUCA LUPI
116
117
Luca Lupi nato a Pontedera in provincia di Pisa nel
1970, attualmente vive e lavora a Fucecchio, Firenze.
Dopo aver conseguito il
diploma di maturità nella
sua città, entra nel mondo
del lavoro ma contemporaneamente, frequenta con
interesse lo studio fotografico di Mario Lupi, dove
apprende le prime nozioni
della fotografia, sua vera
precoce passione. Si iscrive
a Firenze a corsi di fotografia e successivamente lavora come assistente presso
uno studio fotografico.
Nel 1995 consegue un attestato per la professione
di fotografo presso l’istuto
statale d’arte F. Russoli di
Pisa. Abbandona del tutto il precedente lavoro per
dedicarsi completamente
alla fotografia aprendo uno
studio, che nel tempo si
specializza nella documentazione di opere d’arte grazie alla collaborazione con
le Soprintendenze di Pisa,
di Firenze e di Lucca, con
l’Opificio delle Pietre Dure
di Firenze ed altri enti e studi privati. L’attività dello
studio si incentra su campagne fotografiche per mostre
e pubblicazioni d’arte, documentazioni per i restauri
e diagnostica artistica.
Parallelamente all’attività professionale sviluppa,
proprio attraverso la frequentazione e l’approfondimento dell’opera d’arte,
una particolare sensibilità
alla visione che lo porta
a dedicare parte della sua
attività anche a progetti di
ricerca personali.
Nel 1998 partecipa al concorso “The International
Photo Contest” indetto da
Hasselblad, dove ottiene un
riconoscimento per l’eccel-
Q
uando in altri tempi si doveva
imparare un mestiere, si metteva
il ragazzo “a bottega” dall’artigiano che era disposto a insegnargli.
Molti fotografi famosi hanno incominciato la loro attività in questo modo.
Nei nostri tempi non è più così ma, chi
ha imparato il mestiere con intelligenza
e caparbietà, oggi è in grado di inserirsi
nel mondo della comunicazione iconica
avendo tutte le carte in regola per esprimersi nella maniera migliore.
Ricordo, con piacere, un ragazzino timido con gli occhi neri che faceva tesoro
degli insegnamenti che gli davo, e
che presto fu in grado di discutere
con me le soluzioni ai problemi
che il lavoro richiedeva. Quel ragazzino, oggi, è un fotografo con
una solida preparazione tecnica di
base, e, dato che ama il suo lavoro,
ha raggiunto una capacità espressiva notevole riuscendo a portare nelle sue immagini una carica
emotiva che coinvolge lo spettatore. La capacità di esprimersi è
un momento complesso che coinvolge
l’emotività, la capacità tecnica, la cultura del fotografo e, nel mare magnum di
immagini che invadono la nostra contemporaneità, gli unici che produrranno
cose valide saranno coloro che con passione e amore sapranno guardare ciò
che è importante per l’uomo.
Le foto che propone Luca sono il frutto di
una ricerca portata avanti con anni di lavoro fatta di scelte, ripensamenti, rinunce,
selezioni e coraggio per operare, quelle
scelte significative che rispecchiassero il
suo modo di essere, di percepire la fotografia in una visione “moderna” dell’immagine. Luca è sempre stato attento a
quello che veniva pubblicato nel mondo
della fotografia perché la conoscenza di
ciò che i fotografi producono ha maturato il suo modo di vedere e ha guidato la
sua attenzione a percepire gli umori dei
tempi e a tradurli in immagini.
Luca ha lavorato per molti anni nelle
Soprintendenze ai Beni Artistici ed ha
documentato migliaia di opere: è qui
che ha dimostrato il suo valore perché
non è stato il freddo esecutore di una
documentazione asettica per l’archiviazione, ma il “curatore”, per amore, di
opere che devono essere riprese “al meglio”, e con sensibilità.
In fotografia, quando si parla di “linguaggio fotografico”, sarebbe più appropriato
parlare di “linguaggi” in quanto, non esistendo una grammatica strutturata e una
sintassi, forse nemmeno un codice unificato, ogni fotografo struttura il suo. Che
questo sia un bene o un male, uomini,
semiologi, artisti dibattono da sempre la
questione; il fatto è che quando un artista riesce a muovere delle emozioni, dei
pensieri, delle idee fa sì che la comunicazione che passa chiarisca ciò che non
è codificato o strutturato.
Le immagini che presenta Luca, perfette tecnicamente, corrette dal punto di vista formale, hanno il fascino inconsueto
delle immagini di colui che le ha prodotte vivendole emotivamente, seguendone il percorso che con fasi successive
concorre al risultato finale. La ripresa,
prima, prefigura il risultato, partendo
da un’emozione o da un’intuizione; il
lavoro da artigiano mette in evidenza la
sua padronanza della tecnica; l’immagine finale rivela la sua sensibilità e la
cultura visiva dell’autore.
Le immagini “fine art” che presenta
possono essere “lette” come percorsi a
tema ma anche come singole creazioni,
la loro forza sta nell’impatto emotivo
che coinvolge l’osservatore in atmosfere
incantate di sapore metafisico. Ci sono
elementi naturali che hanno sempre
coinvolto Luca: l’acqua, la vegetazione,
il cielo, il paesaggio, per cui i tagli che
opera, le scelte tra le immagini, i toni
dei grigi così ricchi
e espressivi ne fanno
un raffinato percorso.
Ciò prelude a maggiori traguardi.
lente creatività.
Nel 2005 attreverso la partecipazione al concorso fotografico “Paesaggi immaginari” viene selezionata
una sua immagine per essere pubblicata in un volume
della rivista “Progresso Fotografico”.
Nel 2006, 2007, 2008 una
sua opera viene scelta per
la realizzazione della copertina del volume dell’Accademia degli Euteleti della
città di San Miniato.
Esposizioni principali
2007 personale “Intuizione
e forma”, Palazzo Migliorati, Accademia degli Euteleti, San Miniato (Pi)
2007 collettiva “Percorsi paralleli”, Galleria del
Baluardo di San Regolo,
Lucca
2007 donazione “Un immagine per la libertà” opera
donata al Comune di Lucca
2008 personale “Immagini
da un cantiere”, Croce di
Lucca, Napoli
Hanno scritto di lui
Antonia d’Aniello, Mario
Lupi, Saverio Mecca, Mauro Favilla, Filippo Lotti.
INDICE
Introduzione
pag.
3
Andrea Pisano e l’assimilazione della lezione di Giotto e dell’antico
pag.
4
Di Sara Taglialagamba
Andrea da Pontedera e l’oreficeria pisana dal XIV secolo alla conquista fiorentina
Di Jonath Del Corso
Beni Culturali: qualità, valore e sviluppo economico per il rilancio del Paese
Di Angela Loretta
Dario Vivaldi
Di Mario Lupi
Africano Paffi
A cura della redazione del Centro
Alberigo e Carlo Novelli: l’Arte dal padre al figlio
pag.
7
68
Dino Cavallini liutaio
pag.
73
L’acustica a teatro
pag.
77
Maria Cioppi, cantante lirica
pag.
81
Il Teatro Era
pag.
86
Brenno Ristori
pag.
89
Riccardo Moretti
pag.
92
David Calamai
pag.
94
La “Volere è Potere”
pag.
96
Significato dell’insegnamento. La creatività educabile
pag.
99
Riccardo Fogli
pag.
103
Riflessioni
pag.
104
Samuele Borsò
pag.
110
Uno dei più grandi viaggiatori italiani
pag.
111
Associazione Micologica Bresadola Gruppo A. Vichi
pag.
113
Transhumanz
pag.
115
pag.
116
Di Valentina Reino
pag.
13
Di Anna Vanni
pag.
16
A cura della redazione del Centro
pag.
18
Di Michelangelo Gorini
pag.
20
Di Anna Vanni
Gallerie d’Arte in città: primo censimento ragionato
pag.
24
Arte, bambini, scuola dell’infanzia
pag.
30
A cura della redazione del Centro
Di Anna Maria Braccini
Riflessioni sull’Arte del “Contemporaneo”
pag.
35
L’Arte Contemporanea nella scuola: perchè e come
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39
Di Mario Lupi
Di Anna Ferretti
Il battello fluviale Andrea da Pontedera
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44
Salvini fotografo in Valdera
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48
I primi 40 anni del “Truciolo d’Oro”
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52
Simone Stefanelli, funerale a Gaza
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56
Marco Bruni
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62
Giovanni Pascoli, il poeta-fotografo
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64
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67
Di Mario Mannucci
Di Alessandro Salvini
Di Enzo Gaiotto
Di Simone Stefanelli
Di M. L.
Di Enzo Gaiotto
Di Mario Lupi
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Di Mario Piatti
Di M. L.
Di Africano Paffi
Introduzione alla Musica
Fare musica a scuola: il piacere del fare
A cura della redazione del Centro
Di M. L.
Di Luigi Nannetti
Di Anna Vanni
Di Andrea Lupi
Di Mario Lupi
Di M. L.
Di Alessandro Pinori
Di M. L.
Luca, fotografo d’Arte
Di M. L.
Finito di stampare
nella Tipografia
Bandecchi & Vivaldi
Pontedera
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Marzo 2009
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