Comune di Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro di Documentazione Fotografica nel Comune di Pontedera e nel Territorio della Valdera Anno 2009 BOLLETTINO pubblicazione periodica delle attività del Centro a cura di Mario Lupi Redazione: Angela Loretta, Anna Vanni, Jonath Del Corso, Mario Lupi, Nancy Barsacchi, Valentina Reino Testi di: Africano Paffi, Alessandro Salvini, Andrea Lupi, Angela Loretta, Anna Ferretti, Anna Maria Braccini, Anna Vanni, Daniela Quirici, Enzo Gaiotto, Jonath Del Corso, Lara Parisotto, Luigi Nannetti, Mario Lupi, Mario Mannucci, Mario Piatti, Michele Gorini, Nancy Barsacchi, Sara Taglialagamba, Simone Stefanelli, Valentina Reino Fotografie di: Africano Paffi, Alessandro Salvini, Angela Loretta, Antonella Papiro, Enzo Gaiotto, Eric Perrone, Foto Fatticcioni, Foto Pagni, Marco Bruni, Mario Lupi, Mauro Binci, Norbert Nengebaner, Simone Salvini Si ringraziano per il contributo alle ricerche in campo musicale: Giancarlo Calamai, Michele Gorini, Sauro Lupi, Ringraziamo gli autori delle foto pubblicate che non siamo riusciti a contattare ©Copyright 2009 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera BOLLETTINO Presentiamo il quarto numero del Bollettino del Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera. La sua pubblicazione avviene di solito a fine anno, mese più, mese meno, perché realizzata essenzialmente con il contributo volontario degli Autori che non percepiscono compenso. Sono infatti la passione e l’impegno civile e culturale che li spingono a occuparsi dei problemi artistici e a valorizzare le potenzialità e le personalità del territorio. È un impegno questo che il Centro Studi, che opera nel campo della Ricerca e Documentazione, si è sempre preso fin dalla sua nascita. Un occhio di riguardo è sempre stato tenuto anche per la scuola producendo materiali per la didattica dell’arte, intervenendo con personale qualificato in varie classi, tenendo lezioni sull’Arte e su Andrea da Pontedera. Il Bollettino è il diario delle nostre attività e delle nostre ricerche; è anche uno dei pochi canali di cui possiamo servirci per farci conoscere poiché possiamo contare solo sul contributo finanziario del Comune che non ci permette però di poter intraprendere iniziative importanti. Ci sono comunque molti cittadini e alcune Istituzioni, sia nel territorio che all’Estero (Francia, Inghilterra, Russia, U.S.A…) che conoscono la nostra pubblicazione e ci stimolano a continuare nel nostro lavoro gravoso ma gratificante. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ANDREA PISANO E L’ASSIMILAZIONE DELLA LEZIONE DI GIOTTO E DELL’ANTICO di Sara Taglialagamba L 4 5 a rivoluzione giottesca apportata alle arti e declinata avrebbe segnato sia la pittura che la scultura. Infatti è il Ghiberti a scrivere che Giotto fu “dignissimo in tutta l’arte, ancora nell’arte statuaria”. Giotto si misurò con l’arte statuaria quando nel 1334 fu nominato capomastro nella costruzione della torre campanaria di Santa Maria del Fiore. L’apporto giottesco è rintracciabile nel complesso programma iconografico che decora il campanile incentrato sul tema escatologico della salvezza dell’uomo grazie al lavoro attraverso le arti meccaniche, le virtù, le arti liberali, i pianeti e i sacramenti, che fu certamente ideato in ambito domenicano. La forte connotazione ideologica e teologica infatti richiamava l’enciclopedismo medioevale di Isidoro da Siviglia, Vincenzo de Beauvis, Tommaso d’Aquino e Brunetto Latini. L’intero ciclo apriva una visione positiva, escludendo episodi con una connotazione negativa come ad esempio la Cacciata dal Paradiso Terrestre: l’uomo ha dunque la possibilità di riscattarsi grazie al lavoro e alla fatica, entrambi visti come strumenti di riscatto ed espiazione per grazia e misericordia divina. La critica propone di assegnare l’elaborazione del progetto a Giotto e l’esecuzione dei lavori a un cantiere di scultori attivi a Firenze, tra cui il cosiddetto Maestro di Noè e il Maestro dell’Armatura, all’interno del quale Andrea Pisano godette di una posizione guida tanto da diventare sovrintendente dei lavori al Campanile dopo la morte di Giotto nel 1337 fino al 1348, anno della partenza per Orvieto. Nei rilievi che Andrea eseguì per il basamento del Campanile è possibile rilevare Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera una sempre più consistente influenza giottesca. Consideriamo le due formelle della Creazione di Eva e dell’Ercole vittorioso su Caco: il nuovo scarto stilistico seppe tradursi in un sempre più preciso ed articolato inserimento delle immagini nello spazio, in una più aggiornata sensibilità descrittiva di sapore quasi lenticolare, in una sintesi narrativa tagliente e diretta ed in una definizione anatomica che pienamente recepisce e mette in pratica la grande lezione dell’antico. Nella formella esagonale della Creazione di Eva, pendant della formella gemella con la Creazione di Adamo, la scena è scandita su due piani: in primo piano vediamo i corpi sensuali dell’Adamo addormentato, di cui sono apprezzabili i particolari realistici del braccio reclinato sotto la testa e della gamba piegata sotto a quella superiore salvo il rovesciamento a piatto del tallone, e di Eva nascente, il cui corpo tradisce già nelle sue forme appena svelate quella esattezza anatomica e quel modellato vibrante delle forme presenti anche nell’Adamo. Il vero protagonista della formella è il Dio Benedicente che dona la Vita, raffigurato in scorcio possente nell’atto di sorreggere la donna per l’avambraccio: è la presa del Dio a farsi quasi ricettacolo emotivo dell’evento e si noti con quanta maestria Andrea seppe risolvere il particolare del braccio in scorcio. La pesante veste di cui è ammantato il Dio, in contrasto con i corpi nudi dei Progenitori, disvela e si modella grazie al corpo sottostante cadendo in pieghe leggere. Il lembo della veste alzato ben inserisce per riequilibrare la figura reclinata impreziosita dai particolari lenticolari: l’ammantarsi della veste in prossimità della vita, il naturale scoprirsi del braccio benedicente, i preziosi riccioli ondulati e la conformazione attenta della barba. Lo sfondo, in secondo piano, è occupato da un Eden rigoglioso parte integrante dell’Atto della Creazione: i tre alberelli sullo sfondo, carichi di fiori e frutta, sono descritti con un’inedita precisione lenticolare e con un’attenzione naturalistica di sapore catalogatorio. Dal punto di vista stilistico si rivela la vibrante intensità della scena, ricca di chiaroscuri e vicina alla formazione peculiare come orafo di Andrea di cui aveva dato un saggio magistrale nella Porta bronzea del Battistero di San Giovanni; i preziosismi cesellati dei particolari, che ben si amalgamo con il substrato della pittura fiorentina di tendenza miniaturistica che permette al nostro scrittore di indugiare nella compiaciuta descrizione dei fichi e dei fiori che dona la natura dell’Eden; infine l’assimilazione della grande lezione della scultura antica, tanto che è stata proposta una citazione per l’Adamo tratta da un sarcofago antico raffigurante scene bacchiche conservato al Camposanto Monumentale di Pisa e che dunque Andrea avrebbe potuto studiare direttamente. Passiamo all’Ercole vittorioso su Caco: l’eroe, atteggiato all’antica grazie alla calcolata ponderatio delle membra che evoca direttamente antecedenti classici, è raffigurato al centro della composizione inquadrata entro la formella esagonale. Rispetto all’iconografia canonica che raffigura l’eroe in media res nell’atto della stretta marziale di Caco, l’evento si è appena concluso: Ercole, vestito della pelle di leone e appoggiato alla clava, è rappresentato in tutta la sua fierezza di eroe vincitore mentre Caco è esangue e sconfitto a terra. Più che come gigante ferino e spietato descritto da Virgilio, il corpo di Caco quasi inghiottito dall’antro della grotta è il centauro apostrofato da Dante come colui che fece “cessar le sue opere biece sotto la mazza d’Ercule” come si legge nel Canto XXV dell’Inferno. Rispetto alla formella precedente quello che colpisce è la massima sintesi evocativa dell’evento: si aboliscono i dettagli accessori e il paesaggio è evocato solo dall’esile alberello e dalla montagna, strettamente funzionale alla scena visto che è l’antro in cui Caco aveva nascosto il bestiame rubato e quindi elemento narrativo essenziale. L’attenzione è focalizzata sui due corpi umani: quello atletico e bellissimo di Ercole basato sul fiero e potente ancheggiamento, potenziato dal delizioso gesto della mano nascosta e appoggiata sul fianco, dalla presa sicura della clava, dal ricadere soffice in pieghe inviluppate della veste di pelle di leone Giotto di Bandone, Cristo benedicente fra San Giovanni Evangelista, la Vergine, San Giovanni Battista, San Francesco d’Assisi. North Carolina, Museum of Art, Kress Collection (Samuel H. Kress). Esposto alla mostra L’eredità di Giotto presso gli Uffizi nel 2008 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ed infine dal trattamento prezioso e cesellato della barba, oltre che dall’evidente consapevolezza anatomica; quello esangue e rilasciato di Caco con la testa reclinata all’indietro, il braccio rilasciato ormai privo di vita e di quella ferinità che possedeva in vita, il torso potente che si fa scandaglio spaziale suggerendo verosimilmente la profondità della grotta grazie alla sua posizione di scorcio. In parti- 6 7 In questa pagina alcune delle formelle di Andrea da Pontedera: La creazione di Adamo, La creazione di Eva, Ettore vittorioso su Caco colare la posizione isolata di Ercole potrebbe essere finalizzata ad esaltarne la condizione presentandosi, forse per la prima volta, come exemplum fiorentino per eccellenza: è l’eroe che ha liberato la terra dai mostri e quindi che permette di ripristinare l’ordine sociale necessario al progresso civile (non a caso la formella che segue è l’Agricoltura, simbolo della produttività dell’umanità). Dal punto di vi- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera sta stilistico si registra dunque una sterzata: il ductus si fa più lineare perché capace di sbalzare le forme in maniera più netta e precisa rispetto alla porta bronzea dove invece predominavano preziosità orafe e modellato pittorico, caratteristiche della prima fase fiorentina di Andrea. Rispetto alle altre formelle, grazie al progressivo contatto e all’influsso della pittura plastica e monumentale di Giotto, Andrea potenzia sempre di più l’aspetto eroico, lo spazio compositivo, la resa plastica e l’effetto monumentale. Si provi a paragonare le due formelle e il Polittico Raleigh conservato nella Kress Collection del North Carolina Museum of Art: si può notare il perfetto inserimento dei corpi nello spazio, la descrizione psicologica di ogni personaggio e la casistica dei gesti naturali e realistici. Valga la pena di apprezzare la bellezza del gesto della Vergine che sembra pudicamente nascondere la mano nel prezioso velo ceruleo quasi a pendant della mano di Ercole che si intuisce celata dietro la pelle di leone e appoggiata sul fianco riecheggiando la stessa posa e la stessa naturalezza; il gesto benedicente di Cristo che realisticamente vede incresparsi e cadere la veste all’altezza dell’avambraccio così come accade al braccio benedicente del Dio della Creazione di Eva; infine la convincente e realistica presa del vangelo di San Giovanni Evangelista che potrebbe equivalere in quanto a realismo alla stretta del Dio all’avambraccio di Eva ma anche alla mano dell’Ercole che grava con tutto il suo peso sopra la mazza. È nei rilievi della torre campanaria di Santa Maria del Fiore, detta appunto anche Campanile di Giotto, che la lezione giottesca è perfettamente assimilata e realizzata grazie allo scultore Andrea Pisano, guadagnandosi di diritto quindi il suo posto in quella che il Ghiberti aveva definito “Arte statuaria”. ANDREA DA PONTEDERA E L’OREFICERIA PISANA DAL XIV SECOLO ALLA CONQUISTA FIORENTINA di Jonath Del Corso S ebbene sotto il nome di scultura si possa comprendere anche l’oreficeria è doveroso fare però una marcata distinzione fra le due arti, visto che gli orafi hanno sempre formato una classe distinta dal resto dei maestri di scultura in pietra e marmo, ed essendo totalmente diverso anche il meccanismo di lavoro e la materia utilizzata. Piuttosto potrà appartenerle in generale l’arte fusoria e di conseguenza tutti i lavori non solo d’argento e d’oro, ma in bronzo e in qualsiasi altro metallo. Senza dubbio l’oreficeria, come la scultura, ha una sua matrice unica in Costantinopoli da dove provenivano abili maestri. Si veda a tale proposito l’architrave e gli stipiti del portale maggiore del battistero pisano, i cui disegni furono poi migliorati dalla scuola di Nicola e Giovanni Pisano tra il XIII e il XIV secolo in cui prende avvio una delle più importanti scuole scultoree capeggiata appunto dal pugliese Nicola, i cui insegnamenti furono ripresi successivamente dal figlio Giovanni e dalla sua cerchia per poi essere rielaborati da una delle ultime botteghe pisane del XIV secolo, quella di Andrea da Pontedera, la quale cominciò a produrre opere scultoree significative soltanto a partire dal 1342, quando Nino, insieme al padre, portò a termine il sepolcro dell’arcivescovo Simone Saltarelli per la chiesa di Santa Caterina. Ma Il nome di Andrea Pisano, figlio di Ugolino di Nino da Pisa, era già ben noto alle cronache artistiche prima del 1342, quando compare già nei documenti fiorentini attestanti la commissione della porta bronzea del battistero di Firenze realizzata negli anni ’30 del XIV secolo. Non è facile ricostruire le vicende che hanno portato a suddetta commissione vista la frammentarietà dei documenti, ma grazie anche all’aiuto del Vasari sappiamo che i fiorentini vollero delle porte di metallo massiccio come quelle della cattedrale di Pisa di Bonanno, così l’Opera di San Giovanni vi inviò Piero di Jacopo e nel gennaio del 1330 Andrea è già all’opera come “maestro delle porte”. Questo testimonia che i fiorentini non commissionarono l’opera al primo capitato, ma sicuramente a chi a Pisa, dove lo trova Piero di Jacopo, aveva una bottega ben avviata all’interno della quale, prima del 1330 e dopo, non si lavorava soltanto marmo, ma anche oro e argento, come del resto testimoniano i documenti in base ai quali risulta che a Nino, insieme agli orafi Coscio di Gaddo da Cascina e Simone detto Boschiera, viene commissionata una tavola d’argento e successivamente viene pagato per un altro lavoro di oreficeria. I dati chiariscono pertanto un periodo di attività precedente al 1330 quando dalla bottega di Andrea uscivano lavori in oro e argento che andavano a decorare gli altari, le cappelle e i tesori delle chiese, tra queste quello di Santa Maria Maggiore. Gran parte di questa produzione rimane però anonima, è solamente presente in lunghi inventari che tacciono sul nome dell’artista. Pertanto, l’attività orafa di Andrea, cui viene fatto riferimento anche per spiegare alcuni aspetti della sua produzione scultorea, che vede implicato anche il lavoro del figlio Tommaso, basti analizzare i rilievi, quasi incisi, delle predelle del dossale d’altare della chiesa di San Francesco a Pisa, è solamente ipotizzabile attraverso documenti certi, tra i quali anche quello che lo vede autore di un marchio in ferro per bollare i panni francesi commissionato dall’Arte dei Baldigrai, nonché sulla notizia, forse fantasiosa, del Vasari secondo cui Andrea, tra- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Riproduzione del manto della Vergine del Duomo di Orvieto (da Cellini 1933) 8 9 mite Giotto, avrebbe inviato al Papa ad Avignone un crocifisso d’oro, o più concretamente attraverso una notizia del 1933 di Pico Cellini il quale afferma di aver visto ad Orvieto un frammento ancora supersite dell’arabesco d’oro che decorava il panno azzurro della Vergine sopra la porta principale del Duomo. Unica opera di oreficeria, e ormai concordata dai più autorevoli storici dell’arte, è il reliquiario della croce nel Duomo di Massa Marittima in lamina d’argento lavorato a cesello con smalti su entrambe le facce, una tipologia di crocifisso su doppia faccia riscontrabile anche in pittura. Il reliquiario presenta alla base, costituita da un insieme di sei spioventi curvilinei, un’iscrizione sulla quale compaiono tre nomi: HOC MEUS ET GADDUS CEUS ANDREASQUE MAGISTRI – PISIS FECERUNT ARGENTI AUIRQUE MINISTRI. A Meo, Gaddo e Ceo forse sono riconducibili gli smalti e i lavori a cesello, mentre per il Crocifisso a tutto rilievo, dal perizoma goticamente mosso e dal volto con le chiome finissima- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera mente incise, la paternità è da attribuire ad Andrea Pisano, non solo perché il suo nome è al centro del distico leonino, ma perché l’affinità stilistica è vicina ai rilievi della porta bronzea ed in particolare la testa del Cristo del reliquiario non è lontana da quella del Cristo benedicente di Firenze. Altre analogie, evidenziate dal Kreytenberg, come la stessa posizione della testa, la definizione dei particolari del volto, i folti capelli e la barba sono riscontrabili anche in una croce astile di Montopoli del XIV secolo nella pieve dei Santi Stefano e Giovanni Evangelista attribuita ad incerta manifattura toscana, a conferma del carattere complesso e composito dell’ambiente produttivo toscano nel quale lavoravano gli artisti, infatti, la croce sembra essere rappresentativa di una vasta koinè che, in tutto il XIV secolo fino alla metà del Quattrocento, interessò gli ambienti fiorentino, senese e lucchese-pisano, quest’ultimo legato anche da vicende politiche. Vista l’abile arte fusoria raggiunta da Andrea la letteratura artistica gli attribuisce anche una serie di campane. Il Da Morrona riporta una notizia tratta dall’archivio delle Riformagioni di Firenze, in cui si trova più volte la dicitura Magister Andreas Campanarius identificato come uno dei cittadini del quartiere di Chin- zica, quartiere dove si trovavano i beni di Andrea Pisano, e più precisamente nella cappella di San Cristoforo, già San Cristofano, inoltre ci riferisce anche di una scritta che egli aveva visto sulla campana grossa di San Martino la quale, datata 1333, riporta il nome Andreas come uno degli autori. Sempre il Da Morrona riporta la notizia di un’altra campana per il campanile di San Francesco a Perugia e infine, viene attribuita ad Andrea Pisano una campana per la chiesa di Iglesias in Sardegna datata 1337, sulla quale sono presenti gli stemmi di Pisa e di Arborea e con la seguente iscrizione “A.D. MCCCXXXVII DUS PETRUS VICES COMES DE BASSO DEI IGRA IUDEX ARBOREE ANDREAS PISANUS FE”. Nei suoi lavori Andrea veniva aiutato sia dal figlio Nino sia da altri collaboratori tra i quali spicca il nome di Giglio Pisano. Egli risulta un personaggio chiave per delineare i difficili aspetti ed intrecci dell’arte pisana con quella pistoiese, perché proprio per Pistoia Giglio Pisano lavorò alla sua più celebre opera, la statua di San Jacopo che doveva stare nel mezzo della tavola pittorica sopra l’altare del duomo pistoiese alla quale vi si impegnò dal 1349 al 1353 e che il Vasari attribuì erroneamente a Leonardo di ser Giovanni da Firenze. Una delle componenti dirette della cultura artistica di Andrea Pisano, probabile maestro dell’orafo Giglio, era stata individuata anche nello stile del pistoiese Andrea di Jacopo d’Ognabene, inoltre non è da escludere la Sopra: recto della croce reliquiario di Massa Marittima stessa presenza di Andrea a Pistoia in quanto gli viene attribuito il progetto architettonico del battistero. I rapporti e gli scambi che sicuramente vi furono non sono ancora oggi stati chiariti definitivamente, mancano ancora chiarimenti sulle aree di confine, tanto che anche verso la scultura senese Giglio sembra essere attratto, basti pensare all’arca di san Cerbone a Massa Marittima, scolpita con finezza e mentalità da Goro di Gregorio nel 1324, non a caso in quella Massa Marittima dove Andrea Pisano realizzò il crocifisso reliquiario precedentemente descritto. Tra le poche notizie dei documenti In alto a destra: Parte superiore della Croce reliquiario Incisione sul braccio verticale attestante il peso della croce Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Nella pagina successiva: Maestro dell’Universitas Aurificum, Madonna degli Orafi, Pisa Museo Nazionale di San Matteo 10 11 Bibliografia: Alampi M. T., Le pergamene dell’Archivio di Stato di Pisa dal 1195 al 1198, tesi di laurea, 1967-1968. Barsotti R., Gli antichi inventari della cattedrale di Pisa, Pisa 1959. 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Non possediamo alcuna notizia che illumini la graduale costituzione della corporativa degli orafi e lo stesso non possiamo affermare se prima fosse fusa con una delle affini corporazioni maggiori, quali quella dei fabbri, come farebbe pensare l’avere queste due corporazioni in comune il Santo patrono, Sant’Alò, storpiatura derivata dalla pronuncia francese di Sant’Eligio, apostolo del Belgio che in gioventù aveva esercitato l’arte dell’oreficeria. Infatti, anche a Firenze, fino al 1452, gli orafi erano accorpati ai fabbri, e lo stesso a Bologna dove l’arte degli orafi, anche se nata tardi, fece da principio parte della società dei fabbri. Una spinta verso la sua organizzazione dovette indubbiamente venire dall’alto, dai Consoli del Comune i quali avevano tutto l’interesse di avere di fronte un ente collettivamente responsabile per i singoli, ente che era assai più facile tenere soggetto anziché un numero grande di individui esercitanti indipendentemente gli uni dagli altri. Inducono a pensare ciò due eventi: il divieto agli orafi di lavorare alcuni oggetti di ornamento che alle donne della città e del contado era rigorosamente proibito indossare e la legislazione sancita contro i falsificatori di moneta. Il raffinarsi dei costumi, specialmente delle esigenze della moda femminile, insieme alla gara dei cittadini di qualunque grado o condizione, nell’arricchire di preziosi oggetti di culto il patri- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera monio artistico delle chiese sono da annoverarsi fra i movimenti che favorirono questa attività artistica. Già nel lamento accorato di Cacciaguida troviamo un’alta testimonianza dell’eccessiva importanza che fin da quel tempo i monili preziosi avevano preso nell’abbigliamento muliebre, contro la quale la stessa autorità non tardò a porre dei freni. Gli stessi divieti del breve del 1286 sono ripetuti nello statuto del 1313-1317, nel 1349 quando era Podestà Francesco di Ugolino da Gubbio e sotto la dominazione fiorentina quando le autorità tornarono sull’argomento inserendo, il 29 febbraio del 1455, negli Statuti un capitolo che regolava il lusso delle donne e dei cittadini iscritti nel libro delle gravezze. La differenziazione fra Arti diverse si è compiuta a Pisa alla fine del XII secolo: industrie da una parte e mestieri dall’altra. La dipendenza dell’arte degli orefici dalla Curia dei Mercanti è chiaramente affermata nel breve del 1321-1341, dove al capitolo III, tra le corporazioni dipendenti, sono specificatamente indicati li homini dell’arte delli orafi, mentre nel 1369 l’arte degli orafi non è più dipendente dalla Curia dei Mercanti e diventa autonoma in un momento storicamente felice della città e di poco segue l’apogeo della storia artistica di Pisa, appartenendo a quest’arte lo stesso Giovanni Pisano che nell’iscrizione del pergamo del Duomo di Pisa si vanta sculpens in petra ligno et auro, l’iscrizione funebre di Andrea Pisano ricorda che ha saputo simulacra deum mediis imponere templis ex aere ex auro condenti et pulcro elephanto e probabilmente anche una donna come rende testimonianza un libro della nuova massa delle prestanze di Pisa del 1371 nel quale si trova inscritta per un fiorino e 60 soldi domina Gemma aurifex della cappella di San Giorgio porta a Mare (se non fosse da dubitare che questa Gemma potesse avere soltanto una bottega di orefice). Gli orafi, come gli altri artigiani vengono indicati nel Breve come artefici. Si tratta evidentemente di artefici nel senso medievale della parola, cioè di mercanti veri e propri e di artigiani produttori, così aurifex è tanto l’orefice quanto il trafficante di oreficeria visto che l’industria non si era ancora differenziata molto dal commercio e spesso una persona si dedicava all’uno e all’altro. Gli orafi sono un ceto speciale, non sono dei lavoranti come gli artisti addestrati a trattare metalli e le pietre preziose, in modo da trarne oggetti di squisita fattura. In generale sono coloro che, dice uno Statuto fiorentino emunt, vendunt et operantur aurum et argentum et stagnum battutum, collam biancam, azzurrum, cinabrum et alios colores e materiali simili sono acquistati appunto da Andrea Pisano ad Orvieto ; e qualche volta al nome generico di orafo aggiungono quello specifico del metallo da essi lavorato di preferenza. Alla lavorazione dei metalli si affiancava anche quella degli orologi, infatti, viene ricordato a Pisa l’orefice Guaspare di Bogiunta che ebbe l’incarico nel 1380 di fare due orologi per i quali veniva pagato 15 fiorini e sempre a Pisa il Comune pagava un orafo per governare gli orologi della comunità pisana. A Firenze i fabbricatori e i conciatori di orologi erano chiamati orivoli i quali si unirono nel 1452 in società con gli orafi, distinguendosi così i primi come i meccanici e i secondi come artisti. Il grande numero di orafi pisani e la loro grande vitalità produttiva mostra come nel XIV e XV secolo tale arte fosse molto seguita, iniziando ad assumere anche aspetti governativi della città e non dimenticando anche la presenza nella stessa città di una Universitas Aurificum, cioè di una compagnia degli Orefici per la quale nell’ultimo venticinquennio del secolo un pittore anonimo, meglio conosciuto come Maestro dell’Universitas Aurificum, eseguiva due pale, una Madonna degli Orafi e un Polittico, conservate oggi al Museo Nazionale di San Matteo. Di tale università presso l’Archivio di Stato di Firenze è conservato forse il primo statuto risalente al 1438 il quale mette in evidenza anche la zona scelta per aprire le botteghe di suddetta università, presso la cappella di San Felice, zona detta “cantone degli orafi”. 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In tale documento, pubblicato dal Bonaini, oltre all’elenco con i nomi e alla data in cui ricoprono la loro carica, troviamo anche l’indicazione di provenienza dei loro quartieri, Ponte, Mezzo, Fuor di Porta e Chinzica, così da delineare le aree lavorative di questi maestri. Dal documento, nel quale è presente anche Coscio di Gaddo da Cascina collaboratore di Nino Pisano nella realizzazione della tavola d’argento per l’altare maggiore del Duomo, si evince che provengono dal quartiere di Mezzo 15 orafi, da quello Fuori di Porta 9, da quello di Chinzica 7 e da quello di Ponte 1. Dal documento risulta come l’attività orafa era ben radicata, sia nel XIII e XIV secolo sia nel XII, in tutta la città. Orefici, in base ad altri documenti, si potevano rintracciare presso San Michele in Borgo, quartiere di Fuori Porta, Santa Cecilia, quartiere di mezzo, S. Cristoforo e San Lorenzo, entrambe del quartiere di Chinzica in cui la presenza degli orafi viene confermata anche da una Descrizione di Pisa che riflette perfettamente la situazione della città all’apice del suo sviluppo urbano : […] et più si v’è apresso tucti i banchi dè merchatanti et fondachi e molti artigiani, vaiai, speziali, orafi […]. Se il primo statuto degli orafi è andato perso, quello del 1448 appartiene al periodo della dominazione fiorentina. Venne redatto dai tre consoli di quell’anno, Niccolaio d’Antone, Simone d’Antone di Neruccio, Simone di Giovanni (o Nanni) di Bergo, i quali avevano ottenuto pieni poteri dall’Assemblea degli Orafi il 18 giugno 1448 e il 9 agosto dello stesso anno lo statuto venne approvato. Lo statuto mostra l’arresto di ogni attività, tra le quali quella politica, la sua nuova fisionomia viene impressa adesso dalle contingenze dell’epoca in cui fu redatto (sotto la dominazione fiorentina), pertanto tale attività venne vigilata con intenti che non erano più quelli ai quali si ispirava un tempo il Comune di Pisa. La decadenza e la miseria del Comune aveva d’altra parte il suo riflesso nelle tristi condizioni delle Corporazioni artigiane. Riguardo a queste, Pisa fu trattata come già Firenze trattava Prato e come verranno trattate Arezzo e Cortona. Furono conservate le corporazioni quali erano al momento della conquista fiorentina, ma dovevano pagare quelle tasse che avevano imposto le corporazioni fiorentine. La corporazione fiorentina dava norma alla corrispondente pisana, la quale doveva assumere come santo protettore il santo della fiorentina; pagare quelle tasse che i consoli dell’arte fiorentina avevano imposto e i consoli fiorentini potevano procedere contro i morosi; mandare ogni anno, il giorno del santo protettore, un tributo in segno di omaggio ai capi dell’arte fiorentina. Una certa indipendenza venne lasciata per ciò che riguardava le occorrenze interne dell’arte, e si concedeva anche la facoltà di far leggi quando i bisogni locali lo richiedessero, pretendendo però una parte delle entrate e stabilendo che in tutte le cause i contendenti potessero appellarsi a Firenze. Un secondo statuto venne redatto successivamente tra il 1518 e il 1519 non presentando però sostanziali differenze da quello precedente. Anche nel rapido evolversi dei brevi, si è giunti ormai ad un punto di stabilità e di cristallizzazione, segno della decadenza nella quale l’arte, così attiva nei secoli precedenti, era precipitata. Lo stesso numero degli iscritti ne è una conferma. Mentre ad approvare lo Statuto del 1448, esclusi i tre Consoli, figurano due consiglieri e dieci maestri, ad approvare quello del 1518-1519, figurano solo due Consoli e sette maestri. BENI CULTURALI: QUALITÀ, VALORE E SVILUPPO ECONOMICO PER IL RILANCIO DEL PAESE di Angela Loretta A ll’interno del nostro Bollettino, attento all’informazione artistica ed impegnato nella sensibilizzazione dei cittadini riguardo all’importanza dei beni culturali, non poteva mancare una riflessione su Lu.Be.C., Lucca Beni Culturali, il Convegno nazionale sulla valorizzazione del patrimonio culturale e l’innovazione tecnologica. Nel suggestivo centro storico di Lucca, all’interno dell’abbraccio rassicurante delle mura, il Real Collegio, splendida “isola” ristrutturata da tempo, ma soltanto da poco fruibile, si configura, già per il quarto anno consecutivo, come la cornice ideale per questo appuntamento importante; la collocazione prestigiosa consente di immergersi nella brulicante atmosfera del Convegno, che quest’anno ha avuto luogo il 23 e 24 ottobre, ed ha previsto il tema: “Beni culturali: qualità, valore e sviluppo economico per il rilancio del Paese”. Tra i soggetti promotori spiccano la “Promo P.A.” e “Confcultura”: “come affrontare la concorrenza di Paesi incomparabilmente meno dotati del nostro dal punto di vista dei beni culturali e paesaggistici, ma che riescono a valorizzare maggiormente i propri luoghi e ad intercettare flussi turistici sempre più importanti?”. Questi i temi e le domande che, nel corso di Lu.Be.C. 2008, hanno guidato le sessioni plenarie delle mattine del 23 – 24 ed i Convegni pomeridiani del 23, offrendo ai partecipanti concreti strumenti di lavoro e di scambi di esperienze. La contestuale rassegna “Lu.Be.C. Digital Technology” (la prima rassegna delle soluzione ICT per la promozione del territorio e del marketing turistico – territoriale) ha presentato, in tale quadro, le novità relative allo sviluppo concreto di tutta la “filiera” beni culturali – turismo – tecnologia. L’organizzazione di eventi come il Lu.Be.C è un segno della volontà di proporre una cultura di qualità ad una domanda culturale in crescita continua, ed un passaggio importante consiste nella capacità di rendere il bene culturale interessante innanzitutto per la sua comunità di appartenenza: le scuole ed i giovani devono quindi configurarsi come il target principale cui rivolgersi per attivare un processo di educazione al patrimonio. L’idea di incardinare a Lucca una riflessione periodica sul tema della valorizzazione dei beni culturali si va consolidando con una forte stabilità di percorso che ruota intorno ad alcuni punti come la comunicazione culturale, le esperienze di cooperazione per fare sistema, le problematiche legate alla saturazione dei flussi turistici, l’uso delle tecnologie per valorizzare i beni culturali e promuovere lo sviluppo dei territori. Dal 2005 al 2008 il Convegno ha conosciuto una forte crescita partecipativa ed anche quest’anno si è registrata una forte affluenza: la prima sessione plenaria, dal titolo “Lo scenario: criticità, prospettive, testimonianze” ha avuto luogo nella mattinata del 23; gli interventi hanno avuto un ritmo serrato, assicurato anche dalla verve del presidente e moderatore della sessione, Ferruccio ANGELA LORETTA Angela Loretta si è laureata in Scienze dei beni culturali presso l’Università di Pisa con una tesi sulla chiesa del Santo Sepolcro di Pisa, nell’ambito del settore di storia dell’architettura. Ha poi conseguito il titolo di un Master in Progettazione e comunicazione dei beni culturali, presso l’Università di Firenze, facoltà di scienze politiche. Dopo una esperienza di stage presso l’Opera della Primaziale pisana, per la quale ha redatto alcuni contenuti del sito web, lavora attualmente presso il Sistema Museale del Comune di S. Miniato nei servizi al pubblico circa le attività di accoglienza, biglietteria e visite guidate. Sta inoltre svolgendo un tirocinio formativo presso il Centro Studi e Documentazione “Andrea da Pontedera” e presso il Comune di Pontedera. Consegna del premio Lubec 2008 a Ferruccio De Bortoli Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Convegno: sessione plenaria 14 15 De Bortoli, direttore de “Il Sole 24 Ore”, assegnatario inoltre del premio Lu.Be.C. 2008. L’apertura dei lavori è stata affidata a Salvatore Settis, presidente del Consiglio superiore per i beni culturali che, nella sua comunicazione appassionata, ha proposto di “ripartire”, per attuare una efficace valorizzazione del Paese, dal paesaggio e dal suo recupero. Si riportano alcuni passaggi del suo intervento: “L’Italia soffre di alcuni elementi di contrasto come lo scollamento tra l’estensione territoriale limitata ed il più alto tasso di suo uso e sfruttamento; detiene le più antiche ed organiche leggi di tutela, ma non le applica in modo coerente; la scuola, “termometro della cultura” del Paese, rimane muta di fronte a queste tematiche ed il paesaggio è vissuto come qualcosa di estraneo: lo stesso processo linguistico della denominazione del Ministero e delle leggi di tutela ha progressivamente messo in ombra il concetto di paesaggio. Esso godeva però di una attenzione particolare già nel 1309, quando il “Costituto del Comune di Siena”, redatto in lingua volgare, affermava che il primo dovere per chi guida una città è quello di conservare la bellezza della città stessa per la felicità dei cittadini e per la loro gloria. Il paesaggio altro non è che la rappresentazione visibile dei nostri valori, giunta a noi attraverso la lente dei secoli e l’articolo 9 della nostra Costituzione deve essere la nostra stella polare. Per capire l’importanza del paesaggio basta guardarsi intorno, esso ci dà orgoglio, crea la coscienza della nostra storia e ci comunica il senso di appartenenza. Un bel paesaggio, una volta distrutto, non torna più”. Settis lancia il suo “grido di dolore” per l’avanzata del cemento che sta distruggendo l’eredità dei nostri padri e conclude dicendo: “la nostra identità sta per implodere”. L’analisi del turismo culturale e dell’importanza del “fare sistema” hanno caratterizzato gli interventi successivi: un territorio non si promuove con l’invenzione di un logo, e ad attirare sono non gli slogan ma la storia, i luoghi, gli stili di vita, le comunità e le emozioni, che permettono di cogliere l’anima di un luogo. La Commissione europea ha compilato una “Agenda europea della cultura”, che prevede alcuni punti fondamentali quali la promozione della ricchezza, della diversità culturale e del dialogo interculturale; la cultura come catalizzatore dell’economia e come elemento essenziale delle relazioni internazionali. La sessione pomeridiana ha visto lo svolgimento di quattro Convegni paralleli: “Dal territotio al museo e dal museo al territorio interpretando le esigenze di una utenza che cambia”; “Turismo e cultura digitale: la domanda emergente”; “Partenariato e promozione del territorio: linee d’azione e casi di successo”; “Integrazione dei percorsi tra beni culturali e luoghi della fede: esperienze, modelli e professionalità”; “Musica e management: modelli di sviluppo del turismo musicale e sostenibilità economica tra pubblico e privato”. La sessione plenaria della mattina del 24 ha conosciuto un momento di forte impatto durante l’intervento di Oliviero Toscani, comunicatore e fotografo di grande fama, del quale si riportano i passaggi più significativi: “La creatività e la bellezza italiana stanno affrontando una battaglia con l’estetica del brutto, ed il nostro paesaggio rigurgita cemento. La creatività deve essere sovversiva ed eccentrica, e deve porsi al di fuori degli schemi precostituiti; essa non ha certezze e presuppone uno stato di “non – controllo”, di coraggio totale contrapposto al conformismo. Oggi, la ricerca ossessiva del consenso genera inevitabilmente un appiattimento ed una mediocrità dilagante, ed ogni città diventa l’immagine turistica di se stessa. La creatività, surplus di intelligenza, possibilità tra cuore e cervello, va insegnata e trasmessa”. Anche l’edizione 2008 del Lu.Be.C. è certamente stimolo per una riflessione sui valori che devono caratterizzare le azioni: è possibile realizzare l’obiettivo di un rilancio del Paese a partire da una valorizzazione integrata del patrimonio culturale, confidando sulle capacità delle pubbliche amministrazioni, Fondazioni, categorie economiche ed associazioni culturali, di fare sistema, nel rispetto della tutela, della conservazione, del recupero dei nostri straordinari beni culturali; è arrivato il momento di creare davvero quel valore aggiunto capace di sviluppare una maggiore consapevolezza civile ed un senso di appartenenza del patrimonio culturale quale bene universale, di tutti e per tutti. Convegno: sessione plenaria Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera DARIO VIVALDI Figure sul divano di Mario Lupi D DARIO VIVALDI Nasce nel 1938 a Pontedera, dove tuttora risiede e lavora. É titolare della cattedra di Anatomia dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Sopra: Autoritratto A destra: Venere ario è un amico, un collega, prima come pittore poi come insegnante. È una vita che lo conosco ed è proprio per questo che ho aspettato tanto tempo a scrivere di lui sul Bollettino; c’è un meccanismo di rispetto, verso chi si stima che scatta per considerare, con il dovuto rispetto i sentimenti dell’altro. È affetto. Ricordo Dario da ragazzo attaccato al braccio dell’Armenia, la bidella della scuola, in giro con la sua timidezza, o quando con il Piccolo Teatro cercava di inserirsi nel mondo della comunicazione artistica. Dario ha poi fatto il suo percorso scolastico, dalla biologia alla anatomia artistica, conciliando un vecchio sogno: dalla scienza all’arte. Se l’arte è anche conoscenza non è poi un sogno. Dario ha sempre conciliato la sua ricerca artistica con la sua vicenda nel mondo familiare, con le cose care alla sua sensibilità, ai suoi affetti (ricordo un bel ritratto della moglie Raffaella), Questo atteggiamento si evidenzia anche nei ritratti di amici, modelle, allievi. Dell’ultima mostra, tutta di grafica, ricordo gli autoritratti di impianto classico, ma impietosi come una commemorazione ante litteram che ci ricorda come sia intenso di pensiero il suo rapporto con la sua vicenda d’arte. Il segno languidamente concavo sui gessi, più duro sugli umani, come è giusto che sia, ci propone una connotazione diversa del linguaggio del disegno. Oggi è tuttavia un momento per fare attenzione ai futuri progetti perché in ogni artista convivono due aspetti mutevoli e intensi: il primo è il proprio percorso personale che gratifica chi lo compie, se ne resta appa- gato, l’altro è il rapporto con la Storia dell’Arte di chi si deve confrontare per un discorso serio che non ripercorra il déjà vu oggi tanto di moda. Ultimamente Dario ripercorre pittoricamente un momento della memoria familiare a lui tanto cara, è un ritrovarsi tra le cose care, gli affetti di cui sente il bisogno. E l’arte che cos’è se non una visione appassionata della nostra vita? A destra: Composizione A destra: Teatrino 16 17 Lo studio dell’artista Ritratto di Raffaella Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera OPERE A CASCIANA TERME: 1977 – San Rocco, affresco, lunetta portale d’ingresso chiesa di San Rocco, Parlascio, Casciana Terme; 1982 – Resurrezione, pittura murale, cappella privata, famiglia Bonicoli, Solcini, Casciana Terme; 1988 – Adorazione ai piedi della croce, affreschi, Oratorio Madonna dei sette dolori, Casciana Terme; 1989 – M° Giacinto Citi, bassorilievo bronzo, cm. 20 x 25, famiglia Citi, Casciana Terme; 1990 – Visione di San Antonio, cappella privata famiglie Ricci, Del Picchia, Casciana Terme; 1997 – Ritratto di Monsignore Don Aurelio Veracini, olio su tavola, archivio parrocchiale arcipretura di Casciana Terme; 1999 – Vittorio Emanuele II°, restauro busto in gesso, Castello di Lari; 2000 – Ritratto dell’Arciprete Don Ernesto Testi, olio su tela, archivio parrocchiale, arcipretura Casciana Terme; 18 19 AFRICANO PAFFI a cura della Redazione del Centro N ato a Pisa, ha frequentato l’Istituto d’Arte ed il Magistero d’Arte applicata di Firenze. Già docente di Linguaggi Visivi e Storia dell’Arte nelle scuole medie superiori, è residente a Casciana Terme (Pi), con studio in Piazza Martiri della Libertà. Dal 1960 ha operato in più settori delle arti figurative come pittore e scultore. Attualmente collabora come grafico ed illustratore con alcune riviste. Nel suo curriculum personale sono presenti numerosi e importanti riconoscimenti, tra questi la medaglia d’oro della seconda rassegna nazionale d’arte sacra a Firenze nel giugno 1978. Le sue opere si trovano presso collezioni pubbliche e Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera private in Italia e all’estero. Ha realizzato diverse pubblicazioni e saggi inerenti le arti visive. Nel 1974 è stato uno dei fondatori del “Premio Via dell’Arco” di Casciana Terme, nel 1985 dell’A.P.A.P.“ Associazione Artisti Pisani”. Dal 1998 collabora, con pubblicazioni e studi di storia e arte locale, con la rubrica “Fatti d’Arte” per il periodico “Nuova Casciana”, edito dalla Bottega della Stampa – La Capannina di Lari (Pi). Ha fatto parte di svariate giurie e premi, recentemente è stato presente al premio nazionale città di Livorno di pittura e scultura “Rotonda 2003 e 2007”. Ha curato come critico d’arte la stampa per mostre, rassegne e convegni (1989 - 2008). È Presidente dell’Associazione Culturale Orizzonti Toscani della Valdera e della Università del Tempo Libero di Casciana Terme. Il percorso espositivo di Paffi inizia tra gli anni’60 / ’70. È presente alla 6° rassegna pisana di arti figurative del 1966 a cura dell’Amministrazione Provinciale di Pisa, successivamente a mostre e concorsi regionali e nazionali di grafica e di pittura. È allievo dello scultore Prof. Silvano Pulcinelli con il quale approfondisce le conoscenze artistiche cominciando la sua attività plastico- scultorea. Il critico Mario Tozzi nell’Annuario bio - bibliografico del 1978 a cura di Elio Marcianò – Magalini Ed. Brescia, definisce così la sua ricerca espressiva: “Una pittura personalissima, dove i rossi vivi di fondo creano con i blu, i verdi e i gialli, un equilibrio poetico e dove forme e colori si integrano a vicenda dando luogo ad una tela ricca nella sua semplicità… la natura viene caricata di metafisica astrazione, per una ricerca sempre più ampia di possibilità espressive. Pittura quindi in divenire questa di Paffi, che si delinea in senso di impegno e di definizione della posizione dell’artista rispetto alla realtà”. Il critico Mario Meozzi sul mensile “La Zattera”del 1977 così scrive della sua pittura: “Paffi ha trovato quell’equilibrio fra soggettivismo e realtà che porta alla sintesi vera degli elementi indispensabili a fare dell’arte contenuto e forma.” In occasione della mostra personale al “Ritrovo del Forestiero” di Casciana nell’ottobre del 1979 il critico d’arte Nicola Micieli conclude la sua presentazione sul catalogo della mostra di Paffi, scrivendo: “ Per ora conta l’aver constatato, alla base di questa vicenda, un problema di definizione della posizione dell’artista rispetto alla realtà, cui si guarda con spirito sensibilmente incline alla meditazione e alla trasfigurazione. È un dato che da solo avvalora l’impegno di un artista e ne nobilita l’ispirazione.” Il suo percorso artistico, iniziato dalla grafica e dalla pittura, in seguito confluisce nella plastica e scultura, con un ulteriore affinamento del linguaggio espressivo, ispirato al figurativismo moderno. Il critico d’arte Salvatore Amodei nel catalogo pisano d’arte contemporanea del 1987 scrive: “Disegnatore sensibile ed accurato, scultore e medaglista raffinato e pittore di indubbie capacità espressive, Africano Paffi è uno dei pochi artisti pisani in grado di vantare un bilancio più che lusinghiero della propria attività.” Nelle recenti opere pittoriche sono presenti messaggi e percorsi di ricerca, ispirati all’uomo, alla natura, filtrati attraverso un “modus creandi” ricco di suggestione. Africano Paffi ha realizzato dipinti, sculture, medaglie, ritratti, opere di soggetto religioso che si trovano in diverse collezioni pubbliche e private. Nella pagina precedente: Africano Paffi nello studio Mostra personale a Ponsacco nel giugno 2002, presentata dal Sindaco Silvano Granchi e dal critico d’arte Riccardo Ferrucci 1977 - San Rocco, affresco, cm. 1,65 x 87, lunetta portale ingresso chiesa di San Rocco, Parlascio, Casciana Terme 2004 - Omaggio a Dino Campana, cm. 50 x 70, proprietà privata, famiglia Bonicoli In questa pagina, in alto: 1989 - Giacinto Citi, bassorilievo bronzo, cm. 20 x 25, famiglia Citi, Casciana Terme Medaglie Celebrative coniate nelle officine dei Fratelli Staccioli: 1985 - Medaglia argento Terme di Casciana - D/ 2006 - Medaglia argento Comune di Casciana Terme - D/ Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ALBERIGO E CARLO NOVELLI: L’ARTE DAL PADRE AL FIGLIO di Africano Paffi A utorevoli critici hanno spesso dichiarato la “morte” dell’arte e dell’artista di derivazione romantica. Personalmente ritengo che nell’arte in generale e in quella figurativa in particolare, la promozione di indirizzi di Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera studio e di formazione con l’artigianato siano alla base dell’apprendimento artistico, per la stimolazione delle potenzialità creative dell’individuo, basi queste estendibili ai molteplici linguaggi espressivi. Credo che il pittore, lo scultore siano legati strettamente alla manualità con i propri strumenti, colori, pennelli o scalpelli, nonchè all’utilizzo di nuove e adeguate tecnologie operative. La premessa è utile in particolare per poter parlare in modo opportuno di due artisti ponsacchini: Alberigo e Carlo Novelli, padre e figlio. ALBERIGO NOVELLI Alberigo Novelli – (Marsiglia 1906 – Ponsacco 1990). Nel 1916 la sua famiglia rientra a Ponsacco, presso i parenti materni. Dopo qualche tempo Alberigo inizia il suo lavoro come intagliatore a Cascina nella avviata bottega di Grigò. Il suo apprendistato artigianale è agevolato dall’inclinazione naturale per il disegno, infatti le iniziali difficoltà operative vengono facilmente risolte, le esercitazioni di disegno unitamente alle copie di opere d’arte divengono una consuetudine non solo nella bottega cascinese, ma anche al di fuori del lavoro. All’epoca Cascina era considerata una realtà produttiva in costante ascesa, soprattutto per la produzione di un artigianato di stile neo-rinascimentale richiesto su scala nazionale. Dopo aver acquisito il mestiere e le indispensabili conoscenze tecnico – operative, Ulderigo, nel primo dopoguerra comincia in proprio la sua attività di intagliatore nella cittadina di Ponsacco, che in quel periodo vedeva nascere numerose botteghe artigiane indirizzate sulla costruzione del mobile, ed è proprio nel 1950 che si costituisce l’Ente Mostra del Mobilio. Novelli, oltre all’intaglio decorativo, realizza sculture di soggetti sacri, in bassorilievo e in tuttotondo con immagini di Cristo e della Madonna.. In questo periodo la produzione grafica viene affinata, sono significativi i molteplici schizzi e disegni realizzati a carboncino, spesso riferiti a modelli classici del primo e secondo Rinascimento fiorentino, sempre interpretati in modo virtuoso. Negli anni ’60 iniziano le frequentazioni dei diversi ambienti espositivi attraverso le mostre collettive e personali che gli permettono di conoscere alcuni noti personaggi, come l’eclettico pittore Cristoforo Mercati, detto Krimer, fondatore della famosa “Bottega dei Vageri” a Viareggio, il livornese Giovanni March, e molti altri pittori labronici; questi rapporti e scambi risultano stimolanti per lo studio dell’arte del Novecento, delle avanguardie storiche e per l’affinamento artistico. Negli anni successivi la sua attività espositiva si intensifica, iniziano le mostre su scala regionale e nazionale a Firenze, a Milano alla “Galleria Montenapoleone”, a Napoli alla “ Galleria Yosé ”, con molteplici riconoscimenti di pubblico e critica. Molte opere degli anni ‘60/’70 sono presenti anche in diverse collezioni private e pubbliche della Valdera e naturalmente a Ponsacco. 20 21 Alberigo Novelli, intagliatore e artista autodidatta, dal talento naturale, riesce con la sua innata sensibilità, a cogliere gli aspetti essenziali della realtà. La sua passione per l’arte figurativa e per la musica lo predispongono verso il mondo circostante, ma soprattutto verso la figura umana. In questo artista non troviamo imitazioni stilistiche, l’immagine disegnata, per quanto figurativa, rappresentativa di un volto, di una figura, di un oggetto, ci appare astratta (e spesso portata al limite dell’astrazione), sicché il figurativo e l’astratto si toccano, si confondono o meglio si ritrovano l’uno nell’altro, nell’interpretazione dell’opera. Nei bozzetti ritrovati, dove l’idea viene fissata per poi essere tradotta in scultura o in pittura, appare il suo spirito libero ed anarcoide che rende con immediatezza ed efficacia le sue inquietudini, i suoi pensieri, i ritmi della sua personale ricerca espressiva. Osservando con attenzione l’insieme della sua produzione, si riesce a capire il suo mondo umano e artistico, le sue idealità, l’attenzione e la predilezione per le classi sociali più deboli, e infine la prorompente vitalità e unitarietà di stile. Questa piccola mostra retrospettiva di Alberigo Novelli è doverosa affinché non si perdano le tracce di un artista del Novecento scarsamente citato e documentato, soprattutto sul piano locale che ha contribuito con la sua operatività, il suo personale linguaggio espressivo, a tracciare un percorso ascendente, dagli anni ’50 – ’60 del Novecento ad oggi, contribuendo insieme alle molteplici e numerose aziende artigiane e all’imprenditoria locale a far nascere e crescere sul piano produttivo, Ponsacco come “Città del Mobile”, oggi sicuramente importante e nota a livello europeo. Nella pagina precedente: Il catalogo della mostra pisana alla “Vecchia Soffitta”, 1962 Alberigo Novelli e Carlo Carrà alla Galleria Monteleone, Milano, 1964 A fianco: Figura di donna, disegno, 1961 Bestiari, disegno, 1961 Mobile, disegno del Maestro d’Arte Grigò, intagli di Alberigo Novelli in collaborazione con altri artigiani di Ponsacco, 1956 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera CARLO NOVELLI Carlo Novelli è figlio d’arte: inizialmente è stato formato e diretto dal padre Alberigo, dal quale ha appreso la tecnica dell’intaglio, poi perfezionata con lo studio del disegno, della scultura e delle tecniche pittoriche all’Istituto d’Arte di Cascina e all’Accademia di Firenze. Il suo percorso espressivo si è arricchito di riferimenti e richiami formali, a contatto diretto con il padre, soprattutto per quelli relativi allo studio della figura umana, orientata verso una classicità espressiva pienamente reinterpretata; successivamente è stato ampliato e perfezionato dagli insegnamenti degli scultori Silvano Puccinelli e Quinto Martini. Le partiture spaziali di Novelli, dai primi semplici elaborati al bassorilievo, al tutto tondo, vengono risolte con volumetrie figurative e astrazioni, riprese sempre dalla quotidianità, anche se sviluppate con forme plastiche e richiami cubo – futuristi che denotano l’approdo verso nuove potenzialità espressive. Di questo periodo giovanile tra gli anni ’60 – ’70, il Cristo ligneo nella chiesetta del Cottolengo a Fornacette, e quello in piombo, oggi a Milano, realizzato all’epoca per l’attrice Marta Abba. Lo studio della Storia dell’Arte del XX° sec. e dei linguaggi plastici da Brancusi, a Manzù, a Greco, a Moore, a Giacometti, a Picasso, a Guttuso, a Marino Marini, ha costituito una maturazione espressiva e stilistica soprattutto nella scultura, con sperimentazioni e passaggi dalle superfici chiuse a quelle aperte. Negli anni ’70 e ’80 è presente in mostre personali e collettive, talvolta insieme al padre Alberigo. Di questo periodo è la Via Crucis in terracotta nella chiesa dei Boschi di Lari dove troviamo una variante della sua ricerca con volumi plasmati e profondamente espressivi che denotano la grande capacità interpretativa della nostra tradizione evangelica. Anche nella grafica e nella pittura, con diversificazioni rispondenti al linguaggio utilizzato, sono evidenti soluzioni espressive molto originali, nelle quali troviamo stilemi compositivi risolti verticalmente con forme schematiche incastrate in giuochi di piani, che risentono delle esperienze cubiste. In sostanza, in tutto il linguaggio espressivo, Novelli compie una modificazione dei tradizionali postulati di base, spesso sperimentando nuove stilizzazioni. Un soggetto affrontato e risolto in modo originale è il tema del cavallo, di origine mitica, come osservazione della natura, che riA fianco: Carlo Novelli alla mostra personale nella “Sala Valli”, Ponsacco, 2008 Sopra: Figura seduta, ceramica, 1988 Cavallo e cavaliere, olio, 1996 Sotto: Carlo Novelli nel suo studio, 1988 Cavallo in bronzo, Esterno edificio commerciale e direzionale del palazzo degli affari di Ponsacco, 1990 A fianco: Mostra permanente di Carlo Novelli in viale 1° Maggio a Ponsacco cerca disperatamente con la sua energia vitale l’antico equilibrio. I suoi cavalli riflettono e affrontano l’odierno disagio esistenziale attraverso una molteplicità di schemi, con soluzioni plastiche diverse, alcune realizzate con volumetrie compatte e scabre, come l’opera collocata nel 1990 a Ponsacco a corredo dell’edificio Commerciale e Direzionale del Palazzo degli Affari. Il richiamo al cavallo rievoca per certi versi l’opera di Marino Marini, del Cavallo con cavaliere, verso il quale Novelli mostra una naturale simpatia soprattutto per le soluzioni scavate e mosse con rientranze dinamiche altamente drammatiche. L’ultima produzione creativa è caratterizzata da tipiche forme espressive, risolte con masse essenziali, graffiate, dove la luce cade sui piani inclinati, che esprimono una tragica instabilità tipica della nostra epoca. I dipinti e i disegni, soprattutto quelli segnati da forti contrasti cromatici, pongono la composizione entro limiti spaziali, accentuando l’effetto tridimensionale, svincolato dagli schemi usuali. Il messaggio trasmesso dalle opere plastiche o pittoriche di Carlo Novelli è tratto dalla costante e progressiva penetrazione della quotidianità, che egli cerca di affrontare, con il suo originale stile, cogliendo le molteplici inquietudini esistenziali e drammatiche del nostro tempo. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera GALLERIE D’ARTE IN CITTÀ: PRIMO CENSIMENTO RAGIONATO a cura della Redazione del Centro Elenco Gallerie: - Galleria Andrea - Galleria Il Ponte - Galleria Bizacuma - Saletta A5 - Galleria Centro Arti Visive - Galleria La Tavolozza 24 25 In alto una tabella con i dati relativi alle varie gallerie presenti sul territorio di Pontedera. Oltre alle Gallerie sono stati censiti 3 Ateliers di artisti locali: Atelier di Lorenzo Terreni, Atelier di Luigi Lo Scalzo, Atelier di Grazia Puccini. Tre di questi Ateliers (Lorenzo Terreni, Luigi Lo Scalzo, Studio Quadrelli) sono tutt’oggi attivi A sinistra: una pubblicazione della Galleria Andrea A fianco: una locandina della Galleria Bizacuma N ella città di Pontedera ci sono attualmente diverse gallerie d’arte che svolgono un’attività di mostre di opere di artisti con Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera - Galleria Era - Galleria Liba - Galleria Autoscatto - Galleria Il Germoglio - Galleria 18 - Galleria In Folio - Museo Piaggio - Centro per l’Arte Otello Cirri - Galleria Carrozzeria Rizieri Elenco Ateliers: - Lorenzo Terreni (stato: aperto) - Luigi Lo Scalzo (stato: aperto) - Grazia Puccini (stato: chiuso) - Studio Quadrelli Arte (stato: aperto) una frequenza discontinua come di solito avviene nelle attività di chi opera in Provincia. È importante chiederci qual’è la funzione di queste gallerie che operano in città e quale è la loro incidenza culturale, oltre a quella economica che riuguarda per lo più vari impresari. La nostra città è sprovvista del tutto di una collezione d’arte permanente organizzata, di una raccolta d’arte, di un museo, per una fruibilità da parte del cittadino di quelle opere (poche in verità) disperse nei meandri di vari uffici comunali. Una catalogazione fu tentata nel 1997 con la pubblicazione di un catalogo ragionato. Anche per quanto riguarda il nostro illustre passato (Andrea da Pontedera) non si è riusciti a riunire in un luogo adatto la traccia della sua Opera il cui valore è universalmente riconosciuto. Sopra da sinistra: una pubblicazione del Centro Arti Visive, una pubblicazione della Galleria Bizacuma, la pubblicazione Immagini da un inventario A fianco: una locandina della Galleria Bizacuma Sotto da sinistra: due locandine della Saletta A5, l’invito ad una mostra presso la Galleria 18 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera In questa realtà un po’ deprimente quale può essere la funzione delle gallerie d’Arte nel tessuto culturale cittadino? Intanto quello di mostrare a un pubblico vasto quello che offre il territorio nel campo dell’Arte e poi di avvicinare il cittadino al fatto creativo per coinvolgerlo, non solo per questioni economiche, ma emotivamente. Certo, entro certi limiti non dobbiamo aspettarci che queste gallerie, escluse alcune, ci propongano, in rari casi, ar- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera tisti di chiara fama, tuttavia, spesso le opere che espongono hanno un livello dignitoso. Forse un aspetto positivo è la funzione che possono svolgere offrendo un palcoscenico a giovani artisti che non potrebbero aspirare a avere uno spazio in gallerie più importanti. In sostanza, pur con vari distinguo, si può affermare che in città le gallerie d’Arte svolgano una funzione positiva, anche dal punto di vista dell’informazione. Interno della Saletta d’Arte A5, da sinistra: Dino Carlesi, Brunero Tognoni e Otello Cirri 26 27 Interno della Saletta A5: alcune visitatrici di una mostra nelli, Gorini, ecc. ma dopo alcuni anni il tentativo di fare opera culturale in città non ebbe esiti positivi. La Galleria Il Putto gestita dall’ing. Roberto Rinaldi si è distinta per esposizio- Passiamo ora in rassegna le gallerie d’Arte che hanno operato e che tutt’ora operano in città: Una delle Gallerie più note in città, ma che ha chiuso i battenti, è stata la galleria Bizacuma il cui nome era composto dai nomi dei 4 fratelli Falorni: Bireno, Zanetto, Cupido, Mandricardo che il padre aveva anagrammato. Era stata diretta da Zanetto, coadiuvato dal nostro critico e poeta Dino Carlesi e aveva mostrato alla città i più importanti artisti del 900 e i contemporanei di buon livello come Bussotti, Viviani, Cirri, Krimer, Trafeli, Schinasi, Pellegrini, Strazzullo e critici come Carlesi e Miceli. Operando anche un’intelligente attività commerciale avevano favorito il formarsi di intelligenti collezionisti che scoprivano il valore dell’Opera d’Arte. La Saletta A5, gestita da Vivaldi Francesco e Mori Wladimirro e diretta da un gruppo di amici tra i quali Sergio Vivaldi e Dino Carlesi, Sergio Castellani, portò a più riprese artisti di ottimo livello, tra i quali Paolucci, Tamburi, Guttuso, Lotti, Possenti, Masoni, Maffei, Liberatore, Viviani, Grazzini, Morena, Vaccarone e pittori locali quali Dal Canto, Vivaldi, Pucci- ne di artisti a livello nazionale. La Galleria Tico Tico Arte ha svolto la sua attività per un breve periodo dal 1979 al 1986 durante il quale ha orga- nizzato anche dibattiti, letture di poesie e vari incontri culturali. Due stanze comunicanti tra loro in un’ambientazione di gusto esponevano artisti di buon livello. Una delle gallerie che tra varie difficoltà è ancora attiva è La Tavolozza, gestita dal dinamico Mario Meozzi che dal 1995 ha il merito di proporre oltre ad artisti di livello nazionale anche ciò che produce il territorio facendo opera di promozione delle attività artistiche della Valdera. La Tavolozza svolge un’attività culturale variegata, promuovendo un gruppo artistico e culturale e organizzando rassegne e concorsi d’arte a livello nazionale come Sopra: Prima Rassegna di Arti Visive, Mostra di San Luca, 2003 presso la galleria La Tavolozza diretta da Mario Meozzi A sinistra: Interno della Galleria Immaginarte di Filippo Lotti, durante una mostra dell’artista Fabio Calvetti 1997. I soci fondatori della Galleria Liba: da sinistra Roberto Badulato, Birgit Schneider, Alessandro Gamba, Pina Gusella, Simonetta Boldrini, Fabrizio Puccioni, Alfonso Guiggi. In basso da sinistra: Bruno Biasci, Antonio Catarsi L’interno della Galleria Liba durante l’esposizione delle opere di Arturo Carmassi Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Alcune immagini di opere esposte alla Galleria In Folio Sopra: il logo della Galleria Il Germoglio 28 29 Sopra: l’esterno della Carrozzeria Rizieri A destra: locandina di una mostra svoltasi presso la Carrozzeria Rizieri Sotto: l’esterno della Carrozzeria Rizieri il “Premio Gronchi” e incontri di poesia. Il Meozzi è impegnato, come membro, anche nel Comitato del Centro per l’Arte “Otello Cirri”. L’attività della galleria prosegue con un programma per il 2009. La Galleria Immaginarte di Filippo Lotti ha esposto artisti locali e nazionali. La sua attività dal 1996 si è protratta fino al 2005 quando il titolare si è trasferito. La galleria Autoscatto ha avuto un’attività di pochi anni, 1994 – 99, rivolta soprattutto all’immagine fotografica. La galleria era diretta da Antonio Lo Bartolo coadiuvato dal critico Mario Lupi. La galleria L’Autoscatto ha cercato di dare visibilità alla attività fotografica dei fotoamatori del territorio ma non sono mancati grandi nomi a livello nazionale e internazionale come Graziano Villa, Holger Stumpf, Alessandro Squilloni, Maniscalchi, Calvani, ecc., presenti con immagini di foto d’arte. Il Germoglio, galleria gestita da Manrico Mosti opera da diversi anni ed è ancora attiva con esposizioni di buon livello, organizzando incontri culturali per gli amatori della poesia e della musica. Ancora attiva, propone mostre di buon livello con artisti di fama nazionale a cominciare da Rosai, Possenti, Grigò, ecc.. Il titolare collabora con Enti Pubblici in campo Regionale. La galleria Liba è una galleria che offre esperienze di artisti di avanguardia. Anch’essa opera da diversi anni e propone avvenimenti culturali con incontri tra critici e cittadinanza. Il suo titolare Alessandro Gamba è un esponente di una Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera corrente informale alla quale aderisce un gruppo di artisti come gruppo culturale. Le mostre proposte sono prevalentemente di pittura e scultura con qualche inserimento di fotografi di tendenza. La Galleria 18 di Carla Burgalassi ha operato per pochi anni proponendo all’attenzione del pubblico cittadino per lo più autori locali. La titolare opera nel laboratorio di ceramica attiguo alla galleria che momentaneamente non è attiva. Il Centro per l’Arte Otello Cirri è una struttura comunale grande e articolata in diversi ambienti che offre una superficie espositiva di circa 400 mq e una segreteria che opera per la gestione della galleria con personale addetto. Vi sono state presentate mostre di rilievo nazionale sia di pittura e scultura che di fotografia; vi si svolgono a rotazione convegni, seminari, conferenze. È gestita da un Comitato di cui fanno parte artisti, critici e politici, diretto da Dino Carlesi e presieduto dall’Assessore alla P.I. Il centro si propone come una delle poche strutture che vogliono avere una funzione culturale sul territorio e con mostre e avvenimenti di rilievo nazionale, esplica annualmente un’intensa attività propositiva. Il Museo Piaggio è una struttura ampia e organizzata che offre una grande superficie espositiva ed è organizzata con criteri di professionalità sia negli Interno del Centro per l’Arte Otello Cirri durante l’inugurazione della mostra antologica dedicata a Otello Cirri, artista e sindaco di Pontedera. Al centro il direttore artistico Dino Carlesi, alla sua destra l’Assessore alla Cultura Daniela Pampaloni e alla sua sinistra Silvia Guidi, coordinatrice del Centro. allestimenti che nelle attività propositive. Organizza avvenimenti a livello nazionale e internazionale. Da notare il fatto che in Pontedera negli anni ’50 e ’60 sono state aperte delle gallerie di cui abbiamo perso la traccia perché non avendo avuto un archivio e non essendoci più i titolari, si hanno notizie solo in via orale da qualche loro conoscente. Alcuni esempi: la galleria Il Ponte, diretta da Otello Cirri, pittore e sindaco della città e la Galleria Andrea che aveva la sede in Piazzetta del Teatro il cui titolare Tamberi porta a Pontedera l’artista Padre Ugolino da Bolzano. Da notare che ci sono anche alcuni ateliers che espongono in permanenza opere dei pittori proprietari. Vi sono poi degli avvenimenti sporadici di Enti e privati: (Università della terza età, Biblioteca Comunale, Cooperativa, Cineplex, Atrio Comune, ecc.) che concludono questa panoramica, che non vuol essere esaustiva, ma un primo momento di un censimento ragionato. Il laboratorio adattato a galleria che opera dentro la carrozzeria Rizieri, gestita da L. Zucconi, fa un tentativo culturali mostrando opere d’arte e performances in ambienti di lavoro per nobilitarli ambedue. La sua attività si svolge due volte all’anno con performances che durano pochi giorni ma richiamano una miriade di “artisti” che con i loro interventi, dedicati soprattutto a un pubblico di giovani, creano un happening nazionale. Sulla sinistra: interno del Centro Arti Visive durante l’inugurazione di una mostra. Sotto: l’interno del Museo Piaggio durante la mostra dedicata a Pietro Cascella Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ARTE, BAMBINI, SCUOLA DELL’INFANZIA di Anna Maria Braccini Q ANNA MARIA BRACCINI È nata e risiede a Pontedera. Insegnante nella scuola primaria in località Romito, ha dato il suo contributo ai gruppi di ricerca di Idana Pescaioli, formatrice per l’IRSAE, ha fatto varie esperienze di educazione per gli adulti, per conto dei Comuni, delle Provincie, di varie Associazioni. Ha fatto diverse pubblicazioni per la promozione di una cultura per l’infanzia in direzione nonviolenta. È laureata in pedagogia ed ha conseguito tre specializzazioni. 30 31 Esercitazioni di laboratorio con la tecnica della carta uesto breve contributo si sofferma sull’importanza del percorso logico creativo che interessa i bambini da tre a sei anni e in particolare i bambini che frequentano la scuola per l’infanzia “Il Romito”, da anni impegnata in una ricerca che tende al superamento di eventuali stereotipie nelle rappresentazioni grafiche e pittoriche infantili, in rapporto con il Gusias1. Ed è proprio nel Gruppo di Ricerca, frequentato da alcune insegnanti, che si è condivisa l’idea di una nuova e diversa concezione di “cultura per l’infanzia”, che intendiamo nutrita di Arte e Scienza, per vincere eventuali condizionamenti e stereotipie, che contraddittoriamente potrebbero essere subite da adulti e bambini, nell modello di società in cui tutti ci troviamo a vivere. Uno dei progetti Gusias, sostiene l’idea che i bambini, prima di passare all’uso del computer, abbiano bisogno di imparare a dire fare pensare accanto agli altri e di fruire di stimoli di qualità, per poter affermare la propria originale creatività. È importante quindi che il percorso artistico che i bambini vivono nella scuola per l’infanzia, sia, ritenuto fondamentale e basilare anche per la costruzione dei diversi complessi apprendimenti futuri. È da questa prima esperienza formativa e dalla impostazione delle attività di gioco e lavoro e di ricerca, che si pongono le premesse di una nuova cultura, portatrice di valori per l’infanzia; che li veda attivi e protagonisti nel tempo in cui lo sviluppo umano consente di dispiegare al massimo le potenzialità individuali. Ciò è possibile se i bambini sono posti nelle più adatte condizioni di sviluppo e apprendimento, se si alimenta la motivazione alla partecipazione attiva, promozionale e non giudicante, in direzione logica, originale e creativa. Per lo sviluppo progettuale, nel rispetto dell’impostazione rigorosa della ricerca è di particolare rilevanza il ruolo dell’adulto che, in prima istanza, è chiamato a ripensare se stesso per e nel rinnovamento della didattica; per non forzare i tempi e non anticipare risposte, assumendo che i bambini abbiano bisogno di elaborare e realizzare in prima persona “atti e fatti” intelligenti, impegnativi e creativi, attraverso il “saper vedere” gli oggetti della realtà, nei suoi aspetti costitutivi di “natura e cultura”; di vivere i processi esplorativi secondo una congeniale sequenza che passa attraverso il corpo, le mani, il segno. Un ruolo, quello dell’adulto, che si esplica in scelte di stimoli di qualità, che attingono al patrimonio delle Arti e delle Scienze, condivise nella storia dal cammino dell’umanità. Pertanto i bambini sono accompagnati a “saper vedere”, osservare, esprimere, progettare; ad elaborare immagini con utilizzo di più linguaggi e più tecniche di significazione; ad esprimere parole ed azioni, che si addentrano nella letteratura e nella poesia con produzioni individuali e di piccolo gruppo, all’interno dei laboratori. Il percorso pedagogico, ma si potreb- Esercitazione per l’identificazione delle forme Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Processi esplorativi attraverso il gioco con il corpo in una sequenza che passa attraverso il corpo, le mani, il segno 98 99 be dire anche il rapporto tra bambino e Arte, si configura come una serie di azioni che nella quotidiana didattica, coinvolgono bambini e adulti a partire da “letture” di immagini, fiabe, filastrocche, poesie, guidate da “domande stimolo”, pedagogicamente fondate e scientificamente provate, per facilitare un’osservazione sistematica, che si arricchisce nel vivace confronto del piccolo gruppo di bambini. Nelle scuole sono attivi diversi laboratori, spesso frequentati anche dai genitori in cui, per il sostegno dell’Ente Locale, sono presenti figure di artisti, per offrire a tutti stimoli di qualità, attraverso esperienze dirette; scopo prioritario è quello di avvicinare all’Arte, ai suoi alfabeti, alle sue forme espressive e rappresentative, il maggior numero di persone, per una migliore fruizione possibile, Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera nell’ottica del Diritto allo Studio. I laboratori sono sempre integrati nel percorso educativo e formativo delle singole scuole e tra esperti ed insegnanti sono condivisi scopi, contenuti e metodi, per la ricerca di produzioni di qualità. Dalla elaborazione degli stimoli di partenza, dalla osservazione elaborazione dei significati che emergono dalla lettura dei particolari più riposti nell’immagine o nelle parole,si impostano sequenze, attività di gioco e lavoro, non aliene dal contesto di vita, vissuto tra scuola e famiglia e dalle percezioni, emozioni di ogni singolo bambino.Attraverso le verbalizzazioni essi comunicano sentimenti e pensieri che offrono spunti per attività logiche e creative, da vivere con il movimento e con il gioco, con i gesti, nel mimo e nel gioco-dram- ma, con i canti e con le danze. Solo in seguito si passa a rappresentare i significati che emergono (dal singolo e dal gruppo), con elaborazioni ben organizzate, in forme originali che testimoniano l’importanza dell’esperienza artistica vissuta. Per quanto esposto, sembra opportuno sottolineare che nel Gruppo di ricerca e nei laboratori espressivi, è forte l’idea che il percorso creativo individuale sia per buona parte compreso nel proprio vissuto socio culturale di provenienza, sempre molto complesso e legato a diversi fattori: che sono insieme biologici ed ambientali, oggettivi e soggettivi, con influenza sulle intelligenze e sui caratteri, su affettività e socialità, come sulla costruzione di atteggiamenti, comportamenti e conoscenze.Di fatto influenti sulle modalità espressive di ognuno e di tutti. La scuola dell’infanzia, che agisce su un’età dei bambini particolarmente interessante dal punto di vista dei processi di apprendimento, lo abbiamo già ricordato, assume, per il rapporto bambino-Arte e non solo, un ruolo di basilare importanza, poichè può stimolare tutta una serie di potenzialità che non possono essere rimandate a tempi o ad esperienze successive. Le produzioni artistiche dei bambini impegnati nella ricerca Gusias, come nei laboratori promossi dall’Ente locale, segnalano, con le forme reali o magiche rappresentate, con i tratti più o meno forti, con gli accordi cromatici, con la composizione degli spazi, con la rappresentazione dei movimenti, quali siano state le situazioni fruitive di stimoli in cui sono vissuti Esercitazioni di laboratorio: ricerca degli accordi cromatici Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera RIFLESSIONI SULL’ARTE DEL “CONTEMPORANEO” di Mario Lupi ...nella marea referenziale, una voce critica… L Esercitazioni di laboratorio: composizione degli spazi 34 35 In queste pagine abbiamo riportato alcune immagini dei bambini della scuola dell’infanzia “Il Romito” a lavoro e in cui sono stati immersi. Queste produzioni sono da leggere tenendo conto della più evidente presenza di “originalità” e o di “stereotipie”, che possono essere riconducibili al “clima” più o meno promozionale, che essi possono aver vissuto. Perchè il “clima” educativo e formativo sia davvero promozionale, con forti valenze pedagogiche, è necessario che la presenza degli adulti sia davvero rigorosa nel non essere impositiva; nel fare in modo di liberare nel bambino le proprie autentiche potenzialità in progressiva autonomia. Gli stimoli in cui immergere i bambini, dovranno irrinunciabilmente essere di qualità e nello stesso tempo essere il frutto di una consapevole e approfondita ricerca da parte dell’adulto, rispetto al mondo delle Arti e delle Scienze, così come testimo- niano il passato e il presente, con un futuro tutto da costruire. Stimoli capaci di aiutare l’infanzia a capire e capirsi, evitando impostazioni adultiste, anticipatorie o peggio ancora suggerire modelli da seguire, che potrebbero non favorire nei bambini la motivazione ad esprimersi. L’adulto ricercatore, sostiene Idana Pescioli, “della propria unicità creativa è invitato a rivedere continuamente i propri atteggiamenti e comportamenti, in modo da essere in ogni caso portatore e promotore consapevole di stimoli alla originalità, anzichè portatore inconsapevole di stereotipie”, facilmente leggibili nell’utilizzo diffuso di materiale graficamente strutturato, che non facilita la costruzione delle singole intelligenze nei bambini da tre a sei anni, nella prima scuola. a produzione artistica, negli anni 2000, è in gran parte una pseudo produzione d’Arte; non che tutto sia negativo ma il disorientamento è totale specialmente in Italia dove le idee, spesso fagocitate dal dio denaro, confliggono con la cultura e si allineano con le leggi di mercato ormai in modo sempre più scoperto. La situazione è ricca di fenomeni diversi, dai gruppi associativi “dei Molti” che producono “contaminazioni” (assemblaggi di pittura, scultura, foto, ecc, ecc.) in ritardo rispetto alla controcultura americana degli anni ’60 della West Coast, agli isolati che vivono narcisisticamente la loro “performance” quotidiana. P. Daverio ha affermato che in Italia non si dipinge più dagli anni ’70, significando che le nuove generazioni, sfornate dalle scuole d’Arte, non hanno avuto più legami con le avanguardie storiche della metà del secolo scorso ma hanno acquisito una sorta di imbarbarimento biologico culturale (la pittura è sempre più marginalizzata nelle mostre e musei Ginger e Fred, Praga cult e anche nella Biennale di Venezia. È da considerare che da tempo la pittura non ci fornisce prove nuove, convincenti e autonome per i percorsi di Storia dell’Arte). Si teorizza l’ambiguità dell’arte contemporanea che non può essere un fatto a sé stante, è il prodotto di correnti di pensiero, esperienze, creatività che si è andata sviluppando su movimenti che hanno le loro radici nel pensiero dei secoli precedenti. Si inventano nuove parole, nuove definizioni o accezioni di definizioni ripescate e riproposte come nuove per affermare che (“anch’io dico qualcosa”) sono spesso indice di un Museo d’Arte Contemporanea, Bilbao Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Cupola del Reichstang, Berlino 36 37 Ross L., Capsula alpina vuoto ideologico. Si è affermato che l’artista deve “confliggere con la realtà perché può agevolare un’azione di rottura con l’attuale stato delle cose”, “L’atto di creazione è per sua natura dunque libero, agisce sui processi di oggettivazione svincolandoli dall’io dogmatico” (T. Villani). Definire il nuovo spazio dell’arte senza ideologie per chiarificare il territorio su cui si muovono gli autori della produzione contemporanea, è caos. Attenzione, non c’è più, ad esempio, l’arte di protesta alla guerra del Vietnam che definiva un terreno di intervento degli artisti, non perché non ci siano più guerre, ma perché, caduta l’utopia socialista, completata l’egemonia del liberismo, le pratiche artistiche non hanno più un luogo deputato cui riconoscersi collettivamente, o se c’è, è compresso dalle leggi di mercato. Improvvisazioni, fantasia, spontaneismo, definizioni che si utilizzarono anche per definire le performance dei musicisti Jazz, ma nella loro espressione d’arte vi era il contenuto della loro storia, non nasceva dal vuoto ideologico. Il concetto di Opera d’Arte, nella contemporaneità, è un concetto erroneo. La parola Arte, con l’A maiuscola, si riferisce ad un concetto che ha dei contenuti specifici, un modo di lettura acquisito, un modo di relazionarsi con la Storia. Il concetto che questa parola ha nel mondo contemporaneo quasi sempre non corrisponde a queste definizioni, quindi è un’accezione erronea. Per questa ragione la produzione di opere, in gran parte potrebbe essere definita con le locuzioni: oggetti frutto di gioco, casualità, fantasia, populismo, produzione, spontaneismo. Questi possono essere i concetti dell’arte con cui si richiama al “contemporaneo”, gran parte degli autori italiani attuali. Il “contemporaneo” si manifesta come produzione senza libertà di ricerca autonoma che sia svincolata dalla tradizione, dal divenire storico e spesso senza concetti e idee ma solo come il “ripetitivo” di esperienze fatte nel secolo scorso. Alcune tendenze mostrano che dei percorsi d’arte sono andati, via, via adattandosi ai nuovi disvalori in gran parte prodotti dal liberismo esasperato, e da un egocentrismo egoistico che non valuta il concetto di solidarietà, disponibilità, legalità, eticità. Quasi sempre la ricerca verte sull’evoluzione formale personale ma basata su concetti di un secolo scorso, per cui è un ripercorrere antichi sentieri ormai già indagati e obsoleti. L’unica forma d’Arte del Contemporaneo che sembra non aver perso (o almeno ha ancora quel barlume di coscienza) l’A maiuscola è certamente in parte l’Architettura che per ragioni contingenti e pratiche è legata alla funzione per cui forma e contenuto hanno un richiamo alla “contemporaneità”. Es: il nuovo museo di Bilbao in Spagna, il ponte di Calatrava a Venezia, ecc…, dove il divenire della Storia favorisce una funzione estetica leggibile, legata alla funzione strutturale. Deludente invece la Biennale di Venezia del 2008 sull’architettura dove, sembra prendere piede l’effetto Cinque Terre: telai in verticale, case torri e minispazi da molti euro al metro quadro. Il fatto che oggi si sperimentino nuove forme espressive di comunicazione è un arricchimento, ma siamo ancora ai primordi di nuove forme che dovranno maturare nel divenire. Si è parlato in un primo tempo, tanto per giustificare, di “impronte”, “testimonianze”, poi della bellezza delle “Contaminazioni”. È, a parer mio, necessario fare delle precisazioni altrimenti si rischia di finire in un ibrido di scarso valore e non otteniamo opere pregevoli: un quadro pregevole e una scultura ugualmente pregevole, se concepiti, assemblati come opera unica, daranno un’opera di scarso valore. Al contrario si è visto che, una cosa Ponte di Calatrava, Venezia Centro Paul Klee, Berna Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Museo d’Arte Contemporanea (vista dal lago), Bilbao 38 39 Interno della stazione ferroviaria, Lisbona nuova come le immagini in movimento e il sonoro, abbiano prodotto nuovi linguaggi e capolavori cinematografici. Significa che la “contaminazione” deve nascere da nuove forme/tecniche espressive diverse da quelle tradizionali altrimenti si cade in un “déjà vu” della Storia. Sono stati inventati questi nuovi/ vecchi neologismi: “Arte del Contemporaneo” “Testimonianze”, “Inquietudini”, “Avventura di viaggio”, “Installazioni” e “Contaminazione”. Sotto queste diciture si inquadrano tutte le manifestazioni della fantasia contemporanea, a parer mio, non necessariamente Opere d’Arte. Si sta ingenerando nuovamente tra molti “artisti” contemporanei il concetto romantico di un artista scapestrato, insofferente delle regole, privo di cognizione della Storia dell’Arte, con un pizzico di vertigine e un po’ di pazzia necessarie per la creatività. Sarà lo sconcerto dei tempi che viviamo che permea tutti indistintamente.È certo che molti giovani che sono usciti con i diplomi dalle Scuole d’Arte e dalle Accademie dimostrano una bassa conoscenza culturale e L’ARTE CONTEMPORANEA NELLA SCUOLA: PERCHÈ E COME di Anna Ferretti / Foto Marco Bruni “Non è possibile capire l’arte del passato se non si capisce l’arte del proprio tempo” G .C. Argan una forte impronta che esaltano solo la dimensione interiore e l’emotività più che una linea legata a un’idea. Oggi è il “tempo delle inquietudini” e ognuno è depositario di un concetto di Arte, ma è bene pensare che ogni “Artista” percorre due strade: la prima è il suo percorso personale che, se lo appaga e lo gratifica, è positivo. La seconda, è quando espone pubblicamente i suoi lavori e deve fare i conti con la Storia dell’Arte. Oggi ampi spazi sono riempiti di “Artisti” senza motivazioni o ideali. È necessario che un’Arte abbia un senso. Lascerà una traccia solo chi saprà inserirsi nelle problematiche del nostro tempo. M ettere come obiettivo didattico la possibile educazione attraverso l’arte è un compito istituzionale importante che avvia un processo in cui è necessario stringere delle alleanze formative con enti presenti sul territorio. La città di Pontedera grazie alla sensibilità del sindaco Paolo Marconcini e dell’Assessore alla Cultura Daniela Pampaloni, da anni sta offrendo alla città e alle scuole, questa grande opportunità: La connessione con i luoghi deputati delle opere o del patrimonio artistico diffuso sul territorio che permette di attivare innumerevoli approfondimenti e percorsi attraverso approcci e metodi che le stesse opere d’arte sono in grado di suscitare. Quando si è a scuola nel ruolo di docente, da dove si parte per proporre un’attività didattica riferita all’arte contemporanea? Come si fa a realizzarla? Per quanto mi riguarda ho sempre pensato e sostenuto che certe esperienze nella scuola si devono proprio fare, e due sono stati gli “avvii” e, all’inizio, estranei alla scuola. Il primo, una serie di importanti eventi culturali offerti a Pontedera tra il 2004 e il 2006: il tessuto urbanistico della città si stava facendo “museo all’aperto” con installazioni di grandi sculture permanenti come quelle poste sulle “rotonde” o in luoghi diversi della città come le Panchine d’Autore e il Muro di Baj lungo la ferrovia, ma anche con installazioni effimere di grande suggestione. Ho partecipato con grande impatto emotivo a questi eventi, prima di tutto come persona interessata all’arte contemporanea. Il secondo “avvio” mi ha portato a studiare e approfondire questi percorsi contemporanei dell’arte quando decisi di propor- ANNA FERRETTI È nata a Pisa il 06 gennaio 1960 e vive a Capannoli. Insegna dal 1987 materie artistiche nella provincia di Pisa e dal 2001è docente di disegno e storia dell’arte all’Istituto Superiore “XXV Aprile” liceo scientifico di Pontedera. Si è sempre interessata all’arte e ha partecipato a varie mostre collettive e personali, come scultrice su metallo. Da diversi anni si dedica allo studio di progetti contro la dispersione scolastica, favorendo l’inserimento dell’arte contemporanea nelle scuole superiori, realizzando laboratori multimediali con artisti di chiara fama. Nel 2002 è stata referente di rete e coordinatrice del progetto per l’obbligo formativo “Costellazioni” Provincia di Pisa, Ministero del lavoro. Nel 2003 è stata referente di Rete e coordinatrice del progetto Costell@zioni didattica e nuove tecnologie Regione Toscana e insegnante referente di “Storie di minori a rischio”, progetto pilota d’informazione sui nuovi bisogni giovanili proposto dalla Fondazione Sipario Toscana di Cascina. Nel 2004 è stata referente di Rete e coordinatrice del progetto per l’obbligo formativo “Costellazioni” anno II. Provincia di Pisa, Ministero del Lavoro. (continua) FiloTape, 2005 Laboratorio con Lorenzo Pezzatini Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Nel 2005-2006-2007-2008, in particolare, ha collaborato insieme all’Assessore alla cultura e pubblica istruzione, Daniela Pampaloni, progettando e coordinando i “laboratori di Espressione Creativa”: Arte contemporanea nelle Scuole Superiori di Pontedera - Progetto integrato di area della Valdera- Provincia di Pisa, Regione Toscana-, che ha visto la realizzazione di percorsi culturali di qualità con la partecipazione di artisti come: Lorenzo Pezzatini, Stefano Tonelli, Paolo Grigò, e Nado Canuti. Esperienze documentate e pubblicate nella collana “diritto all’arte” edizione Morgana Firenze. 40 41 Presi per mano, 2006 Laboratorio con Stefano Tonelli re una visita guidata ai miei allievi della classe di maturità della V A del liceo scientifico. Pensavo che la visita per la città mi avrebbe permesso di introdurre una nuova esercitazione sul campo che affiancasse il tradizionale programma di storia dell’arte per far comprendere la funzione perturbatrice dell’arte contemporanea che non è soltanto ricerca dell’armonia e conciliazione degli opposti. Tuttavia, nella scuola sono necessarie condizioni favorevoli perché le cose avvengano e si verifichino. Per questo, in collaborazione con l’Assessore alla Cultura, l’editore Alessandra Borsetti Venier e la sottoscritta abbiamo costruito questi nuovi “percorsi” istituzionalizzati, documentati, e successivamente pubblicati. Il patrimonio artistico è un’eredità viva che permette di mettere in contatto le generazioni, acquistando continuamente nuovi significati. Per questo occorre conoscerlo e comprenderlo, ma ciò non avviene solamente attraverso lo studio delle diverse metodologie di indagine e di analisi, né solo attraverso lo studio della storia dell’arte. Il discorso che mi ripropongo di fare, quindi, non riguarda in prima istanza la didattica dell’arte, ma la funzione che l’arte Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ha nell’educazione. Non si tratta solo di un contenuto da apprendere, ma di una proposta di esperienza da elaborare ed interiorizzare. La trasmissione culturale, per essere veramente tale, esige che se ne possa fare realmente esperienza. Fare per capire. L’ arte contemporanea secondo il mio punto di vista, è espressione integrale di pensiero, ambito di riflessione su quanto avviene nella sfera sociale e nel contesto in cui l’artista si trova ad operare: gli artisti con le loro opere parlano della società, esprimono questioni, preoccupazioni, istanze dell’attualità, quelle stesse di cui parliamo noi, di cui scrivono i giornali. L’arte quindi non è legate alla decorazione, al lusso,né va considerata come un divertimento per il tempo libero, ma è qualcosa di sostanziale, è legata a una ricerca di senso, a percorsi mentali nuovi, soprattutto a una lettura del presente. Trovandomi spesso ad interpellare i ragazzi di varia età, paradossalmente, malgrado la scarsissima o nulla conoscenza dell’arte contemporanea, molti di essi risultano già impregnati di preconcetti negativi. Per esempio si esprimono attraverso osservazioni come “ ma questa non è arte”, o “ma è dipinto male”, o “ ma quan- Officina Canuti, 2007. Il Maestro Nado Canuti con i ragazzi to costa” o ancora “non è bello non vorrei averlo a casa mia…” Queste osservazioni sono frutto di una serie di stereotipi recepiti dall’esterno. Chi si chiederebbe di fronte ad un opera d’arte antica, se è “fatto bene”, e chi si chiede veramente davanti ad un’opera antica “cosa significa”. Questi preconcetti negativi secondo me si possono smontare immediatamente nel momento in cui ci rendiamo conto che l’arte, come la cultura in generale, è legata, non tanto alla piacevolezza di una forma, né ad un aspetto decorativo, ma soprattutto ad una interrogazione su cosa sia la nostra realtà. Ed ecco allora che per i giovani diventa facile avvicinarvisi. Basta non mettere filtri tra i ragazzi e il fare artistico, perché l’arte contemporanea è il nostro presente ed è un linguaggio comprensibile; e se i ragazzi si avvicinano all’arte in modo diretto, spontaneo, non influenzato da luoghi comuni, come è successo in questi laboratori, l’approccio sarà senza dubbio positivo. L’arte contemporanea infine, offre un ambiente ideale per imparare. Pone l’insegnante e lo studente sullo stesso piano perché entrambi sentono la necessità di imparare insieme, dato che nell’arte non ci sono risposte definiti- ve e ognuno è in cammino. A scuola, invece, si seguono percorsi stabiliti, e codificati in programmi condivisi con i colleghi della materia o del consiglio di classe. Questa meticolosità dei programmi spesso si “scontra” con la casualità quotidiana degli eventi che la città offre: un articolo di giornale, uno spettacolo teatrale, un film, una mostra, possono spostare imprevedibilmente l’attenzione, rendendo la didattica e le lezioni talvolta molto più stimolanti e vivaci. E sta a noi docenti saper cogliere queste intuizioni lasciandoci anche trasportare dalla curiosità e dalle reazioni degli studenti. Per queste ragioni ho ritenuto e ritengo fondamentale favorire un accesso più diretto e concreto possibile all’arte contemporanea; l’incontro diretto con l’artista, l’esperienza dell’opera, la visita alla mostra, possono essere strumenti didattici efficacissimi. Queste esperienze nelle scuole superiori, con gli adolescenti, sono state veramente degli strumenti didattici efficaci che hanno combattuto la dispersione scolastica offrendo stimoli culturali di qualità. Iniziate nel 2005 con“ Forse Immagini L’Oggetto” laboratorio progettato insieme all’artista Lorenzo Pezzatini che ha coin- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Officina Canuti, 2007 42 43 volto una classe dell’ultimo anno del liceo scientifico di Pontedera; con “Presi per mano”, laboratorio realizzato insieme a Stefano Tonelli, artista che non ha portato un progetto, ma stimoli dettati dalla passione per l’arte, per il lavoro, e per le nuove generazioni. Insieme a quaranta ragazzi del liceo e dell’istituto professionale di Pontedera, due situazioni completamente diverse, abbiamo trovato una occasione culturale per incontrarsi e dialogare. L’esperienza del 2007 ci ha visto coinvolti nel grande progetto “Officina Canuti” con l’artista Nado Canuti. Questo evento non poteva passare inosservato! L’artista Nado Canuti stava “contaminando” con le sue opere i luoghi di Pontedera, Ponsacco, Palaia, e Lajatico, dando nuova luce alle piazze, agli edifici, e a buona parte del tessuto urbano del territorio. Questo evento non poteva rimanere fuori dalla Scuola ma essere utilizzato nella pratica didattica in modo costruttivo. Così è nata la proposta di coinvolgere l’artista Canuti in un percorso che prevedesse - come era stato già fatto nelle due esperienze precedenti - la realizzazione di un laboratorio dove l’artista agisse, nel processo creativo di un’opera, insieme ai ragazzi. Una volta individuato il luogo - l’ex acciaieria in via Turati - subito è stato trasformato in una suggestiva officina dove quaranta studenti del Liceo Scientifico, tutti i lunedì pomeriggio, coordinati dalla sottoscritta, si sono “animati” insieme all’artista Canuti e a Stefano Stacchini, dando il via a qualcosa di veramente unico e sorprendente! Mentre la mattina circa 200 studenti delle scuole medie frequentavano il laboratorio. Il progetto del 2008 “Racconti d’argilla,…segni…orme…impronte…di percorsi di pace”, ha visto impegnati quaranta studenti del liceo e dell’istituto commerciale di Pontedera. Progetto proposto dalla sottoscritta, sviluppato in sinergia con la prof.ssa Roberta Giglioli, diretto dall’artista Paolo Grigò, si è sviluppato partendo dai segni comunicativi dei ragazzi, giungendo alla realizzazione di opere in argilla suggerite dall’analisi di questi segni che sono il loro linguaggio, il loro modo di comunicare, le loro emozioni, il loro “diario”, attraversati dal tema della Pace. Per questo anno scolastico abbiamo in progetto una nuova esperienza diretta dall’artista Ugo Nespolo che si chiamerà “Laboratorio senza segreti” Il mio sogno-bisogno è quello di im- mettere nella scuola tutto questo, con pari considerazione rispetto agli altri insegnamenti del curricolo scolastico. La scuola, un’officina dei saperi e laboratorio del futuro per eccellenza, grazie anche a docenti “sognatori”, nella città di Pontedera e nei Comuni della Valdera, ha finalmente dato via ad un grande progetto innovativo che non considera l’arte di un tempo e quella di oggi solamente un esercizio formale, ma piuttosto una viva e mobile espressione del contesto, capace di modificarsi in ragione dei cambiamenti del mondo, accogliendo e ascoltando le nuove generazioni che proprio con il loro continuo divenire ci insegnano crescendo, quanto nella vita tutto scorre e si rinnova, modificando il senso delle idee e la forma delle cose. Ora mi rivolgo soprattutto ai genitori di questi ragazzi, ai cittadini della Valdera e ai loro figli che frequentano queste scuole e voglio sottolineare il valore di questa grande opportunità, perché in modo intelligente, divertente ha dato il via ad una scuola d’utopia. Anche io mi sono ricordata che ancora credo nell’utopia e non per nostalgie romantiche, ma perché l’utopia è un bisogno fisiologico dell’uomo, una necessità corporea e tangibile in ognuno di noi. E mi chie- do: ma davvero vogliamo consegnare a questi ragazzi un mondo fatto di bar, aperitivi alcol, droga, violenza, isolamento, televisione spazzatura? Qui a Pontedera, grazie alla sensibilità dell’Assessore alla Cultura, abbiamo fatto una scommessa : una scuola di utopia, che non significa nessun luogo, ma - e sopratutto -, un luogo altro, un luogo che insegna a nutrire un sogno di un futuro nuovo, praticabile percorribile e realizzabile, un luogo in cui il cambiamento sia possibile, dove ognuno, praticamente concretamente, a partire dai bambini, possa credere che è possibile cambiare, che è possibile inseguire la speranza, realizzare se stessi, crescere,vivere nel pieno senso della parola. Insieme a loro, alla tribù degli annoiati, come io li chiamo,degli inquieti, degli smaniosi, dei “mutanti”. E direi che ci siamo riusciti vedendo tutto questo. Questi ragazzi che sono venuti e che sono ritornati, hanno saputo raccontarci che non tutto è perduto che si può ancora sognare, e ce lo hanno detto creando questa occasione di scambio dove si sono veramente rivelati, creando vicinanze inaspettate. Insieme abbiamo riconosciuto utile la cosa più inutile del mondo: l’ARTE. Laboratorio di ceramica con Paolo Grigò, 2008 Centro di Documentazione Fotografica IL BATTELLO FLUVIALE ANDREA DA PONTEDERA di Mario Mannucci / Foto M. L. MARIO MANNUCCI Mario Mannucci si è laureato in lettere e dopo brevi esperienze da insegnante decise di tentare la grande avventura nel giornalismo locale diventando alla fine degli anni ‘70 il primo giornalista professionista in attività a Pontedera. Al lavoro quotidiano nel campo della cronaca politica, sportiva, sociale e purtroppo “nera”, Mario Mannucci ha sempre unito un interesse per la storia, sia quella “classica” sia quella locale. E poiché i fiumi sono per Pontedera l’elemento essenziale di una storia millenaria, ecco recentemente l’idea che riportare la gente sull’Arno sarebbe stato un grosso contributo alla riscoperta della vera prima identità cittadina. Da qui nasce l’esperienza del battello subito sposata dal sindaco Paolo Marconcini e corredata da un successo popolare in proporzioni superiori alle aspettative. 44 45 C hi sa quante volte il nostro Andrea si sarà specchiato e bagnato in Arno, che sicuramente avrà solcato su barche e navicelli... La storia non ce ne tramanda notizie, ma vederlo imbarcare o sbarcare al porto fluviale di Pontedera è quantomeno immaginabile. Dunque verosimile. Ebbene, Andrea da Pontedera, il grande nostro artista che ci guarda dal centro della piazza a lui Centro di Documentazione Fotografica dedicata (che però conserva anche un secondo nome) solcherà l’Arno col suo battello a motore. Sarà infatti intitolato ad Andrea il natante a vocazione turistica che dopo il grande successo nella settimana sperimentale del settembre scorso tornerà la primavera prossima a Pontedera, per restarci assai più a lungo rispetto alla prima esperienza, e forse per prendervi la residenza definitiva. L’intitolazione ad Andrea è un’idea del sindaco Paolo Marconcini, che insieme ad altri (fra cui l’autore dei queste note, poi guida turistica a bordo) ebbe la prima idea di riportare la na- vigazione fluviale nel più grande, ma dimenticato, fiume di Pontedera. Provocando una reazione così positiva da parte della popolazione che furono necessari i vigili urbani e i biglietti a numeri progressivi, come alla Usl o al supermercato, per regolare in qualche modo le file ai due attracchi. Realizzati in fretta e furia al porto fluviale di Pontedera e al neonato parco fluviale della Rotta. 85 le escusioni nell’arco di una settimana, per un totale di 5000 escursionisti saliti a bordo, ma con altre migliaia di perso- Centro di Documentazione Fotografica ne rimaste escluse perchè non se la sentivano di far file lunghe due ore. Un successo per cui la parola travolgente non è esagerata, mentre i suoi motivi sono al tempo stesso semplici e complessi. Il perchè di un interesse così massiccio per una escursione da cui, per fare un esempio, si scorgeva soltanto una villa di campagna (sulla bella collina del Bufalo, verso ponte alla Navetta) mentre i palazzi pontederesi in vista alla partenza o all’arrivo non sono certo da classificare 46 47 Centro di Documentazione Fotografica come attrazioni artistiche o di storia altolocata, è da ricercare prima di tutto nella riscoperta di un fiume, che fu padre e che poi era diventato patrigno. Di un luogo, che da una trentina d’anni era stato cancellato dalla memoria dei pontederesi perchè l’inquinamento che lo aveva ucciso ne veva ucciso anche la memoria. Ma è bastato mostrare ai primi escursionisti un Arno tornato bello, maestoso e ricco di vita, per innescare il classico passaparola — per fortuna, resiste anche in tempi di internet — da cui è derivato l’assalto quotidiano al battello. Si cominciò con un’escursione riservata alle autorità, ma centinaia di persone erano già ad attendere il battello alla Rotta per applaudirlo e per «pretendere» l’aumento delle corse e dei giorni in modo da soddisfare tutti. In questo meccanismo hanno giocato anche i tempi della storia. I famosi corsi e ricorsi, arrivati al momento in cui tutti si sono ricordati dei racconti di nonni, babbi e mamme. sui bagni d’Arno che hanno resistito fino agli anni Sessanta. Sentendosi travolgere dalla nostalgia di un tempo per qualcuno perduto e per altri mai vissuto ma acquisito nell’anima attraverso la voce di persone care. Un mix di successo che viene da lontano e dall’anima. L’anno prossimo sarà il momento della verifica. Ma ci sono già idee per arricchire, migliorare e allargare le escursioni. E l’idea di dedicare al battello d’Arno ad Andrea da Pontedera è già un ottimo inizio. Centro di Documentazione Fotografica SALVINI FOTOGRAFO IN VALDERA di Alessandro Salvini Alessandro Salvini 48 49 S ono nato nel 1961 a Santo Pietro Belvedere un paese della Vald’Era in provincia di Pisa dove tutt’ora risiedo. Ho iniziato a fotografare nel 1986, acquistando una Yashica manuale e dedicandmi a tutto quello che poteva essere la fotografia. Sono sempre stato affascinato dalla natura, e così dal 90 mi dedico esclusivamente a questo tipo di foto. Sempre nel 90 con alcuni amici e l’appoggio dell’asociazione AVIS di S. Pietro abbiamo dato vita a un concorso fotografico esclusivamente di natura. Il concorso “FOTONATURA”è durato 5 anni, risquotendo un grande successo a livello nazionale. Finita l’esperianza del concorso sono diventato socio del 3C Silvio Barsotti di Cascina e mi sono iscritto alla FIAF. Intanto dopo i primi ritratti agli animali, mi sono sempre più dedicato per cercare di conoscerne anche il comportamento, e quindi cercare di fermarne con un clik le gesta e i rituali tipiche di quella specie. Le mie foto sono il frutto di molta osservazione e di lunghe attese, e tutto questo sempre in luoghi vicino a dove abito. Oggi scatto esclusivamente in digitale. Per i numerosi successi in campo internazionale sono stato insignito dell’onoreficenza AFIAP. Ho fatto parte della selezione nazionale che ha partecipato alla coppa del mondo natura fiap del 2006 dove ci siamo laureati campioni del mondo e, quest’anno abbiamo replicato il successo. Quest’anno mi sono laureato anche Campione Italiano di fotografia naturalistica. Dicono di me... Grande amante della natura e vero Fotonaturalista ci ha abituato ad immagini perfette e scatti irripetibili, mai scontati o banali, i suoi soggetti non sono gli animali della savana Africana o delle montagne Americane, ma molto più semplicemente quelli delle “sua “ Toscana, che riesce sempre a ritrarre, esaltandone ogni pur piccolo particolare. Centro di Documentazione Fotografica 50 51 Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica I PRIMI 40 ANNI DEL “TRUCIOLO D’ORO” di Enzo Gaiotto (BFI-AFI) Q Il “Logo” del 40° Truciolo Sotto da sinistra: 1° Truciolo 1969: Luciano Monticelli “L’Uomo dei dolori” 9° Truciolo 1977: Bruno Dalle Carbonare “La casa” 52 53 uaranta anni pensandoci bene sono parecchi, specialmente se vissuti da una manifestazione nata in sordina per il volenteroso impegno di alcune persone residenti a Cascina affette dal “mal di fotografia”. Il lavoro di quei caparbi appassionati è passato nel futuro come il testimone di una staffetta che ha inanellato, senza mai fermarsi, ben quaranta giri nella pista accidentata del tempo. Ciò che sorprende, a proposito di un concorso come il “Truciolo d’Oro”, è la sua vitalità continuamente rafforzata, malgrado abbia ormai raggiunto la mezz’età con gli inevitabili acciacchi fisiologici dovuti al passare delle stagioni. Alla sua nascita il Concorso venne battezzato “Truciolo d’Oro” in omaggio allo scarto del legno piallato, essendo Cascina la patria del mobile di qualità. Di sicuro non poteva chiamarsi diversamente, questo trofeo fatto dalle mani di un orafo arricciolando una duttile lamina di oro zecchino. Centro di Documentazione Fotografica La storia del “Truciolo” ebbe inizio nel ’69, due anni dopo la fondazione del “3C”, avvenuta nel ’67. L’interesse delle prime due edizioni del Concorso venne focalizzato sulle stampe in bianco e nero dedicate a raccontare il legno e i suoi artigiani. Nell’occasione fu istituito anche il tema libero per stampe monocromatiche al fine di permettere la partecipazione dei fotografi che non frequentavano temi obbligati. Il primo “Truciolo” se lo portò a casa il cascinese Luciano Monticelli, che fotografò il viso di Gesù scolpito in un blocco di legno abbandonato in un buio scantinato. L’anno successivo il trofeo fu appannaggio di Enzo Conti, altro autore di casa, che presentò una sequenza di quattro stampe che sorprendevano un artigiano impegnato a modellare un angelo da un cilindro di legno. Proprio alla fine di quelli anni ’60 un nuovo fermento animava la società: in giro si respirava desiderio di cultura, voglia di fare, di creare. Le comunicazioni raggiungevano ogni angolo di mondo e le notizie appartenevano subito a tutti. Anche la fotografia amatoriale italiana avvertiva l’onda lunga del cambiamen- to: le fiamme di Jan Palach, le esplosioni e le stragi italiane, i concerti di Woodstock e dei Rolling Stones, le guerre, gli eccidi, il terrorismo. Avvenimenti di natura diversa che segnavano mutamenti radicali che avrebbero impresso un corso diverso alla storia dell’umanità. In questo clima di mutamenti il “Truciolo d’Oro” spiccava il volo. Nel ’70 il Concorso si apriva anche alle stampe a colori e nel ’74 alle diapositive, spalancando le porte ai fotografi che si esprimevano usando materiali sensibili diversi. Nel ’74 il “Truciolo” dette l’addio al tema del legno e dell’artigianato. Parecchi anni dopo, nel ’96, si aggiunse al “Truciolo” la sezione “Reportage, Racconto, Sequenza, Portfolio” per accogliere espressioni fotografiche di ampio respiro creativo. Il fotografo, in questo caso, si trasformava in sceneggiatore, operatore e regista del proprio progetto narrativo. Il merito di questi e altri cambiamenti fu in gran parte di Silvio Barsotti, eletto nel ’72 presidente del “3C”, una persona dalle grandi doti organizzative e artistiche. Parallelamente al crescere del loro Con- corso i soci del “3C” presero ad affermarsi sempre più nel vasto panorama della fotografia nazionale. Le loro immagini conquistavano apprezzamenti rivelando sorprendenti e innovative capacità realizzative. Il Circolo seppe autodotarsi di una scuola severa e coerente, ma anche appagante, alla luce dei successi raggiunti. Il “Truciolo d’Oro” intanto proseguiva il proprio cammino calamitando i fotoamatori italiani, rassicurati dalla serietà e l’efficienza del “3C”. Tutti i nomi più referenziati hanno detto la loro al Concorso cascinese, insieme ai tanti debuttanti nella fotografia che si sono affidati con fiducia alle giurie del Concorso. Il “Truciolo” ha contribuito a scoprire e valorizzare talenti sconosciuti che proprio da Cascina hanno preso il via verso traguardi ritenuti impensabili. In così tanti anni hanno vinto il “Truciolo d’Oro” Giorgio Tani, Nando Casellati, Franco Salgarelli, Italo Di Fabio, Bruno Dalle Carbonare, Umberto Nave, il Gruppo Quattro di Torino, Mario Marsilia, Giancarlo Baldi, Paolo Fontani, Sergio Pampana, Giulio Veggi, Mario Stellatelli, Giorgio Rigon, Angelo Pal- In basso: 15° Truciolo 1983: Paolo Fontani “Pensieri Lontani” Il Truciolo d’oro Centro di Documentazione Fotografica La premiazione, dal parte del Sindaco di Cascina Moreno Franceschini, di Andrea Onofri, 38° Truciolo d’Oro 25° Truciolo 1993: Paolo Mancinelli “ La sorpresa” Sotto da sinistra: 39° Truciolo 2007: Mario Spalla “Still Life in Light Painting” 23° Truciolo 1991: Claudio Calvani “Il salto” mesi, Andrea Grande, Enrico Patacca, Claudio Calvani, Giovanni Brighente, Ivo Demi, Roberto Rossi, Giorgio Bertoncello, Gianni Mantovani, Fabio Gherarducci, Roberto Alderighi, Fabrizio Tempesti, Diego Speri, Andrea Onofri, Spalla Mario e Valerio Perini. Autori di ogni parte d’Italia, appartenenti a circoli dalle diverse culture e formazioni. Aprendosi alle positive tendenze innovative, il Concorso cascinese è anche rimasto fedele alle regole formali di cui la fotografia ha bisogno per esprimersi al meglio, riuscendo, in certi casi, ad annullare la separazione che contraddistingue il documentarismo dalla composizione artistica delle immagini. Il cambiamento epocale del “Truciolo” avvenne nel ’99, quando Silvio Barsotti Centro di Documentazione Fotografica e alcuni soci di ampie vedute proposero di far nascere, da una costola del Concorso tradizionale, il “Pixel d’Oro”, manifestazione riservata ad immagini digitali. In Italia un paio di associazioni del nord Italia, affiliate alla FIAF, emettevano i primi vagiti in questo senso, visto il dilagare dei sistemi informatici applicati alla fotografia. Le immagini non si imprigionavano più sullo strato sensibile della pellicola, ma nella memoria di un sensore digitale. La tecnologia permetteva di poter trattare e conservare con una certa facilità le foto scattate. È singolare constatare che il 40° anniversario del “Truciolo” si sovrappone con il 10° anno di vita del “Pixel”, Concorso frequentato da fotografi che possono partecipare inviando a Cascina le proprie immagini tramite Internet, oppure su CD-Rom. Per il “Truciolo d’Oro” il passare degli anni si è dimostrato una buona medicina: nel succedersi delle edizioni qualcosa si è sempre modificato in meglio. Le prime mostre furono allestite nel salone della “Mostra Permanente del Mobilio”, successivamente nel foyer del “Teatro Nuovo” per poi usufruire delle sale multimediali del “Teatro Politeama”. Ogni esposizione è sempre stata supportata da adeguato allestimento per presentare nel migliore dei modi le immagini ammesse e premiate dalle giurie. Le proiezioni su grande schermo, prima delle diapositive e poi dei files digitali, sono state corredate da originali colonne sonore stereofoniche. Ogni “Truciolo” ha riscosso successo e il Concorso di Cascina è divenuto sinonimo di incontro e partecipazione a cui non mancare. Questo grazie anche all’interesse mostrato dall’Amministrazione Comunale che sin dalla prima edizione contribuisce a finanziare l’iniziativa, seguendo con interesse costante il lavoro del “3C”. Nel 2004 il Presidente Silvio Barsotti fu costretto dal destino ad abbandonare il cammino del “Trucio- lo d’Oro” non senza aver prima dettato ai suoi “ragazzi” le coordinate per proseguire il viaggio intrapreso tanto tempo prima. Nell’edizione di quell’anno, la 36ª, Barsotti, degente in clinica, parlò in collegamento telefonico con la sala gremita in occasione della premiazione. La sua voce, sempre sicura e profonda, quel pomeriggio tradì commozione e rammarico per non essere presente. Per i molti fotografi, le personalità e gli appassionati quello fu il suo ultimo saluto. L’allestimento, al Teatro Politeama, di una sala del “Truciolo” Sotto: 40° Truciolo 2008: Valerio Perini “Anta” Centro di Documentazione Fotografica SIMONE STEFANELLI FUNERALE A GAZA di Simone Stefanelli L SIMONE STEFANELLI Simone Stefanelli è nato a Lucca, classe 1973, Vive da sempre a Ponsacco. Fotografo professionista dal 2004 collabora con l’agenzia Emblema di Milano.. Ho realizzato servizi in Darfur (Sudan), Haiti, Nicaragua, Senegal, Mali, Estonia, Lettonnia e Lituania, Bielorussia, Burkina Faso, Kenia, Israele, Palestina e Striscia di Gaza oltre a coprire eventi a livello Nazionale. Le mie foto sono state stampate su numerosi settimanali quali Panorama, Oggi, Gente, Specchio, Diario, Nigrizia, Carta, Vita, 30Giorni Popoli e quotidiani a livello Nazionale come La Stampa, Quotidiano Nazionale, Il Giornale etc.. Nel 2005 alla Sorbona di Parigi sono stati esposti alcuni scatti tratti dal reportage realizzato in Darfur, in una collettiva, insieme a quelli di grandi fotoreporter di guerra. Le immagini realizzate nella Striscia di Gaza e in Israele, per conto della cattedra Unesco per la Pace dell’Università di Firenze saranno utilizzate per illustrare una serie di volumi sulla cultura della Pace. www.simonestefanelli.com 56 57 Un ringraziamento speciale a Massimo Adduci che ha curato la stampa delle fotografie e la realizzazione del video. Post produzione di Claudio Carbonetta Nella pagina seguente: Invocando Halla, Il valore di un simbolo Contro tutti e immagini, sono una breve selezione di un ampio lavoro realizzato tra Marzo e Aprile di questo anno per la Cattedra UNESCO in Sviluppo Umano e Cultura di Pace dell’Università di Firenze diretta dal Prof. Paolo Orefice che mi ha incaricato di svolgere una ricerca dei saperi locali, tangibili e intangibili, delle differenti culture Isareliana e Palestinese coinvolte nel decennale conflitto. Ho passato quasi due mesi in giro tra i due “ Paesi “, cercando di cogliere nascoste somiglianze e evidenti differenze. Quando sono riuscito ad entrare nella Striscia di Gaza ho avuto la sensazione di trovarmi in un’irrealtà dei nostri giorni e non ho potuto che concentrarmi su quel che succedeva. Un quotidiano fatto di manifestazioni più o meno spontanee, violenze, rassegnazione e speranza il tutto ripetuto giorno dopo giorno dove l’unica strada che si crede percorribile sia quella armata. A circa un anno e mezzo dall’ascesa al potere di Hamas e all’avvicinarsi dello scadere dei sei mesi di tregua firmata tra il partito islamico e il Centro di Documentazione Fotografica governo israeliano, un viaggio tra i detenuti della più grande prigione a cielo aperto del mondo. Quotodianamente Gaza La striscia di Gaza è poco più di un fazzoletto di terra, quarantacinque chilometri per nove. Un milione e quattrocentomila persone stipate all’inverosimile. Gli Israeliani non possono entrare. I palestinesi non possono uscire, fatte rarissime eccezioni. Entrano solo stranieri con un permesso speciale del governo di Tel Aviv, rilasciato con non poche difficoltà a giornalisti e operatori delle agenzie umanitarie. Si accede alla striscia solo dal valico di Erez, un tunnel blindato lungo un paio di chilometri dove le voci degli altoparlanti ti guidano svogliate verso quello che loro chiamano inferno. Una striscia di terra circondata su tutti i lati, da una parte il mare, dall’altra muri e filo spinato segnano il confine. Uno dei luoghi più densamente popolato del mondo. Un’enorme prigione a cielo aperto. Le strade sono piene di bambini che con la loro innocente immaginazione scambiano le azioni di guerriglia in un gioco collettivo, una sorta di guardie e ladri dove non si vince niente, Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica il premio più ambito è tornare a casa. Una vita rinchiusi in un grande parco dove non ci sono giardini per giocare ma strade tappezzate di cartelloni, murales e fotografie dove gli AK 47 e RPG fanno da scettro per i martiri in posa. Va da se che durante gli scontri, i più grandi se ne stiano in prima fila a guardarsi lo spettacolo dei carri armati Israeliani che si avvicinano mentre i più piccoli stanno dietro, defilati a far finta di essere parte della guerra stessa. Simulano azioni, strisciano per terra facendo il passo del giaguaro, si alzano, si voltano sospettosi come se il nemico arrivasse da tutte le parti, impugnano armi giocatolo, sparano e iniziano a ridere. Scenette simpatiche e divertenti solo in altri contesti, qui sono difficili da accettare. Domani sicuramente non sarà più un gioco e le armi che impugneranno saranno vere. La generazione dei ventenni di oggi, nati tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta è cresciuta con la guerra negli occhi, in pochi hanno avuto la possibilità di uscire anche solo per una volta. Allo scoppio della seconda In- tifada non erano ancora adolescenti. Molti di loro hanno perso qualcuno di caro per colpa di questo eterno conflitto: familiari, amici o semplici conoscenti. Si impara prima a riconoscere le armi che a leggere. Se i bambini prendono gli scontri come un diversivo alla monotonia, i ragazzi più grandi sentono il dovere di fare qualcosa, non ci stanno. Si sentono oppressi e non hanno intenzione di stare a guardare. Nel pieno delle loro forze e con l’incoscienza che caratterizza quell’età, non si tirano indietro alle richieste dei gruppi armati, pronti a far valere le proprie motivazioni. Tutti questi fattori, conditi con un po’ di integralismo religioso, ne fanno lo scenario ideale dove convertire la propria vita alla lotta armata e di liberazione. Secondo le statistiche, l’età media dei miliziani morti non supera i 25 anni, molti di loro muoiono alla prima vera missione. Le celebrazioni fatte in onore di chi ha omaggiato la Jihad con la propria vita, diventano solo un mezzo per riaffermare gli ideali per cui si muore e si continuerà a morire. Il pianto della madre Nella pagina precedente: In Moschea, Verso il cimitero Centro di Documentazione Fotografica L’ultima visita a casa 60 61 Nella pagina seguente: L’ultimo saluto, Quello che resta Nella striscia di Gaza è più facile assistere ad un funerale che a qualsiasi altro evento. Si parte dall’ospedale dove affannate ambulanze portano i cadaveri. Amici e parenti vengono a onorare il defunto che viene tenuto nell’obitorio fino a che non scocca l’ora di partire. Il corpo avvolto nella bandiera del gruppo miliziano di appartenenza, viene caricato su di una barella e portato in spalla. Fuori dall’ospedale centinaia di persone attendono di partire per la processione. In testa al corteo c’è sempre un furgone, dove alte bandiere sventolano. Un grosso altoparlante al centro del cassone fa da eco alla voce di uno speaker che inneggia contro Israele, contro il sionismo, contro tutti quelli che odiano e promette vendetta in nome del morto ma sopratutto in nome della Jihad e della gente di Gaza. La prima sosta è nella casa natale, dove la madre sostenuta moralmente e fisicamente dalle donne della famiglia aspetta di vedere per l’ultima volta il figlio. Le scene strazianti e di dolore si susseguono, resteranno indelebili per chi sa quanto tempo. Pochi minuti e si Centro di Documentazione Fotografica riparte per la moschea, il corpo viene portato dentro e l’Himam si prepara a recitare la preghiera in onore del nuovo martire. Finito il momento di raccoglimento religioso, si segue il corpo fino al cimitero dove è già stato preparato il posto per la sepoltura. Più che a un vero e proprio funerale, sembra di assistere ad una marcia funebre al suono di Kalashnikov. Miliziani armati incappucciati e no, si muovono dentro al corteo, dall’inizio alla fine sparano a turno raffiche di mitra in aria per onorare il compagno caduto. I bambini si affannano a raccogliere i bossoli esplosi. Il dito indice è sempre alzato a indicare il cielo e Dio ad ogni grido di incitamento dello speaker. Si arriva al cimitero dove il corpo viene deposto nella nuda terra e coperto con alcuni blocchi di cemento a loro volta ricoperti di sabbia. Una breve preghiera. Le urla disperate dei padri e dei fratelli fanno da finale. A loro non resterà che una foto incorniciata da appendere a qualche parete. Si torna tutti a casa. Domani ce ne sarà un altro. Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica MARCO BRUNI di M. L. L MARCO BRUNI Nato a Venezia nel 1943, vive a Pontedera dal 1948. Dopo aver conseguito il diploma di ragioniere presso l’istituto E.Fermi, nella sua città d’adozione, ha iniziato subito a lavorare presso la locale Biblioteca Comunale. Oltre che a occuparsi di biblioteconomia ha seguito e collaborato all’organizzazione di molte importanti manifestazioni culturali programmate dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Pontedera. Grazie all’esperienza acquisita documentando vari eventi (cataloghi per mostre, spettacoli teatrali, convegni, ecc.) ha acquisito notevole dimestichezza nell’uso della macchina fotografica riuscendo così a perfezionare la costruzione dell’immagine, dando a queste un particolare senso estetico. Ha effettuato reportage per i Festival più importanti organizzati dal Comune di Pontedera: Sete Sois Sete Luas; Musicastrada Festival, Qui rido io, Utopia del Buongusto, Orme Gialle. a storia della fotografia non appartiene solo ai grandi artisti che hanno dato la dignità d’Arte alla fotografia. La cosiddetta “Quinta Arte” è nata e si è sviluppata attraverso una miriade di appassionati che l’hanno curata, vezzeggiata, circondandola di esperienze personali e collettive. Chi ha fatto l’esperienza della camera oscura non può dimenticare questo percorso, dalle prime evanescenti immagini raccolte con trepidazione alle belle stampe “Fine Art”di un risultato finale, gratificante, ma sofferto. Il passaggio attuale alla fotografia digitale ha portato tra i fotografi qualche perplessità e difficoltà sia per la tecnologia sia per il risultato iconografico perché ci ha costretto tutti a ripensare anche le forme espressive attraverso una tecnologia diversa dalla precedente. Marco Bruni, fotoamatore da sempre, ha attraversato tutte queste vicende fotografiche. Ricordo le prime immagini di Marco realizzate alle performances del Piccolo Teatro, poi le immagini delle squadre di basket per documentare l’attività sportiva dei figli, infine gli avvenimenti cittadini. Le immagini sono didascaliche, descrittive, con una attenzione alla luce nei ritratti cercando quelle atmosfere di intima partecipazione e di contenuto lirismo. “Tutto cominciò con una piccola macchina fotografica e da un mio regalo, un ingranditore. La “camera oscura” era in cantina, dove Marco sviluppò le prime foto e soprattutto le prime nostre foto e i tanti miei ritratti. Foto private e foto pubbliche perché ogni avvenimento della città, ogni spettacolo lo vedevano presente per documentare. E così nel nostro archivio ritroviamo foto di Giorgio Gaber, di Maria Carta, di spettacoli, di dibattiti, rassegne cinematografiche, avvenimenti della città, come la costruzione del nuovo palazzetto dello sport o una piena dell’Arno, ed è come rivivere 40 anni della nostra storia. E Marco sensibile, curioso e soprattutto attento a quanto gli avveniva intorno riprendeva con taglio originale e con l’attenzione per il momento, per i particolari e con le angolazioni che rendevano uniche le immagini, che lasciavano trasparire una dimensione culturale e personale che non banalizzava neanche la ripresa più scontata. Gli stessi risultati oggi li cerca con il digitale, ma con un pizzico di nostalgia per quel bianco e nero che emergeva piano piano dalle vasche dello sviluppo. Queste immagini ci raccontano la nostra vita: il nostro stare sempre insieme, le nidiate dei bambini, le feste di compleanno, i viaggi, le partite di basket, gli amici, gli avvenimenti pubblici e la nostra città sempre presente, e per questo siamo davvero grati con grande amore a Marco.” Daniela Centro di Documentazione Fotografica A destra: Giovanni Pascoli fotografato da Michele Bertagna, inventore del sistema di riprese a colori utilizzato anche in questa occasione (Foto M. Bertagna) La Eastman Kodak, la pellicola mai impressionata e il libretto di istruzioni (Foto E. Gaiotto) 64 65 Centro di Documentazione Fotografica GIOVANNI PASCOLI IL POETA - FOTOGRAFO di Enzo Gaiotto (BFI-AFI) L a passione per la fotografia assalì Giovanni Pascoli nel 1899, quando Angelo Orvieto, fondatore e direttore della rivista letteraria Il Marzocco, per sdebitarsi di una collaborazione, gli regalò la prima macchina a soffietto di piccolo formato prodotta dalla Eastman Kodak e acquistata a Parigi. La febbre per l’istantanea fu talmente alta che il Pascoli decise di trattare personalmente i negativi impressionati nel suo rudimentale ma funzionale, laboratorio. La fotocamera è oggi conservata in un cassetto del canterale nella camera da letto del poeta a Caprona, in Garfagnana. Intatta c’è anche una confezione di pellicola Eastman da sei pose formato 6X9 con l’indicazione: “Develop before April 1919” e un minuscolo “Manuel du pocket Kodak pliant - Appareil de luxe”, edito da Eastman Kodak, Place Vendòme 4, Paris. In alto a destra del libretto c’è scritto “Pascoli”, a matita per evidenziarne la proprietà. La casa di Caprona, a Castelvecchio, dove il poeta abitava con la sorella Mariù, era sprovvista di energia elettrica e acqua corrente, per cui il trattamento delle pellicole e delle carte fotografiche avveniva in maniera assai artigianale. Una volta sviluppata nel buio la pellicola impressionata, immergendola e facendola scorrere in un catino di coccio contenente un bagno rivelatore a base di fenolo bivalente, Pascoli si dedicava alla successiva fase di camera oscura. Le stampine che realizzava erano ottenute per contatto usando un telaietto con una doppia cornice di legno combaciante e cernierata, che racchiudeva un vetro sul lato anteriore. Al contrario, l’altro lato era sigillato come il retro di un quadro. Sopra il vetro scorreva, per mezzo di una scanalatura, una sottile anta di legno a prova di luce. Lavorando in completa oscurità Pascoli metteva nel telaietto la carta fotografica da impressionare con l’emulsione verso l’alto; dalla parte del vetro posizionava sulla carta i negativi 6X9. Sigillato il telaietto con il fermaglio di sicurezza, proteggeva la carta fotosensibile tenendo l’anta chiusa, quindi usciva alla luce. In giardino cercava un punto ben illuminato, che conosceva alla perfezione, quindi esponeva alla luce solare la carta fotografica per il tempo stabilito dalla pratica, sollevando l’anta di protezione. Al termine dell’esposizione richiudeva l’anta e poi, di nuovo al buio, sviluppava in un bagno rivelatore la carta impressionata. Le fotografie, fissate a lungo nell’aspro aceto di Zi’ Meo, una volta lavate e asciugate venivano incollate su dei cartoncini sui quali aveva fatto stampare il motto “Opus Aetherii solis et Iani Nemorini” (Opera dell’etereo sole e di Giovanni, amante della vita agreste). Giovanni Pascoli, abituato a raggiungere livelli altissimi in letteratura, non era del tutto soddisfatto delle proprie realizzazioni fotografiche e umilmente chiedeva consigli agli amici più esperti. Nella vicina Barga aveva conosciuto un professore di fisica, Michele Bertagna, che stava facendo interessanti ricerche in campo fotografico. Bertagna mise in contatto Pascoli con il francese Gabriel Lippman, premio Nobel per la fisica e inventore di un sistema per fotografare a colori. Lippman, che si trovava in vacanza estiva proprio a Barga, non fu certamente avaro di consigli al poeta: passeggiando insieme discutevano di composizione, inquadrature e luce, oltre che di chimica e tecnica. Anche Bertagna, qualche anno più tardi, seguendo i suggerimenti di Lippman, mise a punto un proprio metodo per realizzare fotografie a colori. Da Messina, dove insegnava all’Università, nel 1900, Giovanni Pascoli scriveva in continuazione a Bertagna chiedendo aiuto per migliorare le sue foto: “Prestissimo istruzioni semplici… per stampare così come stampa lei, che pajono vere e proprie incisioni...” Le numerose immagini che Pascoli ci ha lasciato nella sua casa di Castelvecchio raccontano gli anni di insegnamento a Messina, ma soprattutto i lunghi periodi trascorsi nel “nido” di Caprona. Nei piccoli rettangoli ingialliti si affacciano impacciati i personaggi dei Canti di Castelvecchio: la sorella Mariù, il fido cane Gulì, Valentino vestito di nuovo, Zi’ Meo il saggio contadino, Chiara la cantatrice e tanti altri. L’obiettivo della Kodak di Pascoli si apre anche sulla vita del borgo, propone i lavori agricoli, le cerimonie religiose, gli attimi di festa, il mutare del paesaggio nel corso delle stagioni e, sullo sfondo, spesso inquadra le Alpi Apuane che separano la Garfagnana dalla Versilia. Un mosaico di immagini sottratte all’usura del tempo, allo svanire della memoria, di grande valore documentario e storico, In alto a sinistra: Il Tiro della forma a Castelvecchio (Foto G. Pascoli) In alto a destra: La “cantatrice” di Caprona, Chiara Mazzari, con il figlio Valentino (Foto G. Pascoli) Sotto a sinistra: Mariù, Zi’ Meo e Gulì durante la fienagione (Foto G. Pascoli) Sotto a destra: Mariù e le sue caprette nel giardino della casa. L’immagine è incollata sul cartoncino con i fregi e il motto pascoliano (Foto G. Pascoli) Centro di Documentazione Fotografica In alto a sinistra: Tempo di trebbiatura a mano (Foto G. Pascoli) In alto a destra: Valentino Arrighi, “Valentino vestito di nuovo, come le brocche dei biancospini…” (Foto G. Pascoli) oltre che personale e sentimentale. Le foto sono state scattate da uno studioso e letterato incantato dalla possibilità della tecnica di catturare l’essenza dei momenti più belli e dilatarli oltre i limiti dell’attimo perduto. Nella cappellina di lato all’ingresso della casa a Caprona, Giovanni e Mariù Pascoli dormono il loro giusto sonno nel profumo intenso dell’erba cedrina, che ancora oggi cresce e fiorisce in folti ciuffi nel giardino del “nido”. Intorno tutto è pace; proprio come avrebbe voluto lui, il grande poeta-fotografo. Il “Nido” di Giovanni e Mariù Pascoli con gli anni è divenuto un delizioso museo che vale la pena di visitare. Chi proviene da Lucca deve risalire, per giungere a Caprona, la Statale 445 della Garfagnana e valicare il Serchio al Km 41, in località 66 67 L’ingresso di casa Pascoli a Caprona (Foto E. Gaiotto) Ponte di Campia, dirigendosi poi verso Castelvecchio Pascoli, la nostra meta. Chi invece si trova in Versilia deve attraversare le Alpi Apuane imboccando a Forte dei Marmi l’antica Via d’Arni, in direzione di Castelnuovo Garfagnana, per poi raggiungere il vicino Castelvecchio Pascoli. Quest’ultimo itinerario è di grande spettacolarità fotografica: transitando attraverso le imponenti cave di marmo pregiato, paradiso di Michelangelo, è impossibile non fermarsi nelle apposite piazzole per effettuare qualche scatto di particolare effetto paesaggistico. La casa dove i Pascoli vissero dal 1895 al 1912 mantiene la struttura, gli arredi, la disposizione degli spazi che aveva alla scomparsa del poeta e ne conserva i libri, i diplomi e i manoscritti. Nel vasto giardino crescono numerosi alberi messi a dimora dal Pascoli stesso. INTRODUZIONE ALLA MUSICA In questo numero, una buona parte dello spazio è dedicata alla musica nel territorio della Valdera e della nostra città. Una consistente tradizione è quella della musica lirica che ha avuto esecutori e stimatori tanto che il primo teatro a Pontedera, il teatro dei “Ravvivati”, operava già nel 1850. Nel 1885, dopo una ristrutturazione e restauro da parte dell’architetto Bellincioni, prese il nome di “Andrea da Pontedera”. Un teatro però esisteva anche nella frazione di La Rotta dove la Società Filarmonica nel 1872 aveva incaricato l’architetto Bellincioni della costruzione di un teatro. Questa tradizione musicale ha creato quel tessuto culturale che ha dato vita a numerosi artisti: come non ricordare Davide Calamai, violino di prima fila a La Scala di Milano, Brenno Ristori tenore di buona levatura, Maria Cioppi soprano di ottime capacità vocali. Per restare nel campo della musica classica si deve ricordare l’attività del CRAL-Piaggio con i concerti della Gioventù Musicale Italiana. Alcuni concerti sono stati fatti anche nelle nostre chiese cittadine. Anche la musica contemporanea ha avuto e ha una notevole parte nelle attività culturali giovanili nella nostra città e nella Valdera. Decine di gruppi musicali si esibiscono ancora nelle piazze e nei locali della città. Alcuni gruppi musicali hanno varcato anche l’ambito della provincia per esibirsi in tutta Italia e all’estero. Un’altra importante Istituzione è la Filarmonica “Volere è Potere” che vanta una tradizione importante di successi anche all’estero con la vittoria a Bruxelles del 1° premio dei complessi bandistici internazionali. Anche il nuovo teatro Era inaugurato recentemente, si innesta in questa tradizione culturale di cui la città si vanta. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera FARE MUSICA A SCUOLA: IL PIACERE DEL FARE di Mario Piatti (foto di Marco Bruni) N MARIO PIATTI Docente di Pedagogia musicale nel Conservatorio di musica della Spezia e presso la Scuola di animazione musicale a orientamento pedagogico e sociale del Centro Studi Musicali e Sociali “M. Di Benedetto” di Lecco, collabora con Enti pubblici e Associazioni, per l’aggiornamento e la formazione di insegnanti della scuola di base. Con le edizioni PCC di Assisi ha pubblicato, in collaborazione con altri musicisti, alcune raccolte di canzoni per uso didattico, su testi propri e di Gianni Rodari. Oltre a numerosi articoli su riviste del settore didatticomusicale, ha pubblicato: Filastroccantando, Nicola Milano, Bologna 1989; Musica e scuola dell’infanzia, Juvenilia, Bergamo 1992; Con la musica si può, Valore Scuola, Roma 1993; Progettare l’educazione musicale, Cappelli, Bologna 1993; Gianni Rodari e la 68 69 In queste pagine: interno del cortile della scuola Curtatone e Montanara on ho ancora trovato, nelle mie continue peregrinazioni nelle scuole, un bambino o una bambina, un ragazzo o una ragazza che alla domanda: “Ti piace la musica?” mi risponda di no. Segno evidente che la musica (cioè tutto quello che i bambini e i ragazzi mettono sotto questo termine ombrello) è qualcosa che viene piacevolmente accolto e ricordato nel vissuto dei ragazzi: è il piacere di ascoltare, di cantare, di suonare, di elaborare pensieri e parole sulla musica, o meglio, sulle nostre esperienze musicali, semplici o complesse che siano, brevi momenti quotidiani o immersione saltuaria, ma intensa, in eventi straordinari. Perché piace la musica? Perché fondamentalmente mette in gioco le emozioni, i sentimenti, le sensazioni che il suono, il ritmo, le parole dei canti, la melodia attivano in noi, sia a livello di sensazioni corporee, sia nella nostra mente. È quello che capita con tutti quesi ‘saperi’ che possiamo definire ‘artistici’, che hanno come caratteristica fondamentale quella di coniugare in modo strettissimo il fare con il pensare nel campo delle attività Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera espressive, e che quindi vanno considerati una componente fondamentale per una equilibrata e completa formazione di tutti, a dispetto di chi crede che sia fondamentale solo il leggere, scrivere e fare conti economici. Il fare, nei saperi artistici, mette in gioco la creatività. I problemi che si pongono quando a scuola si vuole sviluppare la creatività dei bambini e delle bambine anche con, attraverso, dentro le esperienze musicali sono, a mio avviso, attinenti a due aspetti: quello relativo al prodotto finale di una attività musicale e quello di metodo, cioè relativo al percorso operativo. Cantare una filastrocca o una canzone, di per sé, non è una attività creativa, ma tutt’al più ripetitiva (teniamo conto comunque che anche nella ripetizione ci può essere piacere); battere un ritmo su un tamburo può rivelarsi un semplice esercizio tecnico, che però soddisfa il piacere sensomotorio; ascoltare un brano musicale può essere funzionale a creare un ambiente rassicurante e piacevole, senza per questo dover attivare immaginazione e creatività. Il momento finale, il prodotto conclusivo dell’attività musicale può risultare, all’occhio e all’orecchio dell’adulto, poco significativo dal punto di vista della originalità e della novità: ma ciò che conta, in questo caso, è quanto è stato ricco di stimoli creativi il per- corso fatto, il lavoro di esplorazione e di invenzione a partire dal testo di una filastrocca o di una canzone, l’elaborazione e la ricerca delle molteplici potenzialità dei ritmi e dei timbri da ottenere sul tamburo prima di scegliere e di organizzare quelli adeguati ai propri scopi, il confronto e la comparazione tra brani musicali contrastanti prima di individuare quello più significativo e più funzionale ai nostri bisogni. Attività sensomotorie, elaborazione di regole, immaginazione simbolica: tre elementi che, come ben sappiamo, sono costantemente presenti nell’agire e nel pensare dei bambini e dei ragazzi, anche nell’agire e nel pensare musicale. Se a scuola la musica viene ridotta a una ‘materia’ da imparare, e quindi il ‘piacere’ viene ridotto a ‘dovere’, la creatività si spegne. La musica è un gioco da bambini François Delalande, studioso e ricercatore francese, ha usato questa frase come titolo di un suo libro in cui descrive le ricerche sulle condotte infantili relative sia alle pratiche d’uso degli oggetti e degli strumenti musicali, sia all’ascolto, sia alla capacità di invenzione e di composizione di eventi musicali, evidenziando come esistano profonde analogie tra le condotte musicali dei bambini e quelle dei musicisti e dei compositori. Le condotte musicali spontanee dei bambini hanno però bisogno di essere “educate”, debbono cioè trovare condizioni favorevoli per potersi sviluppare. Diventa allora fondamentale il ruolo dell’insegnante, ma anche del genitore, che predispone situazioni stimolanti, che aiuta i bambini a trovare i dispositivi giusti per progredire nelle conoscenze e nello sviluppo di abilità tecniche, che valorizza gli aspetti di originalità dei prodotti. Delalande usa anche per le attività musicali la tripartizione, elaborata da Jean Piaget, di gioco sensomotorio, di regole e simbolico, evidenziando come nelle condotte infantili siano comunemente presenti aspetti di creatività che si connotano come: curiosità esplorativa sul materiale sonoro, sia vocale che strumentale; gusto del mettersi alla prova nell’inventare dispositivi che permettono di ottenere risultati soddisfacenti sul piano della produzione musicale; gioia nel vedere valorizzato il proprio prodotto sonoro, che acquista sapore musicale nel momento in cui si dà valore estetico a tale produzione: e qui si aprirebbe un capitolo ampio e profondo sul rapporto tra creatività e dimensione estetica dell’esperienza. Personalmente ho trovato e trovo funzionali per lo sviluppo della creatività - anche nella didattica musicale - alcune musica. Appunti pedagogici e proposte didattiche, Edizioni del Cerro, Tirrenia (PI) 2001; con M. Disoteo, Specchi sonori. Identità e autobiografie musicali, Franco Angeli, Milano 2002, e con Enrico Strobino, Anghingò. Viaggi tra giochi di parole e musica, Edizioni ETS, Pisa 2003. Infine ha curato i volumi di AA.VV., Pedagogia della musica: un panorama, CLUEB, Bologna 1994; AA.VV, Un secchiello e il mare. Gianni Rodari, i saperi, la nuova scuola, Edizioni del Cerro, Tirrenia (PI) 2001; G. Rodari, Il mio teatro. Dal teatro del ‘Pioniere’ a ‘La storia di tutte le storie’, a cura di Andrea Mancini e mario Piatti, Titivillus, Corazzano (PI) 2006; AA.VV., Saperi artistici e mutamenti sociali: attualità di Gianni Rodari, Edizioni del Cerro, Tirrenia (PI) 2008. E’ direttore della collana Musica&Didattica delle edizioni ETS e della rivista on line www.musicheria.net del CSMDB di Lecco. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera 70 71 tecniche (o regole del gioco) che Rodari ha esemplificato nel suo libro Grammatica della fantasia : il binomio e l’ipotesi fantastica, il ricalco, l’inversione, l’errore creativo, ecc. ecc. Al di là (e forse prima) delle tecniche, ciò che conta, fondamentalmente, è avere una mente aperta, disponibile all’imprevisto, al diverso, ad accettare anche l’imperfezione, comunque a mettersi in gioco: “Ci sono persone – dice Rodari - a cui è permesso, socialmente, di continuare a giocare per tutta la vita. Sono poeti, artisti, scienziati, inventori. Persone che possono continuare a cercare più in là di quello che già si vede, ed analizzare e sperimentare nuove possibili combinazioni di parole, di idee, di concetti. (…) Queste persone per tutta la loro vita compiono un lavoro che per loro è un grande gioco. Che comporta la mobilitazione, dentro di loro, non solo della creatività scientifica, ma anche della creatività ludica. Ci sono oggi molti che studiano anche le omologie tra il processo di creatività scientifica e quello di creatività artistica”. Un elemento per le nostre regole è l’oggetto stimolo (il rodariano “sasso nello stagno”) per attivare curiosità e interesse, per motivare alla esplorazione di materiali, repertori, oggetti musicali, comportamenti motori funzionali alla produzione di suoni e ritmi, ecc. Quale miglior oggetto stimolo di uno strumento musicale, soprattutto se non ancora Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera conosciuto dai bambini e dalle bambine della nostra scuola? Strumenti dell’altro mondo, ma anche della nostra tradizione popolare, che ci permettono progetti interdisciplinari e interculturali dove fantasia e creatività trovano sicuramente terreno fertile, come sono tutti gli itinerari che possiamo percorrere con spirito nomade. Anche le filastrocche sono sicuramente un buon oggetto stimolo che permette di correlare alle attività musicali anche l’educazione linguistica, le attività motorie, le competenze grafiche . Infine, alcune storie possono senz’altro essere considerate sasso nello stagno che può favorire al massimo grado la creatività dei bambini, non solo sul piano linguistico, ma anche per quanto riguarda la competenza musicale (e Rodari ha alcuni testi particolarmente significativi a questo proposito, come Il concerto dei gatti, in: Fiabe lunghe un sorriso, Ed. Riuniti, o La canzone del cancello, in: Il gioco dei quattro cantoni, Einaudi . Perché la musica diventi culla di creatività, per aiutare gli altri a diventare sempre più creativi, dobbiamo innanzitutto imparare a creare contesti e situazioni educative dove si possa scegliere tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile, dove non ci si debba modellare unicamente su standard predefiniti da esperti poco inclini al sapere creativo, dove si abbia il coraggio di mettere in discussione antiche certezze e di andare alla ricerca di variazioni fantastiche. La musica, o meglio, le musiche dei vari popoli e delle diverse culture, nella loro molteplicità di funzioni, di stili, di generi, di usi, di pratiche sono già oggi segno e testimonianza di una creatività diffusa, che non si lascia imprigionare in tradizionali schemi disciplinaristici. Per favorire la creatività dei bambini occorre innanzitutto fare personalmente esercizi di creatività. Porre attenzione a tutti gli eventi musicali, ascoltare con curiosità tutto ciò che risuona nel mondo, provare a inventare qualcosa, con la voce e con gli strumenti musicali, valorizzando conoscenze e competenze anche minime che già possediamo, può essere un buon inizio per diventare più creativi: lasciamoci contaminare dalla curiosità e dalla passione di bambini e bambine. Il piacere della musica trasformerà il mondo. Un laboratorio musicale Le belle idee hanno però bisogno di gambe organizzative e finanziarie per essere realizzate. Un buon esempio ci sembra essere quello messo in atto dai tre Istituti Comprensivi di Pontedera che, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, hanno dato vita al progetto “Musicascuola – Laboratorio musicale di rete”. Il progetto è articolato in una serie di iniziative mirate da un lato a dare la possibilità a tutti i bambini delle scuole dell’infanzia e ai ragazzi della scuola dell’obbligo di poter fare esperienze musicali significative, dall’altro ad offrire alle insegnanti occasioni di formazione in servizio per migliorare la propria competenza nel settore della didattica della musica, sulla base anche delle nuove Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primno ciclo di istruzione (settembre 2007). Al progetto collaborano le Associazioni musicali che operano sul territorio, e in particolare l’Accademia della Chitarra – Musica & C., L’Accademia musicale Glenn Gould, l’Accademia Musicale Toscana, l’Associazione culturale Musicastrada, l’Associazione La Girandola, la Filarmonica Volere è Potere. Il Laboratorio ha preso avvio nell’a.s. 2007-2008, sviluppando e potenziando quanto già fatto anche in anni precedenti, con l’intervento di alcuni esperti in didattica musicale che hanno coadiuvato gli insegnanti delle otto scuole dell’infanzia e di una trentina di classi della scuola primaria. Inoltre si è dato vita all’esperienza del cantare in coro, con la costituzione di un coro in ogni scuola, ciascuno composto mediamente da una quindicina di ragazzi. I cori si sono esibiti in occasione del “Festival dei bambini” di Montecastello nel mese di maggio 2008. A integrazione degli interventi nelle scuole, il Laboratorio musicale di rete ha Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera organizzato, con la collaborazione delle associazioni musicali, ben 26 incontriconcerto rivolti alle scuole dell’infanzia, elementari e medie, con l’esecuzione di fiabe musicali, repertori di vari generi musicali, presentazione di strumenti, dialogo con i musicisti sulla professione musicale. Tra febbraio e maggio 2008 hanno partecipato agli incontri-concerto una ottantina di classi con, complessivamente, circa 400 bambini delle scuole dell’infanzia, circa 1000 ragazzi delle scuole elementari e circa 190 ragazzi delle scuole medie. Le iniziative dell’a. s. 2007-2008 si sono concluse con la manifestazione La città in musica che ha visto la realizzazione di performance e mini-concerti durante tutta la domenica 25 maggio, nel cortile della scuola ‘Curtatone e Montanara’. La gestione di “Musicascuola – Laboratorio musicale di rete” è affidata ad una Giunta esecutiva, composta dai Dirigenti Scolastici e dell’Assessore alla Pubblica Istruzione, e a un Gruppo di Progetto, composto da venti insegnanti, referenti per la musica nei vari plessi scolastici, coordinati da un esperto in pedagogia e didattica della musica. I finanziamenti sono costituiti da un contributo delle singole scuole e da un consistente apporto dell’Amministrazione Comunale, in collaborazione con il CRED, presso il quale ha sede anche Musicascuola (Via Manzoni 22). Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Analoghe iniziative verranno realizzate nel corso dell’a.s. 2008-2009, con riferimento a due temi particolarmente interessanti: le fiabe e le filastrocche per fare musica con i più piccoli, il ‘Paesaggio sonoro’ per i ragazzi più grandi, un paesaggio da osservare (o meglio: da ascoltare), da descrivere e, perché no, da reinventare componendo ‘sculturÈ sonore, itinerari musicali, considerando la città come una grande orchestra capace di ‘armonizzarÈ i vari ‘strumentisti’ nella produzione di una piacevole sinfonia. Suonare la città diventa allora un obiettivo artistico ed espressivo che ha l’ambizione di rendere piacevole, anche acusticamente parlando, i propri spazi vitali. Le iniziative di Musicascuola saranno sviluppate con il supporto determinante dell’Amministrazione Comunale di Pontedera, particolarmente attenta non solo al sostegno dell’arte visiva, ma anche di quell’arte sonora che, a differenza della pittura, della scultura, dell’architettura, vive solo nell’istante in cui la si produce e la si ascolta. Un’arte ‘fragilÈ, ma che proprio per questo esige da parte di tutti maggior rispetto, attenzione, cura, nel tentativo di rendere meno caotico il nostro vissuto sonoro quotidiano, così spesso pieno di cacofonie deturpanti e inquinanti, non solo per le nostre orecchie, ma anche e soprattutto per le nostre intelligenze. DINO CAVALLINI LIUTAIO di M. L. L a prima volta che ho sentito parlare di Dino Cavallini è stata nella “bottega” di Loris Lanini in piazza Garibaldi. Si parlava di un artigiano dalle notevoli capacità tecniche e dotato di una grande sensibilità nello scegliere i materiali per i suoi violini. Scoprii dopo, che questo sensibile artigiano liutaio altro non era che il mio barbiere. Sì proprio lui, taciturno, schivo, che mai si vantava dei suoi successi e delle sue capacità come liutaio. Il suo mestiere era il “barbiere”, il “liutaio” era un hobby, È sconcertante vedere come questi dilettanti raggiungano livelli di eccellenza, siano apprezzati dai professionisti e stimati per la qualità delle loro opere. Mi hanno raccontato che un musicista di Pontedera, trovandosi a Cremona, patria dei liutai, per portare a un liutaio il suo contrabbasso a cui doveva cambiare il ponticello, il liutaio quando seppe che era di Pontedera gli disse: “ Ma voi a Pontedera avete il Cavallini!…”. Segue a pagina 76 Dino Cavallini nella sua bottega di barbiere 72 73 Dino Cavallini con un amico per un controllo a due Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Il controllo dello spessore è determinante per la riuscita del violino Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Dino con la moglie Azzaleria. Si discute sul manico dello strumento Dino che controlla le fasce A sinistra: dopo la verniciatura gli strumenti sono stati appesi per la stagionatura Dino prova il violino per saggiare il suono 74 75 Alcuni strumenti della produzione di Dino Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Produzione differenziata con viola e violino La nipote di Dino Cavallini con un esempio di violino 76 77 Dino Cavallini nato a Pontedera il 9/11/1907, morì il 18/7/1995. Era sposato con Guidi Azzaleria e non avevano figli. Aveva messo assieme, riunendo vari componenti, uno dei più bei laboratori di liuteria situato in una mansarda di via Gotti e con un ordine preciso aveva disposto tutti gli utensili. Altruista e amante della buona tavola, soggiornava talvolta a Montenero dove, una volta con la pittrice Bianca Bagnoli, partecipò ad una esposizione mettendo in mostra i suoi violini e viole. Si dice, che ogni liutaio avesse nella verniciatura un segreto, decisivo per la qualità del suono dello strumento. Forse è un aneddoto, ricordo, però, che in un’occasione, io ero presente mentre il Cavallini discuteva con il Lanini sul tono del colore, sulla diluizione della vernice o sulla qualità dell’abete per il piano e dell’acero per il fondo della Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera L’ACUSTICA A TEATRO di Valentina Reino Q cassa e sulla struttura delle fasce. Tutti questi artigiani di valore, e ce ne sono ancora, penso creino quell’humus necessario a creare un ambiente ricco e culturalmente avanzato. uando le leggi dell’acustica fisica vengono applicate a delle strutture edilizie, possiamo parlare di acustica architettonica. L’acustica architettonica studia le caratteristiche volumetriche degli ambienti e le proprietà dei materiali utilizzati. Sappiamo che il suono è sia un fatto oggettivo, sia una sensazione fortemente soggettiva, infatti l’ascolto è condizionato da situazioni psicofisiche momentanee, in base alle quali il soggetto varia il proprio giudizio. A tale proposito la psicoacustica studia i meccanismi di elaborazione del suono da parte del cervello. I primi studi di acustica risalgono al VI secolo a.C. con il filosofo greco Pitagora e i pitagorici, che giunsero a stabilire le relazioni fra la lunghezza delle corde vibranti e l’altezza dei suoni, oltre ad introdurre una delle prime scale musicali. La possibilità che il suono si propaghi attraverso onde di pressione fu evidenziata da Aristotele e dal suo allievo Aristosseno, le cui teorie sono state alla base della costruzione dei teatri greci all’aperto del tipo a ventaglio e degli anfiteatri romani. Per secoli i progettisti hanno cercato di ricreare in altri luoghi l’acustica perfetta dei teatri greci, anche usando espedienti a volte dettati solo da discutibili convinzioni. Naturalmente gli antichi trattati greci e romani, come i testi di Vitruvio e la meccanica di Erone di Alessandria, vennero ripresi nel corso del Rinasci- Bayreut, Festpielhaus mento e furono d’ispirazione a progettisti e mecenati, tra cui la famiglia de’Medici, che volle meraviglie simili nei propri palazzi. Progressi sostanziali avvennero solo a partire dal XVI secolo. Al filosofo naturale inglese Francis Bacon (1561-1626), che per la prima volta usò il termine “arte acustica”, dobbiamo il primo esperimento sulle misurazioni acustiche. Durante tutto il ‘600 possiamo annoverare un vasto repertorio strumentale all’interno della fisica sperimentale, tra cui il monocordo, i piatti di Chladni e una ruota dentata in bronzo inventata da Robert Hooke. Fino al XVIII secolo la composizione musicale veniva influenzata dalle condizioni del luogo in cui sarebbe stata eseguita. Il compositore Henry Purcell (1659-1695) crea impasti orchestrali e tessiture ritmiche differenti, quando compone per l’Abbazia di Westminster, in cui l’acustica è determinata dalla presenza di marmi, pietre dure e vetrate, rispetto a quando compone per la Cappella Reale di Carlo II d’Inghilterra, dove il suono viene assorbito da tappeti e arazzi. Fu durante il tardo barocco che si invertì questo rapporto, la scienza dell’acustica cominciò a influenzare l’architettura, la quale doveva essere idonea alla tipologia di musica eseguita. Il fisico tedesco G.S. Ohm (17871854), durante le sue ricerche, scoprì che l’orecchio si comporta come un analizzatore acustico, in grado di scomporre un suono complesso nelle diverse componenti armoniche. Grossesschauspielhaus, Berlino Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Roma, Auditorium Teatro di Epidauro Il più antico e famoso teatro semicircolare è quello di Epidauro (360 a.C.) di Polykleitos. Il proscenio sopraelevato a causa della maggiore altezza della cavea e la presenza di un logheion sopra il proscenio, riservato al coro, formavano una alta struttura a telaio, tamponata con riquadri di legno che riflettevano il suono in direzione del pubblico. Ancora oggi le voci possono essere ascoltate chiaramente dalle file più lontane, distanti circa 60 metri. Le gradinate in quanto superfici periodiche contribuiscono alla diffusione delle onde sonore e agiscono come un filtro acustico che sopprime i rumori di fondo, mentre lascia passare le frequenze alte degli esecutori. Il principio del riverbero delle onde sonore varia in base ai materiali adoperati, ci sono differenze a seconda del tipo di pietra e dell’angolazione rispetto alla sorgente sonora. Ad esempio in Sicilia e in Campania si ricorreva spesso alla pietra lavica come nel teatro greco-romano di Taormina (III secolo) e nell’anfiteatro di Pompei. Fu il professor W.C. Sabine che, fra il 1895 e il 1915, gettò le fondamenta di una nuova scienza: l’acustica architettonica. Sabine fu il primo a definire il tempo di riverberazione, ovvero il tempo impiegato da un suono, dopo il suo spegnimento, per decrescere di 60 dB 78 79 Sydney, Australia, Open House (decibel) di livello di intensità. Inoltre progettò la Symphony Hall di Boston, costruita nel 1900 e ancora oggi tra le migliori sale da concerto. Dobbiamo tener presente, soprattutto negli ultimi decenni, dell’impegno di architetti e progettisti per generalizzare la fruizione delle sale da concerto. Teatro Olimpico Il Teatro Olimpico a Vicenza progettato da Andrea Palladio e realizzato dal figlio Silla e da Vincenzo Scamozzi nel 1585, è il primo teatro stabile fatto costruire dopo l’epoca classica, alla quale si ispira. In esso si hanno due innovazioni fondamentali: la sala coperta e la prospettiva nella scena. Quest’ultima rappresentò una rivoluzione per l’aspetto visivo e per quello acustico: i passaggi ristretti e la pendenza ascensionale data dal retroscena concedono allo spettatore la sensazione di essere immerso nel dedalo delle sette strade di Tebe. Questo teatro rappresenta l’anello di congiunzione tra l’antico e il moderno: non è più aperto e semicircolare bensì semiellittico e chiuso da un soffitto piano, con ripida gradinata. Il suono è brillante e c’è una significativa diffusione dovuta alla presenza delle sculture e delle ricche decorazioni. Il Teatro Italiano Con il teatro di S. Cassiano e dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia (1637- 38), in cui le file delle gradinate vennero sostituite con diversi ordini di palchi riservati all’aristocrazia, si compì un passo decisivo nella definizione del modello di teatro italiano. Il tempo di riverberazione era breve e ridotto al minimo l’eco, grazie al potere assorbente dei palchi e del pubblico in platea. La ricostruzione del Teatro di Tordinona a Roma (1696) ad opera di Carlo Fontana, fu un modello e dette luogo ad alcune varianti, denominate pianta a ferro di cavallo e pianta a campana. Su di esso sorse a Milano il Teatro alla Scala (1778) dove l’originale interprete del neoclassicismo, Giuseppe Piermarini, ricreò un’acustica perfetta, grazie al giusto rapporto fra masse e spazi vuoti. A Palermo, nel 1897, l’architetto Basile termina la costruzione del Teatro Massimo. La sala a ferro di cavallo, con una superficie pari a quella dei teatri di Vienna e Parigi, fu concepita secondo il modello del teatro all’italiana, con file di logge suddivise in palchi indipendenti e disposti secondo precisi calcoli di acustica e visibilità. La forma della sala consente al pubblico di avvicinarsi maggiormente alla scena, in virtù di una maggiore intensità del suono diretto; è la migliore risposta alle esigenze dell’opera all’italiana. L’opera lirica impone requisiti acustici molto diversi dalla musica sinfonica o da camera. Per mantenere intelligibile il libretto, non così diverso dal parlato, la riverberazione deve essere breve, affinchè le successive sillabe non siano mascherate dalla riverberazione di quelle immediatamente precedenti. Opera House L’Opera House di Sidney (1973) dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è stata considerata un capolavoro del linguaggio architettonico moderno. La struttura avrebbe dovuto suggerire il comportamento sonoro delle conchiglie, ma l’architetto Jorn Utzon e l’ingegnere Ove Arup, non riuscirono a renderla acusticamente all’altezza delle aspettative, forse per certi volumi inadeguati e per le scelte legate alla standardizzazione degli elementi costruttivi. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Festpielhaus di Bayreuth La Festspielhaus di Bayreuth, costruita nel 1876, come risposta al teatro aristocratico proponeva un nuovo tipo di spazialità atto a modificare il rapporto tra pubblico e scena, basandosi sulle teorie drammatico - musicali di Richard Wagner. Le caratteristiche acustiche della sala sono determinate dalla pianta “a ventaglio”, dalle grandi quinte sporgenti all’interno della sala e degradanti verso il boccascena con valore di riflessione, e dai palchi e dalle gallerie con funzione assorbente. Uno degli elementi innovativi è il “golfo mistico”: fossa orchestrale articolata su sei differenti piani, posti sotto il livello della platea e rivestita da stucco duro, altamente riflettente. Applicando un riparo curvo dietro l’orchestra Wagner tentò di ottenere uno schermo che invii i suoni verso l’uditorio, questo ufficio era compiuto, nell’antico teatro romano, dalla parete di fondo. Il teatro wagneriano mirava alla creazione di un ambiente in cui il pubblico venisse raccolto in un’unica comunità. Con analoghe intenzioni nacque nel 1919 a Berlino la Grosses Schauspielhaus di Hans Poelzig. Un ottimo esempio di architettura espressionista, con provvedimenti costruttivi e decorativi che eliminano i riflessi del soffitto troppo alto e della cupola che fu suddivisa da originali anelli, ciascuno formato ed irrigidito da una serie di archetti. Hollywood Bowl Un tipico esempio di teatro moderno che si trova all’aperto è l’Hollywood Bowl, costruito nel 1922-1929 da Allied Architects e Frank Lloyd Wright jr. La struttura opera come un riflettore acustico che dirige il suono verso la platea, inoltre è stato ricavato, come nella tradizione greca, in una grande cavità naturale. L’anfiteatro è stato ristrutturato da Frank O. Gehry con un intervento in 6 fasi, di cui nel 1980 la sistemazione acustica permanente della copertura dell’orchestra con sfere di fiberglass. Philarmonie di Berlino In Germania Hans Scharoun, esponente di spicco dell’architettura organica, progettò la Philarmonie di Berlino (1956-63) una sala da concerto che potrebbe sembrare il risultato dell’espressione individuale dell’architetto per la novità del linguaggio formale. In realtà la disposizione dei sedili in terrazzamenti ascendenti che circondano i suonatori, costituisce una soluzione razionale ai problemi acustici e risponde all’ obiettivo di generare un rapporto tra pubblico e orchestra. La struttura dalla forma pentagonale visibile all’esterno viene mantenuta anche all’interno, l’orchestra occupa la sezione centrale della sala mentre attorno si trovano le gallerie per il pubblico e la copertura esterna è in alluminio dorato. 80 81 Villaggio della Musica Renzo Piano ha progettato il Villaggio della Musica (2002) di Roma. Attraverso un’attenta analisi acustica, ogni sala è la cassa armonica più idonea al tipo di musica che vi verrà suonata. Viste dall’esterno le tre sale sembrano rocce che affiorano tra la ricca vegetazione. La sala Santa Cecilia, è stata studiata per i grandi concerti sinfonici, ha una scena centrale di configurazione modulabile e le sedute disposte a terrazzamenti. La sala Sinopoli, è la più flessibile delle tre, grazie alla possibilità di adattare le dimensioni della scena e la disposizione delle sedute secondo il tipo di spettacolo, può ospitare sia concerti di musica contemporanea che balletti. La sala più piccola, ha una configurazione simile a quella dei teatri storici, con la fossa per gli orchestrali e la struttura scenica di tipo tradizionale anche se movibile, è in grado di ospitare opere liriche, concerti di musica da camera o barocca e spettacoli teatrali. All’interno, le tre sale sono rivestite di legno di ciliegio, adatto ad accogliere e restituire in modo affidabile le onde sonore. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera MARIA CIOPPI CANTANTE LIRICA di Anna Vanni H o incontrato casualmente Maria Cioppi sul “PIAZZONE” verso la fine dell’estate 2008 . Si è diretta verso di me col suo bel sorriso cavalcando una bicicletta stracarica di borse della spesa e agitando una mano in segno di saluto. Immagine davvero inusuale di una cantante abituata a calcare importanti palcoscenici di teatri esteri e italiani. Immagine inusuale però per chi non conosce la sua schiettezza e la sua semplicità e non per le persone che hanno la possibilità di poterla frequentare nel privato. Ci fermiamo un po’ a parlare; le chiedo dei suoi successi, dei suoi impegni futuri ma la reciproca fretta e il pranzo che aspetta non mi danno, come vorrei, la possibilità di iniziare un discorso che metta bene in luce la sua professionalità. Domando se possiamo incontrarci di nuovo e Maria propone di vederci a casa sua. Il giorno seguente, sedute sul divano del salotto, riprendiamo il discorso interrotto in un ambiente caldo, fantasioso, perfettamente aderente alla sua personalità. Le chiedo quando ha deciso di intraprendere una carriera interessante ma difficile. Mi risponde che la voglia di esprimersi con ilcanto non è nata con lei. Voleva fare altre cose, non pensava assolutamente di poter diventare una cantante lirica. Le persone a lei vicine però, familiari, parenti, amici, dicendole che aveva una bella voce, l’hanno consigliata a valorizzare questa sua qualità. Ha cominciato allora a cantare nel Coro Parrocchiale del Duomo di Pontedera, distinguendosi subito, fra i coristi, per il volume e l’armonia della voce, elementi questi che l’hanno spinta successivamente a intraprendere lo studio del canto, uno studio però non finalizzato nelle, sue intenzioni, a una possibile carriera di cantante. Pensava che la conquista di un titolo di studio o un diploma, le avrebbero permesso eventualmente di insegnare. I casi della vita però l’hanno portata a percorrere strade diverse da quelle immaginate. Determinante è stata per lei la conoscenza di persone operanti nel campo musicale che l’hanno convinta a studiare per seguire la strada del canto. Negli anni di studio, passando da un insegnante a un altro, veniva indirizzata da alcuni in un senso, da altri in un altro. Poiché Maria aveva cominciato gli studi quando era una adolescente e aveva una voce chiara e squillante, i maestri ritennero che il suo timbro vocale fosse quello di un soprano leggero. Successivamente, entrando a studiare nel Conservatorio di Lucca, Maria cominciò “... ad aprire gli occhi”. Sulle sue corde vocali si erano formati dei noduli che non le permettevano più di emettere i toni acuti da soprano leggero. Pensò allora di abbandonare gli studi. La madre di Maria, però, avendo visto in una trasmissione televisiva il famoso tenore Carlo Bergonzi che teneva con passione e disponibilità dei Master in una Accademia Musicale, decise di contattarlo per chiedergli un’audizione per la figlia. La richiesta fu accolta dal tenore che, in seguito all’audizione si espresse in termini positivi dicendo che “quella voce” meritava assolutamente di essere valorizzata. Incoraggiata da questa valutazione Maria continuò il suo percorso artistico riuscendo a prendere una borsa di studio e a fare un’Accademia di quaranta giorni a Busseto. Queste esperienze la incoraggiarono a pensare che, forse, “ ce la poteva fare”a proseguire nel suo cammino. Ricominciò cantando “L’ELISIR D’AMORE” di DONIZZETTI e “LE NOZZE DI FIGARO” di MOZART però non era ancora ben definito ben definito quale sarebbe stato in futuro il percorso artistico. MARIA CIOPPI È nata e risiede a Pontedera. Ha iniziato cantando nel Coro parrocchiale del Duomo di Pontedera. Ha studiato con vari insegnanti e, successivamente, iscrivendosi al Conservatorio “Boccherini” di Lucca. Avendo vinto una borsa di studio, ha continuato ha continuato il suo “iter“ presso l’Accademia Musicale di Busseto. Studiando ancora da privatista, ha conseguito il Diploma di Conservatorio presso il Conservatorio “Niccolò Paganini” di Genova. Ha mosso i suoi primi passi nell’ambiente musicale molto giovane cantando brani Da “L’Elisir d’Amore“ e da “Le Nozze di Figaro“ di Mozart. Nel 1989, a Torre del Lago, ha cantato nell’opera “ Suor Angelica” di Puccini e, negli anni seguenti, in molti importanti teatri. Attualmente, con il maestro e collega Luca Casarin, studia per affrontare ruoli congeniali alla sua sensibilità. Collaborando con Mario Dradi, importante agente a livello internazionale, ha interpretato il ruolo di Colombina nell’opera “Le Donne Curiose“ di Wolf Ferrari, ottenendo anche importanti ruoli di comprimariato in opere rappresentate all’Arena di Verona e al San Carlo di Napoli. A Verbania, sul Lago Maggiore, ha cantato nell’opera “Aida” di Verdi, diretta da Lorin Mazel e, come interprete principale, in un’opera di Menotti intitolata “Il telefono“. Nel Dicembre 2008, si è esibita durante una tournèe Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera di concerti pucciniani a Las Palmas, nelle isole Canarie e nei concerti di Natale a Ragusa e Augusta. Arena di Verona, Rigoletto di Verdi 82 83 Messina, Il Falstaff di Verdi Gli insegnanti del Conservatorio non avevano ben capito le caratteristiche del suo timbro vocale e le avevano imposto un repertorio non adatto. Successivamente, continuando a studiare e frequentando anche altri insegnanti, capì che la sua voce avrebbe potuto affrontare esperienze da soprano lirico. In seguito a una visita effettuata da una celebre foniatra, venne poi a sapere che la sua laringe aveva una conformazione particolare che le permetteva di emettere toni da soprano leggero ma che aveva sostanzialmente un apparato da soprano lirico puro. Questo fatto la spinse successivamente ad aspirare a ruoli prevalentemente drammatici, passionali come la “TOSCA “di PUCCINI o DONNA ELVIRA nel “DON GIOVANNI” di MOZART. Attualmente, in sintonia con la sua scelta, sta facendo un “grande lavoro” con il maestro e collega LUCA CASARIN. Studiando con lui ha scoperto nella sua voce delle qualità che non aveva mai sfruttato e che possono realmente offrirle l‘occasione di affrontare ruoli più congeniali alla sua sensibilità di artista. Secondo Maria però, “... un tempo i cantanti erano …i cantanti! Per loro era importante come vivevano un personaggio”. Pensa invece che oggi direttori d’orchestra e registi spesso impongano le loro idee a cantanti e registi per i quali, pur restando aderenti al testo, è determinante come “scolpire” un personaggio. Ritiene comunque che ci siano alcuni registi, ZEFFIRELLI, UGO GUERRA, ABBADO e altri che non stravolgono i testi e rispettano il ruolo degli interpreti. Alla domanda se lei pensa di essere stata capita e valorizzata adeguatamente, secondo la sua professionalità, risponde: “Non in pieno”. Chiarisce il concetto dicendo che se un artista non ha un’agenzia con la quale avere rapporti di collaborazione, le possibilità di lavorare sono poche. Ha cominciato a cantare molto giovane, nel 1989 a TORRE DEL LAGO interpretando un piccolo ruolo nella “SUOR ANGELICA” di PUCCINI. Successivamente, per 15, 16 anni, le sono stati offerti ruoli meno importanti perché “…gran parte di quello che ho fatto, l’ho fatto da sola, senza alcun aiuto”. Scriveva ai direttori dei teatri, andava a fare audizioni ma otteneva solo “ le briciole“ perché non aveva alle spalle un’agenzia che la proponeva. È stato molto difficile per lei continuare nel suo cammino artistico. Ha perseverato spinta dalla passione e dalla sua forza di volontà finchè ha incontrato MARIO DRADI, uno dei più importanti agenti, a livello mondiale, di grandi artisti quali PLACIDO DOMINGO, CARRERAS, RAIMONDI, la GULEGHINA, BRUSON… L’incontro con Mario Dradi col quale sta collaborando da qualche anno, è stato per lei determinante perché le ha permesso di rinunziare a ruoli minori per affrontarne più importanti come quello di COLOMBINA nell’opera “LE DONNE CURIOSE” di WOLF FERRARI che è stata rappresentata al Teatro Filarmonico di VERONA. Attualmente, sempre in collaborazio- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Concerto a Pontedera Verona, Le donne curiose di Wolf Ferrari 84 85 ne con l’Agenzia di M. Dradi, alterna a questi ruoli altri di “comprimariato” in opere quali il “RIGOLETTO” di VERDI, cantando in grandi teatri come l’ ARENA di VERONA e il SAN CARLO di NAPOLI e facendo anche importanti registrazioni in DVD. In occasione del cinquantenario dalla morte di TOSCANINI, a Verbania sul Lago Maggiore, ha anche cantato nell’ AIDA diretta da LORIN MAZEL col quale ha fatto poi una tournée in Brasile. Nel prossimo mese di dicembre (2008), sempre collaborando con l’Agenzia di Mario Dradi, il cui impegno è finalizzato anche alla realizzazione di grandi eventi a carattere internazionale, andrà a Las Palmas, nelle Gran Canarie, dove avrà luogo una serie di concerti pucciniani. Quando ho chiesto a Maria la sua opinione sui musicisti contemporanei come LUIGI NONO, mi ha risposto che non ha, a tale riguardo, una conoscenza approfondita. Ha cantato però in un’opera di MENOTTI intitolata “IL TELEFONO” nella quale gli interpreti sono soltanto due: un soprano, LUCY, interpretato da Maria e BEN, interpretato da un baritono. In pratica l’interpretazione di questa Lucy si svolge al telefono nella paradossale situazione, decisa dal regista, di un trasloco per cui la protagonista, affaccendata a riempire scatoloni e contemporaneamente a rispondere alle telefonate, riesce a malapena a scambiare qualche parola col povero fidanzato Ben che vuole chiederle di sposarlo ma che per parlarle è costretto anche lui a telefonarle dall’esterno. Maria dice che questo è un tipo di scrittura musicale molto diverso da quello con cui si è formata musicalmente però, in qualche modo vicino al suo “animus” per il “suo aspetto divertente e comico”. Afferma anche di essere una “pucciniana sfegatata” perché Puccini tocca le corde del suo animo e perché, da toscana, ritiene che in opere come BOHEME o BUTTERFLY, emergano “palpiti e fremiti della toscanità dell’autore”. Prima di concludere la nostra lunga conversazione, le chiedo se può parlarmi di alcune cantanti liriche da lei particolarmente apprezzate . Mi risponde facendo i nomi di : MIRELLA FRENI, RENATA TEBALDI, MARIA CALLAS. “... la Callas aveva una voce che le permetteva di fare ciò che voleva, nonostante il colore di quella voce fosse metallico. La Callas era talmente padrona del suo strumento - voce che non lasciava niente al caso, studiava qualsiasi parola, qualsiasi inflessione, diventando sul palcoscenico il personaggio che interpretava e portando sul palcoscenico una ventata di novità”. A questo punto della nostra amichevole conversazione, ritenendo di avere un pò “abusato” della disponibilità di Maria, la ringrazio per la sua gentilezza. Le auguro di proseguire nel suo cammino di artista raccogliendo i successi che merita ma restando la bella persona che è. Messina, Le nozze di Figaro di Mozart Verona, Carmen di Bizet Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica IL TEATRO ERA Retro della struttura a cura della Redazione del Centro I Entrata del Teatro Era di Pontedera l 21 ottobre dopo circa 15 anni dall’inizio dei lavori è stato inaugurato il teatro Era, un teatro con soluzioni e innovazioni tecnologiche d’avanguardia che lo pongono ai primi posti nella scala dei valori tecnologici. È un teatro che è cresciuto con la voglia dei cittadini di avere una struttura degna di questo nome: ricordo una manifestazione pubblica, a sostegno del teatro, per la ripresa dei lavori interrotti a cui parteciparono anche Gerzy Grotowski, gli attori dell’Odin Teatret e una gran folla: cose mai viste per un avvenimento culturale. Quindi, se il teatro c’è è merito dei cittadini e delle autorità. Si deve riconoscere anche un gran merito agli addetti ai lavori che hanno saputo trasformare un sogno in una realtà, che ha dato a questa città, un luogo di incontro culturale per il teatro e per una scuola di attori. Un Festival di apertura di questo teatro si è svolto nei due mesi di ottobre e novembre e ha coinvolto tutta la città per la varietà degli interventi. L’impegno proseguirà con i vari laboratori messi in programma per un lavoro che si annuncia lungo e gratificante per le nuove generazioni. La struttura avrà altre funzioni perché sarà anche la sede il Consiglio di Quartiere, della filarmonica “Volere è Potere” e della Fondazione Pontedera Teatro. Interno Il Teatro Greco 72 73 Centro di Documentazione Fotografica Immagini dell’interno del Teatro Era Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera BRENNO RISTORI di Michelangelo Gorini C i raccontano i vecchi pontederesi la storia di un tenore dalla voce chiara e squillante che ebbe i suoi natali in questa città nel 1912; Brenno Ristori che ebbe anche la fortuna di cantare ed essere apprezzato dai maggiori artisti lirici del suo tempo. Iniziò a studiare canto nella scuola del maestro Raul Frazzi di Firenze, una scuola ritenuta importante e dalla quale era uscito il baritono Gino Bechi, un grande della lirica. Brenno Ristori vincitore al concorso “voci nuove” indetto dal Teatro Comunale di Firenze, come tenore, insieme a Rolando Panerai vincitore come baritono, ebbe una carriera artistica ricca di soddisfazioni per aver interpretato ruoli di rilievo e aver 88 89 BRENNO RISTORI Appunti cronologici 1947 - Pisa/ Concerto vocale. 1948 - Pisa/ Teatro Italia “Lucia di Lammermoor”. 1948 - Pontedera/ Teatro Italia “Lucia di Lammermoor”. 1948 - Firenze/ Teatro Comunale “Chovanjcina”, “Lombardi alla prima crociata”, “Salomè”, “Aida”. 1950 - Lucca/ Teatro del Giglio “I Pagliacci”. 1950 - Firenze/ Teatro Comunale “Rigoletto”, “Boris Godounov”. 1951 - Firenze/ Teatro Comunale “I vespri siciliani”, “Traviata”, “Ballo in maschera”, “Aida”. 1953 - Firenze/ Teatro Comunale “Dama di picche”, “Guerra e pace”. 1954 - Firenze/ Teatro Comunale “La fanciulla del West”, “Il contrabbasso”, “Nabucco”. 1955 - Firenze/ Teatro Comunale “Don Sebastiano”, “Werther”, “La fiera di Sorocinsky”. 1957 - Firenze/ Teatro Comunale “Ballo in maschera”. “Nei “Pagliacci” si sono distinti soprattutto la soprano Rinetta Romboli (Nedda) e il giovanissimo baritono Raoul Di Fiorino (Tonio), una sicura promessa del teatro lirico. Bene anche il tenore Brenno Ristori (Canio), il baritono Alfredo Fineschi (Silvio) ed il tenore Modigliano Sernissi (Arlecchino)”. (da “Al Teatro del Giglio”, 14 febbraio 1950) In alto: Brenno Ristori in La Fanciulla del West Sotto: Prove per La Traviata A fianco: Brenno Ristori è il primo a sinistra seduto con il clarino Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera cantato con i più grandi artisti della lirica della sua epoca. Nel 1948, dopo “Lucia di Lammermoor” a Pisa e a Pontedera, nel ruolo di “Edgardo” accanto al celebre soprano Lina Pagliughi, lasciò nei vecchi pontederesi un ricordo indelebile; nello stesso anno fece il suo debutto al Teatro Comunale di Firenze in “Chovanscina” di Mussorgsky diretta da Vittorio Guì e con artisti del calibro di Nicola Rossi Lemeni e Boris Christoff. Nel febbraio del 1950 cantò “ I Pagliacci” al Teatro del Giglio di Lucca nel ruolo di “Canio” ottenendo un ottimo successo. Nel 1954 prese parte alla memorabile In alto a sinistra: il programma di sala di Kovanscina, l’opera fu rappresentata a Firenze nel dicembre del 1948 90 91 “Fanciulla del West” di G. Puccini, diretta dal grande Dimitri Mitropoulos con la regia di Curzio Malaparte accanto al tenore Mario del Monaco al soprano Eleonor Steber e al baritono Gian Giacomo Guelfi nei ruoli principali. Brenno Ristori è rimasto attivo al Teatro Comunale di Firenze dove ha svolto la maggiore attività artistica nei ruoli di comprimario fino al 1957 partecipando sia alle stagioni invernali, sia a quelle del Maggio Musicale, sia a tutte le grandi produzioni, insieme ai grandi della musica che in quel periodo calcarono quel palcoscenico. Morì nel 1997. Locandina de “La fanciulla del West” In alto a destra: Brenno Ristori, “Il contrabbasso” Sotto: Brenno Ristori è l’ultimo a destra A fianco: “Werther”, Brenno Ristori è il primo a destra La fanciulla del West Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera RICCARDO MORETTI A sinistra: ritratto di Riccardo Moretti di Anna Vanni RICCARDO MORETTI 92 93 Riccardo Moretti si è diplomato in flauto presso il conservatorio “Boccherini” di Lucca. Ha studiato composizione con il M° Gaetano Giani Leporini. Ha seguito corsi superiori di flauto con il M° Severino Gazzelloni e direzione d’orchestra con il M° Franco Ferrara presso l’Accademia di S. Cecilia in Roma. Ha collaborato per molti anni con il M° Carlo Maria Giulini e, per la musica da film con il M° Nino Rota. È stato invitato a dirigere l’orchestra sinfonica della televisione belga. È stato direttore stabile dell’Orchestra Giovanile Toscana e dell’Ensemble Music Brass formato da solisti della New York Sinfony e della Philadelphia Orchestra. Dal 1992 è Guest Director dell’orchestra del teatro Bolshoj di Mosca, dell’orchestra Gosteleradio e della Moskow Synfony. Ha composto colonne sonore per film e documentari e musica di scena per teatro tra cui “Un po’ per non morire”,sulla vita di Puccini presentato a Torre del Lago e al festival di Tel Aviv. A Mosca gli è stato attribuito il “Premio Nino Rota” dall’Unione dei Compositori Russi. Ha curato per la RAI: “ La musica nel cinema italiano” e”Il 50° Anniversario del Maggio Musicale Fiorentino. Ha presentato al Teatro Regio di Parma il suo lavoro ebraico “Ebraica” con il ballerino Tierry Parmentier. Insegna presso il conservatorio “A. Boito” di Parma dove ha la cattedra di flauto e composizione per Musica da Film. Nel 2008 ha interpretato il ruolo di Giacomo Puccini nel film di Paolo Benvenuti “Puccini e la fanciulla”. Riccardo Moretti all’interno del cortile del conservatorio A. Boito di Parma A destra: ritratto di Giacomo Puccini (straordinaria somiglianza) A Pontedera il ricordo di Riccardo Moretti è rimasto nel tempo molto vivo. Suo padre, Furio Moretti, conosciuto in città perché portiere dell’ospedale “Lotti”, aveva trasmesso al figlio, fin dalla sua prima infanzia, la sua passione per la musica. Frequentando la scuola elementare, Riccardo ha avuto ulteriori stimoli. Negli anni 1960 infatti, a Pontedera, nell’ambito della scuola primaria, venivano fatte interessanti esperienze di educazione didattica a carattere teatrale e musicale. Venivano organizzati spettacoli sotto la direzione di maestri di musica quali la Sig.Vaber e il Maestro Bonsignori, con la collaborazione di due giovani insegnanti, Pazzi Maria Novella e la sottoscritta, desiderose di affrontare nuove esperienze a carattere didattico. In uno di questi spettacoli intitolato “Il giro del mondo”, gli alunni, accompagnati da una piccola orchestra composta da com- pagni di scuola e diretta dal Maestro Bonsignori, erano impegnati in danze russe, olandesi, cancan, valzer viennesi… È proprio in quest’ultimo ballo che vediamo il nostro piccolo Riccardo,con i suoi riccioli neri e il suo bel frac che tiene al braccio la compagna Enrica Ercoli, nel… vortice della danza. Negli anni ’70 vediamo Riccardo Moretti ancora impegnato nella scuola, questa volta però nel ruolo di flautista. I professori delle materie artistiche della scuola media “Curtatone e Montanara” avevano organizzato dei concerti per gli studenti con l’intento di proporre ai ragazzi la conoscenza di un tipo di musica,quella classica,che difficil- mente avrebbero ascoltato se non guidati. Naturalmente,per coinvolgere i ragazzi, era importante rivolgersi a musicisti giovani che proponessero brani adeguati. Pensarono allora di invitare a scuola,per fare alcuni concerti,un giovane flautista, Riccardo Moretti, che conoscevano bene perché aveva studiato nella loro scuola e si era successivamente diplomato in flauto presso il “Conservatorio “Luigi Boccherini” di Lucca. Riccardo accettò volentieri e fece brevi concerti per varie classi suonando brani con il flauto e lasciando negli alunni il ricordo di un’esperienza gratificante. A Pontedera ha diretto anche per diversi anni la filarmonica “Volere è Potere”, poi,prendendo il volo verso altri più importanti lidi, ha raggiunto prestigiosi traguardi,ultimo dei quali nel 2008 quando ha interpretato il ruolo di Giacomo Puccini nel film del regista Paolo Benvenuti “Puccini e la Fanciulla”che lo vede protagonista a livello internazionale. Queste sue affermazioni,insieme a molte altre, possono essere di stimolo alla cittadinanza per conoscere meglio il valore di questo nostro “pontaderese”. Moretti a Mosca mentre dirige l’orchestra Bolshoi Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera DAVID CALAMAI a cura della Redazione del Centro G Foto riprese prima della partenza per Bruxelles. Qui a fianco la parte riquadrata in basso ingrandita li episodi che riguardano persone “note” nella vita di una Comunità, passando di bocca in bocca, si alterano fino a diventare “miti”, la tradizione orale poi fa si che gli episodi diventino patrimonio consolidato della Comunità. Vi è anche il rovescio della medaglia: avviene che questi episodi si dimentichino e gli episodi cadano nell’oblio. È il caso di David Calamai, violinista di prima fila, per 44 anni alla scala di Milano. Noi della Redazione e alcuni ricercatori, abbiamo iniziato a interessarci di lui da molto tempo perché volevamo dedicare il numero del Bollettino 2008 alla musica nella Valdera. Come si fa di solito in questi casi si incomincia a consultare i parenti stretti per poi allargare la ricerca. Per quanto si sia ricercato tra i parenti, nessuno aveva una fotografia o una notizia da darci! Sembrava quasi che non Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera fosse mai esistito; eppure io mi ricordavo che mio padre mi aveva parlato di questo ragazzo prodigio che a 8 anni aveva tenuto un concerto per violino al Teatro Comunale di Firenze, che il maestro Arturo Toscanini lo aveva ascoltato mentre suonava in un locale in Galleria a Milano e lo aveva voluto nella sua orchestra come “Primo violino”. Lo aveva poi portato con sé in una tourné in America. Altri I componenti dell’orchestra della Scala 94 95 mi avevano confermato le stesse notizie, ma non si trovava traccia di questo prodigio. Una prima conferma venne da Sauro Lupi, esperto musicofilo, che negli archivi della Diocesi di Pontedera aveva trovato l’atto di nascita del Calamai che informava della nascita il 2 dicembre 1899, altre notizie indicavano che si era sposato a Milano e qui era morto il 28 febbraio 1983. Nel Comune di Pontedera, all’Ufficio anagrafe, è stato ritrovato l’atto di nascita. Quindi l’esistenza era certa ora mancava il vissuto artistico. L’archivio del Museo della Scala di Milano ci ha fornito alcune notizie: Calamai David è stato dipendente del Teatro alla Scala per 44 anni come violino di prima fila ma non dispongono di una sua fotogra- fia. Michele Gorini, esperto e appassionato di musica ha condotto una ricerca attraverso molte pubblicazioni librarie sull’attività della Scala di Milano, ricercando tra le varie immagini pubblicate una possibile immagine di Calamai. Ingrandite e riprodotte una decina di immagini con il maestro Toscanini e gli orchestrali le abbiamo sottoposte ai conoscenti del Calamai per individuarne il maestro: esito negativo. Michele Gorini ha infine ritrovato su una pubblicazione del Teatro alla Scala del 1958, inerente la tournée dell’orchestra in occasione dell’Expò a Bruxelles dello stesso anno le foto dell’orchestra al completo, nell’ingrandimento riconosciamo David Calamai con il suo violino. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera LA “VOLERE è POTERE” di M. L. U Una delle prime esibizioni pubbliche della “Volere è Potere” Un’esibizione pubblica diretta dal maestro Granchi 96 97 Una recente esibizione per l’inaugurazione della nuova piazza della stazione na delle Istituzioni musicali più longeve, tra alti e bassi, della città di Pontedera è senza dubbio la Filarmonica “Volere è Potere” fondata nel 1835. La data è stata tramandata dai cronisti dell’epoca, non esistendo documentazione a tal proposito. La fondazione avvenne ad opera di un sacerdote, don Angelo Magnani che la diresse come Maestro fino al 1865. Via, via poi tanti altri maestri, musicisti di grande valore e competenza, portarono questa Filarmonica a raggiungere livelli di eccellenza a livello internazionale come le varie vittorie riportate in concorsi a Cannes, Marsiglia (Francia), Differdange (Lussemburgo) e ad avere successi in tutta Italia come a Torino al Concorso Internazionale dove il “Conte di Torino” fece dono di una spil- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera la in oro e brillanti al Maestro G. Falorni. In 174 anni di attività la banda ha collezionato vittorie e successi, ma ha avuto anche di periodi difficili per mancanza di mezzi finanziari. Le manifestazioni della vita cittadina hano sempre visto in prima fila la partecipazione della “Banda” di Pontedera. Una “Banda”, la Filarmonica “Volere è Potere” sostenuta in gran parte dall’entusiasmo dei musicisti del suo organico che partecipano con sacrifici personali non sempre ricompensati. L’Istituzione musicale della “Banda”ha sempre avuto un’attenzione particolare alla scuola musicale dedicata ai giovani allievi per avere un serbatoio di utenza da cui attingere i futuri musicisti; l’attività didattica oltre ai docenti qualificati è sempre stata seguita dai vecchi musicisti che hanno tramandato l’amore per la musica alle nuove generazioni. Oggi, dopo tante difficoltà, la “Volere è Potere” ha trovato una sede definitiva nei locali del nuovo teatro Era che ha destinato alla Filarmonica parte delle sue strutture architettoniche. Filarmonica Volere è potere “Nonostante la mia estrema riservatezza, sono ben lieto di stendere queste poche righe della mia breve esperienza in qualità di ex segretario della banda “Volere è Potere”, un’istituzione che tanto onore ha dato a Pontedera, e che ha contribuito ad avvicinarmi ulteriormente al mondo della musica. Il ricordo a cui sono sicuramente più legato è la partecipazione al concorso internazionale di Differdange in Lussemburgo del giugno 1959; dal 1904 la banda “Volere è Potere” non partecipava a concorsi di carattere internazionale, pertanto l’evento del 1959, in cui la nostra banda risultò l’assoluta vincitrice di tale manifestazione conquistando il trofeo Granduca Adolfo, nonostante l’estrema bravura degli altri complessi musicali, rappresenta senza ombra di dubbio un rilancio della “Volere è Potere” e, con essa, della città di Pontedera. La preparazione al concorso fu lunga e laboriosa, ma il successo di quei giorni Sotto: alcune esibizioni pubbliche della banda Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera a Differdange ci ripagò di tutte le energie profuse. Il nostro soggiorno in terra lussemburghese fu un susseguirsi di successi ed emozioni, e di giorno in giorno fu crescente la partecipazione del pubblico. La stessa critica trovò le nostre esecuzioni impeccabili, ricche di calore e lirismo, caratteristiche che probabilmente mancavano negli altri complessi bandistici, i quali, pur essendo stati dotati di ottima preparazione e grande esperienza, risultarono esecutori più freddi. Grande merito del trionfo della nostra banda è da attribuire La nuova sede della “Volere è Potere” presso il Teatro Era 98 99 Una recente esibizione Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera al Maestro Libero Granchi, il quale, con estrema professionalità, seppe raggiungere un successo che ancora oggi rappresenta motivo di vanto per Pontedera. Per quanto mi riguarda, ricordo ancora con nostalgia quei giorni così intensi e ricchi di avvenimenti e successi, così come non potrò mai dimenticare le magnifiche emozioni provate allora. Vorrei concludere con un augurio alla nostra amata “Volere è Potere”, che un giorno possa ritrovare e rivivere i fasti di quei lontani giorni. (Michelangelo Gorini) SIGNIFICATO DELL’INSEGNAMENTO. LA CREATIVITÀ EDUCABILE di Luigi Nannetti T ra le finalità che nel 2003, al momento della sua nascita, l’Accademia della Chitarra – Musica & C. si è posta di perseguire attraverso la propria attività vi è quella della pratica e diffusione della cultura musicale in ogni sua forma, con particolare attenzione al mondo della contemporaneità. Parlare, ascoltare, ma soprattutto promuovere attività che abbiano a che fare con la musica contemporanea in Italia, e ancor più nel contesto in cui si muove l’associazione, ovvero Pontedera, la Valdera e i territori limitrofi, è evidentemente assai difficile. Pochi sono i frequentatori di questo genere, quasi del tutto assenti i luoghi ove esso abbia trovato una dimora stabile nelle programmazioni concertistiche, moltissime, invece, le iniziative che tendono in direzione diametralmente opposta, perpetrando una tipologia di offerta musicale ancorata alla mera riproposizione di capolavori del passato che, dati in pasto senza un’adeguata modalità e spesso percepiti in opposizione con la prassi musicale divulgata dai media, da tempo hanno smesso di rappresentare l’humus musicale entro cui le nuove generazioni maturano il proprio gusto musicale. Del resto è incontrovertibile quanto il problema della fruibilità posto dalla musica contemporanea – come del resto accade anche per altri campi artistici – sia avvertito tanto nel mondo accademico quanto dall’offerta musicale presente nei grandi centri cittadini italiani, e d’altronde risulta innegabile quanto esista un vero e proprio doppio canale a livello di produzione: da un lato il percorso che la musica classica e popular colta hanno intrapreso nel secolo appena conclusosi, dall’altro, parallelamente, il florilegio di produzione musicale, spesso semplicisticamente definita “commerciale”, la quale ri-propone un linguaggio musicale che – escludendo l’aspetto innovativo legato allo sviluppo delle nuove tecnologie applicate agli strumenti e alla spettacolarizzazione del momento esecutivo – dal punto vista tecnico (armonico/melodico) risale più o meno alla prima metà dell’Ottocento. Del resto, se il gap presente tra i due percorsi ha trovato tanto sporadici quanto proficui punti d’incontro a livello di discussione e prassi accademica, per quanto riguarda un ambito, diremmo, più po- LUIGI NANNETTI Ha conseguito il Diploma in Flauto nel 2001 presso l’Istituto Musicale Pareggiato “L. Boccherini” di Lucca e si è Laureato in Storia della Musica presso la facoltà di Lettere dell’Università di Pisa nel 2004, con una tesi dal titolo: La Formazione di Giacomo Puccini dall’Istituto Musicale “G. Pacini” al Conservatorio di Milano. Nei due anni successivi al diploma in flauto ha frequentato il Corso di Perfezionamento presso l’Istituto Musicale “P. Mascagni” di Livorno tenuto da Stefano Agostini, mentre nell’anno 2003/2004 ha frequentato il Corso Annuale di Perfezionamento presso l’Accademia “San Felice” di Firenze sotto la guida di Michele Marasco (1° flauto dell’ORT). Ha partecipato ai Corsi Estivi di Perfezionamento a Campiglia Marittima nell’anno 1999, e al Corso Estivo presso l’ “Associazione Stravinskij” a S. Martino Val Caudina nel 2002 entrambi tenuti da Conrad Klemm. Nel 2003 frequenta il Corso Perfezionamento presso l’Accademia Chigiana di Siena tenuto da Patrick Gallois, mentre nel 2004 ha frequentato i corsi di perfezionamento nell’ambito del Festival “S. Gazzelloni” a Roccasecca con Maxence Larrieu, Carlo Macalli, Mario Caroli e Michele Marasco. Ha al suo attivo numerosi concerti effettuati come solista e/o come membro di vari ensemble cameristici e orchestrali (Vanhal, Nuova Orchestra Labronica (NOL), Youth Arts & Sounds Orchestra (YASO) di La Spezia) e, in qualità di musicista, di varie compagnie teatrali (Teatro del Té, Lusiadi). Ha pubblicato articoli di interesse musicologico su Giacomo Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera 100 101 Puccini e programmi di sala per importanti rassegne concertistiche (Associazione Musicale Lucchese, Festival “Claudio Monteverdi” di Cremona). Da alcuni anni ha iniziato un percorso di specializzazione nell’ambito della didattica musicale, ottenendo il Diploma di Specializzazione, abilitante per l’insegnamento delle discipline musicali, presso la Facoltà di Musicologia di Cremona (SILSIS), e frequentando vari corsi di perfezionamento sotto il patrocinio della SIEM (Società Italiana per l’Educazione Musicale) e GMI (Gioventù Musicale Italiana), nonché pubblicando alcuni progetti rivolti alla didattica dell’ascolto musicale (Lol Production, 2006). Nel 2006 ha vinto la selezione nazionale per la partecipazione al Corso Superiore di Ricerca nel campo dell’Educazione Musicale, in collaborazione con la SIEM, la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna e l’Accademia Filarmonica di Bologna, finalizzato alla realizzazione di un progetto di ricerca riguardante l’uso delle nuove tecnologie nella didattica flautistica, in collaborazione con il M° Stefano Agostini, Docente e Direttore dell’Istituto Musicale “P. Mascagni” di Livorno, presentato alla 28th International Society for Music Education World Conference di Bologna nel Luglio 2008 e pubblicato nel relativo volume degli abstract. Studia Composizione con il M° Fabio De Sanctis De Benedictis presso l’Accademia della Chitarra – Musica & C. di Pontedera (PI), di cui è Direttore dall’A.A. 20082009 e docente di Flauto, Storia della Musica, Teoria e Solfeggio, oltre che coordinatore delle attività didattiche rivolte alle scuole cittadine in collaborazione con il Laboratorio Musicascuola. È docente di Musica presso le Scuole Secondarie di Primo Grado. polare, la mancanza di divulgazione e di educazione legata alla storia della musica, nonché alla pratica esecutiva nelle scuole pubbliche, nutre ancora oggi una concezione dell’espressione musicale risalente più o meno allo stesso periodo di cui sopra. Trovandoci seduti in platea, ad esempio, prima dell’inizio di un concerto di musica classica, di uno spettacolo musicale fatto per o dai bambini, in occasioni di ricorrenze pubbliche per le quali sia previsto un intervento musicale, ancora oggi è tutt’altro che infrequente sentire insistere colui che ha il compito di introdurre l’evento sull’importanza del fare e/o ascoltare la musica poiché nessun altra disciplina artistica, più di questa, possiede il privilegio di essere considerata il “linguaggio universale” per eccellenza. Del resto chi, ad un primo momento, potrebbe dargli torto dal momento che l’Inno alla Gioia di L. van Beethoven, Imagine di J. Lennon, Fra Martino sono solo tre esempi di melodie che nessuno esiterebbe a definire “universali”? Volendo ben vedere, però, sebbene tale questione sia stata oggetto di una copiosa letteratura scientifica, il doppio errore compiuto dal nostro oratore sembra ancora oggi venire ignorato dai più. Volendo semplificare al massimo la questione, infatti, al fine di poter definire la musica un linguaggio bisognerebbe prima trovare il modo di fissare almeno la maggior parte dei materiali musicali in un immaginario “vocabolario sonoro”, in Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera modo da potervi andare a rintracciare i significati – fissati una volta per tutte – da dare a qualsiasi aggregato sonoro ascoltato, produrre delle grammatiche, dei manuali che disciplinino non tanto le note (significanti) e/o la loro corretta organizzazione all’interno del sistema musicale (sintassi), quanto piuttosto la relazione tra esse e le reazioni scaturite negli ascoltatori che ne fruiscono (pragmatica): ma c’è di più! Anche se, per assurdo, vi riuscissimo, prima di poterlo definire universale dovremmo metterci tutti quanti d’accordo, e riconoscere che Beethoven è sicuramente uno dei maggiori compositori mai esistiti al mondo, salvo ignorare certi bislacchi esperimenti compiuti nella prima metà del novecento da famosi musicologi i quali, girovagando per le tribù del centro Africa con una incisione della Quinta Sinfonia, si sentirono disconoscere perfino il suo status di “musica” da alcuni autoctoni, peraltro unanimemente riconosciuti eccellenti musicisti dai loro conterranei. Se il lettore, nonostante l’immeritata stringatezza che qui occorre per ragioni di spazio, vorrà accettare una tale evidenza, potrebbe sentire sorgere una domanda agghiacciante: ma se la musica non è propriamente un linguaggio, e nemmeno può darsi una sua “traduzione” per coloro i quali siano al di fuori del contesto musicale nel quale essa è stata concepita (come invece può avvenire per qualsiasi testo scritto), come concepire, alla luce di tutto questo, un’offerta musicale concertistica il meno possibile restrittiva e, ancor di più, una didattica della musica che vada al di là della mera trasmissione di nozioni teoriche e tecnico-strumentali? Non potrebbe essere, forse, che la suggestiva metafora usata dal nostro presentatore, attraverso cui la musica si traveste da linguaggio universale, non nasconda invece la difficoltà di parlare della musica e/o del suo senso senza termini musicali? “Il senso della musica può apparire solo nella descrizione della musica stessa. Il significato viene dato, in musica, nella descrizione del significante” asserisce Ruwet, e con lui tantissimi altri filosofi, pensatori, musicisti consegnano alla natura più profonda della musica una virtù per noi sì intelligibile ma al tempo stesso il più delle volte intraducibile: “il suo privilegio consiste nel saper dire quello che non può esser detto in nessun altro modo” (C. Lévi-Strauss). La matassa sembra dissiparsi, ma solo apparentemente: può bastare, quindi, dotare i ragazzi di un vocabolario di termini musicali (di questo tipo sì, ne esistono!) in modo tale che sia possibile formare un adulto capace di comprendere “il senso della musica”? Molto probabilmente se ciò fosse vero la considerazione che la musica gode in Italia non sarebbe quella a noi tristemente nota. Al di là delle comprensibili richieste di ampliare lo spazio consegnato a questa disciplina nelle scuole, infatti, tale problema è ancora più sentito a livello di Accademie e Scuole di Musica, le quali vivono la contraddizione di avere le classi piene di ragazzi e adulti che seguono le lezioni ma al tempo stesso assistono ad un continuo dimagrimento degli spettatori nelle stagioni di concerto di musica classica, direttamente proporzionale tanto all’invecchiamento della popolazione, quanto alla percentuale dei programmi incentrati su brani di musica contemporanea. L’emergere di un’abitudine inconsapevole nel considerare “musica” solo una parte assai ristretta dei repertori attualmente esistenti (o esistiti) ad essa realmente afferenti, come peraltro solo alcune delle sua forme e possibilità / modalità espressive, pone ad un’associazione come l’Accademia della Chitarra il problema di concepire un’offerta musicale fatta di concerti, proposte didattiche (corsi, concerti per studenti, dimostrazioni), simposi e occasioni di incontro in cui innovazione e tradizione, nuovo e già sentito, sperimentazione e classicità possano trovare un equilibrio funzionale, una terra di confine dove le persone possano sentirsi circondate da musica che appartiene al proprio vissuto, ma al tempo stesso siano chiamate ad affacciarsi per guardare (sentire) ciò che succede fuori, pena l’angosciosa scelta se tramutarsi in una copia di tante associazioni già esistenti o in una realtà produttrice di eventi incomprensibili per la maggior parte del proprio bacino d’utenza. È in questa direzione, quindi, che gli eventi promossi dall’Accademia della Chitarra hanno preso vita: prima fra tutte la Mostra di Liuteria, nella quale hanno trovato posto sia l’incontro tra i maggiori esperti del settore (Paulino Bernabè, Antonio Scandurra, Paolo Co- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera riani, Andrea Tacchi, Rinaldo Vacca e Franco Barsali) che semplici curiosi di un mondo in cui l’esperienza italiana è stata per secoli ed è all’avanguardia nel mondo. Tale appuntamento, oggi biennale, è stato d’altronde occasione per ascoltare musica eseguita dai maggiori interpreti internazionali, i quali hanno offerto appuntamenti più sperimentali, come i concerti di Ganesh del Vescovo, Marco Gammanossi, Nuccio D’Angelo, assieme a percorsi di ricerca sul timbro degli strumenti originali di Lorenzo Micheli, ed a serate incentrate su programmi più classici come quelle di Piero Bonaguri e Antigoni Goni. La stessa filosofia struttura i percorsi didattici proposti dall’Accademia: da decenni, ormai, moltissime metodologie riconosciute a livello internazionale (Orff, Dalcroze, Gordon, etc.), sui quali molti docenti dell’associazione hanno intrapreso percorsi di perfezionamento, fondano le proprie attività su modelli e procedure compositive affini alla musica contemporanea, specie per quanto concerne gli esercizi che tendono ad attivare i bambini sotto l’aspetto creativo e non solo come ascoltatori, in contrapposizione ad una didattica 102 103 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera fondata sulla sterile ripetizione di modelli non assimilabili che dopo anni di specializzazione professionale, e che del resto eviti il più possibile quello spontaneismo di bassa lega che àncora spesso l’educazione musicale a pratiche ove tutto e il contrario di tutto è possibile, dove non esiste verifica degli apprendimenti, dove ciò che si raggiunge è nel migliore dei casi uno spettacolino buono a soddisfare genitori e maestre nella festa finale. Dunque, anche nella didattica, l’affiancamento, o per meglio dire, l’intersezione di percorsi tradizionali e sperimentali risulta l’arma vincente anche per quanto concerne i corsi perfezionamento, le conferenze, i seminari attivati durante i primi cinque anni di attività, come testimoniano quelli svolti da docenti operanti nel panorama contemporaneo, come Alvaro Company (Presidente Onorario), Fabio De Sanctis De Benedictis, Salvo Marcuccio, ad altri che hanno avuto come oggetto i repertori più frequentati della musica classica e popular, sempre promossi da docenti di livello internazionale. (Per maggiori informazioni: www.accademiachitarra.it) RICCARDO FOGLI di Anna Vanni F ra gli abitanti della centrale via Roma, a Pontedera, c’è ancora chi ricorda un ragazzino sorridente che passava in bicicletta tenendo a spalla la sua chitarra. Il ragazzino sorridente era Riccardo Fogli che, pedalando, pedalando andava a Montecalvoli a prendere lezioni di canto e basso elettrico dal maestro Santarnecchi. Lavorando alla Piaggio, conobbe, nell’ambiente musicale dell’Enal Piaggio, dei musicisti con i quali iniziò a cantare nelle sale da ballo di Pontedera e dintorni, fecendosi conoscere interpretando le canzoni di moda in quel periodo. Nel 1963 interpretando la canzone lanciata da Gianni Morandi (“Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”) vinse il primo premio al Festival di Cascine di Buti. Quando la sua famiglia si trasferì a Piombino, dove Riccardo aveva trovato un lavoro Riccardo conobbe gli “Slenders”, una formazione beat semiprofessionista di Piombino che si esibiva nei locali della Versilia. Collaborando con il gruppo come cantante e bassista la sua passione per la musica si accentuò fino a diventare una scelta di vita. Sarebbe lungo a questo punto parlare delle fasi successive della sua carriera, l’incontro e la collaborazione con i “Pooh”, l’uscita sofferta dal gruppo, la sua partecipazione nel 1983 all’Eurofestival di Monaco di Baviera a rappresentare l’Italia, le varie partecipazioni al Festival di San RICCARDO FOGLI Remo, in particolare quella al festival del 1982 in cui ebbe un grande successo con la canzone “Storie di tutti i giorni”. Bisogna ricordare anche i successi da lui ottenuti lanciando canzoni che ha reso famose quali: “Piccola Katy”, “Pensiero”, “Noi due nel mondo e nell’anima” affermazioni che non hanno alterato la spontaneità del suo carattere. Molti pontederesi ricordano quando negli anni novanta ritornò a Pontedera per fare,una sera, un concerto in Piazza Cavour,davanti al Palazzo Comunale. Mentre cantava davanti a un pubblico folto e partecipe, riuscendo a individuare fra il pubblico un suo vecchio amico,interruppe il concerto mettendosi a chiamare: Mintrone! Mintrone! Dimostrò così che i ricordi legati alla città della sua infanzia e adolescenza erano per lui ancora vivi. È nato il 21 Ottobre 1947 a Pontedera dove ha trascorso la sua infanzia e dove ha avuto i primi contatti con l’ambiente musicale, a Montecalvoli,prendendo lezioni di canto e basso dal maestro Santarnecchi. Ancora adolescente ha fatto parte, come cantante e bassista,del gruppo “The Slenders”, formazione semiprofessionista originaria di Piombino. La svolta decisiva della sua carriera è avvenuta nel 1966 quando è entrato a far parte dei “POOK” con i quali ha condiviso molti successi . Nel 1973 si è separato dai “POOH” non tanto a causa di divergenze di ordine artistico ma per problemi di carattere personale. Negli anni seguenti la sua carriera è stata contrassegnata da molti successi. Ricordiamo fra i tanti la sua partecipazione nel 1982 al Festival di San Remo con la canzone “Storie di tutti i giorni “ e la partecipazione nel 1983 al Festival di Monaco di Baviera dove rappresentò l’Italia. La carriera di Riccardo Fogli ha avuto anche negli anni novanta e nei primi anni del duemila ulteriori successi. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera RIFLESSIONI di Andrea Lupi ANDREA “LUPO” LUPI Nato a Pontedera, padre di Jaco, convive con Liviana da 18 anni. Nella sua vita ha viaggiato molto ed esercitato lungamente molte professioni legate al mondo dello spettacolo (dal facchino, al macchinista teatrale, al fonico, scenografo, fino all’attore e al programmatore culturale e soprattutto ha cambiato le lettere dei titoli dei film sul tetto dell’ormai scomparso Cinema Massimo). Da sempre il suo veicolo espressivo preferito è la Musica che lo ha portato a bistrattare i suoi strumenti in varie nazioni tra cui Italia, Svizzera, Francia, Belgio, Germania, Olanda, Danimarca, Inghilterra, Portogallo, Malta e vari stati dell’America del Nord suonando con tanti veri musicisti. Per errore, nel 2002 è stato considerato tra i migliori 4 bassisti italiani in ambito blues. Umanamente continua a non credere nelle Autorità ma semmai nell’Autorevolezza delle persone e nel rispetto che ad ognuno si deve. Crede inoltre di aver diritto di bere due bicchieri di vino pasteggiando senza incorrere in sanzioni e spera di non essere travolto da un figlio di papà che viaggia a tutta birra con il Suv, mentre lui è fermo al posto di blocco. il suo curriculum vitae si trova su www.hotellasalle.it 104 105 In alto: Andrea Lupi, Villa Piccolo Capo D’Orlando, Messina (foto Antonella Papiro) Q uando mi è stato chiesto di scrivere un articolo per questa rivista, mi sono trovato francamente spiazzato, si certo onorato dal fatto che mi sia stato chiesto da una persona che stimo molto (e che tra l’altro è mio padre), ma per uno come me che alterna momenti di convinzione nei propri mezzi e nelle proprie idee e motivazioni a più spesso momenti di autocritica sul proprio operato e sulle proprie reali capacità, non è stato facile; in parole povere, un diploma di liceo classico (conseguito in 7 anni!) non ti rende “un Pavese”, un “Calvino” o “un Terzani” e una carriera, che chiamerei piuttosto esperienza, musicale, pur già abbastanza lunga, non ti fa comunque essere “un Mingus”, “un Hendrix” o “un Ughi” qualsiasi, anche se ho avuto la fortuna di suonare molto e in molte nazioni (una dozzina) e di condividere esperienze e incisioni con musicisti di altre parti del mondo, dall’America al Nepal… Come spesso abbiamo detto con un musicista con cui collaboro da tanto tempo, Suonare è un continuo cercare di sfiorare un cielo che si chiama Musica, alzandosi sulle punte dei piedi con grande sforzo e tensione emotiva, ma, al cospetto di essa, i nostri arti sono molli. E allora si ricade giù e si riprova con patetica e cronica ostinazione, cercando di assaporare nuovamente quei pochi attimi di Arte che ti sei illuso di creare, di vivere. Piuttosto, come si fa a scrivere qualcosa che sia così intenso, totalizzante e al tempo stesso etereo, passeggero… come la Musica…no, non me la sento, …del resto anche Frank Zappa diceva che “scrivere di Musica è come danzare di Architettura” palesando l’inadeguatezza di qualsiasi critica, saggio o semplicemente articolo... Ecco, perché ho aspettato fino a pochi minuti prima di andare in stampa a consegnare questo scritto, mal scritto e forse un po’ banale Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Marguerite Duras scrive in un suo raro saggio: “La liberazione è quando si fa buio. Quando fuori cessa il lavoro. Rimane il nostro lusso di poter scrivere nel buio. Possiamo scrivere a qualunque ora. Non siamo penalizzati da ordini, da orari, da capi, da armi, da multe, da insulti, da poliziotti, da capi e ancora da capi. E da chi sta covando i fascismi di domani.” Amo sillaba per sillaba di questa frase e vi riconosco in essa anche quella che per me è l’essenza del fare musica, che è stata e continua ad essere un’ esperienza catartica, anarchica, liberatoria, e anche di vicinanza al prossimo senza bisogno di grandi “sbandieramenti” politici o filosofici spesso pretestuosi, arrivisti, sterili; ( non sono un fan dei 99 Posse, ci siamo capiti? ma semmai di Leo Ferré per il quale ho avuto la fortuna di lavorare come assistente di palco per pochi indimenticabili giorni, molti anni fa…) E allora proviamo a scrivere queste quattro righe….e poi pensandoci bene, visto che a un noto architetto si permette di stravolgere l’aspetto dell’intera Val d’Era con interventi spesso di dubbio se non pessimo gusto, mi sento automaticamente autorizzato a cimentarmi a scrivere (usanza che non ho propriamente in uso) di qualcosa che bene o male, mal o bendestramente è la mia vita e non solo un ambizioso pavoneggiarsi. Mi è stato chiesto genericamente di fare un excursus su quella che è la “situazione musicale” sul nostro territorio, ma meno che mai sono un ricercatore, uno statista o un giornalista….si certo le mie attività di musicista, insegnante e di ideatore e co-direttore del festival Musicastrada mi pongono in una posizione di protagonista e anche di osservatore privilegiato…..ma comunque parziale e soggettivo; però, certo qualche idea a riguardo ce l’ho, è innegabile. Io penso che per lungo tempo sia stata sottovalutata l’enorme potenzialità della musica nel nostro territorio, che le persone coinvolte o anche inconsapevolmente vicine a questa disciplina artistica siano state storicamente dieci, cento volte di più di quelle attratte da altre forme espressive e che tuttora sia così….e ciò non è mai stato capito davvero profondamente, benché da qualche anno si registri una ritrovata sensibilità all’argomento da parte del Pubblico e del Privato. Godere della musica (e di tutte le Arti) cambia le persone e le società, riduce il disagio sociale, l’alienazione, la criminalità e le spese che si sostengono per arginare questi fenomeni….Un concetto talmente ovvio che alle volte non lo si capisce….e fortunatamente dalle nostre parti lo si capisce più che altrove... Ma lasciatemi provare a partire da un po’ di tempo fa: ricordo con piacere e nostalgia, mio nonno paterno, uomo di una forza morale alla Nuto Revelli, alla Pertini per intenderci….lo ricordo imbracciare una vecchia chitarra alle feste di famiglia e trasformarsi, magia della Musica, in dolce, ironico, romantico…e poi raccontarmi di come una lite in osteria riguardo alle Filarmoniche di Pontedera e Ponsacco finì con una pistolettata (del bisnonno?) al malcapitato oppositore... Dico io, potrebbe mai succedere per la rotonda delle “Piramidi Ecologiche” ? (e cosa avranno mai di ecologico poliuretano espanso e truciolare, qualcuno per favore me lo spieghi….) magari per il Fiore di Carmassi, o per il Teatro Era avrebbe paradossalmente un senso, ma nessuno se lo augura... In questo aneddoto di tipo “bandistico”, peraltro, sta uno dei problemi atavici della musica e dei musicisti: competizione, individualismo, e in seconda battuta paura del confronto, rinuncia alla comunicazione... Altresì è vero che la Musica è sempre stata una forma espressiva estremamente popolare, di conseguenza difficilmente ha goduto dei favori del Potere, eccetto che nelle sue forme più Andrea Lupi on lapsteel (foto Eric Perrone) Andrea Lupi e Oscar Bauer, San Severino Blues 2007 (foto Mauro Binci) Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Hotel La Salle, Schmolzer Blues Tage 2005, Schmoelz, Germania (foto di Norbert Nengebaner) 106 107 edulcorate e classiche. Da questo dualismo tra condivisione e isolamento spesso il musicista fatica a uscirne in modo costruttivo. La storia di Pontedera e della Valdera in generale è piena di personaggi di spessore musicale: liutai, maestri d’orchestra, primi violini alla Scala, musicisti dalle alterne fortune, cantanti lirici, star della musica leggera, competenti appassionati, collezionisti di supporti fonici o di strumenti musicali... una miriade di storie e di esperienze tra cui molte notevoli e molte di queste sconosciute ai più. Credo che in questo numero del Bollettino ci sarà chi scriverà meglio di me riguardo ad alcuni dei molti personaggi che musicalmente hanno dato davvero lustro al territorio. Suppongo che ciò giocherà a favore della mia affermazione di poc’anzi. E allora è facile capire di come la Musica dal dopoguerra in poi sia stata ancor più parte importante della vita di molte persone. Pontedera, al pari di molte grandi città, e la Valdera in generale, hanno visto diffondersi ampiamente tra le proprie giovani generazioni tempeste socio-culturali quali il “beat”, il “rock”, il “punk”, “new wave”, “afro-reggae”,“pop”… e riflessi, riflussi vari….eventi che ho conosciuto dapprima marginalmente o per sentito dire, poi, crescendo, in maniera diretta e mano a mano consapevole... Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Ragazzino andavo ad ascoltare i gruppi provare in camere da letto trasformate in pseudo-cantine, gioia di genitori e vicinato…e poi le decine di sala-prove più o meno attrezzate in cascinali scalcinati, in edifici malconci di umide zone industriali immerse nella nebbia, in case occupate (via Valtriani, p.za Belfiore…); tante storie disorganizzate ma che testimoniavano un fermento pazzesco….partire il fine settimana per andare a sentire il concerto del gruppo di amici, così come quello di Santana con Wayne Shorter, era un pensiero costante... per me come per tanti altri. Poi nei primi anni ’80, in concomitanza con l’incedere dei miei primi incerti e maldestri passi nel mondo della musica suonata, il sentire la necessità di fare qualcosa di più; ed ecco che organizzammo al Palazzetto dello sport tre edizioni di un partecipatissimo Live-Aid dÈ noartri (Rockline I, II e III); e poi dalle ceneri di questa esperienza ne nacque un’altra che fu un importante tentativo di mettere insieme le forze: il CMP (Coordinamento Musicale Pontederese), nato in contemporanea con associazioni gemelle di Roma, Torino, Bologna proiettò Pontedera alla ribalta tra quelle città in Italia che cercavano di dare una sorta di struttura al mondo dei gruppi emergenti; arrivammo a coinvolgere una settantina di gruppi dalla Valdera, dal pisano e dall’empolese... in seguito, per palese inesperienza, per alcuni nostri errori e per alcune promesse non mantenute da chi ci aiutò ma non fino in fondo (vedi: mancata costruzione bagni e impianto riscaldamento alla scuola di musica, divenuta in seguito, giustamente, Centro Sociale Okkupato Ex-Enel, zona Oltrera), la cosa apparentemente si spense. Durante quegli anni proposi ripetutamente a chi di dovere la costruzione di un auditorium….poi forse perché le idee circolano, e dato che le necessità, appunto, “ necessitano”... si è costruito, dopo molte tribolazioni, un bel Teatro (ben venga!!!), una ricchezza per una città che cresce. Anche in quella esperienza (CMP) ritrovo in embrione molte cose che oggi si sono avverate; ad esempio attualmente Pontedera vanta ben tre scuole di Musica di buon livello (Accademia della Chitarra, Accademia Musicale Toscana, Accademia Glen Gould), che hanno raccolto i semi di quell’esperienza e di altre (la Scuola della Filarmonica Volere e Potere, e quella che era sita in piazzetta delle erbe e che mi par di ricordare era intitolata a F.Busoni...); ed altre scuole private si trovano a Ponsacco, Terricciola, Peccioli, Montopoli... Giusto ricordare brevemente che recentemente si stanno facendo dei tentativi per far convivere tutte queste entità (vedi progetto Musicascuola, che coinvolge le già citate Accademie, Musicastrada, vari plessi scolastici, il Comune, ..etc) e nel rispetto delle rispettive specializzazioni, cari colleghi, ricordiamoci pure che collaborare è meglio che competere e porta “ricchezze” di vario tipo ad ognuno. Stessa cosa per l’annoso problema delle sala-prove; adesso sul territorio ne esistono varie e di belle (Music Park di Bientina, Music Street di Lugnano,….) con numerose sale bene attrezzate e buoni studi di registrazione interni… Si certo, anche gli studi di registrazione a partire dagli storici Sam a Lari e Westlink a Cascina, sono cresciuti di numero, anche grazie l’avvento delle tecniche digitali e delle strumentazioni sempre più compatte e compatibili con la stessa dimensione homestudio... Ma allora cosa manca? Al di là delle facili lamentele, superando l’inevitabile banalità dell’affermazione stessa, ciò che manca sono le occasioni. Provo a spiegarmi meglio: Demetrio Stratos rispondendo ad una domanda di uno zelante critico musicale su cosa fosse l’Avanguardia rispose laconicamente “l’avanguardia è nelle emozioni”. Cosa è uno spartito o una tablatura se non la si esegue, cosa è una canzone se non la si suona, la si canta o la si compone, cosa è uno strumento se non lo si percuote, lo si accarezza, lo si tende, cosa è una Musica se non la si ascolta se non si ha possibilità di goderne, profondamente, visceralmente, di emozionarsi, in solitudine o in moltitudine? A Voi la risposta. Alcuni festival stanno cercando di rispondere con qualità a questa richiesta di occasioni: 7 Sois 7 Luas, Collinarea, il discusso (e non a torto) Metarock, MusicaViva,… e particolarmente il Musicastrada Festival che tra mille difficoltà ha creato la rete musicale più grande a livello italiano con ben 23 Comuni ed ironicamente non riceve supporto dalla Regione che, da quest’anno, lo considera una “rassegna” (?!); ma, se non ricordo male, fino all’anno precedente un Festival non lo si giudicava dalla sua capacità di coinvolgere il territorio e di farlo conoscere, dalla sua multimedialità (fotografia, video, installazioni a tema, scenografie), dall’impatto economico (tutte le figure professionali risiedono in Provincia e i vantaggi ottenuti dagli esercenti sono comprovati da ampia documentazione), dal suo grado di co-finanziamento (oltre un terzo del budget è trovato dagli organizzatori e non dal settore Pubblico)? Andrea Lupi al Museo Piaggio (foto Pagni) Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Hotel La Salle, Patersdreef Blues Festival, Belgio 2006, Andrea, Oscar e alla batteria “Capello” 108 109 Che rabbia!, e non solo perché sono, come si sa, coinvolto in prima persona ma soprattutto perché questo festival è atteso in gloria dalle Comunità, dai musicisti locali che a turno possono godere di una importante occasione, da uno stuolo di scenografi-macchinisti, fotografi, cameramen, fonici…cresciuti professionalmente e in armonia all’interno di questa esperienza, e non ultimo gli appassionati che vengono numerosi e consapevoli che sia una occasione per emozionarsi e che hanno capito che il mondo è pieno di musicisti semi-sconosciuti di incredibile livello. Sulla ripartizione del finanziamento pubblico destinato a Cultura e Spettacolo, specie a certi livelli politici, potrei andare avanti a dissertare, ma mi fermo qui e non per buonismo alla Veltroni, ma solo perché voglio bene a quel che resta del mio fegato. Qualche parola è invece opportuno spenderla anche sui luoghi del fare musica, non solo quelli estivi che bene o male presentano diverse soluzioni, ma in particolar modo quelli indoor, invernali. Ripetendomi, l’arrivo di un Teatro tanto auspicato quanto tribolato è da salutarsi come un importante passo avanti al di là di un certo diffuso scetticismo su quella che sarà la gestione; io sono fiducioso. Un Teatro, pur non essendo un vero e proprio auditorium può facilmente rispondere ad alcuni importanti dettami tecnici ed acustici e a quel che mi risulta e da quel che ho potuto vedere da mo- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera dellini e progetti più volte esposti, credo che così sarà. (purtroppo ad oggi non sono ancora riuscito ad andare a vedere gli interni nonostante sia stato invitato, colpa mia!). Le varie soluzioni di capienza sono una questione aperta. Ma il problema luoghi resta: una sala da 200 posti per concerti di medio piccola dimensione (spesso la dimensione più bella, affascinante e qualitativamente alta) adeguatamente attrezzata e adeguatamente gestita tecnicamente e artisticamente (magari da un comitato che riunisca le associazioni) manca e certo non andrebbe ad inficiare l’attività del teatro che richiama anche altre categorie di pubblico e che probabilmente necessiterà della struttura in modo continuativo anche se non totale. A questo punto, parlando di luoghi e di musica dal vivo, non si può esimersi dallo spendere qualche parola sui live-club; da 40 anni a questa parte è stato un susseguirsi di tentativi più o meno riusciti da parte del privato di fare una programmazione di musica dal vivo: qualcuno si ricorderà lo Shys Club, ovvero Il Bar Olimpico alla Bellaria (fine anni ’60), oppure il Why Not? nel quartiere Villaggio (anni ’80), e in seguito il Si o No ad Oltrera, i vari tentativi recenti di bar Messicano, Bulldog Pub, Civetta….etc. Qualche considerazione d’obbligo: alcuni uffici SIAE dovrebbero evitare stupidi atteggiamenti vessatori ma cercare di facilitare il proliferare delle iniziative (la Siae spesso si comporta come la GdF a cui semmai spetterebbe il compito di arginare palesi illeciti, specialmente nel mondo delle discoteche) e ricordarsi che se esistono è solo perché esistono musicisti, scrittori, attori da tutelare e non da raggirare; ma per fortuna c’è anche tra loro chi ha capito che l’artista è come l’orso polare: una specie da salvare. La seconda annotazione è più complicata: possibile che in Valdera non esista un privato che abbia voglia di investire su un vero club dove ascoltare musica, affidandosi a una direzione artistica e tecnica seria e competente, e non sul solito banale e pretenzioso disco-bar che si ricicla a live-club occasionale solo per pura convenienza? Mi pare che sia un caso di “miopia” di notevole portata se solo si pensa a quante generazioni siano trasversalmente coinvolte dalla passione per la musica suonata. Forse la soluzione sta in una commistione tra Pubblico e Privato? Perché no?! Un’altra considerazione è conseguente a queste ultime su Pubblico e Privato: spesso si crede che il moltiplicarsi degli eventi possa essere una ragione del fallimento di alcuni degli stessi; mai valutazione fu più errata! Il punto sta nel come si progettano gli eventi culturali, con quanta passione e professionalità (mezzi adeguati permettendo); non si deve aver premura di difendere il proprio piccolo orto, anzi la ricchezza di manifestazioni e iniziative su un territorio è indiscutibilmente motivo di attrazione per un “turismo culturale” variegato e composito, certo a patto che gli eventi rispondano accettabilmente a quei criteri di qualità e accuratezza che altrimenti porterebbero il territorio a diventare un outlet del divertimento. Oltre a ciò, come da un po’ di tempo avviene qui da noi, coordinare gli eventi più significativi rispetto al calendario è importante e non va ad escludere comunque il verificarsi di eventi di minor portata spontanei e improvvisi che sono altrettanto importanti: ovvero non si può chiedere a un quindicenne di perdersi tra mille scartoffie e permessi di ogni genere. Adesso, che mi sono stancato (e vi avrò stancato) cercando di mettere ordine nei miei pensieri e subito scriverli, voglio provare a dedicare qualche altra riga a me, al mio rapporto con la Musica….non penso che dopo questa avrò/vor- rò molte altre occasioni per esprimere così a ruota libera le mie dabbenaggini. A volte mi chiedo quanto sia stata importante la mia dedizione, curiosità e passione per la musica, e se sia stata più determinante dell’ambiente culturale e familiare in cui sono cresciuto. No, per carità, non voglio riferirmi a presunti risultati conseguiti, che son sempre arbitrari e passeggeri, semmai mi rivolgo a quanto la Musica ha condizionato e riempie la mia vita, a quante persone mi ha fatto conoscere ed apprezzare, alla ricchezza di esperienze che mi ha immeritatamente concesso. A volte guardo i miei allievi, ai quali cerco maldestramente di comunicare qualcosa, e spesso vedo in loro quella stessa passione che ancora mi spinge a far chilometri su chilometri, a non dormire la notte; non li incoraggio, non ne hanno bisogno, però mi fanno pensare che tanto tempo fa ho fatto la scelta giusta e che la Musica continua ad accompagnarmi, ad aiutarmi, ad elevarmi, me e chi mi sta vicino. Per il resto penso a una dedica che Leo Ferrè, alla fine di quel poco tempo insieme, mi scrisse, su un foglio che ancora conservo, usando una frase di una sua celebre canzone: André, anche tu farai del tuo peggio! Je ferai de mon pire! (da “Ni Dieu, Ni Maitre”) Libbiano, fine Settembre 2008 Jam Session con John Beach, Willie Murphy e vari horn players, al Viking Bar di Minneapolis (Foto Fatticcioni) Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera SAMUELE BORSÒ Nelle immagini: Samuele Borsò durante alcune delle sue performance di Mario Lupi “ Sette sere in musica” è una performance di Samuele Borsò con la sua chitarra e la sua voce in un repertorio senza tempo, nel mese di agosto in città, davanti ad un bar. Un’altra performance di Borsò ha avuto luogo, nel mese di ottobre, davanti a un pub per la festa dei commercianti. Spulciando su internet troviamo una infinita serie di impegni di questo musicista e cantante cittadino. Chi è questo “ragazzo” venuto alla ribalta? Intanto sappiamo che proviene da una famiglia di musicisti di cui fa parte anche il tenore Umberto Borsò, un grande della lirica a cui, nel 2006, è stato assegnato il premio Caruso come ambasciatore del canto italiano nel mondo. Samuele Borsò si esibisce a un pubblico di giovani, ma, e questo convince anche un pubblico eterogeneo, il repertorio che propone va dai cantautori contemporanei ai classici di ogni tempo. Suona e canta, la sua voce è calda e non uniforme e crea atmosfere di piacevole godimento. Un giovane, quindi, che insieme con altri connota una koinè musicale che prospera in questa città della Valdera. 110 111 Collaboratori UNO DEI PIU’ GRANDI VIAGGIATORI ITALIANI di M. L. U no dei più grandi viaggiatori italiani è nato in questa città: il dott. Alberto Pacchiani neurologo. La tradizione definisce gli italiani poeti e navigatori e anche con Alberto Pacchiani, detto Pack, la tradizione non si smentisce. Poeta satirico fin dagli anni del liceo ha sempre coltivato questa sua abilità, ma la cosa che stupisce di più è la sua avventura per le vie del mondo; e non è un modo di dire: ha visitato in 42 anni ben 161 paesi del globo, anche siti negli angoli più sperduti. In 42 anni di viaggi ha sperimentato i climi più diversi dal Polo Nord nel 1998 alle zone equatoriali, all’Antartide accumulando avventure ed esperienze le più diverse possibili. Conoscitore di 6 lingue straniere (oltre al latino e al greco classico), vero poliglotta ha sempre comunicato con i relativi autoctoni nella lingua locale fIno ad essere scambiato per uno di loro. Conoscitore come pochi del- le realtà geografiche del pianeta, ha riportato nei suoi diari di viaggio, scritti in “maccheronico”, notizie tecniche e alcune impressioni sulle terre visitate. La sua collezione di immagini è consistente: circa 9200 cartoline, moltissime mappe e 184 quaderni sempre scritti in “maccheronico” che rappresentano i diari dei viaggi. L’ ”Uomo Nero”, chiamato così dagli amici per il suo eccentrico vestimento, è un uomo pieno di risorse e curiosità, sempre pronto a nuove avventure come un moderno Livingstone alla ricerca delle sorgenti dell’Umanità. Nell’ambito dei viaggi più salienti si possono menzionare: Ferrovia Transiberiana Moskwa – Vladivostok. Giro del mondo in 36 giorni, in senso antiorario, in aereo, a tappe. 1 volo in Concorde New York – Londra. 2 volte in Antartide. Raggiungimento dell’altezza di 5220 m/sm. Nel Tibet, in autobus. Traversata atlantica sulla rotta del Titanic. ALBERTO PACCHIANI Nato a Pontedera nel 1936. Laureato a Pisa nella facoltà di Medicina e Chirurgia. Specializzazione in Malattie Nervose e Mentali. Ha abitato per 25 anni a Pontedera, 10 a Pisa, 30 a Volterra, 7 a Pontedera dove attualmente risiede. Dal 1996 in pensione. Collaboratori Contributo dei lettori ASSOCIAZIONE MICOLOGICA BRESADOLA GRUPPO A. VICHI L’UOMO MASCHERATO PARTE PER L’ANTARTIDE AUTORITRATTO Quando col freddo intenso, a meno trenta, batton i denti i teschi al cimitero, ratto, nell’infuriar della tormenta, s’aggira per Volterra L’”Omo Nero”. Di notte, chi lo vede si spaventa, perché l’attornia un’ombra di mistero: transita, infatti, in una sciarpa avvolto, che fin sugli occhi gli ricopre il volto. Spesso, mentr’ei procede a grandi passi, gli urlan taluni a tergo a più non posso: “Tappati bene: è freddo!! Passan bassi !?!...”; Ehi!!, bada, batti... Attento, lì c’è un fosso!...”; e ridon come tanti satanassi, provando gusto a dargli sempre addosso. Ma lui per la sua strada a correr seguita, in barba a chi lo sfotte e lo perseguita. - Che sia forse un fantasma da leggende, l’uomo invisibil, che stragi minaccia?!?...-; chi poi d’elettrotecnica s’intende pensa che porti un radar sulla faccia. Lui, che i commenti altrui non vilipende, par che del proprio arcano si compiaccia; e con cappel, cappotto, sciarpa e guanti, fra vento, neve e gelo tira avanti. MAMMA MIA! RESTERÀ LAGGIÙ? Autore: l’Omo Nero (Packjanow) VENGO ANCH‛IO? ANDIAMO PAK! di Alessandro Pinori I l Gruppo Micologico di Pontedera nasce nel 1973 dall’unione di alcuni amici appassionati di funghi, fra cui il dott. Raimondo Gonfiantini (farmacista), il dott. Giorgio Caputo (ufficiale sanitario) e il sig. Franco Antonelli (vigile sanitario), costituendosi poi ufficialmente il 1 aprile 1975. Il Gruppo viene quasi subito intitolato alla memoria di Arterio Vichi, socio fondatore prematuramente scomparso. Già dalla sua costituzione, le finalità statutarie sono state quelle di promuovere: la cultura ecologica, intesa come conoscenza degli ecosistemi naturali e dei comportamenti relativi, lo studio dei funghi e dei problemi connessi alla micologia, l’educazione sanitaria relativa alla micologia, la collaborazione con promozione di iniziative comuni con altri Enti, Istituti e Associazioni con finalità analoghe, la raccolta di materiale didattico, bibliografico e scientifico relativo alla micologia e alle scienze affini con la relativa fruizione per i soci; quindi un orizzonte di interessi culturali ben più ampio del semplicistico “saper riconoscere i funghi buoni da mangiare”. Il Gruppo Micologico si dimostra subito una fresca novità nella Valdera, aggregando un cospicuo numero di associati, sia pontederesi sia di altre località anche abbastanza distanti, tipo Santa Croce sull’Arno, Volterra e Pisa, riuscendo da subito ad organizzare le mostre micologiche, inizialmente solo autunnali. La mostra micologica viene organizzata in occasione della ricorrenza della “fiera” di Pontedera, per convenzione il primo giovedi dopo San Luca, solitamente nella terza decade di ottobre, della durata inizialmente di quattro giorni poi ridotti a due; è il momento culminante per il sodalizio, i soci partecipano portando cassette piene di funghi di ogni tipo, per la classificazione delle specie fungine dal gruppo centrale di Trento interviene direttamente il cav. Mauro Angarano e talvolta anche l’ing. Bruno Cetto. Passano gli anni, il livello di conoscenza dei componenti del Comitato Scientifico diventa notevole, quindi viene “tagliato” il cordone ombelicale e il Gruppo diventa autonomo a tutti gli effetti. Comunque l’appartenenza al Bresadola consente l’accesso di due delegati di Pontedera al Comitato Scientifico Nazionale AMB, due sessioni, una primaverile e l’altra autunnale, tenute sempre in località diverse e in ogni regione d’Italia. Questa palestra continua forgia gli esperti di Pontedera e consente di crescere a tutti i soci, che dispongono poi delle conoscenze acquisite. Per alcuni anni sarà proposta anche una mostra dei funghi primaverili, ma la difficoltà di reperire il materiale fungino occorrente per la limitatezza del periodo favorevole e per la scarsità di miceti presenti, sconsiglierà di continuare con questa esperienza e il progetto verrà abbandonato. È con grande soddisfazione possibile affermare che il Gruppo Micologico di Pontedera ha contribuito fattivamente alla riduzione degli avvelenamenti fungini nella nostra zona: - intervenendo talora presso la struttura Le specie nuove per la scienza con la data di pubblicazione: Cortinarius ianuarius Franchi & M. Marchetti 2006 Inocybe juniperina M. Marchetti, Franchi & Bizio 2003 Inocybe fusipes Bizio, Franchi & M. Marchetti 2006 Inocybe subdecipiens Bres. ex Bellù, Bizio & M. Marchetti in Bizio & Marchetti 1998 Psathyrella wavereniana M. Marchetti 1993 Ramaria dolomitica Franchi & M. Marchetti 2000 Ramaria mediterranea Schild & Franchi in Schild 1998 Ramaria subbotrytis f. flavipes Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria thalliovirescens Franchi & M. Marchetti 2000 Le ricombinazioni operate con la data di pubblicazione: Clavulina coralloides f. bicolor (Donk) Franchi & M. Marchetti 2000 Clavulina coralloides f. cristata (Holmsk. Fr.) Franchi & M. Marchetti 2000 Clavulina coralloides f. mutans (Burt) Franchi & M. Marchetti in Franchi, Giovannetti, Gorreri, Marchetti & Monti 2006 Una delle mostre micologiche allestita nell’atrio del Palazzo Comunale di Pontedera Contributo dei lettori Recensioni Boletus Lupinus Clavulina coralloides f. subcinerea (Donk) Franchi & M. Marchetti in Franchi,Giovannetti, Gorreri, Marchetti & Monti 2006 Clavulina coralloides f. subrugosa (Corner) Franchi & M. Marchetti 2000 Helvella corium var. macrosperma (Favre) Bizio, Franchi & M. Marchetti 1998 Helvella leporina (Batsch : Fries) Franchi, Lami & M. Marchetti 1999 Inocybe rimosa var. umbrinella (Bres.) Bizio & M. Marchetti 1998 114 115 La riorganizzazione del genere Ramaria a livello europeo, con le sezioni pubblicate: Ramaria sect. Apiculatae (Corner) Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Avellaneae Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Botrytes (Corner) Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Dimiticae (Corner) Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Flavae Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Formosae (Corner) Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Grandisporae (Corner) Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Gypseae Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Luteae Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Neoformosae Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Niveae Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Pseudobotrytes Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Spinulosae Franchi & M. Marchetti 2001 Ramaria sect. Strictae (Corner) Franchi & M. Marchetti 2001 ospedaliera per classificazioni di reperti fungini non identificabili altrimenti e causa di intossicazioni da curare; - avvalendosi della collaborazione di quotidiani locali per lanciare ai lettori un monito sul rischio di intossicazioni per la nascita troppo abbondante di una specie velenosa nei boschi di querce e lecci, il Boletus lupinus, sosia perfetto dello squisito Boletus regius, al contrario decisamente poco comune, come si è reso necessario nell’autunno del 2005; - fornendo consulenze e consigli disinteressati ai fruitori delle mostre micologiche e accogliendo presso la sede sociale tutti quei simpatizzanti desiderosi di farsi classificare i funghi raccolti. Attualmente e senza fini di lucro, il Gruppo Micologico di Pontedera svolge le sue attività particolarmente nei territori della Valdera e del Valdarno inferiore dove, durante la stagione autunnale è consueto curare l’allestimento di mostre micologiche e delle erbe commestibili in occasione di manifestazioni di vario genere che si svolgono nei comuni limitrofi, si ricordano oltre a quella di Pontedera, anche quelle di Ponsacco, Santa Croce sull’Arno e Uliveto Terme, più altre saltuarie e occasionali. Il Gruppo Micologico di Pontedera è pure inserito nella federazione dei Gruppi Micologici Toscani, denominata AGMT, associazione che vede le sue origini nel dicembre del 1993. L’associazione attualmente è costituita da 24 gruppi micologici distribuiti su tutto il territorio toscano, è referente con l’ARSIA a livello regionale e ha svolto diversi progetti, fra cui la map- patura dei funghi in Toscana, a cui ha partecipato fattivamente anche il Gruppo Micologico di Pontedera, culminato poi nella pubblicazione di un libro, che ha consentito alla regione Toscana di qualificarsi come una delle prime regioni italiane in grado di svolgere progetti di censimento così articolati e durevoli nel tempo (periodo di osservazione di 4 anni) e la pubblicazione di un libro a carattere educativo e divulgativo, “Io sto con i funghi”, distribuito direttamente dai gruppi. Grazie alla sensibilità dell’amministrazione comunale che qui si ringrazia, la sede sociale è in Via Saffi n. 45 a Pontedera, ed è aperta a soci e simpatizzanti ogni martedi dalle ore 21:30 alle ore 23:30 circa (escluso i festivi), mentre la collocazione della mostra micologica e delle erbe commestibili è situata nell’ampio salone d’ingresso di Palazzo Stefanelli, sede del municipio. A chiusura di questo resoconto, forniamo due dati importanti: la mostra micologica di Pontedera quest’anno è stata la 34esima, mentre quella delle erbe commestibili la 6ª edizione; poche sono in toscana altre Associazioni che possono vantare simili traguardi. È motivo di orgoglio e di prestigio il livello di conoscenza raggiunto dai componenti del Comitato Scientifico del nostro Gruppo, alcuni di essi infatti sono diventati autori di numerose pubblicazioni scientifiche e lavori organici su ambienti particolari, come i funghi del bruciato e i funghi dei litorali sabbiosi, oppure vere monografie come lo studio del genere Ramaria in Europa, da soli o in sinergia con valenti esponenti dell’Università di Pisa e del Parco Naturale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli. A lato in queste pagine sono trascritte le specie “nuove per la scienza” descritte dai nostri soci, distribuite su generi diversi a dimostrazione delle notevoli competenze, unitamente alle ricombinazioni tassonomiche che si sono rese necessarie per allineare la materia agli studi contemporanei. TRANSHUMANZ di M. L. M auro Gambicorti, alla “Prima Rassegna di Fotografi Pisani” tenuta nel 1994 presso il Centro di Arti Visive di Pontedera, presentò 13 fotografie dal titolo “Terre di Toscana” dove i paesaggi fortemente antropizzati erano proposti con linee colori e forme amorevolmente plasmati dall’Autore per ritrovare un legame con le origini della sua infanzia. Oggi con questo libro di viaggi, Transhumanz, di uomini e animali che ripercorrono vie antiche nella storia dell’uomo, ritroviamo quell’amore che Mauro ha sempre avuto per gli odori, di sapori della terra e il lavoro dell’uomo dove il sudore e la fatica sono i valori proposti. In “Transhumanz”, edito da Bandecchi & Vivaldi ( con la solita maestria nella stampa delle immagini) scopriamo immagini di grande poesia, segnata dal divenire delle stagioni e dal paesaggio attraverso i nostri monti, di uomini e animali in un antico rito che oggi, nell’era tecnologica, ci sorprende esista ancora. Cominciando a sfogliare il libro, piano, piano si resta coinvolti nell’osservare la bellezza delle immagini, ma soprattutto dal sentimento con cui questa immagini sono state raccolte e dalla commovente partecipazione di Mauro. Immagini tratte dalla pubblicazione di Mauro Gambicorti Collaboratori Collaboratori LUCA, FOTOGRAFO D’ARTE di M. L. La mostra all’Accademia degli Euteleti a San Miniato LUCA LUPI 116 117 Luca Lupi nato a Pontedera in provincia di Pisa nel 1970, attualmente vive e lavora a Fucecchio, Firenze. Dopo aver conseguito il diploma di maturità nella sua città, entra nel mondo del lavoro ma contemporaneamente, frequenta con interesse lo studio fotografico di Mario Lupi, dove apprende le prime nozioni della fotografia, sua vera precoce passione. Si iscrive a Firenze a corsi di fotografia e successivamente lavora come assistente presso uno studio fotografico. Nel 1995 consegue un attestato per la professione di fotografo presso l’istuto statale d’arte F. Russoli di Pisa. Abbandona del tutto il precedente lavoro per dedicarsi completamente alla fotografia aprendo uno studio, che nel tempo si specializza nella documentazione di opere d’arte grazie alla collaborazione con le Soprintendenze di Pisa, di Firenze e di Lucca, con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze ed altri enti e studi privati. L’attività dello studio si incentra su campagne fotografiche per mostre e pubblicazioni d’arte, documentazioni per i restauri e diagnostica artistica. Parallelamente all’attività professionale sviluppa, proprio attraverso la frequentazione e l’approfondimento dell’opera d’arte, una particolare sensibilità alla visione che lo porta a dedicare parte della sua attività anche a progetti di ricerca personali. Nel 1998 partecipa al concorso “The International Photo Contest” indetto da Hasselblad, dove ottiene un riconoscimento per l’eccel- Q uando in altri tempi si doveva imparare un mestiere, si metteva il ragazzo “a bottega” dall’artigiano che era disposto a insegnargli. Molti fotografi famosi hanno incominciato la loro attività in questo modo. Nei nostri tempi non è più così ma, chi ha imparato il mestiere con intelligenza e caparbietà, oggi è in grado di inserirsi nel mondo della comunicazione iconica avendo tutte le carte in regola per esprimersi nella maniera migliore. Ricordo, con piacere, un ragazzino timido con gli occhi neri che faceva tesoro degli insegnamenti che gli davo, e che presto fu in grado di discutere con me le soluzioni ai problemi che il lavoro richiedeva. Quel ragazzino, oggi, è un fotografo con una solida preparazione tecnica di base, e, dato che ama il suo lavoro, ha raggiunto una capacità espressiva notevole riuscendo a portare nelle sue immagini una carica emotiva che coinvolge lo spettatore. La capacità di esprimersi è un momento complesso che coinvolge l’emotività, la capacità tecnica, la cultura del fotografo e, nel mare magnum di immagini che invadono la nostra contemporaneità, gli unici che produrranno cose valide saranno coloro che con passione e amore sapranno guardare ciò che è importante per l’uomo. Le foto che propone Luca sono il frutto di una ricerca portata avanti con anni di lavoro fatta di scelte, ripensamenti, rinunce, selezioni e coraggio per operare, quelle scelte significative che rispecchiassero il suo modo di essere, di percepire la fotografia in una visione “moderna” dell’immagine. Luca è sempre stato attento a quello che veniva pubblicato nel mondo della fotografia perché la conoscenza di ciò che i fotografi producono ha maturato il suo modo di vedere e ha guidato la sua attenzione a percepire gli umori dei tempi e a tradurli in immagini. Luca ha lavorato per molti anni nelle Soprintendenze ai Beni Artistici ed ha documentato migliaia di opere: è qui che ha dimostrato il suo valore perché non è stato il freddo esecutore di una documentazione asettica per l’archiviazione, ma il “curatore”, per amore, di opere che devono essere riprese “al meglio”, e con sensibilità. In fotografia, quando si parla di “linguaggio fotografico”, sarebbe più appropriato parlare di “linguaggi” in quanto, non esistendo una grammatica strutturata e una sintassi, forse nemmeno un codice unificato, ogni fotografo struttura il suo. Che questo sia un bene o un male, uomini, semiologi, artisti dibattono da sempre la questione; il fatto è che quando un artista riesce a muovere delle emozioni, dei pensieri, delle idee fa sì che la comunicazione che passa chiarisca ciò che non è codificato o strutturato. Le immagini che presenta Luca, perfette tecnicamente, corrette dal punto di vista formale, hanno il fascino inconsueto delle immagini di colui che le ha prodotte vivendole emotivamente, seguendone il percorso che con fasi successive concorre al risultato finale. La ripresa, prima, prefigura il risultato, partendo da un’emozione o da un’intuizione; il lavoro da artigiano mette in evidenza la sua padronanza della tecnica; l’immagine finale rivela la sua sensibilità e la cultura visiva dell’autore. Le immagini “fine art” che presenta possono essere “lette” come percorsi a tema ma anche come singole creazioni, la loro forza sta nell’impatto emotivo che coinvolge l’osservatore in atmosfere incantate di sapore metafisico. Ci sono elementi naturali che hanno sempre coinvolto Luca: l’acqua, la vegetazione, il cielo, il paesaggio, per cui i tagli che opera, le scelte tra le immagini, i toni dei grigi così ricchi e espressivi ne fanno un raffinato percorso. Ciò prelude a maggiori traguardi. lente creatività. Nel 2005 attreverso la partecipazione al concorso fotografico “Paesaggi immaginari” viene selezionata una sua immagine per essere pubblicata in un volume della rivista “Progresso Fotografico”. Nel 2006, 2007, 2008 una sua opera viene scelta per la realizzazione della copertina del volume dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato. Esposizioni principali 2007 personale “Intuizione e forma”, Palazzo Migliorati, Accademia degli Euteleti, San Miniato (Pi) 2007 collettiva “Percorsi paralleli”, Galleria del Baluardo di San Regolo, Lucca 2007 donazione “Un immagine per la libertà” opera donata al Comune di Lucca 2008 personale “Immagini da un cantiere”, Croce di Lucca, Napoli Hanno scritto di lui Antonia d’Aniello, Mario Lupi, Saverio Mecca, Mauro Favilla, Filippo Lotti. INDICE Introduzione pag. 3 Andrea Pisano e l’assimilazione della lezione di Giotto e dell’antico pag. 4 Di Sara Taglialagamba Andrea da Pontedera e l’oreficeria pisana dal XIV secolo alla conquista fiorentina Di Jonath Del Corso Beni Culturali: qualità, valore e sviluppo economico per il rilancio del Paese Di Angela Loretta Dario Vivaldi Di Mario Lupi Africano Paffi A cura della redazione del Centro Alberigo e Carlo Novelli: l’Arte dal padre al figlio pag. 7 68 Dino Cavallini liutaio pag. 73 L’acustica a teatro pag. 77 Maria Cioppi, cantante lirica pag. 81 Il Teatro Era pag. 86 Brenno Ristori pag. 89 Riccardo Moretti pag. 92 David Calamai pag. 94 La “Volere è Potere” pag. 96 Significato dell’insegnamento. La creatività educabile pag. 99 Riccardo Fogli pag. 103 Riflessioni pag. 104 Samuele Borsò pag. 110 Uno dei più grandi viaggiatori italiani pag. 111 Associazione Micologica Bresadola Gruppo A. Vichi pag. 113 Transhumanz pag. 115 pag. 116 Di Valentina Reino pag. 13 Di Anna Vanni pag. 16 A cura della redazione del Centro pag. 18 Di Michelangelo Gorini pag. 20 Di Anna Vanni Gallerie d’Arte in città: primo censimento ragionato pag. 24 Arte, bambini, scuola dell’infanzia pag. 30 A cura della redazione del Centro Di Anna Maria Braccini Riflessioni sull’Arte del “Contemporaneo” pag. 35 L’Arte Contemporanea nella scuola: perchè e come pag. 39 Di Mario Lupi Di Anna Ferretti Il battello fluviale Andrea da Pontedera pag. 44 Salvini fotografo in Valdera pag. 48 I primi 40 anni del “Truciolo d’Oro” pag. 52 Simone Stefanelli, funerale a Gaza pag. 56 Marco Bruni pag. 62 Giovanni Pascoli, il poeta-fotografo pag. 64 pag. 67 Di Mario Mannucci Di Alessandro Salvini Di Enzo Gaiotto Di Simone Stefanelli Di M. L. Di Enzo Gaiotto Di Mario Lupi pag. Di Mario Piatti Di M. L. Di Africano Paffi Introduzione alla Musica Fare musica a scuola: il piacere del fare A cura della redazione del Centro Di M. L. Di Luigi Nannetti Di Anna Vanni Di Andrea Lupi Di Mario Lupi Di M. L. Di Alessandro Pinori Di M. L. Luca, fotografo d’Arte Di M. L. Finito di stampare nella Tipografia Bandecchi & Vivaldi Pontedera LOGO Marzo 2009