1 CAPITOLO II TERMINI DEL DILEMMA La sociologia è

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CAPITOLO I
I TERMINI DEL DILEMMA
La sociologia è lo studio dei fenomeni sociali. Come devono essere analizzati? Una scuola sostiene
che la sociologia deve studiare la totalità, l’altra sostiene che si deve partire dall’individuo. Ogni
fenomeno sociale implica sempre una dimensione collettiva. I gruppi possono essere considerati
come realtà autonome o come la risultanza dell’azione di ogni singolo individuo che li compone. La
sociologia si divide in due gruppi di pensiero:
sociologia dell’azione e sociolo gia dei sistemi.
Olismo ed individualismo (oggettivistico e soggettivistico)
OLISMO: la società viene concepita come una totalità che possiede proprie caratteristiche (società
centro dell’agire).
INDIVIDUALISMO: l’attenzione viene indirizzata prevalentemente sui singoli soggetti che
compongono la società (individuo centro dell’azione).
Olismo ed Individualismo sono antitetici e non esistono forme di complementarietà.
Le due teorie danno diverse risposte ai fenomeni sociali. Per la prima i fenomeni hanno autonomia
intrinseca per la seconda i fenomeni sono prodotti dell’agire individuale. La questione è cruciale
perché da essa deriva il quesito su quanto l’uomo sia libero di agire e di quanto invece sia
condizionato da entità a lui esterne e sovraordinate.
ISPIRATORI DELLE DUE TEORIE.
Emile Durkeim – Olismo
Max Weber – individualismo
IL FATTO SOCIALE DI EMILE DURKHEIM (FRANCIA 1858-1917)
Piu’ autorevole precursore dell’olismo o collettivismo. La sua impostazione olistica si qualifica per
il riconoscimento del primato della società sull’individuo.
Il FATTO SOCIALE è alla base del suo pensiero.
a) Definizione: ogni modo di fare più o meno fissato, capace di esercitare sull’individuo una
costrizione esterna, oppure un modo di fare che è generale nell’estensione di una società data,
pur avendo consistenza propria,indipendentemente dalle sue manifestazioni individuali.
b) Concezione del fatto sociale: 1. possiede una propria realtà indipendentemente dall’osservatore;
2. è un’entità riconoscibile soltanto posteriori; 3. esiste indipendentemente dalla volontà umana;
4. è osservabile solo dall’esterno e non tramite introspezione.
c) Caratteristiche del fatto sociale: esteriorità-coercizione-generalità. Sono esterni all’individuo
perché costui nasce in una società che lo precede e lo condanna nella sua azione e personalità.
ESTERIORITA’: condizionamento dall’esterno (es. lingua,religione)
COERCIZIONE: tassazione, tipo di governo, obblighi vari.
GENERALITA’ tutti gli individui del gruppo devono uniformarsi al fatto sociale.
d) metodo: per spiegare il fatto sociale bisogna ricercare separatamente la causa che lo produce e la
funzione che assolve. La causa determinante deve essere ricercata nei fatti sociali precedenti e
non tra gli stati della coscienza individuale. La funzione deve essere ricercata tra il rapporto e lo
scopo. L’origine deve essere ricercata nella costituzione dell’ambiente interno.
Durkheim è sostenitore di un radicale relativismo sociologico e di una visione dualistica del
rapporto individuo-società in cui il primo è portatore di egoismo e malvagità mentre la seconda è
fonte di ordine sociale, spirituale, di coesione, di moralità e di altruismo. La società non è solamente
sovraordinata all’individuo ma è superiore anche in termine di valore.
L’AZIONE SOCIALE DI MAX WEBER(GERMANIA 1864-1920)
Max Weber è l’ispiratore principale della sociologia individualistica. Egli pone al centro della
ricerca l’individuo. Le strutture sociali sono il risultato di processi e connessioni dell’agire
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individualistico. In una lettera WEBER affermava: la sociologia non puo’ procedere che dalle
azioni dell’individuo, di qualche individuo e di numerosi individui separati. E’ per questo che essa
deve adottare dei metodi strettamente individualistici. Ogni manifestazione dell’agire, assunto nel
significato di un orientamento del proprio comportamento che sia intelligibile in base al senso, si
presenta sempre e soltanto come atteggiamento di una o piu’ persone singole. Weber in base a
questo assunto definisce la sua sociologia "comprendente" tesa ad intendere, capire l’azione
dell’individuo
Durkheim sosteneva che le azioni sono determinate da un fatto sociale, Weber teorizza l’azione
sociale.
Concetto di azione sociale:
1) non tutto il nostro agire si qualifica come azione ma solo l’agire “dotato di un senso” guidato da
una “motivazione individuale”. A spingere le azioni umane sono interessi che vanno distinti in
materiali e ideali. I secondi sono diretti al soddisfacimento di esigenze interiori(bisogni
spirituali)
2) gli individui tendono ad agire tenendo conto delle altrui azioni, siano essi presenti o assenti.
3) Condotta oggettivamente osservabile che il soggetto attua per mostrare di aver compreso le
attese degli altri e per rispondervi piu’ o meno adeguatamente
L’agire sociale non si identifica né con un agire uniforme di piu’ individui né con un agire qualsiasi
influenzato dall’atteggiamento di altri. L’azione sociale di Weber ha un campo di azione ridotto e si
concretizza quando è presente una azione sensata che deve essere riferita non solo al proprio agire
ma anche a quello degli altri.
TIPOLOGIA DI AZIONE WEBERIANA
a) agire razionale rispetto allo scopo (azione materiale)
b) agire razionale rispetto al valore (azione ideale)
c) agire affettivo (azione irrazionale)
d) agire tradizionale (abitudine acquisita)
IL METODO
La sociologia è per Weber “la scienza che si propone di intendere, in virtu’ di un procedimento
interpretativo, l’agire sociale, e quindi di spiegarlo causalmente nel senso e nei suoi effetti”. Il
metodo consiste in:
a) comprensione con lo scopo di cogliere i significati dell’agire
b) spiegazione, che consiste nella individuazione della causa dell’agire.
La sociologia deve perciò porsi l’obbiettivo di comprendere l’essere umano quale portatore di senso
nonché di cogliere i significati dell’azione individuandone la causa. Per Weber bisogna esaminare
“l’atomo sociale” la dimensione sociale minima, mentre per Durkheim bisogna riferirsi al fatto
sociale con i suoi caratteri di esteriorità, obbligatorietà e motivo per cui essi non sono frutto di
volontà individuale.
WEBER
DURKHEIM
CONCETTI SALIENTI
Azione sociale
Fatto sociale
ELEMENTI DISTINTIVI
Senso inteso come significato Esteriorità e coercizione
che il soggetto agente associa
al proprio agire
APPROCCIO
Soggettivo
Oggettivo
METODO
comprendente
positivista
NESSI CAUSALI
Probabilistici
certi
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OLISMO E STRUTTURALISMO
Marx(1818-1883)
L’approccio strutturalistico di Marx pur interpretando i fenomeni sociali alla luce del dato
strutturale possiede una sua specificità che lo distingue dagli strutturalisti in senso stretto, perché
questi ultimi tendevano a spiegare le trasformazioni in base a leggi interne alle stesse strutture
sociali, mentre per Marx è sempre necessario fare riferimento alla storia dell’evoluzione dei rapporti
sociali “materialismo storico”. La sua teoria è caratterizzata dalla distinzione tra struttura
economica e sovrastruttura ideologica. Karl Marx condivise una concezione sistemica della società,
non assimilabile però a quelle di tipo organicistico. Per Marx, i diversi elementi del sistema sociale
(i rapporti di produzione, le forze produttive, le classi sociali, le ideologie, i fenomeni culturali, le
religioni, il diritto ecc.), pur essendo strettamente collegati fra loro, non sono in grado di
influenzarsi reciprocamente. Infatti, solo i rapporti di produzione sono capaci di modificare e di
condizionare gli altri fattori, che quindi da essi dipendono primariamente.
AMBITO FILOSOFICO
Althusser sostiene che l’agente è un semplice portatore della struttura,una specie di robot che
agisce come essa vuole
Levi Stra us asserisce che la regolazione sociale funziona sempre secondo il modello linguistico
(vds Ferdinand De Saussvre 1857-1913) secondo il quale deve essere analizzata come se si trattasse
dell’esecuzione meccanica di regole proprie di un modello sottostante. Gli agenti tendono sempre
ed esclusivamente ad obbedire a delle regole; piu’ precisamente grammaticali (struttura) a dare vita
al linguaggio, precedendo le singole parole. Di conseguenza il significato non va cercato in
ciascuno degli oggetti presenti in concreto nella vita reale, ma nel linguaggio e che creano le
differenze tra concetti interrelati. Queste rigide strutture fanno si che le motivazioni dei singoli
agenti siano solamente dei riflessi di una entità oggettiva esterna.
OLISMO FUNZIONALISTICO
Anche il funzionalismo risulta pressoché olistico in quanto sostiene il primato del sistema rispetto
alle sue parti costitutive. L’antropologo MALINOWSKI (1884-1942), assegnando il primato ai
fattori biologici, sostiene che ad ogni bisogno umano corrisponde un elemento socio culturale
deputato a soddisfare quel determinato bisogno. La sua analisi funzionale è fondata sul primato
della totalità alla luce dei rapporti tra bisogni biologici e cultura
RADCLIFFE BROWN(1881-1955)
Elaborando le argomentazioni funzionalistiche di Durkheim e dell’organicismo di Spencer, sostiene
che le regolarità sociali derivano dallo intersecarsi di processi–strutture- funzioni. I processi sociali
sono articolati in processi di adattamento ecologico-culturale- istituzionale. La funzione consiste nel
contributo di ogni usanza alla vita sociale ”considerata come l’insieme del funzionamento del
sistema sociale”. La definizione presuppone che gli elementi siano dotati di stabilità unità e
coesione, armoniosa cooperazione tra tutti gli elementi del sistema sociale,che esclude i conflitti
TALCOTT PARSONS (1902-1979)
Sociologo funzionalista ritiene che gli attori agiscano in base alle richieste provenienti dalla società
intesa come “sistema sociale” che determina l’azione degli individui singoli e collettivi. Gli
individui agirebbero in base ad una serie di regole che vengono apprese ed interiorizzate in base a
processi di socializzazione primaria e secondaria. Secondo Parsons ogni sistema deve far fronte a
quattro imperativi funzionali: 1. adattamento 2. Goal (conseguimento dello scopo) 3. integrazione 4.
Latenza (raccolta e distribuzione dell’energia motivazionale)
L’insieme di questi elementi prende il nome di AGIL. Nello stesso schema AGIL si possono
configuare dei sottosistemi secondo il modello delle scatole cinesi. Parsons ha individuato quattro
sottosistemi che trovano preciso riferimento nei quattro requisiti funzionali:
- sottosistema economico (adattamento)
- sottosistema politico (Goal - conseguimento dello scopo)
- sottosistema integrativo (integrazione)
- sottosistema culturale motivazionale (latenza)
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I sistemi A-G concernono i rapporti con l’ambiente circostante mentre I- L riguardano aspetti
organizzativi interni al sistema
A
Esterno
Interno
mezzi
Adattamento
Latenza
L
fini
G
GOAL (Conseguimento dello scopo)
Integrazione
I
Nello schema Parsoniano AGIL è possibile individuare alcuni tratti della sociologia funzionalistica
che si qualifica per il fatto di concepire la società in termini di sistema, nello specifico come
insieme di parti tra loro interconnesse dalla cui analisi inizia lo studio della società. Sia la visione
funzionalistica che quella strutturalistica sottovalutano il dato di fatto che nella realtà concreta sono
gli esseri umani ad agire.
APPROCCI INDIVIDUALISTICI
Gli individualisti pur non escludendo a priori diverse possibilità di azione sociale sono orientati a
considerare i fenomeni sociali come il risultato di azioni ed interazioni umane. La visione
individualistica puo’ essere suddivisa in due scuole di pensiero:
INTERAZIONISMO SIMBOLICO E INDIVIDUALISMO METODOLOGICO
Entrambi i filoni condividono la necessità di studiare le azioni degli individui e assumono come
principale campo di analisi i sistemi di interazione. Partendo da questo concetto, l’interazionismo
frantuma le strutture sociali in microstrutture che sono quelle che nascono, si costruiscono, si
modificano e si estinguono sotto forma di interazioni. L’individualismo metodologico si basa sulla
considerazione che i fenomeni sociali e la società stessa non possono essere spiegate se non
partendo dall’individuo.
INTERAZIONISMO SIMBOLICO: nasce negli anni “30 negli USA. Viene elaborato nella
"seconda scuola di Chicago" e risente delle influenze della prima scuola di Chicago e di G.H.Mead
suo principale ispiratore. L’azione umana non viene piu’ considerata come una automatica risposta
alle sollecitazioni date dal sistema ma viene considerata una realtà che nasce all’interno
dell’interazione ed è frutto delle azioni reciproche degli individui. L’interazionismo simbolico si
pone in conflitto con il determinismo sociologico tipico dell’olismo e con il behaviorismo
sociologico della scuola di Watson (1878-1858). La scuola vede l’uomo come essere creatore del
proprio ambiente e costruttore del proprio mondo di oggetti.
BLUMER : piu’ noto sostenitore del suddetto approccio è l’inventore del termine “Interazionismo
simbolico”.
Secondo lo studioso la società è solo la cornice dell’azione ed ogni manifestazione strutturale è il
risultato dell’attività dei singoli soggetti. L’agire umano è la risultante dell’influenza reciproca delle
sue componenti costitutive il SE ed il ME. Il SE ha la capacità di essere oggetto a se stesso che gli
consente di costruire se stesso come oggetto riflesso del proprio pensiero attraverso la
comunicazione con gli altri. La sua prima componente è l’IO che è la tendenza istintiva e spontanea
dell’individuo. Il ME ha una derivazione sociale è prodotto dall’insieme degli atteggiamenti
prevalenti nel gruppo. Il SE è costituito da IO+ME ed è in continua evoluzione in quanto si sviluppa
mediante l’interazione sociale. Per la seconda scuola di Chicago gli individui sono parte attiva nella
creazione dell’ambiente sociale, il quale pero’, dopo essersi costituito, influenza in qualche misura
il loro comportamento. La critica di MEAD al comportamentismo dà luogo al superamento del
concetto STIMOLO-RISPOSTA che viene da lui modificato in STIMOLO-INTERPRETAZIONERISPOSTA dove l’interpretazione risulta l’elemento principale.
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BLUMER dà una rilevanza essenziale ai gesti simbolici che vanno scissi da quelli non simbolici
(es. trarre la mano quando si sente calore) che non necessitano di interpretazione. I gesti simbolici
necessitano di interpretazione sia dell’azione che della intenzione (es. tendere la mano verso
qualcuno - saluto o minaccia?). Ogni simbolo assume dunque significato al quale dare la giusta
interpretazione. Il simbolo puo’ essere inteso come uno stimolo al quale è stata fornita
anticipatamente una risposta. Il significato assume pertanto un rilevanza strategica per l’agire
umano, per interazione e per la costituzione e l’interpretazione del fenomeno sociale.
Assunti di base individuati da BLUMER:
a) significati guida dell’azione – le cose diventano significative solo se ad esse viene attribuito un
significato
b) la genesi dei significati è da ricercarsi nelle modalità con cui gli altri agiscono nei confronti di
uno specifico oggetto (anche immateriale)
c) interpretazione dei significati – i singoli significati vengono modificati e manipolati dal soggetto
attraverso un processo interpretativo che egli attiva per affrontate gli eventi che incontra e in cui si
imbatte. Ogni esperienza ed ogni pensiero sono sociali perché gli individui interagiscono mediante
simboli dei quali il piu’ rilevante è il linguaggio.
L’interazionismo simbolico si colloca nella corrente individualistica perché i singoli esseri umani
sono protagonisti attivi del proprio agire che valutano e definiscono le loro azioni. Così anche
l’azione maggiormente strutturata è sempre costruita dagli individui e mai dal sistema.
MANFORD KUHN esponente della scuola di IOWA, risente di un influsso positivistico e ritiene
che gli essere umani interiorizzino le prescrizioni del sistema in modo prevalentemente passivo. Si
colloca in una posizione deterministica moderata ed in coerenza con questa posizione sostiene la
centralità del processo di “assunzione del ruolo” che consiste nella risposta alle altrui aspettative da
parte del soggetto interessato. BLUNDER da risalto alla “costruzione del ruolo” processo che nasce
dalla esperienza creativa e dinamica dei singoli individui. All’interazionismo simbolico va il merito
di aver proposto con forza la centralità della dimensione simbolica della vita sociale. Questa teoria
però sottovaluta i condizionamenti che in differente misura influenzano sempre l’azione dei
soggetti.
INDIVIDUALISMO METODOLOGICO
A differenza dell’interazionismo simbolico di matrice statunitense, nasce da una molteplicità di
influenze teoriche prevalentemente europee e non si propone tanto quanto quale teoria ma bensì
come metodo da adottare per lo studio dei fenomeni sociali. I nuclei ispiratori fondamentali sono 3:
a) sociologia dell’azione di Weber; per le sue teorie sull’azione dotata di senso;
b) utilitarismo dell’economia classica: con particolare riferimento ai moralisti Adam FergussonAdam Smith-John Millan 1) l’essere umano è creatore della realtà sociale che lo circonda 2) gli
essere umani sono coscienti di fondare le loro istituzioni e dunque di tutti gli svantaggi ed i
vantaggi che esse impongono
c) le prospettive epistemologiche (l'epistemologia è la disciplica filosofica che studia la
conoscenza individuandone i fondamenti e i criteri di validità) di Friedrich Von Hayek e di Karl
Popper: individualismo epistemologico cioè quello studio che ha per oggetto i criteri che
assicurano legittimazione e una garanzia scientifica alle conoscenze distinguendole dalle mere
opinioni. Von Hayek teorizzò che le scienze sociali debbano occuparsi solo dei fatti e non delle
teorizzazioni intorno ai risultati delle azioni. Popper sostiene che bisogna cercare di
comprendere ogni fenomeno collettivo come qualcosa che deriva da azioni, intenzioni, attese e
speranze dei singoli individui, nonché dalle tradizioni create e conservate da costoro. Sostiene
inoltre la necessità che le scienze sociali si impegnino ad analizzare conseguenze sociali in
intenzionali provocate dalle azioni umane intenzionali.
Per Hayek e Popper le scienze sociali, per spiegare i fenomeni sociali, devono analizzarli come
conseguenza di azioni individuali.
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La sociologia di indirizzo metodologico è sostenuta dal francese Raymond BOUDON i cui tratti
peculiari del pensiero sono:
a) carattere intenziona le delle azioni individuali nonché la loro intrinseca razionalità. Lo schema
dell’agire comprende attori-situazioni- fini-risorse. A tale postulato corrisponde il seguente
pensiero: gli attori sono atomi logici per la ricerca sociologica in quanto le strutture sono nulla
senza gli individui. Per Boudon l’individuo è sempre essere consapevole che agisce
consapevolmente, sia pure entro limiti dai vincoli esistenti;
b) effetto aggregazione, che cerca di rispondere alla domanda su come si aggregano gli interessi e
le azioni degli individui. Secondo Boudon ogni fenomeno sociale è sempre e comunque una
conseguenza di azioni individuali e puo’ quindi essere spiegato solo in base alla aggregazione di
queste ultime.
Per l’individualismo metodologico "il sociale" è comunque da considerarsi sempre come risultante
dell’agire individuale”. Per Boudon la società non è solo costituita da sistemi di interdipendenza. In
essa sono presenti sistemi funzionali. La società è dunque un insieme di interazioni che si
configurano in parte come sistemi funzionali (agire connesso ai ruoli) ed in parte come sistemi di
interdipendenza (agire non connesso ai ruoli). La formula elaborata da Boudon M=Mm+SM’ spiega
il sociale come effetto dell’aggregazione dell’agire individuale.
M=fenomeno sociale S=situazione
M’=elementi macrosociali. Riconoscere l’incidenza della
situazione e degli elementi macrosociali puo’ ridurre se non compromettere la libertà dell’attore
razionale. Un sociologo determinista potrebbe adottare la stessa formula, aumentando i fattori S e
M’ proiettando cosi’ ombre sulla coerenza logica dell’impianto bodoniano.
DARIO ANTISERI: studioso di corrente individualistica metodologica ha messo a fuoco nel suo
“manifesto” di propaganda metodologica (Antiseri-Pellicani 1992) i seguenti punti:
a) la collettività come tale non è altro che un soggetto in grande, che ha bisogni, lavora, traffica,
concorre (Carl Menger).
b) Solo l’individuo pensa, solo l’individuo ragiona, solo l’individuo agisce (Ludwig Von Mises),
c) È un grande errore trattare come fatti quelle che tuttalpiu’ sono vaghe teorie popolari (Von
Hayek)
d) Il mutamento sociale va analizzato come il prodotto di un insieme di azioni individuali
(Boudon).
Secondo Antiseri non esiste esercito: esistono solo persone che danno ordini. Non esiste il fisco: si
incontrano solo burocrati che esigono il pagamento delle tasse. Non si corrompe l’erario ma questo
o quel burocrate.
PARADIGMI SOCIOLOGICI
Sia le azioni e sia i comportamenti esprimono attraverso processi di selettività indipendentemente
dalla loro natura e producono delle discriminazioni tra elementi ed esperienze tratti dalla vita reale.
La natura di questa selettività produce le distinzioni tra azioni e comportamento perché le azioni
sono in qualche modo intenzionali i comportamenti no. L’azione è quindi frutto di una scelta piu’ o
meno consapevole (volontarismo). Il comportamento è privo di intenzionalità e quindi di “senso” ed
è identificabile in ogni atto che singoli o piu’ individui compiono nel loro ambiente a prescindere
dalla intenzionalità (es. gli uomini agiscono, i cani si comportano).
PRIMO PARADIGMA: BASE DELL’ACCORDO –APPROCCIO OLISTICO-.
L’atto è sempre spiegabile solo facendo riferimento ad elementi che lo precedono non prestando
attenzione a colui che agisce perché predilige cio’ che precede e che determina l’agire
configurandosi come mero comportamento. Boudon distingue nel primo paradigma tre elementi su
cui si basa l’accordo:
1. l’agire socialmente rilevante è identificato con l’agire di ruolo;
2. l’agire è la risultante dei processi di socializzazione;
3. sono sempre e solo le strutture sociali a determinare l’agire dell’individuo le cui scelte sono
sempre forzate ed imposte
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PRIMO PARADIGMA:BASE DELL’ACCORDO –APPROCCIO INDIVIDUALISTICO
Gli atti sono sempre orientati verso i fini che i singoli soggetti piu’ o meno consapevolmente
tendono a conseguire. L’azione (non il comportamento) è un atto intenzionale quando tende verso
uno scopo specifico. I soggetti vengono così posti al centro dell’analisi. I fenomeni sociali sono il
risultato di contrapposizione e composizione che deriva da un insieme dinamico di azioni
determinate dalla coscienza umana. Anche in questo caso di individuano dei sub paradigmi:
agire orientato al conseguimento di un preciso fine:
a) stato di natura - azione priva di condizionamenti
b) contratto - azione vincolata alla presenza di altrui interessi
DUE METODOLOGIE
La duplice lettura olistica- individualistica della realtà sociale ci da indicazioni sotto il profilo
ontologico cioè della sua natura e sotto quello epistemologico ovvero della validità della
conoscenza. Esistono numerose metodologie per lo studio dei fenomeni sociali ma due di esse
risultano le piu’ aderenti alle necessità della sociologia. Esse sono tra loro antitetiche : quella propria
del positivismo e quella propria della fenomenologia. Nel primo metodo si estendono i metodi
empirici d’analisi propri delle scienze naturali al campo dell’agire umano. Il metodo consiste nella
osservazione del comportamento umano che puo’ essere oggettivamente misurato al pari di
qualsiasi fenomeno fisico. Questa misurazione consente consente di individuare i nessi causa effetto
tra classi di fenomeni sociali. Da qui per studiare l’agire umano, secondo il positivismo, occorre
concentrare l’attenzione solo sulle manifestazioni esterne che vanno considerate, osservate, descritte
come veri e propri oggetti. Agli antipodi di questa teoria si colloca quella della fenomenologia
delle scienze naturali nata come reazione alle pretese positivistiche, rifiutando che lo studio delle
scienze sociali usi metodi propri delle scienze naturali. Secondo i fenomenologici le scienze sociali
possiedono una propria specificità sia per quanto concerne l’oggetto sia per il metodo da adottare
come postulato da Weber. La scuola filosofica tedesca di Edmund Husserl giunse alle conclusioni
che non è tanto importante studiare le cose ma piuttosto come esse appaiono alla gente. E’
necessario non limitarsi ad una analisi esterna ma bisogna concentrarsi sulla comprensione
dall’interno dei fenomeni sociali. Tale pensiero filosofico fu ripreso da Alfred Schutz , allievo di
Husserl, secondo cui occorre concentrare l’analisi sulle modalità in cui appaiono i fenomeni, ovvero
le cose di cui siamo consci partendo dal presupposto che essi non sono altro che un continuo flusso
di esperienze di senso che gli esseri umani percepiscono attraverso i sensi. Un esempio che
caratterizza le due filosofie è l’approccio alla devianza schematizzato come segue:
APPROCCIO OLISTICO
Chi sono i deviati?
Come esse diventano devianti?
Quali sono le condizioni che producono i
devianti?
E’ possibile controllare o curare i devianti?
APPROCCIO INDIVIDUALISTICO
In quali circostanze le persone vengono
definite deviate?
Come esse assumono il ruolo di devianti?
Come gli altri rispondono a coloro che sono
definiti devianti?
Come il deviante risponde a questa
definizione?
Come questa etichettatura influenza il concetto
di se?
DUE PREMESSE ANTROPOLOGICHE E DUE SINTESI A CONFRONTO
Passando all’ambito sociologico, DAWE afferma che sono rintracciabili, piu’ o meno apertamente,
due diverse visioni dell’uomo nella letteratura sociologica: una tendenzialmente pessimistica e
l’altra tendenzialmente ottimistica.
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La visione pessimistica induce a considerare l’uomo come creatura che, se lasciata in balia di se
stessa e dei suoi desideri, è in grado di produrre solo disordine, caos e anarchia.
La visione ottimista vede l’uomo come entità attiva, autonoma, creativa, orientato finalisticamente
sia per se che per la società. La vita e lo sviluppo della società dipendono dalle capacità insite nelle
risposte umane. La visione pessimistica viene ricondotta all’approccio olistico, quella ottimistica
all’approccio individualistico. Da questo dualismo si enfatizza il tema, da una parte dell’ordine e
dall’altra del controllo e che riflette due concezioni differenti dell’agire umano i cui maggiori
esponenti sono Hobbes e Rousseau.
HOBBES sostiene che l’uomo ha tendenze distruttive tipiche che impongono la necessità di
garantire un ordine da parte di un sistema coercitivo sovraordinato;
ROUSSEAU: il problema di fondo è quello di riscoprire la libertà naturale e originaria
dell’uomo.sarà lui stesso che dovrà ricercare le modalità adeguate di controllo del suo ambiente.
Nella visone di Hobbes si riscontra che il tipo di agire è stato definito comportamento, mentre in
Rousseau quello che è proprio dell’azione (atto intenzionale).
SCHEMA DISTINTIVO DEI DUE APPROCCI
ELEMENTI DISTINTIVI
OLISTICO
Premesse antropologiche
Scarsa fiducia nella natura
umana
Rapporto individuo-società
Priorità della società
sull’individuo
Natura della realtà collettiva
Sovraindividuale e quindi
autonoma da quella degli
individui
Natura degli atti sociali
Origine dell’agire sociale
Origine dei fenomeni sociali
Potere causale
Oggetto d’analisi
Problema principale
Metodolgia
Natura scientifica
Concezione
Comportamenti (atti non
intenzionali)
Cause esterne:le strutture
precedono gli individui e
quindi hanno valore esplicativo
nei onfronti dell’agire
individuale.la stessa
intenzionalità è un prodotto
delle strutture sociali
Prodotti o conseguenze di altri
fenomeni sociali
Condizionamenti strutturali
Strutture,sistemi gruppi
sociali,esercito,partito
politico,classe sociale,tipologie
di individui (collettivismo)
Ordine sociale
Oggettivistica (s.positivistica)
Nomotetica: studio ella
regolarità delle connessioni
causali generalizzabili
Materialistica
INDIVIDUALISTICO
Elevata fiducia nella natura
umana
Priorità dell’individuo sulla
società
Risultante dall’agire
individuale e quindi non
autonoma rispetto a quella
degli individui
Azioni sociali (atti
intenzionali)
Cause interne:intenzionalità
soggettiva. Sono gli uomini
concreti a determinare il corso
del loro agire. I
condizionamenti hanno sempre
una incidenza secondaria
Prodotti o conseguenze di
azioni individuali aggregate
Motivazioni individuali
Singoli individui che
interagiscono in situazioni
specifiche /nominalismo)
Controllo sociale
Soggettivista
(es.fenomenologica)
Idiografica:studio della
specificità di eventi particolari
Idealistica.
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CAPITOLO II
OLTRE IL DILEMMA OLISMO INDIVIDUALISMO
Semiolista è la posizione di Mandelbaum che sostiene la relativa autono mia dei fatti sociali in
quanto non riconducibili all’agire dei singoli individui i quali per il solo fatto di essere nati e vivere
in una determinata società sono influenzati nel modo di agire e pensare. Ciò nonostante egli
riconosce che non si puo’ pensare alla società come un qualcosa del tutto indipendente dagli
individui che la costituiscono (Olismo moderato).
L’individualismo istituzionale- POPPER- ammette solo il peso delle istituzioni-composte da
ruoli,norme e consuetudini nell’influenzare l’agire individuale (individualismo moderato).
Oltre a queste elaborazioni piu’ moderate, che tendono a ridurre le distanze tra olismo ed
individualismo, possiamo indicare la soluzione volontaristica di Parsons, ripresa da Alexander, la
soluzione dialogica di Habermas, la soluzione della strutturazione elaborata da GIDDENS.
PARSONS: LA CENTRALITA’ DEI VALORI COMUNI
Talcott Parsons esponente del funzionalismo. Dell’ideale olistico di Durkheim recepisce la
centralità della norma mentre dall’individualismo di Max Weber trae l’intenzionalità dell’agire. Una
della maggiori opere di Parsons è “Il sistema sociale”. Nella sua opera sostiene che l’interagire sia
basato sulla “doppia contingenza” incanalato da una complementarità delle aspettative” (con il
termine aspettativa Parsons intende la previsione o l’attesa di un evento al verificarsi del quale
concorre attivamente il soggetto agente che lo sviluppa nei confronti dei vari oggetti presenti nella
situazione).
Concetto di status–ruolo: lo status costituisce la posizione che il soggetto occupa all’interno della
struttura, mentre il ruolo si configura come l’aspetto processuale e dinamico, cioè relativo
all’attività che questi svolge, in relazione agli altri, per il fatto di occupare quella determinata
posizione. Quindi da un lato ogni soggetto agente è un oggetto di orientamento per gli altri soggetti
(e per se stesso) per la posizione che occupa nel sistema delle relazioni sociali (status), dall’altro
ogni soggetto agente è orientato in vista degli altri soggetti, rendendosi parte attiva con funzione di
soggetto svolgendo un ruolo. Per Parsons le “unità del sistema sociale ” sono una pluralità di
soggetti individuali interagenti tra loro in una situazione la cui relazione con le rispettive situazioni
è definita e mediata nei termini di un sistema di simboli culturalmente strutturati e condivisi.
L'interpenetrazione tra i tre sistemi può essere immaginata come un processo triangolare, nei
termini esposti nel seguente schema:
SCHEMA DELLA INTERPRETAZIONE DEI SISTEMI
SISTEMA CULTURALE
INTERIORIZZAZIONE
SISTEMA DELLA
PERSONALITA'
ISTITUZIONALIZZAZIONE
SISTEMA SOCIALE
CONFORMITA' ALLE
ASPETTATIVE DI RUOLO
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Da questo schema si evince che il sistema culturale penetra sia nel sistema personalità tramite
l’interiorarizzazione dei modelli di valore sia in quello sociale mediante l’istitituzionalizzazione
delle aspettative.
Per Parsons il fattore effettivamente unificante su cui si fonda l’integrazione dei tre sistemi d’azione
è individuabile nel “sistema culturale” che funge da chiave di volta tra individuo e sistema sociale.
Parsons individua quattro elementi fondamentali dell’azione sociale: soggetto agente - scopo situazione - orientamento normativo. Quest’ultimo è sovraordinato ai primi tre elementi perchè è
l’unico che induce una scelta. Si osserva però che il soggetto è comunque condizionato nella sua
scelta da elementi preesistenti o che ne vincolano anche in minima parte la volontà, facendo
sbilanciare verso la teoria olistica lo studio di Parsons che di fatto, nonostante i suoi sforzi, non esce
dalla visione funzionalistica, in quanto pur sviluppando una prospettiva volontaristica non riesce a
svillupparla adeguatamente perchè il rapporto tra ordine normativo e intenzionalità dell’attore si
risolve nel prevalere del primo sulla seconda.
Le teorie cibernetiche di Parsons sono caratterizzate da flussi continui di energia ed informazioni.
Energia ed informazioni danno vita ad ogni genere di azione ma proprio qui sta il limite perchè i
fattori che forniscono energia condizionano l’azione mentre quelli che forniscono informazioni
controllano l’azione stessa.
ALEXANDER E LA CENTRALITA’ DELLA QUESTIONE EPISTEMOLIGICA
JEFFREY C ALEXANDER (USA), allievo di Parsons, riprende le teorie del suo maestro. Il suo
studio è finalizzato al superamento delle interpretazioni”unidimensionali” dei fenomeni sociali
comprese quelle volontaristiche, per approdare a quelle che lui stesso definisce multidimensionali.
Egli attribuisce una importanza cruciale alla questione epistemologica dalla quale non si puo’
prescindere per affrontare il rapporto tra azione e struttura sociale. Egli procede come segue:
chiarisce la natura della conoscenza scientifica della società che include tutti i livelli (dal piu’
generale ed astratto a quello piu’ specifico e concreto) dei concetti. Elabora una propria teoria che
riprende nella sostanza la visione volontaristica di Parsons. Lo schema Alexander dispone di due
livelli di concettualizzazione: ambiente metafisico ed ambiente empirico come sotto schematizzato.
AMBIENTE METAFISICO
Componenti
o livelli di
conoscenza
presup posizioni
generali
AMBIENTE EMPIRICO
modelli
orientamenti
ideologici
Definizioni
Concetti
Leggi
Classificazioni
Correlazioni
Proposizioni
Complesse
e semplici
Osservazioni
Assunti
Ideolo gici
Le presupposizioni generali sono le concezioni piu’ generali dei fenomeni sociali e si collocano in
ambiente metafisico in qua nto realtà astratte non empiriche. Le osservazioni invece sono il massimo
della specificità e sono empiriche. Le presupposizioni generali di collocano nel “Methafisical
environment” mentre le osservazioni nell ”Empirical environment” della conoscenza scientifica. La
ricerca scientifica abbraccia tutti i livelli concettualizzazione sopraelencati che va dal ma ssimo della
generalità al massimo della specificità e viceversa. Per Alexander il procedimento scientifico si
realizza tanto con l’osservazione empirica e tanto con il ricorso ai concetti generali ma quasi
nessuna delle teorie della tradizione sociologica possiede la prerogativa di riferimento in modo
simmetrico a questi due fondamenti della ricerca. Infatti sostiene che le teorie tradizionali hanno
marcati aspetti di “unidimensionalita” in quanto privilegiano la dimensione empirica o metafisica
della realtà e di “unidirezionalità” in quanto privilegiano il procedimento conoscitivo dal massimo
della generalizzazione al massimo della specificazione o viceversa. L’imperativo da seguire per
Alexander è la “bidirezionalità” del processo conoscitivo e la comprensione della realtà sociale
nella sua “multidimensionalità”. Occorre quindi considerare le differenti e contrapposte modalità in
11
cui la tradizione sociologica interpreta e risolve i due problemi fondamentali trattati dalla
sociologia: la natura dell’azione umana e la natura dell’ordine sociale.
LA NATURA DELL’AZIONE:
L’analisi della natura dell’azione umana, analizzata seguendo i due principali orientamenti
sociologici, si precisa come una dicotomia tra orientamenti teorici unilaterali e contrapposti e
presenta un dilemma tra due modi alternativi di interpretare l’azione umana. Il primo è quello delle
teorie positivistiche secondo cui l’attore non è in grado di esercitare un controllo su elementi
oggettivi esterni che lo vincolano e ne condizionano l’azione. Il secondo è quello delle correnti
idealistiche che pongono l’accento sugli elementi ideali, soggettivi interni dell’azione che pur
possedendo anche natura normativa, paradossalmente non sono la fonte di costrizione ma anzi
caratterizzano la volontarietà dell’agire. Il fattore che realizza la sintesi paradossale tra obbedienza
alle prescrizioni e libertà è insito nella sfera interiore del soggetto “referente interno” che consente
di interiorizzare le norme da parte del soggetto facendogliele percepire come oggetti di libera scelta.
Nello stesso ambito interiore ha sede una peculiare facoltà mentale – la volontà – che consente di
raggiungere uno scopo. Gli elementi fondamentali dell’azioni sono “le norme” (ambiente
metafisico) e le condizioni (ambiente empirico). L’azione ha la seguente fisionomia: i fini
dell’azione che si specificano in norme e scopi (le norme sono definite come ideali normativi
aventi carattere di aspettative di stati futuri tramite i quali l’attore orienta l’azione; gli scopi
consistono nella specificazione degli ideali normativi imposti nel contesto della situazione in cui si
compie l’azione) e la situazione che comprende mezzi e condizioni (i mezzi dell’azione consistono
negli strumenti a disposizione dell’attore per conferirne intenzionalità, le condizioni che sono
costituite dalla porzione della situazione dell’azione che l’attore non ha il potere di controllare)
LA NATURA DELL’ORDINE SOCIALE.
L’azione viene qualificata come elemento condizionale esterno, come postulato da Hobbes e ripreso
da Parsons ovvero natura razionale in senso strumentale dell’azione, la caratterizzazione dell’ordine
sociale in senso coercitivo, la concezione della libertà dell’attore sociale. Per Hobbes “Homo
homini lupus est ” creatore di caos sociale che impone l’assimilazione dell’ordine. L’ordine diventa
dunque una realtà esterna che esercita una coercizione sull’azione del soggetto.
L’altra corrente sociologica interpreta l’azione come qualificata dall’elemento normativo interno
che la modella tramite sanzioni interne a se stessa.
Per Alexander il rapporto tra azione e struttura si precisa come segue:
1) Le norme ideali costituiscono sia un elemento della struttura sociale (perchè interiorizzate) sia un
elemento dell’azione (perchè fini dell’azione stessa);
2) la struttura, entità esteriore, intesa come ordine sociale costituisce a sua volta una condizione
dell’azione.
Esterna all'attore: Ordine sociale, norma coercitiva
Struttura
interna all'attore: Norma ideale
Norme ideali
Metafisico
Fini
scopi
ambito delle
azioni
Volontà dell'attore (sforzo, impegno nel perseguire il fine)
mezzi
Empirico
Situazione
condizioni
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Il principio unificatore dei diversi elementi è la volontà. Alexander accoglie il paradosso secondo il
quale un individuo è libero solo quando ubbidisce ad una norma da lui ritenuta giusta, da qui
LIBERTA’ DI (volontà di autodeterminazione) piuttosto che LIBERTA’ DA.
LA SOLUZIONE COMUNICATIVA: HABERMAS
JURGEN Habermas, ha dato un contributo da cui non si puo’ prescindere per approfondire i
tentativi di mediazione tra olismo ed individualismo. Autore tra l’altro dell’opera ”teoria dell’agire
comunicativo, 1986” con concezione antropologica, riserva una attenzione costante alla razionalità.
Il fondamento antropologico: L’uomo come animale linguistico. Cio’ che definisce l’essenza
dell’uomo è la capacità di linguaggio. Le componenti grammaticali, sintattiche e semantiche della
lingua qualificano l’esperienza dell’azione umana. La lingua qualifica l’azione umana come
simbolica, ovvero costituita da segni che possiedono significato e qualificano l’interazione come
comunicazione. Il divenire delle società si realizza mediante la riproduzione simbolica che trasmette
linguaggio, tradizioni anche con la riproduzione materiali delle condizioni di vita. L’uomo agisce in
cooperazione e singolarmente. Nel primo caso fa un uso comunicativo del linguaggio simbolico, nel
secondo caso non fa uso comunicativo ma caratterizza la propria azione come una interrelazione tra
oggetti non umani.
Le due tematiche chiave della sociologia di Habermas: ermeneutica e razionalità comunicativa.
L’ERMENEUTICA
L’uomo realizza il controllo della propria situazione utilizzando la lingua. Questo uso del
linguaggio da parte dei componenti di una comunità consiste nell’interpretazione del mondo e nella
definizione della situazione in cui essi si trovano. La sociologia di Habermas caratterizza l’agire in
termini di interpretazione e viene definita ermeneutica. Le fonti di questa teoria sono:
a) La fenomenologia sociale. Le realtà sono concepite come “costruzione del mondo
quotidiano” che emerge dall’opera interpretativa dei soggetti;
b) L’etnometodologia che studia il modo in cui, mediante i processi cooperativi
dell’interpretazione,vengono coordinate le azioni e contemporaneamente vengono
modificate le norme e rinnovate le forme di vita sociale
c) L’ermeneutica filosofica che spiega come ricerca l’interpretazione di un testo tramandato e
lo spiega come ricerca del “con-testo” di tale testo. Il contesto consiste nel sapere comune
dell’autore ed il suo pubblico ed è riserva culturale a cui l’autore ha attinto per costruire le
interpretazioni del mondo.
LA RAZIONALITA’ COMUNICATIVA
Si manifesta con l’appropriazione di una tradizione culturale, con l’assunzione di un atteggiamento
critico nei suoi confronti, mutando cosi’ la stessa tradizione come è accaduto in Europa con
l’avvento dell’illuminismo. E’ composta da due elementi fondamentali:
1. Il comunicare in forma di argomentazione che ha al suo interno 2 elementi: a) un’espressione
linguistica per la quale viene presa una determinata validità b) la “ragione” con la quale tale pretesa
viene stabilita
2. il comunicare come discorso sul mondo ovvero uso di una espressione riferita ad uno dei tre tipi
di mondo: a) il mondo (oggettivo) dei fatti b) il mondo delle norme (sociale) c) il mondo delle
esperienze vissute (soggettivo). Le espressioni linguistiche sui tre tipi di mondo sono razionali
perchè legate ad una razionalità suscettibile di critica.
Per Habermas la comunicazione consiste congiuntamente in espressioni linguistiche razionali piu’
diverse ed a sua volta la comunicazione diventa razionale quando è critica.
LA TIPOLOGIA DELL’AGIRE COMUNICATIVO
La comunicazione è un fenomeno linguistico e, nel contempo, un fenomeno sociale in quanto
consiste di espressioni linguistiche e di azioni: la comunicazione si perfeziona come agire
comunicativo. L’agire consiste nell’interazione di soggetti che cercano una comprensione ed
un’intesa comunicativa per coordinare, di comune accordo, l’interpretazione delle comunicazioni in
13
cui vengono a trovarsi, nonchè i propri piani di azione e pertanto il proprio agire. L’agire si
distingue in agire teleologico (comportamento di un attore che persegue uno scopo mediante la
scelta adeguata di mezzi riferendosi al mondo oggettivo dei fatti), agire regolato da norme
(comportamento dei membri di un gruppo sociale che orientano il loro agire in base ai valori
comuni riferendosi al mondo sociale delle norme), agire drammaturgico (comportamento
dell’attore che agisce con un pubblico al quale si presenta rivelando la propria soggettività e
rapportandosi cosi’ al mondo soggettivo dell’esperienza vissuta). Il primato dell’agire
comunicativo è esplicato così: “soltanto il modello di azione comunicativa presuppone il
linguaggio come medium di comprensione e intesa non ridotta ove i parlanti e gli uditori fanno
contemporaneamente riferimento a qualcosa nel mondo oggettivo sociale e soggettivo per trattare
comuni definizioni di situazione
IL MONDO VITALE
CONVERGENZE NELLA CONCEZIONE DEL MONDO VITALE TRA HABERMAS E LA
FENOMENOLOGIA SOCIALE
Il mondo sociale consiste in una “riserva di sapere” o bagaglio di conoscenze (background
culturale) che è utilizzato nelle interazioni sociali per attivare il processo comunicativo orientato
all’intesa. Per Habermas il sapere si attualizza nella misura in cui esso è diretto a definire una
situazione dell’agire la quale si configura come insieme di coordinate spaziali, temporali e sociali. Il
mondo vitale si puo’ sintetizzare, in senso fenomenologico, così come segue: Mondo vitale=riserva
di sapere+situazione. Il mondo vitale costituisce l’elemento linguistico culturale che ha una diretta
utilizzazione operativa per il fatto di venire applicato a situazioni concrete.
DIVERGENZA NELLA CONCEZIONE DEL MONDO VITALE TRA HABERBAS E LA
FENOMENOLOGIA SOCIALE
Per la fenomenologia sociale il rapporto tra la situazione ed il mondo vitale è prevalentemente
“topografico” (il qui del mio corpo, l’ora del mio presente). Per Habermas tale rapporto è
perfettamente linguistico, come “insieme di nessi semantici che sussistono tra una espressione
comunicativa data, il contesto immediato ed il loro orizzonte di significato connotativo. Nella sua
teoria la società è: la disgiunzione tra sistema e mondo vitale, che è riconducibile alla disgiunzione
tra prospettiva olistica e prospettiva individualistica.
DISGIUN ZIONE TRA SISTEMA E MONDO VITALE
Alla dicotomia simbolica-riproduzione materiale, riferita al divenire della società, corrisponde la
dicotomia mondo vitale-sistema. I mezzi di comunicazione- meccanismi sistemici coordinano il
comportamento dei consociati assumendolo come insieme aggregato di azioni appropriandosi delle
conseguenze non volute di tali azioni e organizzando queste conseguenze in connessioni di
comportamenti che sono funzionali all’integrazione della società e alla stabilizzazione della sua
riproduzione materiale. Habermas sostiene che in epoca moderna si riscontra una razionalizzazione
del mondo vitale sotto tre profili, l’ultimo dei quali concerne la disgiunzione di mondo vitale e
sistema: 1) l’ampliamento delle possibilità di esercitare le ragioni che fondano le argomentazioni
nei processi di agire comunicativi; 2) la differenziazione tra i riferimenti al mondo oggettivo dei
fatti,al mondo sociale delle norme,al mondo soggettivo delle esperienze soggettive 3) la
formazione di ambiti di socialità libera da norme etiche nella quale le interazioni sociali sono
guidate da norme tecniche proprie dei sistemi,quali ad esempio i meccanismi di mercato.
Questo profilo del mondo vitale e’ la fonte di differenziazione che contrappone una integrazione
sociale ad una integrazione sistemica. Habermas spiega il divenire dell’azione sociale non soltanto
con la “teoria dell’evoluzione sociale” ma anche secondo la “teoria della reificazione” (alienazione)
di derivazione marxista. Secondo questa teoria, nel mondo capitalistico, gli uomini sono valutati in
base al loro “valore di scambio” e nel quale i prodotti del lavoro sono considerati con una
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autonomia propria facendo apparire chi li produce meri oggetti cioè cose. Sempre secondo
Habermas le condizioni sistemiche compenetrano nel mondo vitale strumentalizzando le sue
strutture.
LA PROSPETTIVA DI MEDIAZIONE TRA SISTEMA E MONDO VITALE
Habermas elabora la sua teoria sulla società con un approccio marxista, in particolare del filsofo
Gyorgy Lukàcs ed interpreta la dinamica della società come un processo di reificazione (alienazione)
con una ipertrofia della componente sistemica rispetto a quella comunicativa propria del mondo
vitale, con disaffezione nei confronti del valore dell’argomentazione razionale. In conclusione
Habermas, pur collocandosi ad un livello prevalentemente normativo cerca una mediazione tra la
struttura sociale e l’azione sociale. La posizione di Habermas puo’ essere così sintetizzata:
TESI: situazione linguistico-comunicativa ”ideale” fondata sull’agire comunicativo;
ANTITESI: situazione linguistico-comunicativa reale nella quale il mondo vitale è colonizzato da
un sistema ipertrofico;
SINTESI: situazione linguistico-comunicativa “possibile”, corrispondente ad una razionalizzazione
del mondo vitale e del sistema nel quadro di una evoluzione sociale “libera da dominio”.
LA SOLUZIONE DELLA QUALITA’ DELLA STRUTTURA (GIDDENS, 1995)
ANTONY GIDDENS sociologo del King’s College di Cambridge tramite la teoria della
strutturazione tende a far conciliare i due elementi di azione e struttura. Introduce il concetto di
qualità della struttura che offre una terza dimensione all’agire degli attori sociali. La strutturazione
(teoria) nasce dall’assenza di una teoria dell’azione nelle scienze sociali, cercando di colmare la
lacuna, superando il concetto di posizioni antitetiche di azione e struttura. I teorici dell’azione
hanno posto l’accento sul soggetto ma hanno tralasciato di sviluppare una spiegazione strutturale
degli eventi collettivi e una teorizzazione delle istituzioni, mentre funzionalismo e strutturalismo
hanno il loro punto in comune nel sottolineare la priorità dell’oggetto sul soggetto. Ossia della
struttura sull’azione, ritenendo le cause dell’azione umana caratteristiche dell’organizzazione
sociale piuttosto che intenzioni degli agenti (A.Giddens “Central Problem in social theory”, 1979).
LA TEORIA DELL’AGIRE SOCIALE DI GIDDENS
Per Giddens l’azione è di due tipi. Una è la “coscienza discorsiva” che riguarda cio’ che gli agenti
sono in grado di fare nella loro attivita’, l’altra è la “coscienza pratica” che non richiede particolare
abilità e consente all’attore di “sapersela cavare” in determinate situazioni. Questo concetto è
innovativo e permette a Giddens di affermare che polte pratiche sociali possono essere svolte pur
non essendo direttamente motivate.
La teoria dell’agire del soggetto è così sintetizzata;
A
Inconscio
(condizioni
Sconosciute)
B
Soggettività
dell’attore
1) controllo riflessivo
2) razionalizzazione
3) motivazione
C
Conseguenze
impreviste
Inconscio e condizioni impreviste sono al di fuori del controllo dell’attore, mentre la soggettività
dell’attore consiste nella capacità del soggetto di svolgere un’attività nella vita sociale. Il controllo
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riflessivo si riferisce al carattere intenzionale dell’agire. La razionalizzazione è radicata nella
coscienza discorsiva e permette all’attore di spiegare verbalmente le ragioni del suo agire. La
motivazione interviene eccezionalmente in quanto non coinvolta in modo diretto ma risulta un
potenziale per l’azione.
LA STRUTTURAZIONE
Le azioni sociali si collocano sempre in un preciso ambito spazio temporale. Questa precisazione
induce Giddens a saldare il concetto di azione a quello di struttura, che si riferisce “alle proprietà
strutturali che provvedono a fissare lo spazio ed il tempo nei sistemi sociali”. Queste proprietà
possono essere meglio comprese come regole e risorse, continuamente impegnate nella
riproduzione di sistemi sociali. Le strutture sono temporaneamente presenti solo nel momento della
costituzione sociale. Se le strutture sussistono fuori dal tempo e dallo spazio significa che non
possono essere considerate come comportamenti storici situati in oggetti concreti e dunque la
struttura è virtuale e non puo’ essere pensata in termini concreti se non quando prende forma nei
momenti di creazione del sistema, con riferimento ad uno specifico ambito spaziale e temporale. La
struttura è un insieme organizzato di regole e risorse impiegato nella riproduzioni di sistemi
sociali.
REGOLA: apprendere una regola vuol dire che si è in grado di sapere cosa fare nelle situazioni in
cui puo’ essere applicata; attuare una regola significa generare una forma di attività. Le regole a
loro volta sono: semantiche (forniscono strutture di senso e schemi interpretativi) e morali (danno
indicazioni per valutare la condotta).
LE RISORSE: sono qualunque tipo di vantaggio o capacità che gli agenti mettono in atto al fine di
influenzare la natura o il risultato di un processo di interazione. Esse sono strumenti di potere in
senso lato e assoluto.
Giddens concepisce la struttura sia come mezzo sia come risultato dell’agire che si attiva all’interno
dei sistemi sociali. La struttura ha dualità perchè le regole e le risorse sono il mezzo tramite cui la
vita sociale è prodotta e riprodotta, ed il risultato, prodotto e riprodotto, dell’agire degli esseri
umani.
Nell’ambito di questa configurazione l’individuo agisce in modo consapevole ma nel contempo
concorre a riprodurre la struttura. In tale quadro la struttura assume la duplice funzione di mezzo e
risultato dell’agire. L’azione ha al suo interno potere, comunicazione, moralità che rappresentano i
tre momenti dell’azione concreta e trovano un corrispettivo nell’ambito della struttura grazie ai
processi di mediazione.
Dominio, legittimazione, senso, sono elementi reciprocamente interrelati e sono analiticamente
separabili nel contesto delle strutture. Il dualismo individuo-società è stato riformulato da Giddens
in azione-struttura. Per Giddens la struttura è permissiva e costrittiva. La teoria della strutturazione
pone in rilievo un aspetto sinora ignorato nelle definizioni negative del termine “costrizione”. Non
importa quanto severa essa possa essere perchè stabilisce sempre anche una serie di opportunità che
consentono di intervenire nella vita sociale. Viene così minimizzata l’incidenza “costrittiva” nella
struttura dando risalto al ruolo attivo del soggetto capace di comprendere la realtà sociale e di
intervenire efficacemente su ed entro essa. Un ruolo importante nell’intervento è dato dalla
“distribuzione delle opzioni”. Gli attori hanno sempre buone ragioni per agire ma, spesso, le
alternative sono poche e dunque la loro condotta puo’ apparire “guidata” da potenze implacabili.
Esiste comunque una dose di intenzionalità nell’azione anche quando le costrizioni sono molo
rilevanti.
CENNI DEL DIBATTITO SULLA TEORIA DELLA STRUTTURAZIONE
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La concezione dell’azione e della struttura sociale di Giddens evidenzia due caratteristiche salienti:
la prima dà vita ad una teoria dell’agire connessa ad una visione antropologica in cui l’uomo
appare un agente cosciente; la seconda è concepita come un luogo di riproduzione di pratiche
istituzionalizzate tramite lo svo lgimento di attività in larga misura di routine. La teoria di Giddens
sarebbe riuscita a valorizzare l’individuo quale agente cosciente e competente seppur costantemente
condizionato da strutture sociali che però è in grado di modificare.
LUCI ED OMBRE DELLA TEORIA DI GIDDENS
Il dibattito sulla teoria di Giddens mette in luce quanto sia difficile superare il dualismo azionestruttura che peraltro contrappone olismo ed individualismo. Lo sforzo di Giddens è stato la fonte di
apprezzamenti e di critiche. Nonostante i suoi sforzi rimangono ancora senza soluzione alcuni
quesiti. La scelta del sociologo di Cambridge di lavorare ad un livello teorico molto generale rischia
di trasformare i suoi studi in una sorta di credo che non lascia nessuno spazio alla verifica. Alcuni
interrogativi rimangono senza risposta: in cosa consiste la natura dell’azione se la teoria della
strutturazione da una parte pone l’accento sul protagonismo dell’uomo attore sociale capace e
competente e dall’altra elabora il concetto di strut tura identificandola come la base del sistema
sociale in cui gli agenti si collocano. Che spazio è lasciato al significato dell’azione? Cosa contiene
il controllo riflessivo dell’agire a parte il comportamento strategico che tenta di adeguarsi
costantement e al valore delle circostanze? (Bertilson 1984).
CAPITOLO III AZIONE E STRUTTURA
UN QUADRO DI RIFERIMENTO
Gli olisti hanno teorizzato i fenomeni sociali a partire dalla struttura, gli individualisti a partire
dall’attore. Gli olisti sono indotti a trascurare il peso della libertà individuale e a sopravvalutare
l’incidenza dei condizionamenti strutturali. Gli individualisti sottovalutano la rilevanza del dato
strutturale enfatizzando la libertà di scelta dei soggetti. Per opposte ragioni olisti ed individualisti
non arrivano a riconoscere che azione e struttura sono entrambi essenziali.T ale affermazione trova
riscontro nei dati che seguono.
a) I FENOMENI SOCIALI SONO UN PRODOTTO UMANO. L’uomo è un animale
biologicamente instabile che tende a sopperire alla sua debolezza nei confronti
dell’ambiente creando strutture che lo difendono dal mondo esterno, creando le strutture
sociali con le quali esprimere ordine ed organizzazione. I prodotti sociali dell’attività umana
hanno carattere sui generis, relativamente autonomo rispetto al loro contesto organico
ambientale (Gehlen 1985-Berger e Luckman 1969).
b) I FENOMENI SOCIALI SONO UNA REALTA’ OGGETTIVA. I fenomeni sociali sono
sempre creati dall’uomo anche se non appaiono direttamente identificabili come prodotto
umano ma come qualcosa a sè stante, dotato di esistenza autonoma oggettiva (es.la
scansione del tempo che sembra un fatto naturale ma di fatto è un’azione sociale). La
tipizzazione di Schultz: si vede un tipo in divisa che mette un foglio sotto un tergicristallo,
lo tipizziamo come “vigile urbano”, ma anche come uomo, italiano, ecc... L’insieme di
tipizzazioni influenza la relazione con la persona, che spesso non identifichiamo come tale
ma come tipo.
c) L’UOMO E’ UN PRODOTTO SOCIALE Il mondo sociale che è stato oggettivato viene
fatto proprio dalla coscienza individuale ed interiorizzato tramite processi di socializzazione
primaria e secondaria assumendo carattere di realtà soggettiva in quanto assunta dai singoli
individui. La socializzazione fa apparire l’individuo come prodotto sociale, risultante da una
serie di influenze provenienti dal mondo sociale dirette a costruirne e determinarne la
personalità.
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Alla luce di quanto sopra è possibile ipotizzare alcune conseguenze relative al rapporto azionestruttura:
1) Constatata l’esistenza di un rapporto dinamico tra uomo e mondo sociale, si puo’ desumere
l’esistenza di un nesso tra azione e struttura;
2) Il rapporto azione struttura si qualifica in termini dialettici. La prima crea, produce,
modifica, estingue la seconda che a sua volta condiziona la prima. La struttura, prodotto
dell’uomo, interviene sul suo produttore condizionandolo.
3) È possibile riconoscere un primato “genetico” dell’azione sociale perchè è alla base della
formazione della struttura, ma dal momento in cui la struttura si costituisce essa va a
condizionare e guidare i soggetti ad essa collegati o in essa coinvolti.
4) Non si puo’ affermare aprioristicamente che l’azione abbia il primato sulla struttura, è piu’
realistico proporre come unica generalizzazione la loro interdipendenza che deve essere
analizzata di volta in volta facendo riferimento ad un preciso contesto storico. Da questo
assunto emerge che la sociologia analizzi i fenomeni sociali ponendo una costante
attenzione alla loro contestualizzazione storica.
AZIONE SOCIALE
a) Spiegazione teleologica intenzionale. Fa riferimento al rapporto mezzi- fini. Si puo’ parlare
di azione solo quando esiste un rapporto di subordinazione di determinati mezzi a
determinati fini.
b) Spiegazione causale. Fa riferimento al rapporto causa effetto. L’azione puo’ essere spiegata
solo come conseguenza di eventi che la precedono.
Alla luce delle citate definizioni l’azione puo’ essere definita:
“un agire dotato di senso, intenzionale, teleologico, orientato da norme, riferito ad una
situazione che offre opportunità e pone vincoli”.
Quando un’azione puo’ definirsi sociale?
a) L’attore ha come riferimento una situazione che include altri soggetti dei quali tiene conto in
vista dell’azione e nel corso di essa;
b) L’attore è in rapporto con altri soggetti che dispongono di risorse e caratteristiche in grado di
influenzare la sua azione;
c) L’attore condivide con altri una serie di valori, di modelli, di comportamenti, di simboli,
cioè una cultura antropologicamente intesa (Cohen, 1971).
Nel caso in cui nell’azione siano presenti tutte e tre le componenti, si tratta di azione “strutturata”
che ha un grado di standardizzazione e prevedibilità superiore rispetto alle azioni non strutturate.
Intodotto il concetto di azione strutturata si puo’ passare alla struttura sociale.
STRUTTURA SOCIALE
La struttura è un insieme relativamente stabile di elementi che sono collegati tra loro in modo
particolare che interagiscono al suo interno con scopi variabili e non sempre definiti e nella quale, a
volte, sussistono conflitti di interessi tra persone e gruppi in essa operanti. La qualificazione sociale
della struttura risulta decisamente connessa alla “posizione sociale” che è un dato strutturale poichè
non è altro che il posto occupato dal soggetto all’interno di una struttura sociale. Quindi si puo’
definire come un insieme relativamente stabile di posizioni sociali differenziate e interdipendenti.
La struttura sociale risulta quindi :
a) Struttura di posizioni sociali differenti in cui è distribuita una determinata popolazione;
b) Struttura di relazioni che collegano tra loro le varie posizioni.
.
ORDINE SOCIALE, NORME E MODELLI DI COMPORTAMENTO
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La struttura sociale si qualifica anche per una certa stabilità, quindi un certo ordine ed anche il suo
contrario ovvero disordine. Secondo la definizione data da Alexander 1988, essa consiste in un
“insieme di istituzioni in cui si sostanzia l’ordine sociale collettivo”. L’ordine sociale denota
sempre una qualche coerenza, una relativa persistenza nel tempo, la presenza di limiti imposti al
soggetto ed è proprio per queste caratteristiche che l’ordine consente una certa prevedibilità nei
confronti dell’azione sociale. La tradizione sociologica contempla diverse risposte circa l’esistere
simbolico; all’interesse personale “che spinge gli uomini a cooperare anche inconsapevolmente; alla
condivisione dei valori in base al quale gli uomini trovano le ragioni della loro associazione.
ORDINE SOCIALE:SCHEMA ED APPROCCI
APPROCCI
TEORIE
OLISTICI
CONSENSUALI
OLISTICI
CONFLITTUALI
INDIVIDUALISTICI
INTERAZIONISMO
SIMBOLICO
ETNOMETODOLOGIA SOGGETTIVO
INDIVIDUALISTICI
ORDINE SOCIALE
AUTORI
DI
RIFERIMENTO
OGGETTIVO
DURKHEIMTENDENZIALMENTE COMTE
STABILE
OGGETTIVO
MARX-PARSONS
TENDENZIALMENTE
PRECARIO
NEGOZIALE
BLUMER
GARFINKEL
Il concetto di ordine, che è un prodotto umano, implica l’esistenza di norme, di prescrizioni, che
intervengono nel regolare l’azione. Le norme concorrono a modellare il corso dell’azione e possono
essere individuate attraverso la seguente tipologia:
a. norme morali – fanno riferimento alla coscienza (es. fedeltà coniugale, deontologia
professionale ecc…)
b. norme tecniche – si riferiscono alla conoscenza (es. norme sanitarie, codice civile e
penale ecc…)
c. norme rituali – riguardano la dimensione affettiva, espressiva dell’agire individuale e
collettivo (es. ricorrenze, feste, galateo ecc…)
Non tutte le norme hanno lo stesso grado di rilevanza e gli stessi poteri prescrittivi. E’ possibile
individuare insiemi di norme che riguardano specifici aspetti della vita sociale e costituiscono le
“istituzioni”. Norme socialmente rilevanti “istituzioni” possono essere: il matrimonio, la proprietà
ecc…
Le istituzioni costituiscono uno strumento di controllo dell’agire individuale e collettivo. Secondo
DAHERENDORF 1971 “sono bastioni contro la malvagità degli uomini.
Ad orientare l’azione intervengono anche vincoli, che sono delle limitazioni nella libertà di
movimento e possono essere di natura ambientale o di interdipendenza.
In una determinata formazione storico sociale è possibile individuare dei modelli di
comportamento, particolari modi di agire e di pensare che vengono adottati ripetutamente nel tempo
dai membri di un gruppo sociale - o almeno da parte di essi - così da manifestare delle uniformità e
consentire la prevedibilità delle azioni sociali. I modelli di comportamento possono essere ideali
(es. religione) o reali ovvero quelli concretamente adottati dai singoli soggetti. Una seconda
distinzione è data dai comportamenti interni (forme di pensiero) ed esterni che esprimono azioni
sociali osservabili e misurabili.
Schema MC CLUNG LEE 1970 sulla obbligatorietà e generalità dei modelli di comportamento:
19
Modelli di comportamento
1. Convenzioni
2. Morale
3. Costumi di gruppo
4. Mores
5. Pratiche
6. Consuetudini
7. Atteggiamenti
8. Sentimenti
Grado di Generalità
Tendenzialmente per tutti i membri di una società
Tendenzialmente pe tutti i membri di una società
Tendenzialmente per tutti gli appartenenti ad un particolare gruppo presente nella soc.
Tendenzialmente per tutti gli appartenenti ad un particolare gruppo presente nella soc.
per un singolo individuo e si traducono in azioni (esterno)
per un singolo individuo e si traducono in azione (esterno)
forme di pensiero e stati d0animo propri di un individui (interno)
forme di pensiero e stati d'animo propri di un individuo (interno)
Grado di obbligatorietà
bassa
elevata
bassa
elevata
bassa
elevata
bassa
elevata
*per mores si intendono quei comportamenti che fanno assumere ad una convenzione di carattere
morale e viceversa
RUOLI SOCIALI
Approccio olistico: ”il ruolo ha una connotazione normativa ed appare imposto dall’esterno
all’individuo. Deve essere assunto come dimensione obbligante”.
Approccio individualistico: ”Il ruolo si depotenzia in doverosità ed è oggetto di contrattazione.
Per Parsons il ruolo è dato dai diritti e dai doveri propri di chi interagisce con altri in base a norme
provenienti dall’esterno ma interiorizzate dall’attore. I ruoli costituiscono veri e propri mezzi
attraverso i quali si formano le azioni concrete. Diversa la concezione di ruolo nell’interazionismo
simbolico di Blumer: pur riconoscendo l’importanza strutturale dei ruoli sociali, sostiene che
l’interazione sociale avviene tra persone e non tra ruoli, persone che mentre interagiscono parlano
di problemi ed argomenti e non di ruoli che definisce come “una guida all’azione di tipo flessibile e
mutevole”
Alla luce di quanto sopra si puo’ asserire che i ruoli sono elementi stabili di riferimento che
vengono però costantemente elaborati e negoziati durante i processi interattivi e conseguentemente
non possono che costituire guide all’azione. Al carattere impositivo (olismo) si sostituisce il
carattere negoziale dei ruoli (individualismo) che consente la perdita della qualificazione normativa.
Il ruolo è in genere un’azione strutturata che si specifica inoltre per la presenza di altre
caratteristiche quali:
1) si riferisce sempre ad una posizione sociale;
2) possiede sempre una dimensione normativa;
3) presenta sempre carattere di reciprocità.
Non tutto l’agire, ancorché sociale consiste in un agire di ruolo, infatti l’agire umano contempla
quattro differenti espressioni: agire; agire-sociale; agire-strutturato; agire di ruolo.
AUTONOMIA RELATIVA DELL’AZIONE E DELLA STRUTTURA
La libertà dell’agire dell’uomo viene affrontata in modo contrapposto da olismo ed individualismo.
Nell’olismo gli individui sono esseri programmati della struttura sociale ed il loro libero volere si
riduce ad inganno e apparenza.
Per gli individualisti gli individui sono dotati di libera volontà, creano e dominano la struttura
sociale.
Rispetto a queste due tesi opposte è lecito riconoscere che tutti gli individui sono interdipendenti e
che l’interdipendenza, insieme all’interazione,impone limiti, quindi dei vincoli alla libertà di agire
con variabili di intensità:la libertà è quindi sempre limitata.
IMPLICAZIONI RECIPROCHE DI AZIONE E STRUTTURA
DAHERENDORF, 1981. Sul tema della libertà nella società riprende i concetti espressi da Weber
circa il concetto di “chance” che sono le occasioni offerte dalla struttura sociale all’individuo,
specificando che le chances di vita sono funzioni di opzioni e legature. Le prime sono opportunità,
opzioni di scelta offerte della struttura sociale;le opzioni esigono sempre e comunque processi di
scelta. Le legature sono appartenenze,ovvero legami, che istituiscono relazioni sociali che a loro
volta danno fondamento, senso e ancoraggio all’agire. Esse costituiscono dei vincoli posti dalla
20
struttura, indispensabili per dare orientamento all’individuo:le opzioni consistono in possibilità
offerte dalla struttura.
Si evidenzia una “implicazione reciproca” fra azione e struttura, nel senso che l’individuo precisa le
proprie azioni in base alle chances che sono un preciso elemento strutturale, ma queste a loro volta,
trovano attuazione tramite l’agire dell’uomo. DAHRENDORF insiste sulla necessità di una
equilibrata compresenza di opzioni e legature, precisando come nelle società pre- moderne ci sia un
eccesso di legature e una carenza di opzioni e come invece in quella contemporanea si registra un
rischio inverso. Le legature costituiscono un limite perché riducono gli spazi di libertà ma
garantiscono un ancoraggio di cui l’individuo ha bisogno per orientare la propria azione anche se
cio’ comporta la rinuncia alla libertà assoluta. Da qui la conferma di una intrinseca implicazione
reciproca di azione e struttura.
LA SOCIALIZZAZIONE: NESSO AZIONE STRUTTURA
L’essere umano appare scarsamente programmato dal punto di vista biologico. Di conseguenza
l’agire degli uomini si basa in larga misura sull’apprendimento e solo in minima parte
sull’istintività, cioè sui modelli complessi di comportamento determinato dai geni, elementi innati.
Da qui la distinzione fra azione e comportamento. La cultura, che è una creazione umana non
acquisita biologicamente, trasmessa e modificata da una generazione all’altra, svolge negli esseri
umani una funzione simile a quella svolta dalla programmazione genetica (istinto) negli animali. Gli
uccelli ad esempio migrano per programmazio ne genetica. Gli uomini per poter disporre dei
contenuti di conoscenza, cioè della cultura, devono necessariamente apprenderli; a differenza degli
animali, l'uomo possiede una ampia capacità di apprendimento.
La socializzazione consiste nel processo mediante il quale l’individuo, da essere esclusivamente
biologico diventa membro di un determinato gruppo sociale. Questo processo svolge una funzione
mediatrice tra il singolo individuo, privo all’origine di ogni socialità, e la società mancante di ogni
forma di individualità. L’apprendimento della cultura trasfigura l’uomo limitandone la libertà anche
se contemporaneamente lo rende riconoscibile da parte della società cui appartiene. La
socializzazione incide sull’individuo che dallo stato iniziale di asocialità viene man mano
incardinato nella società tramite l’apprendimento anche inconsapevole di quelle regole (cultura) che
gli consentono di diventare membro della società e di occupare in essa determinate posizioni
sociali. Si determina così che esistono una molteplicità ed una articolazione degli stessi processi di
socializzazione che non possono quindi esseri ricondotti ad una sola modalità di espressione.
Esiste un nesso ineludibile tra azione e struttura. L’azione umana è influenzata dalle strutture che
sono il risultato dell’azione umana che crea e modifica la struttura.
CAPITOLO QUARTO
L’ETEROGENEITA’ DELLE AZIONI E DELLE STRUTTURE SOCIALI
L’agire secondo Habermas: agire teleologico, agire regolato da norme, agire drammaturgico agire
comunicativo, i primi tre sono subordinati all’ultimo che risulta l’agire per eccellenza.
L’agire secondo Weber: agire razionale rispetto allo scopo, agire razionale rispetto al valore, agire
affettivo, agire tradizionale, dove il primo risulta come riferimento generale essendo piu’ chiaro per
l’osservatore che intende comprendere il comportamento altrui.
Bisogna tenere presente la distinzione fra azioni logiche ed azioni non logiche proposta da
VILFREDO PARETO 1988 secondo cui la sociologia deve procedere per esperienze e
sperimentazioni senza cadere nel “rischio metafisico”. Lo studio dei fenomeni sociali deve puntare
alla scoperta delle uniformità sciogliendo il metodo di analisi quantitativo piuttosto che qualitativo,
che adotti un metodo logico sperimentale che procede tramite l’induzione.
Solo così la sociologia potrà raggiungere gli stessi progressi dell’economia. Pareto indica due criteri
essenziali per qualificare le azioni umane:
1) ogni fenomeno sociale puo’ essere esaminato sotto il profilo soggettivo, ovvero come si
presenta all’individuo, oppure sotto il profilo oggettivo, ossia come esso è nella realtà;
21
2) le azioni devono essere raggruppate in due classi: a)azioni logiche in cui i mezzi sono
adeguati ai fini ed uniti logicamente ad esso(es.navigare a remi) b)azioni non logiche, nelle
quali questo rapporto viene a mancare (es. invocare Poseidone per riuscire a navigare).
Secondo PARETO l’ambito proprio della sociologia si colloca nello studio delle azioni non logiche
che sono formate da una parte costante, “il residuo ” che corrisponde agli istinti, ai sentimenti, ai
bisogni, e da una parte variabile, “la derivazione” che consiste nella giustificazione e nella
spiegazione dell’azione da parte dell’attore.
L’azione non logica nella sua parte variabile si puo’ dedurre dagli studi che hanno per oggetto la
“personalità modale” ovvero quella che per alcuni suoi tratti distintivi, si riscontra con maggior
frequenza all’interno di un determinato gruppo sociale.
RIESMAN sosteneva che l’agire “diretto dalla tradizione (eterodiretto) è minuziosamente
controllato dalla comunità, mentre l’agire “autodiretto” dell’uomo è guidato da interiorizzazioni
acquisite nei primi anni di vita. L’agire eterodiretto appare orientato dall’influenza della società
contemporanea ed è per questo molto variabile.
THOMAS e ZNANIECKI teorizzano l’agire “filisteo” con carattere tendenzialmente rigido,
l’agire “bohemien” con elevata adattabilità provvisoria dovuta alla mancanza di una sistematica
organizzazione, l’agire creativo che pur possedendo un carattere fissato ed organizzato fa emergere
la necessità di evolversi.
UNA TIPOLOGIA DELL’AZIONE SOCIALE
L’azione non puo’ essere ridotta ad un unico tipo, è opportuno introdurre una nuova tipologia che
individui precisi nessi tra singoli tipi di azione e la struttura sociale. Per tale scopo si distinguono
l’azione storica, l’azione teleologico-normativa e l’azione adattativa, rifacendosi ai postulati
dell’agire sociale proposti da Weber, Habermas e Hannah ARENDT. In particolare quest’ultima
offre una prospettiva particolare utile ai nostri fini. Lo studioso distingue i tre seguenti tipi di
azione:
1) Action (azione) è un’attività rischiosa che richiederebbe il coraggio di chi la compie nel
provare a confermarne la validità nel tempo. L’action produce qualcosa di nuovo, “un
inizio” che tende a durare (es. una strategia militare o politica);
2) Work (opera) azione tipica dell’”homo faber” che produce effetti concreti, cioè gli artefatti;
3) Labor (lavoro) agire completamente finalizzato al reperimento dei mezzi di sussistenza.
L’azione storica è assimilabile all”action”, quella teleologica-normativa al “work” e quella
adattativa al “labor”.
Habermas 1970 prospetta tre approcci epistemologici e li pone a fondamento di uno dei tre tipi di
azione individuati:
1) Approccio ermene utico, che comprende l’azione storica;
2) Approccio normativo-analitico che comprende l’azione teleologico-normativo;
3) Approccio empirico-analitico che comprende l’azione adattativa
ERMENEUTICA = metodo utilizzato per la comprensione di un testo (dal greco
ermeneun=interpretare)
SCIENZE ANALITICO NORMATIVE: concernono principalmente l’economia
SCIENZE EMPIRICO ANALITICHE: metodo riconducibile allo studio delle scienze naturali (i
comportamenti si riproducono in modo uniforme sono dunque prevedibili e spiegabili mediante
leggi generali).
AZIONE STORICA
Azione inaspettata che presenta sempre carattere di novità e che comporta l’assunzione di rischio da
parte del soggetto che la compie. Essa presenta incertezza dell’esito e della rilevanza delle
conseguenze prevedibili e non prevedibili. Puo’ essere individuale e collettiva. (es. azioni storiche
individuali dell’uomo carismatico Mose’ Giulio Cesare Napoleone, azioni storiche collettive
Rivoluzione Francesce, Bolscevica ecc...).
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Il concetto di azione storica collettiva di Touraine : ”l’azione storica collettiva è la
creazione,innovazione,attribuzione di un senso che si manifesta ad esempio in un movimento
sociale
che
crea
dei
conflitti,
delle
istituzioni,dei
rapporti
sociali
nuovi”.
ALBERONI asserisce che l’azione storica è riconducibile all’esperienza fondamentale di “stato
nascente" interpretata quale fattore generativo dei movimenti sociali.
ALBERT HIRSCHMAN fa ricadere nell’azione storica anche l’agire politico.
In questa categoria rientrano le grandi invenzioni, le scoperte, le creazioni che danno vita ai nuovi
metodi di organizzazione sociale: “I rapporti di forza si trasformano quando una migliore capacità
comincia ad operare attraverso la forma di organizzazione nuova (Crozier.friedberg 1978).
L’azione storica mette in evidenza la centralità dell’attore sia esso individuale o collettivo,
AUTORE EMBLEMATICO DI RIFERIMENTO: ERVING GOFFMAN
“Azione fatale” concetto di consequenzialità intesa come “la capacità di un risultato di andare oltre
quelli che sono i confini dell’occasione in cui esso viene determinato e di esercitare un influenza
obbiettiva sul resto della vita di colui che scommette”. L’azione fatale si caratterizza per una
proprietà oggettiva (possesso di virtu’ morali in specie coraggio da parte dell’attore che ne
determina il carattere) e per una proprietà oggettiva (fattore di rischio che determina l’incertezza
dell’esito positivo dell’azione). Goffman elenca una serie di azioni che hanno caratere di
problematicità e consequenzialità: imprese rischiose,errori strategici,ruoli pericolosi, attività del
politico,professione di soldato e poliziotto, sport professionistici. L’azione fatale piu’ significativa è
quella che presenta una “celebrazione dell’autodeterminazione”, assieme al possesso di virtu’
morali come il coraggio. L’azione fatale di Goffman è quindi riconducibile all’azione storica perchè
ingloba gli elementi di; interferenza sul corso degli eventi, incertezza,problematicità,rischiosità e
responsabilità dell’attore, imprevedibilità delle consegue nze, condividendo dunque il concetto di
novità.
NESSO AZIONE STORICA-STRUTTURA SOCIALE
L’azione storica si qualifica per la sua relativa indipendenza nei confronti della struttura. L’azione
storica è in grado di intervenire sulla struttura anche in modo innovativo ed è in grado di
modificarla, riformarla, contrastarla ed anche distruggerla per crearne una nuova. L’azione storica
puo’ produrre nuove strutture sia di tipo religioso e sia politico (vds Gesu’ Cristo, Napoleone ecc...)
che spesso sono causa di conflitti come le strutture preesistenti ma denotano novità e coraggio da
parte degli attori
AZIONE TELEOLOGICO-NORMATIVA
“azione conforme a norme ed orientata al perseguimento di una meta e che pertanto comporta
sempre una proiezione nel futuro”
AUTORE EMBLEMATICO DI RIFERIMENTO:TALCOTT PARSONS
Ci si riferisce all’opera fondamentale di Parsons “la struttura dell’azione sociale” 1986, nella quale
viene formulata una teoria volontaristica dell’azione che si configura come l’esito di una
convergenza fra i contributi forniti dai grandi sociologi Weber, Durkheim, Pareto e dall’economista
Marshall. La teoria dell’azione volontaristica si caratterizza sotto un duplice profilo: l’elemento
della progettualità e quello della normatività. Parsons individua nei seguenti elementi lo schema
dell’azione:
1) Colui che compie l’atto, l’attore;
2) Il fine dell’azione, che le conferisce carattere teleologico perchè rappresenta la definizione
di uno stato futuro anticipato mentalmente all’attore;
3) La situazione, che è il luogo in cui l’azione si svolge e che comprende le condizioni che
l’attore non è in grado di controllare ed i mezzi che invece sono sotto il suo controllo che gli
consentono di portare a termine l’azione;
4) L’orientamento normativo, che mette in relazione gli altri elementi dell’azione ed assume su
di essi un carattere di primazia in quanto essenziale al concetto di azione è la presenza di un
orientamento normativo.
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Nella teoria volontaristica di Parsons l’attore ha comunque una certa rilevanza grazie alle sue
facoltà mentali che lo collocano in una posizione sopraelevata rispetto alle situazioni in cui agire. Il
sociologo nordamericano riconosce la rilevanza della soggettività per la teoria dell’azione
differenziandosi dagli approcci biologici e behavioristi che concepiscono l’essere umano solo come
organismo. Nella sua teoria l’uomo viene assunto come “ego o self” e per questo il corpo si limita
ad essere, per l’attore, solo un segmento della situazione al pari degli altri segmenti. La teoria
volontaristica è una risposta alle sfide della teoria positivistica che concepisce l’azione come mero
adattamento alla situazione o all’ambiente non riconoscendo spazio all’orientamento normativo ed
al conseguimento del fine. Parsons infatti dà rilievo alla norma ed al fine che a loro volta chiamano
in causa la volontà dell’attore conferendole una rilevanza prioritaria rispetto alla facoltà conoscitiva.
In questa stessa prospettiva si colloca NEIL J.SMELSER che coniuga aspetti teleologici,
normativi e valoriali i quali “stabiliscono in termini generali le situazioni finali desiderabili che
sono la guida dell’agire umano”. I valori sono le formulazioni piu’ generali dei fini legittimi che
guidano l’azione umana.
NESSO AZIONE TELEOLOGICO NORMATIVA-STRUTTURA SOCIALE
L’azione teleologico normativa presenta sempre natura di interpretazione nei confronti delle
strutture sociali. Dalla sua nascita l’uomo si trova di fronte a strutture sociali a lui esterne ed a lui
preesistenti. Le strutture manifestano la loro connotazione normativa nella misura in cui il soggetto
“le fa proprie” interiorizzandole, ragion per cui quando obbedisce alle norme è convinto di obbedire
alla propria coscienza credendo paradossalmente di obbedire a se stesso. Dal punto di vista della
struttura opera invece il processo di socializzazione che induce ad integrare il soggetto socializzato
all’interno della struttura stessa. Da questa duplice situazione di interiorizzazione scaturisce
“l’interpenetrazione” in quanto l’individuo interiorizza la struttura e questa integra il soggetto;
tramite interiorizzazione il soggetto si appropria della struttura, tramite la socializzazione la
struttura si appropria del soggetto. In questo schema teorico entrambi sono ugualmente necessari ed
assumono pari rilevanza, perchè il rapporto di compenetrazione deve essere armonico per
consentire una continuità tra azione e struttura.
AZIONE ADATTIVA
Un azione adattiva si caratterizza per il fatto di rapportare un soggetto ad una realtà istituzionale a
lui esterna in modo tale da eliminare lo squilibrio insorto a questo rapporto. L’azione tende a
conformarsi alle regole che cambiano in relazione alle mutevoli esigenze ambientali. Si tratta
dunque di un’azione ad elevato automatismo e fortemente condizionata dall’ambiente.
AUTORE EMBLEMATICO DI RIFERIMENTO:NIKLAS LUHMANN
Opera principale ”illuminismo sociologico” 1983.
I concetti basilari della sua teoria consistono in quello di “sistema sociale” e di “ambiente”.
Il sistema sociale definisce le proprie caratteristiche e le proprie articolazioni principali sulla base
del rapporto che stabilisce con l’ambiente. La struttura è intesa in una accezione particolare ovvero
come “generalizzazione delle aspettative” che sono dei comportamenti diretti ad armonizzare
l’agire di piu’ persone e fondate sul fatto che risultano stabiliti a priori sia i tipi di comportamento
di massima prevedibili, sia i tipi di comportamento che sono esclusi dal sistema a causa della loro
incompatibilità nei suoi confronti. Per generalizzazione delle aspettative Luhmann intende
“l’acquisizione da parte del sistema di una indifferenza relativa nei confronti dei movimenti
ambientali, di una distaccata autonomia e di elasticità e mobilità nelle relazioni, tali da poter
compensare gli inevitabili flussi ambientali”.
La stabilizzazione di un sistema è un problema generato dall’ambiente mutevole e la sua soluzione
consiste nel mutamento delle funzioni che l’emergere del problema ha dimostrato essere
disfunzionale e nell’apprendimento di nuove funzioni assieme alla stabilizzazione della struttura. A
sua volta stabilizzare la struttura di un sistema significa realizzare processi di stabilizzazione
temporale, materiale e sociale delle aspettative di comportamento. Per Luhmann esiste un tipo di
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struttura fondamentale caratterizzata alla congruenza di un triplice profitto: temporale- materiale
sociale che è il diritto. Questa struttura assolve l’esigenza di: assicurare la stabilizzazione del
sistema;ridurre la complessità dell’ambiente; garantire un equilibrio perennemente rimesso in
discussione e ricomposto tra sistema ed ambiente. La condizione originaria del rapporto sistemaambiente è lo squilibrio e la riduzione della complessità dell’ambiente da parte del sistema che
conduce ad una condizione di, seppur precario, equilibrio che i continui rimaneggiamenti delle
regole concorrono a stabilizzare (Funzione adattiva).
Luhmann individua i seguenti punti salienti dell’azione adattativa:
1) Distinzione tra mondo e ambiente. La complessità del sistema è sempre inferiore a quella
del mondo e anche a quella dell’ambiente;
2) Il concetto di “confine”: sistema ed ambiente sono entità contigue e complementari poste su
uno stesso piano. Il sistema è concepito come “sistema entro un ambiente” e questa
complementarietà è evidenziata dalla differenza tra “un dentro e un fuori” che consente di
formare isole di complessità ridotta entro il mondo e di mantenere costanti. Queste isole
sono i sistemi
3) Predominanza della facoltà conoscitiva. I sistemi sociali tendono a sopravvivere tramite le
informazioni relative agli effetti del proprio comportamento, che derivano dall’ambiente che
consente al sistema di sisporre di una vasta gamma di reazioni per correggere le
conseguenze dei propri errori (funzione cognitiva di derivazione cibernetica).
Luhmann rappresenta la collettività come internamente scissa tra l’ambito microsociologico
degli individui e della microcomunità a base affettiva (come la famiglia) e l’ambito
macrosociologico costituito dalle grandi organizzazioni prevalentemente pubbliche, quali lo
stato, ma anche private.
Gli individui e le microcomunità hanno scarse capacità di ridurre la complessità dell’ambiente a
causa dei margini di attenzione, esperienza ed azione limitati e per essere caratterizzati da un
raggio di azione circoscritto e basato prevalenteme nte dalla condivisione di “affetti”.
All'opposto i sistemi organizzativi, definiti da Luhmann “sistemi sociali complessi”, hanno una
grande capacità di ridurre la complessità del loro ambiente perchè le loro prestazioni sono
strumentali e svincolate da legami affettivi.
I sistemi sociali complessi hanno una elevata capacità di attenzione che gli consente di
conoscere rapidamente l’ambiente,seppur vasto e complesso, esercitando su di esso un controllo
svincolato da legami affettivi, quindi indifferente verso le previsioni esercitate dall’ambiente.
L’indifferenza garantisce al sistema capacità selettiva e flessibilità. Luhmann definisce le azioni
delle strutture macrosociali, le cui azioni individuali sono finalizzate esclusivamente alla
stabilità del sistema in quanto all’individuo è precluso l’accesso alla comprensione dei fini delle
organizzazioni, come “azioni latenti” di soggetti che agiscono in modo inconsapevole ed
involontario rispetto agli obbiettivi dei sistemi sociali complessi. Da qui la pertinenza nel
definire adattivo questo modo di concepire l’azione nel quale i soggetti concorrono nel
realizzare l’adattamento dei sistemi al loro ambiente.
NESSO AZIONE ADATTIVA
l’essenza di una azione adattativa consiste nel ristabilire un equilibrio tra attore ed ambiente.
L’azione è guidata da norme che hanno caratteristiche diverse da quelle dell’azione teleologiconormativa, perchè non si tratta di norme etiche ma di norme “tecniche” la cui osservanza produce
automaticamente un risultato utile per chi agisce. Tali norme hanno una funzione utilitaristica per il
soggetto che se ne serve per raggiungere un determinato obbiettivo.
Il rapporto azione adattativa-struttura insiste nel criterio secondo cui ci atteniamo alle norme. Per
abitudine, per non rinunciare ad un vantaggio, per non subire un danno. Agendo in maniera adattiva
l’attore tende a stabilire, nei confronti della struttura, una situazione di equilibrio seppur sempre
precario.
AZIONI MISTE
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Di volta in volta, nell’ambito di una stessa struttura, soggetti diversi possono svolgere azioni
differenti qualificabili come storiche-teleologico normative o adattive. Nello stesso tempo le azioni
possono avere connotazione mista, ad esempio iniziare come normative e terminare come
teleologico normative. Tutti questi tipi di azione infatti, non necessariamente si escludono a
vicenda.
QUADRO RIASSUNTIVO DELLA TIPOLOGIA DI AZIONI SOCIALI
Elementi distintivi
Riferimento fondamentale
Grado di Libertà dell'attore
Natura dell'Azione
Tipo potere esercitato
Fondamenti epistemologici
Azione Storica
Attore
Elevato
Innovazione (action)
Carismatico
Scienza Ermeneutica
Nesso azione-struttura
L'azione crea, modifica, distrugge
le norme etiche e tecniche
Autore emblematico di
riferimento
Goffman
Azione Teleologico Normativa
Orientamento normativo
Medio
Opera (Work)
Legale - Razionale
Scienze Normativo-analitiche
Interiorizzazione delle norme ai
fini integrativi (prevalenza norme
etiche)
Azione Adattiva
Ambiente
Basso
Lavoro (labor)
Tradizionale
Scienze empirico-analitiche
Rapporto "opportunistico" con le
norme (prevalenza di norme
tecniche)
Parsons
Luhmann
LA VARIABILITA’ DEL NESSO AZIONE SOCIALE-STRUTTURA
Richard MUNCH, rielaborando la teoria di Giddens sulla strutturazione, evidenzia l’eterogenicità
del nesso azione-struttura, asserendo che non puo’ essere ricondotto ad un’unica interpretazione
teorica.
Processi
fondamentali
(complessità
simbolica e
contingenza
dell'azione
Caratteri dell'azione
Finalità
A
elevata
complessità
simbolica e
elevata
contingenza
Acquisizione di
molti strumenti
per conseguire
molteplici scopi
B
elevata
comp0lessità
simbolica e
scarsa
contingenza
conseguimento di
un solo scopo pur
in presenza di una
molteplicità di
possibili scopi
alternativi
C
bassa complessità
simbolica e
scarsa
contingenza
conformità a
norme particolari
D
Bassa
complessità
simbolica ed alta
contingenza
rafforzamento di
idee generali
tramite la
definizione di
situazione
Modalità
ricorso
all'intelligenza
nella
comprensione dei
processi e uso
della moneta in
situazioni di
mercato
competitivo
capacità
competitiva ed
esercizio del
potere in
situazioni di
dominio e di
conflitto
influenze
interpersonali
nell'ambito di
contesti
comunitari
applicazione di
definizioni della
situazione in
processi di
codificazione
simbolica
Principio
informatore
Struttura
Fondamentale
Mezzi di
interazione
Teoria esplicativa
determinazione del
grado ottimale
della realizzazione
dell'obiettivo
mercato
denaro
economia
scelta di un unico
scopo
potere
dominio
conflittuale
conformità alle
norme
comunità
tradizionale
influenza
normativofenomenologica
coerenza con le
idee
comunicazione
discorsiva
impegni etici
comuni
agire comunicativo
26
I contributi teorici dello schema sono utili per approfondire la conoscenza delle singole modalità
che legano le azioni alle strutture. Questi nessi non possono essere ricondotti ad un’unica
teorizzazione per la loro intrinseca eterogeneità.
IL PROBLEMA DELLA RAZIONALITA’ DELL’AGIRE UMANO
LA CENTRALITA’ DELLA DIMENSIONE RAZIONALE
Con la questione della razionalità dell’agire umano si devono fare i conti con le teorie che pongono
l’accento sull’elemento esterno di tipo condizionale e con quelle che riconoscono particolare rilievo
all’elemento normativo interno al soggetto. Le prime caratterizzano l’azione come strumentale
riducendo i mezzi ai fini; le seconde puntano l’autonomia dei fini rispetto ai mezzi. In entrambi i
casi rimane centrale la questione della razionalità. La sociologia ha sempre dovuto misurarsi con la
questione della razionalità. Il termine razio nalità viene usato con significati diversi ed in
considerazione della rilevanza che essa assume per la comprensione e la spiegazione dell’agire
sociale.
PARSONS nella “struttura dell’azione sociale” definisce razionale “l’azione che persegue i fini
possibili nell’ambito dell’azione, servendosi di quei mezzi,tra quelli di cui l’attore dispone, che
sono intrinsecamente adatti al raggiungimento del fine, per ragioni comprensibili e verificabili
empiricamente”. Secondo Parsons per agire in modo razionale l’attore deve essere in grado di
conoscere la situazione e di valutare gli esiti delle possibili scelte che ha facoltà di compiere.
SCHUTZ pochi anni dopo osserva che raramente nella vita quotidiana gli attori si comportano
secondo la logica indicata da Parsons nel suo lavoro del 1937. La percezione della realtà per Schultz
è sempre mediata non solo dalla percezione soggettiva, ma anche dalla presenza di convenzioni,
tradizioni, norme, che allontanano i nostri comportamenti da quella razionalità teorizzata da
Parsons. Ogni attore ha un bagaglio di conoscenze ed esperienze che gli consente di agire nella
realtà di ogni giorno in modo competente anche se non necessariamente razionale. Questo non
significa che la nozione di razionalità perda valore, essa piu’ che descrivere una qualità dell’agire,
va intesa come lo strumento per poter svolgere l’analisi della realtà sociale. Schutz sostiene che nei
confronti dell’azione sociale, l’aggettivo razionale va inteso come “ragionevole”. Per la sua
prevedibilità non sarebbe altro che la conseguenza dell’esperienza accumulata, che ci suggerisce la
condotta da tenere nel corso di un evento. Queste considerazioni portano Schutz ad affermare che
bisogna distinguere la razionalità dell’attore da quella dell’osservatore che è in grado, Ex-post, di
valutare rispetto ai criteri di razionalità. Per questo la razionalità piu’ che essere propria dell’attore,
è strumento mediante il quale ha luogo la conoscenza scientifica.
Per HABERMAS la ragione non è altro che uno strumento di lavoro che sottonde alle nostre attività
quotidiane. Egli rifiuta una visione astratta della ragione (separata da ogni realtà concreta) per
cercare di introdurre la razionalità nella logica dell’azione sociale. Non è dunque importante
discorrere sulla ragione ma occorre analizzare scientificamente la ragione nella azione, cioè nella
pratica comunicativa. Negli ultimi tempi razionalità è stato usato soprattutto con l’affermarsi della
“scuola della ragione” che ha cercato piu’ compiutamente di utilizzare la razionalità per spiegare
l’intera vita sociale.
LA TEORIA DELLA SCIENZA RAZIONALE
La teoria della scelta razionale si qualifica in quanto estensione del modello dell’uomo economico
alle altre sfere dell’agire sociale è un modello basato sull’idea di “comportamento massimizzante”
finalizzato alla ricerca del risultato con il minimo dei costi.
Come postulato da BECHER 1976, “si applica a tutte le sfere dell’agire umano, sia che si tratti di
comportamenti che hanno a che fare con prezzi monetari o fittizi, con scelte frequenti o infrequenti,
con decisioni importanti o meno importanti,con fini automatici o emozionalmente significativi, con
individui ricchi o poveri, uomini o donne,adulti o bambini, stupidi o intellettuali,insegnanti o
studenti. La teoria della scelta razionale è una “sfida alla sociologia” che nel corso degli anni ’80
ha prodotto sofisticati sistemi tesi al conseguimento di teorizzazioni piu’ complesse.
27
La teoria della scelta razionale si basa su tre capisaldi:
1) GLI ATTORI SONO RAZIONALI. La razionalità è concepita in senso formale (Weber).
Consiste nella scelta dei mezzi che nel caso piu’ economico consentono di conseguire i fini.
Essi esulano dall’analisi e sono dati;
2) GLI ATTORI SONO MOTIVATI DAL “SELF INTEREST” hanno cioè una spinta
utilitaristica;
3) GLI ATTORI SONO ATOMI. Sono individui senza una precisa identità e sono sganciati da
una precisa posizione sociale.
I sostenitori di questa teoria non arrivano ad affermare che il loro modello è riferito all’uomo reale,
anzi tutti riconoscono che si tratta di un modello fortemente semplificato. Essi sostengono che nel
metodo la realtà sociale puo’ essere analizzata a partire dalle azioni dei singoli individui.
ELSTER sostiene che questa posizione epistemologica nega che vi siano entità sovraindividuali
che vengono logicamente prima dell’ordine esplicativo, dando una spiegazione dei fenomeni
aggregati che parte dalle azioni individuali. La maggior parte degli autori afferma che l’azione non
è sempre e comunque razionale e che l’irrazionalità non esiste nella realtà. L’essenza di questa
teoria puo’ essere così riassunta: ”l’azione è espressione e realizzazione di una scelta compiuta
dall’attore". Tale scelta è riferita ad un paniere di preferenze razionalmente ordinate in base ai
possibili risultati dell’azione, in ossequio alla ricerca per cui, tra un insieme di azioni possibili
l’attore sceglie quella soluzione le cui conseguenze sono a lui preferite. In questa spiegazione è
centrale il nesso tra azione e ragione. Un attore è luogo di decisione e di azione, e l’azione è la
conseguenza delle decisioni dell’attore.
ULTERIORI APPROFONDIMENTI
NOZIONE DI RAZIONALITA’ LIMITATA (SIMON 1982). Nella maggior parte delle
situazioni, gli attori non dispongono dell’insieme delle informazioni necessarie e presentano
intrinseci limiti cognitivi che vanno individuati nella incapacità umana di raccogliere in modo
obbiettivo i dati di conoscenza che concernono la realtà circostante. Di norma gli attori
economizzano nella valutazione delle alternative accontentandosi di seguire una linea di condotta
soddisfacente, rinunciando a massimalizzare i risultati.
NOZIONE DI RAZIONALITA’ STRATEGICA
a) Solo di rado l’attore ha obbiettivi chiari. I suoi progetti sono in genere molteplici, ambigui,
contraddittori;
b) Il suo comportamento è attivo;
c) Il comportamento ha senso in quanto egli è razionale rispetto alle opportunità esistenti;
d) L’azione tende a cogliere le possibilità (dimensione offensiva) e a mantenere il proprio
spazio di libertà (azione difensiva).
Per quanto sopra la razionalità no n puo’ essere concepita al di fuori del contesto nel quale l’attore
opera e dal quale trae la sua stessa razionalità.
A.SEU (1977) vede nell’uomo razionale “altruismo” ricondotto alle dimensioni fondamentali di
“simpatia” (simpaty) ed impegno (commitment) nelle quali identifica 1) il disagio provocato
dall’altrui sofferenza 2) la disponibilità ad agire per gli altri, anche se cio’ comporta di andare
contro il proprio interesse. Con questo assunto SEN vuole superare il concetto egoistico dell’azione
raziona le.
J.ELSTER in Ulisse e le sirene (1983) evidenzia la capacità dell’attore razionale di legarsi a valori
di lungo periodo senza farsi attrarre dalle sirene che tendono a distoglierlo dal suo scopo. Egli
riconosce che l’azione non sempre è razionale e che vi sono problemi nell’identificare strettamente
la razionalità con il comportamento massimizzante.
BOUDON (1980) con l’idea delle ”buone ragioni” asserisce che esse possono anche essere
obbiettivamente non valide ma non per questo inefficaci nel guidare l’azione. L’attore sociale, in
virtu’ delle sue “buone ragioni” puo’ addirittura arrivare a credere ad idee false. BOUDON
28
distingue tra razionalità soggettiva e razionalità oggettiva e definisce la razionalità come uno stile di
comportamento adatto al perseguimento di determinati fini entro i limiti imposti da certe condizioni
e limitazioni.Gli sviluppi della teoria dell’uomo razionale sottolineano la nozione di “effetti
perversi” (unintended conseguences) ripresa dal concetto di “consequenzialità delle attese” dato da
MERTON. Questa analisi porta al superamento definitivo della posizione che vede dietro la
società, dietro ad ogni evento sociale, sempre e qualcuno che lo ha voluto, progettato, realizzato
(Antiseri 1991).
AL DI LA’ DELL’UOMO RAZIONALE
Nei rapporti tra azione e razionalità rimangono ancora molti punti oscuri. “la formazione del
sistema delle preferenze” non puo’ essere considerato come un fenomeno puramente individuale,
ma va visto come un ”processo strettamente interconnesso con la realtà socio culturale circostante”.
Le preferenze, assunte come razionali, non possono essere messe in discussione da standard etici
collettivi. L’azione umana è razionale quando: i suoi scopi perseguono i fini di carattere generale
nel modo piu’ efficace in rapporto ai costi-benefici; i fini di carattere generale non sono mossi da
ideali ma si prefiggono di massimizzare il piacere e minimizzare il dolore. L’azione razionale si
caratterizza non solo per riduzione dei fini ai mezzi ma anche per l’adattamento dell’autore alla
situazione. Questo rapporto è guidato soltanto dall’efficienza e si fonda sulla conoscenza esatta che
l’attore acquisisce dalla situazione e peculiarmente dall’elemento condizionale dell’azione stessa.
Un altro problema è dato dalla capacità di autocontrollo del soggetto rispetto alle proprie
preferenze e quindi dalla capacità di intervenire per modificarle (HIRSCHAMANN 1982:
La scelta è un processo che lavora contemporaneamente su diversi registri temporali e su diversi
campi di riferimento. Occorre tenere conto del contesto in cui l’azione ha luogo perchè nella teoria
della scelta razionale si tende a ridurre questo concetto al problema della raccolta e del trattamento
dell’informazione da parte del soggetto.
SIMON ha parlato di “razionalità limitata” proprio riferendosi alla limitata disponibilità di
informazioni in possesso dell’attore. La realtà sociale non puo’ ridursi ad un fascio di dati di cui
l’attore puo’ disporre. Al contrario gran parte della tradizione sociologica insiste “sull’elevato grado
di ambiguità che caratterizzate le azioni umane.
GOFFMANN (1959) ha dimostrato che le nostre azioni piu’ che da una valutazione soggettiva
delle opportunità disponibili, sono sovente orientate dalle reazioni degli altri in un processo
interattivo complesso fatto di ambiguità e reattività piu’ che da trasparenza e calcolo.
AZIONE STRUTTURA RAZIONALITA’
Un’azione è spiegata quando si puo’ dimostrare che è stata compiuta per determinate ragioni.
Concludendo si puo’ osservare che la teoria della scelta razionale è un tentativo di risolvere un
problema classico relativo all’azione mediante il ricorso ad un modello efficace perchè semplice e
facilmente formalizzabile. Il problema nasce quando tale modello si propone come alternativo e
sostitutivo dei modelli tradizionali nei cui confronti appare debole e poi non riesce a risolvere il
rapporto azione struttura perchè trascura alcune dimensioni costitutive dell’agire umano.
DIMENSIONE RAZIONALE E DIMENSIONE EXTRA RAZIONALE
L’osservazione e lo studio della realtà empirica hanno ripetutamente confermato l’esistenza e la
rilevanza di una sfera extra-razionale che è cruciale per la comprensione dell’azione sociale.
ACHILLE ARDIGO’:
secondo la sua teoria, anche il prescentifico mondo della vita, in continua trasformazione, diviene
rilevante per la comprensione dell’azione sociale: “quel mondo della vita che nella nostra esistenza
ci è largamente pre-dato non è mero ambiente rispetto alla nostra soggettiva autoreferenzialità”.
Ritiene che il punto essenziale per comprendere l’azione sociale risiede proprio nella dialettica tra
mondo della vita e capacità autocosciente,introspettiva e comunicante del soggetto.
MICHEL MAFFERSON teorizza che nelle società avanzate si registra un nuovo eppure
antichissimo paradigma “dionisiaco” dai tratti neo-tribali. Il sentimento e le passioni tendono a
riaffermare la loro centralità nel gioco societario. Per questo l’organizzazione razionale deve
29
riconoscere che alla sua base c’è una logica passionale che non puo’ essere cancellato da alcun
progetto illuministico.
ALEXANDER ha tenuto conto dell’extra-razionale per sviluppare l’approccio alla teoria
multidimensionale, che cerca di considerare la dimensione razionale (strumentale) e quella non
razionale (normativa) dell’azione allo scopo di coniugare l’aspetto volontaristico interno alla
soggettività con i condizionamenti esterni, la libertà con la coercizione. L’incontro tra questi
elementi si realizza grazie ad un piu’ organico collegamento tra azione e l’ordine sociale inteso
come il problema del coordinamento in unità, della pluralità di individui agenti, in forme sociali
non casuali. Su questa base Alexander ritiene che sia possibile giungere ad un incontro tra ordine e
libertà. Solo un approccio multidimensionale puo’ consentire di superare le “aporie” (difficoltà
insolubile di un ragionamento) che affliggono il determinismo oggettivistico e l’idealismo
soggettivistico.
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GLOSSARIO
Positivismo
Indirizzo filosofico fondato sulla posizione privilegiata della conoscenza scientifica e sperimentale,
concepita come l'unica forma legittima di conoscenza della realtà. La parola 'positivismo' fu
utilizzata per la prima volta da Saint-Simon per indicare la caratteristica propria del sapere
scientifico, inteso come un sapere 'positivo', cioè rivolto alla realtà effettiva (in contrapposizione
alle vuote astrazioni della metafisica), e pertanto valido perché verificabile sperimentalmente. Ma il
vero e proprio fondatore del positivismo è stato Auguste Comte, allievo e collaboratore di SaintSimon e autore di un “Corso di filosofia positiva” in sei volumi (1830-1842). I diversi pensatori che
si sono riallacciati alle sue idee, pur dando luogo a indirizzi autonomi, hanno perlopiù condiviso le
seguenti tesi: il rifiuto della metafisica come pseudosapere, l'identificazione dell'oggetto della
conoscenza con i dati di fatto così come sono studiati dalle scienze sperimentali, l'estensione dei
metodi della scienza naturale a tutti i settori del sapere, la fiducia nel progresso dell'umanità come
effetto del progresso scientifico. Erede in larga parte dell'illuminismo del Settecento e dello spirito
dell'empirismo inglese, il pensiero positivistico non è del tutto estraneo al clima delle filosofie
romantiche della storia sviluppatesi nei primi decenni dell'Ottocento. Ma soprattutto il positivismo
avrebbe costituito, nel corso del XIX secolo, una prospettiva globale che guardava con ottimismo ai
grandi mutamenti culturali in atto nella società europea e negli Stati Uniti, entrati nella fase
dell'industrializzazione. Si possono nondimeno distinguere alcuni orientamenti di fondo del
positivismo ottocentesco.
Secondo Comte le conoscenze umane sono passate attraverso tre stadi: lo stadio teologico, lo stadio
metafisico, lo stadio positivo o scientifico, il quale soltanto può essere considerato come definitivo.
'Nello stadio positivo', scrive Comte, “lo spirito umano rinuncia a indagare l'origine e la
destinazione dell'universo e a conoscere le cause intime dei fenomeni, per tentare unicamente di
scoprire, mediante l'uso ben combinato del ragionamento e dell'osservazione, le loro leggi effettive,
cioè le loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza”. Compito della filosofia è
unicamente quello di offrire una classificazione delle scienze, che per Comte sono la matematica,
l'astronomia, la fisica, la chimica e la biologia, secondo una divisione che corrisponde all'ordine
storico con cui esse si sono emancipate dallo stadio teologico e metafisico per entrare in quello
positivo. Ma l'obiettivo di Comte era di favorire la nascita di una nuova scienza, cioè la sociologia,
che studiasse empiricamente i fenomeni sociali.
Sociologia
Disciplina scientifica che, attraverso il ricorso a propri metodi di indagine e tecniche di ricerca,
studia la società e la vita sociale, allo scopo di comprendere le leggi che sono alla base delle loro
dinamiche e del loro mutamento.
Oggetto dello studio sociologico sono gli individui in quanto esseri sociali, interagenti cioè con altri
individui, e quindi: le relazioni e le norme che stabiliscono (linguaggi, convenzioni, costumi, riti,
leggi ecc.); gli aggregati e le strutture che creano (gruppi, famiglie, classi, istituzioni ecc.); i ruoli e i
fenomeni che la relazione tra gli individui produce (status, poteri, conflitti ecc.).
L’indagine sociologica ha avuto tra i suoi primi oggetti di studio i fenomeni legati allo sviluppo
industriale e all’urbanizzazione e ha legato la sua ricerca successiva soprattutto al tentativo di
comprendere i mutamenti che si verificano all’interno delle società moderne. Molto genericamente,
si potrebbe definire la sociologia la “scienza della modernità”. Viene annoverata tra le scienze
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sociali – insieme con l’antropologia culturale, la psicologia, la storia, la geografia, l’economia,
l’etologia, la scienza della politica ecc. – con cui condivide campi di studi e strumenti di ricerca.
La sociologia come insieme di conoscenze sistematiche è una scienza di recente costituzione. Fu
Auguste Comte a usare già nel 1824 (e poi di nuovo nel 1838, nel suo Corso di filosofia positiva) il
termine “sociologia”, in sostituzione dell’espressione “fisica sociale”, precedentemente usata dallo
stesso Comte. Per Comte, la nuova disciplina avrebbe dovuto scoprire le leggi fondamentali che
governano le società, come le scienze fisiche avevano individuato le leggi naturali.
Il filosofo inglese Herbert Spencer sviluppò ulteriormente la concezione originaria di Comte,
assimilando la società a un organismo vivente. Padri della nuova scienza sono considerati anche
altri filosofi dell’Ottocento, come Karl Marx e Saint-Simon, Alexis de Tocqueville e John Stuart
Mill.
In Francia la sociologia venne riconosciuta disciplina accademica fra il 1880 e 1890. Emile
Durkheim fu il primo a fondare una vera e propria scuola di pensiero sociologico e si batté perché
alla nuova scienza fosse riconosciuta una sua specifica autonomia. Secondo uno dei principi
fondamentali della teoria durkheimiana, esistono realtà indipendenti dalla volontà dei singoli
individui, i fatti sociali, spiegabili solo considerando i fattori sociali che li determinano;
un’applicazione esemplare di tale principio è costituita dall’analisi sociologica di un fenomeno
apparentemente del tutto psicologico come il suicidio.
Uno sviluppo importante per la definizione della nuo va scienza si ebbe in Germania, dove la
sociologia fu riconosciuta come disciplina accademica agli inizi del Novecento e uno dei suoi
maggiori esponenti fu Max Weber. Invece di emulare le scienze naturali (come accadeva in Francia
e in Inghilterra), la sociologia tedesca, grazie a Weber, Georg Simmel e all’influenza di Wilhelm
Dilthey e del marxismo, elaborò un nuovo metodo d’indagine. Oltre a spiegare i fenomeni
dall’esterno, i sociologi tedeschi si imposero di comprenderli dall’interno, intuendo che la
comprensione dell’azione sociale è imprescindibile dalla considerazione del soggetto che la compie
e che ogni fatto sociale è un fatto a sé, dal quale non si ricavano regole generali
All’interno della disciplina sociologica, nel corso del suo sviluppo si sono distinti vari orientamenti,
di cui i principali sono il funzionalismo, la sociologia critica, la sociologia marxista, la sociologia
neoweberiana, l’interazionismo simbolico. Il funzionalismo ritiene la società un sistema funzionale
e adattativo, dove i comportamenti individuali e collettivi e le strutture sociali corrispondono alle
esigenze di sopravvivenza della società. Questa concezione, presente già nell’opera di Saint-Simon
e Comte, ha tra i suoi principali esponenti Durkheim, Talcott Parsons, Robert King Merton.
L’approccio funzionalista, abbandonato per un lungo periodo di tempo, è stato ripreso negli anni
Ottanta, soprattutto nell’opera di Niklas Luhmann.
Funzionalismo (sociologia)
In sociologia, prospettiva teorica che considera la società composta da parti interconnesse e
interdipendenti, in modo tale che la rottura dello stato di equilibrio, eventualmente prodotta da una
singola parte, tenda a essere compensata dal mutamento che interviene in un'altra parte, in una sorta
di reazione a catena. La prospettiva funzionalista, che ha avuto larga diffusione nelle scienze
sociali, afferma che un certo fenomeno esiste in quanto correlato a una pluralità di fenomeni che
variano sistematicamente al suo variare. Essa presuppone cioè l'esistenza di un sistema di forze
interrelate, che può essere espresso anche mediante formule matematiche. Principali esponenti di
32
tale prospettiva furono Talcott Parsons e Robert Merton. In particolare, secondo Parsons tutto ciò
che esiste nella società è funzionale rispetto all'intero sistema sociale o ad alcune sue parti; ciò che
continua a conservarsi quindi risponderebbe a precise esigenze sociali.
2.
LA CRITICA AL FUNZIONALISMO
La critica più rilevante, mossa alla versione parsonsiana del funzionalismo, riguarda il suo
conservatorismo: infatti, se ogni istituzione si conserva soltanto in quanto utile e funzionale, da ciò
consegue una vera e propria difesa acritica dell'esistente che risulterebbe quindi costituito
dall'insieme di stati, processi e istituzioni migliori (o più funzionali possibile); la filosofia
sottostante sarebbe dunque che “ciò che esiste è anche ciò che è meglio”. Merton, introducendo le
nozioni di 'disfunzione' e di 'funzione latente', ha in parte tentato di porre rimedio ai limiti della
versione precedente, tuttavia il declino della prospettiva funzionalista è continuato fino ai giorni
nostri. La prospettiva marxista infatti ha largamente influenzato il filone dei teorici del conflitto (fra
cui si annoverano ad esempio gli studiosi della scuola di Francoforte) che, contrariamente ai
funzionalisti, considerano la società come un'arena attraversata inevitabilmente da conflitti sociali.
Sistema sociale
In sociologia, insieme di rapporti fra gli elementi costitutivi di una società. La struttura di un
sistema sociale è, pertanto, rappresentata dalla totalità delle relazioni sociali che ogni singolo
soggetto, individuale o collettivo, intrattiene con altri e le cui caratteristiche sono indipendenti dalle
individualità ma corrispondono a precise aspettative di ruolo e di posizione.
Il concetto di sistema sociale ha favorito analisi più ampie e dettagliate dei fenomeni sociali ed è la
traduzione, in termini sociologici, della nozione generale di sistema elaborata dalle scienze naturali.
Ogni sistema, infatti, astrattamente si presenta come una totalità, in cui le singole parti sono in
relazione reciproca e danno vita a un complesso con caratteristiche non riconducibili semplicemente
alla somma dei singoli elementi da cui è composto.
L’idea che la società possa essere considerata come un tutto, in cui le parti sono reciprocamente
interdipendenti, è presente, sia pur con valenze diverse, fin dagli esordi della sociologia. Nel XIX
secolo, ad esempio, Auguste Comte e Herbert Spencer interpretarono il concetto di sistema sociale
in termini fisiologici. Secondo questa prospettiva, la società può essere paragonata a un organismo
vivente, il cui stato generale di salute dipende dal corretto funzionamento e dalla reciproca
interazione di tutti gli organi. Riportando questi concetti alla realtà sociale, ciò vuol dire che ogni
singola unità, interagendo con le altre, può determinare e condizionare l’andamento generale del
sistema.
Anche Karl Marx condivise una concezione sistemica della società, non assimilabile però a quelle
di tipo organicistico. Per Marx, i diversi elementi del sistema sociale (i rapporti di produzione, le
forze produttive, le classi sociali, le ideologie, i fenomeni culturali, le religioni, il diritto ecc.), pur
essendo strettamente collegati fra loro, non sono in grado di influenzarsi reciprocamente. Infatti,
solo i rapporti di produzione sono capaci di modificare e di condizionare gli altri fattori, che quindi
da essi dipendono primariamente.
Agli inizi del XX secolo, Vilfredo Pareto sviluppò un approccio, più propriamente meccanicistico,
che dedicava una particolare attenzione allo studio dell’equilibrio sociale inteso come il risultato di
forze contrapposte, di attrazione e di repulsione, presenti in una data collettività. Per Pareto,
33
l’equilibrio, ossia lo stato normale di un sistema, può essere minacciato e modificato da individui o
gruppi che agiscono in contrasto con il resto della società, creando così la possibilità di una catena
di azioni e reazioni.
Si deve a Talcott Parsons la teorizzazione più completa della società in termini sistemici. Per
Parsons, nel sistema sociale non agiscono però gli individui, ma i ruoli che essi ricoprono e che
sono determinati dallo status, indipendente dalla personalità del singolo. Per Parsons il sistema
sociale tende automaticamente a riequilibrarsi e a riprodursi.
In epoca più recente alcuni sociologi hanno tentato di porre a fondamento della concezione
sistemica della società alcuni presupposti basilari tratti dalla teoria dei sistemi. Questo settore
dell’epistemologia contemporanea cerca di rintracciare e definire le proprietà generali dei sistemi,
cioè i principi validi per tutti i tipi di costellazione sistemica indipendentemente dalle specifiche
caratteristiche degli elementi che le costituiscono. In particolare, l’osservazione sistemica che tutte
le relazioni sono interpretabili come flussi di informazioni ha portato il sociologo tedesco Niklas
Luhmann a considerare la società nel suo complesso come il sistema al quale fanno riferimento tutti
i sistemi sociali che la costituiscono, nella misura in cui essa garantisce le condizioni di
sopravvivenza di ogni singolo sistema, va le a dire la produzione e la riproduzione della
comunicazione.
Nella riflessione sociologica contemporanea il concetto di sistema sociale presenta alcune
caratteristiche quasi unanimemente condivise. Innanzitutto esso viene applicato a ogni forma di
raggruppamento umano mediamente strutturato, e non più soltanto alla società nel suo complesso.
Inoltre i suoi elementi costitutivi non sono i singoli individui ma le azioni e i comportamenti definiti
da determinate posizioni sociali e dai ruoli corrispondenti. Ne consegue, quindi, che un individuo,
in virtù della molteplicità dei ruoli e delle posizioni sociali che ricopre nel corso della sua esistenza,
può appartenere a più sistemi, contemporaneamente o successivamente. Il che vuol dire, anche, che
ogni costellazione sistemica presenta delle interazioni caratteristiche e diversificate rispetto a quelle
degli altri sistemi, fra i quali, quindi, è possibile stabilire dei confini e delle modalità di rapporto.
L’analisi e la lettura dei fenomeni sociali in chiave sistemica ha permesso non solo di identificare e
di comprendere, in maniera più precisa, il funzionamento di alcuni settori e di numerose dinamiche
sociali, ma anche di prospettare la costruzione di sistemi sociali completamente nuovi.
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