numero 32 - Associazione Pordenonese di Astronomia

OSSERVARE LE STELLE:UN BREVE RIPASSO…!
(G. Carrozzi)
La nomenclatura stellare (e delle costellazioni) è il…pane quotidiano per gli astrofili, sia che operino su
carte stellari sia su cataloghi informatici.
Vediamo allora di richiamare alla mente quelli che sono i principali elementi in gioco cercando di
semplificare al massimo ogni notizia storica, ma senza tralasciare l‟aspetto tradizionale che ha dato nome
e cognome ai molteplici corpi celesti.
Iniziamo dalle Stelle che, come ben noto sono caratterizzate da un nome e/o da una lettera dell‟alfabeto
greco.
A. NOME PROPRIO.
Molte stelle sono nominate con un nome proprio la cui assegnazione risale all‟antichità classica.
Nella Sintassi di Tolomeo (II sec. a.C.) le stelle, per la maggior parte, erano contraddistinte solo in base
alle loro coordinate ed alla loro collocazione entro le mitologiche figure delle costellazioni.
Paul Kunitzsch (Univ. di Monaco) , glottologo che ha studiato a fondo l‟origine dei nomi delle stelle, ha
scoperto che la maggioranza dei nomi attualmente in uso ha provenienze diverse. Alcuni, come
Aldebaran, derivano dall‟arabo preislamico, mentre altri si basano sulla traduzione dall‟arabo della
posizione della stella così come descritta nella Sintassi. Altri nomi stellari, che sembrano arabi, sono in
realtà di origine europea e deriverebbero, sempre secondo Kunitzsch dalla alterazione intenzionale o
casuale di termini arabi e la loro adozione si deve ad alcuni studiosi, fra cui Joseph Scaliger (540 –
1609)filologo francese, e Giuseppe Piazzi (1746 – 1826), astronomo italiano che nel 1814 pubblicò un
catalogo stellare. Generalmente in astronomia si usa il nome latino originale, ma molto spesso si trova, tra
parentesi, il corrispondente nome italiano.
B. DESIGNAZIONE CON LETTERA GRECA
Nel 1603l‟astronomo tedesco Johann Bayer (1572 – 1625) introdusse il metodo sistematico di
nomenclatura delle stelle basato sulle lettere dell‟alfabeto greco e lo utilizzò per primo nel suo atlante
celeste splendidamente illustrato: l’Uranometria nova (1603).
Grazie alla diffusione raggiunta da quest‟opera la designazione delle stelle con lettere greche venne
adottata su vasta scala.
Alle stelle vennero così assegnate delle lettere, iniziando da per quella più brillante e procedendo con le
successive lettere dell‟alfabeto in base alla luminosità decrescente. Veniva così fissata la stella all‟interno
della costellazione che la comprende. La designazione completa comprendeva inoltre il nome della
costellazione al genitivo. Per esempio la stella Arturo(stella di prima grandezza = ) si trova nella
costellazione del Boote per cui la designazione esatta e completa sarà: Alpha Botis, o Boo.
Qualora le stelle abbiano come designazione lettre greche di difficile trascrizione – xi oppure zeta vengono indicate con il nome della lettera greca per esteso, come p.e.: Zeta Herculis.
C. COSTELLAZIONI
La maggior parte delle costellazioni fu ideata nell‟antichità, quando le diverse figure disegnate dalle stelle
venivano interpretate come rappresentazioni di animali o esseri umani tratti dalla mitologia. Secondo
Owen Gingerich, astrofisico e studioso di storia dell‟astronomia all‟università di Harvard, il fatto che i
poli d‟Europa, Siberia,e Nordamerica riconoscessero nelle stelle dell‟Orsa Maggiore per l‟appunto un
“grosso orso” potrebbe indicare che l‟origine di questa costellazione risale addirittura all‟ultima
glaciazione, quando il ponte naturale dello Stretto di Bering rese possibile una migrazione dall‟Asia
all‟America. Manufatti di argilla e di pietra fanno pensare che alcune costellazioni, come il Leone, la
Vergine e il Toro, fossero note ai Sumeri prima del 3000 a.C.. Vi sono altri indizi che fanno supporre che
molte delle costellazioni attuali abbiano avuto origine in Mesopotamia in epoca antecedente il primo
millennio a.C.. Il prof. Gingerich ha rilevato inoltre che le prime documentazioni delle costellazioni
zodiacali risalgono al 700 a.C. circa.
1
Dalla mesopotamia le figure delle costellazioni furono introdotte in Grecia attorno alla prima metà del I
millennio a.C. e, circa dal IV secolo a.C., molte di esse vennero associate alla mitologia greca.
Nel II secolo a.C. Tolomeo descrisse un complesso di quarantotto costellazioni tradizionali.
L‟Europa medievale non ebbe a disposizione le antiche rappresentazioni pittoriche di queste costellazioni, così nel
1515 il pittore Albrecht Drer disegnò una serie di figure delle costellazioni sulla base delle descrizioni di
Tolomeo. A loro volta i disegni di Drer ispirarono quelli dell‟Uranometria del Bayer e in tal modo costituirono la
base delle raffigurazioni attuali delle costellazioni.
Nel 1930 l‟Unione astronomica internazionale, che è l‟organizzazione mondiale degli astronomi professionisti,
definì ufficialmente il complesso delle ottantotto costellazioni come le regioni della sfera celeste delimitate da ben
determinati confini. Venivano individuate anche le costellazioni visibili solo nell‟emisfero australe e molte
costellazioni boreali deboli. Tutte però ideate solo nel corso degli ultimi secoli.
D. MAGNITUDINE APPARENTE (m)
Nel II secolo a.C. l‟astronomo greco Ipparco ideò sei categorie o “magnitudini” (o anche “grandezze”) per definire
la luminosità relativa delle stelle: le stelle più luminose (quelle che apparivano per prime nel cielo dopo il tramonto
del Sole) vennero dette di prima magnitudine, mentre alle più deboli che apparivano in cielo in successione venne
assegnato un numero crescente sino alla sesta: le più deboli che l‟occhio poteva percepire.
Nel 1856 Norman Robert Pogson (1829 – 1891) perfezionò il sistema di magnitudini tradizionale. Egli scoprì che
le stelle di prima magnitudine erano circa cento volte più luminose di quelle di sesta e questo lo portò a definire fra
ciascuna categoria di magnitudine un rapporto di intensità di circa 2,5. (vds. articolo su nr. 14 agosto 1993 su
Notiziario APA).
La stella Vega (nella costellazione della Lyra) fu presa come punto di partenza nella scala delle magnitudini e fu
definita di magnitudine 0,00. Successive misure con tecniche fotoelettriche e confronti fra la luminosità delle stelle
permisero di determinare la magnitudine delle altre.
Alle stelle più deboli vennero assegnati i numeri positivi in ordine crescente. A occhio nudo ed in condizioni
favorevoli la maggior parte delle persone è in grado di vedere oggetti fino a circa la magnitudine 6,5. Valori
negativi si usano per indicare oggetti brillanti come: Arturo (-0,1),
Sirio (-1,5), pianeta Venere (-4,4 al massimo della luminosità). La Luna piena ha magnitudine –12,5 ed il Sole
splende con una magnitudine apparente di –26,8.
E. MAGNITUDINE ASSOLUTA (M)
La magnitudine assoluta di una stella indica il grado di luminosità con cui la vedrebbe brillare chi l‟osservasse dalla
distanza convenzionale di circa 32,6 anni luce (10 parsec).
Per mettere a confronto le effettive luminosità delle stelle senza essere costretti a prendere in considerazione le
differenze di luminosità dovute alla distanza dalla Terra, in astronomia si ricorre all‟impiego delle magnitudini
assolute.
Sempre considerando Arturo, poiché la sua distanza reale è quasi uguale alla distanza convenzionale della
magnitudine assoluta, la magnitudine assoluta e quella apparente sono pressoché uguali.
F. COLORI E CLASSE SPETTRALE
I colori delle stelle che sono riportati nei vari cataloghi stellari, sono colori apparenti basati su quelli proposti nel
1981 dagli astronomi Howard Cohen e John Oliver come rappresentativi delle tonalità effettivamente percepite
dall‟occhio umano.
Le lettere: P, B, A, F, G, K, M contraddistinguono le categorie di classificazione spettrale attualmente in uso.
L‟indicazione “p” per “peculiare” è usata a volte per identificare una stella con linee spettrali piuttosto insolite.
Ogni classe spettrale è, a sua volta, suddivisa in 10 sottoclassi.
Le classi spettrali indicano varie caratteristiche della stella, fra cui la temperatura della sua superficie. Nella tabella
di seguito sono riportate le le principali classi spettrali e le relative temperature superficiali.
Da notare che in astronomia si usano i gradi della scala Kelvin, o scala assoluta, per indicare la temperatura delle
stelle. I gradi Kelvin hanno lo stesso valore di gradi Celsius (o centigradi) ma il punto zero della scala equivale allo
zero assoluto cioè –273 gradi Celsius.
La temperatura di una stella e la pressione dipendono sopra tutto dalla massa iniziale e dall‟età della stella stessa.
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Colore apparente
Classe spettrale
Temperature in gradi Kkelvin
O5
40.000
BO
28.000
B5
15.500
AO
9.900
A5
8.500
FO
7.400
F5
6.600
GO
6.000
G5
5.500
KO
4.900
giallo
K5
4.100
giallo - arancione
MO
3.500
M5
2.800
bianco - azzurro
bianco
bianco – giallo
G. CLASSE DI LUMINOSITA‟
Le categorie di luminosità delle stelle elencate di seguito furono introdotte da William W. Morgan, Philip C.
Kennan e Edith Kellman dell‟ Osservatorio di Yerkes.
Ia
supergiganti molto luminose
Ib
supergiganti meno luminose
II
giganti luminose
III
giganti normali
IV
subgiganti
V
stelle della sequenza principale
Non appena, nel nucleo di una protostella che si contrae, la temperatura raggiunge all‟incirca i 10 milioni di gradi
Kelvin, ha inizio la fusione termonucleare dell‟idrogeno in elio e cessa la contrazione. La nuova stella raggiunge
quella che per la sua posizione nel diagramma HR viene detta sequenza principale. La posizione di una stella lungo
la sequenza principale dipende essenzialmente dalla sua massa totale, per cui nella sequenza le stelle più pesanti si
trovano in alto a sinistra e le meno pesanti in basso a destra.
Quando le stelle hanno esaurito la riserva di idrogeno del loro nucleo, cominciano a gonfiarsi e lasciano il loro
posto nella sequenza principale del diagramma HR per diventare giganti. In seguito all‟aumento di diametro i loro
strati esterni si rarefanno e la temperatura superficiale scende.
Per una stella la durata della fase nella sequenza principale dipende sopra tutto dalla sua massa totale. Le stelle più
pesanti si evolvono in giganti dopo aver trascorso qualche milione di anni nella sequenza principale, mentre una
stella di massa media, come il Sole, richiede circa 10 miliardi di anni per evolversi.
Le subgiganti rappresentano la prima fase evolutiva che segue all‟uscita dalla sequenza principale. La maggior
parte delle stelle si trasformano in giganti normali e quelle di maggiore massa della sequenza principale si
trasformeranno in supergiganti. Queste stelle attraversano le fasi della loro evoluzione di “corsa”, impiegando solo
qualche milione di anni. Di conseguenza le supergiganti sono relativamente giovani anche se sono prossime alla
fine della loro evoluzione.
H.
I. DISTANZA
L‟anno luce (AL) è una unità di istanza (non di tempo) molto usata in astronomia. Un anno luce è la distanza che la
luce, viaggiando nel vuoto, percorre in un anno, ed equivale a circa 9,5 trilioni di chilometri, oppure a 63.000 volte
la distanza Terra - Sole.
Per le distanze interstellari si preferisce usare, al posto dell‟anno luce, un‟altra unità chiamata parsec(ps). Un
parsec equivale a circa 3,26 anni luce che corrispondono alla distanza dalla Terra dalla quale si vedrebbe una stella
con la parallasse di un secondo d‟arco.
3
Si usa questa misura perché è possibile determinarla con molta esattezza in base alla misura delle paralassi stellari.
La maggior parte delle stelle visibili ad occhio nudo (appartenenti tutte alla
nostra Galassia) si trovano a distanze comprese tra i 4,22 anni luce (Proxima Centauri) e i 2000 anni luce circa
dalla Terra.
Un altro metodo di misura delle distanze usato in astronomia (specie per oggetti del sistema solare) è quello che usa
come unità di base l‟ “Unità Astronomica” (U.A.), che corrisponde alla distanza media Terra - Sole pari a 1,496 x
108 km.
1 ps corrisponde a 206.265 U.A. cioè 3.086 1013 km.
J. MOTO PROPRIO E VELOCITA‟ RADIALE
Il moto proprio di una stella è la distanza che essa percorre ogni anno nella sfera celeste in base al suo movimento
naturale nello spazio. Questo movimento è espresso in termini di coordinate equatoriali. Per esempio se di una
stella (Arturo) si dice che ha un moto proprio di –1,098 significa che si muove di 1,098 secondi d‟arco in
ascensione retta. Il seno meno indica che ciò avviene in ascensione retta decrescente, o in direzione OVEST.
Sempre per Arturo il moto proprio in declinazione sarebbe indicato da –1,999. Ogni anno Arturo si muove in
declinazione decrescente, o verso SUD, di 1,999 secondi d‟arco.
La velocità radiale è un movimento di avvicinamento o di allontanamento dal Sole. Nell‟esempio di Arturo la
velocità radiale è di «meno 5 chilometri al secondo» e quindi con distanza decrescente dal Sole. Usando il teorema
di Pitagora si trova che la radice quadrata della somma dei quadrati del moto proprio di una stella in ascensione
retta e quello in declinazione, corrisponde al moto proprio composto di una stella .
Combinando il moto proprio composto con la velocità radiale si ottiene un valore per il moto totale di una stella
relativamente al Sole. Questa quantità indica la velocità della stella nello spazio.
K. INDICE DI COLORE
Le magnitudini (apparente ed assoluta) sopra indicate si dicono visuali perché determinate direttamente con
l‟occhio al telescopio mediante appositi strumenti di misura detti fotometri visuali, come si procedeva sino ai primi
decenni del secolo scorso. Se però le misure di intensità apparente vengono fatte su immagini fotografiche, le
magnitudini non risultano a quelle trovate visualmente.
Questo perché l‟occhio umano e le lastre fotografiche hanno sensibilità ai colori molto diverse e quindi il rapporto
di intensità fra due stelle di colore differente non sarà lo stesso se viene misurato visualmente o fotograficamente.
Le magnitudini visuali si indicano con il simbolo mv, quelle fotografiche col simbolo mpg .
In astronomia si fa largo uso di lastre fotografiche non sensibilizzate per il giallo ed il rosso (come invece sono le
comuni pellicole dette pancromatiche); queste lastre sono sensibilissime nel violetto ed anche nell‟ultravioletto
vicino, ma del tutto cieche per il rosso. Per cui due stelle, una azzurra ed una rossa, che visualmente abbiano uguale
intensità, se vengono fotografate si constaterà che:
- la stella azzurra emettendo molta luce nell‟ultravioletto e violetto e poca luce rossa, darà una
immagine più intensa della stella rossa, che viceversa emette più luce rossa che non violetta ed
ultravioletta.
La differenza tra la magnitudine fotografica e quella visuale di una stella da quindi un‟informazione sul colore
dell‟astro ed per questa chiamata «indice di colore».
Bibl: Steven L. Beyer – GUIDA ALLE STELLE - Hoepli
4
Tracce di astronomia nel pordenonese: La cometa del Pomo
di Stefano Zanut
Nei Comentari Urbani [1] di Giovan Battista Pomo, cronista pordenonese del „700, ci si può imbattere
nel seguente resoconto:
Adí 7 gennaro 1744. Queste notte passata non solo in questa città, ma ancora in molte altre città
d’Italia, fu veduta una cometa verso ponente, quale doppo le hore cinque della notte tramontava. Questa
stella non oltrepassava niente di grandezza le altre, ma bensì più rilucente di tutte, aveva una lunga
triscia di scintille di foco, che pareva proprio una vampa accesa tutta scintillante, che al nostro vedere
era di piedi dodici geometrici di lunghezza e di larghezza piedi uno. Si vede questa per il corso d’un mese
circa, quale anticipava ogni sera un poco il tramontare, a segno tale che doppo ventiquattro giorni non si
vedeva più la sera, ma la matina prima del levar del sole guardando verso levante, non più con quella
triscia di scintille infocate all’in su, come si vedeva veduta guardando attentamente e con buon occhio
anche all’hora di mezzo giorno, ma a me non è riuscito mai di vederla. Il volgo dice sempre esser queste
apportatrici di disgrazie, ma per questa volta non vi fu che si sappi calamità di sorte alcuna, né grande
né piccola.
La cometa descritta dal nostro si manifesterà successivamente in tutta la sua bellezza, tanto da essere
ricordata come una delle grandi comete della storia [2].
Fu Dirk Klinkenberg (15 Novembre 1709 - 3 Maggio 1799), un astronomo dilettante olandese, che ad
occhio nudo la notò tra le stelle della sera il 9 dicembre 1743, quando ancora si presentava come un
oggetto nebuloso e caratterizzato da una coda appena accennata, ma la scoperta ufficiale venne assegnata
a Philippe Loys de Cheseaux (4 maggio 1718 - 30 Novembre 1751), matematico, astronomo e …
latifondista … svizzero da cui prese il nome la cometa, che la “scoprì” quattro giorni dopo.
Nella prima metà di gennaio si presentava già come un oggetto di prima magnitudine e 7 gradi di coda, il
1 febbraio risultava più luminosa di Sirio e con una coda curva di 15 gradi, il 18 poteva gareggiare in
luminosità con Venere, seguita da due code di 7 e 24 gradi.
Il 27 febbraio era di magnitudine pari a -7, tanto che molti osservatori europei la riportano visibile di
giorno a pochi gradi dal Sole.
Anche nel resoconto del Pomo emerge questa caratteristica: “ … come si vedeva veduta guardando
attentamente e con buon occhio anche all’hora di mezzo giorno, ma a me non è riuscito mai di vederla”.
Il passaggio al perielio avvenne il primo marzo, ad una distanza dal sole di 0.22 U.A., e dal 6 al 9 marzo
manifestò una coda spettacolare consistente in una serie di 5 - 11 raggi distinti, che ricordavano un
ventaglio giapponese (dalla descrizione sembrerebbe trattarsi si bande "syncroniche" dovute a grossi
outbursts, con emissione di polveri di tutte le dimensioni); il 18 marzo la coda si estendeva per ben 90
gradi (!).
Di queste ultime circostanze, purtroppo, non si trova traccia nel resoconto del Pomo.
L‟ultima osservazione ufficiale risale al 22 aprile 1744.
Della cometa di Cheseaux ne parla Balestrieri in un suo saggio dedicato alle conoscenze sulle comete
nella Genova del „700 [3], dove sostiene che venne osservata “da vari siti dell’Europa centrale e
settentrionale, ma non sono apparentemente note osservazioni dall’Italia. A Genova, però, era apparsa il
31gennaio ed era stata osservata per un mese intero una cometa crinita con coda a modo di scopa”.
Sarebbe un simpatico primato se il nostro Pomo fosse veramente il primo osservatore italiano della
cometa!
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Disegni della cometa attribuiti a Philippe Loys de Cheseaux
[1] Giovan Battista Pomo, “Commentari Urbani”, GEAP, 1990 (ristampa)
[2] Gabriele Vanin, “Le Grandi Comete”, l‟astronomia, 16/1994
[3] Riccardo Balestrieri, “Le conoscenze sulle comete nella Genova settecentesca”, in “Atti del XVII
Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell'Astronomia”, Como 22 - 25 maggio 1997
[4] Marco Tonon, “Il bestiario del Pomo” in Giovan Battista Pomo, “Commentari Urbani”, GEAP, 1990
(ristampa).
Il contributo di Balestrieri si può trovare al seguente indirizzo: http://www.brera.unimi.it/Atti-Como97/Balestrieri.pdf.
In particolare, collegandosi con il sito dell‟ Istituto di Fisica Generale Applicata dell‟Università degli
Studi di Milano - CÆLUM et TERRA - (www.brera.unimi.it) è possibile trovare moltissima
documentazione sui temi della storia della scienza.
Per le comete storiche si possono esplorare i seguenti siti: http://comets.amsmeteors.org/ e
http://cometography.com/, particolarmente ricchi di informazioni.
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L’OSSERVATORIO “IZAR” DI TIEZZO (PN)
I PARTE
di Dino Abate
La Struttura. Come molti soci già sanno, da qualche anno svolgo osservazioni oltre che dall‟osservatorio
“Montereale Valcellina”, anche dalla terrazza di casa mia, a Tiezzo, a pochi chilometri da Pordenone. In un primo
tempo, per ricoverare le montature ho fatto realizzare un tendone a soffietto (in primo piano nella foto 1), tenendo
le ottiche dentro casa. Poiché questa soluzione comportava non poche scomodità, oltre a richiedere un certo tempo
di adattamento alle ottiche, variabile a seconda delle stagioni, da qualche mese ho montato un piccolo osservatorio
prefabbricato in vetroresina, con cupola rotante del diametro di 2.30 m. I vantaggi sono molteplici: schermatura
dalle luci circostanti, protezione dal freddo, dal vento e dall‟umidità notturna che spesso appanna le ottiche degli
strumenti, possibilità di avere sia il telescopio (stabilizzato termicamente), sia l‟attrezzatura ausiliaria in condizioni
operative, “pronto all‟uso”.
Si è proceduto alla realizzazione di una soletta in c.a. per garantire un solido basamento all‟osservatorio (foto 1 e
2), su cui ho fissato le pareti e la cupola dell‟osservatorio, pre-assemblati a piè d‟opera. Letto e riletto il manuale
d‟istruzioni della ditta produttrice (l‟australiana Sirius Observatories, sito www.siriusobservatories.com), le
operazioni di montaggio sono risultate abbastanza semplici. La rotazione e l‟apertura della cupola non sono
motorizzate, ma le sue dimensioni rendono le operazioni agevoli.
foto 1 – bordo in c.a. della soletta
foto 2 – realizzazione della soletta
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foto 3 – montaggio e assemblaggio dell‟osservatorio
Come si vede nelle foto allegate, in un pannello di parete dell‟osservatorio è stato creato un vano sporgente verso
l‟esterno, che funge da ripiano / scrivania, molto utile durante le osservazioni.
Va detto che purtroppo nell‟ultimo anno ho notato un marcato aumento dell‟inquinamento luminoso del sito
osservativo, già penalizzato dalla vicinanza delle zone industriali di Pordenone e Azzano Decimo, con
l‟installazione di inutili assurdi e illegali fari rotanti sulla copertura di due locali notturni di Zoppola. Di
conseguenza, le possibilità osservative sono di fatto limitate a Sole, Luna, Pianeti e stelle doppie; devo dire tuttavia
che è relativamente frequente avere un seeing molto stabile, sotto il secondo d‟arco. Inoltre, con le moderne
tecniche digitali di ripresa, si possono ottenere discrete immagini anche di oggetti deep-sky, come mostrerò
prossimamente, nella seconda parte di questa presentazione
foto 4- L‟ Osservatorio “Izar”
La strumentazione. Attualmente, sotto la cupola è installata la montatura Zeiss Jena, motorizzata su entrambi gli
assi, in grado di ospitare i telescopi principali dell‟osservatorio, il Meade SCT 250 mm e il rifrattore Zen 150
mm, ma anche, grazie a raccordi “universali” fatti fare appositamente, gli altri strumenti di cui dispongo, riportati
in tabella. Sotto il tendone a soffietto, che per il momento intendo mantenere, troveranno posto una vecchia
montatura Antech Mpaa (in pianta stabile), e la montatura Losmandy GM8 (saltuariamente, dal momento che è
portatile), entrambe collocate su colonnine metalliche; le ottiche saranno in questo caso montate al momento, come
già facevo in precedenza.
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foto 5 – L‟osservatorio (a destra la sporgenza dovuta al vano porta accessori)
A proposito del nome dato all‟osservatorio, Izar è il nome (arabo) di Epsilon Bootis, nota anche con l‟appellativo
latino di “Pulcherrima”. A Izar sono “affezionato”, dal momento che è stata una delle prime stelle doppie che ebbi
occasione di osservare e separare.
foto 6 – Interno dell‟osservatorio con il telescopio principale, un Meade SCT 10”
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STRUMENTAZIONE PRINCIPALE DELL’OSSERVATORIO “IZAR”
Marca
Schema Ottico
Diametro
Meade
SchmidtCassegrain
254 mm
Orion Optics UK
Zeiss Jena
Newton
Cassegrain
classico
(primario
parabolico /
second.
iperbolico)
Maksutov
Rifrattore
tripletto
apocromatico
Rifrattore
doppietto
apocromatico
Rifrattore
acromatico
Rifrattore
acromatico
200 mm
150 mm
F 6 / 1200 mm
F 15 / 2250 mm
150 mm
150 mm
F 12 / 1800 mm
F 6.7 / 1000 mm
85 mm
F 7 / 600 mm
F 5.6 / 480 mm (*)
77 mm
F 11.8 / 910 mm
80 mm
F 5 / 400 mm
Intes MK 67
Zen
Tele Vue 85
Stein
Ziel
Focale
Note / accessori
dedicati
F 10 2500 mm
Filtro solare in vetro
F 6.3 1600 mm (*) / flip mirror / DFC
F 5 1250 mm (**) (con-tatore
F 3.3 838 mm (**) meccanico di mes-sa
F 3 762 mm (**) a fuoco) / torretta
multipla oculari.
(*) con riduttore /
spianatore uso foto
visuale e ccd
(**) con riduttore /
spianatore e varie
prolunghe uso solo
ccd
torretta multipla
oculari / set filtri
colorati /
spettroscopio oculare
Prisma solare
Herschel
(*) Riduttore /
spianatore 0.8 X
La dotazione dell‟ osservatorio comprende inoltre uno spettroscopio / spettrografo a reticolo di diffrazione, due
camere ccd, una web-cam, filtri colorati, nebulari (OIII e UHC), e prossimamente una serie di filtri fotometrici
standard UBVRI .
Come già anticipato in assemblea, una volta realizzata una scala a chiocciola esterna che permetterà di accedere
direttamente dal giardino, l‟osservatorio “Izar” sarà accessibile ai soci APA che me ne faranno richiesta, soprattutto
in inverno, quando ghiaccio e neve rendono la strada che conduce all‟Osservatorio Montereale Valcellina
difficilmente percorribile.
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foto 7 – vista dall‟esterno
foto 8 - Il rifrattore Zen 150/1000, con in parallelo lo Stein 77/910
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LA GRANDE OPPOSIZIONE DI MARTE
In occasione della « Grande Opposizione di Marte », evento spettacolare oltremodo divulgato sia dalla
stampa scientifica, sia da giornali e TV, ha visto anche il nostro osservatorio preso d‟assalto da una
moltitudine di appassionati astrofili e semplici curiosi.
Sono state organizzate diverse serate osservative aperte al pubblico, ma quella che ha fatto registrare il
pienone è stata senz‟altro quella del 27 agosto.
Molti soci - Abate, Bradaschia, Carrozzi, Cauz, Vicenzi, Zanut - si sono resi disponibili per organizzare
la serata al fine di rendere il più possibile agevoli e scorrevoli sia le osservazioni agli strumenti, sia le
illustrazioni …dal vivo e su PC dei principali fenomeni celesti.
Sono stati impiegati tutti gli strumenti in cupola, ed altri telescopi montati all‟esterno. Sul Newton è stata
montata una WebCamera le cui riprese ad alta definizione sono state trasferite sul monitor della sala.
Oltre duecento sono stati i visitatori che si sono presentati all‟osservatorio! Alcuni anche dopo
mezzanotte.
Le immagini in calce (riprese da Vicenzi) danno solo una pallida idea del successo della serata. Serata che
possiamo senz‟altro ascrivere tra le migliori organizzate dall‟A.P.A. dal punto di vista divulgativo.
Non dimenticandoci infatti che altre volte l‟Osservatorio ha visto un notevole afflusso di visitatori e tanto
per ricordare: le serate in occasione del transito - aprile 1997 - della cometa Hale Bopp,
l‟eclissi parziale di Sole del 11 agosto 1999, transito di mercurio sul Sole del 7 maggio 2003.
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Rivenditore Telescopi
ZIEL
e
MEADE
Visita il nostro sito all‟indirizzo:
www.otticasanmarco.it
Il Centro Ottico S. Marco si trova in
Pordenone – Viale Martelli 10/A
Tel. 0434-27603
[email protected]