Il progetto formativo dei Licei musicali

Anna Maria Freschi
Docente di Pedagogia musicale
Il progetto formativo dei Licei musicali
I Licei musicali sono “a orientamento” o “a indirizzo”? Sono “professionalizzanti” oppure no?
La querelle non mi ha mai appassionato e sono sempre stata convinta che fosse un falso problema.
Esiste da decenni un Liceo artistico e non mi risulta che qualcuno abbia mai posto il problema se
debba solo orientare verso interessi artistici o piuttosto creare professionisti dell’arte. Come ogni
altra scuola secondaria di II grado, il Liceo artistico e il Liceo musicale (e coreutico, non ce lo
dimentichiamo) hanno la funzione di costruire competenze che lo studente potrà poi usare
nell’istruzione superiore come meglio crede in relazione ai propri interessi e alle proprie abilità,
grazie anche all’assenza di un nesso obbligato fra Liceo frequentato e Facoltà successivamente
scelta. È probabile che la maggior parte degli studenti del Liceo artistico si iscrivano all’Accademia
di belle arti o alla Facoltà di Architettura, ma molti altri decidono dopo la Maturità di intraprendere
percorsi formativi differenti; d’altro canto all’Accademia o ad Architettura accedono anche studenti
provenienti da altri Licei, che spesso concludono con successo il loro iter.
Perché allora proprio oggi, quando le nuove generazioni pagano lo scotto maggiore della crisi
occupazionale, quando l’offerta formativa diventa sempre più variegata e il sistema dei crediti
consente passaggi e integrazioni fra vari percorsi, dovremmo pensare per la formazione musicale a
una continuità verticale rigida e lineare fra i diversi gradi scolastici? Perché dovremmo prefigurare
necessariamente che chi s’iscrive al Liceo musicale dovrà diventare un professionista, oppure, al
contrario, che non lo potrà diventare?
La prima strada per uscire da questo falso problema è, a mio parere, quella di declinare il
concetto di continuità secondo una logica non lineare, bensì reticolare:
Il Liceo musicale può essere scelto da studenti delle SMIM, ma anche da chi frequenta gruppi
bandistici o scuole di musica. Queste ultime possono preparare i loro studenti migliori direttamente
per esami di ammissione ai trienni o ai bienni dei conservatori e degli ISSM, così come possono
costituire un bacino di utenza per la SMIM e a loro volta accogliere gli studenti che, conclusa la
scuola media a indirizzo musicale, non possono o non vogliono frequentare il Liceo musicale. È
coltivando e valorizzando questa rete attraverso rapporti, progetti comuni, convenzioni fra i vari
soggetti formativi, armonizzazione dei curricoli, che si può creare un’efficace continuità e
incrementare in ciascun territorio il numero e il livello di competenze dei giovani che scelgono di
fare musica o di diventare musicisti. Pensare alla continuità solo in direzione verticale rischia di
essere limitante e forzato: è quello che accade con la norma del Decreto 8/11 che obbliga a creare
corsi di “musica pratica” nella scuola primaria solo nelle provincie dove è istituito un liceo musicale,
perdendo così l’occasione di farlo in altri territori, in cui può essere comunque presente una
ricchezza di risorse formative in campo musicale.
La seconda via d’uscita dall’impasse professionale/non professionale è agire in modo che il
Liceo musicale esplichi al massimo le proprie potenzialità, anche in relazione ad esigenze
professionali più ampie rispetto a quella dello strumentista. Credo infatti che alla base della
particolare insistenza verso un percorso lineare fra i diversi gradi scolastici stia la convinzione, più
o meno esplicita, che il perno della formazione musicale è lo studio dello strumento, da cui discende
l’idea che tale studio richieda meno passaggi possibili (o addirittura nessuno) fra diversi insegnanti.
In sostanza, la continuità s’identifica con il docente.
Ecco che allora la riflessione non può che spostarsi su un tema a mio parere più utile per la
valorizzazione dei Licei musicali, e cioè sul progetto formativo di cui i Licei musicali stessi sono
portatori. Per “progetto formativo” intendo quell’insieme di aspetti di organizzazione e di contenuto
che danno identità e senso a un’istituzione, che configurano la sua funzione educativa, ma anche
sociale e culturale. Quali finalità si pone? Che tipo di competenze si propone di costruire? Per quali
professioni prepara?
Innanzitutto deve essere chiaro che il Liceo musicale non è puramente e semplicemente la
sostituzione della fascia inferiore del Conservatorio, che la riforma ha, almeno sulla carta, “espulso”
dalle Istituzioni di Alta Cultura. È una nuova istituzione scolastica con un progetto formativo
palesemente differente. Il confronto grafico ne mostra inequivocabilmente la profonda difformità:
Il Conservatorio del 1930 (e in parte anche quello odierno, per quanto la riforma abbia iniziato a
produrre alcune modifiche) vedeva al centro lo strumento (materia principale) e in veste subordinata
e accessoria le materie appunto dette “complementari”, distribuite ai vari livelli. L’iter era quasi
totalmente identificato con la progressione delle abilità strumentali e vocali, pur con qualche
eccezione (ad es. il corso di Composizione). La prospettiva professionale prefigurata era quella
dello strumentista/cantante solista, in un momento in cui il rapporto fra numero di conservatori (e
quindi di studenti) e di popolazione era molto diverso da oggi, così come molto diversi erano il
ruolo culturale e sociale dello strumentista stesso, nonché i bisogni, gli interessi e le aspettative dei
giovani studenti1.
Il progetto formativo del Liceo musicale presenta invece cinque discipline tutte sullo stesso
piano, con un monte-ore equilibrato, oltre ad alcune novità disciplinari importanti, quali la presenza
di Teoria Analisi e Composizione e Tecnologie musicali. La formazione musicale non s’identifica
più con la formazione strumentale/vocale. È evidente che non possono essere “travasati” nel Liceo
musicale le modalità di lavoro, l’organizzazione disciplinare e le mete formative del Conservatorio,
così come è evidente che questo nuovo percorso offre la possibilità di costruire profili professionali
e quindi prospettive lavorative più adeguate alla realtà attuale, risultanti da diverse prosecuzioni
degli studi, siano esse al Conservatorio, all’Università o in altri ambiti.
Purtroppo questo non è stato evidente al legislatore. Non soltanto non sono previsti indirizzi –
come accade invece per il liceo artistico, che ne può attivare ben sei – ma è scomparsa anche la
possibilità, contemplata dagli ordinamenti del 2005, di creare – nel secondo biennio e ancora di più
nel quinto anno – una curvatura formativa a scelta dello studente, attraverso la diminuzione del
monte-ore di una disciplina a vantaggio di un’altra. In questo modo un ragazzo che avesse voluto
dedicarsi prioritariamente allo studio dello strumento avrebbe potuto concentrare le proprie energie
in questo campo pur proseguendo la formazione negli altri settori, mentre un altro con interessi
storici, compositivi o tecnologici avrebbe potuto fare l’operazione inversa, diminuendo ad esempio
l’impegno nel settore strumentale. Una tale possibilità non solo avrebbe consentito di creare
competenze più adeguate alla eventuale prosecuzione degli studi all’Università o al Conservatorio,
nel Triennio di strumento, di composizione o di musica elettronica, ma più in generale avrebbe
prefigurato profili professionali più flessibili e adeguati al quadro attuale delle professioni musicali,
rendendo la frequenza del liceo musicale appetibile e possibile anche per chi non ha una spiccata
vocazione strumentale2.
Tuttavia, nonostante questi difetti, è innegabile che l’impianto curricolare presenti aspetti di
interesse e di novità, risultato della positiva influenza di alcune trasformazioni sul piano culturale e
metodologico-didattico che in questi anni hanno caratterizzato soprattutto la fascia di base degli
studi musicali:
• centralità della musica di insieme e delle modalità collettive di lavoro (dimensione
laboratoriale, lezione collettiva di strumento);
• attenzione verso la formazione musicale e non solo tecnico-strumentale: educazione
percettiva, apertura a pratiche non scritte (improvvisazione, suonare a orecchio);
• integrazione reciproca tra pratica e teoria, tra fare e pensare in musica.
Sul primo punto non mi dilungherò: fortunatamente è ormai diffusa l’idea che la musica
d’insieme non faccia “perdere tempo” per lo studio dello strumento e debba essere iniziata fin dalle
prime fasi dello studio strumentale.
Il secondo elemento di trasformazione è di carattere culturale e risponde a sfide importanti che
attraversano il mondo della musica e non solo, e che gli insegnanti conoscono bene. Fare musica
oggi non significa solo occuparsi di musica colta e quindi avere a che fare con un repertorio scritto
da interpretare attraverso la lettura. L’esperienza musicale dei nostri alunni, ma anche la nostra, è
1
Per una riflessione sui modelli culturali vecchi e nuovi sottesi allo studio dello strumento si veda A.M. Freschi - R.
Neulichedl, Metodologia dell’insegnamento strumentale, ETS, Pisa 2012.
2
Questi e altri temi relativi all’impianto curricolare dei Licei musicali sono stati affrontati in un Confronti e Dibattiti
da me curato, pubblicato in “Musica Domani” n. 156, 2010 (interventi di Rebaudengo, Vitale, Galli).
sempre più variegata e questo ha conseguenze non solo a livello di repertori, ma anche di pratiche
esecutive e di modalità di comunicazione con il pubblico, come rappresentato nello schema
seguente:
L’ultimo aspetto (integrazione tra fare e pensare) è cruciale sia sul piano culturale sia su quello
metodologico3. Nel vecchio modello del conservatorio, essendo lo strumentista/cantante la figura
professionale prevista, era sufficiente che un musicista sapesse suonare, mentre molto meno
importante era che sapesse analizzare e contestualizzare quello che stava suonando. Dall’altra parte
c’era (e c’è ancora) il modello universitario: lì si formano musicisti che parlano di musica ma non la
sanno fare. Per fortuna un tale modello di ascendenza gentiliana è entrato in crisi e questa
distinzione anacronistica si sta stemperando. Nelle indicazioni del Liceo musicale i due piani sono
connessi, in particolare nella disciplina Teoria, analisi e composizione, in cui, analogamente a
quanto avviene per l’apprendimento di tutte le lingue, s’impara a comprendere i messaggi (analisi
all’ascolto e in partitura), a costruire “discorsi musicali” (comporre) e a padroneggiare le strutture
grammaticali e sintattiche (teoria).
Se queste potenzialità insite nel progetto formativo dei Licei musicali potranno estrinsecarsi, gli
studenti che usciranno avranno competenze musicali solide e spendibili nella realtà professionale
contemporanea, in continuo mutamento. Avremo da un lato buoni professionisti della musica – che
non saranno necessariamente strumentisti – e dall’altro amatori competenti, che potranno far
crescere la sensibilità culturale del nostro Paese verso la musica.
Un requisito indispensabile perché questo avvenga è però che gli insegnanti che vi lavorano
siano consapevoli di tali potenzialità formative e abbiano le competenze metodologico-didattiche
necessarie per concretizzarle. Se gli insegnanti riceveranno una formazione (iniziale e in servizio) in
linea con il progetto formativo nuovo che abbiamo delineato, ci sono chances che i Licei musicali
3
Su questa interrelazione ho avuto modo di riflettere in occasione del Convegno della SIEM sui Licei musicali,
tenutosi a Rimini nel 2004. Si veda A.M. Freschi, Alla ricerca di connessioni tra fare e pensare in musica, “Musica
Domani” n. 132, 2004. Il tema è stato anche oggetto di una Tavola rotonda da me coordinata al Convegno La ricerca
didattica nei Conservatori fra tradizione e innovazione, che si è svolto al Conservatorio di Palermo nell’aprile 2012, su
iniziativa del DDM-GO (Docenti di Didattica della musica - Gruppo Operativo). Si veda anche S. Lorenzetti, Una
prassi esecutiva storicamente informata, “Musica Domani” n. 166, 2013.
crescano e rafforzino il proprio ruolo; se invece i docenti dovessero insegnare lo strumento o le altre
discipline con in mente un modello culturale basato sul talento, sul virtuosismo tecnico-strumentale,
sulla dimensione individuale dell’apprendimento, sulla scissione fra teoria e pratica, i Licei musicali
non potranno reggere di fronte alla concorrenza di altre agenzie formative (corsi pre-accademici,
scuole di musica ecc.). È necessario quindi investire sulla formazione degli insegnanti.
Non voglio addentrarmi nel ginepraio delle modalità di reclutamento e delle nuove classi di
concorso; auspico però che tali modalità siano il più possibile chiare e che al più presto siano
definite e rese stabili iniziative per la formazione in servizio e percorsi abilitanti per la formazione
iniziale, in modo che gli attuali e i futuri insegnanti del Licei musicali sappiano valorizzare le
potenzialità di questo segmento formativo.