Retrovirus, DNA ricombinante e PCR
(prima parte)
LA LEZIONE
Introduzione
A partire dalle ultime decadi del 20° secolo, la ricerca riguardante la manipolazione
degli acidi nucleici (ossia quel settore della biologia noto come biotecnologie; v. anche
la Lezione su 'Le biotecnologie') e la sua applicazione in diversi ambiti hanno
conosciuto un notevole balzo in avanti, grazie anche all'introduzione di nuove tecniche
che hanno dato un rinnovato impulso al settore, con risultati di grande valore.
Tra queste tecniche si possono annoverare quella che usa i retrovirus, quella del DNA
(Deoxyribonucleic acid) ricombinante, quella della PCR (Polymerase chain reaction).
Allo stato attuale, grazie alla vivacità e alla poliedricità dei temi di ricerca, le
applicazioni delle biotecnologie coprono un amplissimo campo, che va dai diversi filoni
della biologia alla medicina, all'agricoltura, all'industria, alla legge (medicina forense)
e via elencando.
Retrovirus
Come tutti i virus, i retrovirus sono parassiti endocellulari obbligati che infettano le
cellule rilasciando in esse il proprio corredo genetico. In questo caso, però, il materiale
genetico è rappresentato da RNA (Ribonucleic acid). Una volta liberato nella cellula
infettata, l'RNA produce DNA a doppia elica (detto provirus), secondo un processo
noto come retrotrascrizione o trascrizione inversa (da cui il nome retrovirus), nel quale
l'enzima trascrittasi inversa "legge" la molecola di RNA e, nucleotide per nucleotide, la
traduce in una molecola di DNA. Il provirus si integra stabilmente, ma in modo più o
meno casuale, nel genoma cellulare; questa inclusione richiede l'attività dell'enzima
integrasi. Il nuovo tratto di DNA produce sia l'RNA originario, da includere in nuove
particelle virali, sia l'RNA messaggero (mRNA) necessario alla sintesi delle proteine
virali, comprese quelle che formano l'involucro esterno (capside) del virus. Questi
materiali, assemblati, ricostituiscono nuove copie del virus, rilasciate poi dalla cellula
infettata.
Uno dei più noti componenti della famiglia dei retrovirus è l'HIV (Human immune
deficiency virus), responsabile dell'AIDS (Acquired immune deficiency syndrome).
Come esempio del ciclo di replicazione dei retrovirus, nella fig.1 è illustrato appunto
quello dell'HIV.
fig.1 Ciclo di replicazione del retrovirus HIV
In generale i virus costituiscono un
esempio di efficace parassitismo, dal
momento che sfruttano il sistema
metabolico della cellula infettata per
riprodursi. I retrovirus hanno un
livello di efficienza ancora superiore,
poiché sono in grado di integrarsi
stabilmente nel genoma ospite e
sfruttare con parsimonia le risorse
della cellula, che può quindi
continuare a vivere e produrre il
retrovirus.
Occasionalmente può accadere che il retrovirus si integri in cellule della linea
germinale, così da poter essere trasmesso alle generazioni successive. Questa
ereditarietà risulta importante, per esempio, negli studi sull'evoluzione delle specie,
perché dall'esame delle similitudini presentate dai retrovirus contenuti nel genoma è
possibile valutare la vicinanza evoluzionistica di specie differenti.
Alcuni provirus contengono ed esprimono oncogeni, i quali possono determinare una
proliferazione cellulare abnorme e quindi provocare tumori. Per questo motivo si parla
di virus oncogeni. In alcuni casi i virus oncogeni o loro porzioni sono presenti nella
linea germinale e quindi possono passare alla progenie, localizzati nelle cellule di vari
organi. Gli oncogeni possono rimanere silenti per molto tempo, per poi attivarsi e
generare il tumore.
Le proprietà dei retrovirus risultano molto interessanti nell'ambito della terapia genica,
applicazione della medicina molecolare che sta conoscendo un rapido sviluppo.
DNA ricombinante
Questa metodologia permette il trasferimento di una porzione del genoma da un
essere vivente a un altro, effettuando così una ricombinazione genica, poiché il nuovo
DNA è incorporato nel genoma del ricevente. In questo modo, le proteine codificate
nella regione di DNA trasferita (definita transgene) possono essere sintetizzate anche
nel ricevente. In linea generale il procedimento garantisce di modificare in modo
specifico i geni, agendo solo su quelli che portano i caratteri prescelti. Gli scopi
possono essere diversi, per esempio l'organismo ricevente può essere utilizzato per
produrre molecole utili, oppure si può migliorare il suo genoma per renderlo più
resistente a certi tipi di danno ambientale o per dargli caratteristiche nutritive migliori.
Ma la metodologia del DNA ricombinante è utile anche per altre finalità, per esempio
analizzare le sequenze nucleotidiche dei geni, studiare le modalità di espressione e
regolazione dei geni, identificare e curare le malattie geniche.
Dalla fine del 20° secolo questa tecnologia ha avuto e continua ad avere un grande
sviluppo, tanto che ormai è prassi il trasferimento genico tra organismi appartenenti a
specie differenti, eventualmente anche molto differenti: classico è l'esempio delle
piante nelle quali è inserito un gene di origine batterica che conferisce proprietà
insetticide, perché i vegetali acquisiscano così la capacità di resistere agli insetti
patogeni.
La manipolazione del DNA prevede un insieme piuttosto complesso di tecniche che
permettono di isolare e tagliare brevi frammenti nucleotidici (oligonucleotidi), inserirli
in un vettore e farli moltiplicare (amplificare, secondo la terminologia scientifica),
studiarne la sequenza, trasferirli nel genoma di altre cellule, controllarne
l'incorporazione e l'espressione.
Per ottenere gli oligonucleotidi si può procedere secondo due distinte vie enzimatiche.
In una metodica intervengono gli enzimi di restrizione, dotati di un'alta specificità che
permette loro di tagliare il DNA in punti molto precisi, poiché riconoscono opportune
sequenze nucleotidiche (di solito composte da 4-6 basi), definite sequenze di
riconoscimento o siti di restrizione. Nell'altra metodica si usa l'enzima trascrittasi
inversa, che permette di ottenere brevi sequenze di DNA a partire da mRNA, il cui
filamento è letto dall'enzima ricavando un filamento complementare di DNA, che a sua
volta fa da stampo per ottenere il secondo filamento di DNA e completare così la
costruzione del segmento desiderato. Per costruire il breve frammento esiste anche
una terza via, che si avvale di procedimenti chimici, ma è utilizzabile solo quando sia
nota la sequenza nucleotidica.
Per quanto riguarda l'amplificazione del DNA d'interesse, essa permette di avere
materiale in abbondanza per ulteriori fasi di lavorazione ed è resa possibile grazie alla
clonazione oppure alla PCR. Per clonare il DNA sono necessari i vettori, rappresentati
essenzialmente da plasmidi e virus fagici. Il plasmide è una molecola di DNA batterico
circolare, esterna al cromosoma e in grado di replicarsi in modo autonomo,
caratteristiche queste che risultano molto utili nella tecnica del DNA ricombinante.
Nella fase iniziale del processo di clonazione, il plasmide è tagliato dagli stessi enzimi
di restrizione utilizzati per ottenere il tratto di DNA d'interesse, e successivamente
DNA e plasmide sono mescolati insieme all'enzima DNA-ligasi. Questo ha il compito di
permettere la formazione di un legame tra le estremità complementari di sequenze
geniche, cosicché le due molecole di DNA (quello d'interesse e quello plasmidico)
possono unirsi e formare un'unica molecola. In questo modo si costruisce il cosiddetto
plasmide ricombinante. A questo punto il plasmide, arricchito dalla nuova sequenza di
DNA, è inserito in una cellula ospite, solitamente un batterio, dove in breve tempo può
duplicarsi producendo elevatissime quantità della sequenza oggetto di studio; poiché
queste copie sono esattamente uguali tra di loro sono cloni. Quando il vettore è
costituito da virus fagici (o batteriofagi o fagi, ossia virus che infettano i batteri), il
processo di clonazione sfrutta la grande capacità di questi virus a integrare il proprio
DNA nel genoma batterico: il DNA d'interesse è inserito nel DNA virale, che infettando
i batteri è in grado di cedere loro la sequenza, che poi è replicata più e più volte come
sopra. Per quanto riguarda l'amplificazione del DNA tramite PCR, è trattata nella
seconda parte di questa lezione (Retrovirus, DNA ricombinante e PCR - parte
seconda).
Per determinare una sequenza nucleotidica (processo noto come sequenziamento),
campioni dello stesso DNA sono fatti reagire separatamente con enzimi di restrizione
differenti che li tagliano in punti precisi e diversi, generando così frammenti di diverse
lunghezze. Questi frammenti sono sottoposti a elettroforesi, che permette di
separarli: gli oligonucleotidi sono deposti su
un supporto solido immerso in una soluzione
tampone, alla quale è applicato un campo
elettrico che determina un flusso di segmenti
verso il polo di carica opposta; la velocità di
questa migrazione dipende non solo
dall'intensità della corrente, ma anche dalle
dimensioni e dalla forma dei frammenti di
DNA, che così si separano durante la corsa
elettroforetica. Una volta che questa è
terminata, i campioni sono evidenziati con le
adeguate tecniche di colorazione o con altri
sistemi di rilevazione (fig.2). Attualmente,
grazie al progresso della tecnologia di
laboratorio, sono disponibili macchine
(sequenziatori) capaci di eseguire l'intero
processo partendo da opportune miscele dei
campioni da analizzare.
fig.2 Elettroforesi di DNA su gel di acrilamide. Le diverse
bande indicano i differenti frammenti di DNA
L'identificazione di uno specifico segmento di DNA (o RNA) è possibile grazie alla
tecnica dell'ibridazione, che permette di individuare un tratto nucleotidico grazie
all'utilizzo di una sonda molecolare (probe), in questo caso una molecola a singolo
filamento di DNA (o RNA) marcata complementare alla sequenza che si sta cercando.
La marcatura è effettuata con isotopi radioattivi o coloranti fluorescenti, inseriti nella
sequenza della sonda. Poiché il marcatore individua la posizione della sonda, identifica
anche la sequenza complementare di DNA (o RNA) alla quale essa si lega (fig.3).
fig.3 Ibridazione in situ con diverse tipologie di
sonde. In a) è utilizzata una sonda specifica per il
cromosoma 8: i segnali fluorescenti sono presenti
lungo tutta l’estensione dei due cromosomi omologhi.
In b) la sonda riconosce in modo specifico le
sequenze centromeriche dei cromosomi X. In c) la
sonda è specifica per i telomeri del braccio lungo del
cromosoma 4, identificando entrambi gli omologhi. In
d) la sonda evidenzia specificamente una regione del
braccio lungo dei cromosomi omologhi 17