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Canto XXVIII
Posizione 9° Cielo (Primo Mobile* o Cielo Cristallino)
Beati Le nove gerarchie angeliche (ruotano attorno a un punto luminosissimo: Dio)
Intelligenze motrici Serafini*
■ Sequenze narrative
®
vv 1-39
IL PUNTO LUMINOSO E I NOVE CERCHI
Vedendo rispecchiarsi negli occhi di Beatrice* una luce vivissima, Dante si volta e rimane
abbagliato da un punto luminoso, attorno a cui ruotano nove cerchi con velocità inversamente proporzionale alla distanza dal centro.
® vv 40-87
SPIEGAZIONI DI BEATRICE
Paradiso, XXVIII,
16-18, miniatura
di Giovanni
di Paolo,
XV secolo,
Ms. Yates
Thompson 36,
f. 179 r.
Londra, British
Museum.
Beatrice spiega a Dante che da quel punto dipendono il cielo e la natura, e che il cerchio
più vicino al punto ruota con maggiore velocità perché è sospinto da più ardente amore.
Il poeta comprende che quell’immagine rappresenta Dio e le nove schiere angeliche, ma
viene assalito dal dubbio nel vedere che tale modello ideale non viene rispecchiato nella
realtà fisica, in cui la velocità di rotazione e l’intensità di luce aumentano man mano che
ci si allontana dal punto centrale. Attraverso una lunga spiegazione, Beatrice dissipa ogni
perplessità dalla mente di Dante, chiarendogli che vi è perfetta corrispondenza tra i cieli
materiali e i cerchi angelici, purché, ragionando secondo un criterio qualitativo e non
quantitativo, si consideri non la grandezza di questi, ma la virtù di cui sono compenetrati.
A virtù maggiore (che si trova nel cerchio più vicino a Dio e quindi apparentemente più
piccolo) corrisponde così una maggior velocità e una maggior ampiezza del cielo materiale (poiché in natura un bene maggiore deve esplicarsi in un corpo maggiore).
® vv 88-129
LE GERARCHIE ANGELICHE
Terminata la spiegazione, i nove cerchi scintillano rivolgendo un canto di osanna al punto
fisso. Prevenendo la domanda di Dante, Beatrice spiega l’ordinamento delle schiere angeliche, costituito da tre gerarchie di tre ordini ciascuna: Serafini*, Cherubini* e Troni*;
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Paradiso
Canto XXVIII
Dominazioni*,Virtù* e Potestà*; Principati*, Arcangeli* e Angeli*. Ciascun ordine ammira quello superiore e attrae a sé quello inferiore, così che tutti sono attratti da Dio.
® vv 130-139
LA TEORIA DEGLI ANGELI DI DIONIGI L’AREOPAGITA E QUELLA DI SAN GRE-
GORIO
Ciò che ha detto Beatrice corrisponde perfettamente alla teoria dello Pseudo Dionigi l’Areopagita* (un teologo della fine del V secolo), mentre cose assai diverse aveva affermato
san Gregorio*, il quale però, quando si trovò di fronte alla verità in Paradiso, rise di se stesso. Non bisogna tuttavia meravigliarsi che Dionigi abbia potuto conoscere tale mistero,
poiché a rivelarglielo era stato san Paolo, che lo aveva appreso quando fu rapito al terzo
cielo.
■ Temi e motivi
Dante rivolge ora lo sguardo sui belli occhi (v. 11) di Beatrice*; se essi fecero innamorare
Dante in passato (onde a pigliarmi fece Amor la corda, v. 12), ora consentono alla sua mente di
indirizzarsi al glorioso mistero divino, simbolicamente rappresentato dall’immagine del
punto e dei nove cerchi concentrici: segni incommensurabili nei quali Dante vedeva i termini estremi della geometria (cfr. Conv. II, XIII, 26-27), che anche nell’ultimo canto ritornerà quale scienza che, più di ogni altra, può avvicinarsi ad una pallida rappresentazione
degli attributi trinitari (Par. XXXIII, 133-35). Lo sguardo si spinge allora più oltre, verso
una luce che si concentra in un solo punto tanto acuto (v. 17) da essere insostenibile alla vista
umana: esso rappresenta, coerentemente con la riflessione teologica medievale, Dio stesso.
All’intorno si trovano gli angeli*, che appaiono come nove cerchi di fuoco rotanti attorno ad esso a velocità altissima, da cui fuoriescono, senza dipartirsene, innumerevoli scintille (cfr. le faville vive di Par. XXX, 64) che seguono il loro cerchio come accade in un ferro
incandescente e rotante (vv. 89-90). Il dibattito teologico sugli angeli e sulla loro distribuzione gerarchica si era sviluppato attorno a due grandi auctoritates, entrambe ricordate da
Dante: quella di san Gregorio Magno* e quella attribuita a Dionigi l’Areopagita* (il pensatore greco convertito da san Paolo* e divenuto poi suo discepolo). Da quest’ultimo il
poeta desume il concetto di fissità-mobilità dei cerchi ignei e la distribuzione delle schiere angeliche (cfr. vv. 130 ss.): particolare, quest’ultimo, in cui Dante si allontana dalla posizione assunta nel Convivio, dove aveva seguito la suddivisione di Gregorio Magno*. La folgorante apparizione degli angeli suscita in Dante un dubbio: se il divino è specchio dell’umano, come può essere che l’essemplo (v. 54) non concordi con l’essemplare (v. 55)? Dante
porta a confronto quanto ora vede con ciò che ha sempre saputo, ossia che nel mondo sensibile si vedono le sfere celesti tanto più vicine a Dio quanto più sono lontane dal centro
della Terra, mentre ora appare il contrario. La risposta di Beatrice precisa come ciò che
appare rilevante nel misurare il valore di ogni cerchio non sia la sua grandezza, bensì la sua
intrinseca virtù, non la quantità ma la qualità; da ciò segue che le grandezze del mondo sensibile e di quello intelligibile sono tra loro inversamente proporzionali.
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Canto XXVIII
®
Paradiso
3
Poscia che ’ncontro a la vita presente
d’i miseri mortali aperse ’l vero
quella che ’mparadisa la mia mente,
6
come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n’alluma retro,
prima che l’abbia in vista o in pensiero,
9
e sé rivolge per veder se ’l vetro
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
con esso come nota con suo metro;
e si volta a guardare per vedere se lo specchio (vetro) è veritiero (li dice il vero), e constata che esso riproduce perfettamente la realtà (s’accorda con esso), accordandosi ad essa come
il canto (nota) col tempo della musica (metro);
12
così la mia memoria si ricorda
ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda.
così mi ricordo di aver fatto io tornando a guardare nei begli
occhi di Beatrice, di cui (onde) Amore fece una trappola
(fece... la corda) per catturarmi (a pigliarmi).
15
E com’ io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben s’adocchi,
E non appena mi voltai e i miei occhi furono colpiti (tocchi)
da ciò che appare in quel cielo (volume), ogni volta che (quandunque) si fissa lo sguardo (ben s’adocchi) nel suo moto rotatorio (giro),
18
un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
vidi un punto che irradiava una luce così intensa (acuto), che l’occhio (viso) che esso abbaglia (ch’elli affoca) è costretto (conviensi) a
chiudersi per l’eccessiva intensità (acume);
21
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca.
e persino la stella che dalla terra (quinci) appare più piccola
(poca), se fosse collocata vicino ad esso (locata con esso) come
una stella è posta (si collòca) a fianco ad un’altra, sembrerebbe
grande come la luna.
24
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che ’l dipigne
quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
Forse non più (cotanto) distante di quanto si vede (pare) l’alone (alo) circondare (cigner) da vicino (appresso) l’astro (luce) che
lo illumina (dipigne), quando l’aria (vapor) che lo produce è
più densa di vapori (spesso),
27
distante intorno al punto un cerchio d’igne
si girava sì ratto, ch’avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne;
30
e questo era d’un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
allo stesso modo (cotanto, v. 22) un cerchio di fuoco (d’igne)
girava intorno al punto luminoso così velocemente (sì ratto)
che avrebbe superato (vinto) anche il movimento del Primo
Mobile, il cielo che ruota intorno (cigne) alla terra con maggiore rapidità (più tosto);
e questo era circondato (circumcinto) da un secondo cerchio, e
questo da un terzo, e quindi il terzo dal quarto, il quarto dal
quinto, e il quinto dal sesto.
33
Sopra seguiva il settimo sì sparto
già di larghezza, che ’l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
All’esterno del sesto (Sopra) seguiva il settimo ormai tanto
esteso (sparto) in larghezza, che l’arcobaleno (messo di Iuno),
anche se fosse un cerchio (intero), sarebbe troppo stretto (arto)
per poterlo contenere.
36
Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno
più tardo si movea, secondo ch’era
in numero distante più da l’uno;
Così estesi erano anche l’ottavo e il nono cerchio; e ciascuno
di essi si muoveva più lentamente (più tardo) quanto più alta
era la distanza (secondo ch’era in numero distante) dal primo (da
l’uno);
vv 1-39
IL PUNTO LUMINOSO E I NOVE CERCHI
Dopo che Beatrice, colei che innalza la mia mente alle gioie
del Paradiso (che ’mparadisa la mia mente), mi ebbe rivelato la
verità (aperse ’l vero) riguardo (’ncontro) alla corruzione attuale (vita presente) degli uomini (miseri mortali),
come chi, illuminato alle spalle (se n’alluma retro) dalla fiamma
di una torcia (doppiero), la vede riflessa davanti a sé in uno
specchio prima di averla vista o pensata,
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Paradiso
Canto XXVIII
39
e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s’invera.
42
La donna mia, che mi vedëa in cura
forte sospeso, disse: «Da quel punto
depende il cielo e tutta la natura.
Beatrice, che mi vedeva tutto assorto (forte sospeso) in un grave
dubbio (in cura), disse: «Da quel punto dipendono il cielo e
tutta la natura.
45
Mira quel cerchio che più li è congiunto;
e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
per l’affocato amore ond’ elli è punto».
Guarda attentamente (Mira) quel cerchio che gli è più vicino
(congiunto); e sappi che il suo movimento (muovere) è così rapido (tosto) per l’amore ardente (affocato) da cui (ond’elli) è stimolato (punto)».
48
E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto
con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
E io: «Se la terra e le sfere celesti (’l mondo) fossero disposte
(posto) secondo lo stesso ordine che io vedo (veggio) in quei
cerchi angelici (rote), la spiegazione ricevuta (ciò che m’è proposto) mi avrebbe appagato (sazio);
51
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto più divine,
quant’ elle son dal centro più remote.
ma nel mondo sensibile si possono (si puote) vedere i cieli
rotanti (volte) tanto più veloci e vicini a Dio (divine) quanto
più sono lontani (remote) dalla terra (dal centro).
54
Onde, se ’l mio disir dee aver fine
in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine,
Per cui (Onde), se il mio desiderio (disir) deve (dee) essere
appagato (aver fine) in questo mirabile (miro) e angelico cielo
(templo) che ha per confine solo l’amore e la luce
dell’Empireo,
57
udir convienmi ancor come l’essemplo
e l’essemplare non vanno d’un modo,
ché io per me indarno a ciò contemplo».
è necessario (convienmi) che io sappia (udir) anche (ancor)
come mai la copia (essemplo) non corrisponde al modello
(essemplare), perché invano (indarno) io cerco di capirlo con le
mie sole forze (per me)».
60
«Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficïenti, non è maraviglia:
tanto, per non tentare, è fatto sodo!».
« Non c’è da meravigliarsi se le tue dita non sono in grado
(sufficïenti) di sciogliere questo nodo; a tal punto (tanto) esso è
diventato (è fatto) stretto (sodo), poiché nessuno ha mai cercato di allentarlo (per non tentare)!»
63
Così la donna mia; poi disse: «Piglia
quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;
e intorno da esso t’assottiglia.
Così disse la mia donna; poi aggiunse: «Ascolta attentamente
(Piglia) quello che ti dirò, se vuoi saziarti; e sforza il tuo ingegno (t’assottiglia) intorno alle mie affermazioni (da esso).
66
Li cerchi corporai sono ampi e arti
secondo il più e ’l men de la virtute
che si distende per tutte lor parti.
I cerchi materiali, i cieli, sono ampi o stretti (arti) a seconda
della maggiore o minore (il più e ’l men) virtù che si diffonde
(si distende) in tutte le loro parti.
69
Maggior bontà vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
s’elli ha le parti igualmente compiute.
Più grande è la virtù, maggiore è l’influsso benefico (salute)
che vuole esercitare (far); più grande è il corpo materiale, maggiore è l’influsso benefico che può ricevere (cape), purché ciascuna parte di esso (s’elli ha) sia perfetta (igualmente compiute).
72
Dunque costui che tutto quanto rape
l’altro universo seco, corrisponde
al cerchio che più ama e che più sape:
Dunque il Primo Mobile (costui), che col suo movimento trascina (rape) tutto quanto il resto (l’altro) dell’universo, corrisponde al coro angelico dei Serafini più ardente d’amore (che
più ama) e più sapiente (che più sape):
792
e la fiamma più nitida (sincera) era quella del cerchio meno lontano dal punto luminoso (favilla pura), credo perché partecipa
maggiormente della verità divina (più di lei s’invera).
® vv 40-87
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Canto XXVIII
Paradiso
75
per che, se tu a la virtù circonde
la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che t’appaion tonde,
motivo per cui, se tu applichi (circonde) il tuo metro di valutazione (misura) alla qualità della virtù, e non all’apparente
grandezza (parvenza) dei cerchi in cui ti appaiono qui le
gerarchie angeliche (de le sustanze che t’appaion tonde),
78
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
in ciascun cielo, a süa intelligenza».
potrai comprendere (vederai) la mirabile proporzione (consequenza) di maggiore virtù (di maggio) a maggiore velocità (a
più), e di minore a minore, in ciascun cielo, in corrispondenza con la propria intelligenza angelica».
81
Come rimane splendido e sereno
l’emisperio de l’aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond’ è più leno,
Come la volta celeste (l’emisperio de l’aere) rimane luminosa e
tersa (sereno), quando Borea soffia da quella parte (guancia) in
cui è più leggero (leno),
84
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
con le bellezze d’ogne sua paroffia;
per cui viene sgombrata (si purga) e dissolta (risolve) la nebbia
(roffia) che prima offuscava il cielo (turbava), in modo che esso
risplende (ne ride) con le sue bellezze in ogni sua parte (paroffia),
87
così fec’ïo, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide.
così accadde in me, dopo che la mia donna mi fece dono (mi
provide) della sua chiara risposta, e io vidi (si vide) la verità (ver)
nitida come una stella nel cielo.
90
E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
E non appena il suo discorso si concluse (restaro), i cerchi
angelici sfavillarono come (non altrimenti) fa il ferro incandescente (che bolle).
93
L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che ’l numero loro
più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
Ogni angelo (scintilla) continuava a girare (seguiva) insieme al
suo cerchio infuocato (L’incendio suo); e il loro numero era
così alto (eran tante) che si moltiplicava (s’inmilla) più che la
progressiva duplicazione (più che ’l doppiar) degli scacchi.
96
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
Udivo le schiere angeliche rivolgere di cerchio in cerchio (di
coro in coro) il canto di Osanna (osannar) al punto fisso che li
mantiene (tiene), e li manterrà sempre, nelle sedi (ubi) in cui
sono sempre stati (fuoro).
99
E quella che vedëa i pensier dubi
ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
E Beatrice (quella), che vedeva i pensieri dubbiosi (dubi) che
si agitavano nella mia mente, disse: «I primi due cerchi sono
quelli dei Serafini e dei Cherubini.
102
Così veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
e posson quanto a veder son soblimi.
105
Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,
si chiaman Troni del divino aspetto,
per che ’l primo ternaro terminonno;
Girando così velocemente (Così veloci) seguono il vincolo
d’amore che li lega a Dio (i suoi vimi), per essere quanto più
possibile simili (per somigliarsi... quanto ponno) a Dio (punto); e
tanto più possono farlo quanto più elevata (son soblimi) è la
loro capacità di contemplarLo (a veder),
Gli angeli (Quelli altri amori) che girano intorno ai precedenti (che ’ntorno li vonno) sono chiamati Troni di Dio (divino
aspetto), e per questo furono predestinati a chiudere (terminonno) la prima terna gerarchica (ternaro);
108
e dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.
e devi (dei) sapere che questi tre ordini godono di una beatitudine (hanno diletto) corrispondente alla profondità della
visione di Dio (quanto la sua veduta si profonda), nella quale
ogni intelletto trova pieno appagamento (si queta).
® vv 88-129
LE GERARCHIE ANGELICHE
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Paradiso
Canto XXVIII
111
Quinci si può veder come si fonda
l’esser beato ne l’atto che vede,
non in quel ch’ama, che poscia seconda;
Da ciò (Quinci) si può capire come la beatitudine (l’esser beato)
si fonda sulla visione di Dio (ne l’atto che vede), non sull’amore (non in quel ch’ama), che ne è la conseguenza (che poscia
seconda);
114
e del vedere è misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia:
così di grado in grado si procede.
e la visione è proporzionata al merito, il quale nasce (partorisce) dalla grazia divina e dalla buona volontà: così si procede
di gradino (grado) in gradino.
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L’altro ternaro, che così germoglia
in questa primavera sempiterna
che notturno Arïete non dispoglia,
La seconda terna (ternaro), che così fiorisce (germoglia) in questa eterna (sempiterna) primavera celeste a cui l’autunno (notturno Arïete) non toglie le foglie (non dispoglia),
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perpetüalemente ‘Osanna’ sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s’interna.
canta (sberna) eternamente ‘Osanna’ con tre melodie, che
risuonano nei tre ordini di angeli lieti (di letizia) in cui (onde)
questa terna si triplica (s’interna).
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In essa gerarcia son l’altre dee:
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
l’ordine terzo di Podestadi èe.
In questa gerarchia si trovano le altre intelligenze angeliche:
prima le Dominazioni, poi le Virtù; il terzo ordine è (èe) quello delle Potestà.
126
Poscia ne’ due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano;
l’ultimo è tutto d’Angelici ludi.
Poi nei due penultimi cori tripudianti (tripudi) si volgono (si
girano) i Principati e gli Arcangeli; l’ultimo è costituito interamente dagli angeli festanti (Angelici ludi).
129
Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
e di giù vincon sì, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
Questi ordini contemplano tutti con ardore (tutti s’ammirano)
verso la gerarchia superiore (di sù), e superano in virtù (vincon) quelle inferiori (di giù), in modo tale (sì) che ciascun
ordine è attratto verso Dio (tutti tirati sono), e tutti attraggono
verso di Lui quelli sottostanti (tutti tirano).
® vv130-139 LA TEORIA DEGLI ANGELI DI DIONIGI L’AREOPAGITA E QUELLA DI SAN GREGORIO
132
E Dïonisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomò e distinse com’ io.
135
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, sì tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di sé medesmo rise.
Dionigi l’Areopagita si dedicò (si mise) alla contemplazione di
questi ordini con tanto desiderio di pervenire alla verità
(disio), che li chiamò (nomò) e li suddivise (distinse) come ho
fatto io ora che li ho visti (com’ io).
Ma san Gregorio Magno prese poi una posizione diversa dalla
sua (si divise); per cui sorrise di se stesso non appena scoprì la
verità (li occhi aperse) giungendo in questo cielo.
138
E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio ch’ammiri:
ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse
E non voglio che tu ti meravigli (ch’ammiri) se sulla terra un
mortale ha potuto rivelare (proferse) una verità così nascosta
(tanto secreto ver), dal momento che gli fu rivelata (gliel discoperse) da san Paolo, che poté contemplarla (chi ’l vide) quassù,
con altro assai del ver di questi giri».
oltre a molte altre verità (con altro assai del ver) riguardanti
questi cieli (giri)».
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