2. L'UOMO E L'ENIGMA-DIO
“Se c’è un Dio, è infinitamente incomprensibile, perché, non avendo né parti né limiti, non ha
nessun rapporto con noi”
(Blaise Pascal, Pensieri, Mondadori, p. 161)
2.1. DIO: UNA SOLUZIONE RAZIONALMENTE ACCETTABILE O LA SUA STESSA IDEA
COSTITUISCE UN MISTERO?
Lo intriga l’idea di Dio. Paradossalmente è la scienza ad avergli aperto questo orizzonte. Da
quando, infatti, Alessandro si è messo a divorare libri e riviste di carattere scientifico, si è reso
conto che la scienza è strutturalmente incapace di penetrare il mistero dell’universo: questa
non può e non potrà mai spiegare perché esiste qualcosa e non il nulla. L’idea di Dio, tuttavia,
lo tormenta. Non riesce a conferire a tale idea dei connotati precisi. Anzi, fa fatica a pensare
che esista davvero una mente divina del tutto priva dei tratti umani. Per quanto sprema la sua
fantasia, non è in grado di immaginare nulla che possa assomigliare all’idea di un Dio. Da qui
l’esigenza di comunicare con qualcuno che ha affrontato il problema prima di lui. Gli viene in
mente Mauro, un compagno di corso che è impegnato in una organizzazione cattolica. Gli
chiede un appuntamento. Punto di ritrovo: il chiostro universitario. Ed eccoli di fronte, a
cavalcioni, sul muretto di cinta del giardino.
Dio=Spirito? Ma… come potrebbe esistere qualcosa senza dimensioni…? E dove
potrebbe essere? E come potrebbe “vedere” l’universo?
“Mauro, è da tempo che sto pensando all’idea di Dio, ma ti confesso che non riesco
assolutamente né a immaginarlo né a caratterizzarlo. Ho la sensazione che una mente divina
debba esistere, ma tale mente mi sembra del tutto evanescente. Forse tu non hai la stessa
impressione.”
“Alessandro, non credere che sia tutto semplice per uno credente come me. Affatto. La natura
di Dio è un mistero. Ed è tale proprio perché non vi è alcun punto di contatto tra noi mortali e
Dio. Si potrebbe dire che tra noi e Dio vi è un abisso che l’uomo non è in grado di colmare. E
come potrebbe?”
“Come? Io vengo da te per avere tuoi lumi.”
“Il mistero è tale anche per chi ha fede. Ti ricordi l’astronauta che, di ritorno dallo spazio, ha
affermato che lassù non ha visto Dio? Vi è stato chi ha bollato la sua battuta come blasfema in
quanto Dio, per definizione, è invisibile perché spirito. E’ questo che facciamo fatica a pensare:
lo spirito.”
“Infatti: non riesco a coglierne il contenuto.”
“E’ vero. Facciamo fatica perché siamo tutti esseri fisici. Cerchiamo, tuttavia, di fare uno sforzo
e di coglierne il senso, anche se solo in termini negativi: lo spirito è ciò che non è materiale,
corporeo, esteso.”
“Ma… come potrebbe esserci qualcosa senza dimensioni, senza caratteristiche fisiche? Ho la
sensazione che parlare di Dio come puro spirito è come parlare del ‘nulla’! Un Dio del genere,
ad esempio, come potrebbe ‘vedere’ l'universo?”
“Tu, naturalmente, ragioni con l'ottica ‘umana’ per cui trovi quanto meno strano un Dio che
non sarebbe neanche in grado di ‘vedere’ l'universo di cui è l'Autore. Ma... perché non
potrebbe esserci un'altra modalità di vedere, una modalità diversa da quella umana? Noi
stessi, del resto, non vediamo col pensiero qualcosa che non siamo in grado di vedere con gli
occhi?”
Gli studenti passano parlottando. A pochi metri – sullo stesso muretto – due ragazze sono
immerse nello studio: leggono con voracità, sottolineano, prendono appunti. Ma Alessandro e
Mauro non vedono. Non sentono. Sono troppo concentrati nella loro ricerca.
“Mauro, non puoi negare come sia ostico accettare il concetto di ‘spirito’, un concetto che non
può essere né verificabile né falsificabile”.
“E’ vero. Però ho l’impressione che tu voglia andare oltre l’orizzonte scientifico. No? Perché
buttare via un concetto solo perché non rientra nell'ambito della ricerca scientifica? Perché non
potremmo tradurre il concetto con ‘pensiero’?”
“Ma… dire che Dio è Pensiero non è come dire che Dio non è da nessuna parte? Dov'è mai il
pensiero?”
“Ma… forse che il pensiero umano non esiste? Non si potrebbe dire che Dio - anche se non ha
occhi per vedere - vede l'universo almeno come noi vediamo con la mente dei numeri, delle
figure geometriche? Non ti sembra una congettura utile?”
“Non mi convince: perché mai un Dio=pensiero non sarebbe mai nato (così, almeno, si ritiene
che sia), mentre sappiamo che il pensiero umano nasce e muore?”
Mauro non è in fase di ricerca. E’ approdato all’impegno cattolico senza tante disquisizioni
teoriche: ci è arrivato sulla base di un’esperienza di solidarietà, un’esperienza che lo ha messo
in sintonia col messaggio evangelico, messaggio che ha fatto proprio. Si sente, quindi, un po’ a
disagio di fronte all’incalzare delle obiezioni di Alessandro. Non che non sappia rispondere.
Ma… si trova in qualche misura a giocare in difesa.
Se Dio fosse “Spirito”, come potrebbe dare una spinta “fisica” al Big Bang?
“Alessandro, stiamo affrontando, indubbiamente, un problema sottilissimo. Ti confesso che
anche per me è tutt’altro che agevole parlare di queste cose, anche se fanno parte della mia
visione del mondo. Fatico a mettermi nei panni del logico. Comunque mi sforzo di seguirti nel
tuo cammino. Se esiste qualcosa di eterno, questo non è un ‘aggregato’ di particelle, ma
qualcosa di semplice (sono gli aggregati, infatti, che nascono e muoiono), cioè qualcosa di non
materiale: la materia , infatti, è costituita da particelle.”
“Mauro, non capisco: perché parli di ‘non materiale’? Gli elettroni, i protoni, i neutroni sono
realtà semplici (non parlo qui delle ulteriori particelle che vengono prodotte, ad esempio, con i
giganteschi acceleratori del Laboratorio del Cern, in Svizzera), eppure sono di tipo fisico!
Stando al tuo ragionamento, poi, dovrebbero essere eterne: che ragione ci sarebbe, allora, di
introdurre una realtà spirituale?”
“Ma come spiegheresti, allora il Big Bang? L’esplosione non comporta una forza?” Lo stesso
aggregarsi, poi, di particelle non comporta a sua volta una forza?”
Come no? Ma questo non ci porta ad introdurre una realtà spirituale! Forse che le particelle che
vengono a formare l’embrione umano hanno bisogno – per aggregarsi – di una realtà
spirituale?”
“L’embrione umano è alimentato dalla madre, ma qui ci troviamo di fronte all’inizio
dell’universo: da che cosa potrebbe avere avuto la spinta se non da Dio?”
“Ma perché parli di un Dio-spirito?”
“Perché qui stiamo parlando di qualcosa che è prima dell’universo, prima di quella palla di
fuoco che è poi esplosa o, comunque, prima, di qualsiasi cosa (non solo materia, ma anche
energia). Prima di qualsiasi cosa di fisico o di chimico (anche se il nostro universo fosse uno dei
tanti o, addirittura, uno dopo altri che hanno già esaurito il loro ciclo vitale). Cosa potrebbe
esserci al di fuori dell’orizzonte fisico se non qualcosa di spirituale?”
“Il tuo ragionamento fila, ma non mi convince. Tu parli di spinta, ma la spinta non è qualcosa
di fisico? Non siamo di fronte al concetto fisico di ‘forza’? Perché introdurre il concetto di Spirito
per spiegare un concetto puramente fisico? Uno Spirito, del resto, se non ha nulla in comune
con la materia, come potrebbe essere causa di una spinta, di una forza fisica?”
Ad Alessandro sembra proprio, questo, un argomento forte: introdurre il concetto di Spirito
significa togliere di mezzo alcuna possibilità di rapporto tra questo Spirito e l’universo. Egli ha
l’impressione di trovarsi di fronte ad un concetto-rifugio, anzi ad un concetto che esprime di
fatto una fuga dal problema: come risolvere un problema – pensa – introducendo un concetto
che strutturalmente non è in grado di risolverlo?
Dio: un concetto del tutto inafferrabile sulla base di schemi umani?
“Alessandro, qui, naturalmente, stiamo introducendo un concetto per spiegare ciò che la
scienza non riesce a spiegare. Quindi dobbiamo fare un balzo di pensiero rispetto alla logica
comune.”
“Perché dici che la scienza non è in grado di spiegare la spinta? Perché la spinta (la forza) non
potrebbe essere intrinseca alla stessa materia? Del resto, prima ancora della nascita della
materia, non vi era l’energia? E cos’è l’energia se non forza?”
“Ma qui stiamo parlano dell’origine, e quindi anche dell’origine dell’energia.”
“Perché non si potrebbe parlare di particelle primarie (cioè eterne) che hanno una forza
intrinseca e, quindi, non hanno bisogno di una spinta esterna?”
“Anche in questa tua ipotesi, rimarrebbe pur sempre da spiegare da dove hanno origine i
punti-energia!”
“Perché, Mauro, non considerarli eterni?”
“Tutto ciò che è fisico nasce e muore! Da qui la mia convinzione: dietro non ci può essere altro
che un Creatore.”
Alessandro ha un attimo di distrazione che gli consente di percepire ciò che lo circonda: il
monotono ronzio delle api che volano tra le spighe profumate della lavanda, il cinguettio di
passerotti che si divertono a giocare tra le fronde del fior d’arancio, il dolce profumo delle rose.
Ammira il gelsomino che adorna le colonne. Poi riprende.
“Effettivamente, Mauro, a un Dio Creatore sto pensando anch’io da qualche tempo. Ma… c’è
ancora qualcosa che non quadra. Se Dio decide ad un certo momento di creare l’universo (o
l’eventuale multiverso), vuol dire che ha una volontà: ora un essere costituito da pensiero e
volontà, come potrebbe essere semplice? Ora un Dio non semplice, come potrebbe essere
spirito?”
E’ la prima volta che Mauro sente un’obiezione del genere. Non ci aveva mai pensato. Non era
mai entrato in tali sottigliezze. Si rende conto, comunque, che deve pur scendere (o salire) su
questo terreno se vuole dare una mano ad Alessandro, anche se si tratta di un terreno a lui
non consono.
“Senti, Alessandro: a me pare che un conto sia qualcosa di materiale che è un aggregato di
particelle ed un conto l’aggregazione di due entità non fisiche quali, appunto, il pensiero e la
volontà: non credi?”
“I due aggregati, è vero, non sono omogenei, ma siamo di fronte, comunque, ad un aggregato
e, quindi, a qualcosa di non semplice.”
Alessandro ha tanta voglia di capire qualcosa, ma non ci riesce. Ha la sensazione che più
affronta il problema, più ne coglie la complessità: da una parte si sostiene che il nascere ed il
morire caratterizzano solo gli aggregati (cioè le cose che sono costituite da ingredienti) e non
ciò che è semplice e, dall’altra, emerge che anche Dio - dato che è insieme pensiero e volontà
- è un aggregato. Anche Dio, quindi, ha bisogno - per essere spiegato - di essere creato?
“Senti, Alessandro, perché mai pensiero e volontà non potrebbero identificarsi?”
“Come potrebbero identificarsi? Un conto è il pensiero (diciamo l'aver presenti delle
alternative) ed un conto il decidere una delle alternative: come si potrebbe decidere se prima
non ci fosse la percezione delle alternative, se cioè il decidere (l'atto della volontà) non fosse
distinto dal percepire?”
“Ma se noi introducessimo un "prima" ed un "poi", non introdurremmo un'ulteriore complessità
in Dio? Come potrebbe Dio essere "semplice" se ci fossero in Lui il "prima" ed il "poi" e quindi
se Egli mutasse (prima non decide, poi decide)?”
“Mi dispiace, Mauro, ma non riesco assolutamente a comprendere: come si può decidere se
prima non si presentano davanti delle alternative?”
Due mani sulle spalle: sono di Giovanni e Annalisa, due amici. “Ciao!” Alessandro e Mauro
rispondono con un saluto fugace: non hanno alcuna intenzione di perdere il filo del discorso
proprio ora che sono arrivati ad un nodo delicato. Comunicano il tema del loro confronto e
chiedono agli amici – se sono interessati – di fermarsi: loro non hanno segreti. Giovanni ed
Annalisa sono letteralmente sorpresi dall’argomento: lo considerano estraneo al modo di
pensare dei giovani che conoscono. Per loro Dio – da quando hanno smesso di frequentare
l’oratorio parrocchiale – non esiste più. Trovano quanto meno anomalo, allora, che Dio
costituisca ancora un “problema”. Spinti dalla curiosità, decidono di fermarsi. Si siedono ed
ascoltano in silenzio.
“Alessandro, tu continui a parlare di Dio ragionando con gli schemi umani.”
“E con quali altri schemi dovrei ragionare?”
“Dovresti, almeno, liberarti dall’immaginazione e usare la pura ragione, come la si usa in
matematica. Nelle geometrie non euclidee, ad esempio, non vi è alcun margine per
l’immaginazione: siamo nel campo della pura logica. Ed è con questo approccio che nel passato
– come sai – si è affrontato il problema-Dio. Ad esempio vi è chi ha sostenuto che
l'immutabilità è proprio la caratteristica di Dio. Come? Partendo dall'esperienza del ‘mutare’: se
una cosa muta, ha bisogno di essere ‘mossa da altro’ e, siccome non si può procedere
all'infinito, si deve sostenere che esiste un Motore che a sua volta non muta (Motore
Immobile).”
“Mi pare un argomento debolissimo. Lo sanno tutti, infatti, che in base al principio di inerzia
esiste un tipo di moto (quello rettilineo uniforme) che non ha affatto bisogno di una causa: tale
moto, in altre parole, è qualcosa di ‘naturale’ come lo stare in quiete e, dato che è qualcosa di
naturale (spontaneo), non ha bisogno di alcun motore.”
“Un carrello - se non vi fossero attriti di sorta - andrebbe con un moto rettilineo uniforme
all'infinito, ma un carrello, se non ricevesse una spinta, come potrebbe iniziare il moto? E poi,
quand'anche il moto rettilineo uniforme non avesse bisogno di una spinta (qualcosa che
muove), non vi sarebbero, comunque, da spiegare i moti che non sono rettilinei uniformi?”
“Questi moti sono, comunque, spiegabili grazie a forze naturali: il moto ellittico del pianeta
Terra non è dovuto a due forze (la forza gravitazionale del Sole e la cosiddetta forza inerziale
in direzione opposta a quella gravitazionale)? Perché, allora, introdurre un Motore Immobile?”
Ma… queste forze non sono dovute in ultima analisi – alla fine della catena – ad una Forza che
a sua volta non ha bisogno di alcuna spinta?”
Il confronto si fa animato. Giovanni e Annalisa sono colpiti dall’incalzare delle obiezioni e dalla
ricchezza argomentativa dei due amici. Sono colpiti dal tormento esistenziale di Alessandro, un
tormento che loro non hanno mai provato. E sono colpiti dalla sua sete di verità. I due
“contendenti” controllano il tono, ma non riescono a non attirare l’attenzione dei passanti.
Alessandro e Mauro sono di fatto circondati da curiosi, ma non hanno alcun timore a
proseguire la loro ricerca in pubblico: chissà – pensano - che possa essere utile anche ad altri!
“Mauro, quand’anche ci fosse davvero questo Motore Immobile di cui parli, ci troveremmo di
fronte ad un Dio freddo. Dove sarebbe il Dio-Persona di cui tanta gente sente il bisogno?”
“Perché mai, Alessandro, Dio dovrebbe essere ad immagine e somiglianza dell'uomo? Non
sarebbe questa una concezione antropomorfica della divinità, una concezione ormai superata?”
“Ma… se Dio non fosse una Persona, che Dio sarebbe? Che senso avrebbero le preghiere che
costituiscono una parte importante delle religioni? Che senso avrebbe chiedere a Dio di aiutarti
se Dio non potesse mutare e, quindi, non potesse decidere di aiutarti?”
“Ma la preghiera non è solo richiesta di aiuto! La preghiera è pure (o soprattutto) un
ringraziare Dio.”
“Ma... che senso potrebbero avere le preghiere di ringraziamento se chi le riceve non potesse
avere alcuna reazione, ad esempio, essere soddisfatto della riconoscenza degli uomini nei suoi
confronti?”
Mauro si sente spiazzato da un’ennesima obiezione che non ha mai sentito. Poi riprende il
discorso utilizzando un motivo precedente.
“Perché mai la soddisfazione non potrebbe essere eterna? Tu parti dal presupposto che in Dio
vi è il tempo. Ma… come farebbe ad esistere il tempo (il prima e il poi) se non ci fosse alcun
mutamento?”
“Ma se Dio fosse immutabile, se la soddisfazione fosse eterna, come potrebbe esserci qualche
motivo per ringraziare Dio?”
“Le bellezze del cosmo non sarebbero un motivo sufficiente per ringraziare Dio?”
“Quale motivo dovrebbe esservi per ringraziare Dio, se Questi non avesse mai preso una
decisione?”
Una raffica di botta e risposta. Una raffica di posizioni che si presentano con una forza
persuasiva. Mauro non sa fare altro che ripescare il Leit-motiv: il motivo conduttore
dell’eternità.
“Perché mai, Alessandro, Dio non potrebbe avere liberamente scelto di creare dall’eternità?”
“Ma come potrebbe una decisione presa dall’eternità essere considerata una ‘decisione’? Una
decisione non si ha quando “prima” si ponderano i pro ed i contro e “poi” si sceglie?”
Mauro si sente sempre più a disagio. L’argomento del Motore Immobile l’aveva studiato bene
al liceo e gli è sempre sembrato un argomento fortissimo. Non aveva mai pensato a queste
conseguenze, conseguenze che, addirittura, mettono in crisi lo stesso pregare che è una
caratteristica essenziale non solo del Cristianesimo, ma anche di una qualsiasi religione e
mettono in discussione lo stesso atto creativo.
“Senti, Alessandro: non siamo al discorso di prima? Il tuo non è un approccio puramente
umano?”
“Ma quand’anche fosse così, a cosa potrebbe servire un Dio-Motore Immobile, un Dio che
l’uomo non può neanche pregare?”
“Ma perché dovremmo escludere a priori che Dio sia diverso dall’immagine che noi abbiamo
costruito?”
Il gruppo dei curiosi si infoltisce. Si tratta di un gruppo mobile: vi è, infatti, chi si ferma per
poco e, poi, se ne va scuotendo le spalle, considerando il tema del tutto fuori moda. I più,
però, rimangono e dalle loro reazioni dimostrano di fare il tifo o per una parte o per l’altra
come ad una partita di calcio. Vi è, infine, chi, pur considerando per nulla attraente
l’argomento, è impressionato dalla passione con cui i due giovani discutono.
“Mauro, questa idea di Dio-Motore Immobile continua a non convincermi. Se Dio fosse il
Motore Immobile, come potrebbe spiegarsi l'atto creativo? Come avrebbe potuto Dio creare il
mondo senza mutare?”
“Siamo alle solite: perché mai la creazione non potrebbe essere eterna?”
“Ma... ha senso dire che Dio ha ‘creato’ il mondo dall'eternità? Se il mondo è creato, ha avuto
un inizio e, quindi, non è eterno e se è eterno, non ha avuto un inizio e, dunque, non è
‘creato’. E poi se tutto fosse eterno in Dio, significherebbe che in Dio non vi è il tempo. Ma
questo non potrebbe essere preoccupante? Se Dio vede già (da sempre) il mio destino, non
verrebbe meno la mia libertà?”
“Perché mai Dio non potrebbe vedere adesso (o dall'eternità) le tue scelte? Il fatto che Dio
conosce il tuo futuro, significa forse che Dio determina il tuo futuro?”
“Ma se Dio fosse Motore Immobile, come si potrebbe salvare la libertà umana? Se Dio
muovesse tutto ciò che muta, non potrebbe che muovere anche la mia decisione.”
Alessandro avverte di avere tirato fuori un’arma formidabile: se esistesse un Motore Immobile,
allora l’uomo non sarebbe libero. Ma l’uomo è libero. Si ribella all’idea di essere un burattino
nella mani di Dio.
“Indubbiamente il problema è ‘complesso’. L'esistenzialista francese Jean Paul Sartre è arrivato
a sostenere che per salvare l'uomo (salvare la libertà che caratterizza l'uomo), occorra negare
Dio. Ma questo non succede perché lo si vuole analizzare con la logica puramente razionale?”
“Ti ripeto: quali altre armi noi abbiamo in mano? “
“Perché non essere disponibili ad aprirsi al Mistero?”
“Ma noi stiamo ragionando, Mauro. Non si può ‘credere’ prima di ‘capire’. E a proposito di
capire, sempre nell’ipotesi che Dio sia Spirito, come si potrebbe spiegare l’azione di Dio sul
mondo? Se Dio fosse Spirito - qualcosa, cioè, che non ha nulla in comune con la materia –
come potrebbe agire sulla materia stessa? E come potrebbe uno Spirito generare la materia
quando non contiene in sé detta materia?”
“Ma… non ti sembra insensato porre dei limiti a Dio che è - per definizione - onnipotente? Il
porre limiti a Dio non potrebbe essere considerato una sorta di proiezione in Dio dei nostri
schemi umani?”
“Dio – in questa ottica – potrebbe anche creare dal nulla. No?”
“Certo.”
“Ma come è possibile che Dio faccia del ‘nulla’ ‘qualcosa’? Può un ‘nulla’ diventare qualcosa?
No! E quindi come potrebbe Dio fare qualcosa che è impossibile? Forse che Dio potrebbe
trasformare il ‘cerchio’ in ‘quadrato’?”
“Ma… in questo caso non avremmo un nulla che diventa qualcosa, ma un Dio che crea qualcosa
dal nulla. Non ti sembra diverso?”
“Dire che Dio crea dal nulla, non è dire che il nulla – grazie a Dio – diventa qualcosa? Se
un’affermazione è assurda, perché non lo sarebbe più se fosse attribuita a Dio?”
“Tutti i filosofi cristiani non hanno mai visto nulla di strano nell’attribuire a Dio la creazione dal
nulla.”
“Ma questo non significa che avessero ragione.”
Alessandro ha la sensazione di brancolare nel buio. Ha invitato Mauro perché gli dipanasse i
dubbi, ma ora si sente più dubbioso di prima. Su tutti i fronti: sul Dio-Spirito, sul Dio
Immutabile, sul Dio Creatore dal nulla. Ha buoni motivi per dire che questi concetti creino più
problemi di quanti ne risolvano. Si è avventurato in troppe sottigliezze logiche? Sta ragionando
sulla base di una logica puramente umana? Per ora non vede un’altra via. Non è un uomo lui?
E come dovrebbe ragionare? Come ragionare con l’ottica divina ancor prima di capire chi è
questo Dio? Non ha aperto l’animo al mistero? Ma come può aprirsi, se non ha in mano delle
ragioni convincenti?
E se Dio fosse la risposta ad un’esigenza psicologica di dare un senso forte alla vita,
di trovare conforto di fronte alle avversità ed alle ingiustizie della vita?
“Senti, Mauro: perché mai Dio non potrebbe essere la risposta ad un'esigenza psicologica?
“Alessandro, come si può credere in Dio semplicemente per sopportare meglio egoisticamente - la propria esistenza?
“Perché mai sarebbe una posizione egoistica? La mia esistenza è ‘mia’ e sono io che devo dare
un senso ad essa: non vedo, perciò, alcuno scandalo.”
“Come? Un Dio come risposta ad un’esigenza psicologica non è come una sorta di … oggetto da
usare perché è utile e magari da gettare quando non è più utile?”
“E’ un fatto, comunque, che vi sono persone che, senza Dio, proverebbero un vuoto
incolmabile, avvertirebbero un senso di smarrimento, percepirebbero la perdita di un punto di
riferimento, avrebbero l'impressione di brancolare nel buio più totale, di non essere in grado di
conferire un senso pieno alla vita.”
“E' vero, Alessandro.”
“Ora che valore ha questo atteggiamento? Io ho l’impressione che si tratti di una fuga: la fuga
di chi non ha il coraggio di prendere atto che la vita è senza senso, di chi non è capace di
camminare senza ‘bastone’.”
Mauro, dopo aver rigettato – di primo acchito – l’approccio psicologico, ha la sensazione che
esso possa essere proprio una buona strada per arrivare a Dio: l’uomo – senza Dio – si trova al
buio, senza un punto di appoggio, senza senso.
“Senti, Alessandro, a riflettere bene, mi pare tutt’altro che una fuga! E' chi non si apre a Dio
che fugge da se stesso: l'aprirsi a Dio, infatti, è il frutto della presa di consapevolezza
dell'incapacità di fondo dell'uomo di dare un senso alla vita. E' il chiudersi a Dio una fuga da se
stessi! Chi si chiude a Dio, infatti, lo fa a causa del suo orgoglio, della sua incapacità di
umiliarsi, di percepirsi debole.”
“Secondo te, quindi, l’aprirsi a Dio non è il frutto di ragionamenti, di dimostrazioni razionali,
ma di volontà: solo chi si sforza di dominare il proprio orgoglio è in grado di aprirsi ad un
Essere trascendente. Ma in questo modo l’uomo non rinuncerebbe proprio alla sua ragione?”
“Quale ragione, Alessandro? Forse che la ragione ‘scientifica’ non ha oggi la piena
consapevolezza che i suoi risultati sono precari?”
La precarietà della scienza. E’ da qui che Alessandro è partito per questo viaggio. Non da
un’esigenza psicologica. Sia chiaro: considera legittimo che una persona creda in Dio perché ne
avverte il bisogno, perché ha la sensazione – senza Dio – di vivere al buio. Ma lui è convinto
che sia del tutto illegittimo usare questa esigenza come una sorta di via a Dio. Anzi, a lui
sembra proprio il contrario: se Dio fosse una risposta ad un’esigenza dell’uomo, Dio – di fatto –
sarebbe una creatura dell’uomo stesso. Cioè Dio non ci sarebbe.”
“Senti, Mauro, rimaniamo pure in tema di esigenza: cosa dici della tesi secondo cui l'esigenza
di Dio e l'esigenza di un paradiso celeste non sono altro che il sogno di chi è sfruttato, di chi
vive - qui sulla terra - una vita d'inferno?”
“Se fosse valida tale congettura, allora l'idea di Dio (e quella del paradiso) sarebbe tramontata
nei Paesi socialisti che hanno cercato di creare dei paradisi terrestri senza più sfruttamento
dell'uomo sull'uomo: il che non è vero.”
“Tu, naturalmente, parti dal presupposto che nelle società socialiste - quelle che si sono
storicamente realizzate (vedi, ad esempio, l’ex Urss) - lo sfruttamento è venuto meno.”
“Forse hai ragione. Ma senti: supponiamo pure che l'idea di Dio sia nata come risposta alla vita
d'inferno che si vive su questa terra: questo proverebbe che Dio non esiste?”
“Non credo possa essere una prova vera e propria, ma si tratterebbe, comunque, di un
argomento convincente: se noi scopriamo come ha avuto origine l’idea di Dio (se noi
scopriamo, ad esempio, che tale idea è nata perché l’uomo avverte sulla sua pelle l’ingiustizia
e sente bisogno di una giustizia nell’aldilà), perché questo non dovrebbe far cadere Dio
stesso?”
“Perché? Dio non potrebbe benissimo esistere anche se l'uomo non ne sentisse affatto il
bisogno?”
Alessandro ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un’obiezione forte: perché Dio non
potrebbe esistere al di là del bisogno dell’uomo? Gli sembra, quindi, che l’arma dell’esigenza
psicologica non porti direttamente all’ateismo. Sì, ne è pienamente consapevole: in questa
ottica l’esistenza di Dio è solo un’ipotesi teorica, è solo una semplice possibilità. Una possibilità
che, tuttavia, non può essere esclusa a priori.
Dubbi, qualche sprazzo, ma niente di più: Alessandro si è avventurato in un viaggio tortuoso,
senza vie chiare di uscita.
“Senti, Mauro: il problema-Dio non potrebbe essere destinato a rimanere tale, a non essere,
cioè, mai risolto?”
“Io credo che la soluzione sia solo a livello personale: un’argomentazione può non essere
convincente per qualcuno, mentre può avere una grande forza per altri.”
“Ma quali argomentazioni?”
“Naturalmente non quelle di tipo scientifico. E’ chiaro che il ‘problema-Dio’ non è affatto un
problema per la scienza: come potrebbe essere in qualche misura verificabile un Essere che,
per definizione, si sottrae a qualunque esperienza possibile?”
“Sono d’accordo, ma quale può essere un’altra via razionale?”
“In geometria, ad esempio, la dimostrazione di un teorema non ha affatto bisogno di un
esperimento di laboratorio.”
“E’ vero, ma non è forse un conto dedurre logicamente una conseguenza da premesse o
postulati ed un altro dimostrare qualcosa che ‘esiste’? Nel primo caso hai a che fare con delle
‘coerenze’ interne ad un linguaggio (quello, ad esempio, della geometria euclidea), mentre nel
secondo sei di fronte ad una ‘realtà’ da dimostrare!”
L’agnosticismo: una posizione di comodo?
Mauro, per un certo verso, si sente fortemente coinvolto nella discussione: lui in Dio crede e
fermamente ed è qui giusto per aiutare – se possibile – il suo amico a portare a termine in
modo positivo la sua ricerca personale. Ma, nello stesso tempo, avverte un senso di fastidio:
lui è intimamente convinto e basta e non ha affatto bisogno di argomentazioni di tipo logico.
Lui il Dio-Amore lo sente, lo vive nel suo intenso lavoro di solidarietà: che bisogno c’è di
qualche puntello di tipo razionale? Lui ha scelto: e perché mai la scelta dovrebbe
necessariamente essere di tipo razionale?
Alessandro, invece, avverte forte il bisogno di un qualche argomento logico. Ha intrapreso una
ricerca partendo dai limiti strutturali della scienza: è su un terreno razionale che, quindi,
attende una risposta. Una risposta che fino ad ora non ha ancora trovato: né sulla ‘natura’ di
Dio né sulla strada da percorrere per arrivarvi.
“Senti, Mauro, perché la scelta più corretta non potrebbe essere quella agnostica?”
“Ho qualche dubbio: per me gli agnostici non sono altro che atei camuffati, atei che non osano
confessare il loro ateismo e allora lo rendono più... dolce sostenendo che loro sono in fase di
ricerca, perenne ricerca!”
“Ma ti sembra giusto mettere in discussione l'onestà intellettuale dei tanti che non hanno
trovato ragioni né per pronunciarsi a favore né per pronunciarsi contro?”
“Ci sarà qualcuno che ha effettuato una seria ricerca: ma quanti sono? Io credo che sia più
coraggiosa la scelta atea, una scelta che va contro una tradizione millenaria. Non è più facile,
invece, per un giovane scegliere una via che gli consente di essere meno ‘tormentato’ dai
genitori?”
“Io mi riferisco a chi la ricerca la fa con scrupolo, anche con passione come la sto facendo io
(almeno credo): perché non dovrebbe essere onesto avere il coraggio di dire che il problema
non è risolvibile? Come si può considerare risolvibile un problema che ha tormentato le più
brillanti menti della storia dell'umanità e non ha mai avuto una soluzione univoca?”
“Alessandro, perché mai dovrei scomodare la storia delle più brillanti menti della storia? Sono
io che devo dare un senso alla mia vita, non la mente più acuta del pianeta Terra. E poi,
supponendo pure che l’agnosticismo sia una posizione onesta, si tratterebbe di una posizione
credibile? Ritieni concretamente possibile vivere né credendo in Dio né negandolo?”
“Certo. Non vedo perché per vivere, occorra affermare l'esistenza di Dio o negarla: si può
vivere benissimo anche considerando il ‘problema Dio’ insolubile.”
“Ma… o si vive da ‘atei’ o si vive da ‘teisti’: come potrebbe esserci una terza via? Esiste forse
per te una tavola di ‘valori’ (valori di comportamento) che non sia né atea né teista?”
“Perché mai l’agnostico non potrebbe avere una tavola di valori che potremmo chiamare ‘laica’,
una tavola di valori cioè che prescinde dal ‘problema-Dio’? Perché, addirittura, non potrebbe
seguire norme di comportamento cristiane?”
“Certo (e non solo l'agnostico, ma anche l'ateo!): il messaggio dell'amore annunciato da Gesù
Cristo può essere accolto benissimo sia da atei che da agnostici proprio per il suo valore
‘umano’. Ma l’agnostico e l’ateo come potrebbero vedere nell’altro un ‘fratello’, un figlio dello
stesso ‘Padre’?”
“Di sicuro la prospettiva in cui agisce il cristiano è diversa. Non c'è dubbio, tuttavia, che vi
sono atei ed agnostici che fanno della ‘solidarietà’ con gli ultimi lo scopo (o uno scopo
importante) della loro vita.”
Credere in Dio non potrebbe essere la soluzione che può consentire di vivere una vita
più serena o, comunque, meno angosciante?
Mauro si sente più a suo agio su questo nuovo terreno: il terreno del vivere, dell’esperienza, il
terreno esistenziale. Ed è su questo campo che gli viene spontaneo tirare fuori un argomento
che gli sembra piuttosto forte.
“Senti, Alessandro, il credere in Dio non potrebbe essere la soluzione più conveniente? Il
credere, cioè, in Dio non potrebbe offrire al credente la possibilità di affrontare la vita con
serenità, con fiducia, con un sentimento di sicurezza, possibilità che è esclusa all'ateo?”
“Perché mai uno che ricerca deve necessariamente cercare un ‘senso’? Perché la vita non
potrebbe risultare priva di senso? Perché la prospettiva atea non potrebbe essere quella vera?”
“Ma io ho bisogno di qualcosa che dia un senso alla mia vita. Di fronte alla morte dei propri cari
ed alla prospettiva della propria morte un ateo non può che disperarsi, mentre un credente un
‘senso’ lo trova alla morte, ad un tumore che gli piomba addosso...”
“Ma perché mai un ateo dovrebbe disperarsi? Un ateo che avesse un'ottica scientifica, non
darebbe un senso ‘scientifico’ alla morte o ad un tumore? E poi è proprio vero che un credente
non si dispera di fronte ad un figlio che si trova ad avere un tumore che non perdona?”
“E’ un fatto, tuttavia, che un credente potrebbe dare un senso più pieno agli eventi in
questione, un senso che lo può aprire alla ‘speranza’ o addirittura alla ‘certezza’ che la morte
non è che un passaggio ad una vita migliore. Non è rasserenante il credere che dopo la morte
ci aspetta - se avremo fatto del bene - una felicità eterna?”
“Perché rasserenante? Non sarebbe più felice chi scegliesse di non avere alcuna illusione a cui
aggrapparsi? Il coraggio di vivere senza illusioni non dovrebbe offrire una profonda
gratificazione? Non è gratificante essere convinti di essere superiori a tanta gente che - invece
- per vivere ha bisogno di stampelle?”
“Ma che serenità potrebbe avere chi vede la sua vita ed il mondo senza ‘senso’, senza un punto
di riferimento? Come potrebbe essere felice chi brancola nel buio? E poi chi crede non ha il
massimo vantaggio? Se Dio esiste, il credente non avrà la felicità eterna?”
“Ma credere in Dio non comporta rinunciare a qualcosa di importante, ad esempio, agli stessi
piaceri della vita? E non sarebbe uno smacco, se poi Dio non esistesse?”
“Quale smacco? Se Dio non dovesse esistere e non dovesse esistere alcuna forma di
sopravvivenza dell’uomo, come si potrebbe ‘percepire’ uno smacco? Se la morte dovesse
essere l’assenza totale di percezione, come si potrebbe rendersi conto di avere sbagliato? E
poi, se credessi in Dio, non vivresti all’insegna dell’amore, dell’altruismo, della solidarietà? E
questo non ti darebbe una gratificazione?”
“Ma io potrei vivere secondo questi valori senza, tuttavia, credere in Dio. Perché mai
aggrapparsi ad un’illusione?”
“Illusione? Quand’anche fosse, evviva l’illusione! L’illusione ti aiuta a vivere, il disincanto ti
traumatizza!”
“Perché mai il disincanto non dovrebbe aiutare a vivere? Non vi sono tante persone atee od
agnostiche che hanno trovato grandi ideali per vivere? E' bene che i bambini vengano lasciati a
cullare le loro illusioni, ma gli adulti non sarebbero disonesti se si rifugiassero nelle fiabe?”
“Fiabe! Di fronte al ‘mistero’ della vita e dell’universo forse che la scienza è in grado di dare
delle spiegazioni certe? L'appellarsi alla fede non è, quindi, più che legittimo?”
Alessandro non nega affatto questa legittimità, ma non ha dubbi che si tratti di una
motivazione debole. Debolissima. Sì, il mistero c’è, ma come pretendere di bypassare il
mistero appellandosi ad un motivo di convenienza, ad un motivo, cioè, egoistico? E allora?
Allora si rende conto che più si inoltra nell’esplorazione, più si trova in un vero e proprio
labirinto: qualsiasi percorso imbocchi, non riesce a scorgere una via di uscita. O, almeno, lui
non la intravede. Ha la sensazione di avere la mente ancora più confusa di prima. Aggredita da
mille dubbi. Non ha, comunque, alcuna intenzione di gettare la spugna. Sa che la sua ‘ricerca’
è contro-corrente: molti suoi amici, infatti, navigano a vista, vivono secondo i modelli culturali
propinati dai massa-media senza neanche discuterli, considerano una perdita di tempo cadere
in tentazioni esistenziali. Ma lui non molla. Su una cosa è certo: una soluzione o un’altra al suo
‘problema’ darà un senso o un altro alla sua esistenza.
E se il Dio che sta cercando fosse il Dio del Cristianesimo? E’ questi un Dio che ha incontrato in
anni passati. Ricorda ancora le preghiere imparate sui banchi di catechismo, gli anni
dell’oratorio ritmati da messaggi religiosi. Sì, è vero, ‘l’incontro’ è stato piuttosto superficiale,
gli stessi riti della prima comunione e della cresima hanno inciso ben poco sul suo animo. Una
cosa, tuttavia, gli è rimasta impressa: il Dio del Cristianesimo è un Dio che ‘sentiva’ vicino. Da
qui la decisione di rivolgersi ad un teologo. Non, però, ad uno qualunque, ma a chi ha raccolto
qualche anno prima la confessione della sua crisi religiosa, una crisi scatenata dalla sua
conversione ‘scientifica’: il suo professore di religione di liceo.
2.2. LA SOLUZIONE CRISTIANA: UN MISTERO ESSA STESSA?
“Il Cristianesimo è stato così naturalizzato e accomodato che nessuno sogna più lo scandalo”
(S. Kierkegaard, Opere, Sansoni, p. 586)
Don Giorgio lo accoglie volentieri. E lo accoglie in modo tutt’altro che paternalistico. Conosce
Alessandro da diversi anni. Sa del suo cammino. Del suo travaglio. Ricorda benissimo quando
ha raccolto la confessione della sua crisi religiosa: una confessione sincera, indice di una
ricerca sofferta. Prova una certa soddisfazione quando Alessandro gli chiede di parlargli: vuol
dire, quanto meno, che ha lasciato nel giovane qualche seme, qualche segno. Lo riceve da
amico. Forse il termine è esagerato: troppa è la distanza di età. Ma lo ritiene troppo maturo
per considerarlo un ragazzo da istruire. O addirittura una pecorella smarrita da ritrovare.
La fede: un salto nel buio?
“Senti, don, sono qui ancora da te perché la mia ricerca non si è fermata. La scienza non mi ha
offerto risposte esaustive ed allora ho intrapreso una nuova esplorazione alla ricerca di Dio. Ma
la ricerca è stata vana: Dio non l’ho trovato. O meglio ho passato in rassegna diversi approcci
– sia di tipo razionale che di tipo esistenziale – ma mi sono venuti solo dubbi. Dubbi tremendi.”
“Se cerchi Dio, non credere di trovarlo senza dubbi.”
“Vuoi dire che anche tu, teologo, ha dei dubbi?”
“Come no? Dio è un Mistero: come potrebbe essere colto con la ragione umana?”
“Anche il Dio cristiano?”
“Perché no? Anzi! E’ più difficile tentare di penetrare con la ragione umana il Dio cristiano che il
Dio dei filosofi!”
“Come? Pensavo di trovare in te un aiuto per la mia ricerca!”
“Il Dio cristiano si fonda sulla ‘rivelazione’. Ora la ‘rivelazione’ è tutt’altro che evidente.”
“Cosa vuoi dire? Che per te, prete, non è certo che Gesù Cristo sia Dio?”
“Per me è certo, ma si tratta di ‘fede’. E cos’è la fede se non un salto nel buio?”
“Ma se siamo di fronte ad un salto, come potrebbe un non credente fare questo salto?”
“Ti confesso che non è facile. Proviamo, comunque, ad usare – per quanto è possibile – la
logica umana. Partiamo dal fatto che Gesù afferma egli stesso di essere figlio di Dio.”
“E’ ovvio che questo non può essere una prova.”
“Infatti. Si potrebbe dire, tuttavia, che a dirlo non è un uomo comune, ma un uomo
straordinario, un uomo che addirittura era stato annunciato dai profeti.”
“Ma è proprio certo che fosse proprio Gesù il messia annunciato dai profeti?”
“I profeti avevano annunciato che il messia sarebbe derivato dalla stirpe di Davide, sarebbe
nato da una vergine... e Gesù aveva proprio queste caratteristiche.”
“Ma se fosse un dato certo, come si spiegherebbe il fatto che non tutti l'hanno visto come il
messia annunciato? Tu, poi, dici che Gesù è nato da una vergine. E’ proprio così?”
“Si tratta di un ‘dogma’ della Chiesa.”
“Ma un dogma della Chiesa è verità solo per i credenti.”
“Infatti. All’interno della Chiesa cattolica vi sono, addirittura, teologi che negano la verginità
biologica della Madonna.”
“Quindi vi sono dubbi perfino tra i teologi!”
“Sì. Ufficialmente, però, la gerarchia ecclesiastica ha sconfessato questi teologi. Proviamo a
continuare: i Vangeli narrano che Gesù ha fatto dei miracoli di fronte a numerosi testimoni.”
“Ma non potrebbero essere le presunte testimonianze delle allucinazioni collettive nate dalla
convinzione dei fedeli di Gesù di trovarsi di fronte al messia annunciato dai profeti, messia che
avrebbe dovuto fare miracoli? I Vangeli, tra l’altro, non sono stati scritti parecchi anni dopo i
fatti narrati?”
“E’ vero. Però se gli evangelisti avessero detto il falso, sarebbero stati smentiti. E questo non
risulta.”
“Non è affatto scontato, però, che Gesù i miracoli li abbia compiuti veramente.”
“Di sicuro, Alessandro, è che non siamo di fronte ad alcuna evidenza. Ora la fede è proprio
questo: un credere al di là dell’evidenza. Non ti sembra questa la sua grandezza? Se la fede
fosse un dire di sì a ciò che è evidente, che merito avrebbe chi ha fede? E dico di più: non è
neanche una prova il fatto che il Cristianesimo sia stato accettato come vero da milioni e
milioni di persone e per ben 2000 anni!”
“Vuoi dire, don, che per ben 2000 anni milioni e milioni di cristiani possono essersi ingannati?”
“La fede non si basa su alcuna certezza. Se ci fosse una luce solare – come ti dicevo – non
avrebbe alcun merito chi ha fede. E questo discorso si può, ovviamente estendere al Vecchio
Testamento.”
“Vuoi dire che non è certo che Dio si è rivelato a Mosè?”
“E’ certo per chi ha fede, ma non vi è alcuna evidenza. Non è escluso che Mosè abbia
interpretato certi fatti (il roveto ardente, il bastone che si è trasformato in serpente) come dei
segni divini.”
“Di sicuro Mosè non ha sentito con le orecchie la voce di Dio: come avrebbe potuto se Dio è
qualcosa di non percepibile? E come avrebbe potuto Dio parlare se non ha un corpo?”
“Ed è proprio questo la fede: è solo perché “crede”, che Mosé sente la voce di Dio. Chi non ha
fede questa voce non può sentirla!”
Alessandro è letteralmente sconcertato dalle parole di don Giorgio. Pensava di trovare una
roccia o almeno qualche certezza. E invece no: scopre che la fede è un mistero essa stessa.
Sperava di avere un aiuto per debellare dubbi e, invece, si trova di fronte una fede aperta al
dubbio, immersa nel buio. Una fede molto diversa da quella che ha incontrato nella sua
fanciullezza ed adolescenza.
Gesù Cristo: la proiezione dei desideri dell’uomo?
“Don, e se il Dio del Cristianesimo non fosse altro che la proiezione dei desideri dell'uomo?”
“Ma come potrebbe la sofferenza (addirittura la morte in croce) essere un desiderio umano
proiettato in Dio?”
“Perché mai l'uomo non potrebbe avere proiettato in Dio il nobilissimo valore che consiste nel
sacrificarsi per gli altri?”
“Se fosse così, come si potrebbe spiegare la resurrezione di Cristo?”
“Nella logica di questa congettura noi avremmo proiettato in Dio il nostro desiderio di vincere
la morte, il nostro desiderio di essere immortali.”
“Ma non ti sembra eccessivamente riduttivo vedere la resurrezione di Gesù Cristo come la
proiezione dei nostri desideri? Non è attestato dai Vangeli che Cristo è risorto ed è apparso a
Maria Maddalena, agli Apostoli...?
“E’ vero, ma tu stesso mi hai appena detto che non siamo di fronte all’evidenza. Se fosse stato
evidente, tutti avrebbero creduto, ma questo non è successo. E proiezioni di desideri umani
potrebbero essere anche l’eternità, l’onniscienza, l’onnipotenza. L’uomo, forse, non desidera
vincere la morte, estendere all’infinito il suo sapere ed il suo potere? La storia della scienza
non è questa avventura che ha come obiettivo l’espansione progressiva del ‘sapere’ e del
‘potere’ dell’uomo?”
“Forse che l'uomo immagina un giorno di poter creare altri universi?”
“E’ vero, don, quanto dici. Però i desideri che l’uomo proietta in Dio potrebbero essere desideri
liberati dai limiti umani. No? Del resto la storia dell’umanità – grazie ai progressi della scienza
– non è la storia dell’uomo che diventa progressivamente Dio?”
Don Giorgio ascolta attentamente. Non sono gli argomenti che lo colpiscono (si tratta di
classiche obiezioni per chi ha qualche dimestichezza con la storia del pensiero umano), ma la
convinzione e la sincerità di Alessandro.
“Non stai forse esagerando, Alessandro? Come potrà mai l’uomo superare i suoi limiti
naturali?”
“Ma l’uomo – nella sua storia – non ha abbattuto limiti che erano considerati ‘naturali’?”
“Non certo la morte: non è questo il limite che appartiene alla stessa natura dell’uomo?”
“Ma perché mai nel 3023 l’uomo non potrebbe avere già superato anche questo limite?”
“Non è questa fantascienza? Quand’anche, poi, l’uomo riuscisse a superare questa barriera,
non dovrebbe affrontare problemi immani (pensiamo, ad esempio, alla necessità di popolare
altri Pianeti)?”
“Vuoi dire che l’uomo avrà sempre, comunque, dei limiti?”
“Credo proprio di sì. Questo vuol dire che non potrà mai diventare Dio, acquistare cioè le
caratteristiche che tradizionalmente vengono attribuite a Dio.”
“E’ vero, ma è anche vero che l’umanità si libera progressivamente dai suoi limiti e, quindi…
all’infinito diventa Dio.
“Cioè, mai”.
“E’ vero.”
“La tesi secondo cui la religione è la proiezione dei desideri umani potrebbe andare bene per le
religioni primitive (Odino, ad esempio, esprimeva le virtù guerriere che rappresentavano i
desideri di certe popolazioni del Nord Europa), ma mi pare troppo stretta per il Cristianesimo.
Ho l'impressione che tutto l'impianto della congettura parta da un ‘presupposto’: che, cioè, Dio
non c'è e, quindi, il Dio cristiano ha solo radici ‘umane’.”
Alessandro continua a tirar fuori dubbi. Lo fa di proposito: più dubbi mette sul tavolo, più ha la
possibilità di proseguire la sua ricerca. La stessa idea – che ricorda dal liceo – secondo cui Dio
(anche il Dio cristiano) non è che la proiezione dei desideri umani, non gli pare del tutto
convincente: vi è qualcosa in essa che non quadra.
La paura all’origine dell’idea del divino?
“Senti, don, non potrebbe esserci - all’origine della divinità - la paura che l’uomo prova di
fronte a ciò che non è in grado di dominare?”
“Anche questa obiezione non riguarda il Cristianesimo: come si può spiegare il Dio-Amore del
Cristianesimo come il prodotto della paura dell'uomo di fronte ai fenomeni della natura?”
“Supponiamo, allora, che la paura non c’entri. Non ritieni che il Dio cristiano presenti qualche
caratteristica della natura? Il Dio cristiano non incarna la forza (la potenza) tipica della natura,
una forza di fronte alla quale l'uomo si sente impotente?”
“Prima avanzavi l’ipotesi secondo cui che la potenza di Dio sarebbe la proiezione di un
desiderio dell'uomo ed ora affermi che si tratta, invece di una proiezione di una forza presente
nella natura, forza di fronte alla quale noi siamo impotenti!”
“Mi rendo conto, don, che sto procedendo a tastoni: scartata un’ipotesi, ne tiro fuori un’altra.
Comunque, l’ipotesi che ora stiamo discutendo potrebbe non essere in contrasto con la prima:
non potrebbe l'uomo aver proiettato in Dio il desiderio di potenza (o di onnipotenza), una
potenza che l'uomo vede nella natura? Del resto i Vangeli non parlano di Dio come colui che fa
sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti? Ora un tale Dio
non è la stessa Natura che non distingue tra buoni e cattivi, che non distribuisce i beni della
vita secondo il parametro dei meriti morali?”
“Non credi sia scorretto attribuire al Dio cristiano caratteristiche della Natura estrapolando una
sola frase dei Vangeli?”
Don Giorgio si trova a suo agio a conversare con Alessandro. Apprezza, in particolare, la
prontezza delle sue osservazioni. Ascolta e discute. Cerca di mettergli di fronte altri punti di
vista o possibili obiezioni. E basta. Non ha alcuna verità da vendere. Non ha certezze. Sì, certo,
la sua è una fede ferma, ma sa che la certezza che ha in mano non è spendibile per gli altri: si
tratta, appunto, di una ‘fede’, non di rigorose argomentazioni matematiche.
Impossibile una lettura dell’eucaristia con le categorie logiche?
“Senti, don, cosa pensi – tu prete – dell’eucaristia? Credi davvero in quello che mi veniva
insegnato a catechismo, che, cioè, nel momento della consacrazione il pane ed il vino si
trasformano in corpo e sangue di Gesù Cristo, anche se conservano il colore, il sapore… del
pane e del vino? Dato che il colore, il sapore sono caratteristiche del pane e del vino, come
farebbero a vivere nel corpo e nel sangue di Cristo?”
“Senti, Alessandro, non ti sembra azzardato pretendere di spiegare un ‘mistero’ con la
ragione? L’eucaristia è un ‘mistero’ e, quindi, come tale non è penetrabile dalla ragione
umana.”
“Ma come potrebbe uno immergersi nella fede, fare quello che tu chiami il salto nel buio, se
non avesse in mano alcuna ragione per farlo? Ti chiedo solo di ascoltare i dubbi che da tanto
coltivo. Posto che il pane e il vino si trasformino in corpo e sangue di Cristo, non si avrebbe
come conseguenza che il corpo di Cristo, una volta fatta la comunione, verrebbe digerito? Non
ti sembra una cosa strana?”
“Ti ascolto volentieri, ma ribadisco quanto dicevo prima: perché mai dovremmo spremere le
meningi per spiegare un ‘mistero’ che per definizione non è spiegabile?”
“Scusa, don, se ti metti in questa ottica, non riusciamo a comunicare. Prova a seguire il mio
ragionamento ponendoti sul piano dei ragionamenti ‘umani’. Non ti sembra strano anche il
fatto che Gesù Cristo – all’interno del mistero dell’eucaristia - sia presente
contemporaneamente in milioni e milioni di ostie consacrate?”
“Perché dovrebbe essere strano? Dio non è onnipresente?”
“Ma qui non parlo di Dio come Puro Spirito, ma del corpo di Cristo: come è possibile che lo
stesso corpo - che in quanto tale occupa uno specifico spazio fisico - sia in milioni di luoghi?
Non oso, infatti, pensare che possano esistere milioni di corpi di Cristo in milioni di luoghi! E
non ti sembra paradossale – nell’ipotesi che vi sia un unico corpo – che il corpo di Cristo che si
trova in Cielo abbia le caratteristiche del pane e del vino?”
“Indubbiamente il mistero ha tutto di strano, è tutto un paradosso. Alcuni pensatori cristiani si
sono sforzati di interpretare questo mistero, ma le loro sono, appunto, solo ‘interpretazioni’.
L’unico ‘fatto’ è il mistero.”
“Che mi risulta, don, queste interpretazioni sono molto diverse tra loro. Ricordo Lutero che ha
rinunciato alla pretesa di spiegare ‘come’ si fanno presenti il corpo ed il sangue di Cristo: dice
che sono presenti, ma non pretende di spiegare la loro presenza sulla base di una presunta
trasformazione del pane e del vino.”
“Ti convince questa interpretazione?”
“Mi pare – quanto meno – che non comporti le stranezze di cui prima.”
“Ma se il pane ed il vino non sono il corpo ed il sangue di Gesù Cristo, chi fa la comunione non
riceve Cristo.”
“Infatti.”
“Ma non ti sembra una presa in giro per i credenti che fanno la comunione?”
“Perché mai? Perché, don, il pane ed il vino non potrebbero essere semplicemente dei ‘simboli’
del corpo e del sangue di Cristo come sostengono i calvinisti?”
“Ma che senso avrebbe la comunione se il pane ed il vino avessero solo una valenza
simbolica?”
“Ma perché mai la presenza di Cristo dovrebbe aver bisogno di forme sensibili? Gesù non ha
detto che dove due o tre si riuniscono in suo nome, lì Lui è presente?”
“Ma in questa ottica l’intera eucaristia cadrebbe. E l’eucaristia – come è noto – è uno dei
cardini del Cristianesimo.”
Don Giorgio sa benissimo che di fronte ai misteri della fede non ha argomenti razionali. Ma per
lui questo non è affatto un limite: anzi è proprio ciò che caratterizza il mistero. Per Alessandro,
invece, la ricerca di argomenti razionali è fondamentale: non che pretenda ragionamenti di tipo
matematico, ma almeno qualche argomento che si presenti con una certa credibilità. Ora
argomenti di questo tipo non li vede neanche a proposito del peccato originale. Ha la
sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa del tutto incomprensibile.
Il peccato originale: una “favola”?
“E cosa dici, don, del peccato originale? E’ eccessivo definirlo una ‘favola’ come la chiama
Voltaire? Sia chiaro: sono molto lontano dall’atteggiamento sarcastico che Voltaire dimostra
spesso nei confronti del Cristianesimo, ma su questo punto mi pare abbia ragione. Come si fa a
dire che la morte è una conseguenza del peccato originale quando, invece, si sa che è una
legge di natura?”
“L’ho letto anch’io Voltaire. La mia impressione è una sola: Voltaire in nome di una presunta
‘ragione’ si è chiuso in modo pregiudiziale alla sfera del mistero.”
“Ma, al di là del mistero, come potrebbe essere spiegata la presenza nel neonato del peccato
originale?”
“Tu mi chiedi troppo. Vi è stato chi – come S. Agostino – ha parlato di trasmissione da parte
dei genitori: come potrebbe, altrimenti, essere spiegata la presenza in noi di un peccato che
risale ad Adamo ed Eva?”
“Ma come potrebbe derivare dai genitori se – nella concezione cristiana – il peccato originale
non ha nulla di genetico, di corporeo? I genitori non trasmettono solo la vita fisica?”
“S. Agostino, infatti, fa derivare l’anima del figlio dall’anima dei genitori, non dal loro
patrimonio genetico.”
“Ma come potrebbe l’anima del figlio derivare dall'anima dei genitori? Se fosse così, in cosa
consisterebbe la trasmissione? Nient'altro che in un distacco di una particella dell'anima dei
genitori e in un suo passaggio nel figlio. Ma questo come potrebbe essere possibile se - nella
concezione cristiana - l'anima è spirituale, cioè semplice, cioè non composta e, quindi, non
divisibile?”
“La tua è una classica obiezione: la stessa Chiesa non ha fatto propria l’interpretazione di S.
Agostino.”
“E quale ha fatto propria?
“Ha fatto propria la tesi secondo cui è Dio che crea l’anima di chi nasce.”
“Ma la creerebbe già col peccato originale: non ti sembra quanto meno strano? Se nella
tradizione cristiana l’anima è semplice – appunto perché spirituale – come si potrebbe
concepire una ‘macchia’ nell’anima?”
“Ma tu intendi la macchia come qualcosa di fisico.”
“Perché? Fosse anche spirituale, non avremmo un’anima ‘composta’ e, quindi, non spirituale? E
poi se l’anima dei bambini derivasse da Dio, come si potrebbe spiegare la presenza in essa di
un residuo del peccato di Adamo ed Eva? Le mie obiezioni cadrebbero solo se si interpretasse il
peccato originale come un semplice ‘simbolo’: se il peccato fosse solo un simbolo della
tendenza dell’uomo al male, cadrebbe il problema di spiegare la sua derivazione.”
“Ma se fosse un semplice simbolo, non cadrebbe l’intero Cristianesimo?”
Una conversazione intensa, sincera. Un confronto serrato. Alessandro è soddisfatto. Era certo
di trovare in don Giorgio un interlocutore intelligente. L’aveva conosciuto anni prima e ne era
rimasto in qualche modo stregato. E’ soddisfatto di aver avuto l’opportunità di sviluppare la
sua ricerca. E’ la prima volta che ha occasione di riflettere sul Cristianesimo con tale profondità
e, pure, con un approccio del tutto nuovo. I suoi dubbi – sia chiaro – non sono stati spazzati
via, ma – ciò nonostante – la sua esplorazione ha fatto significativi passi avanti. Il suo lungo
viaggio interiore in qualche misura l’ha aperto di più al messaggio cristiano. Può sembrare un
paradosso, ma per lui è così: proprio la messa in discussione delle procedure e dei risultati
degli argomenti razionali lo porta ad essere meno chiuso, meno diffidente di fronte alla fede.
Ha studiato al liceo che è la ragione che spiana la strada alla fede, ma in questo suo viaggio
interiore è proprio la ‘debolezza’ della razionalità che gli fa vedere più ‘forte’ la risposta
cristiana al mistero. In questo momento ha la sensazione di comprendere di più il suo amico
Mauro che ‘crede’ non perché ha ragioni logiche convincenti, ma perché si trova in sintonia col
messaggio di amore del Cristianesimo e, quindi, si riconosce in questa risposta. Ma non
sarebbe possibile riconoscersi nel messaggio di amore del Cristianesimo senza credere alla
complessiva visione del mondo di tale religione? Alessandro non esclude tale possibilità.
Qualcosa, tuttavia, non gli quadra: la solidarietà con gli ultimi è un valore nobilissimo, ma
basta a riempirgli la vita, basta a conferire alla sua vita un senso completo, anche di fronte alle
avversità, alle delusioni? Non nasconde, però, anche il rovescio della medaglia: non potrebbe
essere questo senso che tanta gente cerca, una bella illusione a cui aggrapparsi?
E allora? Allora si trova nella condizione di essere notevolmente più consapevole di prima e,
nello stesso tempo, di avere più difficoltà a scegliere. Ha sempre saputo che più uno conosce,
più è libero di scegliere, ma in questo momento ha solo la certezza della ‘complessità’ che ha
di fronte. Una complessità che non l’aiuta di sicuro a prendere una decisione. Forse che l’uomo
è destinato a brancolare nel buio, a non avere alcun punto fisso di riferimento? Forse che
l’uomo è destinato a rimanere permanentemente nel mistero?