Capitolo 24 Sommario del capitolo 24.1 I diversi regimi dei tassi di cambio 24.2 Tassi di cambio fissi 24.3 Tassi di cambio liberamente fluttuanti 24.4 I sistemi dei tassi di cambio nella realtà *Appendice: analisi IS-LM di un’economia aperta Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio Al giorno d’oggi, gli eventi che si verificano in un paese o in un gruppo di paesi possono avere profonde ripercussioni su altri. Consideriamo quanto è accaduto nel 2007–2008: l’erogazione di troppi mutui ipotecari sub-prime negli Stati Uniti ha causato ingenti perdite a molte istituzioni finanziarie; a seguito della cartolarizzazione di tali debiti, impacchettati e rivenduti sotto forma di obbligazioni a investitori di tutto il mondo, la rarefazione del credito ha assunto rapidamente portata globale. Con il progredire della globalizzazione, i commerci e i movimenti finanziari internazionali sono cresciuti molto più rapidamente del PIL di parecchi paesi, diventando al contempo sempre più deregolamentati; di conseguenza, le economie nazionali sono diventate più vulnerabili agli squilibri della bilancia dei pagamenti e alle fluttuazioni dei tassi di cambio. In questo capitolo esploreremo la relazione tra la bilancia dei pagamenti e il tasso di cambio di un paese. In particolare, ci chiederemo se una nazione debba permettere che il valore della propria valuta venga determinato unicamente dalle forze di mercato, con la possibile instabilità che ciò comporta, oppure se debba mirare a fissare il tasso di cambio rispetto a un’altra divisa (come il dollaro statunitense), o quanto meno puntare a ridurre le fluttuazioni valutarie attraverso l’intervento della banca centrale nel mercato dei cambi. Esamineremo inoltre le esperienze di paesi che hanno adottato diversi sistemi dei tassi di cambio. 42 Parte G – L’economia mondiale 24.1 I diversi regimi dei tassi di cambio Obiettivi di politica economica interna ed estera Ogni paese, tendenzialmente, persegue una serie di obiettivi di politica economica interna e di politica economica estera: tra i primi figurano la crescita economica, la riduzione della disoccupazione e il contenimento dell’inflazione; tra i secondi si annoverano la riduzione degli squilibri di conto corrente della bilancia dei pagamenti, la promozione degli scambi internazionali e il tentativo di evitare fluttuazioni eccessive dei tassi di cambio. Tuttavia, tali insiemi di obiettivi possono entrare in conflitto fra loro. Un semplice esempio di potenziale conflitto riguarda gli obiettivi di equilibrio interno ed equilibrio esterno. IC 33 p340 Equilibrio interno. Un’economia presenta un equilibrio interno se opera al livello potenziale del reddito nazionale, ovvero con un gap di produzione nullo (vedi Box 13.2). Questo concetto può essere espresso in diversi modi, a seconda del modello dell’economia e degli obiettivi politici perseguiti. Per esempio, nel semplice modello keynesiano l’equilibrio interno corrisponde al livello di reddito nazionale di piena occupazione: in altre parole, alla situazione in cui Ye (reddito nazionale di equilibrio) = Yf (reddito nazionale di piena occupazione), vedi Capitolo 16. Secondo il modello monetarista e quello neoclassico, si ha un equilibrio interno quando l’economia si trova sulla curva di Phillips verticale con un’inflazione stabile. Nel contesto delle politiche di inflation targeting, si parla di equilibrio interno quando il perseguimento di un obiettivo di inflazione è coerente con il conseguimento del reddito nazionale potenziale: in altre parole, quando la curva DAI interseca la curva OAI in corrispondenza del target di inflazione (vedi Figura 18.18). Se a partire da una condizione di equilibrio interno la domanda aggregata diminuisce, nel breve periodo la produzione scende al di sotto del livello potenziale e si genera disoccupazione di disequilibrio. In questo caso l’equilibrio interno viene meno, e per ripristinarlo occorrerà tanto più tempo quanto maggiore è la vischiosità di prezzi e salari. Equilibrio esterno. Si parla di equilibrio esterno quando la bilancia dei pagamenti è in pareggio. Nel contesto dei tassi di cambio fluttuanti, questa espressione è usata nell’accezione più ristretta di pareggio del conto corrente e pertanto anche di pareggio del conto capitale e del conto finanziario. Nel contesto di un regime di cambi fissi o del perseguimento di un tasso di cambio-obiettivo, la locuzione assume il significato più generale di equilibrio del flusso totale di valuta, una condizione che si verifica allorché la domanda di valuta è pari all’offerta in corrispondenza del tasso di cambio-obiettivo, senza la necessità di intervenire attingendo alle riserve: in altre parole, un eventuale disavanzo del conto corrente deve essere controbilanciato da un avanzo degli altri due conti e viceversa. Conflitti tra equilibrio interno ed esterno Come illustrato nella Figura 24.1, potrebbe essere difficile conseguire simultaneamente l’equilibrio interno ed esterno. Nella parte (b) della figura ipotizziamo che il tasso di cambio sia pari a er1, che le curve di domanda e offerta di valuta siano rispettivamente D e O1 e che non vi sia alcun intervento della banca centrale; ne consegue che er1 è il tasso di cambio di equilibrio e che l’economia presenta un equilibrio esterno in senso lato. Supponiamo anche che sussista un equilibrio interno in senso stretto, ovvero che il conto corrente della bilancia dei pagamenti sia in pareggio. Immaginiamo anche, tuttavia, che l’economia sia in recessione, come illustrato nella Figura 24.1(a). Il reddito nazionale di equilibrio è pari a Ye1, il livello in corrispondenza del quale W1 = J1. È presente dunque un gap recessivo: Ye1 è inferiore a Yf, il livello di reddito nazionale di piena occupazione. L’economia non è in equilibrio interno. PAROLE CHIAVE Obiettivi di politica economica interna Obiettivi relativi unicamente all’economia nazionale. Obiettivi di politica economica estera Obiettivi relativi alle relazioni economiche internazionali di un paese. Equilibrio interno Situazione in cui il reddito nazionale di equilibrio è al livello desiderato. Equilibrio esterno Definizione ristretta: situazione in cui il conto corrente della bilancia dei pagamenti è in pareggio (e dunque sono in pareggio anche il conto finanziario e il conto capitale). Definizione ampia: situazione in cui si registra un equilibrio del flusso totale di valuta in corrispondenza di un dato tasso di cambio. Flusso totale di valuta nella bilancia dei pagamenti Somma del saldo del conto corrente, del conto capitale e del conto finanziario, con l’esclusione delle riserve. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 43 Figura 24.1 Equilibrio interno ed esterno. W, J Ipotizziamo che il governo espanda la domanda aggregata per conseguire l’equilibrio interno W1 W2 Tasso di cambio Se crea uno squilibrio esterno in senso lato in un regime di cambi fissi... Tasso di cambio fisso er1 er2 ...o uno squilibrio in senso stretto (un disavanzo di conto corrente) in un regime di cambi fluttuanti J2 J1 O Ye1 YF Ye1 D dei residenti esteri O Quantità di valuta nazionale Reddito nazionale (a) Equilibrio interno Ipotizziamo ora che il governo attui una politica fiscale espansiva per chiudere il gap deflazionistico e ripristinare l’equilibrio interno: a tale scopo, aumenta le immissioni a J2 e riduce i ritiri a W2. Il reddito nazionale aumenta a Ye2, alimentando la domanda di importazioni. La curva di offerta di valuta nazionale si sposta da O1 a O2 nella Figura 24.1(b), generando un disavanzo di conto corrente che fa venire meno l’equilibrio esterno in senso stretto. Se il governo mantiene il tasso di cambio a er1 (attingendo alle riserve per acquistare valuta nazionale), viene meno anche l’equilibrio esterno in senso lato. CF 4 Il governo potrebbe ripristinare l’equilibrio esterno p38 in senso stretto permettendo al tasso di cambio di deprezzarsi fino a er2, in modo che la domanda di valuta nazionale torni a uguagliare l’offerta in corrispondenza del nuovo, più basso tasso di cambio. Il deprezzamento del cambio contribuisce anche a correggere in parte il disavanzo del conto corrente e a ripristinare parzialmente l’equilibrio interno in senso stretto, rendendo le importazioni relativamente più costose e le esportazioni meno care. Di conseguenza, le importazioni diminuiscono e le esportazioni aumentano nella misura determinata dalla rispettiva elasticità della domanda al prezzo. Tuttavia, l’indebolimento della valuta nazionale può produrre un effetto anche sul conto finanziario. All’aumentare della domanda aggregata si registra un incremento della domanda di moneta che, se non viene compensato da un’espansione dell’offerta di moneta, spinge al rialzo i tassi di interesse. L’aumento dei tassi, a sua volta, attira un afflusso di capitali (che genera un avanzo O1 dei residenti nazionali O2 dei residenti nazionali (b) Equilibrio esterno del conto finanziario). Nella Figura 24.1(b) la curva di domanda e la curva di offerta di valuta nazionale si spostano, rispettivamente, verso destra e verso sinistra; pertanto, il tasso di cambio potrebbe non scendere fino a er2. Se l’effetto positivo dell’aumento dei tassi di interesse sul conto finanziario è superiore all’effetto negativo dell’incremento delle esportazioni sul conto corrente, il tasso di cambio addirittura si apprezza. In entrambi i casi si registra un disavanzo di conto corrente, esattamente controbilanciato da un avanzo complessivo del conto finanziario e del conto capitale. Quindi, nel breve periodo l’equilibrio interno in senso stretto non viene ripristinato (esploreremo il saldo corrente di lungo periodo in un regime di cambi fluttuanti nel Paragrafo 24.3). La Figura 24.2 illustra gli effetti di diversi “shock” che possono incidere sia sull’equilibrio interno che sull’equilibrio esterno in senso stretto. La capacità di un’economia di correggere questi squilibri dipende dal regime dei tassi di cambio. Esamineremo una molteplicità di tali regimi nella parte finale di questo paragrafo, ma prima dobbiamo distinguere tra tassi di cambio nominali e reali. Tassi di cambio nominali e reali CF 11 p346 Un tasso di cambio nominale non è altro che il rapporto di scambio di una valuta con un’altra. PAROLE CHIAVE Regime dei tassi di cambio Il sistema nell’ambito del quale sono determinati i tassi di cambio. 44 Parte G – L’economia mondiale Esplorare l’economia BOX 24.1 La relazione tra il saldo commerciale e le finanze pubbliche Abbiamo visto che la situazione esterna può condizionare la capacità di un paese di pervenire a un equilibrio interno (la situazione in cui il reddito nazionale effettivo è al livello potenziale). Ma la situazione esterna può incidere anche sulla composizione della domanda aggregata, come si evince molto chiaramente osservando la relazione tra il saldo di bilancio del settore pubblico e il saldo commerciale. Una misura del saldo di bilancio è l’indebitamento netto del settore pubblico (vedi Paragrafo 19.1), pari alla differenza tra la spesa pubblica, da un lato, e le entrate fiscali e i ricavi delle imprese controllate dallo Stato, dall’altro. Il saldo commerciale è uno dei tre elementi principali che compongono il saldo del conto corrente; gli altri due sono il reddito netto da investimenti esteri e i trasferimenti correnti netti (vedi Paragrafo 14.4). Il saldo commerciale è pari alle esportazioni di beni e servizi meno le importazioni di beni e servizi (X – M). La relazione tra le finanze pubbliche e il saldo commerciale può essere illustrata facendo nuovamente riferimento al modello del flusso circolare di reddito che abbiamo introdotto nel Capitolo 13. In quell’occasione abbiamo visto che i ritiri effettivi dal flusso circolare di reddito (contrapposti a quelli programmati) – ovvero risparmio netto (S) più impo- Figura 24.2 Effetti sull’equilibrio interno e sull’equilibrio esterno (in senso stretto). Avanzo di conto corrente 2 1 Deprezzamento del tasso di cambio Calo dei consumi Espansione all’estero esterno Politica fiscale restrittiva Recessione Apprezzamento del tasso di cambio Recessione all’estero Equilibrio Equilibrio interno Espansione Politica fiscale espansiva ste nette (T) più importazioni (M) – devono essere equivalenti alle immissioni, date dalla somma di investimento (I), spesa pubblica (G) ed esportazioni (X): S + T + M = I + G + X (1) Il saldo di bilancio del settore pubblico è pari semplicemente alla differenza tra la tassazione e i proventi operativi (al netto dei trasferimenti), da un lato, e la spesa per l’acquisto di beni e servizi, dall’altro (ovvero T – G). Il saldo commerciale è pari alla differenza tra esportazioni e importazioni (X – M). Riorganizzando i termini dell’equazione (1), possiamo scrivere: (T – G) = (X – M) + (I – S) (2) Esaminando l’equazione (2) possiamo notare che, se il bilancio del settore pubblico è in avanzo (T – G è positivo), è probabile che sia in avanzo anche il saldo commerciale. La correlazione tra i due saldi è tanto più precisa quanto minore è la differenza tra risparmio è investimento. Se il risparmio è esattamente pari all’investimento, a un avanzo (disavanzo) di bilancio farebbe da contraltare un avanzo (disavanzo) commerciale della stessa entità. Da qui nasce l’espressione “disavanzi gemelli”. Il tasso di cambio reale si ottiene rettificando l’indice del tasso di cambio nominale per le variazioni dei prezzi delle importazioni (misurati in valuta estera) e delle esportazioni (misurati in valuta nazionale), ovvero per le ragioni di scambio. Pertanto, se in un dato paese il tasso di inflazione dei prezzi delle esportazioni è superiore all’inflazione media ponderata dei prezzi delle importazioni acquistate da altre nazioni, il suo indice del tasso di cambio reale (ITCR) registra un aumento rispetto all’indice del tasso di cambio nominale (ITCN). L’indice del tasso di cambio reale può essere definito come: ITCR = ITCN × PX/PM Aumento dei consumi 3 4 Disavanzo di conto corrente Tutti i tassi di cambio riportati sui quotidiani, citati nei notiziari televisivi, indicati su Internet o quotati da agenzie di viaggio, banche o aeroporti sono tassi nominali. Finora ci siamo occupati unicamente di questo tipo di tassi. PAROLE CHIAVE Tasso di cambio reale Tasso di cambio di un paese rettificato per le variazioni dei prezzi in valuta nazionale delle sue esportazioni rispetto ai prezzi in valuta estera delle sue importazioni. Se i prezzi di un paese aumentano (diminuiscono) rispetto a quelli dei suoi partner commerciali, il suo tasso di cambio reale aumenta (diminuisce) rispetto al tasso di cambio nominale. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 45 dove PX è l’indice dei prezzi delle esportazioni espressi in valuta nazionale e PM l’indice medio ponderato dei prezzi delle importazioni espressi nelle diverse valute estere. Pertanto, se (a) l’inflazione di un paese supera di 5 punti percentuali l’inflazione media ponderata per l’interscambio dei suoi partner commerciali (ovvero, se PX/ PM aumenta del 5% all’anno) e (b) il tasso di cambio nominale del paese si deprezza di 5 punti percentuali all’anno (cioè ITCN diminuisce del 5% all’anno), l’indice del tasso di cambio reale del paese resta invariato. Consideriamo un altro esempio: se i prezzi delle esportazioni di un paese crescono più rapidamente dei prezzi in valuta estera delle sue importazioni (PX/PM aumenta), il tasso di cambio reale si apprezza rispetto al tasso nominale. Il tasso di cambio reale offre dunque un’indicazione migliore della quantità di importazioni che un paese può acquistare a fronte della vendita di una data quantità di esportazioni. Se il tasso di cambio reale si rafforza, il paese può ottenere maggiori importazioni per un dato volume di esportazioni. Rispetto al tasso di cambio nominale, il tasso di cambio reale offre anche un quadro migliore della competitività di un paese: quanto minore è il cambio reale, tanto più competitive sono le esportazioni nazionali. Regimi dei tassi di cambio alternativi Esistono diversi tipi di regimi dei tassi di cambio, tutti compresi tra due estremi: un tasso di cambio totalmente fisso e un tasso di cambio liberamente fluttuante (o a corso libero). IC 5 In un regime di cambi fissi, il governo o la banca p18 centrale sono quasi certamente costretti a intervenire nel mercato valutario per mantenere il tasso di cambio al livello prefissato, probabilmente prendendo anche misure di politica interna. CF 4 In un regime di cambi liberamente fluttuanti, le p38 autorità monetarie non intervengono nei mercati valutari. I tassi di cambio fluttuano a seconda delle forze di mercato, cioè delle variazioni della domanda e dell’offerta di valuta nel mercato dei cambi. Tuttavia, l’andamento del tasso di cambio può influire sugli obiettivi di politica interna, inducendo pertanto il governo a prendere diversi tipi di provvedimenti. Tra questi due estremi si collocano numerosi regimi intermedi, in cui i tassi di cambio sono determinati in parte dal mercato e in parte dal governo. Tali regimi intermedi differiscono in base al livello di intervento pubblico e dunque al grado di flessibilità del tasso di cambio che il governo è disposto a tollerare. Interventi correttivi in un regime di cambi fissi Intervento nel mercato dei cambi Se in corrispondenza del tasso di cambio fisso la domanda di valuta nazionale è diversa dall’offerta – in altre parole, se non sussiste un equilibrio del flusso totale di valuta – la banca centrale è costretta a intervenire nel mercato dei cambi, acquistando o vendendo valuta nazionale per colmare la differenza. Ciò è illustrato nella Figura 24.3, in cui si esamina il caso dell’immaginario paese di Torlonia, che ha per valuta la libra (£). La Figura 24.3(a) mostra la situazione in cui è presente un deficit del flusso di valuta (un’eccedenza di libre) pari ad a – b. La Banca di Torlonia deve acquistare l’eccedenza di libre attingendo alle sue riserve di valuta estera o contraendo un prestito in valuta da banche di altri paesi. Nella Figura 24.3(b), invece, è presente un surplus del flusso di valuta pari a c – d. In questo caso la Banca di Torlonia deve offrire nel mercato una quantità corrispondente di libre, acquistando in cambio valuta estera che può utilizzare per accumulare riserve o rimborsare prestiti denominati in altre divise. Intervento nel mercato dei cambi e offerta di moneta. Se il tasso di cambio viene tenuto fisso, si generano variazioni dell’offerta di moneta. Se la parità è fissata sopra il livello di equilibrio (Figura 24.4(a)), si produce un deficit del flusso totale di valuta. La Banca di Torlonia acquista libre, ritirandole dalla circolazione e riducendo l’offerta di moneta. CF 14 La contrazione dell’offerta di moneta spinge al p448 rialzo il tasso di interesse di equilibrio. Questo, a sua volta, provoca un incremento dei flussi finanziari in entrata e un miglioramento del saldo del conto finanziario. L’aumento del tasso di interesse, inoltre, raffredda la domanda aggregata, riducendo le importazioni e miglioPAROLE CHIAVE Tasso di cambio totalmente fisso Regime dei tassi di cambio in cui il governo prende tutte le misure necessarie per mantenere il tasso di cambio a un livello prefissato. Tasso di cambio liberamente fluttuante (o a corso libero) Regime in cui il tasso di cambio è determinato interamente dalle forze della domanda e dell’offerta nel mercato dei cambi, senza alcun intervento da parte del governo. Regime intermedio del tasso di cambio Regime in cui i tassi di cambio sono determinati in parte dal mercato e in parte dal governo. 46 Parte G – L’economia mondiale Figura 24.3 Intervento della banca centrale per mantenere un tasso di cambio fisso. Tasso fisso b O Tasso di cambio Tasso di cambio O a Tasso fisso d c D O Quantità di £ (a) Deficit di valuta totale D O Quantità di £ (b) Surplus di valuta totale rando il saldo del conto corrente. Nel complesso, dunque, il deficit del flusso totale di valuta diminuisce e il differenziale a – b nella Figura 24.3(a) si riduce. Il problema, naturalmente, è che il calo della domanda aggregata può condurre a una recessione. Se il tasso di cambio viene mantenuto al di sotto del livello di equilibrio (Figura 24.3(b)), si registra un surplus del flusso totale di valuta: la Banca di Torlonia offre nel mercato una quantità addizionale di libre (che vengono spese dai residenti esteri per l’acquisto di esportazioni di Torlonia e vengono dunque immesse nell’economia del paese). Di conseguenza, l’offerta di moneta aumenta. L’espansione monetaria spinge al ribasso i tassi di interesse, provocando un deterioramento del conto finanziario; inoltre, stimola la domanda aggregata, favorendo un aumento delle esportazioni. Il surplus del flusso totale di valuta diminuisce e il differenziale c – d si riduce. alle riserve per sostenere il tasso di cambio. Le riserve, però, non sono infinite e presto o tardi si esauriscono. Una recessione potrebbe essere inevitabile. Sterilizzazione. Se la Banca di Torlonia desidera scongiurare una variazione dell’offerta di moneta, deve controbilanciare i suddetti effetti con altri provvedimenti di politica monetaria, per esempio con un’operazione di mercato aperto. Così, se il flusso totale di valuta fa registrare un deficit e l’offerta di moneta diminuisce, la Banca di Torlonia può acquistare titoli di Stato dal pubblico degli investitori, riportando l’offerta di moneta al suo livello iniziale. In tal modo, si impedirebbe all’economia di entrare in recessione. Il processo volto a contrastare gli effetti di un disavanzo o di un avanzo della bilancia dei pagamenti sull’offerta di moneta è detto sterilizzazione. Questo processo, tuttavia, comporta un problema: se non si permette all’offerta di moneta di variare, il surplus o il deficit del flusso totale di valuta tende a perdurare. Nel caso di un deficit, talvolta è possibile scongiurare una recessione, ma la banca centrale deve continuare ad attingere Riduzione della spesa. Le politiche restrittive provocano una contrazione del reddito nazionale; questo a sua volta riduce la spesa, compresa quella destinata alle esportazioni, causando uno spostamento verso sinistra della curva di offerta di libre nella Figura 24.3(a). Lo spostamento è tanto più pronunciato quanto maggiore è la propensione marginale all’importazione. Correzione dello squilibrio IC 7 Se un disavanzo della bilancia dei pagamenti si p30 dimostra persistente e le riserve continuano a ridursi o il debito estero ad accumularsi, il governo prima o poi è costretto a intervenire per correggere lo squilibrio sottostante. Per mantenere fisso il tasso di cambio, le autorità devono spostare le curve di domanda e offerta di valuta, in modo che si intersechino in corrispondenza del tasso di cambio fisso. A tale scopo, è possibile adottare politiche fiscali e monetarie restrittive. Tali politiche producono due effetti principali sul tasso di cambio: un effetto di reddito (riduzione della spesa) e un effetto di sostituzione (riallocazione della spesa) tra i beni di produzione interna ed estera. PAROLE CHIAVE Sterilizzazione Processo mediante il quale il governo si avvale di operazioni di mercato aperto e altri provvedimenti di politica monetaria per neutralizzare gli effetti di avanzi o disavanzi della bilancia dei pagamenti sull’offerta di moneta. Variazione (riduzione) della spesa causata da una contrazione: l’effetto di reddito Situazione in cui le politiche restrittive provocano una riduzione del reddito nazionale e dunque della domanda di importazioni. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 47 Tuttavia, in questo caso potrebbe insorgere un conflitto tra obiettivi di politica economica interna ed estera: la bilancia dei pagamenti potrebbe segnare un miglioramento, ma la disoccupazione tenderà ad aumentare e il tasso di crescita a diminuire. IC 33 p340 Riallocazione della spesa. Se le politiche restrittive riducono il tasso di inflazione a un livello inferiore a quello dei concorrenti esteri, le esportazioni diventano relativamente meno costose rispetto ai beni prodotti in altri paesi, mentre le importazioni diventano relativamente più care rispetto alle alternative di produzione interna. Alcuni consumatori esteri inizieranno dunque ad acquistare beni di esportazione di Torlonia, in misura tanto maggiore quanto più elevata è l’elasticità della domanda. Alcuni consumatori di Torlonia, dal canto loro, riallocheranno la propria spesa dalle importazioni ai beni di produzione interna; di nuovo, quanto maggiore è l’elasticità della domanda, tanto più pronunciata è la riallocazione della spesa. In entrambi i casi, la domanda è tanto più elastica quanto più i beni di Torlonia sono sostituti prossimi dei beni esteri. Nella misura in cui le politiche restrittive inducono una riallocazione della spesa anziché una sua riduzione, si attenua il conflitto tra l’obiettivo di migliorare la bilancia dei pagamenti e quello di tenere a bada la disoccupazione. È possibile favorire una riallocazione della spesa anche introducendo restrizioni sulle importazioni (dazi e/o contingenti) o sussidiando le esportazioni. Tali provvedimenti, però, sarebbero in contrasto con l’obiettivo di promuovere il libero scambio. Le politiche fiscali e monetarie, nella misura in cui influiscono sui tassi di interesse, incidono anche sul conto finanziario della bilancia dei pagamenti. Un aumento dei tassi di interesse stimola la domanda di valuta nazionale (la libra), provocando un miglioramento del conto finanziario (esploreremo le implicazioni di questa dinamica nel Paragrafo 24.2). Processo di correzione in un regime di cambi liberamente fluttuanti In un regime di cambi liberamente fluttuanti, eventuali disavanzi o avanzi della bilancia dei pagamenti dovrebbero essere corretti in via automatica e istantanea attraverso, rispettivamente, un deprezzamento o un apprezzamento del tasso di cambio. Gli operatori valutari non fanno altro che modificare i tassi di cambio quotati in modo da pareggiare i propri conti, in linea con la domanda e l’offerta. IC 5 p18 Come nel caso del regime di cambi fissi, il processo di correzione innescato da un apprezzamento/deprezzamento del tasso di cambio dà luogo a un effetto di reddito e a un effetto di sostituzione, diversi tuttavia da quelli generati dalle politiche restrittive. Solo l’effetto di sostituzione permette di correggere lo squilibrio; l’effetto di reddito invece lo aggrava. Esaminiamo dapprima l’effetto di sostituzione, ossia la riallocazione della spesa. Riallocazione della spesa (effetto di sostituzione) Il processo di aggiustamento. Ipotizziamo che nel paese di Torlonia si registri un tasso di inflazione più elevato che all’estero. All’aumentare dei prezzi interni in rapporto a quelli esteri, la domanda di importazioni si espande e la curva di offerta di libre si sposta verso destra (da O1 a O2 nella Figura 24.4). Al contempo, i beni prodotti a Torlonia diventano relativamente più costosi per gli acquirenti esteri, e le esportazioni diminuiscono; pertanto, la curva di domanda di libre si sposta verso sinistra (da D1 a D2). Gli operatori valutari si ritrovano quindi con un sovrappiù di libre invendute e riducono il tasso di cambio (portandolo a er2 nella Figura 24.4). L’entità della variazione del tasso di cambio dipende da due fattori. • L’entità dello spostamento delle curve. Un elevato differenziale tra i tassi di inflazione o i tassi di interesse a livello internazionale provoca un marcato spostamento delle curve di domanda e offerta di valuta, e dunque ampie variazioni del tasso di cambio. • L’elasticità delle due curve. Quanto minore è l’elasticità delle curve di domanda e offerta di libre, tanto maggiore è la variazione del tasso di cambio per ogni dato spostamento delle curve stesse. IC 7 p30 PAROLE CHIAVE Riallocazione della spesa causata da una contrazione: l’effetto di sostituzione Situazione in cui le politiche restrittive provocano una riduzione dell’inflazione, causando una diminuzione della domanda di importazioni e un aumento della domanda di esportazioni. Riallocazione della spesa causata da un deprezzamento: l’effetto di sostituzione Situazione in cui un deprezzamento del tasso di cambio provoca una riduzione del prezzo delle esportazioni e un aumento del prezzo delle importazioni, causando un incremento della vendita di esportazioni e una diminuzione della vendita di importazioni. 48 Parte G – L’economia mondiale Tasso di cambio O1 O2 er1 Deprezzamento er2 D2 O D1 Quantità di £ Variazione della spesa (effetto di reddito) Il deprezzamento della valuta nazionale, oltre a incidere sui prezzi relativi, influisce anche sul reddito nazionale, provocando una variazione della spesa. Abbiamo già stabilito che la flessione del tasso di cambio causa un aumento della vendita di esportazioni e una diminuzione dell’acquisto di importazioni; questo è l’effetto di sostituzione, che costituisce però solo una prima ripercussione. Le esportazioni sono una immissione nel flusso circolare del reddito, le importazioni un ritiro da quest’ultimo. Si determina quindi un’espansione multipla del reddito nazionale. Questo effetto di reddito (incremento della spesa) stempera l’efficacia del deprezzamento. Si possono esaminare due situazioni. Un aumento del reddito nazionale e dell’occupazione, senza alcuna variazione dei prezzi. Ipotizziamo che vi siano molte risorse inutilizzate, così che un’espansione della domanda aggregata provochi un aumento della produzione e dell’occupazione ma non dei prezzi. Al crescere del reddito nazionale, si registra un incremento delle importazioni (che tende a controbilanciare il calo iniziale), mentre le importazioni restano invariate. Questa dinamica è illustrata dalla retta (X – M)1 nella Figura 24.5. A bassi livelli del reddito nazionale, la spesa per importazioni è contenuta e dunque le esportazioni (X) superano le esportazioni (M): X – M è positivo. All’aumentare del reddito e dunque delle importazioni, X – M diminuisce, e superato un certo punto diventa negativo. Pertanto, la retta X – M è decrescente. Supponiamo che, inizialmente, il reddito nazionale di equilibrio sia dato da Y1, il livello in corrispondenza del quale Y è pari alla spesa nazionale (E1), e che le IC 7 p30 importazioni superino le esportazioni di un ammontare a – b. Il tasso di cambio, di conseguenza, si deprezza. L’indebolimento della valuta nazionale provoca un effetto di sostituzione: le esportazioni aumentano e le importazioni diminuiscono. La retta X – M trasla dunque verso l’alto. Ma questo, a sua volta, innesca un effetto di reddito: la domanda aggregata si espande e la retta E si sposta verso l’alto a sua volta. L’economia perviene infine a un equilibrio interno ed esterno in corrispondenza di Y2, dove Y = E2 e (X – M)2 = 0. L’effetto di sostituzione positivo associato al deprezzamento è rappresentato da c – d, l’effetto di reddito negativo da c – a. L’effetto complessivo, dunque, è pari solo ad a – b, che corrisponde all’ammontare del disavanzo iniziale. In assenza dell’effetto di reddito negativo, sarebbe stato sufficiente un deprezzamento di minore entità. Quanto meno in questo caso, l’effetto di reddito produce una conseguenza positiva per gli obiettivi di politica economica interna: la disoccupazione diminuisce. Figura 24.5 L’effetto di reddito (prezzi stabili). Spesa (E ), esportazioni (X ), importazioni (M) Figura 24.4 Variazione del tassi di cambio in risposta a spostamenti delle curve di domanda e offerta. Equilibrio finale (Y2) Effetto di sostituzione positivo: c – b Effetto di reddito negativo: c – a Effetto netto sulla bilancia dei pagamenti: a – b Y O c a b Y1 E2 E1 Y2 (X – M)2 Y (X – M)1 PAROLE CHIAVE Variazione (incremento) della spesa causata da un deprezzamento: l’effetto di reddito Situazione in cui un deprezzamento del tasso di cambio, attraverso l’effetto di sostituzione, modifica la domanda di importazioni e di esportazioni, con ripercussioni sul livello del reddito nazionale e dunque sulla domanda di importazioni attraverso il moltiplicatore. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 49 Un aumento dei prezzi. Se l’economia è prossima alla piena occupazione, l’aumento della domanda aggregata causato dal deprezzamento riduce ulteriormente l’efficacia di quest’ultimo. L’espansione della domanda aggregata, oltre ad accrescere direttamente le importazioni, genera anche una maggiore inflazione. Si produce quindi anche un effetto di sostituzione negativo, che compensa in parte l’effetto di sostituzione positivo associato al deprezzamento. L’aumento dell’inflazione spinge nuovamente verso il basso in una certa misura la retta X – M. Nel caso estremo in cui l’offerta di moneta si espande per accomodare l’aumento della domanda aggregata, X – M può ritornare nella posizione originaria; il deprezzamento, quindi, non riesce a correggere lo squilibrio della bilancia dei pagamenti. Nella Figura 24.4, la flessione del tasso di cambio a er2 causa un ulteriore spostamento della curva di offerta verso destra e della curva di domanda verso sinistra, finché la distanza tra le due curve torna a essere equivalente a quella registrata in corrispondenza di er1. Per contrastare l’effetto di reddito, il governo potrebbe reputare necessario far seguire al deprezzamento della valuta nazionale l’attuazione di politiche della domanda deflazionistiche. Regimi dei tassi di cambio intermedi Tra i due estremi di un tasso di cambio totalmente fisso oppure liberamente fluttuante è possibile individuare una serie di sistemi intermedi. Parità mobile (o variabile). Il sistema della parità mobile (o variabile) si colloca in prossimità dell’estremo dei cambi totalmente fissi. I tassi di cambio vengono fissati (o ancorati) per un dato periodo di tempo, magari di diversi anni. Nel breve e nel medio periodo, quindi, il processo di correzione è analogo a quello che abbiamo descritto in riferimento a un sistema di tassi totalmente fissi. La banca centrale deve intervenire nel mercato valutario per sostenere il tasso di cambio. Se un deficit si dimostra persistente, il governo deve attuare politiche deflazionistiche o di altra natura per spostare le curve di domanda e offerta di valuta. Un simile intervento risulta però problematico se nel sistema sono già presenti molte risorse inutilizzate. Nel lungo periodo, se si registra uno squilibrio strutturale, la valuta può essere riancorata a una parità più alta o più bassa. La riduzione del tasso di cambio è detta svalutazione, l’aumento è detto rivalutazione. In alternativa, è possibile effettuare modifiche più frequenti di minore entità, allontanando così il sistema dall’estremo del regime dei cambi fissi. Fluttuazione manovrata. Il sistema della fluttuazione manovrata si trova in prossimità dell’estremo dei cambi liberamente fluttuanti. I tassi di cambio non sono ancorati a una parità, ma lasciati liberi di fluttuare. Tuttavia, la banca centrale interviene di volta in volta per impedire eccessive fluttuazioni del tasso di cambio. In un tale sistema, la banca centrale non mira a sostenere il tasso di cambio anche a fronte di uno squilibrio di medio o lungo termine; piuttosto, punta a favorire un adeguamento “composto” del tasso di cambio a seguito di significative variazioni della domanda e dell’offerta, contrastando quel genere di fluttuazioni violente di breve periodo che possono verificarsi in un regime di cambi liberamente fluttuanti (per esempio, a causa della speculazione). Per evitare di ricorrere in misura eccessiva alle riserve di valuta estera, la banca centrale può anche modificare i tassi di interesse per impedire le fluttuazioni del tasso di cambio. Per esempio, in caso di vendite massicce della valuta nazionale, la banca centrale può aumentare i tassi di interesse per contrarne l’effetto e impedire un deprezzamento del cambio. Il grado di stabilità valutaria perseguito, e dunque il livello degli interventi richiesti, variano da paese a paese e da governo a governo. A un estremo, le autorità potrebbero intervenire solo qualora le fluttuazioni del tasso di cambio divengano estremamente pronunciate; all’estremo opposto, il governo potrebbe mirare a mantenere il tasso di cambio ancorato a una parità non ufficiale. PAROLE CHIAVE Parità mobile (o variabile) Sistema nel quale i tassi di cambio sono fissi per un determinato periodo di tempo, ma possono essere svalutati (o rivalutati) in caso di deficit (o surplus) eccessivi. Svalutazione Operazione con in cui il governo ancora il tasso di cambio a una parità più bassa. Rivalutazione Operazione con cui il governo ancora il tasso di cambio a una parità più elevata. Fluttuazione manovrata Sistema di tassi di cambio flessibili in cui le autorità intervengono per impedire fluttuazioni troppo ampie del tasso di cambio o per mantenerlo in prossimità di una parità non ufficiale. 50 Parte G – L’economia mondiale Parità slittante. Il sistema della parità slittante è un regime intermedio tra la fluttuazione manovrata e la parità mobile. Anziché effettuare di rado svalutazioni (o rivalutazioni) di notevole entità, il governo apporta più di frequente – poniamo una volta al mese – lievi modifiche alla parità, al variare del tasso di cambio di equilibrio. Fluttuazione congiunta. In un sistema di fluttuazione congiunta un gruppo di paesi adotta un regime di cambi fissi o di parità mobile tra le rispettive valute, che fluttuano congiuntamente rispetto a tutte le altre. Banda di fluttuazione dei cambi. Con una banda dei fluttuazioni dei cambi, il governo stabilisce un limite inferiore e uno superiore al valore del tasso di cambio (per esempio, €1 = $1,5 e €1 = $1,2), quindi consente al tasso di cambio di fluttuare liberamente entro questi limiti. Tuttavia, il governo interviene se il tasso di cambio si approssima al limite inferiore o superiore. Le bande di fluttuazione possono essere ristrette (poniamo, del ±1% rispetto alla parità centrale) oppure ampie (±15%). Le bande di fluttuazione possono essere incorporate in altri sistemi, nonché avere carattere mobile, slittante o fisso. Per esempio, la Figura 24.6 illustra un sistema di parità slittante con una banda di fluttuazione del tasso di cambio. Il meccanismo dei tassi di cambio (ERM) del Sistema monetario europeo (SME) era un esempio di regime di fluttuazione congiunta rispetto alle valute dei paesi non aderenti, con una banda di oscillazione attorno a una parità centrale periodicamente rivista per le valute degli stati membri (vedi Paragrafo 25.2). Il sistema ERM2 introdotto per la Danimarca e per i nuovi membri dell’UE prima dell’adozione dell’euro presenta caratteristiche analoghe. Tutti questi sistemi intermedi costituiscono altrettanti tentativi di beneficiare del maggior numero possibile dei vantaggi associati ai tassi fissi e variabili, minimizzando al contempo gli inevitabili svantaggi. Per valutare la bontà di questi sistemi di compromesso, dunque, dobbiamo esaminare i pro e i contro dei regimi di cambi fissi e variabili. Questo è l’obiettivo dei prossimi due paragrafi. PAROLE CHIAVE Parità slittante Sistema nel quale il governo permette graduali modifiche del tasso di cambio. Fluttuazione congiunta Regime in cui un gruppo di valute, ancorate l’una all’altra, fluttuano congiuntamente rispetto ad altre valute. Banda di fluttuazione del tasso di cambio Limite minimo e limite massimo entro il quale sono consentite le fluttuazioni del tasso di cambio di una valuta rispetto ad altre. Figura 24.6 Un sistema di parità slittante con una banda di oscillazione del tasso di cambio. Tasso di cambio $1,80 $1,60 O Nessun intervento La banca centrale acquista valuta nazionale Nessun intervento La banca centrale vende valuta nazionale Nessun Tempo intervento Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 51 24.2 Tassi di cambio fissi In questo paragrafo esaminiamo le cause degli squilibri della bilancia dei pagamenti in un regime di tassi di cambio nominali fissi, sia nel breve che nel lungo periodo. Cominceremo con le cause di breve periodo, per stabilire in quali circostanze un equilibrio può essere ripristinato. Successivamente analizzeremo le cause strutturali di più lungo termine degli squilibri della bilancia dei pagamenti. Infine, valuteremo la desiderabilità di un regime di tassi di cambio fissi. *Effetti degli shock in un regime di cambi fissi In un sistema di cambi fissi è difficile che un equilibrio interno ed esterno possa durare a lungo in assenza di intervento pubblico. L’economia è continuamente colpita da diversi “shock” macroeconomici, come variazioni dei ritiri e delle immissioni oppure dei tassi di interesse internazionali. Tali shock possono alterare l’equilibrio interno e/o esterno. Nonostante l’intervento delle autorità, però, potrebbe essere molto arduo, se non impossibile, ripristinare entrambi gli equilibri. Gli interventi correttivi degli squilibri della bilancia dei pagamenti tendono a entrare in conflitto con gli altri obiettivi macroeconomici della crescita, della piena occupazione e dalla stabilità dei prezzi. Le reazioni dell’economia agli shock macroeconomici in regime di cambi fissi e l’efficacia relativa dei diversi provvedimenti di politica economica volti a mitigare gli squilibri risultanti dipendono da due fattori: (a) il fatto che gli shock siano interni o esterni; (b) la flessibilità di prezzi e salari, che a sua volta dipende dal periodo di tempo in esame. Reazione a uno shock interno Ipotizziamo che la domanda aggregata diminuisca a causa di un calo della spesa per consumi o dell’investimento oppure di un aumento del risparmio. Effetto di breve periodo. Nel breve periodo i prezzi e soprattutto i salari tendono a essere relativamente vischiosi (questa è un’ipotesi fondamentale dell’analisi keynesiana). Il calo della domanda aggregata spinge l’economia in recessione, facendo venir meno l’equilibrio interno. In un’economia chiusa, probabilmente, la banca centrale ridurrebbe i tassi di interesse in modo da stimolare l’economia, o per affrontare la recessione direttamente o perché l’inflazione prevista è scesa sotto al livello-obiettivo. In un’economia aperta in regime di cambi fissi, tuttavia, questo non è possibile. Vediamo perché. La contrazione della domanda aggregata provoca una flessione delle importazioni, generando un avanzo di conto corrente ma anche un effetto di segno opposto sul conto finanziario. Il calo della domanda aggregata causa una contrazione della domanda di moneta e dunque una pressione al ribasso sui tassi di interesse. Se la banca centrale non interviene a frenare la caduta dei tassi, si genera un deflusso di fondi e dunque un disavanzo del conto finanziario. L’ammontare relativo dell’avanzo del conto corrente e del disavanzo del conto finanziario dipende dalla propensione marginale all’importazione (pmm) e dalla mobilità internazionale dei capitali: quanto più elevato è pmm, tanto maggiore è l’avanzo del conto corrente; quanto maggiore è la mobilità dei capitali, tanto più ingente è il deflusso di fondi e, quindi, tanto più elevato è il disavanzo del conto finanziario. Nel mondo di oggi, caratterizzato da ingenti flussi di fondi nei mercati dei cambi, i capitali internazionali presentano una mobilità molto spiccata se non addirittura perfetta. Se la banca centrale non si oppone alla diminuzione dei tassi di interesse, il disavanzo del conto finanziario tenderà a eccedere l’avanzo del conto corrente. Per ovviare a questo problema, le autorità devono impedire il calo dei tassi di interesse, o quanto meno fare in modo che essi registrino solo una lieve flessione, appena sufficiente a far sì che il disavanzo del conto finanziario sia pari all’avanzo del conto corrente. Se i tassi di interesse restano pressoché invariati, l’offerta di moneta deve contrarsi in modo da compensare la diminuzione della domanda di moneta. Per mantenere il tasso di cambio fisso (senza dilapidare eccessivamente le riserve) i tassi di interesse devono essere quindi determinati dalla bilancia dei pagamenti. Di conseguenza, non possono essere utilizzati per perseguire obiettivi di politica economica interna, come un target di inflazione, un livello-obiettivo di reddito nazionale o una combinazione dei due (per esempio, secondo una regola di Taylor: vedi Paragrafo 19.4). Lo squilibrio interno tenderà a persistere nel breve periodo. Effetto di lungo periodo. Nel lungo periodo prezzi e salari sono di gran lunga più flessibili (secondo il modello neoclassico, lo sono anche nel breve periodo). Tale flessibilità permette di ripristinare l’equilibrio interno: la curva di Phillips è verticale in corrispondenza del tasso naturale di disoccupazione. 52 Parte G – L’economia mondiale Ma in un regime di cambi fissi la flessibilità di prezzi e salari garantisce anche l’esistenza di un equilibrio esterno? Ancora una volta, ipotizziamo che gli individui decidano di spendere meno e risparmiare di più. Come nel breve periodo, si genera un avanzo di conto corrente, ma di entità molto più pronunciata. Nel breve periodo, infatti, non vi è un effetto di prezzo (cioè un effetto di sostituzione) significativo, giacché non vi sono variazioni di rilievo dell’inflazione; è presente soltanto un effetto di reddito associato al calo delle importazioni causato dalla recessione. Nel lungo periodo, invece, la contrazione della domanda aggregata tende a raffreddare l’inflazione. Se il tasso di crescita dei prezzi scende al di sotto di quello dei partner commerciali, il tasso di cambio reale si deprezza, rendendo le esportazioni relativamente più convenienti e le importazioni relativamente più onerose; di conseguenza, le prime aumentano e le seconde diminuiscono. Il risultante aumento della domanda aggregata contribuisce non solo a eliminare la recessione, ma anche a ridurre l’avanzo del conto corrente. CF 11 Pertanto, nonostante il tasso di cambio nominale p346 sia fisso, la flessibilità di prezzi e salari garantisce la flessibilità del tasso di cambio reale. Ciò contribuisce a ripristinare l’equilibrio esterno in senso lato, anche se un avanzo di conto corrente potrebbe rivelarsi persistente. Infatti, se tale avanzo viene impiegato nell’acquisto di attività estere, nel tempo il rendimento da queste generate andrà ad alimentare ulteriormente l’avanzo stesso. Un punto però è chiaro: sebbene i tassi di interesse siano determinati dalla necessità di mantenere un tasso di cambio nominale fisso, la flessibilità di prezzi e salari nel lungo periodo tende presto o tardi a ripristinare l’equilibrio interno. Ora tuttavia sorgono alcuni interrogativi: quanto dura il lungo periodo? Per quanto tempo persiste la recessione? Se è troppo lunga, e se non è possibile ridurre i tassi di interesse, è possibile ricorrere a una politica fiscale espansiva? Queste domande sono esaminate nel Box 24.2. IC 7 p30 Reazione a uno shock esterno Ipotizziamo ora che si registri un calo della domanda di esportazioni. Effetto di breve periodo. La flessione delle esportazioni spinge il conto corrente in disavanzo; inoltre, riduce la domanda aggregata, provocando una contrazione multipla del reddito nazionale. La domanda di importazioni di conseguenza diminuisce in misura tanto maggiore quanto più elevato è pmm. La domanda CF 14 p448 aggregata continua a diminuire finché il calo delle immissioni non viene uguagliato da un calo dei ritiri. Ma questo non basta a eliminare il disavanzo di conto corrente, perché la diminuzione dei ritiri necessaria a pareggiare la flessione delle esportazioni consiste solo in parte in una riduzione delle importazioni; in parte sarà costituita da un calo del risparmio e delle entrate fiscali. La contrazione della domanda aggregata riduce la domanda di moneta a scopi transazionali, ponendo una pressione al ribasso sui tassi di interesse; una diminuzione dei tassi, a sua volta, tende a provocare un deflusso di fondi e dunque un disavanzo del conto finanziario, aggravando ulteriormente lo squilibrio della bilancia dei pagamenti. Per contrastare questa tendenza, la banca centrale deve frenare la caduta dei tassi di interesse riducendo l’offerta di moneta (attraverso operazioni di mercato aperto). A ben vedere, dato il deficit del conto corrente, i tassi di interesse potrebbero persino dover aumentare lievemente, in modo da generare un avanzo del conto finanziario sufficiente a controbilanciare il disavanzo del conto corrente. Ma questo non farebbe che esacerbare la recessione. Effetto di lungo periodo. La contrazione della domanda aggregata genera una pressione al ribasso sull’inflazione interna, che contribuisce a ridurre il tasso di cambio reale e dunque a correggere il disavanzo del conto corrente, nonché a ripristinare l’equilibrio interno. Ancora una volta, però, in assenza di un’adeguata politica fiscale, il lungo periodo potrebbe tardare ad arrivare e la recessione potrebbe perdurare. CF 11 p346 Cause degli squilibri di lungo termine della bilancia dei pagamenti in un regime di tassi di cambio fissi In presenza di prezzi moderatamente flessibili, a seguito di un singolo shock il conto corrente potrebbe presto o tardi tornare in pareggio. Tuttavia, a causa dei continui spostamenti delle curve di domanda e offerta di importazioni ed esportazioni, i problemi di bilancia dei pagamenti potrebbero perdurare. Esaminiamo quattro cause di tali spostamenti. Differenze tra i tassi di inflazione nazionali. Un paese con un tasso di inflazione persistentemente più elevato rispetto ai partner commerciali tende a evidenziare disavanzi correnti sempre maggiori. A mano a mano che il suo tasso di cambio reale si apprezza, le esportazioni e i beni sostituti delle importazioni diventano via via meno competitivi. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 53 BOX 24.2 Esplorare l’economia L’efficacia delle politiche fiscali e monetarie in un regime di cambi fissi La politica monetaria La politica monetaria non è molto efficace in un regime di cambi fissi. Ipotizziamo che la banca centrale, temendo un’accelerazione dell’inflazione, desideri porre un freno all’espansione della domanda aggregata nominale; di conseguenza, riduce il tasso di crescita dell’offerta di moneta, provocando in tal modo un aumento dei tassi di interesse e una contrazione del reddito nazionale nominale. Esaminiamo gli effetti di questo provvedimento sulla bilancia dei pagamenti. La diminuzione del reddito nazionale nominale causa una flessione della spesa per importazioni, generando un avanzo di conto corrente. Inoltre, gli elevati tassi di interesse attirano un afflusso di capitali, spingendo in avanzo anche il conto finanziario. Questo surplus della bilancia dei pagamenti accresce nuovamente l’offerta di moneta e riduce i tassi di interesse, riportandoli al loro livello iniziale. La domanda aggregata aumenta nuovamente, riportandosi al livello originario. La politica monetaria risulta dunque inefficace. In teoria, anziché intervenire sull’offerta di moneta, il governo avrebbe potuto modificare direttamente i tassi di interesse. Ma il problema, in questo caso è che, dovendo mantenere il tasso di cambio al livello prefissato, il governo ha un margine di manovra molto limitato. Per esempio, se innalza i tassi di interesse, il conseguente afflusso di capitali porta in avanzo la bilancia dei pagamenti. Il governo, per un certo periodo di tempo, potrebbe limitarsi ad accumulare riserve, sebbene probabilmente non a tempo indeterminato. Il problema si fa più grave se l’economia è in recessione e la banca centrale desidera espandere la domanda aggregata riducendo i tassi di interesse; il deflusso di capitali la costringe infatti ad acquistare la valuta nazionale attingendo alle riserve. Tuttavia, questo processo non è sostenibile a lungo: presto o tardi la banca centrale sarà costretta ad alzare nuovamente i tassi di interesse per bloccare l’erosione Differenze tra i tassi di crescita di diversi paesi. Se un paese cresce più rapidamente dei suoi partner commerciali, le sue importazioni tendono ad aumentare più rapidamente delle sue esportazioni. Domanda di importazioni più elastica al reddito della domanda di esportazioni. Se l’elasticità della domanda di importazioni al reddito è relativamente elevata e l’elasticità della domanda di esportazioni al reddito è relativamente bassa, al crescere dei redditi mondiali le importazioni del paese aumentano più rapidamente delle esportazioni. Questo rappresenta un problema IC 9 p59 delle riserve. Nel mondo di oggi, caratterizzato da scarsi controlli sui tassi di cambio e da ingenti volumi di liquidità internazionale a breve termine, questi flussi possono assumere proporzioni enormi. Pertanto, la banca centrale gode di pochissima autonomia nel determinare i tassi di interesse, i quali devono essere mantenuti a un livello tale da sostenere il tasso di cambio. Nel caso di perfetta mobilità dei capitali internazionali, i tassi di interesse devono restare in linea con quelli mondiali. La politica monetaria è dunque totalmente inefficace. La politica fiscale La politica fiscale, per contro, è molto più efficace. Supponiamo che l’economia sia in recessione. Il governo, volendo espandere la domanda aggregata, riduce le imposte e/o incrementa la spesa pubblica, provocando un aumento del reddito nazionale e dunque della spesa per importazioni. Inoltre, il tasso di cambio reale si apprezza in conseguenza dell’aumento dell’inflazione, rendendo le esportazioni meno competitive e le importazioni relativamente meno care. Il conto corrente fa segnare un disavanzo. L’espansione della domanda aggregata stimola la domanda di moneta e dunque esercita una pressione al rialzo sui tassi di interesse, alimentando un afflusso di capitali e spingendo in avanzo il conto finanziario. Per impedire che ciò annulli l’effetto del disavanzo del conto corrente, la banca centrale deve contrastare un aumento eccessivo dei tassi di interesse; nel caso di un’offerta di capitali internazionali infinitamente elastica, i tassi di interesse devono essere mantenuti invariati. Pertanto, la banca centrale deve acconsentire a un’espansione della massa monetaria per tenere bassi i tassi di interesse. L’aumento dell’offerta di moneta rafforza quindi la politica fiscale espansiva e previene l’effetto di spiazzamento. Di conseguenza, un’elevata mobilità dei capitali a livello internazionale rafforza l’efficacia della politica fiscale. in special modo per molti paesi in via di sviluppo, che importano prodotti manifatturieri e beni strumentali, la cui domanda crescere rapidamente, ed esportano beni primari – generi alimentari e materie prime – la cui domanda in anni recenti è cresciuta piuttosto lentamente. Cambiamenti strutturali di lungo periodo. • La creazione di blocchi commerciali può provocare un aumento dei dazi nei confronti di altri paesi. Le esportazioni australiane e neozelandesi furono penalizzate dall’adesione del Regno Unito alla Comunità economica europea. 54 Parte G – L’economia mondiale • Molti paesi possono esercitare un potere di monopolio nettamente maggiore che in passato. Ne sono un esempio gli aumenti dei prezzi attuati dall’OPEC nel 1973–1974 e nel 1978–1979. • I paesi possono sviluppare beni sostituti delle importazioni. Per esempio, la plastica e altri materiali sintetici in molti casi hanno sostituito la gomma e i metalli, causando un deterioramento della bilancia dei pagamenti dei paesi esportatori di prodotti primari. • La natura e la qualità dei prodotti di un paese possono cambiare. Per esempio, il Giappone è passato dalla fabbricazione di semplici prodotti manifatturieri di bassa qualità negli anni Cinquanta alla fabbricazione di prodotti manifatturieri sofisticati. Questo cambiamento ha contribuito ad accrescere le sue esportazioni. Per mantenere un tasso di cambio fisso in simili circostanze, i governi devono prendere provvedimenti per correggere gli squilibri, avvalendosi di politiche della domanda (fiscali e monetarie: vedi Box 24.2), politiche dell’offerta o politiche protezionistiche. dei pagamenti. Questo costringerà la banca centrale a intervenire per sostenere il tasso di cambio, acquistando valuta nazionale nel mercato dei cambi e causando in tal modo una contrazione dell’offerta di moneta (sempre che l’acquisto di valuta non venga sterilizzato), oppure innalzando i tassi di interesse. In entrambi i casi, l’intervento delle autorità monetarie avrà l’effetto di correggere l’errore. Vantaggi dei tassi di cambio fissi I cambi fissi minano l’efficacia della politica monetaria. Per assicurare un equilibrio complessivo della bilancia dei pagamenti, le autorità devono agire sulla leva dei tassi di interesse. Di conseguenza, l’offerta di moneta deve poter variare in linea con la domanda di moneta per mantenere i tassi di interesse al livello necessario. Pertanto la politica monetaria non può essere utilizzata a scopi interni (vedi Box 24.2). L’inflazione dipende dai tassi mondiali, che potrebbero essere elevati e inaccettabili a livello nazionale. Se la banca centrale mira a ridurre l’inflazione attuando una contrazione dell’offerta di moneta e innalzando i tassi di interesse, il conto corrente e il conto finanziario registreranno un avanzo. Ne consegue che l’offerta di moneta tornerà ad aumentare finché l’inflazione interna non raggiungerà nuovamente i livelli mondiali. Molti economisti si oppongono a un regime di tassi di cambio fissi, per ragioni che esamineremo tra breve; al contrario, parecchi esponenti del mondo imprenditoriale lo caldeggiano. Analizziamo alcune delle loro argomentazioni. Riduzione dell’incertezza. In un regime di cambi fissi, il commercio e l’investimento internazionale diventano molto meno rischiosi, perché i profitti non sono influenzati dall’andamento del tasso di cambio. IC 11 p66 Speculazione minima o nulla. A condizione che il tasso di cambio sia assolutamente fisso – e che gli individui ritengano che resterà tale – è del tutto inutile speculare. Per esempio, tra il 1999 e il 2001, quando le vecchie valute dei paesi dell’area dell’euro erano ancora in circolazione ma irrevocabilmente ancorate all’euro, nessuno speculava sul fatto che il marco tedesco, poniamo, si sarebbe apprezzato rispetto al franco francese o alla lira italiana. Correzione automatica degli errori di politica monetaria. Se la banca centrale non si oppone a un’espansione troppo rapida dell’offerta di moneta, l’aumento della domanda aggregata e il calo dei tassi di interesse tenderanno a provocare un disavanzo della bilancia Impedire al governo di perseguire politiche macroeconomiche “irresponsabili”. Se un governo, in maniera deliberata, espande eccessivamente la domanda aggregata – magari nel tentativo di riguadagnare popolarità presso l’elettorato – il conseguente squilibrio della bilancia dei pagamenti lo costringerà presto o tardi ad attuare politiche restrittive (a meno che non ricorra a controlli delle importazioni). Svantaggi dei tassi di cambio fissi La visione neoclassica Gli economisti neoclassici muovono due critiche fondamentali ai regimi di cambi fissi. I tassi di cambio fissi sono in contrasto con il principio del libero mercato. Perché fissare i tassi di cambio, quando un semplice apprezzamento o deprezzamento può correggere uno squilibrio? Secondo la visione del mondo neoclassica, nella quale i mercati pervengono sempre all’equilibrio e la domanda e l’offerta sono relativamente elastiche, perché non trattare i mercati valutari come qualsiasi altro mercato e non lasciare che i tassi di cambio siano determinati dalle forze della domanda e dell’offerta? Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 55 La visione keynesiana Secondo i keynesiani, prezzi e salari sono relativamente vischiosi e la disoccupazione da carenza di domanda e l’inflazione da costi possono essere persistenti. Pertanto, se i tassi di cambio sono fissi, non vi è alcuna garanzia di conseguire simultaneamente un equilibrio interno ed esterno. Questo, a sua volta, genera una serie di problemi. I disavanzi della bilancia dei pagamenti possono condurre a una recessione. La bilancia dei pagamenti può andare in disavanzo anche in assenza di un eccesso di domanda, per esempio, come abbiamo visto precedentemente, a causa di un tasso di crescita o un tasso di inflazione diverso da quelli dei partner commerciali, una domanda di importazioni più elastica al reddito della domanda di esportazioni e così via. Poiché le politiche dell’offerta sono tendenzialmente efficaci solo nel lungo periodo, per evitare di ricorrere a misure protezionistiche il governo sarà costretto a ridurre il tasso di crescita della domanda aggregata. Questo, sua volta, provoca un aumento della disoccupazione e potenzialmente una recessione. Se i prezzi e i salari sono vischiosi al ribasso, per ottenere un miglioramento significativo del conto corrente può essere necessario ricorrere a politiche fortemente restrittive, confidando nel fatto che la diminuzione dei redditi riduca la domanda di importazioni. Se la contrazione viene ottenuta attraverso un aumento dei tassi di interesse, tuttavia, un eventuale miglioramento del conto finanziario potrebbe rendere superflua una deflazione eccessiva, considerata soprattutto l’elevata mobilità dei capitali nell’economia odierna. Nondimeno, il tasso di interesse potrebbe essere più elevato del livello desiderato puramente a scopi di politica interna. Un paese che presenta un persistente disavanzo di conto corrente potrebbe essere costretto a mantenere i tassi di interesse a un livello stabilmente più elevato rispetto ai concorrenti, soffrendo conseguentemente di tassi di crescita più contenuti. Il paese inoltre tenderà ad accumulare debiti a breve termine, a causa degli afflussi di fondi volti a trarre vantaggio dai tassi di interesse più interessanti. Questo potrebbe acuire notevolmente il problema della speculazione, se gli individui si convincono che il tasso di cambio fisso non potrà essere mantenuto a lungo (vedi più avanti). IC 32 p338 Le strategie di deflazione competitiva possono provocare una depressione mondiale. Se i paesi in disavanzo attuano politiche deflazionistiche e quelli in avanzo politiche reflazionistiche, non si genera un problema di deflazione o di reflazione a livello CF 14 p448 mondiale. Ma molti paesi potrebbero mirare a mantenere la bilancia dei pagamenti in avanzo, al fine di accumulare riserve; di conseguenza, potrebbero attuare strategie di deflazione competitiva, al fine di conseguire un avanzo della bilancia dei pagamenti. Ma queste politiche finiscono inevitabilmente per danneggiare altre nazioni. Non tutti i paesi, infatti, possono avere un avanzo della bilancia dei pagamenti: il mondo nel suo complesso deve essere necessariamente in pareggio. Tali politiche provocano una deflazione generale a livello mondiale e raffreddano la crescita. Problemi di liquidità internazionale. Affinché il commercio internazionale possa crescere, occorre un’espansione dell’offerta di valute accettabili negli scambi (dollari, euro, oro e così via): in altre parole, è necessaria una liquidità internazionale adeguata. Le riserve nazionali di tali valute devono aumentare in misura sufficiente a difendere il tasso di cambio fisso nei periodi di squilibri della bilancia dei pagamenti. Per contro, la liquidità internazionale non deve essere eccessiva: in caso contrario, la domanda addizionale che ne risulterebbe alimenterebbe l’inflazione mondiale. Pertanto, in un regime di cambi fissi, è importante evitare che la liquidità internazionale risulti carente o eccessiva. Il problema è come mantenere un controllo adeguato della liquidità internazionale. L’offerta di dollari, per esempio, dipende prevalentemente dalla politica statunitense, che potrebbe essere dettata dalla situazione economica interna degli Stati Uniti anziché da un’attenzione per il benessere della comunità internazionale. Analogamente, l’offerta di euro dipende dalla politica della Banca centrale europea, che è governata dalla situazione interna dei paesi dell’eurozona. Speculazione. Se gli speculatori ritengono che un tasso di cambio fisso non potrà essere difeso a lungo, lanceranno massicci attacchi speculativi contro la valuta nazionale. In presenza di un cospicuo disavanzo, non vi è alcuna probabilità di una rivalutazione: pertanto, il tasso dovrà essere svalutato oppure restare invariato. Gli speculatori, quindi, venderanno la valuta nazionale. Dopo tutto, si tratta di una facile scommessa: testa vincono (svalutazione), croce non perdono (nessuna svalutazione). Le vendite speculative avranno l’effetto di aggravare il disavanzo, e potrebbero persino costringere IC 10 p61 PAROLE CHIAVE Liquidità internazionale Disponibilità di valute mondiali accettabili per il finanziamento dei commerci e degli investimenti internazionali. 56 Parte G – L’economia mondiale il governo a svalutare. Operazioni speculative come queste hanno avuto effetti disastrosi su alcune valute del Sud-Est asiatico nel 1997 e sul peso argentino nel 2002. Post scriptum Un’argomentazione spesso addotta dai fautori dei tassi di cambio fissi è che tale sistema impedisce ai governi di perseguire politiche inflazionistiche. Ma se ridurre l’inflazione è desiderabile, perché i governi non adottano direttamente politiche anti-inflazionistiche? Al giorno d’oggi molti governi (o banche centrali) fanno del perseguimento di un obiettivo di inflazione il cardine della politica monetaria. La maggior parte, tuttavia, opera in un regime di cambi fluttuanti. 24.3 Tassi di cambio liberamente fluttuanti I tassi di cambio fluttuanti e l’emancipazione della politica interna In un regime di tassi di cambio liberamente fluttuanti non può sussistere uno squilibrio complessivo della bilancia dei pagamenti. Gli operatori valutari modificano continuamente i tassi di cambio per pareggiare i propri conti, in modo che la domanda di ogni valuta sia pari all’offerta. CF 4 Viene così a decadere il vincolo posto dalla bilanp38 cia dei pagamenti sulla politica interna in un sistema di cambi fissi. Le riserve valutarie diventano superflue, perché la banca centrale non deve più intervenire per difendere il tasso di cambio. Il governo è in apparenza libero di perseguire le politiche interne che ritiene più opportune, giacché eventuali effetti sulla bilancia dei pagamenti vengono automaticamente corretti da un apprezzamento o un deprezzamento del tasso di cambio. In realtà, però, la situazione non è così semplice. Anche in un regime di tassi di cambio perfettamente fluttuanti, gli effetti delle variazioni del tasso di cambio possono imporre un vincolo sulla politica interna. Per esempio, un deprezzamento della valuta nazionale spinge al rialzo il prezzo delle importazioni; se la domanda di beni importati è relativamente anelastica, questo può provocare un aumento del tasso di inflazione. Reazione agli shock in un regime di cambi fluttuanti Shock interni Ipotizziamo che un’espansione della domanda aggregata alimenti l’inflazione. Per il momento, tuttavia, supponiamo anche che la politica monetaria mantenga i tassi di interesse reali al livello internazionale. Per semplicità, immaginiamo anche che non vi sia inflazione all’estero. Come reagisce un sistema di cambi fluttuanti a questo shock interno causato da un aumento della domanda aggregata? Il tasso di cambio si deprezza per mantenere la competitività delle esportazioni e dei prodotti sostituti delle importazioni. Per esempio, ipotizziamo che il tasso di cambio sterlina-euro sia pari inizialmente a £1 = €1,5. Un bene prodotto nel Regno Unito che costa €1,5 in Italia frutterà all’esportatore britannico £1. Se l’inflazione del Regno Unito provoca un raddoppiamento dei prezzi, il tasso di cambio pressappoco si dimezza; se scende a £1 = €0,75, lo stesso prodotto che in Italia costa €1,5 frutterà all’esportatore britannico £2, un importo equivalente al precedente in termini reali. Quella appena enunciata è la teoria della parità dei poteri di acquisto, secondo la quale le variazioni dei prezzi nazionali vengono compensate da variazioni del tasso di cambio (nominale) tali da lasciare inalterati i prezzi relativi di diversi paesi. Se abbandoniamo l’ipotesi che i tassi di interesse reali vengano mantenuti allo stesso livello di quelli esteri, la teoria della parità dei poteri di acquisto perde validità. Ipotizziamo che un’espansione della domanda aggregata causi un aumento dei tassi di interesse reali. Ciò potrebbe essere dovuto a un aumento della domanda di moneta che spinge al rialzo i tassi di interesse, oppure a un intervento diretto della banca centrale volto a riportare l’inflazione in linea con il livello-obiettivo. Questo shock produce due effetti sul tasso di cambio. L’aumento della domanda aggregata e dell’inflazione spinge il conto corrente in disavanzo, esercitando così una pressione al ribasso sul tasso di cambio. All’aumentare dei tassi di interesse reali, tuttavia, il conto finanziario fa registrare un avanzo, perché i depositanti scelgono di detenere i propri saldi monetari nella valuta nazionale; di conseguenza, il tasso di cambio viene spinto al rialzo. A seconda dell’intensità relativa dei due effetti, il CF 11 p346 PAROLE CHIAVE Teoria della parità dei poteri di acquisto Teoria secondo la quale il tasso di cambio si aggiusta fino a compensare le differenze fra i tassi di inflazione dei diversi paesi, con il risultato che la stessa quantità di beni scambiati a livello internazionale può essere acquistata nel mercato interno o all’estero con un medesimo ammontare di valuta nazionale. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 57 cambio può deprezzarsi o apprezzarsi. Nel mondo di oggi, caratterizzato da ingenti flussi internazionali di capitali, l’effetto sul conto finanziario è verosimilmente più pronunciato, e dunque il tasso di cambio tenderà ad apprezzarsi. Quanto maggiore è l’elasticità dell’offerta di tali flussi di capitali ai tassi di interesse, tanto maggiore è l’apprezzamento. In ogni caso, per via dell’effetto sul conto finanziario, il nuovo tasso di cambio di equilibrio si attesterà a un livello superiore a quello che garantisce la parità dei poteri di acquisto. Questo penalizza i settori esportatori, poiché l’indebolimento del cambio (ammesso che ci sia) non è sufficiente ad annullare l’effetto dell’aumento dei prezzi in valuta nazionale. Anche i settori interni che competono con le importazioni sono penalizzati, poiché di nuovo il tasso di cambio non diminuisce in misura sufficiente da preservare la loro competitività con le importazioni. Il conto corrente continua dunque a registrare un disavanzo, a cui fa da contraltare un avanzo del conto finanziario di pari entità e di segno opposto. Le operazioni di “carry trade”. Ad aggravare i problemi dei paesi con un disavanzo di conto corrente ha contribuito spesso in anni recenti la crescita delle operazioni di carry trade, effettuate dagli investitori internazionali per trarre vantaggio dalle differenze fra i tassi di interesse nominali di diversi paesi. I paesi con un disavanzo di conto corrente, come il Regno Unito, l’Australia e la Nuova Zelanda, presentano di norma tassi di interesse relativamente elevati, a differenza delle nazioni con un avanzo di conto corrente, come Giappone e Svizzera, i cui tassi di interesse sono generalmente più bassi. È dunque redditizio contrarre un prestito, poniamo, in yen ai tassi di interesse bassi vigenti in Giappone, scambiare l’importo in sterline e depositare i fondi nel Regno Unito, beneficiando così di tassi di interesse più elevati. Se il tasso di cambio sterlina-yen resta invariato, l’investitore realizza un profitto pari alla differenza tra i tassi di interesse. Se però i tassi di interesse più elevati del Regno Unito e di altri paesi in disavanzo bastassero appena a ricompensare gli investitori per il rischio di un deprezzamento della valuta, non si registrerebbe un afflusso eccessivo di capitali. Il beneficio di un tasso di interesse superiore sarebbe controbilanciato dal deprezzamento della valuta. Ma le operazioni di carry trade hanno l’effetto di provocare un apprezzamento valutario nei paesi in disavanzo, incentivando ulteriormente le attività speculative di quanti puntano su un ulteriore rafforzamento del tasso di cambio. Così, le valute dei paesi con un disavanzo di conto corrente si apprezzano, rendendo meno competitivi i beni di produzione interna e accentuando il deficit del conto corrente. Tra il 1996 e il 2006 il disavanzo di conto corrente medio in percentuale del PIL di Stati Uniti, Regno Unito e Australia si è attestato, rispettivamente, al 4,0%, 1,8% e 4,4%; nello stesso periodo il dollaro statunitense si è apprezzato del 9,8%, la sterlina britannica del 27,7% e il dollaro australiano del 3,8%. Al contempo, le valute dei paesi con un conto corrente in avanzo si deprezzano, rendendo i beni di produzione interna più competitivi e alimentando ulteriormente il surplus del conto corrente. Tra il 2004 il 2006 il Giappone, la Svizzera e la Svezia hanno registrato, rispettivamente, avanzi correnti pari in media al 3,8%, 13,8% e 7,3% del PIL, con tassi di interesse a breve termine pari appena, in media, allo 0,1%, 1,0% e 2,1% (a fronte dei tassi del 2,4%, 4,7% e 5,7% di Stati Uniti, Regno Unito e Australia). In quello stesso periodo lo yen ha ceduto il 10,4%, il franco svizzero il 2,3% e la corona svedese il 4,3%. Con la rarefazione del credito del 2007–2008, tuttavia, i flussi di capitali a breve termine hanno subito una netta contrazione, riducendo le operazioni di carry trade e i loro effetti sui tassi di cambio. Di conseguenza, il saldo corrente ha assunto un’importanza maggiore nella determinazione dei tassi di cambio. Le valute dei paesi in disavanzo, come Regno Unito e Stati Uniti, hanno iniziato a deprezzarsi, mentre quelle dei paesi in avanzo, come Giappone e Svizzera, hanno cominciato a deprezzarsi. Tra il gennaio 2007 e il gennaio 2009 il dollaro statunitense e la sterlina hanno perso, rispettivamente, il 5,1% e il 27,3%; lo yen e il franco svizzero, invece, hanno guadagnato il 36,2% e il 10,0%. Shock esterni Ipotizziamo adesso che il resto del mondo entri in recessione (ma che i tassi di interesse internazionali restino invariati). La domanda di esportazioni diminuisce, provocando un deprezzamento del tasso di cambio. L’indebolimento della valuta, a sua volta, stimola la domanda di esportazioni e di beni nazionali sostituti delle importazioni. L’espansione della domanda aggregata contribu- PAROLE CHIAVE Carry trade Pratica speculativa che consiste nel contrarre un prestito a tassi di interesse bassi per acquistare attività che fruttano un interesse elevato. Nei mercati dei cambi, il carry trade consiste nel contrarre un prestito nella valuta di un paese in cui vigono tassi di interesse bassi e convertire l’importo nella valuta di un paese con tassi di interesse più elevati. 58 Parte G – L’economia mondiale BOX 24.3 Analisi di casi e applicazioni Il prezzo di un Big Mac, ovvero la guida dell’Economist ai tassi a parità dei poteri di acquisto Almeno una volta all’anno l’Economist pubblica i tassi di cambio di diverse valute basati sullo “standard dell’hamburger”, calcolati secondo un approccio semiserio volto a stabilire se venga rispettata la parità dei poteri di acquisto. Il criterio utilizzato è il prezzo di vendita di un Big Mac, il noto panino con hamburger di MacDonald’s, in diversi paesi. Secondo questa versione semplificata della teoria della parità dei poteri di acquisto, i tassi di cambio dovrebbero variare in modo tale che un Big Mac abbia ovunque lo stesso prezzo in dollari. Se consideriamo il Big Mac rappresentativo della totalità dei beni e dei servizi prodotti da un paese, secondo la relazione dell’Economist del luglio 2011 lo yuan cinese era sottovalutato del 44%, poiché il panino in questione era venduto a $4,07 negli Stati Uniti ma a un prezzo equivalente a soli $2,27 in Cina. Come si può osservare dalla tabella, lo yuan non era la sola valuta asiatica a essere sottovalutata secondo lo standard del Big Mac. Anche il baht tailandese e il ringgit malaysiano, per esempio, apparivano significativamente sottovalutati. In Thailandia un Big Mac costava 70 baht, in Malaysia RM7,20. Poiché al tempo le due valute quotavano, rispettivamente, a 29,8 baht e a RM2,97 per un dollaro, il prezzo di un Big Mac in Malaysia e in Thailandia era equivalente a $2,42 e $2,35. Di conseguenza, in termini di parità dei poteri di acquisto del Big Mac, il baht tailandese era sottovalutato del 42% e il ringgit malaysiano del 40%. In India, il prodotto più simile al Bic Mac è il Maharajah Mac, un hamburger a base di pollo anziché di manzo. Poiché la carne rappresenta meno del 10% del costo di un hamburger, si può utilizzare con ragionevole approssimazione la versione indiana del più noto panino statunitense. Con un prezzo di $1,89 al tasso di cambio vigente al tempo, secondo lo standard del Big Mac la rupia indiana era sottovalutata del 53%, più di ogni altra valuta compresa nel campione. Mentre l’Asia risulta spesso la regione dove si trovano gli hamburger più convenienti, in Europa i Big Mac sono tendenzialmente più costosi. Per esempio, nel luglio del 2011 si stimava che la corona norvegese fosse sopravvalutata del 104%. Al tasso di cambio vigente di 5,41 corone norvegesi per un dollaro, un Big Mac in Norvegia costava l’equivalente di $8,31. Un Big Mac avrebbe avuto lo stesso costo nei due paesi se il tasso di cambio si fosse attestato a $1 = kr11,1. Nel Regno Unito, invece, nel luglio del 2011 un Big Mac costava in media £2,39. Al tasso di cambio di £1 = $1,63 vigente al tempo, il prezzo del Big Mac ammontava dunque a $3,89, appena il 4% in meno rispetto agli Stati Uniti: in altre parole, la sterlina era sottovalutata solo del 4%. Per assicurare la parità dei poteri di acquisto, il tasso di cambio avrebbe dovuto attestarsi a £1 = $1,70 (tra $1,70 e $1,63 intercorre una differenza del 4%). Tre anni prima, il Big Mac report aveva stimato che la sterlina era sopravvalutata del 28%. In generale, le valute dei paesi più ricchi appaiono sopravvalutate e quelle delle nazioni più povere (eccezion fatta per Brasile e Argentina) sottovalutate. La spiegazione sta nella discrepanza tra i costi locali, quali affitti e salari, che sono tendenzialmente più elevati nei paesi ricchi. Secondo David Lo standard dell’hamburger. Paese India Hong Kong Cina Thailandia Malaysia Taiwan Indonesia Russia Messico Filippine Sud Africa Polonia Corea del Sud Singapore Turchia Regno unito Ungheria Stati Unitia Giappone Argentina Area dell’eurob Australia Canada Brasile Svezia Svizzera Norvegia Nell’area dell’euro, nel luglio del 2011, un Big Mac costava in media €3,44. Con un tasso di cambio di €1 = $1,43, il prezzo medio di un Big Mac nell’eurozona ammontava a $4,93, a indicare che l’euro risultava sopravvalutato del 21%.1 a 1 The Economist, 28 luglio 2011. b Prezzo in dollari del Big Mac al tasso di cambio corrente 1,89 1,94 2,27 2,35 2,42 2,60 2,64 2,70 2,74 2,78 2,87 3,09 3,50 3,65 3,77 3,89 4,04 4,07 4,08 4,84 4,93 4,94 5,00 6,16 7,64 8,06 8,31 Sottovalutazione (–) o sopravvalutazione (+) rispetto al dollaro –53 –52 –44 –44 –40 –36 –35 –34 –33 –32 –29 –24 –14 –10 –7 –4 –1 0 0 19 21 22 23 52 88 98 104 Media di New York, Chicago, San Francisco e Atlanta. Media ponderata degli Stati membri. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 59 [...] ci si aspetterebbe che i prezzi medi siano più bassi nei paesi poveri che in quelli ricchi, perché i costi del lavoro sono inferiori. Questo è il principio di fondo dell’“effetto BalassaSamuelson”. I paesi ricchi vantano una maggiore produttività e dunque salari più alti nel settore dei prodotti oggetto di scambio rispetto alle nazioni più povere. Poiché le imprese competono per la manodopera, i salari vengono spinti al rialzo anche nei comparti dei beni e dei servizi esclusi dagli scambi, dove il vantaggio di produttività dei paesi ricchi è minore.2 1 “Prism into the PPP Puzzles: The Micro-foundations of Big Mac Real Exchange Rates”, ottobre 2004. Disponibile all’indirizzo www2.owen.vanderbilt.edu/david.parsley/ publications.htm. 2 The Economist, 28 luglio 2011. isce ancora una volta ad attenuare l’effetto negativo della recessione mondiale. I tassi di cambio fluttuanti, dunque, contribuiscono a isolare l’economia nazionale dal ciclo economico mondiale. La traiettoria verso l’equilibrio di lungo periodo Se si verifica un singolo shock e l’economia è inizialmente caratterizzata da un equilibrio interno e da uno esterno in senso stretto (cioè il conto corrente è in pareggio), presto o tardi i due equilibri vengono ripristinati. In particolare, il conto corrente viene riportato in pareggio da una variazione del tasso di cambio, che ristabilisce la parità dei poteri di acquisto. Questa dinamica è illustrata nella Figura 24.7. Ipotizziamo che il paese registri lo stesso tasso di inflazione a lungo termine dei suoi partner commerciali, e quindi che il tasso di cambio nominale segua lo stesso andamento di quello reale. Immaginiamo anche che non vi siano cambiamenti di lungo periodo tali da provocare un apprezzamento o un deprezzamento e che, di conseguenza, il tasso di cambio di equilibrio di lungo termine resti costante nel tempo, come rappresentato dalla retta orizzontale in corrispondenza di erL. Supponiamo ora che al tempo t1 si verifichi un’espansione della domanda aggregata e dunque un aumento dei tassi di interesse. Al crescere della domanda di importazioni, il conto corrente va in disavanzo. L’in- Inoltre, i tassi di cambio posso differire dai rispettivi valori a parità dei poteri di acquisto a causa dei fattori che influenzano il conto finanziario della bilancia dei pagamenti, quali i differenziali effettivi e attesi dei tassi di interesse, le prospettive di investimento e la speculazione sull’andamento del tasso di cambio. Un esempio viene dal Brasile. Il Big Mac report del luglio 2010 osservava: Il real brasiliano è una delle poche valute dei mercati emergenti che quota nettamente al di sopra del benchmark del Big Mac. Con i suoi tassi di interesse elevati – il tasso ufficiale si attesta attualmente al 10,75% – il Brasile ha attirato notevole attenzione dagli investitori alla ricerca di ottimi rendimenti. Lo “standard dell’hamburger” suggerisce che il real sia sopravvalutato del 31,4%.3 Pertanto, nonostante i suoi limiti, l’indice del Big Mac fornisce qualche indicazione utile sul fatto che una valuta sia sopravvalutata o sottovalutata rispetto al livello di equilibrio di lungo periodo. 3 The Economist, 22 luglio 2010. cremento dei tassi di interesse, tuttavia, provoca un aumento dei flussi finanziari in entrata e un apprezzamento immediato del tasso di cambio a er1. Successivamente, però, il tasso di cambio diminuisce gradualmente, riportandosi al livello di lungo periodo, poiché gli alti tassi di interesse raffreddano la domanda aggregata e quindi tornano a diminuire. Il livello di er1 deve essere tale da contemperare il guadagno derivante dall’aumento dei tassi di interesse con le aspettative di un nuovo deprezzamento del tasso di cambio, che presto o tardi tornerà al livello di equilibrio erL. Per esempio, se i tassi di interesse aumentano dell’1%, il tasso di cambio deve apprezzarsi a un livello Figura 24.7 La traiettoria del tasso di cambio verso un equilibrio di lungo periodo dopo uno shock al tempo t1. Tasso di cambio nominale Parsley della Vanderbilt University e Shang-Jin Wei del Fondo monetario internazionale, i fattori di produzione esclusi dagli scambi internazionali, come il lavoro, gli immobili in locazione e l’elettricità, rappresentano tra il 55% e il 64% del prezzo di un Big Mac.1 Dati i salari e i canoni di locazione più contenuti, er1 Traiettoria del tasso di cambio erL O t1 t2 Tempo 60 Parte G – L’economia mondiale BOX 24.4 Analisi di casi e applicazioni L’andamento altalenante del tasso di cambio euro/dollaro Alti e bassi nel mercato valutario Vi sono periodi durante i quali i mercati valutari internazionali presentano un andamento relativamente tranquillo, con variazioni modeste dei tassi di cambio. Ma con la loro capacità di trasferire molto rapidamente ingenti somme di denaro da una parte all’altra del mondo, convertendole da una valuta a un’altra, gli speculatori possono scatenare improvvisamente una forte turbolenza in questo mondo relativamente tranquillo, arrecando notevoli danni alle imprese. In questo box esaminiamo le oscillazioni più pronunciate registrate dall’euro rispetto al dollaro fin dall’introduzione della moneta unica nel 1999. Prima il ribasso... L’euro fu introdotto il 1° gennaio 1999 a un tasso di cambio di €1 = $1,16, ma già nell’ottobre del 2000 la valuta europea era scesa $0,85. La causa principale di questo deprezzamento del 27% fu il crescente timore di un aumento delle pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti, che avrebbe indotto la Federal Reserve Bank (la banca centrale statunitense) a innalzare i tassi di interesse. Al contempo, l’economia dell’area dell’euro cresceva piuttosto lentamente e l’inflazione era nettamente inferiore al tetto del 2% fissato dalla BCE, che era dunque chiamata a ridurre i tassi di interesse. Gli speculatori avevano visto giusto. Come mostra il diagramma, i tassi di interesse statunitensi aumentarono e quelli della BCE inizialmente diminuirono, e, quando infine tornarono ad aumentare (nell’ottobre del 1999), il differenziale tra i tassi dei due paesi presto si ampliò nuovamente. Oltre alle differenze tra i tassi di interesse, la mancanza di fiducia nella ripresa dell’economia dell’eurozona e il persistente ottimismo sull’andamento dell’economia statunitense incoraggiarono un afflusso di investimenti verso gli Stati Uniti. Questo flusso di capitali (e la carenza di flussi verso l’area dell’euro) spinsero ulteriormente al rialzo il dollaro rispetto all’euro. La debolezza della moneta europea provocò anche il rafforzamento della sterlina rispetto all’euro, che causò non poche difficoltà alle imprese del Regno Unito che esportavano verso i paesi dell’area dell’euro e anche a quelle in concorrenza con le importazioni provenienti dall’eurozona (che erano diventate meno care in virtù del deprezzamento dell’euro). Nell’ottobre del 2000, quando l’euro quotava a circa $0,85, la BCE, la Federal Reserve, la Banca d’Inghilterra e la Banca del Giappone attuarono un intervento congiunto nel mercato dei cambi, acquistando euro. Questa operazione frenò la caduta e contribuì a ripristinare la fiducia nella valuta europea. ... poi il rialzo Nel 2010 il quadro cambiò completamente. Con l’economia statunitense in rapido rallentamento e i timori di una recessione imminente, la Federal Reserve ridusse i tassi di interesse ben 11 volte durante l’anno, portandoli dal 6,5% all’inizio del 2001 all’1,75 (vedi grafico). Anche la BCE tagliò i tassi di interesse ma in misura relativamente modesta, riducendoli dal 4,75 al 3,25% durante il 2010. Siccome i tassi di interesse dell’area dell’euro erano nettamente superiori a quelli statunitensi, la valuta europea iniziò ad apprezzarsi. Come se non bastasse, gli investitori esteri erano riluttanti a investire nell’economia statunitense, a causa dell’ingente disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti e di un disavanzo di bilancio prossimo al 4% del PIL. Anzi, si può affermare che gli investitori iniziarono a ritirarsi dagli Stati Uniti. Secondo una stima, durante il 2002 i soli investitori europei vendettero attività statunitensi per un controvalore di 70 miliardi di dollari. Il risultato fu un pronunciato deprezzamento del dollaro e un marcato apprezzamento dell’euro, tanto che nel dicembre 2004 il tasso di cambio era salito a €1 = $1,36, in rialzo del 60% rispetto al giugno del 2001. Nel 2004–2005, poiché l’economia statunitense aveva ripreso a crescere in modo sostenuto, la Fed innalzò i tassi di interesse a più riprese, portandoli dall’1% ai primi del 2004 al 5,25% nel giugno del 2006. La BCE, invece, mantenne i tassi di interesse fissi al 2% fino all’inizio del 2006. Di conseguenza, nel 2005 l’euro perse terreno rispetto al dollaro, ma poi tornò a rafforzarsi quando la crescita statunitense cominciò a rallentare e quella dell’eurozona ad accelerare, e molti iniziarono ad attendersi una riduzione del differenziale tra i tassi di interesse degli Stati Uniti e dell’area dell’euro. Nel 2007–2008, i timori per la rarefazione del credito negli Stati Uniti indussero la Fed a ridurre i tassi di interesse per scongiurare una recessione. Nell’agosto del 2007 il tasso sui fondi federali negli Stati Uniti era pari al 5,25%; da quel momento venne ridotto a più riprese, fino ad attestarsi tra lo 0 e lo 0,25% nel dicembre del 2008. La BCE, invece, mantenne il tasso di interesse dell’area dell’euro al 4% durante la prima parte di questo periodo, arrivando persino a innalzarlo temporaneamente al 4,25% a seguito di un brusco rincaro delle materie prime. Di conseguenza, nell’eurozona si verificò un afflusso di capitali a breve termine che causò un nuovo apprezzamento dell’euro, da $1,37 a metà del 2007 a $1,58 a metà del 2008. ... e poi un nuovo ribasso La valuta europea iniziò finalmente deprezzarsi nel settembre 2008, quando l’area dell’euro si trovava sull’orlo della recessione e molti prevedevano che la BCE avrebbe ridotto Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 61 i tassi di interesse. La tendenza al ribasso continuò anche quando la Banca centrale europea procedette ad abbassare i tassi. Tuttavia, dal momento che la politica monetaria nell’eurozona restava più restrittiva di quella statunitense, l’euro tornò ad apprezzarsi, per indebolirsi ancora una volta alla fine del 2009 e nel 2010, allorché la crescita statunitense accelerò e gli speculatori iniziarono ad attendersi un inasprimento monetario da parte della Fed. Il 2010 fu contrassegnato dall’emergere di timori per i livelli dei disavanzi di bilancio e del debito pubblico in diversi paesi dell’eurozona. Al crescere delle apprensioni per il rischio di insolvenza, l’euro cominciò a deprezzarsi poiché gli investitori divennero sempre più riluttanti a detenere la valuta europea. Nel maggio di quell’anno la Grecia ottenne un prestito da 120 miliardi di euro su tre anni da parte del Fondo monetario internazionale e dei paesi dell’eurozona. Alla fine di maggio, il valore dell’euro era sceso a $1,22 a fronte di un tasso di cambio di €1 = $1,44 registrato all’inizio dell’anno, subendo dunque un deprezzamento del 15%. L’andamento altalenante era destinato a continuare. Durante la metà del 2010 l’euro si rafforzò ancora, salendo a $1,39 a fine ottobre. L’apprezzamento fu dovuto in parte all’accordo sul futuro meccanismo di finanziamento raggiunto dagli stati membri dell’Unione europea per aiutare i paesi dell’eurozona che si trovassero in difficoltà economiche. Il meccanismo di finanziamento sarebbe stato integrato da prestiti dell’FMI. Alla fine di novembre, l’Irlanda aveva pattuito un pacchetto di salvataggio da 100 miliardi di euro con l’UE e l’FMI. La fiducia degli investitori fu nuovamente scossa e l’euro chiuse il mese di novembre in calo del 6% rispetto al dollaro. L’esperienza dell’euro mostra chiaramente che la volatilità dei tassi di interesse e i differenziali di interesse tra gli Stati Uniti e l’eurozona sono stati sistematicamente un importante fattore determinante della volatilità del tasso di cambio euro/dollaro, a cui però hanno contribuito di recente anche i timori per i livelli dei disavanzi di bilancio e del debito pubblico. Fluttuazioni del tasso di cambio euro/dollaro. 1,60 USD/ EUR Tasso di interesse della Fed 1,50 6 1,40 USD/EUR 1,30 4 1,20 3 1,10 2 Tasso di interesse della BCE 1,00 1 0,90 0,80 1999 0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 tale da indurre gli individui ad attendersi che diminuirà dell’1% all’anno. Solo così si arresteranno i flussi finanziari in entrata nel paese. Speculazione Le economie del mondo reale sono continuamente colpite da shock. Inoltre, sussiste una notevole incertezza sul futuro andamento dei tassi di cambio. IC 10 p61 Tasso di interesse 5 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Come se non bastasse, a complicare la situazione contribuiscono le attività degli speculatori. Non appena si prevede una variazione del tasso di cambio, questi operatori acquistano o vendono valuta. Supponiamo, per esempio, che l’inflazione aumenti fino a superare i tassi internazionali, ma che i tassi di interesse restino invariati. Questo provoca un calo della domanda di importazioni e dunque della domanda di valuta nazionale (ipotizzando un’elasticità della 62 Parte G – L’economia mondiale domanda al prezzo maggiore di 1), nonché un aumento della domanda di importazioni e dell’offerta di valuta nazionale. Questo processo è illustrato nelle Figure 24.8 e 24.9. Il tasso di cambio si deprezza da er1 a er2; gli speculatori, notando l’indebolimento della valuta, possono reagire in due modi diversi, mettendo in atto una speculazione stabilizzante o destabilizzante. Speculazione stabilizzante IC 10 La speculazione ha effetti stabilizzanti quando gli p61 speculatori ritengono che un’eventuale variazione del tasso di cambio sarà presto compensata da una di segno opposto. Nel nostro esempio, gli speculatori potrebbero attendersi che la banca centrale innalzi i tassi di interesse o prenda altri provvedimenti per ridurre l’inflazione; di conseguenza, in previsione di un futuro apprezzamento del tasso di cambio, incrementeranno gli acquisti e ridurranno le vendite della valuta che potrebbe rafforzarsi. Ma queste operazioni speculative provocano proprio l’apprezzamento che gli speculatori avevano previsto. Esaminiamo la Figura 24.8. L’inflazione provoca uno spostamento delle curve di domanda e offerta, rispettivamente, da D1 a D2 e da O1 a O2, e dunque un deprezzamento del tasso di cambio da er1 a er2. Successivamente, la speculazione stabilizzante riporta le curve verso le posizioni originarie, rispettivamente in D3 e O3, e il tasso di cambio aumenta nuovamente a er3. In questo caso le azioni degli speculatori impediscono dunque fluttuazioni troppo pronunciate dei tassi di cambio. In generale, la speculazione ha effetti stabilizzanti ogniqualvolta gli speculatori ritengono che il tasso di cambio abbia reagito in misura eccessiva alla situazione economica corrente. Figura 24.8 Speculazione stabilizzante. Speculazione destabilizzante IC 32 La speculazione ha un impatto destabilizzante p338 quando gli speculatori ritengono che le variazioni del tasso di cambio proseguiranno nella stessa direzione. Nel nostro esempio, gli speculatori potrebbero convincersi che l’inflazione non verrà riportata sotto controllo. Prevedendo un continuo deprezzamento del tasso di cambio, iniziano a vendere subito, prima che la valuta si indebolisca ulteriormente. Nella Figura 24.9, queste operazioni speculative provocano un ulteriore spostamento delle curve di domanda e offerta di valuta, verso D3 e O3, e un ulteriore deprezzamento del tasso di cambio a er3. Alla fine, tuttavia, questa speculazione destabilizzante può provocare una iperreazione del tasso di cambio, che scende nettamente al di sotto del livello che garantisce la parità dei poteri di acquisto. A questo punto gli speculatori, prevedendo che il cambio tornerà ad apprezzarsi, iniziano ad acquistare nuovamente valuta, e il tasso di cambio effettivamente aumenta. Ovviamente, i governi preferiscono la speculazione stabilizzante a quella destabilizzante. Quest’ultima può causare gravi fluttuazioni dei tassi di cambio, alimentando un’incertezza dannosa per i commerci. È molto PAROLE CHIAVE Iperreazione del tasso di cambio Fenomeno per cui un aumento (o una diminuzione) del tasso di cambio di equilibrio di lungo periodo provoca un aumento (o una diminuzione) ancora maggiore del tasso di cambio effettivo, prima che questo faccia ritorno al nuovo livello di equilibrio di lungo periodo. Figura 24.9 Speculazione destabilizzante. Gli speculatori ritengono che la variazione del tasso di cambio sia indicativa di una tendenza Gli speculatori ritengono che la variazione del tasso di cambiosia solo temporanea O3 er1 er3 er2 O2 O3 er1 er2 er3 D2 O O1 O2 Tasso di cambio Tasso di cambio O1 Quantità di valuta D3 D1 D3 O Quantità di valuta D2 D1 Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 63 importante, quindi, che i governi creino un clima di fiducia. Gli individui devono credere che le autorità saranno in grado di prevenire l’insorgere di una crisi economica. Conclusione Le azioni degli speculatori contribuiscono a provocare proprio le variazioni dei tassi di cambio che essi avevano previsto: se si attendono un deprezzamento dell’euro rispetto alla sterlina, vendono euro provocando un indebolimento della valuta europea. Da queste operazioni gli speculatori nel complesso traggono un guadagno, a prescindere dal fatto che la speculazione sia stabilizzante o destabilizzante. Vantaggi dei tassi di cambio liberamente fluttuanti I vantaggi e gli svantaggi dei tassi di cambio liberamente fluttuanti sono in larga misura di segno opposto a quelli associati ai tassi di cambio fissi. Correzione automatica. Anziché intervenire nel mercato valutario, il governo lascia che il tasso di cambio si aggiusti liberamente verso l’equilibrio. In questo modo, gli squilibri della bilancia dei pagamenti vengono corretti in maniera automatica e istantanea senza la necessità di specifiche politiche pubbliche, che in un regime dei cambi differente potrebbero essere gestite incorrettamente. CF 4 p38 Nessun problema di liquidità internazionale e di riserve. Poiché la banca centrale non interviene nel mercato dei cambi, non è necessario detenere riserve. Una valuta è automaticamente convertibile in un’altra al tasso di cambio di mercato vigente, in modo da finanziare il commercio internazionale. Isolamento dagli eventi economici esterni. Un paese non è vincolato a un tasso di inflazione internazionale magari eccessivamente elevato e può scegliere liberamente il proprio obiettivo di inflazione. Inoltre, il paese è protetto in qualche misura dalle fluttuazioni e dagli shock economici mondiali, a cui abbiamo accennato all’inizio del paragrafo. Libertà di scegliere le politiche economiche interne. In un regime di cambi fissi, un governo potrebbe essere costretto a deflazionare l’economia pur in presenza di un’elevata disoccupazione. In un regime di cambi fluttuanti, invece, il governo può scegliere il livello di domanda interna che ritiene più opportuno e lasciare che eventuali squilibri della bilancia dei paga- menti siano corretti dalle fluttuazioni del tasso di cambio. Questo è un vantaggio non da poco, soprattutto se l’efficacia della deflazione è smorzata dalla vischiosità al ribasso di prezzi e salari e se i paesi adottano strategie di deflazione competitiva che possono sfociare in una recessione mondiale. Svantaggi dei tassi di cambio liberamente fluttuanti Nonostante questi vantaggi, i tassi di cambio liberamente fluttuanti comportano alcuni gravi problemi. Speculazione. La volatilità di breve periodo può essere attenuata dagli effetti stabilizzanti della speculazione, che risulta così vantaggiosa. Se, per via di una domanda anelastica nel breve periodo, un disavanzo causa un forte deprezzamento, gli speculatori acquistano la valuta nazionale, sapendo che nel lungo periodo il tasso di cambio tornerà ad apprezzarsi. Le loro azioni contribuiscono dunque ad attutire il calo del tasso di cambio nel breve termine. IC 32 Nondimeno, in un mondo caratterizzato da incerp338 tezza, in cui esistono poche restrizioni alla speculazione valutaria, le sorti e le politiche dei governi possono cambiare rapidamente ed enormi volumi di depositi a breve termine si muovono liberamente da un paese all’altro, la speculazione può avere un impatto fortemente destabilizzante nel breve periodo, provocando una marcata iperreazione dei tassi di cambio. La persistenza delle fluttuazioni valutarie nell’arco di diversi anni tende a incoraggiare la crescita di posizioni valutarie speculative, che possono provocare a loro volta oscillazioni ancora più marcate dei tassi di cambio. IC 10 p61 Incertezza per gli operatori commerciali e gli speculatori. L’incertezza causata dalle fluttuazioni valutarie può scoraggiare i commerci e gli investimenti internazionali. In una certa misura, il problema può essere risolto facendo ricorso al mercato a termine dei cambi. In questo caso gli operatori commerciali pattuiscono oggi con una banca un tasso di cambio da applicarsi a una data futura (poniamo, tra sei mesi). In tal modo, le imprese possono pianificare l’acquisto futuro IC 11 p66 PAROLE CHIAVE Mercato a termine dei cambi Mercato nel quale si stipulano contratti per la compravendita di valuta a una data futura e a un prezzo prestabilito alla data di negoziazione. 64 Parte G – L’economia mondiale BOX 24.5 Esplorare l’economia L’efficacia delle politiche fiscali e monetarie in un regime di cambi fluttuanti In un regime di cambi fluttuanti la politica monetaria è efficace mentre la politica fiscale è più debole (l’esatto contrario di quanto accade in un sistema di cambi fissi). La politica monetaria Supponiamo che l’economia sia in recessione e che la banca centrale, nel desiderio di espandere la domanda aggregata, innalzi i tassi di interesse. Questo provvedimento produce tre effetti, ciascuno dei quali contribuisce all’efficacia della politica monetaria. 1. La politica monetaria espansiva accresce direttamente la domanda aggregata. La portata di questo effetto dipende dall’entità della variazione dei tassi di interesse e dall’elasticità della domanda aggregata a fronte dell’aumento dei tassi. 2. Il tasso di cambio si deprezza. L’espansione della domanda aggregata provoca un aumento delle importazioni e (attraverso l’incremento dei prezzi) un calo delle esportazioni. Di conseguenza, nonché a seguito della riduzione dei tassi di interesse, si registra una diminuzione della domanda e un aumento dell’offerta di valuta nazionale nel mercato dei cambi. Il tasso di cambio pertanto si deprezza. L’indebolimento della valuta favorisce l’ulteriore espansione della domanda aggregata. La riduzione del tasso di cambio rende le esportazioni ancora meno costose e dunque ne alimenta la domanda (un’immissione). Le importazioni subiscono un altro rincaro e quindi la loro domanda diminuisce (un ritiro). Si registra dunque un ulteriore incremento multiplo del reddito nazionale. 3. La speculazione può causare inizialmente un’iperreazione del tasso di cambio. Il calo dei tassi di interesse provoca deflussi finanziari speculativi in previsione del deprezzamento. Pertanto, il tasso di cambio scende di di beni di importazione o la vendita futura di prodotti da esportazione a un tasso di cambio noto. Le banche, ovviamente, richiedono una commissione per questo servizio, perché assumono su di sé il rischio di una variazione sfavorevole del tasso di cambio. Queste operazioni, tuttavia, non sono risolutive per chi effettua investimenti a lungo termine, prendendo decisioni sulla base di flussi previsti di costi e ricavi su un orizzonte di molti anni. La possibilità di un apprezzamento del tasso di cambio potrebbe persino scoraggiare le imprese dall’investire all’estero. sotto al livello di equilibrio, con un’iperreazione che causa un ulteriore aumento della domanda aggregata. Ma questo è solo un effetto di breve periodo, poiché gli speculatori smettono di vendere la valuta non appena il tasso di cambio raggiunge un livello talmente basso da generare aspettative di un apprezzamento (che lo riporti in linea con la parità dei poteri di acquisto) abbastanza rapido da controbilanciare i tassi di interesse attualmente ottenuti dagli speculatori stessi. Quanto maggiore è la mobilità dei capitali internazionali e quanto migliori sono le informazioni di cui gli speculatori dispongono, tanto più corto è il breve periodo. La politica fiscale In un regime di cambi fluttuanti la politica fiscale è relativamente inefficace. Ipotizziamo ancora una volta che l’obiettivo sia espandere la domanda aggregata per contrastare una recessione; il governo dunque riduce le imposte e/o aumenta la spesa pubblica. L’espansione della domanda aggregata stimola la spesa per importazioni e (attraverso l’aumento dei prezzi) raffredda la domanda di esportazioni. Questo effetto sul conto corrente della bilancia dei pagamenti spinge al ribasso il tasso di cambio. All’aumentare della domanda aggregata, tuttavia, si registra un’espansione della domanda di moneta a scopi transazionali e dunque un aumento dei tassi di interesse, che attira un afflusso di capitali nel paese. Si genera così una spinta al rialzo sul tasso di cambio, che verosimilmente annulla la pressione al ribasso derivante dal disavanzo del conto corrente. La valuta nazionale pertanto si apprezza, alimentando la domanda di importazioni e disincentivando le esportazioni. Si produce così una nuova contrazione della domanda aggregata, che va ad attenuare l’efficacia dell’espansione fiscale. Scarsa disciplina economica a livello nazionale. I governi possono perseguire politiche inflazionistiche irresponsabili. Analogamente, imprese e sindacati possono spingere al rialzo prezzi e salari, senza lo stesso timore di perdere quote di mercato all’estero o che il governo introduca politiche deflazionistiche. Il deprezzamento risultante da questa inflazione alimenta a sua volta la spirale inflazionistica, innalzando il prezzo delle importazioni. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 65 Conclusione Né i tassi di cambio fissi né quelli liberamente fluttuanti sono esenti da problemi. Per questa ragione, i governi cercano spesso un compromesso tra i due, nella speranza che un sistema intermedio possa arrecare i benefici di entrambi, evitando al contempo la maggior parte degli svantaggi. Una di queste soluzioni di compromesso – la parità mobile – venne adottata dopo la Seconda guerra mondiale. Un altro il sistema intermedio – quello della fluttuazione manovrata – fu introdotto negli anni Settanta per sostituire la parità variabile ed è in vigore ancora oggi in gran parte del mondo. Esaminiamo questi due sistemi nel prossimo paragrafo. 24.4 I sistemi dei tassi di cambio nella realtà Il sistema delle parità mobili: 1945–1973 Dopo il crollo del sistema monetario aureo – un regime di cambi fissi – nel 1931 (vedi Paragrafo 15.2), gli enormi squilibri iniziali provocarono forti oscillazioni dei tassi di cambio. Molti paesi ricorsero allora a misure protezionistiche, considerate le notevoli incertezze associate al libero scambio in un regime di cambi fluttuanti. Il sistema di Bretton Woods Nel 1944 le potenze alleate si riunirono a Bretton Woods, negli Stati Uniti, per elaborare un nuovo sistema dei tassi di cambio in grado di scongiurare il caos degli anni Trenta e promuovere il libero scambio, evitando al contempo la rigidità del sistema monetario aureo. La soluzione di compromesso a cui pervennero era un sistema di parità mobili che rimase in vigore fino al 1971. Nel sistema di Bretton Woods il valore del dollaro era stabilmente ancorato a quello dell’oro (a un tasso di cambio di $35 all’oncia). Gli Stati Uniti garantivano la libera conversione dei dollari in oro, nella speranza che questo avrebbe incoraggiato i paesi a detenere la maggior parte delle loro riserve in dollari. Dopo tutto, se la valuta statunitense era liberamente convertibile in oro, era del tutto equivalente a quest’ultimo. Tutti gli altri paesi ancoravano il proprio tasso di cambio al dollaro. Per impedire fluttuazioni temporanee dei tassi di cambio, le banche centrali intervenivano nei mercati valutari attingendo alle proprie riserve. In tal modo, potevano mantenere i tassi di cambio stabilizzati entro una banda di fluttuazione del ±1%. Se lo squilibrio si aggravava, i governi erano tenuti a perseguire politiche di reflazione o di deflazione. Al contempo, nel caso di un disavanzo, una banca centrale poteva ritrovarsi con riserve insufficienti per sostenere il tasso di cambio. Il Fondo monetario internazionale (FMI) venne istituito con il mandato di fornire tale liquidità. Tutti i paesi erano obbligati a depositare una quota di fondi presso l’FMI, a seconda dei volumi dei loro scambi internazionali; l’FMI quindi erogava prestiti ai paesi con un disavanzo della bilancia dei pagamenti, per metterli in condizione di difendere il valore del cambio. Quanto più un paese era costretto a indebitarsi presso l’FMI, tanto più quest’ultimo insisteva che il governo adottasse politiche deflazionistiche atte a correggere lo squilibrio. Nel caso di un disavanzo molto pronunciato, un paese poteva attuare una svalutazione, rivedendo al ribasso il proprio tasso di cambio (in consultazione con l’FMI). I fautori di un sistema di parità mobile sostengono che gli accordi di Bretton Woods diedero un apporto significativo al prolungato boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta. • Poiché i tassi restavano fissi per un lungo periodo di tempo – anche per molti anni – l’incertezza era notevolmente ridotta e i commerci venivano incoraggiati. • I tassi fissi e il ruolo di vigilanza dell’FMI impedivano ai governi di perseguire politiche irresponsabili e favorivano un’armonizzazione internazionale delle politiche economiche, mantenendo l’inflazione sotto controllo. • In presenza di un disavanzo pronunciato e persistente, un paese poteva svalutare la propria valuta, evitando di far piombare la propria economia in recessione o di dovere adottare misure protezionistiche. L’FMI garantiva che il processo di svalutazione si svolgesse in maniera ordinata. Tuttavia, il sistema presentava due gravi debolezze, che divennero sempre più evidenti negli anni Sessanta, provocando infine il crollo del sistema stesso. PAROLE CHIAVE Sistema di Bretton Woods Sistema di parità mobili nel quale le valute erano ancorate al dollaro statunitense. Gli Stati Uniti mantenevano la convertibilità del dollaro in oro al tasso di $35 all’oncia. 66 Parte G – L’economia mondiale Problemi nella correzione degli squilibri della bilancia dei pagamenti Per evitare che la politica interna fosse determinata dall’andamento della bilancia dei pagamenti e che la propria economia entrasse in recessione, i paesi con un disavanzo strutturale potevano effettuare una svalutazione. Questo processo comportava però alcuni problemi. • Capire se un disavanzo avesse natura strutturale. I governi si mostravano spesso troppo ottimisti sul futuro andamento della bilancia dei pagamenti. • Una svalutazione poteva arrecare gravi danni alle imprese. Una svalutazione altera in maniera improvvisa e consistente i costi e i ricavi di importatori ed esportatori. Se ritenuta imminente, una svalutazione può essere causa di grande incertezza e scoraggiare le imprese dal prendere nuovi impegni commerciali. • Inizialmente una svalutazione può aggravare il disavanzo del conto corrente, una dinamica nota come effetto della curva a J. Le curve di domanda di importazioni ed esportazioni potrebbero essere anelastiche al prezzo nel breve periodo. Subito dopo la svalutazione, le esportazioni potrebbero registrare un incremento moderato, mentre potrebbe aumentare l’esborso per i beni di importazione che non hanno sostituti immediati. Di conseguenza, il saldo commerciale potrebbe dapprima deteriorarsi, e successivamente iniziare a migliorare. Nella Figura 24.10, la svalutazione ha luogo al tempo t1. Come si può osservare, il tracciato nel diagramma ha la forma di una lettera J. Per queste ragioni, i paesi in disavanzo tendevano a rimandare una svalutazione finché non erano costretti a farlo dal sopraggiungere di una crisi. La riluttanza a svalutare causava poi altri problemi. Politiche di freno e spinta. Per ovviare ai disavanzi, i paesi erano costretti fare maggiore assegnamento sulle politiche di deflazione. Per esempio, ogni volta che la sua economia iniziava a crescere, il Regno Unito si ritrovava con la bilancia dei pagamenti in disavanzo. Questo costringeva il governo a raffreddare nuovamente la domanda attraverso politiche fiscali e/o monetarie restrittive. IC 32 p338 Speculazione. Se i paesi tardavano a svalutare fino a quando il disavanzo non diventava molto elevato, successivamente erano costretti a effettuare una svalutazione molto pronunciata. Ciò offriva agli speculatori una ghiotta opportunità: non vi erano rischi di perdita, ma solo probabilità di enormi guadagni. Figura 24.10 Effetto della curva a J. X–M La svalutazione ha luogo al tempo t1 Avanzo 0 Disavanzo t1 Tempo Ripercussioni negative ad ampio raggio. Il ritardo nella svalutazione e l’accumularsi di pressioni speculative costringevano i governi, quando era il momento, a svalutare notevolmente la valuta, con ripercussioni negative ad ampio raggio. Sarebbe stato sicuramente più facile ridurre i disavanzi ed effettuare i necessari aggiustamenti se i paesi in avanzo fossero stati disposti a rivalutare. Nazioni come il Giappone, però, facevano resistenza a questo genere di manovra. La rivalutazione incontrava l’opposizione degli esportatori (e dei produttori di beni sostituti delle importazioni), la cui competitività sarebbe stata mezza a repentaglio. Inoltre, i paesi in avanzo non erano soggetti alle stesse pressioni che gravano sui quelli in disavanzo. Un carenza di riserve può costringere un paese in disavanzo a effettuare una svalutazione; i paesi in avanzo, invece, possono continuare tranquillamente ad accumulare riserve. Gli Stati Uniti non erano autorizzati a svalutare in caso di disavanzo. L’onere di rivalutare ricadeva invece sugli altri paesi, che non erano disposti a farlo. Di conseguenza, gli Stati Uniti continuavano a registrare disavanzi elevati, che si dimostrarono problematici a causa di un secondo importante fattore: quello della liquidità internazionale. Problemi di liquidità internazionale e crollo del sistema In un sistema di parità mobile, è necessario uno stock sufficiente di valute o di altre attività liquide accettate a PAROLE CHIAVE Effetto della curva a J Effetto che si produce allorché una svalutazione provoca dapprima un deterioramento della bilancia dei pagamenti, quindi un miglioramento. L’andamento della bilancia dei pagamenti nel tempo somiglia dunque a una lettera J. Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 67 livello mondiale. Questa “liquidità internazionale” serve sia a finanziare i commerci che a garantire alle banche centrali riserve sufficienti per sostenere la propria divisa in caso di un disavanzo del flusso di valuta. Nel sistema di Bretton Woods esistevano tre fonti di liquidità principali: l’oro, il dollaro e le quote dell’FMI. Ma queste ultime erano espresse nelle valute esistenti e non costituivano dunque una fonte di liquidità addizionale. Al crescere degli scambi internazionali, gli avanzi e i disavanzi tendevano ad aumentare, e dunque si rendevano necessarie ulteriori riserve. Ma lo stock di oro non cresceva a un ritmo sufficiente, quindi i paesi detenevano quantità sempre maggiori di dollari, i quali, dopo tutto, fruttavano un interesse. La disponibilità a detenere dollari consentiva agli Stati Uniti di mantenere elevati disavanzi della bilancia dei pagamenti; per finanziare tali disavanzi, infatti, il governo statunitense poteva limitarsi a “stampare” nuovi dollari, che altri paesi erano pronti ad accettare come riserve. Negli anni Sessanta gli squilibri della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti si aggravarono progressivamente, in particolare a causa delle ingenti spese belliche sostenute per la guerra del Vietnam. Il massiccio deflusso di dollari dagli USA causò una rapida espansione della liquidità internazionale, alimentando l’inflazione mondiale. Inoltre, la crescita sostenuta delle posizioni in dollari detenute all’estero rendeva le riserve auree statunitensi sempre più inadeguate a garantire la conversione dei dollari in oro. Alcuni paesi, temendo che gli Stati Uniti sarebbero stati costretti a sospendere la convertibilità, decisero di scambiare i propri dollari in oro. Le riserve auree degli Stati Uniti diminuirono, creando ulteriori squilibri e aggravando la crisi. Nonostante i numerosi tentativi di salvataggio, il sistema, che faceva un eccessivo assegnamento sul dollaro, a un certo punto crollò. Nel dicembre 1971 il dollaro venne svalutato dell’8% rispetto all’oro; nel giugno 1972 la sterlina fu lasciata libera di fluttuare, seguita l’anno successivo dalle valute di altri paesi; e, nonostante una seconda svalutazione del dollaro, nel 1973 il sistema venne definitivamente abbandonato. Già a metà di quell’anno l’oro quotava a $120 all’oncia. mondiali. Il nuovo sistema ha permesso di emancipare la politica interna dai vincoli posti dalla bilancia dei pagamenti. Al contempo, è stato detto che la fluttuazione manovrata avrebbe favorito un andamento più regolare dei tassi di cambio, evitando idealmente eccessive fluttuazioni aggravate dalla speculazione. Alcune valute minori restano ancorate (sia pure in un regime di parità mobile) a importanti divise come il dollaro statunitense, ma fluttuano congiuntamente a queste ultime rispetto ad altre valute. Altre divise sono ancorate le une alle altre ma fluttuano insieme rispetto al resto delle valute. L’esempio più illustre di quest’ultimo sistema proviene dalle valute del meccanismo europeo dei tassi di cambio (ERM) del Sistema monetario europeo (SME; vedi Paragrafo 25.2) e oggi appartenenti allo SME2; si tratta principalmente delle divise dei nuovi membri dell’UE, come gli Stati baltici, che sono in attesa di aderire all’area dell’euro. Alcuni paesi consentono alle proprie valute di fluttuare liberamente; la maggior parte delle nazioni, tuttavia, di tanto in tanto prova a stabilizzare il proprio tasso di cambio, come prevede, appunto, un regime di “fluttuazione manovrata”. La banca centrale di un paese che decide di adottare un sistema di fluttuazione manovrata può ricorrere essenzialmente a due metodi per impedire un deprezzamento del cambio: • attingere alle riserve o contrarre un prestito all’estero per acquistare la valuta nazionale nel mercato dei cambi; • aumentare i tassi di interesse per attrarre flussi finanziari a breve termine. Fluttuazione manovrata CF 6 Fin dalla disgregazione del sistema di Bretton p45 Woods all’inizio degli anni Settanta, nel mondo vige un sistema di fluttuazione manovrata. Questo regime permette ai tassi di cambio di adeguarsi alle inevitabili variazioni della domanda e dell’offerta, variazioni che divennero estremamente pronunciate nei primi anni Settanta con il quadruplicarsi del prezzo del petrolio e i rapidi cambiamenti della struttura dei commerci Prevedere il tasso di cambio di equilibrio di lungo periodo Se i tassi di inflazione differiscono da un paese all’altro, è necessaria una modifica del tasso di cambio per mantenere la parità dei poteri di acquisto. Tuttavia, non è corretto ipotizzare che questa sia l’unica causa di una variazione del tasso di cambio di equilibrio di lungo periodo. Per esempio, le crisi petrolifere del 1973–1974 e del 1979–1980 provocarono cambiamenti strutturali e Problemi associati alla fluttuazione manovrata a partire dal 1972 La gestione dei tassi di cambio comporta però alcuni problemi. I governi devono sapere quando intervenire, qual è il livello del tasso di cambio che devono mirare a mantenere e con quanta tenacia continuare a difendere il cambio a fronte di pressioni speculative. 68 Parte G – L’economia mondiale imprevedibili della domanda e dell’offerta di valute. Un analogo effetto sortirono altri fattori, come lo smantellamento delle barriere commerciali all’interno dell’UE, le politiche protezionistiche adottate in diverse parti del mondo, il progresso tecnologico e i cambiamenti dei gusti dei consumatori. Pertanto, per un governo è molto difficile prevedere l’equilibrio di lungo periodo, e dunque in che misura ogni variazione del tasso di cambio sia dovuta a fenomeni di lungo oppure di breve termine. La crescita dei flussi finanziari speculativi IC 10 L’aumento dei prezzi del petrolio voluto dall’Op61 PEC nel 1973–1974 causò ingenti disavanzi della bilancia dei pagamenti ai paesi importatori di petrolio. I membri dell’OPEC, dal canto loro, non potevano spendere i consistenti avanzi per l’acquisto di maggiori importazioni, perché (a) non avevano la capacità di consumare una quantità di beni nettamente superiore e (b) perché i paesi importatori di petrolio non avevano la capacità di soddisfare un enorme incremento della domanda di esportazioni. Pertanto, gli avanzi della bilancia dei pagamenti furono investiti prevalentemente attività finanziarie a breve termine denominate in dollari statunitensi (e, in misura minore, in altre importanti valute). La banche occidentali si trovarono così con un’ingente capacità di erogare prestiti a breve scadenza. Questi fondi potevano essere rapidamente trasferiti da una piazza finanziaria mondiale a un’altra, a seconda del paese che offriva i tassi di interesse e i tassi di cambio più favorevoli. Si creò così una massiccia capacità speculativa, che rese sempre più difficile per le banche centrali controllare i tassi di cambio unicamente attraverso la compravendita di valuta. Nel corso degli anni il volume dei flussi speculativi ha continuato ad aumentare. Oggi nei maggior centri finanziari internazionali transitano circa $4000 miliardi al giorno. Le riserve e l’accesso ai prestiti esteri sono del tutto inadeguati a contrastare le operazioni di vendita speculativa concertate. Pertanto, per gestire i tassi di cambio, le banche centrali devono fare maggiore assegnamento sulla leva dei tassi di interesse. Conflitti con la politica economica interna IC 33 L’utilizzo dei tassi di interesse per sostenere il p340 tasso di cambio è diventato via via più impopolare, poiché molti governi preferiscono agire sui tassi di interesse per mantenere l’inflazione in linea con un livello-obiettivo. A causa di questi problemi, i paesi hanno sempre più optato per un regime di cambi liberamente fluttuanti. La volatilità dei tassi di cambio I tassi di cambio sono diventati estremamente volatili: le valute possono apprezzarsi o deprezzarsi di diversi punti percentuali nell’arco di pochi giorni. Queste variazioni hanno un impatto considerevole sui risultati degli operatori commerciali, trasformando i profitti in perdite e viceversa. Tale volatilità è dovuta a molteplici ragioni. • Obiettivi di inflazione o di crescita monetaria. Le banche centrali potrebbero essere costrette a variare in misura sostanziale i tassi di interesse per rispettare i target prefissati. Questo, sua volta, può causare fluttuazioni dei tassi di cambio. • L’enorme crescita dei mercati finanziari internazionali che ha incoraggiato i movimenti internazionali dei capitali e delle valute. • L’abolizione dei controlli sui tassi di cambio nella maggior parte dei paesi industrializzati. • I progressi della tecnologia informatica. Con il semplice utilizzo di un personal computer, è possibile effettuare in pochi secondi trasferimenti internazionali di capitali e di fondi. • La preferenza per la liquidità. A fronte del pericolo di fluttuazioni valutarie, le imprese preferiscono tenere il proprio capitale finanziario nella forma più liquida possibile, evitando di immobilizzare fondi in attività denominate in una valuta in declino. • Le crescenti attività speculative delle imprese commerciali. Molte grandi società sono dotate di team di operatori finanziari incaricati di gestire le attività liquide, convertendole da una valuta all’altra per trarre vantaggio dall’andamento dei tassi di cambio. • Le crescenti attività speculative delle banche e di altre istituzioni finanziarie. • La crescente convinzione che le voci di corridoio e i comportamenti imitativi influiscano sulla compravendita di valute molto più di una razionale valutazione a lungo termine. Se gli individui credono che la speculazione avrà probabilmente effetti destabilizzanti, le loro azioni faranno avverare questa previsione. Molte imprese commerciali e società finanziarie operanti nei mercati internazionali hanno sviluppato una “mentalità speculativa”. • La sempre maggiore convinzione che i governi siano incapaci di impedire le fluttuazioni valutarie. Al crescere del volume dei “capitali vaganti” rispetto a quello riserve ufficiali, per le banche centrali diventa sempre più difficile stabilizzare le valute con un intervento nel mercato dei cambi. IC 32 p338 Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 69 Per quanto i governi e le imprese, nella maggior parte dei casi, non amino un’eccessiva volatilità dei tassi di cambio, poche persone oggi auspicano un ritorno a un sistema di cambi fissi oppure a un regime come quello di Bretton Woods. Infatti, con l’eccezione degli stati del Golfo, pochissimi paesi continuano ad ancorare le rispettive valute al dollaro statunitense. Persino la Cina, che dal 1997 al 2005 ha mantenuto lo yuan ancorato al dollaro a un tasso di cambio di $1 = ¥8,27, è passata a un regime di fluttuazione manovrata incentrato su una media ponderata di un paniere di valute. Nella primavera del 2011, lo yuan quotava a ¥6,5 sul dollaro, con un apprezzamento del 21% rispetto al 2005. Nonostante la maggior parte dei paesi prediliga i tassi di cambio fluttuanti, sono state avanzate diverse proposte per ridurre la volatilità. Ne esamineremo alcune nel Capitolo 25. I paragrafi in pillole Paragrafo 24.1 1. Potrebbe insorgere un conflitto nel perseguimento simultaneo di obiettivi di politica economica interna ed estera. La natura del conflitto dipende dal regime dei tassi di cambio adottato dal paese. 2. Il tasso di cambio nominale è il rapporto di scambio di una valuta con un’altra. Il tasso di cambio reale tiene conto delle differenze tra i tassi di inflazione dei prezzi delle importazioni e delle esportazioni e dà una misura della competitività delle esportazioni di un paese. 3. In un regime di tassi di cambio fissi, la banca centrale deve intervenire ogni qualvolta il tasso di cambio di equilibrio cessa di coincidere con il tasso fisso. Se il tasso di equilibrio scende sotto il tasso fisso, la banca centrale deve acquistare valuta nazionale nel mercato dei cambi, provocando una contrazione dell’offerta di moneta. Analogamente, la vendita di valuta nazionale volta a impedire un apprezzamento del cambio causa un’espansione dell’offerta di moneta. Il governo può “sterilizzare” tali variazioni dell’offerta di moneta avvalendosi di opportune operazioni di mercato aperto o altri provvedimenti di politica monetaria. La sterilizzazione, tuttavia, impedisce tendenzialmente di correggere lo squilibrio. 4. Se in un regime di cambi fissi un disavanzo (o un avanzo) si dimostra persistente, il governo può tentare di spostare le curve di domanda e di offerta di valuta. Per ovviare a un disavanzo, può adottare politiche monetarie o fiscali restrittive. Queste ultime producono due effetti: una deflazione provoca una diminuzione del reddito nazionale (effetto di reddito) e dunque un calo della domanda di importazioni; inoltre, può causare un rallentamento dell’inflazione e dunque una riallocazione della domanda dai beni di produzione estera ai beni di produzione interna (effetto di sostituzione). 5. Il processo di correzione in un regime di cambi liberamente fluttuanti comporta parimenti un effetto di reddito e un effetto di sostituzione. In presenza di un disavanzo, il tasso di cambio si deprezza; di conseguenza, le importazioni diventano più onerose e le esportazioni meno care, e si innesca un effetto di sostituzione in quanto le importazioni diminuiscono e le importazioni aumentano. 6. L’effetto di reddito, tuttavia, riduce l’efficacia del deprezzamento. L’aumento delle esportazioni e il calo delle importazioni provocano un incremento multiplo del reddito nazionale, che a sua volta spinge nuovamente al rialzo le importazioni in una certa misura. Quanto maggiore è tale effetto di reddito, tanto più pronunciato è il deprezzamento necessario per ripristinare l’equilibrio nel mercato dei cambi. Il processo di correzione risulta ulteriormente ostacolato se un deprezzamento si traduce in un aumento dei prezzi nazionali e dunque in un secondo effetto di sostituzione, questa volta di carattere sfavorevole. 7. Esistono diversi regimi dei tassi di cambio intermedi tra i due estremi dei tassi fissi e dei tassi liberamente fluttuanti. Il tasso di cambio può essere fissato per un periodo di tempo (parità mobile); oppure può essere modificato gradatamente (parità slittante); o, ancora, il governo può intervenire unicamente per attenuare le fluttuazioni del tasso di cambio (fluttuazione manovrata); oppure il tasso di cambio può fluttuare entro una banda, che a sua volta può essere fissa, mobile o slittante. Paragrafo 24.2 *1. Ogni economia viene continuamente colpita da shock macroeconomici. La possibilità di ripristinare un equilibrio interno ed esterno a seguito di uno shock in un regime di cambi fissi dipende dalla flessibilità di prezzi e salari e dal periodo di tempo considerato. *2. Nel breve periodo i prezzi e i salari sono tendenzialmente rigidi. Se la domanda aggregata diminuisce, la contrazione del reddito nazionale riduce la domanda di importazioni, generando un avanzo di conto corrente. Il calo della domanda aggregata raffredda anche la domanda di moneta ed esercita una pressione al ribasso sui tassi di interesse, spingendo il conto finanziario in avanzo. Quest’ultimo effetto può essere molto pronunciato, data l’elevata mobilità dei capitali internazionali. I tassi di interesse sono dunque vincolati dalla necessità di mantenere un pareggio tra i conto finanziario e il conto corrente. 70 Parte G – L’economia mondiale *3. Nel lungo periodo, grazie alla flessibilità di prezzi e salari, il tasso di cambio reale può variare, contribuendo a ripristinare l’equilibrio sia interno sia esterno. 4. Nel lungo periodo, in un regime di cambi fissi, uno squilibrio della bilancia dei pagamenti può essere causato dalle differenze tra i tassi di inflazione e di crescita a livello internazionale, dalle diverse elasticità al reddito della domanda di importazioni ed esportazioni e da cambiamenti strutturali di lungo termine. 5. In un sistema di cambi fissi, la politica fiscale è tendenzialmente molto più efficace della politica monetaria. 6. I tassi di cambio fissi hanno il vantaggio di ridurre l’incertezza per le imprese, incoraggiando così i commerci e gli investimenti internazionali. Inoltre, impediscono ai governi di perseguire politiche macroeconomiche irresponsabili. 7. Secondo gli economisti neoclassici e keynesiani, però, i tassi di cambio fissi presentano notevoli svantaggi. A detta dei neoclassici, i cambi fissi rendono la politica monetaria totalmente inefficace e inoltre entrano in conflitto con il principio del libero mercato. I keynesiani affermano che i tassi fissi possono condurre a notevoli squilibri interni e forse a una recessione persistente; che le strategie di deflazione competitiva possono generare una depressione di portata mondiale; che potrebbero sussistere problemi associati a una liquidità internazionale eccessiva o insufficiente; e che la valuta nazionale potrebbe diventare oggetto di massicci attacchi speculativi, se prevale la convinzione che il tasso di cambio fisso non potrà essere difeso a lungo. Paragrafo 24.3 1. In un sistema di cambi liberamente fluttuanti, la bilancia dei pagamenti viene automaticamente mantenuta in pareggio dalle variazioni del tasso di cambio. In tal modo, i vincoli imposti dalla bilancia dei pagamenti sulla politica interna vengono meno, anche se persistono vincoli esterni di altra natura. 2. Secondo la teoria della parità dei poteri di acquisto, ogni variazione dei prezzi interni si traduce semplicemente in una variazione equivalente del tasso di cambio, che lascia immutata la competitività dei beni di produzione nazionale. Se però uno shock interno causa un aumento o una diminuzione dei tassi di interesse, il conto finanziario registra un avanzo o un disavanzo, alterando il tasso di cambio e facendo venir meno la parità dei poteri di acquisto. Anche il saldo del conto corrente subisce una variazione (della stessa entità e di segno opposto rispetto a quella del conto finanziario). 3. Questo problema può essere acuito dalle operazioni di carry trade, con cui gli investitori contraggono prestiti nei paesi con bassi tassi di interesse (avanzo di conto corrente), depositando l’importo nei paesi dove vigono tassi più elevati (disavanzo di conto corrente). Tali operazioni provocano un apprezzamento del tasso di cambio dei paesi in disavanzo e dunque un ulteriore deterioramento del saldo corrente. 4. Gli shock esterni vengono assorbiti da variazioni dei tassi di cambio che contribuiscono a isolare l’economia interna dalle fluttuazioni economiche internazionali. 5. L’andamento dei tassi di cambio è fortemente influenzato dalla speculazione. Se gli speculatori ritengono che un apprezzamento o deprezzamento sia solo temporaneo, le loro azioni contribuiscono a stabilizzare il cambio. Se invece prevedono che una valuta continuerà a rafforzarsi o a indebolirsi, le loro azioni possono avere un impatto destabilizzante e provocare fluttuazioni ancora più pronunciate del tasso di cambio. 6. I tassi di cambio liberamente fluttuanti presentano diversi vantaggi: correggono automaticamente eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti; eliminano la necessità di detenere riserve; e offrono ai governi maggiore indipendenza nel perseguire le politiche interne prescelte. 7. D’altro canto, un tasso di cambio liberamente fluttuante può essere molto volatile, tanto più se interviene una speculazione di tipo destabilizzante. L’incertezza può scoraggiare le imprese dall’intraprendere commerci e investimenti all’estero. Inoltre, un tasso di cambio fluttuante, eliminando il vincolo posto dalla bilancia dei pagamenti sulla politica interna, può incoraggiare i governi a perseguire politiche irresponsabili per il proprio vantaggio immediato. Paragrafo 24.4 1. Nel sistema di Bretton Woods (1945-1971) le valute erano ancorate al dollaro statunitense. I tassi di cambio venivano sostenuti attingendo alle riserve valutarie delle banche centrali e, se necessario, mediante prestiti erogati dall’FMI. In presenza di uno squilibrio moderato, i paesi erano tenuti ad adottare politiche deflazionistiche o reflazionistiche; se lo squilibrio si aggravava, erano chiamati a effettuare una svalutazione o una rivalutazione. 2. A detta di molti, il sistema assicurava alle imprese un contesto di maggiore certezza e scoraggiava i governi dall’attuare politiche fiscali e monetarie irresponsabili, evitando al contempo il problema di una recessione se il disavanzo della bilancia dei pagamenti diventava pronunciato. 3. Tuttavia, talvolta era difficile stabilire se un deficit fosse talmente grave da giustificare una svalutazione; la svalutazione stessa poteva penalizzare duramente le imprese; infine, in taluni casi una svalutazione poteva provocare inizialmente un aumento del disavanzo (effetto della curva a J). Un paese riluttante a svalutare era costretto a ricorrere a politiche deflazionistiche e, potenzialmente, ad accettare una recessione per ovviare a un disavanzo della bilancia dei pagamenti. 4. I problemi dei paesi in disavanzo erano acuiti dalla scarsa propensione a rivalutare o a reflazionare l’economia mostrata dai paesi con la bilancia dei pagamenti in avanzo. 5. Nel sistema di Bretton Woods il dollaro statunitense era la principale fonte di liquidità internazionale. Gli Stati Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 71 Uniti, stampando dollari per finanziare i disavanzi della bilancia dei pagamenti, immettevano nel sistema una liquidità eccessiva. Così facendo alimentarono l’inflazione a livello mondiale e una scarsa fiducia nell’amministrazione statunitense, provocando infine il crollo del sistema. 6. A partire dai primi anni Settanta, nel mondo vige un regime di fluttuazione manovrata. Il grado di intervento varia nel tempo e da paese a paese. 7. In teoria, la fluttuazione manovrata può assicurare il necessario grado di flessibilità dei tassi di cambio in un mondo in cui gli spostamenti delle curve di domanda e offerta di valuta sono diventati molto più ampi. Inoltre, può emancipare la politica economica interna dalla necessità di correggere gli squilibri della bilancia dei pagamenti. Al contempo, l’intervento delle banche centrali può (in teoria) prevenire fluttuazioni eccessive dei cambi e favorire una transizione più regolare verso i nuovi tassi di cambio di equilibrio. 8. Nondimeno, in un regime di fluttuazione manovrata resta il problema di prevedere il livello dei tassi di cambio di lungo periodo. Inoltre, con la crescita vertiginosa dei capitali vaganti iniziata nei primi anni Settanta, è diventato sempre più difficile per i paesi contrastare la speculazione solo con le loro forze. Il principale strumento di intervento è diventato il tasso di interesse. Tuttavia, potrebbe insorgere un conflitto tra utilizzare i tassi di interesse per controllare i tassi di cambio e al contempo gestire l’economia interna. 9. L’aumento della volatilità dei tassi di cambio a livello mondiale è dovuto a una serie di fattori: la crescita dei mercati finanziari internazionali e la liberalizzazione dei movimenti internazionali dei capitali, abbinata al sempre più agevole trasferimento elettronico di fondi; la crescita delle attività speculative; e la sempre maggiore convinzione che i singoli governi non dispongano di risorse sufficienti per stabilizzare i tassi di cambio. 72 Parte G – L’economia mondiale *Appendice: analisi IS-LM di un’economia aperta In questa appendice mostriamo come estendere al caso di un’economia aperta l’analisi IS-LM che abbiamo esaminato nel Paragrafo 19.3. Partiamo dall’ipotesi che il tasso di cambio sia fisso, per analizzare successivamente un sistema di cambi liberamente fluttuanti. Analisi IS-LM in regime di cambi fissi La curva BP Iniziamo con l’introdurre la curva BP (bilancia dei pagamenti), che come le curve IS e LM illustra una relazione tra il tasso di interesse (r) e il livello del reddito nazionale (Y). Tutti i punti lungo la curva BP rappresentano una posizione di equilibrio della bilancia dei pagamenti. La curva è crescente (ha pendenza positiva) da sinistra a destra (vedi Figura 24.11). All’aumentare del tasso di interesse (r) si genera un afflusso di capitali nel paese e dunque un avanzo del conto finanziario. Al crescere del reddito nazionale (Y), invece, il conto corrente va in disavanzo, perché aumenta la domanda di importazioni. Affinché la bilancia dei pagamenti sia complessivamente in equilibrio, un disavanzo di conto corrente deve essere esattamente controbilanciato da un avanzo del conto finanziario (e del conto capitale), e viceversa. Pertanto, un aumento di Y deve essere accompagnato da un aumento di r, e una diminuzione di Y da una diminuzione di r. La curva BP ha dunque pendenza positiva. Tutti i punti al di sotto della retta BP rappresentano una posizione di disavanzo complessivo, tutti quelli al di sopra una posizione di avanzo. La pendenza della curva BP dipende da due fattori. La propensione marginale all’importazione (pmm = ∆M/∆Y). La curva BP è tanto più ripida quanto maggiore è pmm. Infatti, se la propensione marginale all’importazione è elevata, ogni dato incremento del reddito nazionale si traduce in un aumento significativo delle importazioni e dunque in un ampio disavanzo di conto corrente. Per mantenere la bilancia dei pagamenti complessiva in equilibrio, è necessario un avanzo altrettanto ampio del conto finanziario, che può essere generato solo a fronte di un aumento pronunciato dei tassi di interesse. Di conseguenza, quanto maggiore è pmm, tanto maggiore è l’aumento dei tassi di interesse necessario per ripristinare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, e dunque tanto più ripida è la curva BP. L’elasticità dell’offerta di capitali internazionali. IC 9 Quanto maggiore è l’elasticità dell’offerta di capitali p59 internazionali, tanto minore è l’aumento dei tassi di interesse necessario per attrare un afflusso di capitali e ripristinare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti a seguito di un incremento del reddito nazionale, e dunque tanto più piatta è la curva BP. Se l’offerta di capitali internazionali è perfettamente elastica, la curva BP è orizzontale in corrispondenza del tasso di interesse mondiale. L’equilibrio nel modello IC 8 Se tracciamo la curva BP in un diagramma IS-LM, p37 otteniamo la posizione illustrata nella Figura 24.12. Il punto a rappresenta l’equilibrio complessivo. In corrispondenza di r1 e Y1, l’investimento è pari al risparmio (il punto a giace sulla curva IS), la domanda di moneta è pari all’offerta (a giace anche sulla curva LM) Figura 24.12 L’equilibrio complessivo nei mercati dei beni, della moneta e dei tassi di cambio. Figura 24.11 La curva BP. r r LM BP BP r1 a IS O Y O Y1 Y Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 73 e infine la bilancia dei pagamenti è in pareggio (a si trova al contempo sulla curva BP). Per capire perché le curve IS, LM e BP si intersecano nel medesimo punto, ipotizziamo che le tre curve si trovino per caso nella posizione descritta nella Figura 24.11 ed esaminiamo a turno gli effetti di un cambiamento della politica fiscale (spostamento della curva IS) o monetaria (spostamento della curva LM). Come vedremo, l’equilibrio viene ripristinato attraverso una variazione dell’offerta di moneta. Una politica fiscale espansiva, attuata mediante un aumento della spesa pubblica e/o una riduzione delle imposte, provoca uno spostamento verso destra della curva IS (per esempio, a IS2 nella Figura 24.13), poiché a ogni dato tasso di interesse è associato un reddito nazionale di equilibrio più elevato che in precedenza. Tuttavia, all’aumentare del reddito nazionale, si registra un’espansione della domanda di moneta, che spinge al rialzo i tassi di interesse. In un’economia chiusa, l’equilibrio si troverebbe adesso nel punto b (r2, Y2), dove IS2 = LM1. Tuttavia, nel nostro modello di economia aperta questo punto di equilibrio giace al di sopra della curva BP. La bilancia dei pagamenti è in avanzo, perché l’aumento dei tassi di interesse ha generato un avanzo del conto finanziario superiore al disavanzo del conto corrente derivante dall’incremento del reddito nazionale. Tale avanzo si traduce in un afflusso di capitali nel paese e dunque in un’espansione dell’offerta di moneta, che a sua volta spinge verso destra la curva LM. L’equilibrio viene infine raggiunto nel punto c (r3, Y3), dove IS2 = LM2 = BP. Pertanto, in queste condizioni, l’effetto monetario della variazione della bilancia dei pagamenti rafforza la politica fiscale e causa un aumento ancora maggiore del reddito nazionale. Se la curva BP è più ripida della curva LM, l’effetto è alquanto diverso (ricordate che la curva BP è ripida se pmm è elevato e l’offerta di capitali internazionali è anelastica). Questa situazione è illustrata nella Figura 24.14. In tali circostanze, un aumento iniziale del reddito nazionale a Y2 (dove IS2 = LM1) genera un disavanzo della bilancia dei pagamenti (il punto b giace al di sotto della curva BP). In questo caso, infatti, il disavanzo del conto corrente è maggiore dell’avanzo del conto finanziario (a causa dell’elevata propensione all’importazione e dell’afflusso modesto di capitali internazionali). Di conseguenza, l’offerta di moneta subisce una contrazione e la curva LM si sposta verso sinistra. L’equilibrio viene raggiunto nel punto c, dove IS2 = LM2 = BP. Pertanto, se la curva BP è più ripida della curva LM, l’effetto monetario della variazione della bilancia dei pagamenti attenua l’impatto della politica fiscale e provoca una minore espansione del reddito nazionale. Figura 24.13 Una politica fiscale espansiva in un regime di cambi fissi. Figura 24.14 Una politica fiscale espansiva in un regime di cambi fissi con una curva BP ripida. La politica fiscale in un regime di cambi fissi r r L’avanzo della bilancia dei pagamenti in b provoca un’espansione dell’offerta di moneta LM1 r1 BP LM2 b r2 r3 Il disavanzo della bilancia dei pagamenti in b provoca una contrazione dell’offerta di moneta c a Ripristino dell’equilibrio complessivo r2 r1 LM1 c r3 BP LM2 b a IS2 IS2 IS1 IS1 O Y1 Y2 Y3 Y O Y1 Y3 Y2 Y 74 Parte G – L’economia mondiale La politica monetaria in un regime di cambi fissi Analisi IS-LM in regime di cambi fluttuanti Una politica monetaria espansiva provoca uno spostamento verso destra della curva LM (per esempio, a LM2 nella Figura 24.15). All’aumentare dell’offerta di moneta, il tasso di interesse viene spinto al ribasso e si registra un incremento del reddito nazionale. In un’economia chiusa, il nuovo equilibrio verrebbe raggiunto nel punto b (r2, Y2), dove IS1 = LM2. Ma in un’economia aperta l’espansione della domanda aggregata si traduce in un aumento delle importazioni, mentre il calo dei tassi di interesse genera un deflusso netto di capitali. Si genera dunque un disavanzo della bilancia dei pagamenti: il punto b giace al di sotto della curva BP. Tale disavanzo provoca una contrazione dell’offerta di moneta, a causa dei deflussi di capitali. Di conseguenza, la curva LM si sposta verso sinistra, tornando nella posizione originaria, e l’economia fa ritorno al punto di equilibrio iniziale a. Pertanto, in un regime di cambi fissi, la sola politica monetaria non ha alcun effetto di lungo periodo sul reddito nazionale e l’occupazione. Un incremento dell’offerta di moneta può determinare un aumento del reddito nazionale solo se accompagnato da un’espansione della domanda aggregata (generata dalla politica fiscale o da un aumento autonomo dell’investimento o da una flessione del risparmio). Una variazione del tasso di cambio provoca uno spostamento della curva BP (Figura 24.16). Se le curve IS e LM si intersecano al di sopra della curva BP, si registra un avanzo della bilancia dei pagamenti. Di conseguenza, il tasso di cambio si apprezza, annullando in parte tale avanzo; pertanto, la curva BP si sposta verso l’alto. Analogamente, se le curve IS e LM si intersecano al di sotto della curva BP, il conseguente disavanzo della bilancia dei pagamenti provoca un deprezzamento del tasso di cambio e uno spostamento verso il basso della curva BP. In altre parole, la curva BP continua a spostarsi, in modo da intersecare le curve IS e LM nel loro comune punto di intersezione. Figura 24.15 Una politica monetaria espansiva in un regime di cambi fissi. r Il disavanzo della bilancia dei pagamenti provoca una nuova contrazione dell’offerta di moneta, rendendo inefficace la politica monetaria LM1 Se il governo persegue una politica fiscale reflazionistica, la curva IS si sposta a IS2 nella Figura 24.17. In b, il punto di intersezione della curva LM e della nuova curva IS, la bilancia dei pagamenti è in avanzo (a causa degli maggiori afflussi di capitali attratti dal più elevato tasso di interesse). Di conseguenza, il tasso di cambio si apprezza e la curva BP si sposta verso l’alto. Tuttavia, il rafforzamento della valuta provoca un calo delle esportazioni e un aumento delle importazioni. La conseguente flessione della domanda aggregata spinge la curva IS nuovamente verso sinistra, per esempio nel punto c, che si trova poco distante dal punto a. Pertanto, in un regime di cambi fluttuanti gli effetti della politica fiscale possono dimostrarsi alquanto limitati. L’impatto è però tanto più pronunciato quanto più ripida è la cura BP. Nella Figura 24.18, la curva BP ha LM2 Figura 24.16 Spostamenti della curva BP in un regime di cambi fluttuanti. BP r1 La politica fiscale in un regime di cambi fluttuanti r a AVANZO b r2 ento IS O BP zam ez appr Y1 Y2 Y to men ezza depr DISAVANZO O Y Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 75 Figura 24.17 Una politica fiscale espansiva in un regime di cambi fluttuanti. Figura 24.18 Una politica fiscale espansiva in un regime di cambi fluttuanti con una curva BP ripida. r r Disavanzo della bilancia dei pagamenti, pressione al ribasso sul tasso di cambio Avanzo della bilancia dei pagamenti, pressione al rialzo sul tasso di cambio LM b r2 r3 r1 c BP1 BP2 BP1 r3 r2 r1 a a LM c b BP2 IS2 IS3 IS3 IS2 IS1 O Y1 Y3 Y2 IS1 Y una pendenza maggiore della curva LM. In questo caso un spostamento della curva IS da IS1 a IS2 genera un disavanzo della bilancia dei pagamenti e dunque un deprezzamento del tasso di cambio, con il conseguente spostamento verso il basso della curva BP. Il deprezzamento provoca un aumento delle esportazioni e un calo delle importazioni. Questa espansione della domanda aggregata spinge la curva IS verso destra. Il nuovo equilibrio viene raggiunto nel punto c, corrispondente a un livello più elevato del reddito nazionale (Y3). In queste circostanze, l’effetto della bilancia dei pagamenti va a potenziare l’impatto della politica fiscale. O Y2 Y Y3 aggregata spinga la curva IS verso destra. Il nuovo equilibrio viene raggiunto nel punto c, dove LM2 = IS2 = BP2, con una significativa variazione rispetto al punto iniziale a. Pertanto, in un regime di tasso di cambio fluttuanti, la politica monetaria può esercitare un effetto considerevole sul livello del reddito nazionale. Figura 24.19 Una politica monetaria espansiva in un regime di cambi fluttuanti. r Disavanzo della bilancio dei pagamenti, pressione al ribasso sul tasso di cambio La politica monetaria in un regime di cambi fluttuanti Una politica monetaria espansiva provoca uno spostamento verso destra della curva LM, che si porta in LM2 nella Figura 24.19. In un’economia chiusa, il nuovo equilibrio si troverebbe nel punto b. In un’economia aperta con un tasso di cambio fluttuante, la diminuzione del tasso di interesse induce un deprezzamento del tasso di cambio e uno spostamento verso il basso della curva BP. L’indebolimento della valuta causa un aumento delle esportazioni e una contrazione delle importazioni. L’espansione della domanda Y1 LM1 LM2 BP1 r1 r3 a c BP2 b r2 IS2 IS1 O Y1 Y2 Y3 Y 76 Parte G – L’economia mondiale I paragrafi in pillole Appendice 1. A un diagramma IS-LM è possibile aggiungere una curva BP, che mostra tutte le combinazioni di reddito nazionale e tasso di interesse in corrispondenza delle quali la bilancia dei pagamenti è in pareggio. La curva ha pendenza positiva, a indicare che un aumento del reddito nazionale (che causa un disavanzo del conto corrente) deve essere accompagnato da un incremento dei tassi di interesse, tale da generare un avanzo del conto finanziario della stessa entità e di segno opposto. 2. La curva BP è tanto più piatta quanto maggiore è la propensione marginale all’importazione (pmm) e quanto più elastica è l’offerta di capitali internazionali. 3. In un regime di cambi fissi, quanto più piatta è la curva BP, tanto maggiore è l’impatto di una politica fiscale espansiva sul reddito nazionale. Se la curva BP è meno ripida nella curva LM, una politica fiscale espansiva genera un avanzo della bilancia dei pagamenti (attraverso l’effetto di un aumento dei tassi di interesse). La conseguente espansione dell’offerta di moneta rafforza l’impatto iniziale della politica fiscale. 4. In un regime di cambi fissi la politica monetaria non ha alcun effetto sul reddito nazionale. Un’espansione monetaria, spingendo al ribasso i tassi di interesse, provoca semplicemente un disavanzo della bilancia dei pagamenti e dunque una nuova contrazione dell’offerta di moneta. 5. In un regime di cambi fluttuanti, un apprezzamento provoca uno spostamento verso l’alto della curva BP, un deprezzamento uno spostamento verso il basso. 6. Se la curva BP è meno ripida della curva LM, l’impatto della politica fiscale in un sistema di cambi fluttuanti risulta attenuato dalle conseguenti variazioni del tasso di cambio. Una politica fiscale espansiva causa un apprezzamento del cambio (attraverso l’effetto di un aumento dei tassi di interesse), che a sua volta frena l’aumento della domanda aggregata. 7. In un regime di cambi fluttuanti la politica monetaria ha un effetto relativamente pronunciato sulla domanda aggregata. Un’espansione monetaria deprime i tassi di interesse e provoca un aumento della domanda aggregata, causando un disavanzo della bilancia dei pagamenti e dunque un deprezzamento, che si traduce a sua volta in un’ulteriore espansione della domanda aggregata. Domande di ripasso 1. Ipotizzate che viga un regime di tassi di cambio liberamente fluttuanti. Tracciate un diagramma simile alla Figura 24.5, ma questa volta rappresentate un equilibrio in corrispondenza del quale la bilancia dei pagamenti è in avanzo. (a) Evidenziate l’entità dell’avanzo. (b) Mostrate i risultanti spostamenti delle curve (X – M) ed E. (c) Contrassegnate l’equilibrio finale. (d)Illustrate l’entità degli effetti di reddito e di sostituzione (generati dalla variazione del tasso di cambio). (e) In quali circostanze l’effetto di reddito è (i) desiderabile; (ii) indesiderabile? (f) È possibile che l’effetto di reddito derivante da una variazione del tasso di cambio sia superiore all’effetto di sostituzione? 2. Mettete a confronto l’efficacia della politica fiscale e monetaria in un regime di tassi di cambio (a) fissi e (b) liberamente fluttuanti. In che modo l’efficacia delle due politiche è influenzata dall’elasticità dell’offerta di capitali internazionali? 3. Quali sono gli effetti sull’economia nazionale di una rapida espansione dell’attività economica mondiale in un sistema di tassi di cambio liberamente fluttuanti? Da cosa è determinata l’entità di questi effetti? 4. La seguente tabella riporta una selezione di indici del tasso di cambio (tassi di cambio effettivi) relativi agli anni 2004-2010, con il 2005 preso come anno base (valore degli indici = 100). 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Dollaro australiano Dollaro USA Yen giapponese Sterlina britannica Euro 96,8 100,0 100,7 108,1 107,1 104,3 101,1 101,3 100,0 99,9 96,3 94,1 99,3 95,0 106,5 100,0 91,3 84,8 94,5 107,6 87,2 90,4 83,2 101,2 100,0 100,8 103,1 81,3 100,3 100,0 100,7 106,0 112,8 113,1 104,8 (a) Spiegate che cosa si intende per indice del tasso di cambio o tasso di cambio effettivo. (b) Calcolate il tasso di apprezzamento o deprezzamento annuo di ciascuna valuta dal 2005 al 2010. 5. Per quali ragioni il tasso di cambio potrebbe divergere dal tasso a parità dei poteri di acquisto nel lungo periodo? Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 77 6. Perché in taluni casi può verificarsi una iperreazione del tasso di cambio? Da che cosa è determinata la sua entità? 7. Analizzate l’argomentazione secondo la quale nel mondo contemporaneo, caratterizzato da ingenti movimenti di capitali internazionali a breve termine, la capacità dei singoli paesi di influenzare il proprio tasso di cambio è molto limitata. 8. Se gli speculatori possedessero migliori informazioni sul futuro andamento dei tassi di cambio, le loro azioni sarebbero più o meno stabilizzanti di quanto non siano attualmente? *9. Utilizzando l’analisi IS-LM-BP, esaminate gli effetti di (a) una politica fiscale deflazionistica e (b) una politica monetaria deflazionistica in (i) un regime di cambi fissi e (ii) un regime di cambi liberamente fluttuanti. online Le soluzioni alle domande di ripasso e ulteriori supporti per la didattica e l’autoverifica dell’apprendimento (animazioni grafiche, flashcard e test interattivi a risposta multipla) sono presenti sul companion website del libro, raggiungibile dall’indirizzo http://hpe.pearson.it/sloman