Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio

Capitolo
24
Sommario del capitolo
24.1 I diversi regimi dei tassi
di cambio
24.2 Tassi di cambio fissi
24.3 Tassi di cambio liberamente
fluttuanti
24.4 I sistemi dei tassi di cambio
nella realtà
*Appendice: analisi IS-LM
di un’economia aperta
Bilancia
dei pagamenti
e tassi di cambio
Al giorno d’oggi, gli eventi che si verificano in un paese o in un gruppo
di paesi possono avere profonde ripercussioni su altri. Consideriamo
quanto è accaduto nel 2007–2008: l’erogazione di troppi mutui ipotecari sub-prime negli Stati Uniti ha causato ingenti perdite a molte istituzioni finanziarie; a seguito della cartolarizzazione di tali debiti,
impacchettati e rivenduti sotto forma di obbligazioni a investitori di
tutto il mondo, la rarefazione del credito ha assunto rapidamente portata globale.
Con il progredire della globalizzazione, i commerci e i movimenti
finanziari internazionali sono cresciuti molto più rapidamente del PIL
di parecchi paesi, diventando al contempo sempre più deregolamentati;
di conseguenza, le economie nazionali sono diventate più vulnerabili
agli squilibri della bilancia dei pagamenti e alle fluttuazioni dei tassi di
cambio.
In questo capitolo esploreremo la relazione tra la bilancia dei pagamenti e il tasso di cambio di un paese. In particolare, ci chiederemo se
una nazione debba permettere che il valore della propria valuta venga
determinato unicamente dalle forze di mercato, con la possibile instabilità che ciò comporta, oppure se debba mirare a fissare il tasso di
cambio rispetto a un’altra divisa (come il dollaro statunitense), o
quanto meno puntare a ridurre le fluttuazioni valutarie attraverso l’intervento della banca centrale nel mercato dei cambi. Esamineremo
inoltre le esperienze di paesi che hanno adottato diversi sistemi dei
tassi di cambio.
42 Parte G – L’economia mondiale
24.1 I diversi regimi dei tassi di cambio
Obiettivi di politica economica
interna ed estera
Ogni paese, tendenzialmente, persegue una serie
di obiettivi di politica economica interna e di
politica economica estera: tra i primi figurano la crescita economica, la riduzione della disoccupazione e il
contenimento dell’inflazione; tra i secondi si annoverano
la riduzione degli squilibri di conto corrente della bilancia dei pagamenti, la promozione degli scambi internazionali e il tentativo di evitare fluttuazioni eccessive dei
tassi di cambio. Tuttavia, tali insiemi di obiettivi possono entrare in conflitto fra loro.
Un semplice esempio di potenziale conflitto riguarda
gli obiettivi di equilibrio interno ed equilibrio esterno.
IC 33
p340
Equilibrio interno. Un’economia presenta un equilibrio interno se opera al livello potenziale del reddito
nazionale, ovvero con un gap di produzione nullo (vedi
Box 13.2). Questo concetto può essere espresso in
diversi modi, a seconda del modello dell’economia e
degli obiettivi politici perseguiti.
Per esempio, nel semplice modello keynesiano l’equilibrio interno corrisponde al livello di reddito nazionale di piena occupazione: in altre parole, alla situazione
in cui Ye (reddito nazionale di equilibrio) = Yf (reddito
nazionale di piena occupazione), vedi Capitolo 16.
Secondo il modello monetarista e quello neoclassico, si
ha un equilibrio interno quando l’economia si trova sulla
curva di Phillips verticale con un’inflazione stabile. Nel
contesto delle politiche di inflation targeting, si parla di
equilibrio interno quando il perseguimento di un obiettivo di inflazione è coerente con il conseguimento del
reddito nazionale potenziale: in altre parole, quando la
curva DAI interseca la curva OAI in corrispondenza del
target di inflazione (vedi Figura 18.18).
Se a partire da una condizione di equilibrio interno la
domanda aggregata diminuisce, nel breve periodo la
produzione scende al di sotto del livello potenziale e si
genera disoccupazione di disequilibrio. In questo caso
l’equilibrio interno viene meno, e per ripristinarlo occorrerà tanto più tempo quanto maggiore è la vischiosità di
prezzi e salari.
Equilibrio esterno. Si parla di equilibrio esterno
quando la bilancia dei pagamenti è in pareggio. Nel contesto dei tassi di cambio fluttuanti, questa espressione è
usata nell’accezione più ristretta di pareggio del conto
corrente e pertanto anche di pareggio del conto capitale
e del conto finanziario.
Nel contesto di un regime di cambi fissi o del perseguimento di un tasso di cambio-obiettivo, la locuzione
assume il significato più generale di equilibrio del flusso
totale di valuta, una condizione che si verifica allorché
la domanda di valuta è pari all’offerta in corrispondenza
del tasso di cambio-obiettivo, senza la necessità di intervenire attingendo alle riserve: in altre parole, un eventuale disavanzo del conto corrente deve essere controbilanciato da un avanzo degli altri due conti e viceversa.
Conflitti tra equilibrio interno ed esterno
Come illustrato nella Figura 24.1, potrebbe essere difficile conseguire simultaneamente l’equilibrio interno ed
esterno. Nella parte (b) della figura ipotizziamo che il
tasso di cambio sia pari a er1, che le curve di domanda e
offerta di valuta siano rispettivamente D e O1 e che non
vi sia alcun intervento della banca centrale; ne consegue
che er1 è il tasso di cambio di equilibrio e che l’economia presenta un equilibrio esterno in senso lato. Supponiamo anche che sussista un equilibrio interno in senso
stretto, ovvero che il conto corrente della bilancia dei
pagamenti sia in pareggio.
Immaginiamo anche, tuttavia, che l’economia sia in
recessione, come illustrato nella Figura 24.1(a). Il reddito nazionale di equilibrio è pari a Ye1, il livello in corrispondenza del quale W1 = J1. È presente dunque un gap
recessivo: Ye1 è inferiore a Yf, il livello di reddito nazionale di piena occupazione. L’economia non è in equilibrio interno.
PAROLE CHIAVE
Obiettivi di politica economica interna Obiettivi
relativi unicamente all’economia nazionale.
Obiettivi di politica economica estera Obiettivi
relativi alle relazioni economiche internazionali di un
paese.
Equilibrio interno Situazione in cui il reddito nazionale
di equilibrio è al livello desiderato.
Equilibrio esterno Definizione ristretta: situazione in
cui il conto corrente della bilancia dei pagamenti è in
pareggio (e dunque sono in pareggio anche il conto
finanziario e il conto capitale). Definizione ampia:
situazione in cui si registra un equilibrio del flusso totale
di valuta in corrispondenza di un dato tasso di cambio.
Flusso totale di valuta nella bilancia dei pagamenti
Somma del saldo del conto corrente, del conto capitale e
del conto finanziario, con l’esclusione delle riserve.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 43
Figura 24.1 Equilibrio interno ed esterno.
W, J
Ipotizziamo che il governo
espanda la domanda
aggregata per conseguire
l’equilibrio interno
W1
W2
Tasso di cambio
Se crea uno squilibrio
esterno in senso lato
in un regime di cambi
fissi...
Tasso di cambio
fisso
er1
er2
...o uno squilibrio in senso
stretto (un disavanzo di
conto corrente) in un regime
di cambi fluttuanti
J2
J1
O
Ye1
YF
Ye1
D dei residenti esteri
O
Quantità di valuta nazionale
Reddito nazionale
(a) Equilibrio interno
Ipotizziamo ora che il governo attui una politica
fiscale espansiva per chiudere il gap deflazionistico e
ripristinare l’equilibrio interno: a tale scopo, aumenta le
immissioni a J2 e riduce i ritiri a W2. Il reddito nazionale
aumenta a Ye2, alimentando la domanda di importazioni.
La curva di offerta di valuta nazionale si sposta da O1 a
O2 nella Figura 24.1(b), generando un disavanzo di
conto corrente che fa venire meno l’equilibrio esterno in
senso stretto. Se il governo mantiene il tasso di cambio a
er1 (attingendo alle riserve per acquistare valuta nazionale), viene meno anche l’equilibrio esterno in senso
lato.
CF 4 Il governo potrebbe ripristinare l’equilibrio esterno
p38 in senso stretto permettendo al tasso di cambio di
deprezzarsi fino a er2, in modo che la domanda di valuta
nazionale torni a uguagliare l’offerta in corrispondenza
del nuovo, più basso tasso di cambio.
Il deprezzamento del cambio contribuisce anche a
correggere in parte il disavanzo del conto corrente e a
ripristinare parzialmente l’equilibrio interno in senso
stretto, rendendo le importazioni relativamente più
costose e le esportazioni meno care. Di conseguenza, le
importazioni diminuiscono e le esportazioni aumentano
nella misura determinata dalla rispettiva elasticità della
domanda al prezzo.
Tuttavia, l’indebolimento della valuta nazionale può
produrre un effetto anche sul conto finanziario. All’aumentare della domanda aggregata si registra un incremento della domanda di moneta che, se non viene compensato da un’espansione dell’offerta di moneta, spinge
al rialzo i tassi di interesse. L’aumento dei tassi, a sua
volta, attira un afflusso di capitali (che genera un avanzo
O1 dei residenti nazionali
O2 dei residenti nazionali
(b) Equilibrio esterno
del conto finanziario). Nella Figura 24.1(b) la curva di
domanda e la curva di offerta di valuta nazionale si spostano, rispettivamente, verso destra e verso sinistra; pertanto, il tasso di cambio potrebbe non scendere fino a
er2. Se l’effetto positivo dell’aumento dei tassi di interesse sul conto finanziario è superiore all’effetto negativo dell’incremento delle esportazioni sul conto corrente, il tasso di cambio addirittura si apprezza.
In entrambi i casi si registra un disavanzo di conto
corrente, esattamente controbilanciato da un avanzo
complessivo del conto finanziario e del conto capitale.
Quindi, nel breve periodo l’equilibrio interno in senso
stretto non viene ripristinato (esploreremo il saldo corrente di lungo periodo in un regime di cambi fluttuanti
nel Paragrafo 24.3).
La Figura 24.2 illustra gli effetti di diversi “shock”
che possono incidere sia sull’equilibrio interno che
sull’equilibrio esterno in senso stretto.
La capacità di un’economia di correggere questi
squilibri dipende dal regime dei tassi di cambio. Esamineremo una molteplicità di tali regimi nella parte finale
di questo paragrafo, ma prima dobbiamo distinguere tra
tassi di cambio nominali e reali.
Tassi di cambio nominali e reali
CF 11
p346
Un tasso di cambio nominale non è altro che il
rapporto di scambio di una valuta con un’altra.
PAROLE CHIAVE
Regime dei tassi di cambio Il sistema nell’ambito del
quale sono determinati i tassi di cambio.
44 Parte G – L’economia mondiale
Esplorare l’economia
BOX 24.1
La relazione tra il saldo commerciale e le finanze pubbliche
Abbiamo visto che la situazione esterna può condizionare la
capacità di un paese di pervenire a un equilibrio interno (la
situazione in cui il reddito nazionale effettivo è al livello
potenziale). Ma la situazione esterna può incidere anche
sulla composizione della domanda aggregata, come si evince molto chiaramente osservando la relazione tra il saldo di
bilancio del settore pubblico e il saldo commerciale.
Una misura del saldo di bilancio è l’indebitamento netto del
settore pubblico (vedi Paragrafo 19.1), pari alla differenza
tra la spesa pubblica, da un lato, e le entrate fiscali e i ricavi
delle imprese controllate dallo Stato, dall’altro. Il saldo
commerciale è uno dei tre elementi principali che compongono il saldo del conto corrente; gli altri due sono il reddito
netto da investimenti esteri e i trasferimenti correnti netti
(vedi Paragrafo 14.4). Il saldo commerciale è pari alle
esportazioni di beni e servizi meno le importazioni di beni
e servizi (X – M).
La relazione tra le finanze pubbliche e il saldo commerciale
può essere illustrata facendo nuovamente riferimento al
modello del flusso circolare di reddito che abbiamo introdotto nel Capitolo 13. In quell’occasione abbiamo visto che
i ritiri effettivi dal flusso circolare di reddito (contrapposti a
quelli programmati) – ovvero risparmio netto (S) più impo-
Figura 24.2 Effetti sull’equilibrio interno
e sull’equilibrio esterno (in senso stretto).
Avanzo di conto corrente
2
1
Deprezzamento
del tasso di cambio
Calo dei consumi
Espansione all’estero
esterno
Politica fiscale
restrittiva
Recessione
Apprezzamento
del tasso di cambio
Recessione all’estero
Equilibrio
Equilibrio
interno
Espansione
Politica fiscale
espansiva
ste nette (T) più importazioni (M) – devono essere equivalenti alle immissioni, date dalla somma di investimento (I),
spesa pubblica (G) ed esportazioni (X):
S + T + M = I + G + X
(1)
Il saldo di bilancio del settore pubblico è pari semplicemente alla differenza tra la tassazione e i proventi operativi (al
netto dei trasferimenti), da un lato, e la spesa per l’acquisto
di beni e servizi, dall’altro (ovvero T – G). Il saldo commerciale è pari alla differenza tra esportazioni e importazioni
(X – M). Riorganizzando i termini dell’equazione (1), possiamo scrivere:
(T – G) = (X – M) + (I – S) (2)
Esaminando l’equazione (2) possiamo notare che, se il bilancio del settore pubblico è in avanzo (T – G è positivo), è
probabile che sia in avanzo anche il saldo commerciale. La
correlazione tra i due saldi è tanto più precisa quanto minore è la differenza tra risparmio è investimento. Se il risparmio è esattamente pari all’investimento, a un avanzo (disavanzo) di bilancio farebbe da contraltare un avanzo
(disavanzo) commerciale della stessa entità. Da qui nasce
l’espressione “disavanzi gemelli”.
Il tasso di cambio reale si ottiene rettificando l’indice del tasso di cambio nominale per le variazioni dei
prezzi delle importazioni (misurati in valuta estera) e
delle esportazioni (misurati in valuta nazionale), ovvero
per le ragioni di scambio. Pertanto, se in un dato paese il
tasso di inflazione dei prezzi delle esportazioni è superiore all’inflazione media ponderata dei prezzi delle
importazioni acquistate da altre nazioni, il suo indice del
tasso di cambio reale (ITCR) registra un aumento
rispetto all’indice del tasso di cambio nominale (ITCN).
L’indice del tasso di cambio reale può essere definito
come:
ITCR = ITCN × PX/PM
Aumento dei consumi
3
4
Disavanzo di conto corrente
Tutti i tassi di cambio riportati sui quotidiani, citati nei
notiziari televisivi, indicati su Internet o quotati da agenzie di viaggio, banche o aeroporti sono tassi nominali.
Finora ci siamo occupati unicamente di questo tipo di
tassi.
PAROLE CHIAVE
Tasso di cambio reale Tasso di cambio di un paese
rettificato per le variazioni dei prezzi in valuta nazionale
delle sue esportazioni rispetto ai prezzi in valuta estera
delle sue importazioni. Se i prezzi di un paese aumentano
(diminuiscono) rispetto a quelli dei suoi partner
commerciali, il suo tasso di cambio reale aumenta
(diminuisce) rispetto al tasso di cambio nominale.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 45
dove PX è l’indice dei prezzi delle esportazioni espressi
in valuta nazionale e PM l’indice medio ponderato dei
prezzi delle importazioni espressi nelle diverse valute
estere. Pertanto, se (a) l’inflazione di un paese supera di
5 punti percentuali l’inflazione media ponderata per l’interscambio dei suoi partner commerciali (ovvero, se PX/
PM aumenta del 5% all’anno) e (b) il tasso di cambio
nominale del paese si deprezza di 5 punti percentuali
all’anno (cioè ITCN diminuisce del 5% all’anno), l’indice del tasso di cambio reale del paese resta invariato.
Consideriamo un altro esempio: se i prezzi delle
esportazioni di un paese crescono più rapidamente dei
prezzi in valuta estera delle sue importazioni (PX/PM
aumenta), il tasso di cambio reale si apprezza rispetto al
tasso nominale.
Il tasso di cambio reale offre dunque un’indicazione
migliore della quantità di importazioni che un paese può
acquistare a fronte della vendita di una data quantità di
esportazioni. Se il tasso di cambio reale si rafforza, il
paese può ottenere maggiori importazioni per un dato
volume di esportazioni.
Rispetto al tasso di cambio nominale, il tasso di cambio reale offre anche un quadro migliore della competitività di un paese: quanto minore è il cambio reale, tanto
più competitive sono le esportazioni nazionali.
Regimi dei tassi di cambio alternativi
Esistono diversi tipi di regimi dei tassi di cambio, tutti
compresi tra due estremi: un tasso di cambio totalmente
fisso e un tasso di cambio liberamente fluttuante (o a
corso libero).
IC 5 In un regime di cambi fissi, il governo o la banca
p18 centrale sono quasi certamente costretti a intervenire nel mercato valutario per mantenere il tasso di cambio al livello prefissato, probabilmente prendendo anche
misure di politica interna.
CF 4 In un regime di cambi liberamente fluttuanti, le
p38 autorità monetarie non intervengono nei mercati
valutari. I tassi di cambio fluttuano a seconda delle forze
di mercato, cioè delle variazioni della domanda e dell’offerta di valuta nel mercato dei cambi. Tuttavia, l’andamento del tasso di cambio può influire sugli obiettivi di
politica interna, inducendo pertanto il governo a prendere diversi tipi di provvedimenti.
Tra questi due estremi si collocano numerosi regimi
intermedi, in cui i tassi di cambio sono determinati in
parte dal mercato e in parte dal governo. Tali regimi
intermedi differiscono in base al livello di intervento
pubblico e dunque al grado di flessibilità del tasso di
cambio che il governo è disposto a tollerare.
Interventi correttivi
in un regime di cambi fissi
Intervento nel mercato dei cambi
Se in corrispondenza del tasso di cambio fisso la
domanda di valuta nazionale è diversa dall’offerta – in
altre parole, se non sussiste un equilibrio del flusso totale
di valuta – la banca centrale è costretta a intervenire nel
mercato dei cambi, acquistando o vendendo valuta
nazionale per colmare la differenza. Ciò è illustrato nella
Figura 24.3, in cui si esamina il caso dell’immaginario
paese di Torlonia, che ha per valuta la libra (£).
La Figura 24.3(a) mostra la situazione in cui è presente un deficit del flusso di valuta (un’eccedenza di
libre) pari ad a – b. La Banca di Torlonia deve acquistare
l’eccedenza di libre attingendo alle sue riserve di valuta
estera o contraendo un prestito in valuta da banche di
altri paesi.
Nella Figura 24.3(b), invece, è presente un surplus
del flusso di valuta pari a c – d. In questo caso la Banca
di Torlonia deve offrire nel mercato una quantità corrispondente di libre, acquistando in cambio valuta estera
che può utilizzare per accumulare riserve o rimborsare
prestiti denominati in altre divise.
Intervento nel mercato dei cambi e offerta di
moneta. Se il tasso di cambio viene tenuto fisso, si
generano variazioni dell’offerta di moneta. Se la parità è
fissata sopra il livello di equilibrio (Figura 24.4(a)), si
produce un deficit del flusso totale di valuta. La Banca di
Torlonia acquista libre, ritirandole dalla circolazione e
riducendo l’offerta di moneta.
CF 14 La contrazione dell’offerta di moneta spinge al
p448 rialzo il tasso di interesse di equilibrio. Questo, a
sua volta, provoca un incremento dei flussi finanziari in
entrata e un miglioramento del saldo del conto finanziario. L’aumento del tasso di interesse, inoltre, raffredda la
domanda aggregata, riducendo le importazioni e miglioPAROLE CHIAVE
Tasso di cambio totalmente fisso Regime dei tassi di
cambio in cui il governo prende tutte le misure necessarie
per mantenere il tasso di cambio a un livello prefissato.
Tasso di cambio liberamente fluttuante (o a corso
libero) Regime in cui il tasso di cambio è determinato
interamente dalle forze della domanda e dell’offerta nel
mercato dei cambi, senza alcun intervento da parte del
governo.
Regime intermedio del tasso di cambio Regime in
cui i tassi di cambio sono determinati in parte dal mercato
e in parte dal governo.
46 Parte G – L’economia mondiale
Figura 24.3 Intervento della banca centrale per mantenere un tasso di cambio fisso.
Tasso
fisso
b
O
Tasso di cambio
Tasso di cambio
O
a
Tasso
fisso
d
c
D
O
Quantità di £
(a) Deficit di valuta totale
D
O
Quantità di £
(b) Surplus di valuta totale
rando il saldo del conto corrente. Nel complesso, dunque, il deficit del flusso totale di valuta diminuisce e il
differenziale a – b nella Figura 24.3(a) si riduce. Il problema, naturalmente, è che il calo della domanda aggregata può condurre a una recessione.
Se il tasso di cambio viene mantenuto al di sotto del
livello di equilibrio (Figura 24.3(b)), si registra un surplus del flusso totale di valuta: la Banca di Torlonia offre
nel mercato una quantità addizionale di libre (che vengono spese dai residenti esteri per l’acquisto di esportazioni di Torlonia e vengono dunque immesse nell’economia del paese). Di conseguenza, l’offerta di moneta
aumenta.
L’espansione monetaria spinge al ribasso i tassi di
interesse, provocando un deterioramento del conto
finanziario; inoltre, stimola la domanda aggregata, favorendo un aumento delle esportazioni. Il surplus del
flusso totale di valuta diminuisce e il differenziale c – d
si riduce.
alle riserve per sostenere il tasso di cambio. Le riserve,
però, non sono infinite e presto o tardi si esauriscono.
Una recessione potrebbe essere inevitabile.
Sterilizzazione. Se la Banca di Torlonia desidera
scongiurare una variazione dell’offerta di moneta, deve
controbilanciare i suddetti effetti con altri provvedimenti
di politica monetaria, per esempio con un’operazione di
mercato aperto. Così, se il flusso totale di valuta fa registrare un deficit e l’offerta di moneta diminuisce, la
Banca di Torlonia può acquistare titoli di Stato dal pubblico degli investitori, riportando l’offerta di moneta al
suo livello iniziale. In tal modo, si impedirebbe all’economia di entrare in recessione.
Il processo volto a contrastare gli effetti di un disavanzo o di un avanzo della bilancia dei pagamenti
sull’offerta di moneta è detto sterilizzazione. Questo
processo, tuttavia, comporta un problema: se non si permette all’offerta di moneta di variare, il surplus o il deficit del flusso totale di valuta tende a perdurare. Nel caso
di un deficit, talvolta è possibile scongiurare una recessione, ma la banca centrale deve continuare ad attingere
Riduzione della spesa. Le politiche restrittive provocano una contrazione del reddito nazionale; questo a sua
volta riduce la spesa, compresa quella destinata alle
esportazioni, causando uno spostamento verso sinistra
della curva di offerta di libre nella Figura 24.3(a). Lo
spostamento è tanto più pronunciato quanto maggiore è
la propensione marginale all’importazione.
Correzione dello squilibrio
IC 7 Se un disavanzo della bilancia dei pagamenti si
p30 dimostra persistente e le riserve continuano a
ridursi o il debito estero ad accumularsi, il governo
prima o poi è costretto a intervenire per correggere lo
squilibrio sottostante. Per mantenere fisso il tasso di
cambio, le autorità devono spostare le curve di domanda
e offerta di valuta, in modo che si intersechino in corrispondenza del tasso di cambio fisso.
A tale scopo, è possibile adottare politiche fiscali e
monetarie restrittive. Tali politiche producono due
effetti principali sul tasso di cambio: un effetto di reddito (riduzione della spesa) e un effetto di sostituzione
(riallocazione della spesa) tra i beni di produzione
interna ed estera.
PAROLE CHIAVE
Sterilizzazione Processo mediante il quale il governo si
avvale di operazioni di mercato aperto e altri
provvedimenti di politica monetaria per neutralizzare gli
effetti di avanzi o disavanzi della bilancia dei pagamenti
sull’offerta di moneta.
Variazione (riduzione) della spesa causata da una
contrazione: l’effetto di reddito Situazione in cui le
politiche restrittive provocano una riduzione del reddito
nazionale e dunque della domanda di importazioni.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 47
Tuttavia, in questo caso potrebbe insorgere un
conflitto tra obiettivi di politica economica interna
ed estera: la bilancia dei pagamenti potrebbe segnare un
miglioramento, ma la disoccupazione tenderà ad aumentare e il tasso di crescita a diminuire.
IC 33
p340
Riallocazione della spesa. Se le politiche restrittive
riducono il tasso di inflazione a un livello inferiore a
quello dei concorrenti esteri, le esportazioni diventano
relativamente meno costose rispetto ai beni prodotti in
altri paesi, mentre le importazioni diventano relativamente più care rispetto alle alternative di produzione
interna. Alcuni consumatori esteri inizieranno dunque
ad acquistare beni di esportazione di Torlonia, in misura
tanto maggiore quanto più elevata è l’elasticità della
domanda. Alcuni consumatori di Torlonia, dal canto
loro, riallocheranno la propria spesa dalle importazioni
ai beni di produzione interna; di nuovo, quanto maggiore
è l’elasticità della domanda, tanto più pronunciata è la
riallocazione della spesa. In entrambi i casi, la domanda
è tanto più elastica quanto più i beni di Torlonia sono
sostituti prossimi dei beni esteri.
Nella misura in cui le politiche restrittive inducono
una riallocazione della spesa anziché una sua riduzione,
si attenua il conflitto tra l’obiettivo di migliorare la bilancia dei pagamenti e quello di tenere a bada la disoccupazione.
È possibile favorire una riallocazione della spesa
anche introducendo restrizioni sulle importazioni (dazi
e/o contingenti) o sussidiando le esportazioni. Tali provvedimenti, però, sarebbero in contrasto con l’obiettivo di
promuovere il libero scambio.
Le politiche fiscali e monetarie, nella misura in cui
influiscono sui tassi di interesse, incidono anche sul
conto finanziario della bilancia dei pagamenti. Un
aumento dei tassi di interesse stimola la domanda di
valuta nazionale (la libra), provocando un miglioramento del conto finanziario (esploreremo le implicazioni di questa dinamica nel Paragrafo 24.2).
Processo di correzione in un regime
di cambi liberamente fluttuanti
In un regime di cambi liberamente fluttuanti, eventuali disavanzi o avanzi della bilancia dei pagamenti dovrebbero essere corretti in via automatica e
istantanea attraverso, rispettivamente, un deprezzamento
o un apprezzamento del tasso di cambio. Gli operatori
valutari non fanno altro che modificare i tassi di cambio
quotati in modo da pareggiare i propri conti, in linea con
la domanda e l’offerta.
IC 5
p18
Come nel caso del regime di cambi fissi, il processo
di correzione innescato da un apprezzamento/deprezzamento del tasso di cambio dà luogo a un effetto di reddito e a un effetto di sostituzione, diversi tuttavia da
quelli generati dalle politiche restrittive. Solo l’effetto di
sostituzione permette di correggere lo squilibrio; l’effetto di reddito invece lo aggrava. Esaminiamo dapprima
l’effetto di sostituzione, ossia la riallocazione della
spesa.
Riallocazione della spesa
(effetto di sostituzione)
Il processo di aggiustamento. Ipotizziamo
che nel paese di Torlonia si registri un tasso di
inflazione più elevato che all’estero. All’aumentare dei
prezzi interni in rapporto a quelli esteri, la domanda di
importazioni si espande e la curva di offerta di libre si
sposta verso destra (da O1 a O2 nella Figura 24.4). Al
contempo, i beni prodotti a Torlonia diventano relativamente più costosi per gli acquirenti esteri, e le esportazioni diminuiscono; pertanto, la curva di domanda di
libre si sposta verso sinistra (da D1 a D2).
Gli operatori valutari si ritrovano quindi con un
sovrappiù di libre invendute e riducono il tasso di cambio (portandolo a er2 nella Figura 24.4). L’entità della
variazione del tasso di cambio dipende da due fattori.
• L’entità dello spostamento delle curve. Un elevato
differenziale tra i tassi di inflazione o i tassi di interesse a livello internazionale provoca un marcato spostamento delle curve di domanda e offerta di valuta, e
dunque ampie variazioni del tasso di cambio.
• L’elasticità delle due curve. Quanto minore è l’elasticità delle curve di domanda e offerta di libre, tanto
maggiore è la variazione del tasso di cambio per ogni
dato spostamento delle curve stesse.
IC 7
p30
PAROLE CHIAVE
Riallocazione della spesa causata da una
contrazione: l’effetto di sostituzione Situazione in
cui le politiche restrittive provocano una riduzione
dell’inflazione, causando una diminuzione della domanda di
importazioni e un aumento della domanda di esportazioni.
Riallocazione della spesa causata da un
deprezzamento: l’effetto di sostituzione Situazione
in cui un deprezzamento del tasso di cambio provoca una
riduzione del prezzo delle esportazioni e un aumento del
prezzo delle importazioni, causando un incremento della
vendita di esportazioni e una diminuzione della vendita di
importazioni.
48 Parte G – L’economia mondiale
Tasso di cambio
O1
O2
er1
Deprezzamento
er2
D2
O
D1
Quantità di £
Variazione della spesa (effetto di reddito)
Il deprezzamento della valuta nazionale, oltre a incidere
sui prezzi relativi, influisce anche sul reddito nazionale,
provocando una variazione della spesa.
Abbiamo già stabilito che la flessione del tasso di
cambio causa un aumento della vendita di esportazioni e
una diminuzione dell’acquisto di importazioni; questo è
l’effetto di sostituzione, che costituisce però solo una
prima ripercussione.
Le esportazioni sono una immissione nel flusso circolare del reddito, le importazioni un ritiro da quest’ultimo. Si determina quindi un’espansione multipla del
reddito nazionale. Questo effetto di reddito (incremento
della spesa) stempera l’efficacia del deprezzamento. Si
possono esaminare due situazioni.
Un aumento del reddito nazionale e dell’occupazione, senza alcuna variazione dei
prezzi. Ipotizziamo che vi siano molte risorse inutilizzate, così che un’espansione della domanda aggregata
provochi un aumento della produzione e dell’occupazione ma non dei prezzi. Al crescere del reddito nazionale, si registra un incremento delle importazioni (che
tende a controbilanciare il calo iniziale), mentre le
importazioni restano invariate.
Questa dinamica è illustrata dalla retta (X – M)1 nella
Figura 24.5. A bassi livelli del reddito nazionale, la spesa
per importazioni è contenuta e dunque le esportazioni
(X) superano le esportazioni (M): X – M è positivo.
All’aumentare del reddito e dunque delle importazioni,
X – M diminuisce, e superato un certo punto diventa
negativo. Pertanto, la retta X – M è decrescente.
Supponiamo che, inizialmente, il reddito nazionale
di equilibrio sia dato da Y1, il livello in corrispondenza
del quale Y è pari alla spesa nazionale (E1), e che le
IC 7
p30
importazioni superino le esportazioni di un ammontare
a – b. Il tasso di cambio, di conseguenza, si deprezza.
L’indebolimento della valuta nazionale provoca un
effetto di sostituzione: le esportazioni aumentano e le
importazioni diminuiscono. La retta X – M trasla dunque
verso l’alto. Ma questo, a sua volta, innesca un effetto di
reddito: la domanda aggregata si espande e la retta E si
sposta verso l’alto a sua volta.
L’economia perviene infine a un equilibrio interno
ed esterno in corrispondenza di Y2, dove Y = E2 e (X –
M)2 = 0.
L’effetto di sostituzione positivo associato al deprezzamento è rappresentato da c – d, l’effetto di reddito
negativo da c – a. L’effetto complessivo, dunque, è pari
solo ad a – b, che corrisponde all’ammontare del disavanzo iniziale. In assenza dell’effetto di reddito negativo, sarebbe stato sufficiente un deprezzamento di
minore entità.
Quanto meno in questo caso, l’effetto di reddito produce una conseguenza positiva per gli obiettivi di politica economica interna: la disoccupazione diminuisce.
Figura 24.5 L’effetto di reddito (prezzi stabili).
Spesa (E ), esportazioni (X ), importazioni (M)
Figura 24.4 Variazione del tassi di cambio in risposta
a spostamenti delle curve di domanda e offerta.
Equilibrio finale (Y2)
Effetto di sostituzione positivo: c – b
Effetto di reddito negativo: c – a
Effetto netto sulla bilancia dei pagamenti: a – b
Y
O
c
a
b
Y1
E2
E1
Y2
(X – M)2
Y
(X – M)1
PAROLE CHIAVE
Variazione (incremento) della spesa causata da un
deprezzamento: l’effetto di reddito Situazione in cui
un deprezzamento del tasso di cambio, attraverso l’effetto
di sostituzione, modifica la domanda di importazioni e di
esportazioni, con ripercussioni sul livello del reddito
nazionale e dunque sulla domanda di importazioni
attraverso il moltiplicatore.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 49
Un aumento dei prezzi. Se l’economia è prossima
alla piena occupazione, l’aumento della domanda aggregata causato dal deprezzamento riduce ulteriormente
l’efficacia di quest’ultimo. L’espansione della domanda
aggregata, oltre ad accrescere direttamente le importazioni, genera anche una maggiore inflazione. Si produce
quindi anche un effetto di sostituzione negativo, che
compensa in parte l’effetto di sostituzione positivo associato al deprezzamento. L’aumento dell’inflazione
spinge nuovamente verso il basso in una certa misura la
retta X – M.
Nel caso estremo in cui l’offerta di moneta si espande
per accomodare l’aumento della domanda aggregata,
X – M può ritornare nella posizione originaria; il deprezzamento, quindi, non riesce a correggere lo squilibrio
della bilancia dei pagamenti. Nella Figura 24.4, la flessione del tasso di cambio a er2 causa un ulteriore spostamento della curva di offerta verso destra e della curva di
domanda verso sinistra, finché la distanza tra le due
curve torna a essere equivalente a quella registrata in
corrispondenza di er1.
Per contrastare l’effetto di reddito, il governo potrebbe
reputare necessario far seguire al deprezzamento della
valuta nazionale l’attuazione di politiche della domanda
deflazionistiche.
Regimi dei tassi di cambio intermedi
Tra i due estremi di un tasso di cambio totalmente fisso
oppure liberamente fluttuante è possibile individuare
una serie di sistemi intermedi.
Parità mobile (o variabile). Il sistema della parità
mobile (o variabile) si colloca in prossimità dell’estremo dei cambi totalmente fissi. I tassi di cambio vengono fissati (o ancorati) per un dato periodo di tempo,
magari di diversi anni.
Nel breve e nel medio periodo, quindi, il processo di
correzione è analogo a quello che abbiamo descritto in
riferimento a un sistema di tassi totalmente fissi. La
banca centrale deve intervenire nel mercato valutario per
sostenere il tasso di cambio. Se un deficit si dimostra
persistente, il governo deve attuare politiche deflazionistiche o di altra natura per spostare le curve di domanda
e offerta di valuta. Un simile intervento risulta però problematico se nel sistema sono già presenti molte risorse
inutilizzate.
Nel lungo periodo, se si registra uno squilibrio strutturale, la valuta può essere riancorata a una parità più
alta o più bassa. La riduzione del tasso di cambio è detta
svalutazione, l’aumento è detto rivalutazione.
In alternativa, è possibile effettuare modifiche più
frequenti di minore entità, allontanando così il sistema
dall’estremo del regime dei cambi fissi.
Fluttuazione manovrata. Il sistema della fluttuazione manovrata si trova in prossimità dell’estremo dei
cambi liberamente fluttuanti. I tassi di cambio non sono
ancorati a una parità, ma lasciati liberi di fluttuare. Tuttavia, la banca centrale interviene di volta in volta per
impedire eccessive fluttuazioni del tasso di cambio.
In un tale sistema, la banca centrale non mira a sostenere il tasso di cambio anche a fronte di uno squilibrio di
medio o lungo termine; piuttosto, punta a favorire un
adeguamento “composto” del tasso di cambio a seguito
di significative variazioni della domanda e dell’offerta,
contrastando quel genere di fluttuazioni violente di breve
periodo che possono verificarsi in un regime di cambi
liberamente fluttuanti (per esempio, a causa della speculazione).
Per evitare di ricorrere in misura eccessiva alle
riserve di valuta estera, la banca centrale può anche
modificare i tassi di interesse per impedire le fluttuazioni
del tasso di cambio. Per esempio, in caso di vendite massicce della valuta nazionale, la banca centrale può
aumentare i tassi di interesse per contrarne l’effetto e
impedire un deprezzamento del cambio.
Il grado di stabilità valutaria perseguito, e dunque il
livello degli interventi richiesti, variano da paese a paese
e da governo a governo. A un estremo, le autorità potrebbero intervenire solo qualora le fluttuazioni del tasso di
cambio divengano estremamente pronunciate; all’estremo opposto, il governo potrebbe mirare a mantenere
il tasso di cambio ancorato a una parità non ufficiale.
PAROLE CHIAVE
Parità mobile (o variabile) Sistema nel quale i tassi di
cambio sono fissi per un determinato periodo di tempo,
ma possono essere svalutati (o rivalutati) in caso di deficit
(o surplus) eccessivi.
Svalutazione Operazione con in cui il governo ancora il
tasso di cambio a una parità più bassa.
Rivalutazione Operazione con cui il governo ancora il
tasso di cambio a una parità più elevata.
Fluttuazione manovrata Sistema di tassi di cambio
flessibili in cui le autorità intervengono per impedire
fluttuazioni troppo ampie del tasso di cambio o per
mantenerlo in prossimità di una parità non ufficiale.
50 Parte G – L’economia mondiale
Parità slittante. Il sistema della parità slittante è un
regime intermedio tra la fluttuazione manovrata e la
parità mobile. Anziché effettuare di rado svalutazioni (o
rivalutazioni) di notevole entità, il governo apporta più di
frequente – poniamo una volta al mese – lievi modifiche
alla parità, al variare del tasso di cambio di equilibrio.
Fluttuazione congiunta. In un sistema di fluttuazione congiunta un gruppo di paesi adotta un regime di
cambi fissi o di parità mobile tra le rispettive valute, che
fluttuano congiuntamente rispetto a tutte le altre.
Banda di fluttuazione dei cambi. Con una banda dei
fluttuazioni dei cambi, il governo stabilisce un limite
inferiore e uno superiore al valore del tasso di cambio
(per esempio, €1 = $1,5 e €1 = $1,2), quindi consente al
tasso di cambio di fluttuare liberamente entro questi
limiti. Tuttavia, il governo interviene se il tasso di cambio
si approssima al limite inferiore o superiore. Le bande di
fluttuazione possono essere ristrette (poniamo, del ±1%
rispetto alla parità centrale) oppure ampie (±15%).
Le bande di fluttuazione possono essere incorporate
in altri sistemi, nonché avere carattere mobile, slittante o
fisso. Per esempio, la Figura 24.6 illustra un sistema di
parità slittante con una banda di fluttuazione del tasso di
cambio.
Il meccanismo dei tassi di cambio (ERM) del Sistema
monetario europeo (SME) era un esempio di regime di
fluttuazione congiunta rispetto alle valute dei paesi non
aderenti, con una banda di oscillazione attorno a una
parità centrale periodicamente rivista per le valute degli
stati membri (vedi Paragrafo 25.2). Il sistema ERM2
introdotto per la Danimarca e per i nuovi membri
dell’UE prima dell’adozione dell’euro presenta caratteristiche analoghe.
Tutti questi sistemi intermedi costituiscono altrettanti tentativi di beneficiare del maggior numero possibile dei vantaggi associati ai tassi fissi e variabili, minimizzando al
contempo gli inevitabili svantaggi. Per valutare la bontà di
questi sistemi di compromesso, dunque, dobbiamo esaminare i pro e i contro dei regimi di cambi fissi e variabili.
Questo è l’obiettivo dei prossimi due paragrafi.
PAROLE CHIAVE
Parità slittante Sistema nel quale il governo permette
graduali modifiche del tasso di cambio.
Fluttuazione congiunta Regime in cui un gruppo
di valute, ancorate l’una all’altra, fluttuano congiuntamente
rispetto ad altre valute.
Banda di fluttuazione del tasso di cambio Limite
minimo e limite massimo entro il quale sono consentite
le fluttuazioni del tasso di cambio di una valuta rispetto
ad altre.
Figura 24.6 Un sistema di parità slittante con una banda di oscillazione del tasso di cambio.
Tasso di cambio
$1,80
$1,60
O
Nessun
intervento
La banca centrale
acquista valuta
nazionale
Nessun
intervento
La banca centrale
vende valuta
nazionale
Nessun Tempo
intervento
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 51
24.2 Tassi di cambio fissi
In questo paragrafo esaminiamo le cause degli squilibri
della bilancia dei pagamenti in un regime di tassi di cambio nominali fissi, sia nel breve che nel lungo periodo.
Cominceremo con le cause di breve periodo, per stabilire in quali circostanze un equilibrio può essere ripristinato. Successivamente analizzeremo le cause strutturali
di più lungo termine degli squilibri della bilancia dei
pagamenti. Infine, valuteremo la desiderabilità di un
regime di tassi di cambio fissi.
*Effetti degli shock
in un regime di cambi fissi
In un sistema di cambi fissi è difficile che un equilibrio
interno ed esterno possa durare a lungo in assenza di
intervento pubblico. L’economia è continuamente colpita da diversi “shock” macroeconomici, come variazioni dei ritiri e delle immissioni oppure dei tassi di interesse internazionali. Tali shock possono alterare
l’equilibrio interno e/o esterno. Nonostante l’intervento
delle autorità, però, potrebbe essere molto arduo, se non
impossibile, ripristinare entrambi gli equilibri. Gli interventi correttivi degli squilibri della bilancia dei pagamenti tendono a entrare in conflitto con gli altri obiettivi
macroeconomici della crescita, della piena occupazione
e dalla stabilità dei prezzi.
Le reazioni dell’economia agli shock macroeconomici in regime di cambi fissi e l’efficacia relativa dei
diversi provvedimenti di politica economica volti a mitigare gli squilibri risultanti dipendono da due fattori: (a)
il fatto che gli shock siano interni o esterni; (b) la flessibilità di prezzi e salari, che a sua volta dipende dal
periodo di tempo in esame.
Reazione a uno shock interno
Ipotizziamo che la domanda aggregata diminuisca a
causa di un calo della spesa per consumi o dell’investimento oppure di un aumento del risparmio.
Effetto di breve periodo. Nel breve periodo i prezzi e
soprattutto i salari tendono a essere relativamente
vischiosi (questa è un’ipotesi fondamentale dell’analisi
keynesiana). Il calo della domanda aggregata spinge l’economia in recessione, facendo venir meno l’equilibrio
interno. In un’economia chiusa, probabilmente, la banca
centrale ridurrebbe i tassi di interesse in modo da stimolare l’economia, o per affrontare la recessione direttamente o perché l’inflazione prevista è scesa sotto al
livello-obiettivo.
In un’economia aperta in regime di cambi fissi, tuttavia, questo non è possibile. Vediamo perché.
La contrazione della domanda aggregata provoca
una flessione delle importazioni, generando un avanzo
di conto corrente ma anche un effetto di segno opposto
sul conto finanziario. Il calo della domanda aggregata
causa una contrazione della domanda di moneta e dunque una pressione al ribasso sui tassi di interesse. Se la
banca centrale non interviene a frenare la caduta dei
tassi, si genera un deflusso di fondi e dunque un disavanzo del conto finanziario.
L’ammontare relativo dell’avanzo del conto corrente
e del disavanzo del conto finanziario dipende dalla propensione marginale all’importazione (pmm) e dalla
mobilità internazionale dei capitali: quanto più elevato è
pmm, tanto maggiore è l’avanzo del conto corrente;
quanto maggiore è la mobilità dei capitali, tanto più
ingente è il deflusso di fondi e, quindi, tanto più elevato
è il disavanzo del conto finanziario. Nel mondo di oggi,
caratterizzato da ingenti flussi di fondi nei mercati dei
cambi, i capitali internazionali presentano una mobilità
molto spiccata se non addirittura perfetta. Se la banca
centrale non si oppone alla diminuzione dei tassi di interesse, il disavanzo del conto finanziario tenderà a eccedere l’avanzo del conto corrente.
Per ovviare a questo problema, le autorità devono
impedire il calo dei tassi di interesse, o quanto meno fare
in modo che essi registrino solo una lieve flessione,
appena sufficiente a far sì che il disavanzo del conto
finanziario sia pari all’avanzo del conto corrente. Se i
tassi di interesse restano pressoché invariati, l’offerta di
moneta deve contrarsi in modo da compensare la diminuzione della domanda di moneta.
Per mantenere il tasso di cambio fisso (senza dilapidare eccessivamente le riserve) i tassi di interesse devono
essere quindi determinati dalla bilancia dei pagamenti.
Di conseguenza, non possono essere utilizzati per perseguire obiettivi di politica economica interna, come un
target di inflazione, un livello-obiettivo di reddito nazionale o una combinazione dei due (per esempio, secondo
una regola di Taylor: vedi Paragrafo 19.4). Lo squilibrio
interno tenderà a persistere nel breve periodo.
Effetto di lungo periodo. Nel lungo periodo prezzi e
salari sono di gran lunga più flessibili (secondo il
modello neoclassico, lo sono anche nel breve periodo).
Tale flessibilità permette di ripristinare l’equilibrio
interno: la curva di Phillips è verticale in corrispondenza
del tasso naturale di disoccupazione.
52 Parte G – L’economia mondiale
Ma in un regime di cambi fissi la flessibilità di
prezzi e salari garantisce anche l’esistenza di un
equilibrio esterno? Ancora una volta, ipotizziamo che gli
individui decidano di spendere meno e risparmiare di
più. Come nel breve periodo, si genera un avanzo di
conto corrente, ma di entità molto più pronunciata. Nel
breve periodo, infatti, non vi è un effetto di prezzo (cioè
un effetto di sostituzione) significativo, giacché non vi
sono variazioni di rilievo dell’inflazione; è presente soltanto un effetto di reddito associato al calo delle importazioni causato dalla recessione. Nel lungo periodo,
invece, la contrazione della domanda aggregata tende a
raffreddare l’inflazione. Se il tasso di crescita dei prezzi
scende al di sotto di quello dei partner commerciali, il
tasso di cambio reale si deprezza, rendendo le esportazioni relativamente più convenienti e le importazioni
relativamente più onerose; di conseguenza, le prime
aumentano e le seconde diminuiscono.
Il risultante aumento della domanda aggregata contribuisce non solo a eliminare la recessione, ma anche a
ridurre l’avanzo del conto corrente.
CF 11 Pertanto, nonostante il tasso di cambio nominale
p346 sia fisso, la flessibilità di prezzi e salari garantisce
la flessibilità del tasso di cambio reale. Ciò contribuisce
a ripristinare l’equilibrio esterno in senso lato, anche se
un avanzo di conto corrente potrebbe rivelarsi persistente. Infatti, se tale avanzo viene impiegato nell’acquisto di attività estere, nel tempo il rendimento da queste
generate andrà ad alimentare ulteriormente l’avanzo
stesso.
Un punto però è chiaro: sebbene i tassi di interesse
siano determinati dalla necessità di mantenere un tasso
di cambio nominale fisso, la flessibilità di prezzi e salari
nel lungo periodo tende presto o tardi a ripristinare l’equilibrio interno. Ora tuttavia sorgono alcuni interrogativi: quanto dura il lungo periodo? Per quanto tempo persiste la recessione? Se è troppo lunga, e se non è possibile
ridurre i tassi di interesse, è possibile ricorrere a una
politica fiscale espansiva? Queste domande sono esaminate nel Box 24.2.
IC 7
p30
Reazione a uno shock esterno
Ipotizziamo ora che si registri un calo della domanda di
esportazioni.
Effetto di breve periodo. La flessione delle
esportazioni spinge il conto corrente in disavanzo;
inoltre, riduce la domanda aggregata, provocando una
contrazione multipla del reddito nazionale. La domanda
di importazioni di conseguenza diminuisce in misura
tanto maggiore quanto più elevato è pmm. La domanda
CF 14
p448
aggregata continua a diminuire finché il calo delle
immissioni non viene uguagliato da un calo dei ritiri. Ma
questo non basta a eliminare il disavanzo di conto corrente, perché la diminuzione dei ritiri necessaria a pareggiare la flessione delle esportazioni consiste solo in parte
in una riduzione delle importazioni; in parte sarà costituita da un calo del risparmio e delle entrate fiscali.
La contrazione della domanda aggregata riduce la
domanda di moneta a scopi transazionali, ponendo una
pressione al ribasso sui tassi di interesse; una diminuzione dei tassi, a sua volta, tende a provocare un deflusso
di fondi e dunque un disavanzo del conto finanziario,
aggravando ulteriormente lo squilibrio della bilancia dei
pagamenti. Per contrastare questa tendenza, la banca
centrale deve frenare la caduta dei tassi di interesse riducendo l’offerta di moneta (attraverso operazioni di mercato aperto). A ben vedere, dato il deficit del conto corrente, i tassi di interesse potrebbero persino dover
aumentare lievemente, in modo da generare un avanzo
del conto finanziario sufficiente a controbilanciare il
disavanzo del conto corrente. Ma questo non farebbe che
esacerbare la recessione.
Effetto di lungo periodo. La contrazione della
domanda aggregata genera una pressione al
ribasso sull’inflazione interna, che contribuisce a ridurre
il tasso di cambio reale e dunque a correggere il disavanzo del conto corrente, nonché a ripristinare l’equilibrio interno. Ancora una volta, però, in assenza di un’adeguata politica fiscale, il lungo periodo potrebbe tardare
ad arrivare e la recessione potrebbe perdurare.
CF 11
p346
Cause degli squilibri di lungo termine
della bilancia dei pagamenti in un regime
di tassi di cambio fissi
In presenza di prezzi moderatamente flessibili, a seguito
di un singolo shock il conto corrente potrebbe presto o
tardi tornare in pareggio. Tuttavia, a causa dei continui
spostamenti delle curve di domanda e offerta di importazioni ed esportazioni, i problemi di bilancia dei pagamenti potrebbero perdurare. Esaminiamo quattro cause
di tali spostamenti.
Differenze tra i tassi di inflazione nazionali. Un
paese con un tasso di inflazione persistentemente più
elevato rispetto ai partner commerciali tende a evidenziare disavanzi correnti sempre maggiori. A mano a
mano che il suo tasso di cambio reale si apprezza, le
esportazioni e i beni sostituti delle importazioni diventano via via meno competitivi.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 53
BOX 24.2
Esplorare l’economia
L’efficacia delle politiche fiscali e monetarie in un regime di cambi fissi
La politica monetaria
La politica monetaria non è molto efficace in un regime di
cambi fissi.
Ipotizziamo che la banca centrale, temendo un’accelerazione dell’inflazione, desideri porre un freno all’espansione
della domanda aggregata nominale; di conseguenza, riduce
il tasso di crescita dell’offerta di moneta, provocando in tal
modo un aumento dei tassi di interesse e una contrazione
del reddito nazionale nominale.
Esaminiamo gli effetti di questo provvedimento sulla bilancia dei pagamenti. La diminuzione del reddito nazionale
nominale causa una flessione della spesa per importazioni,
generando un avanzo di conto corrente. Inoltre, gli elevati
tassi di interesse attirano un afflusso di capitali, spingendo
in avanzo anche il conto finanziario. Questo surplus della
bilancia dei pagamenti accresce nuovamente l’offerta di
moneta e riduce i tassi di interesse, riportandoli al loro livello iniziale. La domanda aggregata aumenta nuovamente,
riportandosi al livello originario. La politica monetaria risulta dunque inefficace.
In teoria, anziché intervenire sull’offerta di moneta, il governo avrebbe potuto modificare direttamente i tassi di interesse. Ma il problema, in questo caso è che, dovendo mantenere il tasso di cambio al livello prefissato, il governo ha
un margine di manovra molto limitato. Per esempio, se innalza i tassi di interesse, il conseguente afflusso di capitali
porta in avanzo la bilancia dei pagamenti. Il governo, per un
certo periodo di tempo, potrebbe limitarsi ad accumulare
riserve, sebbene probabilmente non a tempo indeterminato.
Il problema si fa più grave se l’economia è in recessione e la
banca centrale desidera espandere la domanda aggregata
riducendo i tassi di interesse; il deflusso di capitali la costringe infatti ad acquistare la valuta nazionale attingendo
alle riserve. Tuttavia, questo processo non è sostenibile a
lungo: presto o tardi la banca centrale sarà costretta ad alzare nuovamente i tassi di interesse per bloccare l’erosione
Differenze tra i tassi di crescita di diversi paesi.
Se un paese cresce più rapidamente dei suoi partner
commerciali, le sue importazioni tendono ad aumentare
più rapidamente delle sue esportazioni.
Domanda di importazioni più elastica al reddito della domanda di esportazioni. Se l’elasticità della domanda di importazioni al reddito è relativamente elevata e l’elasticità della domanda di esportazioni
al reddito è relativamente bassa, al crescere dei redditi
mondiali le importazioni del paese aumentano più rapidamente delle esportazioni. Questo rappresenta un problema
IC 9
p59
delle riserve. Nel mondo di oggi, caratterizzato da scarsi
controlli sui tassi di cambio e da ingenti volumi di liquidità
internazionale a breve termine, questi flussi possono assumere proporzioni enormi.
Pertanto, la banca centrale gode di pochissima autonomia
nel determinare i tassi di interesse, i quali devono essere
mantenuti a un livello tale da sostenere il tasso di cambio.
Nel caso di perfetta mobilità dei capitali internazionali, i
tassi di interesse devono restare in linea con quelli mondiali. La politica monetaria è dunque totalmente inefficace.
La politica fiscale
La politica fiscale, per contro, è molto più efficace. Supponiamo che l’economia sia in recessione. Il governo, volendo
espandere la domanda aggregata, riduce le imposte e/o incrementa la spesa pubblica, provocando un aumento del
reddito nazionale e dunque della spesa per importazioni.
Inoltre, il tasso di cambio reale si apprezza in conseguenza
dell’aumento dell’inflazione, rendendo le esportazioni
meno competitive e le importazioni relativamente meno
care. Il conto corrente fa segnare un disavanzo.
L’espansione della domanda aggregata stimola la domanda
di moneta e dunque esercita una pressione al rialzo sui tassi
di interesse, alimentando un afflusso di capitali e spingendo
in avanzo il conto finanziario. Per impedire che ciò annulli
l’effetto del disavanzo del conto corrente, la banca centrale
deve contrastare un aumento eccessivo dei tassi di interesse;
nel caso di un’offerta di capitali internazionali infinitamente elastica, i tassi di interesse devono essere mantenuti invariati.
Pertanto, la banca centrale deve acconsentire a un’espansione della massa monetaria per tenere bassi i tassi di interesse.
L’aumento dell’offerta di moneta rafforza quindi la politica
fiscale espansiva e previene l’effetto di spiazzamento.
Di conseguenza, un’elevata mobilità dei capitali a livello
internazionale rafforza l’efficacia della politica fiscale.
in special modo per molti paesi in via di sviluppo, che
importano prodotti manifatturieri e beni strumentali, la cui
domanda crescere rapidamente, ed esportano beni primari
– generi alimentari e materie prime – la cui domanda in
anni recenti è cresciuta piuttosto lentamente.
Cambiamenti strutturali di lungo periodo.
• La creazione di blocchi commerciali può provocare
un aumento dei dazi nei confronti di altri paesi. Le
esportazioni australiane e neozelandesi furono penalizzate dall’adesione del Regno Unito alla Comunità
economica europea.
54 Parte G – L’economia mondiale
• Molti paesi possono esercitare un potere di monopolio nettamente maggiore che in passato. Ne sono un
esempio gli aumenti dei prezzi attuati dall’OPEC nel
1973–1974 e nel 1978–1979.
• I paesi possono sviluppare beni sostituti delle importazioni. Per esempio, la plastica e altri materiali sintetici in molti casi hanno sostituito la gomma e i
metalli, causando un deterioramento della bilancia
dei pagamenti dei paesi esportatori di prodotti primari.
• La natura e la qualità dei prodotti di un paese possono cambiare. Per esempio, il Giappone è passato
dalla fabbricazione di semplici prodotti manifatturieri di bassa qualità negli anni Cinquanta alla fabbricazione di prodotti manifatturieri sofisticati. Questo
cambiamento ha contribuito ad accrescere le sue
esportazioni.
Per mantenere un tasso di cambio fisso in simili circostanze, i governi devono prendere provvedimenti per
correggere gli squilibri, avvalendosi di politiche della
domanda (fiscali e monetarie: vedi Box 24.2), politiche
dell’offerta o politiche protezionistiche.
dei pagamenti. Questo costringerà la banca centrale a
intervenire per sostenere il tasso di cambio, acquistando
valuta nazionale nel mercato dei cambi e causando in tal
modo una contrazione dell’offerta di moneta (sempre
che l’acquisto di valuta non venga sterilizzato), oppure
innalzando i tassi di interesse. In entrambi i casi, l’intervento delle autorità monetarie avrà l’effetto di correggere l’errore.
Vantaggi dei tassi di cambio fissi
I cambi fissi minano l’efficacia della politica
monetaria. Per assicurare un equilibrio complessivo
della bilancia dei pagamenti, le autorità devono agire
sulla leva dei tassi di interesse. Di conseguenza, l’offerta
di moneta deve poter variare in linea con la domanda di
moneta per mantenere i tassi di interesse al livello necessario. Pertanto la politica monetaria non può essere utilizzata a scopi interni (vedi Box 24.2). L’inflazione
dipende dai tassi mondiali, che potrebbero essere elevati
e inaccettabili a livello nazionale. Se la banca centrale
mira a ridurre l’inflazione attuando una contrazione
dell’offerta di moneta e innalzando i tassi di interesse, il
conto corrente e il conto finanziario registreranno un
avanzo. Ne consegue che l’offerta di moneta tornerà ad
aumentare finché l’inflazione interna non raggiungerà
nuovamente i livelli mondiali.
Molti economisti si oppongono a un regime di tassi di
cambio fissi, per ragioni che esamineremo tra breve; al
contrario, parecchi esponenti del mondo imprenditoriale
lo caldeggiano. Analizziamo alcune delle loro argomentazioni.
Riduzione dell’incertezza. In un regime di
cambi fissi, il commercio e l’investimento internazionale diventano molto meno rischiosi, perché i profitti
non sono influenzati dall’andamento del tasso di cambio.
IC 11
p66
Speculazione minima o nulla. A condizione che il
tasso di cambio sia assolutamente fisso – e che gli individui ritengano che resterà tale – è del tutto inutile speculare. Per esempio, tra il 1999 e il 2001, quando le vecchie valute dei paesi dell’area dell’euro erano ancora in
circolazione ma irrevocabilmente ancorate all’euro, nessuno speculava sul fatto che il marco tedesco, poniamo,
si sarebbe apprezzato rispetto al franco francese o alla
lira italiana.
Correzione automatica degli errori di politica
monetaria. Se la banca centrale non si oppone a un’espansione troppo rapida dell’offerta di moneta, l’aumento della domanda aggregata e il calo dei tassi di interesse tenderanno a provocare un disavanzo della bilancia
Impedire al governo di perseguire politiche macroeconomiche “irresponsabili”. Se un governo, in
maniera deliberata, espande eccessivamente la domanda
aggregata – magari nel tentativo di riguadagnare popolarità presso l’elettorato – il conseguente squilibrio della
bilancia dei pagamenti lo costringerà presto o tardi ad
attuare politiche restrittive (a meno che non ricorra a
controlli delle importazioni).
Svantaggi dei tassi di cambio fissi
La visione neoclassica
Gli economisti neoclassici muovono due critiche fondamentali ai regimi di cambi fissi.
I tassi di cambio fissi sono in contrasto con il
principio del libero mercato. Perché fissare i tassi di
cambio, quando un semplice apprezzamento o deprezzamento può correggere uno squilibrio? Secondo la visione
del mondo neoclassica, nella quale i mercati pervengono
sempre all’equilibrio e la domanda e l’offerta sono relativamente elastiche, perché non trattare i mercati valutari
come qualsiasi altro mercato e non lasciare che i tassi di
cambio siano determinati dalle forze della domanda e
dell’offerta?
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 55
La visione keynesiana
Secondo i keynesiani, prezzi e salari sono relativamente
vischiosi e la disoccupazione da carenza di domanda e
l’inflazione da costi possono essere persistenti. Pertanto,
se i tassi di cambio sono fissi, non vi è alcuna garanzia di
conseguire simultaneamente un equilibrio interno ed
esterno. Questo, a sua volta, genera una serie di problemi.
I disavanzi della bilancia dei pagamenti possono condurre a una recessione. La bilancia
dei pagamenti può andare in disavanzo anche in assenza
di un eccesso di domanda, per esempio, come abbiamo
visto precedentemente, a causa di un tasso di crescita o
un tasso di inflazione diverso da quelli dei partner commerciali, una domanda di importazioni più elastica al
reddito della domanda di esportazioni e così via. Poiché
le politiche dell’offerta sono tendenzialmente efficaci
solo nel lungo periodo, per evitare di ricorrere a misure
protezionistiche il governo sarà costretto a ridurre il
tasso di crescita della domanda aggregata. Questo, sua
volta, provoca un aumento della disoccupazione e potenzialmente una recessione.
Se i prezzi e i salari sono vischiosi al ribasso, per
ottenere un miglioramento significativo del conto corrente può essere necessario ricorrere a politiche fortemente restrittive, confidando nel fatto che la diminuzione dei redditi riduca la domanda di importazioni. Se
la contrazione viene ottenuta attraverso un aumento dei
tassi di interesse, tuttavia, un eventuale miglioramento
del conto finanziario potrebbe rendere superflua una
deflazione eccessiva, considerata soprattutto l’elevata
mobilità dei capitali nell’economia odierna. Nondimeno, il tasso di interesse potrebbe essere più elevato del
livello desiderato puramente a scopi di politica interna.
Un paese che presenta un persistente disavanzo di
conto corrente potrebbe essere costretto a mantenere i
tassi di interesse a un livello stabilmente più elevato
rispetto ai concorrenti, soffrendo conseguentemente di
tassi di crescita più contenuti. Il paese inoltre tenderà ad
accumulare debiti a breve termine, a causa degli afflussi
di fondi volti a trarre vantaggio dai tassi di interesse più
interessanti. Questo potrebbe acuire notevolmente il
problema della speculazione, se gli individui si convincono che il tasso di cambio fisso non potrà essere mantenuto a lungo (vedi più avanti).
IC 32
p338
Le strategie di deflazione competitiva possono provocare una depressione mondiale.
Se i paesi in disavanzo attuano politiche deflazionistiche
e quelli in avanzo politiche reflazionistiche, non si
genera un problema di deflazione o di reflazione a livello
CF 14
p448
mondiale. Ma molti paesi potrebbero mirare a mantenere la bilancia dei pagamenti in avanzo, al fine di accumulare riserve; di conseguenza, potrebbero attuare strategie di deflazione competitiva, al fine di conseguire un
avanzo della bilancia dei pagamenti. Ma queste politiche
finiscono inevitabilmente per danneggiare altre nazioni.
Non tutti i paesi, infatti, possono avere un avanzo
della bilancia dei pagamenti: il mondo nel suo complesso deve essere necessariamente in pareggio. Tali
politiche provocano una deflazione generale a livello
mondiale e raffreddano la crescita.
Problemi di liquidità internazionale. Affinché il
commercio internazionale possa crescere, occorre un’espansione dell’offerta di valute accettabili negli scambi
(dollari, euro, oro e così via): in altre parole, è necessaria una liquidità internazionale adeguata. Le riserve
nazionali di tali valute devono aumentare in misura sufficiente a difendere il tasso di cambio fisso nei periodi di
squilibri della bilancia dei pagamenti. Per contro, la
liquidità internazionale non deve essere eccessiva: in
caso contrario, la domanda addizionale che ne risulterebbe alimenterebbe l’inflazione mondiale. Pertanto, in
un regime di cambi fissi, è importante evitare che la
liquidità internazionale risulti carente o eccessiva. Il problema è come mantenere un controllo adeguato della
liquidità internazionale. L’offerta di dollari, per esempio, dipende prevalentemente dalla politica statunitense,
che potrebbe essere dettata dalla situazione economica
interna degli Stati Uniti anziché da un’attenzione per il
benessere della comunità internazionale. Analogamente,
l’offerta di euro dipende dalla politica della Banca centrale europea, che è governata dalla situazione interna
dei paesi dell’eurozona.
Speculazione. Se gli speculatori ritengono che
un tasso di cambio fisso non potrà essere difeso a
lungo, lanceranno massicci attacchi speculativi contro la
valuta nazionale. In presenza di un cospicuo disavanzo,
non vi è alcuna probabilità di una rivalutazione: pertanto, il tasso dovrà essere svalutato oppure restare invariato. Gli speculatori, quindi, venderanno la valuta nazionale. Dopo tutto, si tratta di una facile scommessa: testa
vincono (svalutazione), croce non perdono (nessuna
svalutazione). Le vendite speculative avranno l’effetto di
aggravare il disavanzo, e potrebbero persino costringere
IC 10
p61
PAROLE CHIAVE
Liquidità internazionale Disponibilità di valute
mondiali accettabili per il finanziamento dei commerci e
degli investimenti internazionali.
56 Parte G – L’economia mondiale
il governo a svalutare. Operazioni speculative come queste hanno avuto effetti disastrosi su alcune valute del
Sud-Est asiatico nel 1997 e sul peso argentino nel 2002.
Post scriptum
Un’argomentazione spesso addotta dai fautori dei tassi
di cambio fissi è che tale sistema impedisce ai governi di
perseguire politiche inflazionistiche. Ma se ridurre l’inflazione è desiderabile, perché i governi non adottano
direttamente politiche anti-inflazionistiche? Al giorno
d’oggi molti governi (o banche centrali) fanno del perseguimento di un obiettivo di inflazione il cardine della
politica monetaria. La maggior parte, tuttavia, opera in
un regime di cambi fluttuanti.
24.3 Tassi di cambio liberamente fluttuanti
I tassi di cambio fluttuanti e
l’emancipazione della politica interna
In un regime di tassi di cambio liberamente fluttuanti
non può sussistere uno squilibrio complessivo della
bilancia dei pagamenti. Gli operatori valutari modificano continuamente i tassi di cambio per pareggiare i
propri conti, in modo che la domanda di ogni valuta sia
pari all’offerta.
CF 4 Viene così a decadere il vincolo posto dalla bilanp38 cia dei pagamenti sulla politica interna in un
sistema di cambi fissi. Le riserve valutarie diventano
superflue, perché la banca centrale non deve più intervenire per difendere il tasso di cambio. Il governo è in apparenza libero di perseguire le politiche interne che ritiene
più opportune, giacché eventuali effetti sulla bilancia dei
pagamenti vengono automaticamente corretti da un
apprezzamento o un deprezzamento del tasso di cambio.
In realtà, però, la situazione non è così semplice.
Anche in un regime di tassi di cambio perfettamente
fluttuanti, gli effetti delle variazioni del tasso di cambio
possono imporre un vincolo sulla politica interna. Per
esempio, un deprezzamento della valuta nazionale
spinge al rialzo il prezzo delle importazioni; se la
domanda di beni importati è relativamente anelastica,
questo può provocare un aumento del tasso di inflazione.
Reazione agli shock in un regime
di cambi fluttuanti
Shock interni
Ipotizziamo che un’espansione della domanda aggregata
alimenti l’inflazione. Per il momento, tuttavia, supponiamo anche che la politica monetaria mantenga i tassi
di interesse reali al livello internazionale. Per semplicità,
immaginiamo anche che non vi sia inflazione all’estero.
Come reagisce un sistema di cambi fluttuanti a questo
shock interno causato da un aumento della domanda
aggregata? Il tasso di cambio si deprezza per mantenere
la competitività delle esportazioni e dei prodotti sostituti
delle importazioni.
Per esempio, ipotizziamo che il tasso di cambio
sterlina-euro sia pari inizialmente a £1 = €1,5. Un
bene prodotto nel Regno Unito che costa €1,5 in Italia
frutterà all’esportatore britannico £1. Se l’inflazione del
Regno Unito provoca un raddoppiamento dei prezzi, il
tasso di cambio pressappoco si dimezza; se scende a £1 =
€0,75, lo stesso prodotto che in Italia costa €1,5 frutterà
all’esportatore britannico £2, un importo equivalente al
precedente in termini reali. Quella appena enunciata è la
teoria della parità dei poteri di acquisto, secondo la
quale le variazioni dei prezzi nazionali vengono compensate da variazioni del tasso di cambio (nominale) tali da
lasciare inalterati i prezzi relativi di diversi paesi.
Se abbandoniamo l’ipotesi che i tassi di interesse
reali vengano mantenuti allo stesso livello di quelli
esteri, la teoria della parità dei poteri di acquisto perde
validità. Ipotizziamo che un’espansione della domanda
aggregata causi un aumento dei tassi di interesse reali.
Ciò potrebbe essere dovuto a un aumento della domanda
di moneta che spinge al rialzo i tassi di interesse, oppure
a un intervento diretto della banca centrale volto a riportare l’inflazione in linea con il livello-obiettivo.
Questo shock produce due effetti sul tasso di cambio.
L’aumento della domanda aggregata e dell’inflazione
spinge il conto corrente in disavanzo, esercitando così
una pressione al ribasso sul tasso di cambio. All’aumentare dei tassi di interesse reali, tuttavia, il conto finanziario fa registrare un avanzo, perché i depositanti scelgono
di detenere i propri saldi monetari nella valuta nazionale; di conseguenza, il tasso di cambio viene spinto al
rialzo. A seconda dell’intensità relativa dei due effetti, il
CF 11
p346
PAROLE CHIAVE
Teoria della parità dei poteri di acquisto Teoria
secondo la quale il tasso di cambio si aggiusta fino a
compensare le differenze fra i tassi di inflazione dei diversi
paesi, con il risultato che la stessa quantità di beni
scambiati a livello internazionale può essere acquistata nel
mercato interno o all’estero con un medesimo
ammontare di valuta nazionale.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 57
cambio può deprezzarsi o apprezzarsi. Nel mondo di
oggi, caratterizzato da ingenti flussi internazionali di
capitali, l’effetto sul conto finanziario è verosimilmente
più pronunciato, e dunque il tasso di cambio tenderà ad
apprezzarsi. Quanto maggiore è l’elasticità dell’offerta
di tali flussi di capitali ai tassi di interesse, tanto maggiore è l’apprezzamento.
In ogni caso, per via dell’effetto sul conto finanziario, il nuovo tasso di cambio di equilibrio si attesterà a
un livello superiore a quello che garantisce la parità dei
poteri di acquisto. Questo penalizza i settori esportatori,
poiché l’indebolimento del cambio (ammesso che ci sia)
non è sufficiente ad annullare l’effetto dell’aumento dei
prezzi in valuta nazionale. Anche i settori interni che
competono con le importazioni sono penalizzati, poiché
di nuovo il tasso di cambio non diminuisce in misura
sufficiente da preservare la loro competitività con le
importazioni. Il conto corrente continua dunque a registrare un disavanzo, a cui fa da contraltare un avanzo del
conto finanziario di pari entità e di segno opposto.
Le operazioni di “carry trade”. Ad aggravare i problemi dei paesi con un disavanzo di conto corrente ha
contribuito spesso in anni recenti la crescita delle operazioni di carry trade, effettuate dagli investitori internazionali per trarre vantaggio dalle differenze fra i tassi di
interesse nominali di diversi paesi.
I paesi con un disavanzo di conto corrente, come il
Regno Unito, l’Australia e la Nuova Zelanda, presentano di norma tassi di interesse relativamente elevati, a
differenza delle nazioni con un avanzo di conto corrente,
come Giappone e Svizzera, i cui tassi di interesse sono
generalmente più bassi. È dunque redditizio contrarre un
prestito, poniamo, in yen ai tassi di interesse bassi
vigenti in Giappone, scambiare l’importo in sterline e
depositare i fondi nel Regno Unito, beneficiando così di
tassi di interesse più elevati. Se il tasso di cambio sterlina-yen resta invariato, l’investitore realizza un profitto
pari alla differenza tra i tassi di interesse.
Se però i tassi di interesse più elevati del Regno
Unito e di altri paesi in disavanzo bastassero appena a
ricompensare gli investitori per il rischio di un deprezzamento della valuta, non si registrerebbe un afflusso
eccessivo di capitali. Il beneficio di un tasso di interesse
superiore sarebbe controbilanciato dal deprezzamento
della valuta. Ma le operazioni di carry trade hanno l’effetto di provocare un apprezzamento valutario nei paesi
in disavanzo, incentivando ulteriormente le attività speculative di quanti puntano su un ulteriore rafforzamento
del tasso di cambio.
Così, le valute dei paesi con un disavanzo di conto
corrente si apprezzano, rendendo meno competitivi i
beni di produzione interna e accentuando il deficit del
conto corrente. Tra il 1996 e il 2006 il disavanzo di conto
corrente medio in percentuale del PIL di Stati Uniti,
Regno Unito e Australia si è attestato, rispettivamente, al
4,0%, 1,8% e 4,4%; nello stesso periodo il dollaro statunitense si è apprezzato del 9,8%, la sterlina britannica
del 27,7% e il dollaro australiano del 3,8%.
Al contempo, le valute dei paesi con un conto corrente in avanzo si deprezzano, rendendo i beni di produzione interna più competitivi e alimentando ulteriormente il surplus del conto corrente. Tra il 2004 il 2006 il
Giappone, la Svizzera e la Svezia hanno registrato,
rispettivamente, avanzi correnti pari in media al 3,8%,
13,8% e 7,3% del PIL, con tassi di interesse a breve termine pari appena, in media, allo 0,1%, 1,0% e 2,1% (a
fronte dei tassi del 2,4%, 4,7% e 5,7% di Stati Uniti,
Regno Unito e Australia). In quello stesso periodo lo yen
ha ceduto il 10,4%, il franco svizzero il 2,3% e la corona
svedese il 4,3%.
Con la rarefazione del credito del 2007–2008, tuttavia, i flussi di capitali a breve termine hanno subito una
netta contrazione, riducendo le operazioni di carry trade
e i loro effetti sui tassi di cambio. Di conseguenza, il
saldo corrente ha assunto un’importanza maggiore nella
determinazione dei tassi di cambio. Le valute dei paesi
in disavanzo, come Regno Unito e Stati Uniti, hanno iniziato a deprezzarsi, mentre quelle dei paesi in avanzo,
come Giappone e Svizzera, hanno cominciato a deprezzarsi. Tra il gennaio 2007 e il gennaio 2009 il dollaro statunitense e la sterlina hanno perso, rispettivamente, il
5,1% e il 27,3%; lo yen e il franco svizzero, invece,
hanno guadagnato il 36,2% e il 10,0%.
Shock esterni
Ipotizziamo adesso che il resto del mondo entri in recessione (ma che i tassi di interesse internazionali restino
invariati). La domanda di esportazioni diminuisce, provocando un deprezzamento del tasso di cambio. L’indebolimento della valuta, a sua volta, stimola la domanda
di esportazioni e di beni nazionali sostituti delle importazioni. L’espansione della domanda aggregata contribu-
PAROLE CHIAVE
Carry trade Pratica speculativa che consiste nel
contrarre un prestito a tassi di interesse bassi per
acquistare attività che fruttano un interesse elevato. Nei
mercati dei cambi, il carry trade consiste nel contrarre un
prestito nella valuta di un paese in cui vigono tassi di
interesse bassi e convertire l’importo nella valuta di un
paese con tassi di interesse più elevati.
58 Parte G – L’economia mondiale
BOX 24.3
Analisi di casi e applicazioni
Il prezzo di un Big Mac, ovvero la guida dell’Economist
ai tassi a parità dei poteri di acquisto
Almeno una volta all’anno l’Economist pubblica i tassi di
cambio di diverse valute basati sullo “standard dell’hamburger”, calcolati secondo un approccio semiserio volto a
stabilire se venga rispettata la parità dei poteri di acquisto.
Il criterio utilizzato è il prezzo di vendita di un Big Mac, il
noto panino con hamburger di MacDonald’s, in diversi paesi. Secondo questa versione semplificata della teoria della
parità dei poteri di acquisto, i tassi di cambio dovrebbero
variare in modo tale che un Big Mac abbia ovunque lo stesso prezzo in dollari.
Se consideriamo il Big Mac rappresentativo della totalità
dei beni e dei servizi prodotti da un paese, secondo la relazione dell’Economist del luglio 2011 lo yuan cinese era sottovalutato del 44%, poiché il panino in questione era venduto a $4,07 negli Stati Uniti ma a un prezzo equivalente a soli
$2,27 in Cina. Come si può osservare dalla tabella, lo yuan
non era la sola valuta asiatica a essere sottovalutata secondo
lo standard del Big Mac. Anche il baht tailandese e il ringgit
malaysiano, per esempio, apparivano significativamente
sottovalutati. In Thailandia un Big Mac costava 70 baht, in
Malaysia RM7,20. Poiché al tempo le due valute quotavano,
rispettivamente, a 29,8 baht e a RM2,97 per un dollaro, il
prezzo di un Big Mac in Malaysia e in Thailandia era equivalente a $2,42 e $2,35. Di conseguenza, in termini di parità dei poteri di acquisto del Big Mac, il baht tailandese era
sottovalutato del 42% e il ringgit malaysiano del 40%.
In India, il prodotto più simile al Bic Mac è il Maharajah
Mac, un hamburger a base di pollo anziché di manzo. Poiché la carne rappresenta meno del 10% del costo di un hamburger, si può utilizzare con ragionevole approssimazione la
versione indiana del più noto panino statunitense. Con un
prezzo di $1,89 al tasso di cambio vigente al tempo, secondo lo standard del Big Mac la rupia indiana era sottovalutata del 53%, più di ogni altra valuta compresa nel campione.
Mentre l’Asia risulta spesso la regione dove si trovano gli
hamburger più convenienti, in Europa i Big Mac sono tendenzialmente più costosi. Per esempio, nel luglio del 2011 si
stimava che la corona norvegese fosse sopravvalutata del
104%. Al tasso di cambio vigente di 5,41 corone norvegesi
per un dollaro, un Big Mac in Norvegia costava l’equivalente di $8,31. Un Big Mac avrebbe avuto lo stesso costo nei
due paesi se il tasso di cambio si fosse attestato a $1 =
kr11,1.
Nel Regno Unito, invece, nel luglio del 2011 un Big Mac
costava in media £2,39. Al tasso di cambio di £1 = $1,63 vigente al tempo, il prezzo del Big Mac ammontava dunque a
$3,89, appena il 4% in meno rispetto agli Stati Uniti: in altre
parole, la sterlina era sottovalutata solo del 4%. Per assicurare la parità dei poteri di acquisto, il tasso di cambio avrebbe
dovuto attestarsi a £1 = $1,70 (tra $1,70 e $1,63 intercorre una
differenza del 4%). Tre anni prima, il Big Mac report aveva
stimato che la sterlina era sopravvalutata del 28%.
In generale, le valute dei paesi più ricchi appaiono sopravvalutate e quelle delle nazioni più povere (eccezion fatta per
Brasile e Argentina) sottovalutate. La spiegazione sta nella
discrepanza tra i costi locali, quali affitti e salari, che sono
tendenzialmente più elevati nei paesi ricchi. Secondo David
Lo standard dell’hamburger.
Paese
India
Hong Kong
Cina
Thailandia
Malaysia
Taiwan
Indonesia
Russia
Messico
Filippine
Sud Africa
Polonia
Corea del Sud
Singapore
Turchia
Regno unito
Ungheria
Stati Unitia
Giappone
Argentina
Area dell’eurob
Australia
Canada
Brasile
Svezia
Svizzera
Norvegia
Nell’area dell’euro, nel luglio del 2011, un Big Mac costava in
media €3,44. Con un tasso di cambio di €1 = $1,43, il prezzo
medio di un Big Mac nell’eurozona ammontava a $4,93, a
indicare che l’euro risultava sopravvalutato del 21%.1
a
1 The Economist, 28 luglio 2011.
b
Prezzo in dollari
del Big Mac al
tasso di cambio
corrente
1,89
1,94
2,27
2,35
2,42
2,60
2,64
2,70
2,74
2,78
2,87
3,09
3,50
3,65
3,77
3,89
4,04
4,07
4,08
4,84
4,93
4,94
5,00
6,16
7,64
8,06
8,31
Sottovalutazione (–) o
sopravvalutazione (+)
rispetto al dollaro
–53
–52
–44
–44
–40
–36
–35
–34
–33
–32
–29
–24
–14
–10
–7
–4
–1
0
0
19
21
22
23
52
88
98
104
Media di New York, Chicago, San Francisco e Atlanta.
Media ponderata degli Stati membri.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 59
[...] ci si aspetterebbe che i prezzi medi siano più bassi nei
paesi poveri che in quelli ricchi, perché i costi del lavoro sono
inferiori. Questo è il principio di fondo dell’“effetto BalassaSamuelson”. I paesi ricchi vantano una maggiore produttività
e dunque salari più alti nel settore dei prodotti oggetto di
scambio rispetto alle nazioni più povere. Poiché le imprese
competono per la manodopera, i salari vengono spinti al rialzo anche nei comparti dei beni e dei servizi esclusi dagli
scambi, dove il vantaggio di produttività dei paesi ricchi è
minore.2
1 “Prism into the PPP Puzzles: The Micro-foundations of
Big Mac Real Exchange Rates”, ottobre 2004. Disponibile
all’indirizzo
www2.owen.vanderbilt.edu/david.parsley/
publications.htm.
2 The Economist, 28 luglio 2011.
isce ancora una volta ad attenuare l’effetto negativo della
recessione mondiale.
I tassi di cambio fluttuanti, dunque, contribuiscono a
isolare l’economia nazionale dal ciclo economico mondiale.
La traiettoria verso l’equilibrio
di lungo periodo
Se si verifica un singolo shock e l’economia è inizialmente caratterizzata da un equilibrio interno e da uno
esterno in senso stretto (cioè il conto corrente è in pareggio), presto o tardi i due equilibri vengono ripristinati. In
particolare, il conto corrente viene riportato in pareggio
da una variazione del tasso di cambio, che ristabilisce la
parità dei poteri di acquisto. Questa dinamica è illustrata
nella Figura 24.7.
Ipotizziamo che il paese registri lo stesso tasso di
inflazione a lungo termine dei suoi partner commerciali,
e quindi che il tasso di cambio nominale segua lo stesso
andamento di quello reale. Immaginiamo anche che non
vi siano cambiamenti di lungo periodo tali da provocare
un apprezzamento o un deprezzamento e che, di conseguenza, il tasso di cambio di equilibrio di lungo termine
resti costante nel tempo, come rappresentato dalla retta
orizzontale in corrispondenza di erL.
Supponiamo ora che al tempo t1 si verifichi un’espansione della domanda aggregata e dunque un
aumento dei tassi di interesse. Al crescere della domanda
di importazioni, il conto corrente va in disavanzo. L’in-
Inoltre, i tassi di cambio posso differire dai rispettivi valori
a parità dei poteri di acquisto a causa dei fattori che influenzano il conto finanziario della bilancia dei pagamenti, quali
i differenziali effettivi e attesi dei tassi di interesse, le prospettive di investimento e la speculazione sull’andamento
del tasso di cambio. Un esempio viene dal Brasile. Il Big
Mac report del luglio 2010 osservava:
Il real brasiliano è una delle poche valute dei mercati emergenti che quota nettamente al di sopra del benchmark del Big
Mac. Con i suoi tassi di interesse elevati – il tasso ufficiale si
attesta attualmente al 10,75% – il Brasile ha attirato notevole
attenzione dagli investitori alla ricerca di ottimi rendimenti.
Lo “standard dell’hamburger” suggerisce che il real sia sopravvalutato del 31,4%.3
Pertanto, nonostante i suoi limiti, l’indice del Big Mac fornisce qualche indicazione utile sul fatto che una valuta sia
sopravvalutata o sottovalutata rispetto al livello di equilibrio di lungo periodo.
3 The Economist, 22 luglio 2010.
cremento dei tassi di interesse, tuttavia, provoca un
aumento dei flussi finanziari in entrata e un apprezzamento immediato del tasso di cambio a er1. Successivamente, però, il tasso di cambio diminuisce gradualmente, riportandosi al livello di lungo periodo, poiché
gli alti tassi di interesse raffreddano la domanda aggregata e quindi tornano a diminuire.
Il livello di er1 deve essere tale da contemperare il
guadagno derivante dall’aumento dei tassi di interesse
con le aspettative di un nuovo deprezzamento del tasso
di cambio, che presto o tardi tornerà al livello di equilibrio erL. Per esempio, se i tassi di interesse aumentano
dell’1%, il tasso di cambio deve apprezzarsi a un livello
Figura 24.7 La traiettoria del tasso di cambio verso
un equilibrio di lungo periodo dopo uno shock al tempo t1.
Tasso di cambio nominale
Parsley della Vanderbilt University e Shang-Jin Wei del
Fondo monetario internazionale, i fattori di produzione
esclusi dagli scambi internazionali, come il lavoro, gli immobili in locazione e l’elettricità, rappresentano tra il 55% e
il 64% del prezzo di un Big Mac.1
Dati i salari e i canoni di locazione più contenuti,
er1
Traiettoria
del tasso di cambio
erL
O
t1
t2
Tempo
60 Parte G – L’economia mondiale
BOX 24.4
Analisi di casi e applicazioni
L’andamento altalenante del tasso di cambio euro/dollaro
Alti e bassi nel mercato valutario
Vi sono periodi durante i quali i mercati valutari internazionali presentano un andamento relativamente tranquillo, con
variazioni modeste dei tassi di cambio. Ma con la loro capacità di trasferire molto rapidamente ingenti somme di denaro da una parte all’altra del mondo, convertendole da una
valuta a un’altra, gli speculatori possono scatenare improvvisamente una forte turbolenza in questo mondo relativamente tranquillo, arrecando notevoli danni alle imprese. In
questo box esaminiamo le oscillazioni più pronunciate registrate dall’euro rispetto al dollaro fin dall’introduzione della
moneta unica nel 1999.
Prima il ribasso...
L’euro fu introdotto il 1° gennaio 1999 a un tasso di cambio
di €1 = $1,16, ma già nell’ottobre del 2000 la valuta europea
era scesa $0,85. La causa principale di questo deprezzamento del 27% fu il crescente timore di un aumento delle pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti, che avrebbe indotto
la Federal Reserve Bank (la banca centrale statunitense) a
innalzare i tassi di interesse. Al contempo, l’economia
dell’area dell’euro cresceva piuttosto lentamente e l’inflazione era nettamente inferiore al tetto del 2% fissato dalla
BCE, che era dunque chiamata a ridurre i tassi di interesse.
Gli speculatori avevano visto giusto. Come mostra il diagramma, i tassi di interesse statunitensi aumentarono e quelli della BCE inizialmente diminuirono, e, quando infine
tornarono ad aumentare (nell’ottobre del 1999), il differenziale tra i tassi dei due paesi presto si ampliò nuovamente.
Oltre alle differenze tra i tassi di interesse, la mancanza di
fiducia nella ripresa dell’economia dell’eurozona e il persistente ottimismo sull’andamento dell’economia statunitense
incoraggiarono un afflusso di investimenti verso gli Stati
Uniti. Questo flusso di capitali (e la carenza di flussi verso
l’area dell’euro) spinsero ulteriormente al rialzo il dollaro
rispetto all’euro.
La debolezza della moneta europea provocò anche il rafforzamento della sterlina rispetto all’euro, che causò non poche difficoltà alle imprese del Regno Unito che esportavano
verso i paesi dell’area dell’euro e anche a quelle in concorrenza con le importazioni provenienti dall’eurozona (che
erano diventate meno care in virtù del deprezzamento
dell’euro).
Nell’ottobre del 2000, quando l’euro quotava a circa $0,85,
la BCE, la Federal Reserve, la Banca d’Inghilterra e la Banca del Giappone attuarono un intervento congiunto nel mercato dei cambi, acquistando euro. Questa operazione frenò
la caduta e contribuì a ripristinare la fiducia nella valuta
europea.
... poi il rialzo
Nel 2010 il quadro cambiò completamente. Con l’economia
statunitense in rapido rallentamento e i timori di una recessione imminente, la Federal Reserve ridusse i tassi di interesse ben 11 volte durante l’anno, portandoli dal 6,5% all’inizio del 2001 all’1,75 (vedi grafico). Anche la BCE tagliò i
tassi di interesse ma in misura relativamente modesta, riducendoli dal 4,75 al 3,25% durante il 2010. Siccome i tassi di
interesse dell’area dell’euro erano nettamente superiori a
quelli statunitensi, la valuta europea iniziò ad apprezzarsi.
Come se non bastasse, gli investitori esteri erano riluttanti a
investire nell’economia statunitense, a causa dell’ingente disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti e di un disavanzo di bilancio prossimo al 4% del PIL. Anzi, si può affermare che gli investitori iniziarono a ritirarsi dagli Stati Uniti.
Secondo una stima, durante il 2002 i soli investitori europei
vendettero attività statunitensi per un controvalore di 70 miliardi di dollari. Il risultato fu un pronunciato deprezzamento del dollaro e un marcato apprezzamento dell’euro, tanto
che nel dicembre 2004 il tasso di cambio era salito a €1 =
$1,36, in rialzo del 60% rispetto al giugno del 2001.
Nel 2004–2005, poiché l’economia statunitense aveva ripreso a crescere in modo sostenuto, la Fed innalzò i tassi di interesse a più riprese, portandoli dall’1% ai primi del 2004 al
5,25% nel giugno del 2006. La BCE, invece, mantenne i tassi di interesse fissi al 2% fino all’inizio del 2006. Di conseguenza, nel 2005 l’euro perse terreno rispetto al dollaro, ma
poi tornò a rafforzarsi quando la crescita statunitense cominciò a rallentare e quella dell’eurozona ad accelerare, e molti
iniziarono ad attendersi una riduzione del differenziale tra i
tassi di interesse degli Stati Uniti e dell’area dell’euro.
Nel 2007–2008, i timori per la rarefazione del credito negli
Stati Uniti indussero la Fed a ridurre i tassi di interesse per
scongiurare una recessione. Nell’agosto del 2007 il tasso sui
fondi federali negli Stati Uniti era pari al 5,25%; da quel
momento venne ridotto a più riprese, fino ad attestarsi tra lo
0 e lo 0,25% nel dicembre del 2008. La BCE, invece, mantenne il tasso di interesse dell’area dell’euro al 4% durante
la prima parte di questo periodo, arrivando persino a innalzarlo temporaneamente al 4,25% a seguito di un brusco rincaro delle materie prime. Di conseguenza, nell’eurozona si
verificò un afflusso di capitali a breve termine che causò un
nuovo apprezzamento dell’euro, da $1,37 a metà del 2007 a
$1,58 a metà del 2008.
... e poi un nuovo ribasso
La valuta europea iniziò finalmente deprezzarsi nel settembre 2008, quando l’area dell’euro si trovava sull’orlo della
recessione e molti prevedevano che la BCE avrebbe ridotto
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 61
i tassi di interesse. La tendenza al ribasso continuò anche
quando la Banca centrale europea procedette ad abbassare i
tassi. Tuttavia, dal momento che la politica monetaria
nell’eurozona restava più restrittiva di quella statunitense,
l’euro tornò ad apprezzarsi, per indebolirsi ancora una volta
alla fine del 2009 e nel 2010, allorché la crescita statunitense accelerò e gli speculatori iniziarono ad attendersi un inasprimento monetario da parte della Fed.
Il 2010 fu contrassegnato dall’emergere di timori per i livelli dei disavanzi di bilancio e del debito pubblico in diversi
paesi dell’eurozona. Al crescere delle apprensioni per il rischio di insolvenza, l’euro cominciò a deprezzarsi poiché
gli investitori divennero sempre più riluttanti a detenere la
valuta europea. Nel maggio di quell’anno la Grecia ottenne
un prestito da 120 miliardi di euro su tre anni da parte del
Fondo monetario internazionale e dei paesi dell’eurozona.
Alla fine di maggio, il valore dell’euro era sceso a $1,22 a
fronte di un tasso di cambio di €1 = $1,44 registrato all’inizio dell’anno, subendo dunque un deprezzamento del 15%.
L’andamento altalenante era destinato a continuare. Durante la metà del 2010 l’euro si rafforzò ancora, salendo a $1,39
a fine ottobre. L’apprezzamento fu dovuto in parte all’accordo sul futuro meccanismo di finanziamento raggiunto dagli
stati membri dell’Unione europea per aiutare i paesi dell’eurozona che si trovassero in difficoltà economiche. Il meccanismo di finanziamento sarebbe stato integrato da prestiti
dell’FMI. Alla fine di novembre, l’Irlanda aveva pattuito un
pacchetto di salvataggio da 100 miliardi di euro con l’UE e
l’FMI. La fiducia degli investitori fu nuovamente scossa e
l’euro chiuse il mese di novembre in calo del 6% rispetto al
dollaro.
L’esperienza dell’euro mostra chiaramente che la volatilità
dei tassi di interesse e i differenziali di interesse tra gli Stati Uniti e l’eurozona sono stati sistematicamente un importante fattore determinante della volatilità del tasso di cambio euro/dollaro, a cui però hanno contribuito di recente
anche i timori per i livelli dei disavanzi di bilancio e del
debito pubblico.
Fluttuazioni del tasso di cambio euro/dollaro.
1,60
USD/ EUR
Tasso di interesse
della Fed
1,50
6
1,40
USD/EUR
1,30
4
1,20
3
1,10
2
Tasso di interesse
della BCE
1,00
1
0,90
0,80
1999
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
tale da indurre gli individui ad attendersi che diminuirà
dell’1% all’anno. Solo così si arresteranno i flussi finanziari in entrata nel paese.
Speculazione
Le economie del mondo reale sono continuamente
colpite da shock. Inoltre, sussiste una notevole
incertezza sul futuro andamento dei tassi di cambio.
IC 10
p61
Tasso di interesse
5
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Come se non bastasse, a complicare la situazione contribuiscono le attività degli speculatori. Non appena si prevede una variazione del tasso di cambio, questi operatori
acquistano o vendono valuta.
Supponiamo, per esempio, che l’inflazione aumenti
fino a superare i tassi internazionali, ma che i tassi di
interesse restino invariati. Questo provoca un calo della
domanda di importazioni e dunque della domanda di
valuta nazionale (ipotizzando un’elasticità della
62 Parte G – L’economia mondiale
domanda al prezzo maggiore di 1), nonché un aumento
della domanda di importazioni e dell’offerta di valuta
nazionale. Questo processo è illustrato nelle Figure 24.8
e 24.9. Il tasso di cambio si deprezza da er1 a er2; gli speculatori, notando l’indebolimento della valuta, possono
reagire in due modi diversi, mettendo in atto una speculazione stabilizzante o destabilizzante.
Speculazione stabilizzante
IC 10 La speculazione ha effetti stabilizzanti quando gli
p61 speculatori ritengono che un’eventuale variazione
del tasso di cambio sarà presto compensata da una di
segno opposto.
Nel nostro esempio, gli speculatori potrebbero attendersi che la banca centrale innalzi i tassi di interesse o
prenda altri provvedimenti per ridurre l’inflazione; di
conseguenza, in previsione di un futuro apprezzamento
del tasso di cambio, incrementeranno gli acquisti e ridurranno le vendite della valuta che potrebbe rafforzarsi.
Ma queste operazioni speculative provocano proprio
l’apprezzamento che gli speculatori avevano previsto.
Esaminiamo la Figura 24.8. L’inflazione provoca
uno spostamento delle curve di domanda e offerta,
rispettivamente, da D1 a D2 e da O1 a O2, e dunque un
deprezzamento del tasso di cambio da er1 a er2. Successivamente, la speculazione stabilizzante riporta le curve
verso le posizioni originarie, rispettivamente in D3 e O3,
e il tasso di cambio aumenta nuovamente a er3.
In questo caso le azioni degli speculatori impediscono dunque fluttuazioni troppo pronunciate dei tassi di
cambio. In generale, la speculazione ha effetti stabilizzanti ogniqualvolta gli speculatori ritengono che il tasso
di cambio abbia reagito in misura eccessiva alla situazione economica corrente.
Figura 24.8 Speculazione stabilizzante.
Speculazione destabilizzante
IC 32 La speculazione ha un impatto destabilizzante
p338 quando gli speculatori ritengono che le variazioni
del tasso di cambio proseguiranno nella stessa direzione.
Nel nostro esempio, gli speculatori potrebbero convincersi che l’inflazione non verrà riportata sotto controllo. Prevedendo un continuo deprezzamento del tasso
di cambio, iniziano a vendere subito, prima che la valuta
si indebolisca ulteriormente. Nella Figura 24.9, queste
operazioni speculative provocano un ulteriore spostamento delle curve di domanda e offerta di valuta, verso
D3 e O3, e un ulteriore deprezzamento del tasso di cambio a er3.
Alla fine, tuttavia, questa speculazione destabilizzante può provocare una iperreazione del tasso di cambio, che scende nettamente al di sotto del livello che
garantisce la parità dei poteri di acquisto. A questo punto
gli speculatori, prevedendo che il cambio tornerà ad
apprezzarsi, iniziano ad acquistare nuovamente valuta, e
il tasso di cambio effettivamente aumenta.
Ovviamente, i governi preferiscono la speculazione
stabilizzante a quella destabilizzante. Quest’ultima può
causare gravi fluttuazioni dei tassi di cambio, alimentando un’incertezza dannosa per i commerci. È molto
PAROLE CHIAVE
Iperreazione del tasso di cambio Fenomeno per cui
un aumento (o una diminuzione) del tasso di cambio di
equilibrio di lungo periodo provoca un aumento (o una
diminuzione) ancora maggiore del tasso di cambio
effettivo, prima che questo faccia ritorno al nuovo livello di
equilibrio di lungo periodo.
Figura 24.9 Speculazione destabilizzante.
Gli speculatori ritengono che la variazione
del tasso di cambio sia indicativa di una tendenza
Gli speculatori ritengono che la variazione
del tasso di cambiosia solo temporanea
O3
er1
er3
er2
O2
O3
er1
er2
er3
D2
O
O1
O2
Tasso di cambio
Tasso di cambio
O1
Quantità di valuta
D3
D1
D3
O
Quantità di valuta
D2
D1
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 63
importante, quindi, che i governi creino un clima di fiducia. Gli individui devono credere che le autorità saranno
in grado di prevenire l’insorgere di una crisi economica.
Conclusione
Le azioni degli speculatori contribuiscono a provocare
proprio le variazioni dei tassi di cambio che essi avevano
previsto: se si attendono un deprezzamento dell’euro
rispetto alla sterlina, vendono euro provocando un indebolimento della valuta europea. Da queste operazioni gli
speculatori nel complesso traggono un guadagno, a prescindere dal fatto che la speculazione sia stabilizzante o
destabilizzante.
Vantaggi dei tassi di cambio
liberamente fluttuanti
I vantaggi e gli svantaggi dei tassi di cambio liberamente
fluttuanti sono in larga misura di segno opposto a quelli
associati ai tassi di cambio fissi.
Correzione automatica. Anziché intervenire
nel mercato valutario, il governo lascia che il tasso
di cambio si aggiusti liberamente verso l’equilibrio. In
questo modo, gli squilibri della bilancia dei pagamenti
vengono corretti in maniera automatica e istantanea
senza la necessità di specifiche politiche pubbliche, che
in un regime dei cambi differente potrebbero essere
gestite incorrettamente.
CF 4
p38
Nessun problema di liquidità internazionale e di
riserve. Poiché la banca centrale non interviene nel
mercato dei cambi, non è necessario detenere riserve.
Una valuta è automaticamente convertibile in un’altra al
tasso di cambio di mercato vigente, in modo da finanziare il commercio internazionale.
Isolamento dagli eventi economici esterni. Un
paese non è vincolato a un tasso di inflazione internazionale magari eccessivamente elevato e può scegliere liberamente il proprio obiettivo di inflazione. Inoltre, il
paese è protetto in qualche misura dalle fluttuazioni e
dagli shock economici mondiali, a cui abbiamo accennato all’inizio del paragrafo.
Libertà di scegliere le politiche economiche
interne. In un regime di cambi fissi, un governo
potrebbe essere costretto a deflazionare l’economia pur
in presenza di un’elevata disoccupazione. In un regime
di cambi fluttuanti, invece, il governo può scegliere il
livello di domanda interna che ritiene più opportuno e
lasciare che eventuali squilibri della bilancia dei paga-
menti siano corretti dalle fluttuazioni del tasso di cambio. Questo è un vantaggio non da poco, soprattutto se
l’efficacia della deflazione è smorzata dalla vischiosità
al ribasso di prezzi e salari e se i paesi adottano strategie
di deflazione competitiva che possono sfociare in una
recessione mondiale.
Svantaggi dei tassi di cambio
liberamente fluttuanti
Nonostante questi vantaggi, i tassi di cambio liberamente fluttuanti comportano alcuni gravi problemi.
Speculazione. La volatilità di breve periodo può
essere attenuata dagli effetti stabilizzanti della
speculazione, che risulta così vantaggiosa. Se, per via di
una domanda anelastica nel breve periodo, un disavanzo
causa un forte deprezzamento, gli speculatori acquistano la valuta nazionale, sapendo che nel lungo periodo
il tasso di cambio tornerà ad apprezzarsi. Le loro azioni
contribuiscono dunque ad attutire il calo del tasso di
cambio nel breve termine.
IC 32 Nondimeno, in un mondo caratterizzato da incerp338 tezza, in cui esistono poche restrizioni alla speculazione valutaria, le sorti e le politiche dei governi possono cambiare rapidamente ed enormi volumi di depositi
a breve termine si muovono liberamente da un paese
all’altro, la speculazione può avere un impatto fortemente destabilizzante nel breve periodo, provocando
una marcata iperreazione dei tassi di cambio.
La persistenza delle fluttuazioni valutarie nell’arco
di diversi anni tende a incoraggiare la crescita di posizioni valutarie speculative, che possono provocare a loro
volta oscillazioni ancora più marcate dei tassi di cambio.
IC 10
p61
Incertezza per gli operatori commerciali e
gli speculatori. L’incertezza causata dalle fluttuazioni valutarie può scoraggiare i commerci e gli investimenti internazionali. In una certa misura, il problema
può essere risolto facendo ricorso al mercato a termine
dei cambi. In questo caso gli operatori commerciali pattuiscono oggi con una banca un tasso di cambio da applicarsi a una data futura (poniamo, tra sei mesi). In tal
modo, le imprese possono pianificare l’acquisto futuro
IC 11
p66
PAROLE CHIAVE
Mercato a termine dei cambi Mercato nel quale si
stipulano contratti per la compravendita di valuta a una
data futura e a un prezzo prestabilito alla data di
negoziazione.
64 Parte G – L’economia mondiale
BOX 24.5
Esplorare l’economia
L’efficacia delle politiche fiscali e monetarie in un regime di cambi fluttuanti
In un regime di cambi fluttuanti la politica monetaria è efficace mentre la politica fiscale è più debole (l’esatto contrario di quanto accade in un sistema di cambi fissi).
La politica monetaria
Supponiamo che l’economia sia in recessione e che la banca
centrale, nel desiderio di espandere la domanda aggregata,
innalzi i tassi di interesse. Questo provvedimento produce
tre effetti, ciascuno dei quali contribuisce all’efficacia della
politica monetaria.
1. La politica monetaria espansiva accresce direttamente
la domanda aggregata. La portata di questo effetto dipende dall’entità della variazione dei tassi di interesse e
dall’elasticità della domanda aggregata a fronte dell’aumento dei tassi.
2. Il tasso di cambio si deprezza. L’espansione della domanda aggregata provoca un aumento delle importazioni e (attraverso l’incremento dei prezzi) un calo delle
esportazioni. Di conseguenza, nonché a seguito della
riduzione dei tassi di interesse, si registra una diminuzione della domanda e un aumento dell’offerta di valuta
nazionale nel mercato dei cambi. Il tasso di cambio pertanto si deprezza.
L’indebolimento della valuta favorisce l’ulteriore espansione della domanda aggregata. La riduzione del tasso
di cambio rende le esportazioni ancora meno costose e
dunque ne alimenta la domanda (un’immissione). Le
importazioni subiscono un altro rincaro e quindi la loro
domanda diminuisce (un ritiro). Si registra dunque un
ulteriore incremento multiplo del reddito nazionale.
3. La speculazione può causare inizialmente un’iperreazione del tasso di cambio. Il calo dei tassi di interesse
provoca deflussi finanziari speculativi in previsione del
deprezzamento. Pertanto, il tasso di cambio scende di
di beni di importazione o la vendita futura di prodotti da
esportazione a un tasso di cambio noto. Le banche,
ovviamente, richiedono una commissione per questo
servizio, perché assumono su di sé il rischio di una variazione sfavorevole del tasso di cambio.
Queste operazioni, tuttavia, non sono risolutive per
chi effettua investimenti a lungo termine, prendendo
decisioni sulla base di flussi previsti di costi e ricavi su
un orizzonte di molti anni. La possibilità di un apprezzamento del tasso di cambio potrebbe persino scoraggiare
le imprese dall’investire all’estero.
sotto al livello di equilibrio, con un’iperreazione che
causa un ulteriore aumento della domanda aggregata.
Ma questo è solo un effetto di breve periodo, poiché gli
speculatori smettono di vendere la valuta non appena il
tasso di cambio raggiunge un livello talmente basso da
generare aspettative di un apprezzamento (che lo riporti
in linea con la parità dei poteri di acquisto) abbastanza
rapido da controbilanciare i tassi di interesse attualmente ottenuti dagli speculatori stessi. Quanto maggiore è la
mobilità dei capitali internazionali e quanto migliori
sono le informazioni di cui gli speculatori dispongono,
tanto più corto è il breve periodo.
La politica fiscale
In un regime di cambi fluttuanti la politica fiscale è relativamente inefficace. Ipotizziamo ancora una volta che l’obiettivo sia espandere la domanda aggregata per contrastare
una recessione; il governo dunque riduce le imposte e/o aumenta la spesa pubblica. L’espansione della domanda aggregata stimola la spesa per importazioni e (attraverso l’aumento dei prezzi) raffredda la domanda di esportazioni. Questo
effetto sul conto corrente della bilancia dei pagamenti spinge al ribasso il tasso di cambio.
All’aumentare della domanda aggregata, tuttavia, si registra
un’espansione della domanda di moneta a scopi transazionali e dunque un aumento dei tassi di interesse, che attira un
afflusso di capitali nel paese. Si genera così una spinta al
rialzo sul tasso di cambio, che verosimilmente annulla la
pressione al ribasso derivante dal disavanzo del conto corrente. La valuta nazionale pertanto si apprezza, alimentando la domanda di importazioni e disincentivando le esportazioni. Si produce così una nuova contrazione della
domanda aggregata, che va ad attenuare l’efficacia dell’espansione fiscale.
Scarsa disciplina economica a livello nazionale. I
governi possono perseguire politiche inflazionistiche
irresponsabili. Analogamente, imprese e sindacati possono spingere al rialzo prezzi e salari, senza lo stesso
timore di perdere quote di mercato all’estero o che il
governo introduca politiche deflazionistiche. Il deprezzamento risultante da questa inflazione alimenta a sua
volta la spirale inflazionistica, innalzando il prezzo delle
importazioni.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 65
Conclusione
Né i tassi di cambio fissi né quelli liberamente fluttuanti
sono esenti da problemi. Per questa ragione, i governi
cercano spesso un compromesso tra i due, nella speranza
che un sistema intermedio possa arrecare i benefici di
entrambi, evitando al contempo la maggior parte degli
svantaggi.
Una di queste soluzioni di compromesso – la parità
mobile – venne adottata dopo la Seconda guerra mondiale. Un altro il sistema intermedio – quello della fluttuazione manovrata – fu introdotto negli anni Settanta
per sostituire la parità variabile ed è in vigore ancora
oggi in gran parte del mondo. Esaminiamo questi due
sistemi nel prossimo paragrafo.
24.4 I sistemi dei tassi di cambio nella realtà
Il sistema delle parità mobili: 1945–1973
Dopo il crollo del sistema monetario aureo – un regime
di cambi fissi – nel 1931 (vedi Paragrafo 15.2), gli
enormi squilibri iniziali provocarono forti oscillazioni
dei tassi di cambio. Molti paesi ricorsero allora a misure
protezionistiche, considerate le notevoli incertezze associate al libero scambio in un regime di cambi fluttuanti.
Il sistema di Bretton Woods
Nel 1944 le potenze alleate si riunirono a Bretton Woods,
negli Stati Uniti, per elaborare un nuovo sistema dei tassi
di cambio in grado di scongiurare il caos degli anni
Trenta e promuovere il libero scambio, evitando al contempo la rigidità del sistema monetario aureo. La soluzione di compromesso a cui pervennero era un sistema
di parità mobili che rimase in vigore fino al 1971.
Nel sistema di Bretton Woods il valore del dollaro
era stabilmente ancorato a quello dell’oro (a un tasso di
cambio di $35 all’oncia). Gli Stati Uniti garantivano la
libera conversione dei dollari in oro, nella speranza che
questo avrebbe incoraggiato i paesi a detenere la maggior parte delle loro riserve in dollari. Dopo tutto, se la
valuta statunitense era liberamente convertibile in oro,
era del tutto equivalente a quest’ultimo. Tutti gli altri
paesi ancoravano il proprio tasso di cambio al dollaro.
Per impedire fluttuazioni temporanee dei tassi di
cambio, le banche centrali intervenivano nei mercati
valutari attingendo alle proprie riserve. In tal modo,
potevano mantenere i tassi di cambio stabilizzati entro
una banda di fluttuazione del ±1%.
Se lo squilibrio si aggravava, i governi erano tenuti a
perseguire politiche di reflazione o di deflazione. Al contempo, nel caso di un disavanzo, una banca centrale
poteva ritrovarsi con riserve insufficienti per sostenere il
tasso di cambio. Il Fondo monetario internazionale
(FMI) venne istituito con il mandato di fornire tale liquidità. Tutti i paesi erano obbligati a depositare una quota
di fondi presso l’FMI, a seconda dei volumi dei loro
scambi internazionali; l’FMI quindi erogava prestiti ai
paesi con un disavanzo della bilancia dei pagamenti, per
metterli in condizione di difendere il valore del cambio.
Quanto più un paese era costretto a indebitarsi presso
l’FMI, tanto più quest’ultimo insisteva che il governo
adottasse politiche deflazionistiche atte a correggere lo
squilibrio.
Nel caso di un disavanzo molto pronunciato, un
paese poteva attuare una svalutazione, rivedendo al
ribasso il proprio tasso di cambio (in consultazione con
l’FMI).
I fautori di un sistema di parità mobile sostengono
che gli accordi di Bretton Woods diedero un apporto
significativo al prolungato boom economico degli anni
Cinquanta e Sessanta.
• Poiché i tassi restavano fissi per un lungo periodo di
tempo – anche per molti anni – l’incertezza era notevolmente ridotta e i commerci venivano incoraggiati.
• I tassi fissi e il ruolo di vigilanza dell’FMI impedivano ai governi di perseguire politiche irresponsabili
e favorivano un’armonizzazione internazionale delle
politiche economiche, mantenendo l’inflazione sotto
controllo.
• In presenza di un disavanzo pronunciato e persistente, un paese poteva svalutare la propria valuta,
evitando di far piombare la propria economia in
recessione o di dovere adottare misure protezionistiche. L’FMI garantiva che il processo di svalutazione
si svolgesse in maniera ordinata.
Tuttavia, il sistema presentava due gravi debolezze, che
divennero sempre più evidenti negli anni Sessanta, provocando infine il crollo del sistema stesso.
PAROLE CHIAVE
Sistema di Bretton Woods Sistema di parità mobili nel
quale le valute erano ancorate al dollaro statunitense. Gli
Stati Uniti mantenevano la convertibilità del dollaro in oro
al tasso di $35 all’oncia.
66 Parte G – L’economia mondiale
Problemi nella correzione degli squilibri
della bilancia dei pagamenti
Per evitare che la politica interna fosse determinata
dall’andamento della bilancia dei pagamenti e che la
propria economia entrasse in recessione, i paesi con un
disavanzo strutturale potevano effettuare una svalutazione. Questo processo comportava però alcuni problemi.
• Capire se un disavanzo avesse natura strutturale. I
governi si mostravano spesso troppo ottimisti sul
futuro andamento della bilancia dei pagamenti.
• Una svalutazione poteva arrecare gravi danni alle
imprese. Una svalutazione altera in maniera improvvisa e consistente i costi e i ricavi di importatori ed
esportatori. Se ritenuta imminente, una svalutazione
può essere causa di grande incertezza e scoraggiare
le imprese dal prendere nuovi impegni commerciali.
• Inizialmente una svalutazione può aggravare il disavanzo del conto corrente, una dinamica nota come
effetto della curva a J. Le curve di domanda di
importazioni ed esportazioni potrebbero essere anelastiche al prezzo nel breve periodo. Subito dopo la
svalutazione, le esportazioni potrebbero registrare un
incremento moderato, mentre potrebbe aumentare
l’esborso per i beni di importazione che non hanno
sostituti immediati. Di conseguenza, il saldo commerciale potrebbe dapprima deteriorarsi, e successivamente iniziare a migliorare. Nella Figura 24.10, la
svalutazione ha luogo al tempo t1. Come si può
osservare, il tracciato nel diagramma ha la forma di
una lettera J.
Per queste ragioni, i paesi in disavanzo tendevano a
rimandare una svalutazione finché non erano costretti a
farlo dal sopraggiungere di una crisi. La riluttanza a svalutare causava poi altri problemi.
Politiche di freno e spinta. Per ovviare ai disavanzi, i paesi erano costretti fare maggiore assegnamento sulle politiche di deflazione. Per esempio,
ogni volta che la sua economia iniziava a crescere, il
Regno Unito si ritrovava con la bilancia dei pagamenti in
disavanzo. Questo costringeva il governo a raffreddare
nuovamente la domanda attraverso politiche fiscali e/o
monetarie restrittive.
IC 32
p338
Speculazione. Se i paesi tardavano a svalutare fino a
quando il disavanzo non diventava molto elevato, successivamente erano costretti a effettuare una svalutazione molto pronunciata. Ciò offriva agli speculatori una
ghiotta opportunità: non vi erano rischi di perdita, ma
solo probabilità di enormi guadagni.
Figura 24.10 Effetto della curva a J.
X–M
La svalutazione
ha luogo al tempo t1
Avanzo
0
Disavanzo
t1
Tempo
Ripercussioni negative ad ampio raggio. Il ritardo
nella svalutazione e l’accumularsi di pressioni speculative costringevano i governi, quando era il momento, a
svalutare notevolmente la valuta, con ripercussioni negative ad ampio raggio.
Sarebbe stato sicuramente più facile ridurre i disavanzi
ed effettuare i necessari aggiustamenti se i paesi in
avanzo fossero stati disposti a rivalutare. Nazioni come
il Giappone, però, facevano resistenza a questo genere di
manovra. La rivalutazione incontrava l’opposizione
degli esportatori (e dei produttori di beni sostituti delle
importazioni), la cui competitività sarebbe stata mezza a
repentaglio. Inoltre, i paesi in avanzo non erano soggetti
alle stesse pressioni che gravano sui quelli in disavanzo.
Un carenza di riserve può costringere un paese in disavanzo a effettuare una svalutazione; i paesi in avanzo,
invece, possono continuare tranquillamente ad accumulare riserve.
Gli Stati Uniti non erano autorizzati a svalutare in
caso di disavanzo. L’onere di rivalutare ricadeva invece
sugli altri paesi, che non erano disposti a farlo. Di conseguenza, gli Stati Uniti continuavano a registrare disavanzi elevati, che si dimostrarono problematici a causa
di un secondo importante fattore: quello della liquidità
internazionale.
Problemi di liquidità internazionale
e crollo del sistema
In un sistema di parità mobile, è necessario uno stock
sufficiente di valute o di altre attività liquide accettate a
PAROLE CHIAVE
Effetto della curva a J Effetto che si produce allorché
una svalutazione provoca dapprima un deterioramento
della bilancia dei pagamenti, quindi un miglioramento.
L’andamento della bilancia dei pagamenti nel tempo
somiglia dunque a una lettera J.
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 67
livello mondiale. Questa “liquidità internazionale” serve
sia a finanziare i commerci che a garantire alle banche
centrali riserve sufficienti per sostenere la propria divisa
in caso di un disavanzo del flusso di valuta. Nel sistema
di Bretton Woods esistevano tre fonti di liquidità principali: l’oro, il dollaro e le quote dell’FMI. Ma queste
ultime erano espresse nelle valute esistenti e non costituivano dunque una fonte di liquidità addizionale.
Al crescere degli scambi internazionali, gli avanzi e i
disavanzi tendevano ad aumentare, e dunque si rendevano necessarie ulteriori riserve. Ma lo stock di oro non
cresceva a un ritmo sufficiente, quindi i paesi detenevano
quantità sempre maggiori di dollari, i quali, dopo tutto,
fruttavano un interesse. La disponibilità a detenere dollari consentiva agli Stati Uniti di mantenere elevati disavanzi della bilancia dei pagamenti; per finanziare tali
disavanzi, infatti, il governo statunitense poteva limitarsi
a “stampare” nuovi dollari, che altri paesi erano pronti
ad accettare come riserve.
Negli anni Sessanta gli squilibri della bilancia dei
pagamenti degli Stati Uniti si aggravarono progressivamente, in particolare a causa delle ingenti spese belliche
sostenute per la guerra del Vietnam. Il massiccio deflusso
di dollari dagli USA causò una rapida espansione della
liquidità internazionale, alimentando l’inflazione mondiale. Inoltre, la crescita sostenuta delle posizioni in dollari detenute all’estero rendeva le riserve auree statunitensi sempre più inadeguate a garantire la conversione
dei dollari in oro. Alcuni paesi, temendo che gli Stati
Uniti sarebbero stati costretti a sospendere la convertibilità, decisero di scambiare i propri dollari in oro. Le
riserve auree degli Stati Uniti diminuirono, creando ulteriori squilibri e aggravando la crisi.
Nonostante i numerosi tentativi di salvataggio, il
sistema, che faceva un eccessivo assegnamento sul dollaro, a un certo punto crollò. Nel dicembre 1971 il dollaro venne svalutato dell’8% rispetto all’oro; nel giugno
1972 la sterlina fu lasciata libera di fluttuare, seguita
l’anno successivo dalle valute di altri paesi; e, nonostante una seconda svalutazione del dollaro, nel 1973 il
sistema venne definitivamente abbandonato. Già a metà
di quell’anno l’oro quotava a $120 all’oncia.
mondiali. Il nuovo sistema ha permesso di emancipare la
politica interna dai vincoli posti dalla bilancia dei pagamenti. Al contempo, è stato detto che la fluttuazione
manovrata avrebbe favorito un andamento più regolare
dei tassi di cambio, evitando idealmente eccessive fluttuazioni aggravate dalla speculazione.
Alcune valute minori restano ancorate (sia pure in un
regime di parità mobile) a importanti divise come il dollaro statunitense, ma fluttuano congiuntamente a queste
ultime rispetto ad altre valute. Altre divise sono ancorate
le une alle altre ma fluttuano insieme rispetto al resto
delle valute. L’esempio più illustre di quest’ultimo
sistema proviene dalle valute del meccanismo europeo
dei tassi di cambio (ERM) del Sistema monetario europeo (SME; vedi Paragrafo 25.2) e oggi appartenenti allo
SME2; si tratta principalmente delle divise dei nuovi
membri dell’UE, come gli Stati baltici, che sono in
attesa di aderire all’area dell’euro.
Alcuni paesi consentono alle proprie valute di fluttuare liberamente; la maggior parte delle nazioni, tuttavia, di tanto in tanto prova a stabilizzare il proprio tasso
di cambio, come prevede, appunto, un regime di “fluttuazione manovrata”.
La banca centrale di un paese che decide di adottare
un sistema di fluttuazione manovrata può ricorrere
essenzialmente a due metodi per impedire un deprezzamento del cambio:
• attingere alle riserve o contrarre un prestito all’estero
per acquistare la valuta nazionale nel mercato dei
cambi;
• aumentare i tassi di interesse per attrarre flussi finanziari a breve termine.
Fluttuazione manovrata
CF 6 Fin dalla disgregazione del sistema di Bretton
p45 Woods all’inizio degli anni Settanta, nel mondo
vige un sistema di fluttuazione manovrata. Questo
regime permette ai tassi di cambio di adeguarsi alle inevitabili variazioni della domanda e dell’offerta, variazioni che divennero estremamente pronunciate nei primi
anni Settanta con il quadruplicarsi del prezzo del petrolio e i rapidi cambiamenti della struttura dei commerci
Prevedere il tasso di cambio di equilibrio
di lungo periodo
Se i tassi di inflazione differiscono da un paese all’altro,
è necessaria una modifica del tasso di cambio per mantenere la parità dei poteri di acquisto. Tuttavia, non è
corretto ipotizzare che questa sia l’unica causa di una
variazione del tasso di cambio di equilibrio di lungo
periodo. Per esempio, le crisi petrolifere del 1973–1974
e del 1979–1980 provocarono cambiamenti strutturali e
Problemi associati alla fluttuazione
manovrata a partire dal 1972
La gestione dei tassi di cambio comporta però alcuni
problemi. I governi devono sapere quando intervenire,
qual è il livello del tasso di cambio che devono mirare a
mantenere e con quanta tenacia continuare a difendere il
cambio a fronte di pressioni speculative.
68 Parte G – L’economia mondiale
imprevedibili della domanda e dell’offerta di valute. Un
analogo effetto sortirono altri fattori, come lo smantellamento delle barriere commerciali all’interno dell’UE, le
politiche protezionistiche adottate in diverse parti del
mondo, il progresso tecnologico e i cambiamenti dei
gusti dei consumatori.
Pertanto, per un governo è molto difficile prevedere
l’equilibrio di lungo periodo, e dunque in che misura
ogni variazione del tasso di cambio sia dovuta a fenomeni di lungo oppure di breve termine.
La crescita dei flussi finanziari speculativi
IC 10 L’aumento dei prezzi del petrolio voluto dall’Op61 PEC nel 1973–1974 causò ingenti disavanzi della
bilancia dei pagamenti ai paesi importatori di petrolio. I
membri dell’OPEC, dal canto loro, non potevano spendere i consistenti avanzi per l’acquisto di maggiori
importazioni, perché (a) non avevano la capacità di consumare una quantità di beni nettamente superiore e (b)
perché i paesi importatori di petrolio non avevano la
capacità di soddisfare un enorme incremento della
domanda di esportazioni. Pertanto, gli avanzi della bilancia dei pagamenti furono investiti prevalentemente attività finanziarie a breve termine denominate in dollari
statunitensi (e, in misura minore, in altre importanti
valute). La banche occidentali si trovarono così con
un’ingente capacità di erogare prestiti a breve scadenza.
Questi fondi potevano essere rapidamente trasferiti da
una piazza finanziaria mondiale a un’altra, a seconda del
paese che offriva i tassi di interesse e i tassi di cambio
più favorevoli. Si creò così una massiccia capacità speculativa, che rese sempre più difficile per le banche centrali controllare i tassi di cambio unicamente attraverso
la compravendita di valuta.
Nel corso degli anni il volume dei flussi speculativi
ha continuato ad aumentare. Oggi nei maggior centri
finanziari internazionali transitano circa $4000 miliardi
al giorno. Le riserve e l’accesso ai prestiti esteri sono del
tutto inadeguati a contrastare le operazioni di vendita
speculativa concertate.
Pertanto, per gestire i tassi di cambio, le banche centrali devono fare maggiore assegnamento sulla leva dei
tassi di interesse.
Conflitti con la politica economica interna
IC 33 L’utilizzo dei tassi di interesse per sostenere il
p340 tasso di cambio è diventato via via più impopolare, poiché molti governi preferiscono agire sui tassi di
interesse per mantenere l’inflazione in linea con un
livello-obiettivo.
A causa di questi problemi, i paesi hanno sempre più
optato per un regime di cambi liberamente fluttuanti.
La volatilità dei tassi di cambio
I tassi di cambio sono diventati estremamente
volatili: le valute possono apprezzarsi o deprezzarsi di diversi punti percentuali nell’arco di pochi
giorni. Queste variazioni hanno un impatto considerevole sui risultati degli operatori commerciali, trasformando i profitti in perdite e viceversa. Tale volatilità è
dovuta a molteplici ragioni.
• Obiettivi di inflazione o di crescita monetaria. Le
banche centrali potrebbero essere costrette a variare
in misura sostanziale i tassi di interesse per rispettare
i target prefissati. Questo, sua volta, può causare fluttuazioni dei tassi di cambio.
• L’enorme crescita dei mercati finanziari internazionali che ha incoraggiato i movimenti internazionali
dei capitali e delle valute.
• L’abolizione dei controlli sui tassi di cambio nella
maggior parte dei paesi industrializzati.
• I progressi della tecnologia informatica. Con il semplice utilizzo di un personal computer, è possibile
effettuare in pochi secondi trasferimenti internazionali di capitali e di fondi.
• La preferenza per la liquidità. A fronte del pericolo
di fluttuazioni valutarie, le imprese preferiscono
tenere il proprio capitale finanziario nella forma più
liquida possibile, evitando di immobilizzare fondi in
attività denominate in una valuta in declino.
• Le crescenti attività speculative delle imprese commerciali. Molte grandi società sono dotate di team di
operatori finanziari incaricati di gestire le attività
liquide, convertendole da una valuta all’altra per
trarre vantaggio dall’andamento dei tassi di cambio.
• Le crescenti attività speculative delle banche e di
altre istituzioni finanziarie.
• La crescente convinzione che le voci di corridoio e i
comportamenti imitativi influiscano sulla compravendita di valute molto più di una razionale valutazione a lungo termine. Se gli individui credono che
la speculazione avrà probabilmente effetti destabilizzanti, le loro azioni faranno avverare questa previsione. Molte imprese commerciali e società finanziarie operanti nei mercati internazionali hanno
sviluppato una “mentalità speculativa”.
• La sempre maggiore convinzione che i governi siano
incapaci di impedire le fluttuazioni valutarie. Al crescere del volume dei “capitali vaganti” rispetto a
quello riserve ufficiali, per le banche centrali diventa
sempre più difficile stabilizzare le valute con un
intervento nel mercato dei cambi.
IC 32
p338
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 69
Per quanto i governi e le imprese, nella maggior parte
dei casi, non amino un’eccessiva volatilità dei tassi di
cambio, poche persone oggi auspicano un ritorno a un
sistema di cambi fissi oppure a un regime come quello di
Bretton Woods. Infatti, con l’eccezione degli stati del
Golfo, pochissimi paesi continuano ad ancorare le rispettive valute al dollaro statunitense. Persino la Cina, che
dal 1997 al 2005 ha mantenuto lo yuan ancorato al dollaro a un tasso di cambio di $1 = ¥8,27, è passata a un
regime di fluttuazione manovrata incentrato su una
media ponderata di un paniere di valute. Nella primavera
del 2011, lo yuan quotava a ¥6,5 sul dollaro, con un
apprezzamento del 21% rispetto al 2005.
Nonostante la maggior parte dei paesi prediliga i
tassi di cambio fluttuanti, sono state avanzate diverse
proposte per ridurre la volatilità. Ne esamineremo alcune
nel Capitolo 25.
I paragrafi in pillole
Paragrafo 24.1
1. Potrebbe insorgere un conflitto nel perseguimento simultaneo di obiettivi di politica economica interna ed estera.
La natura del conflitto dipende dal regime dei tassi di
cambio adottato dal paese.
2. Il tasso di cambio nominale è il rapporto di scambio di
una valuta con un’altra. Il tasso di cambio reale tiene
conto delle differenze tra i tassi di inflazione dei prezzi
delle importazioni e delle esportazioni e dà una misura
della competitività delle esportazioni di un paese.
3. In un regime di tassi di cambio fissi, la banca centrale
deve intervenire ogni qualvolta il tasso di cambio di
equilibrio cessa di coincidere con il tasso fisso. Se il
tasso di equilibrio scende sotto il tasso fisso, la banca
centrale deve acquistare valuta nazionale nel mercato
dei cambi, provocando una contrazione dell’offerta di
moneta. Analogamente, la vendita di valuta nazionale
volta a impedire un apprezzamento del cambio causa
un’espansione dell’offerta di moneta. Il governo può
“sterilizzare” tali variazioni dell’offerta di moneta avvalendosi di opportune operazioni di mercato aperto o altri
provvedimenti di politica monetaria. La sterilizzazione,
tuttavia, impedisce tendenzialmente di correggere lo
squilibrio.
4. Se in un regime di cambi fissi un disavanzo (o un avanzo)
si dimostra persistente, il governo può tentare di spostare
le curve di domanda e di offerta di valuta. Per ovviare a
un disavanzo, può adottare politiche monetarie o fiscali
restrittive. Queste ultime producono due effetti: una
deflazione provoca una diminuzione del reddito nazionale (effetto di reddito) e dunque un calo della domanda
di importazioni; inoltre, può causare un rallentamento
dell’inflazione e dunque una riallocazione della domanda dai beni di produzione estera ai beni di produzione
interna (effetto di sostituzione).
5. Il processo di correzione in un regime di cambi liberamente fluttuanti comporta parimenti un effetto di reddito
e un effetto di sostituzione. In presenza di un disavanzo,
il tasso di cambio si deprezza; di conseguenza, le importazioni diventano più onerose e le esportazioni meno
care, e si innesca un effetto di sostituzione in quanto le
importazioni diminuiscono e le importazioni aumentano.
6. L’effetto di reddito, tuttavia, riduce l’efficacia del
deprezzamento. L’aumento delle esportazioni e il calo
delle importazioni provocano un incremento multiplo
del reddito nazionale, che a sua volta spinge nuovamente
al rialzo le importazioni in una certa misura. Quanto
maggiore è tale effetto di reddito, tanto più pronunciato
è il deprezzamento necessario per ripristinare l’equilibrio
nel mercato dei cambi. Il processo di correzione risulta
ulteriormente ostacolato se un deprezzamento si traduce in un aumento dei prezzi nazionali e dunque in un
secondo effetto di sostituzione, questa volta di carattere
sfavorevole.
7. Esistono diversi regimi dei tassi di cambio intermedi tra i
due estremi dei tassi fissi e dei tassi liberamente fluttuanti. Il tasso di cambio può essere fissato per un periodo
di tempo (parità mobile); oppure può essere modificato
gradatamente (parità slittante); o, ancora, il governo può
intervenire unicamente per attenuare le fluttuazioni del
tasso di cambio (fluttuazione manovrata); oppure il tasso
di cambio può fluttuare entro una banda, che a sua volta
può essere fissa, mobile o slittante.
Paragrafo 24.2
*1. Ogni economia viene continuamente colpita da shock
macroeconomici. La possibilità di ripristinare un equilibrio interno ed esterno a seguito di uno shock in un
regime di cambi fissi dipende dalla flessibilità di prezzi
e salari e dal periodo di tempo considerato.
*2. Nel breve periodo i prezzi e i salari sono tendenzialmente rigidi. Se la domanda aggregata diminuisce, la
contrazione del reddito nazionale riduce la domanda
di importazioni, generando un avanzo di conto corrente. Il calo della domanda aggregata raffredda anche la
domanda di moneta ed esercita una pressione al ribasso
sui tassi di interesse, spingendo il conto finanziario in
avanzo. Quest’ultimo effetto può essere molto pronunciato, data l’elevata mobilità dei capitali internazionali. I
tassi di interesse sono dunque vincolati dalla necessità di
mantenere un pareggio tra i conto finanziario e il conto
corrente.
70 Parte G – L’economia mondiale
*3. Nel lungo periodo, grazie alla flessibilità di prezzi e
salari, il tasso di cambio reale può variare, contribuendo
a ripristinare l’equilibrio sia interno sia esterno.
4. Nel lungo periodo, in un regime di cambi fissi, uno squilibrio della bilancia dei pagamenti può essere causato
dalle differenze tra i tassi di inflazione e di crescita a
livello internazionale, dalle diverse elasticità al reddito
della domanda di importazioni ed esportazioni e da cambiamenti strutturali di lungo termine.
5. In un sistema di cambi fissi, la politica fiscale è tendenzialmente molto più efficace della politica monetaria.
6. I tassi di cambio fissi hanno il vantaggio di ridurre l’incertezza per le imprese, incoraggiando così i commerci e gli
investimenti internazionali. Inoltre, impediscono ai governi
di perseguire politiche macroeconomiche irresponsabili.
7. Secondo gli economisti neoclassici e keynesiani, però,
i tassi di cambio fissi presentano notevoli svantaggi. A
detta dei neoclassici, i cambi fissi rendono la politica
monetaria totalmente inefficace e inoltre entrano in
conflitto con il principio del libero mercato. I keynesiani
affermano che i tassi fissi possono condurre a notevoli
squilibri interni e forse a una recessione persistente; che
le strategie di deflazione competitiva possono generare
una depressione di portata mondiale; che potrebbero
sussistere problemi associati a una liquidità internazionale eccessiva o insufficiente; e che la valuta nazionale
potrebbe diventare oggetto di massicci attacchi speculativi, se prevale la convinzione che il tasso di cambio fisso
non potrà essere difeso a lungo.
Paragrafo 24.3
1. In un sistema di cambi liberamente fluttuanti, la bilancia dei pagamenti viene automaticamente mantenuta
in pareggio dalle variazioni del tasso di cambio. In tal
modo, i vincoli imposti dalla bilancia dei pagamenti
sulla politica interna vengono meno, anche se persistono
vincoli esterni di altra natura.
2. Secondo la teoria della parità dei poteri di acquisto, ogni
variazione dei prezzi interni si traduce semplicemente
in una variazione equivalente del tasso di cambio, che
lascia immutata la competitività dei beni di produzione
nazionale. Se però uno shock interno causa un aumento o
una diminuzione dei tassi di interesse, il conto finanziario registra un avanzo o un disavanzo, alterando il tasso
di cambio e facendo venir meno la parità dei poteri di
acquisto. Anche il saldo del conto corrente subisce una
variazione (della stessa entità e di segno opposto rispetto
a quella del conto finanziario).
3. Questo problema può essere acuito dalle operazioni di
carry trade, con cui gli investitori contraggono prestiti
nei paesi con bassi tassi di interesse (avanzo di conto corrente), depositando l’importo nei paesi dove vigono tassi
più elevati (disavanzo di conto corrente). Tali operazioni
provocano un apprezzamento del tasso di cambio dei
paesi in disavanzo e dunque un ulteriore deterioramento
del saldo corrente.
4. Gli shock esterni vengono assorbiti da variazioni dei
tassi di cambio che contribuiscono a isolare l’economia
interna dalle fluttuazioni economiche internazionali.
5. L’andamento dei tassi di cambio è fortemente influenzato dalla speculazione. Se gli speculatori ritengono che
un apprezzamento o deprezzamento sia solo temporaneo,
le loro azioni contribuiscono a stabilizzare il cambio. Se
invece prevedono che una valuta continuerà a rafforzarsi
o a indebolirsi, le loro azioni possono avere un impatto
destabilizzante e provocare fluttuazioni ancora più pronunciate del tasso di cambio.
6. I tassi di cambio liberamente fluttuanti presentano diversi vantaggi: correggono automaticamente eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti; eliminano la necessità
di detenere riserve; e offrono ai governi maggiore indipendenza nel perseguire le politiche interne prescelte.
7. D’altro canto, un tasso di cambio liberamente fluttuante
può essere molto volatile, tanto più se interviene una
speculazione di tipo destabilizzante. L’incertezza può
scoraggiare le imprese dall’intraprendere commerci e
investimenti all’estero. Inoltre, un tasso di cambio
fluttuante, eliminando il vincolo posto dalla bilancia
dei pagamenti sulla politica interna, può incoraggiare i
governi a perseguire politiche irresponsabili per il proprio vantaggio immediato.
Paragrafo 24.4
1. Nel sistema di Bretton Woods (1945-1971) le valute
erano ancorate al dollaro statunitense. I tassi di cambio
venivano sostenuti attingendo alle riserve valutarie delle
banche centrali e, se necessario, mediante prestiti erogati
dall’FMI. In presenza di uno squilibrio moderato, i paesi
erano tenuti ad adottare politiche deflazionistiche o reflazionistiche; se lo squilibrio si aggravava, erano chiamati
a effettuare una svalutazione o una rivalutazione.
2. A detta di molti, il sistema assicurava alle imprese un
contesto di maggiore certezza e scoraggiava i governi
dall’attuare politiche fiscali e monetarie irresponsabili,
evitando al contempo il problema di una recessione se
il disavanzo della bilancia dei pagamenti diventava pronunciato.
3. Tuttavia, talvolta era difficile stabilire se un deficit fosse
talmente grave da giustificare una svalutazione; la svalutazione stessa poteva penalizzare duramente le imprese;
infine, in taluni casi una svalutazione poteva provocare
inizialmente un aumento del disavanzo (effetto della
curva a J). Un paese riluttante a svalutare era costretto a
ricorrere a politiche deflazionistiche e, potenzialmente,
ad accettare una recessione per ovviare a un disavanzo
della bilancia dei pagamenti.
4. I problemi dei paesi in disavanzo erano acuiti dalla
scarsa propensione a rivalutare o a reflazionare l’economia mostrata dai paesi con la bilancia dei pagamenti
in avanzo.
5. Nel sistema di Bretton Woods il dollaro statunitense era
la principale fonte di liquidità internazionale. Gli Stati
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 71
Uniti, stampando dollari per finanziare i disavanzi della
bilancia dei pagamenti, immettevano nel sistema una
liquidità eccessiva. Così facendo alimentarono l’inflazione a livello mondiale e una scarsa fiducia nell’amministrazione statunitense, provocando infine il crollo del
sistema.
6. A partire dai primi anni Settanta, nel mondo vige un
regime di fluttuazione manovrata. Il grado di intervento
varia nel tempo e da paese a paese.
7. In teoria, la fluttuazione manovrata può assicurare il
necessario grado di flessibilità dei tassi di cambio in
un mondo in cui gli spostamenti delle curve di domanda e offerta di valuta sono diventati molto più ampi.
Inoltre, può emancipare la politica economica interna
dalla necessità di correggere gli squilibri della bilancia
dei pagamenti. Al contempo, l’intervento delle banche
centrali può (in teoria) prevenire fluttuazioni eccessive
dei cambi e favorire una transizione più regolare verso i
nuovi tassi di cambio di equilibrio.
8. Nondimeno, in un regime di fluttuazione manovrata resta
il problema di prevedere il livello dei tassi di cambio di
lungo periodo. Inoltre, con la crescita vertiginosa dei
capitali vaganti iniziata nei primi anni Settanta, è diventato sempre più difficile per i paesi contrastare la speculazione solo con le loro forze. Il principale strumento
di intervento è diventato il tasso di interesse. Tuttavia,
potrebbe insorgere un conflitto tra utilizzare i tassi di
interesse per controllare i tassi di cambio e al contempo
gestire l’economia interna.
9. L’aumento della volatilità dei tassi di cambio a livello
mondiale è dovuto a una serie di fattori: la crescita dei
mercati finanziari internazionali e la liberalizzazione dei
movimenti internazionali dei capitali, abbinata al sempre
più agevole trasferimento elettronico di fondi; la crescita
delle attività speculative; e la sempre maggiore convinzione che i singoli governi non dispongano di risorse
sufficienti per stabilizzare i tassi di cambio.
72 Parte G – L’economia mondiale
*Appendice: analisi IS-LM di un’economia aperta
In questa appendice mostriamo come estendere al caso
di un’economia aperta l’analisi IS-LM che abbiamo esaminato nel Paragrafo 19.3. Partiamo dall’ipotesi che il
tasso di cambio sia fisso, per analizzare successivamente
un sistema di cambi liberamente fluttuanti.
Analisi IS-LM in regime di cambi fissi
La curva BP
Iniziamo con l’introdurre la curva BP (bilancia dei pagamenti), che come le curve IS e LM illustra una relazione
tra il tasso di interesse (r) e il livello del reddito nazionale (Y). Tutti i punti lungo la curva BP rappresentano
una posizione di equilibrio della bilancia dei pagamenti.
La curva è crescente (ha pendenza positiva) da
sinistra a destra (vedi Figura 24.11). All’aumentare del
tasso di interesse (r) si genera un afflusso di capitali nel
paese e dunque un avanzo del conto finanziario. Al
crescere del reddito nazionale (Y), invece, il conto
corrente va in disavanzo, perché aumenta la domanda di
importazioni. Affinché la bilancia dei pagamenti sia
complessivamente in equilibrio, un disavanzo di conto
corrente deve essere esattamente controbilanciato da un
avanzo del conto finanziario (e del conto capitale), e
viceversa. Pertanto, un aumento di Y deve essere
accompagnato da un aumento di r, e una diminuzione di
Y da una diminuzione di r. La curva BP ha dunque
pendenza positiva. Tutti i punti al di sotto della retta BP
rappresentano una posizione di disavanzo complessivo,
tutti quelli al di sopra una posizione di avanzo.
La pendenza della curva BP dipende da due fattori.
La propensione marginale all’importazione
(pmm = ∆M/∆Y). La curva BP è tanto più ripida quanto
maggiore è pmm. Infatti, se la propensione marginale
all’importazione è elevata, ogni dato incremento del reddito nazionale si traduce in un aumento significativo
delle importazioni e dunque in un ampio disavanzo di
conto corrente. Per mantenere la bilancia dei pagamenti
complessiva in equilibrio, è necessario un avanzo altrettanto ampio del conto finanziario, che può essere generato solo a fronte di un aumento pronunciato dei tassi di
interesse. Di conseguenza, quanto maggiore è pmm,
tanto maggiore è l’aumento dei tassi di interesse necessario per ripristinare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, e dunque tanto più ripida è la curva BP.
L’elasticità dell’offerta di capitali internazionali.
IC 9 Quanto maggiore è l’elasticità dell’offerta di capitali
p59 internazionali, tanto minore è l’aumento dei tassi di
interesse necessario per attrare un afflusso di capitali e
ripristinare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti a
seguito di un incremento del reddito nazionale, e dunque
tanto più piatta è la curva BP. Se l’offerta di capitali internazionali è perfettamente elastica, la curva BP è orizzontale in corrispondenza del tasso di interesse mondiale.
L’equilibrio nel modello
IC 8 Se tracciamo la curva BP in un diagramma IS-LM,
p37 otteniamo la posizione illustrata nella Figura
24.12. Il punto a rappresenta l’equilibrio complessivo.
In corrispondenza di r1 e Y1, l’investimento è pari al
risparmio (il punto a giace sulla curva IS), la domanda di
moneta è pari all’offerta (a giace anche sulla curva LM)
Figura 24.12 L’equilibrio complessivo nei mercati dei beni,
della moneta e dei tassi di cambio.
Figura 24.11 La curva BP.
r
r
LM
BP
BP
r1
a
IS
O
Y
O
Y1
Y
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 73
e infine la bilancia dei pagamenti è in pareggio (a si
trova al contempo sulla curva BP).
Per capire perché le curve IS, LM e BP si intersecano
nel medesimo punto, ipotizziamo che le tre curve si trovino per caso nella posizione descritta nella Figura 24.11
ed esaminiamo a turno gli effetti di un cambiamento
della politica fiscale (spostamento della curva IS) o
monetaria (spostamento della curva LM). Come
vedremo, l’equilibrio viene ripristinato attraverso una
variazione dell’offerta di moneta.
Una politica fiscale espansiva, attuata mediante un
aumento della spesa pubblica e/o una riduzione delle
imposte, provoca uno spostamento verso destra della
curva IS (per esempio, a IS2 nella Figura 24.13), poiché
a ogni dato tasso di interesse è associato un reddito
nazionale di equilibrio più elevato che in precedenza.
Tuttavia, all’aumentare del reddito nazionale, si registra un’espansione della domanda di moneta, che spinge
al rialzo i tassi di interesse. In un’economia chiusa, l’equilibrio si troverebbe adesso nel punto b (r2, Y2), dove
IS2 = LM1. Tuttavia, nel nostro modello di economia
aperta questo punto di equilibrio giace al di sopra della
curva BP. La bilancia dei pagamenti è in avanzo, perché
l’aumento dei tassi di interesse ha generato un avanzo del
conto finanziario superiore al disavanzo del conto corrente derivante dall’incremento del reddito nazionale.
Tale avanzo si traduce in un afflusso di capitali nel
paese e dunque in un’espansione dell’offerta di moneta,
che a sua volta spinge verso destra la curva LM. L’equilibrio viene infine raggiunto nel punto c (r3, Y3), dove IS2
= LM2 = BP. Pertanto, in queste condizioni, l’effetto
monetario della variazione della bilancia dei pagamenti
rafforza la politica fiscale e causa un aumento ancora
maggiore del reddito nazionale.
Se la curva BP è più ripida della curva LM, l’effetto
è alquanto diverso (ricordate che la curva BP è ripida se
pmm è elevato e l’offerta di capitali internazionali è anelastica). Questa situazione è illustrata nella Figura 24.14.
In tali circostanze, un aumento iniziale del reddito
nazionale a Y2 (dove IS2 = LM1) genera un disavanzo
della bilancia dei pagamenti (il punto b giace al di sotto
della curva BP). In questo caso, infatti, il disavanzo del
conto corrente è maggiore dell’avanzo del conto finanziario (a causa dell’elevata propensione all’importazione
e dell’afflusso modesto di capitali internazionali). Di
conseguenza, l’offerta di moneta subisce una contrazione e la curva LM si sposta verso sinistra. L’equilibrio
viene raggiunto nel punto c, dove IS2 = LM2 = BP.
Pertanto, se la curva BP è più ripida della curva LM,
l’effetto monetario della variazione della bilancia dei
pagamenti attenua l’impatto della politica fiscale e provoca una minore espansione del reddito nazionale.
Figura 24.13 Una politica fiscale espansiva
in un regime di cambi fissi.
Figura 24.14 Una politica fiscale espansiva
in un regime di cambi fissi con una curva BP ripida.
La politica fiscale in un regime
di cambi fissi
r
r
L’avanzo della bilancia dei pagamenti in b
provoca un’espansione dell’offerta di moneta
LM1
r1
BP
LM2
b
r2
r3
Il disavanzo della bilancia dei pagamenti in b
provoca una contrazione dell’offerta di moneta
c
a
Ripristino
dell’equilibrio
complessivo
r2
r1
LM1
c
r3
BP
LM2
b
a
IS2
IS2
IS1
IS1
O
Y1 Y2
Y3
Y
O
Y1
Y3
Y2
Y
74 Parte G – L’economia mondiale
La politica monetaria in un regime
di cambi fissi
Analisi IS-LM in regime di cambi
fluttuanti
Una politica monetaria espansiva provoca uno spostamento verso destra della curva LM (per esempio, a LM2
nella Figura 24.15). All’aumentare dell’offerta di
moneta, il tasso di interesse viene spinto al ribasso e si
registra un incremento del reddito nazionale. In un’economia chiusa, il nuovo equilibrio verrebbe raggiunto nel
punto b (r2, Y2), dove IS1 = LM2. Ma in un’economia
aperta l’espansione della domanda aggregata si traduce
in un aumento delle importazioni, mentre il calo dei tassi
di interesse genera un deflusso netto di capitali. Si genera
dunque un disavanzo della bilancia dei pagamenti: il
punto b giace al di sotto della curva BP.
Tale disavanzo provoca una contrazione dell’offerta
di moneta, a causa dei deflussi di capitali. Di conseguenza,
la curva LM si sposta verso sinistra, tornando nella
posizione originaria, e l’economia fa ritorno al punto di
equilibrio iniziale a.
Pertanto, in un regime di cambi fissi, la sola politica
monetaria non ha alcun effetto di lungo periodo sul reddito nazionale e l’occupazione. Un incremento dell’offerta di moneta può determinare un aumento del reddito
nazionale solo se accompagnato da un’espansione della
domanda aggregata (generata dalla politica fiscale o da
un aumento autonomo dell’investimento o da una flessione del risparmio).
Una variazione del tasso di cambio provoca uno spostamento della curva BP (Figura 24.16). Se le curve IS e
LM si intersecano al di sopra della curva BP, si registra
un avanzo della bilancia dei pagamenti. Di conseguenza,
il tasso di cambio si apprezza, annullando in parte tale
avanzo; pertanto, la curva BP si sposta verso l’alto.
Analogamente, se le curve IS e LM si intersecano al
di sotto della curva BP, il conseguente disavanzo della
bilancia dei pagamenti provoca un deprezzamento del
tasso di cambio e uno spostamento verso il basso della
curva BP. In altre parole, la curva BP continua a spostarsi, in modo da intersecare le curve IS e LM nel loro
comune punto di intersezione.
Figura 24.15 Una politica monetaria espansiva
in un regime di cambi fissi.
r
Il disavanzo della bilancia dei pagamenti
provoca una nuova contrazione dell’offerta
di moneta, rendendo inefficace la politica monetaria
LM1
Se il governo persegue una politica fiscale reflazionistica, la curva IS si sposta a IS2 nella Figura 24.17.
In b, il punto di intersezione della curva LM e della
nuova curva IS, la bilancia dei pagamenti è in avanzo (a
causa degli maggiori afflussi di capitali attratti dal più
elevato tasso di interesse). Di conseguenza, il tasso di
cambio si apprezza e la curva BP si sposta verso l’alto.
Tuttavia, il rafforzamento della valuta provoca un
calo delle esportazioni e un aumento delle importazioni.
La conseguente flessione della domanda aggregata
spinge la curva IS nuovamente verso sinistra, per
esempio nel punto c, che si trova poco distante dal punto
a. Pertanto, in un regime di cambi fluttuanti gli effetti
della politica fiscale possono dimostrarsi alquanto
limitati.
L’impatto è però tanto più pronunciato quanto più
ripida è la cura BP. Nella Figura 24.18, la curva BP ha
LM2
Figura 24.16 Spostamenti della curva BP
in un regime di cambi fluttuanti.
BP
r1
La politica fiscale in un regime di cambi
fluttuanti
r
a
AVANZO
b
r2
ento
IS
O
BP
zam
ez
appr
Y1
Y2
Y
to
men
ezza
depr
DISAVANZO
O
Y
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 75
Figura 24.17 Una politica fiscale espansiva
in un regime di cambi fluttuanti.
Figura 24.18 Una politica fiscale espansiva
in un regime di cambi fluttuanti con una curva BP ripida.
r
r
Disavanzo della bilancia dei pagamenti,
pressione al ribasso sul tasso di cambio
Avanzo della bilancia dei pagamenti,
pressione al rialzo sul tasso di cambio
LM
b
r2
r3
r1
c
BP1
BP2
BP1
r3
r2
r1
a
a
LM
c
b
BP2
IS2
IS3
IS3
IS2
IS1
O
Y1
Y3 Y2
IS1
Y
una pendenza maggiore della curva LM. In questo caso
un spostamento della curva IS da IS1 a IS2 genera un
disavanzo della bilancia dei pagamenti e dunque un
deprezzamento del tasso di cambio, con il conseguente
spostamento verso il basso della curva BP. Il deprezzamento provoca un aumento delle esportazioni e un calo
delle importazioni. Questa espansione della domanda
aggregata spinge la curva IS verso destra. Il nuovo equilibrio viene raggiunto nel punto c, corrispondente a un
livello più elevato del reddito nazionale (Y3). In queste
circostanze, l’effetto della bilancia dei pagamenti va a
potenziare l’impatto della politica fiscale.
O
Y2
Y
Y3
aggregata spinga la curva IS verso destra. Il nuovo equilibrio viene raggiunto nel punto c, dove LM2 = IS2 =
BP2, con una significativa variazione rispetto al punto
iniziale a.
Pertanto, in un regime di tasso di cambio fluttuanti,
la politica monetaria può esercitare un effetto considerevole sul livello del reddito nazionale.
Figura 24.19 Una politica monetaria espansiva
in un regime di cambi fluttuanti.
r
Disavanzo della bilancio dei pagamenti,
pressione al ribasso sul tasso di cambio
La politica monetaria
in un regime di cambi fluttuanti
Una politica monetaria espansiva provoca uno spostamento verso destra della curva LM, che si porta in LM2
nella Figura 24.19. In un’economia chiusa, il nuovo
equilibrio si troverebbe nel punto b.
In un’economia aperta con un tasso di cambio fluttuante, la diminuzione del tasso di interesse induce un
deprezzamento del tasso di cambio e uno spostamento
verso il basso della curva BP. L’indebolimento della
valuta causa un aumento delle esportazioni e una contrazione delle importazioni. L’espansione della domanda
Y1
LM1
LM2
BP1
r1
r3
a
c
BP2
b
r2
IS2
IS1
O
Y1
Y2 Y3
Y
76 Parte G – L’economia mondiale
I paragrafi in pillole
Appendice
1. A un diagramma IS-LM è possibile aggiungere una curva
BP, che mostra tutte le combinazioni di reddito nazionale
e tasso di interesse in corrispondenza delle quali la bilancia dei pagamenti è in pareggio. La curva ha pendenza
positiva, a indicare che un aumento del reddito nazionale
(che causa un disavanzo del conto corrente) deve essere
accompagnato da un incremento dei tassi di interesse,
tale da generare un avanzo del conto finanziario della
stessa entità e di segno opposto.
2. La curva BP è tanto più piatta quanto maggiore è la propensione marginale all’importazione (pmm) e quanto più
elastica è l’offerta di capitali internazionali.
3. In un regime di cambi fissi, quanto più piatta è la curva
BP, tanto maggiore è l’impatto di una politica fiscale
espansiva sul reddito nazionale. Se la curva BP è meno
ripida nella curva LM, una politica fiscale espansiva
genera un avanzo della bilancia dei pagamenti (attraverso l’effetto di un aumento dei tassi di interesse). La
conseguente espansione dell’offerta di moneta rafforza
l’impatto iniziale della politica fiscale.
4. In un regime di cambi fissi la politica monetaria non ha
alcun effetto sul reddito nazionale. Un’espansione monetaria, spingendo al ribasso i tassi di interesse, provoca
semplicemente un disavanzo della bilancia dei pagamenti e dunque una nuova contrazione dell’offerta di moneta.
5. In un regime di cambi fluttuanti, un apprezzamento
provoca uno spostamento verso l’alto della curva BP, un
deprezzamento uno spostamento verso il basso.
6. Se la curva BP è meno ripida della curva LM, l’impatto
della politica fiscale in un sistema di cambi fluttuanti
risulta attenuato dalle conseguenti variazioni del tasso di
cambio. Una politica fiscale espansiva causa un apprezzamento del cambio (attraverso l’effetto di un aumento
dei tassi di interesse), che a sua volta frena l’aumento
della domanda aggregata.
7. In un regime di cambi fluttuanti la politica monetaria
ha un effetto relativamente pronunciato sulla domanda
aggregata. Un’espansione monetaria deprime i tassi di
interesse e provoca un aumento della domanda aggregata, causando un disavanzo della bilancia dei pagamenti e
dunque un deprezzamento, che si traduce a sua volta in
un’ulteriore espansione della domanda aggregata.
Domande di ripasso
1. Ipotizzate che viga un regime di tassi di cambio liberamente fluttuanti. Tracciate un diagramma simile alla
Figura 24.5, ma questa volta rappresentate un equilibrio
in corrispondenza del quale la bilancia dei pagamenti è
in avanzo.
(a) Evidenziate l’entità dell’avanzo.
(b) Mostrate i risultanti spostamenti delle curve (X – M)
ed E.
(c) Contrassegnate l’equilibrio finale.
(d)Illustrate l’entità degli effetti di reddito e di sostituzione (generati dalla variazione del tasso di cambio).
(e) In quali circostanze l’effetto di reddito è (i) desiderabile; (ii) indesiderabile?
(f) È possibile che l’effetto di reddito derivante da una
variazione del tasso di cambio sia superiore all’effetto di sostituzione?
2. Mettete a confronto l’efficacia della politica fiscale e
monetaria in un regime di tassi di cambio (a) fissi e (b)
liberamente fluttuanti. In che modo l’efficacia delle due
politiche è influenzata dall’elasticità dell’offerta di capitali internazionali?
3. Quali sono gli effetti sull’economia nazionale di una
rapida espansione dell’attività economica mondiale in
un sistema di tassi di cambio liberamente fluttuanti? Da
cosa è determinata l’entità di questi effetti?
4. La seguente tabella riporta una selezione di indici del
tasso di cambio (tassi di cambio effettivi) relativi agli
anni 2004-2010, con il 2005 preso come anno base (valore degli indici = 100).
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Dollaro
australiano
Dollaro
USA
Yen
giapponese
Sterlina
britannica
Euro
96,8 100,0 100,7 108,1 107,1 104,3 101,1
101,3 100,0
99,9
96,3
94,1
99,3
95,0
106,5 100,0
91,3
84,8
94,5 107,6
87,2
90,4
83,2
101,2 100,0 100,8 103,1
81,3
100,3 100,0 100,7 106,0 112,8 113,1 104,8
(a) Spiegate che cosa si intende per indice del tasso di
cambio o tasso di cambio effettivo.
(b) Calcolate il tasso di apprezzamento o deprezzamento
annuo di ciascuna valuta dal 2005 al 2010.
5. Per quali ragioni il tasso di cambio potrebbe divergere dal tasso a parità dei poteri di acquisto nel lungo
periodo?
Capitolo 24 – Bilancia dei pagamenti e tassi di cambio 77
6. Perché in taluni casi può verificarsi una iperreazione del
tasso di cambio? Da che cosa è determinata la sua entità?
7. Analizzate l’argomentazione secondo la quale nel mondo
contemporaneo, caratterizzato da ingenti movimenti di
capitali internazionali a breve termine, la capacità dei
singoli paesi di influenzare il proprio tasso di cambio è
molto limitata.
8. Se gli speculatori possedessero migliori informazioni
sul futuro andamento dei tassi di cambio, le loro azioni
sarebbero più o meno stabilizzanti di quanto non siano
attualmente?
*9. Utilizzando l’analisi IS-LM-BP, esaminate gli effetti di
(a) una politica fiscale deflazionistica e (b) una politica
monetaria deflazionistica in (i) un regime di cambi fissi
e (ii) un regime di cambi liberamente fluttuanti.
online
Le soluzioni alle domande di ripasso e ulteriori supporti per la didattica e l’autoverifica
dell’apprendimento (animazioni grafiche, flashcard e test interattivi a risposta multipla) sono presenti
sul companion website del libro, raggiungibile dall’indirizzo http://hpe.pearson.it/sloman