MASTER IN COMUNICAZIONE D ’ AZIENDA
UPA CA ’ FOSCARI
JOLLY PUBBLICITÀ SPA
CITTÀPUBBLICITÀ
TAVOLA ROTONDA
UNIVERSITÀ CA ’ FOSCARI VENEZIA
CA ’ DOLFIN
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CITTÀPUBBLICITÀ
CITTÀPUBBLICITÀ
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Introduzione
Ci siamo abituati a sentire della pubblicità esterna
attributi negativi di ogni genere.
È invadente, disturba chi guida, sporca i muri dei
nostri centri storici.
C’è da domandarsi se tutto quanto corrisponda
al vero, oppure si tratti semplicemente di luoghi
comuni, frasi rifugio dei meno esperti, dei poco
aggiornati.
Forse, come al solito, il giusto sta nel mezzo e così
ci troviamo a constatare che alcune città sono letteralmente pasticciate da carta e colla, mentre in
altre si assiste ad una, se non buona, almeno discreta pianificazione degli spazi pubblicitari.
Da parte degli affissatori, non tutti fortunatamente, esisteva storicamente un atteggiamento purtroppo diffuso, dove l’errata equazione “più spazi, più
soldi” troppo spesso scavalcava il desiderio collettivo di vivere in città degne di questo nome.
La crisi economica degli scorsi anni ha abbattuto
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sensibilmente le risorse destinate alla pubblicità,
contribuendo di fatto a migliorare una situazione
che andava davvero modificata.
Il periodo post-crisi poi ha fatto il resto creando
negli utenti pubblicitari una nuova attenzione alla
qualità ed una rinnovata fiducia nei confronti di
quel piccolo comparto di operatori che seriamente
opera sul mercato, cercando le risorse per il proprio business nel consenso, piuttosto che con l’imposizione.
Nonostante tutto, l’immagine della pubblicità
esterna deve ancora trovare una collocazione definitivamente positiva.
È importante convincere, oltre gli operatori del
mercato, anche il pubblico dei consumatori, soprattutto quello delle aree abitate dove si concentrano
con maggior frequenza interessi, attività ed acquisti.
Ebbene proprio a Roma nel bel mezzo del trambusto pubblicitario dei posters che occhieggiano un
po’ ovunque e raggiungono livelli di indecenza inaccettabili soprattutto verso la periferia, ci siamo
impegnati, a partire dallo scorso anno, in un esperimento di comunicazione esterna un po’ anomalo e
se vogliamo anche coraggioso.
Abbiamo installato nei punti di sosta degli autobus maggiormente frequentati dagli utenti del
servizio numerose pensiline d’attesa per i mezzi
pubblici (circa 350).
Esse sono costituite sostanzialmente da tre eleCITTÀPUBBLICITÀ
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menti che rispondono rigorosamente alla tre funzioni principali del manufatto:
Un comodo sedile ben ancorato al suolo da due
robuste gambe che consente agli utenti del servizio
di attendere i mezzi comodamente seduti, invece
che in piedi.
Una profonda tettoia che li ripara dagli agenti
atmosferici e rende riconoscibile la fermata attraverso indicazioni riportate sulla fascia anteriore.
Un pannello pubblicitario tamburato che, oltre a
riparare la schiena degli astanti, svolge la funzione
più importante e cioè paga la pensilina che in questo modo non costa nulla alla collettività.
Per la verità, in senso stretto, il concetto di sponsorizzazione dei servizi pubblici da parte della pubblicità non costituisce affatto elemento di novità.
Da trent’anni creiamo opportunità di questo tipo
nelle aree in cui operiamo.
La novità di questo progetto sta nel fatto che il
manufatto in questione, oltre ad essere un oggetto
con evidenti caratteristiche di qualità in termini di
design e di funzionalità, è stato concepito fin dall’inizio in maniera assolutamente onesta e dichiarata
per espletare la funzione pubblicitaria.
Lo spazio dello “sponsor” non è accessorio, ma formalmente e sostanzialmente integrato nel disegno
del manufatto.
Abbiamo riposto inoltre la massima attenzione e
coerenza nella scelta degli “sponsor” per non ritro-
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varci con immagini o comunicati scarsamente coerenti con le nostre buone intenzioni.
Questa a nostro avviso è la direzione da prendere,
questa è la strada da percorrere per contribuire a
migliorare l’immagine del nostro mezzo, soprattutto all’interno della città.
Per farlo però occorrono collaborazione e sensibilità da parte degli affissatori, delle agenzie e dei
clienti, ma soprattutto è necessaria una maggiore
consapevolezza da parte della pubblica amministrazione.
Oltre a questo, tutto il mondo della progettazione
dovrebbe rivolgere più attenzione agli oggetti di
pubblica utilità, studiando prodotti che prevedano
già nel progetto la presenza dell’ormai, di fatto,
immancabile spazio pubblicitario.
Lo dovranno fare con coerenza formale, restituendo
in questo modo dignità allo “spazio” ed alla “presenza” pubblicitaria.
La stessa pianificazione urbanistica dovrà “prevedere” e non “tollerare” la presenza dei manufatti di
questo tipo, posizionandoli in modo che la funzione
di servizio (che rimane la principale) possa assecondare anche quella pubblicitaria.
Se tutto questo è legittimo, se tutto questo è opportuno, enormi sono le potenzialità di sviluppo dei
servizi alla collettività, realizzati con il contributo degli utenti pubblicitari, che dimostreranno, in
questo modo, anche al loro pubblico, sensibilità ed
attenzione al vissuto quotidiano.
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Per questo con il Master in Comunicazione d’ Azienda
UPA abbiamo organizzato presso l’Università
Ca’ Foscari di Venezia l’incontro “CITTÀPUBBLICITÀ” invitandoVi pubblici amministratori, urbanisti, architetti, imprenditori, consulenti media, creativi ed utenti pubblicitari.
Intorno a quel tavolo ci siamo preoccupati di analizzare opportunità, legittimità e potenzialità della
pubblicità esterna all’interno delle città italiane.
Gli spunti come al solito non sono mancati ed è
emersa, da parte di tutti, la voglia di parlare di questi argomenti, ma soprattutto la necessità di farlo
insieme, trasferendo l’uno all’altro esigenze e necessità di coloro che si occupano oppure inter-vengono
sulla cosa pubblica.
Grazie all’impegno dei relatori, abbiamo la possibilità di pubblicare questo documento che riteniamo
possa costituire un utile contributo per tutti coloro
che partecipano per istituzione o per vocazione a
migliorare la qualità della vita all’interno delle aree
urbane.
Personalmente desidero ringraziare Lioy e Collesei
per il fondamentale contributo dell’UPA e del Master.
Oltre ai partecipanti al dibattito, seduto al tavolo
con noi c’era Gianni Burato.
Le sue vignette, che quel giorno ci hanno divertito,
sono inserite tra le pagine di questo libro per riprodurre i toni e le atmosfere di un lavoro svolto certo
con impegno e determinazione, ma anche con lo spirito e l’ottimismo di queste immagini.
Paolo Casti
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INDICE
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Venezia, 13 maggio 1997
CASTI:
Benvenuti a tutti a nome del Master e della Jolly
Pubblicità.
Incontri come questo sono ormai diventati una piacevole consuetudine.
Sono passati soltanto cinque mesi dall’ultima
Tavola Rotonda e siamo di nuovo ospiti di questa
meravigliosa Aula, di questa Università e di questa
città così affascinante, che aggiunge ancora più
significato agli argomenti che andremo a trattare.
Il Master in Comunicazione d’Azienda UPA e la
Jolly propongono, questa volta, “Città Pubblicità”.
Il titolo della Tavola Rotonda “Città Pubblicità”
allude in maniera molto vasta al rapporto tra questa forma di comunicazione (la pubblicità) ed il
contesto urbano all’interno del quale preferibilmente si svolge (la città).
Già nella denominazione sono individuati i tre temi
principali che mi piacerebbe venissero sviluppati:
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CITTÀPUBBLICITÀ
opportunità, legittimità, potenzialità della pubblicità esterna all’interno delle città italiane.
Su questi argomenti avrei qualche domanda da
proporre.
Riguardo alle opportunità mi piacerebbe conoscere
la vostra opinione ed in particolare quella dell’UPA
a proposito di questa considerazione.
Le città rappresentano il supporto delle attività
collettive, per questo proprio al loro interno vengono espletate con maggiore forza le campagne
pubblicitarie.
Alcune città più di altre sviluppano rispetto al
territorio un’azione centripeta delle attività economiche.
Quanto interesse hanno le aziende ed in particolare i big spender ad investire all’interno delle aree
urbane e quali sono le forme pubblicitarie che
attualmente hanno più successo?
Le opportunità però non si limitano al fronte della
pubblicità, ve ne sono anche in ambito pubblico;
infatti la semplice esposizione delle immagini pubblicitarie dà luogo, da parte dei Comuni, al diritto
di esigere l’imposta di pubblicità.
Che tipo di sensibilità esiste da parte delle Pubbliche
Amministrazioni in questo senso?
Per quanto riguarda la legittimità l’elenco delle
domande si allunga.
È legittimo occupare, ingombrare, saturare le città
con immagini commerciali?
Quali sono le condizioni da imporre a questa “preCITTÀPUBBLICITÀ
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senza” perché non venga percepita come “colonizzazione” o peggio come un atto di violenza?
Esiste un livello tollerabile?
In quale misura le immagini pubblicitarie qualificano il livello civile e sociale della collettività?
Qual è il limite oltre il quale l’immagine della città
viene dequalificata e la pubblicità disturba i cittadini e le loro attività?
È vero che un’immagine pubblicitaria può distrarre
chi guida?
Se è vero, come si può evitare questa circostanza?
Esiste un criterio di valutazione oggettivo che
ci permetta di qualificare un’immagine adatta o
meglio idonea alla pubblicazione?
Queste domande sono quelle che ognuno di noi più
o meno frequentemente si pone.
Spesso purtroppo però veniamo influenzati da opinioni generiche che ci fanno sentire approfittatori
perversi privi di scrupolo che non esitano a riempire le città di immagini, slogan e marchi per trarre
chissà quali profitti.
Credo che questo non corrisponda al vero e penso
che la risposta in particolare, spetti a Cervetti,
Direttore dell’INPE, che si preoccupa, tra l’altro,
del monitoraggio della qualità degli impianti.
Occorre fare un distinguo, che metta in condizione gli
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attori del mercato di riconoscere il buono dal cattivo.
In tema di potenzialità molti saranno gli argomenti
da approfondire; per il momento mi limiterò a qualche considerazione.
Moderando quindi e qualificando le presenze pubblicitarie all’interno delle aree urbane probabilmente
otterremo più velocemente e sicuramente i risultati
che cerchiamo.
Creando un livello di presenza tollerabile, infatti, potremo meglio sfruttare le potenzialità del nostro mezzo.
Passando al terzo tema, le potenzialità, più che
porre domande dovrei dare risposte perché, occupandomi, tra l’altro, dello sviluppo di nuovi prodotti,
dovrei avere un’idea abbastanza precisa sul come
stanno andando le cose.
Ancora più ampiamente di me, potrà farlo Meroni
Direttore AAPI, ma soprattutto Vicepresidente
FISPE (Federazione Italiana Sviluppo Pubblicità
Esterna).
Esistono forme pubblicitarie più accattivanti, più
gradite al pubblico per il loro formato, o la loro
forma, o il loro supporto, che risultino più utili a
veicolare messaggi maggiormente positivi per un
marchio o un prodotto?
A questo proposito sarà interessante ascoltare le
testimonianze di alcuni presenti che si sono ritrovati ad essere forse anche involontariamente protagonisti di una piccola rivoluzione nel mondo della
comunicazione esterna.
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Un esempio importante è l’esperienza dei totem in
Piazza Cadorna di cui mi piacerebbe sentire parlare
Boeri architetto ed urbanista.
I decobus stessi hanno rappresentato un fatto importante nella comunicazione esterna all’interno
delle città e qui non mancano i testimoni. Silvestri,
Megna e D’Orazio ci racconteranno le esperienze di
Milano,Trieste e Padova.
Altre esperienze ancora quelle di sonorizzazione
di alcuni ambienti urbani, oppure quelle relative
al mantenimento delle aree verdi a cura di Aziende
private.
Esiste un ambito ancora più importante nel quale
la pubblicità può rappresentare una risorsa insostituibile ed è l’altro motivo per cui, seduti a questo
tavolo, oltre a pubblicitari e professionisti ci sono
gli amministratori e manager di Aziende di trasporto pubblico.
L’argomento in questione è la sponsorizzazione dei
servizi alla collettività.
Il meccanismo tutt’altro che semplice più o meno è
questo.
Le Aziende private (come la nostra) forniscono ad
Aziende o Enti pubblici (come le loro) prodotti,
servizi o entrambi .
Spesso, se non sempre, otteniamo in cambio, invece
che denaro, la possibilità di sfruttare pubblicitariamente gli spazi pubblicitari, apposti sugli impianti
di pubblica utilità, per un certo numero di anni.
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Questo in termini pratici rappresenta per le Aziende
fornitrici un esborso immediato, spesso importante
ed un ricavo invece solo probabile.
Le nostre risorse quindi dipendono, certo, dalla
capacità di realizzare prodotti e servizi durevoli ed
efficienti, ma soprattutto dalla possibilità di sviluppare un fatturato commerciale almeno sufficiente a
contrastarne il costo.
Ma la cosa più importante e la maggiore difficoltà sta nell’individuare prodotti riconoscibili per il
mercato.
Occorre la capacità di rendere riconoscibile la differenza sostanziale tra uno spazio pubblicitario fine
a se stesso e un altro contenuto in un manufatto
di pubblica utilità; occorre farne percepire il plus
valore in termini sociali ed etici.
Occorre convincere, oltre gli operatori del mercato,
anche il pubblico dei consumatori, soprattutto quello delle aree abitate.
Per meritare la loro fiducia dovremo migliorare
nell’immagine e nella sostanza il manufatto di pubblica utilità, rendendolo evidentemente diverso e
concependolo fin dal progetto in maniera assolutamente onesta e dichiarata per espletare la funzione
pubblicitaria.
COLLESEI:
Vi do il benvenuto anche a nome del Rettore, che
oggi non è presente per altri impegni.
Brevemente leggo alcuni punti di riflessione che
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l’argomento mi ha suscitato. Preciso che, dal punto
di vista aziendale, il problema ha degli aspetti che
vanno bene al di là del problema meramente pubblicitario.
La pubblicità esterna risente certamente degli atteggiamenti che i consumatori manifestano nei confronti di tale mezzo, della disponibilità di soluzione e di
spazi che riesce ad ottenere e del ruolo che le imprese le riservano nel mix di comunicazione.
Risentendo dello sviluppo e della diffusione del
micromarketing e più in particolare del marketing locale, l’interesse da parte delle imprese per
la pubblicità esterna risulta crescente. Lo sviluppo
del mezzo, soprattutto in termini di efficacia, viene
quindi a dipendere dagli atteggiamenti che il consumatore cittadino elabora e dalle modalità di realizzazione e di inserimento della pubblicità esterna nel tessuto
urbano.
È quindi a questi due aspetti che si deve fare riferimento per individuarne potenzialità e minacce.
di inserimento della pubblicità esterna nel tessuto
Uno dei tratti più significativi del nuovo consumatore riguarda la ricerca della qualità della vita. Esso
si articola in svariate attese di natura personale e
sociale. Tra di esse un posto di rilievo è occupato
certamente dalla “qualità nei luoghi dove si vive e
si lavora”.
Ciò si traduce in una richiesta di un migliore arredo
urbano che coinvolge l’illuminazione, la segnaletica, i cassonetti, le pensiline, le panchine, i fiori e le
piante, le statue, le fontane ecc., ma anche i palazzi
e le vetrine per abbellire strade e piazze.
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Va a questo proposito segnalato come fino ad oggi,
escluse lodevoli eccezioni, gli interventi relativi
all’arredo urbano si siano succeduti in modo disordinato, spesso sovrapponendo la pubblicità ad altri
interventi e contribuendo anche, con quest’ultima, a
deturpare il paesaggio.
Sembra sufficiente richiamare l’opinione che il noto
editorialista Ernesto Galli Della Loggia ha espresso su questa tematica in un articolo di fondo del
Corriere della Sera del 4 maggio 1997 “Se la bella
Italia diventa un parcheggio” sovra titolo: “Il paese
minacciato da traffico e pubblicità”.
“…Oltre al turismo un altro esempio dell’usura
terribile che tutta la scena italiana soffre è quello
della pubblicità stradale. Tutti gli angoli, gli incroci,
le cantonate d’Italia sono lordati da una selva di
cartelli, i più vari per formato, colore e sconclusionatezza…”.
Un secondo importante atteggiamento che i consumatori vanno sempre più assumendo è quello di considerare con favore le sponsorizzazioni, siano esse
sportive, culturali, televisive, etc..
Infine un terzo importante tratto che emerge da
numerose ricerche di mercato è quello di un consumatore che si dimostra non ostile nei confronti della
pubblicità, ma certamente critico ed esigente.
Come connota di qualità la richiesta di beni e
servizi, allo stesso modo pretende qualità dalla
pubblicità.
Tenendo presente questi tre tratti significativi di
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scenario, il momento si presenta particolarmente
favorevole alla pubblicità esterna, se si trova il
modo di inserirla armoniosamente nel paesaggio,
se diviene servizio per i cittadini, cioè sponsorizza
strutture di segnalazione, panchine, pensiline ecc. e,
con una sapiente miscela di design e colore, contribuisce ad innalzare il livello estetico dell’arredo
urbano.
In alcun casi la revisione degli spazi costringerà ad
una riduzione quantitativa più che compensata da
un innalzamento del livello qualitativo, che produrrà
una migliore visibilità, coinvolgendo favorevolmente il cittadino, creando una migliore disponibilità e
ricettività ai messaggi. Gli spazi in alcuni casi più
piccoli, ma più emotivi, offriranno rendimenti decisamente più interessanti, anche perché connotati
positivamente dalla sponsorizzazione.
Per risultare sempre più efficace la pubblicità esterna deve anche innalzare il tono e risultare coerente
con lo spazio urbano in cui si inserisce.
Informazione, effetto ludico, gradevolezza devono
quindi rinforzare nel cittadino la voglia di vedere e
gustare una pubblicità a misura d’uomo.
Grazie.
CERVETTI:
Mi piace iniziare questo intervento riprendendo un
suggestivo commento che Helmut Zilk, sindaco di
Vienna, città che alcuni anni fa ospitò un importante convegno sulla pubblicità esterna, espresse nel
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dare il benvenuto ai partecipanti e nell’aprire i
lavori dei convenuti.
Volle infatti sottolineare il grande favore con cui
l’amministrazione locale guardava al manifesto
come “ espressione del tempo, della cultura e della
vita, segno della storia e galleria della città, capace
di regalare un po’ di sorriso, di gioia e di colore, di
sogno e di evasione e la cui assenza renderebbe ogni
città in definitiva triste, spoglia e disumana ”.
La pubblicità esterna è la seconda fra le più antiche forme di pubblicità esistenti: è infatti preceduta
soltanto dalle insegne, usate per identificare negozi
e locande, in un tempo molto lontano, quando una
grande parte del pubblico non sapeva né leggere né
scrivere; l’origine e le prime espressioni di pubblicità esterna si svilupparono proprio in questo modo:
dalla necessità di comunicare, in forma semplice e
rapida, agli individui di una città o di un’area locale
e ristretta.
Inconsapevolmente, già da allora, questa forma di
comunicazione e l’ambito entro cui era riservata e
destinata, ha in un certo senso costituito un’anticipazione rudimentale ed embrionale dei concetti di
micro-marketing e marketing locale.
Riconosciuta dunque l’appartenenza del manifesto
al mondo esterno e quindi patrimonio della collettività e della città, è necessario che esso svolga la
propria funzione di servizio e di comunicazione,
pubblico-amministrativa oppure privato-commerciale, integrandosi totalmente nel tessuto urbano,
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quasi caratterizzandolo e personalizzandolo, divenendo una presenza familiare e funzionale, in modo
piacevole e decoroso, discreto ed armonioso, attraverso una collocazione accurata, non invadente ed
in sintonia con l’ambiente e con gli altri insediamenti del territorio, in breve con la città, se non
addirittura con il quartiere, tenendo conto della
composizione demografica ed etnica prevalente o
specifica dell’area.
Certamente gli organi dello Stato e della Pubblica
Amministrazione devono preoccuparsi, giustamente,
della sicurezza stradale, della tutela del paesaggio,
della salvaguardia del patrimonio artistico ed in
generale dell’interesse superiore del cittadino; ma
un confronto con la normativa esistente e certe
regole dettate in Italia rispetto ad altri paesi,
deve indurre a convenire che c’è un ampio spazio
di miglioramento e di intesa, di convergenza e di
convivenza fra componenti spesso in contrasto ed
opposizione fra loro.
Peraltro anche la categoria degli operatori della
pubblicità esterna non è esente da critiche e da
errori per la situazione che si è creata e che in più di
un’occasione, soprattutto in passato, ma anche nei
tempi attuali, ha favorito l’insorgere di condizioni
di diffidenza e di contrasto.
Le colpe riguardano in modo particolare l’abusivismo, il disordine e la qualità degli impianti; tuttavia
non sarebbe giusto attribuire a tutti gli operatori
questo vizio: perché anzi ci sono stati, da parte di
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alcuni, segnali precisi di una volontà di correggere
e combattere certi eccessi negativi che offendono il
settore e ne mortificano l’immagine.
Il superamento di certe condizioni di illogicitàaffis-sionistica, quali l’affissione casuale, selvaggia,
scriteriata e di illogicità-impiantistica costituita da
affiancamenti, affollamenti, schieramenti scomposti, sgradevoli ed in contrasto con l’ambiente, deve
essere un obiettivo costante e generale da perseguire nel comune interesse.
E gli operatori della pubblicità esterna seri, professionali e responsabili, che sono anche la maggioranza, sanno che una regolamentazione, anche severa,
purché logica, coerente e razionale, non danneggia,
ma anzi qualifica e rivaluta, la pubblicità esterna.
Si può quindi vedere un’apertura ed uno spazio di
dialogo fra il pubblico ed il privato, fra l’interesse
commerciale ed individuale e l’interesse generale
e collettivo; ma, se esistono effettivamente buoni
propositi e serie intenzioni da parte degli operatori,
è necessario che le autorità e gli enti interessati in-tervengano e favoriscano questo processo e
mettano a disposizione non soltanto le strutture di
sorveglianza, gli apparati di controllo e le forme di
repressione possibili nei confronti di tutti gli insediamenti e le iniziative pregiudizievoli per la tutela
e la sicurezza fisica e morale dell’individuo e dell’ambiente, ma anche idee ed indicazioni, modelli e
formule concrete per favorire una sana e corretta
attività imprenditoriale sul territorio, da realizzare
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nel rispetto delle regole.
Anche perché l’ordine, la pulizia ed il decoro, oltre a
costituire una condizione necessaria ed irrinunciabile, contribuiscono in modo determinante a rendere
più percepibile il messaggio, più leggibile il contenuto, più attraente la comunicazione.
Anche il messaggio, nella sua forma grafica e simbolica, espressione dell’immagine e della comunicazione, deve tenere conto della realtà e del contesto
in cui è ospitato.
Infatti c’è uno spazio che non è intimo e privato, ma
è pubblico e di tutti e da questo spazio si diffondono
messaggi che devono essere brevi e completi, sintetici ed esaurienti, forti ed originali, senza aggredire,
né violare alcuni diritti primari e fondamentali che
appartengono agli individui.
In una prospettiva di intensa valorizzazione del
mezzo e delle sue enormi potenzialità comunicazionali, posizionandosi come elemento integrante
e stabile del territorio, un’attenzione particolare
ed un ruolo determinante dovrà essere svolto dall’innovazione e dal progresso, nel materiale e nella
qualità dei manufatti, nel design e nell’originalità
delle strutture, nella forma e nella dimensione degli
spazi, nella tecnologia e nelle tecniche di produzione e di stampa.
L’unità di misura standard o il formato base 70 x 100,
che si sviluppa fino a raggiungere la ampie misure
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CITTÀPUBBLICITÀ
attraverso i suoi multipli ed anche gli stessi modelli
ed aspetti delle strutture, sono una derivazione ed
un’eredità dell’affissione pubblica e sociale, effettuata dai Comuni sugli spazi ad essi tradizionalmente destinati, oppure sono stati a loro tempo
dettati e successivamente mantenuti inalterati, dai
vincoli della tecnologia disponibile ed esistente per
la stampa.
La tendenza a ricondurre tutti i manifesti a formati obbligati e rigidi, senza fantasia, da affiggere in
spazi dalle forme e dai contorni definiti e tradizionali, senza originalità, determina una relativamente
ristretta e prevedibile variabilità ed un conseguente
limite alla ricerca di soluzioni creative e nuove.
Senza cadere nell’eccesso opposto di una grande
proliferazione delle strutture e dei formati, che
oltre tutto produrrebbe un aggravio dei costi non
trascurabile, non ci sembra che la conservazione
acritica ed immutata di certe formule giovi e favorisca idee di modernità e di dinamismo.
Prendendo in considerazione ed adottando nuove
soluzioni di strutturazione e gestione del parco
impianti, l’affissione cittadina potrà essere considerata ed utilizzata con sempre maggiore intensità.
INPE, Istituto Nazionale Pubblicità Esterna, costituito da UPA, AssAp e dalle principali Società di
Affissione, alla fine del 1993 ha portato a compimento un progetto con lo scopo di attribuire ad
ogni impianto poster 600x300 un valore qualitativo, in base ad alcuni parametri selezionati e ad
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alcune condizioni descrittive delle caratteristiche
degli impianti stessi.
Al termine di questo lavoro si è pervenuti ad una
soluzione applicativa e ad un modello, che nella
pratica si è dimostrato efficace e funzionale, per
classificare ogni impianto secondo attributi valoriali concretamente identificati e resi disponibili
dai censimenti e dalle indagini svolte da INPE e
costantemente aggiornate.
Utilizzando una simbologia convenzionale ogni
impianto è stato quindi assegnato ad una classe
di appartenenza e giudicato secondo il punteggio
ottenuto.
L’effetto naturale e più immediato di questo processo è stata l’identificazione di un certo numero di
impianti risultati insoddisfacenti e quindi di interesse nullo ai fini del loro utilizzo commerciale.
Questa operazione di INPE, unita ad uno spontaneo processo, già in atto, di revisione delle proprie
strutture impiantistiche da parte delle Società
di Affissione, quelle che si avvalgono dei servizi
di INPE e collaborano con il nostro Istituto, ha
determinato, in due anni, una riduzione degli spazi
disponibili pari a circa il 18% del parco esistente,
con la rimozione delle strutture più fatiscenti ed
improduttive.
Questo fatto testimonia come non solo la volontà,
ma anche il comportamento concreto e le scelte
operate da alcune Società di Affissione, siano nella
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CITTÀPUBBLICITÀ
direzione dell’ottimizzazione degli spazi, privilegiando la qualità rispetto alla quantità, con un’attenzione all’ordine ed al decoro; ma questo deve
conciliarsi con le esigenze commerciali imposte dalla
natura imprenditoriale degli operatori del settore.
INPE ha inoltre collaborato con la Pubblica
Amministrazione ogni volta che è stata richiesta e
che esistevano condizioni per operare alla ricerca di
soluzioni logiche e migliorative.
La riconosciuta esperienza di INPE e la copertura
del territorio che il nostro Istituto assicura, derivanti dall’attività, continua e sistematica, svolta
sul campo, ha consentito di raccogliere e mettere a
disposizione molteplici informazioni puntuali, precise ed aggiornate, riguardanti la localizzazione e
l’ubicazione degli impianti.
Queste notizie, in più di un’occasione, sono state
ritenute utili ed importanti da alcune Amministrazioni Comunali che hanno iniziato a svolgere ed a
sviluppare le proprie funzioni di competenza ed i
propri interventi, costruendo una base statistica e
logistica di tutte le strutture esistenti.
Esistono dunque molteplici opportunità per consegnare alla pubblicità esterna un ruolo di superiore
importanza ed interesse, attraverso la chiarezza,
l’ordine, la qualità ed il rispetto di se stessa e del
prossimo, inteso questo come l’individuo con cui si
confronta ed il territorio in cui si colloca.
E secondo la nostra opinione non esistono ostacoli
o barriere purché i problemi siano affrontati con
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severa competenza e con vigile attenzione agli
obiettivi ed alle conseguenze che derivano; le resistenze e le conflittualità sono la conseguenza di
decisioni e di scelte talvolta improvvisate ed istintive che rischiano di ledere diritti, creare discriminazioni e minacciare legittimi interessi, oltre a
mettere in discussione la stessa sopravvivenza del
mezzo.
CASTI:
Mi piacerebbe esprimere un’opinione riguardo un
argomento che spesso durante le occasioni di incontro del Master viene messo in evidenza.
È diffusa l’opinione che i creativi stiano stretti nei
formati che il mercato mette loro a disposizione
e che un’offerta più elastica potrebbe incentivare
l’uso dell’esterna.
Ebbene esistono alcune circostanze che è doveroso
conoscere a questo proposito.
Ogni prodotto, per essere tale, deve rendersi riconoscibile sul mercato.
A questa regola non sfugge neppure il mercato degli
spazi pubblicitari ed in particolare quello degli
spazi destinati all’affissione, che necessariamente
tra codici e consuetudini cerca di rendere omogenea
l’offerta di Bolzano a Palermo.
C’è un formato, il 600x300, riconosciuto come
portante dal mercato, che assorbe più dei due terzi
delle risorse economiche disponibili.
Il restante terzo degli investimenti è diviso tra gli
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CITTÀPUBBLICITÀ
spazi gestiti direttamente o indirettamente dalle
Amministrazioni Comunali e dai cosiddetti formati
speciali.
Sono proprio questi formati speciali che, spaziando
dal 70x100 al 300x140 con un’infinità di combinazioni orizzontali e verticali, dovrebbero incuriosire
i creativi.
Ebbene questo purtroppo accade talmente poco, che
pochissimi imprenditori del nostro settore hanno
investito su questi spazi ed è tale e tanta la fatica
di promuoverli presso i buyers che la tendenza negli
investimenti su impianti pubblicitari rimane sempre
a netto favore dei 600x300 nonostante sia di tutta
evidenza che il piccolo formato, oltre ad essere
di grande utilità per sostenere economicamente i
servizi alla collettività, è anche più semplicemente inseribile nei centri storici tanto frequenti nelle
città italiane.
Abbiamo tentato recentemente di promuovere
iniziative che stimolassero i grafici a sviluppare
formati diversi dai consueti e proprio qui a questo
tavolo è seduto Boeri, con il quale abbiamo messo
in piedi una promozione a favore della Triennale di
Milano, che prevedeva l’impiego di formati particolari, ma, a quanto pare, queste iniziative rimangono
lettera morta.
Non dimentichiamo comunque che, sia il Codice
della Strada, sia i regolamenti comunali lasciano
davvero poco spazio a forme di comunicazione che
non siano normalizzabili e codificabili.
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MERONI:
Credo che sia doveroso cominciare con un complimento alla Jolly per l’iniziativa e chi conosce un
po’ l’ambiente dell’esterna in Italia sa che queste
parole non sono di pura forma. Si è fatta promotrice di un’iniziativa di valore che va seguita con
molta attenzione, magari, anche dopo propagandata, diffusa sotto una forma o l’altra, se i contenuti
che sapremo darvi lo meriteranno.
Il soggetto scelto è affascinante, è così affascinante
che bisognerebbe essere dei geniacci dell’architettura e della pubblicità per poter spaziare tra tutte
le aree che ci si aprono di fronte; non essendo un
geniaccio dell’una, né dell’altra, cercherò di attenermi a quei “paracarri”, a quelle triplici direttive che
Casti stesso ci ha indicato: opportunità, legittimità
e potenzialità.
Se non facessi questo, credo che partirei per la tangente, arriverei alle città utopiche, a Tommaso Moro
e a tutte quelle visioni visionarie che meriterebbero
di essere citate oggi; perché quando si va a toccare
così da vicino la vita e il suo organizzarsi sociale,
si può effettivamente arrivare molto lontano e gli
architetti, effettivamente sono stati tentati, nel bene
e nel male, direi io, molto spesso da queste visioni
un po’ spaziali.
Permettetemi di cominciare a dire qualcosa, sulla
questione della potenzialità e della sua misura. C’è
stato uno studio di UPA e di RAI su quello che è
l’effetto dell’inserimento pubblicitario in program-
51
CITTÀPUBBLICITÀ
mi “spazzatura”. Questo inserimento è da analizzare ed è stato analizzato, in un modo molto preciso:
gli spot inseriti in programmi spazzatura non ne
venivano valorizzati e perdevano buona parte della
loro efficacia.
Questo problema del contesto o dello sfondo in cui
si inserisce un messaggio pubblicitario, credo che
potremmo, per una volta capovolgendo le cose, di
solito si dice “la pubblicità rovina il contesto”, dire
“in che misura il contesto può valorizzare la pubblicità”? Questa relazione tra contesto e messaggio
pubblicitario ci porta a dire che l’affissione ha tutto
da guadagnare, da un contesto urbano, architettonico, ambientale piacevole, direi di valore. Talvolta
si potrebbe e lo si fa sempre di più, inserirsi funzionalmente sotto forma di arredo urbano in questo
contesto.
Mi sento di concludere su questo punto dicendo
che anche qui per la pubblicità esterna come per
gli spot, va assolutamente evitata la banalizzazione
dell’operazione pubblicitaria. Credo che tutti noi
che ci occupiamo di pubblicità esterna dovremo
approfondire la questione dell’arredamento pubblicitario; pensate che in Italia, meno negli altri paesi,
non fosse altro che quantitativamente, la pubblicità luminosa è penalizzata dalla regolamentazione
fiscale: quel servizio che l’impianto pubblicitario
luminoso rende, se non altro sotto forma di sicurezza cittadina, costa a noi il doppio sotto forma di tributi. Senza andare a citare quelle che sono le mitiche città, come Londra, Las Vegas, per la pubblicità
luminosa, mi si deve ancora dimostrare perché una
CITTÀPUBBLICITÀ
52
pubblicità che di notte invece di costituire un buco
nero non si nasconde ed addirittura vive con il resto
della città, deve essere penalizzata in questo modo.
Una parola sull’opportunità e i suoi criteri.
L’atteggiamento che in Italia rischia di essere più
penalizzante nei confronti dell’esterna è dettato da
uno strumento legislativo abbastanza strano. Non
so quanti di voi sanno che la pubblicità trova il suo
massimo strumento di regolamentazione nel Codice
della Strada e questo in virtù di un legame che
resta tutto da dimostrare tra pubblicità e sicurezza
stradale.
Mi domando perché, nonostante l’assenza totale
di indagini che dimostrino un nesso qualunque tra
incidenti e presenza pubblicitaria esterna, possiamo
permetterci di avere questo approccio e non invece
un approccio estetico-ambientale e culturale in un
paese come l’Italia, prima senz’altro per statistiche
di incidenti, ma anche prima per patrimonio culturale, architettonico ed artistico.
Un altro punto che meriterebbe d’essere sottolineato è quello della legittimità e dei suoi limiti. Non
voglio prenderla alla lontana, ma in Francia alcuni
giorni fa Spielberg, il regista che tutti voi conoscete,
dopo meditata riflessione ha autorizzato la diffusione del suo film “Shindlerlist” su una rete televisiva
commerciale, autorizzando anche delle interruzioni
pubblicitarie. Il film è di 3 ore e un quarto e il
regolamento francese prevede per un film di questa
lunghezza due interruzioni di 6 minuti.
53
CITTÀPUBBLICITÀ
Non sto a disquisire, perché non è il momento, sui
regolamenti e le leggi francesi comparate a quelle
italiane, a me interessano le modalità di questo
inserimento. Pensate un po’ che Spielberg ha detto
“sono senz’altro d’accordo, però voglio che questi
momenti di inserimento siano da me decisi e non
solo, che i contenuti merceologici di questi spot vengano concordati con me, escludendo certi prodotti”;
vi lascio immaginare quali.
Questo modo di immaginare un inserimento pubblicitario, mi sembra che possa insegnarci anche
qualcosa di utile per l’esterna. Ricercare un nesso
“nobile”, ancora una volta tra contesto e messaggio
pubblicitario; cercarlo perché esiste comunque. Non
voglio arrivare a dire quello che un pubblicitario ha
sostenuto l’altro giorno, che certe volte vedendo
alcune trasmissioni si aspetta con ansia l’interruzione pubblicitaria, che è l’unica cosa di qualità
che viene servita; “mutatis mutandis” girando per
alcune delle nostre città….
Credo che non bisogna arrivare a questo, ma che sia
possibile e legittimo cercare tra contesti architettonici e impianti, questo contatto d’alto livello.
Concludo andando un po’ a toccare quella che è la
possibile connessione tra urbanismo e flessibilità.
L’esterna si caratterizza, in effetti, per questa sua
grande flessibilità. Non stiamo a disquisire sulla
flessibilità, ma vediamo ancora una volta come
l’ordinamento italiano affronta il problema.
Lo affronta con un decreto legislativo del 1993 che
CITTÀPUBBLICITÀ
54
regola fiscalmente, è il caso di dire, la pubblicità
e che prevede come strumento obbligatorio per le
amministrazioni locali la creazione di un “piano
generale degli impianti”.
A prescindere dal fatto che una certa saggezza
degli amministratori locali ha fatto sì che su 8.200
Comuni italiani esistano sì e no una mezza dozzina di città, e nessuna delle grandi, che si è dotata
di questo mezzo. A prescindere da questa saggezza, rimane il fatto che l’approccio è estremamente
dirigistico e garantistico; ossia che invece di avere
una visione, permettetemi la parola, olistica, quindi veramente urbanistica del fenomeno pubblicità
e suo nesso con l’ambiente circostante, si è voluto
avere un appiattimento meticoloso, che va a penalizzare proprio quello che è l’aspetto più tipico
della pubblicità esterna.
Vorrei ancora citare il caso di come sta per essere
tradotto l’obbligo di darsi questo piano generale
della pubblicità esterna da parte di una città del
nord. Gli architetti torinesi che stanno dietro il
piano che c’è stato recentemente proposto sono
arrivati fino a quello che secondo me è un’aberrazione assoluta: tutti gli impianti della città di
Torino devono corrispondere alla “linea città di
Torino”, quasi fossero dei novelli Brunelleschi.
Questo approccio, secondo me, va esattamente
contro gli altri esistenti in Europa; penso alla
Gran Bretagna, dove con un sistema sì autorizzativo, ma molto spesso consensuale, si permette alla
creatività di misurarsi con l’inserimento dell’impianto su o nel contesto architettonico cittadino.
55
CITTÀPUBBLICITÀ
Tra Bella Italia e pubblicità è possibile un’armoniosa convivenza; basti pensare che in paesi come la
Svizzera o la Francia, che senz’altro non possono
essere accusati di essere Paesi che trascurano il
loro ambiente urbano ed extraurbano, la pubblicità
esterna rappresenta qualche cosa come 10 punti di
più di quota di mercato rispetto all’ Italia.
Arriviamo alla questione ultima dell’abusivismo o
la cosiddetta affissione selvaggia. Direi che questo
fenomeno trova la sua ragione d’essere soprattutto
in un eccesso legislativo, un garantismo legislativo penalizzante, che prende forma per l’appunto
di Codice della Strada e di “piano generale dei
mezzi” al quale viene spontaneo dire di cercare di
sfuggire.
Citiamo anche l’altro grosso aspetto che vede la
pubblicità esterna penalizzata rispetto agli altri
mezzi, sperequata rispetto agli altri al punto che
sono in corso indagini se affrontare questo argomento a livello dell’autorità antitrust. La pubblicità
esterna in Italia è l’unica a pagare un tributo, la
cosiddetta imposta sulla pubblicità, che è un tributo
minore, ma che la penalizza parecchio. Pensate che
su un impianto sul suolo pubblico in Italia vanno
ad incidere ben tre imposizioni: l’imposta sulla
pubblicità, la tassa per l’occupazione del suolo pubblico e chiaramente il canone concessorio richiesto
dal Comune. Questo rende effettivamente un gioco
molto appetibile, il darsi selvaggio alla pubblicità
abusiva.
L’ultimo appello che si potrebbe lanciare è di
CITTÀPUBBLICITÀ
56
introdurre con coraggio una semplificazione degli
ordinamenti, sia del Codice della Strada e delle
sue applicazioni cittadine che da questo Codice
d’altronde sono espressamente previste, sia una
semplificazione impositiva sotto forma di un solo
corrispettivo per gli impianti pubblici che renderebbe la sua esazione più facile e più controllabile.
Leghiamo, come in tutti gli altri paesi, l’inserimento
degli impianti pubblicitari nelle nostre città a un
solo atto autorizzativo e non a una serie di penali e
balzelli che cadono sulla nostra attività.
CASTI:
Grazie a Meroni e a coloro che lo hanno preceduto
siamo riusciti a toccare molti degli argomenti in
questione.
Vorrei adesso spostare l’attenzione su di una
tipologia di relatore, che raramente è presente
nei convegni o nelle Tavole Rotonde dedicate alla
pubblicità.
Si tratta delle Aziende di Trasporto, che, dopo
essersi accontentate di portare in giro per le città,
attaccate ai loro mezzi, le tabelle 300x70 (e qualche altro piccolo spazio), hanno scelto la ben più
decisa strada della decorazione integrale.
La loro proposta eccezionalmente efficace dal
punto di vista dell’impatto, dopo i primi mesi di
avviamento davvero caotici, ha vissuto il primo e
secondo anno dalla nascita con grande entusiasmo.
Noi stessi ci siamo attrezzati per avviare i nostri
Clienti più importanti all’utilizzo di questo mezzo
che, nonostante rappresentasse davvero poco in
57
CITTÀPUBBLICITÀ
termini di business, aveva tutti i presupposti per
piacere ai creativi e alle aziende.
Tutto questo è accaduto, ma i risultati positivi si
sono avvertiti purtroppo soltanto nelle poche città
che si sono sapute gestire seguendo la logica della
qualità e selezionando i “Clienti”.
In molti casi purtroppo, l’effetto incontrollato dello
scarso impegno creativo dovuto anche alle ridotte risorse economiche dei “Clienti”, oppure alla
mancanza di cultura specifica delle Aziende di
Trasporto locali, ha determinato il triste spettacolo
di quelle corrierone malamente acconciate, che circolano presuntuosamente addobbate in alcune città
di provincia.
Tutto questo è accaduto, nonostante da parte nostra
e della 3M ci fossero continui richiami alla ricerca
dell’innalzamento del livello medio di qualità, sia
dal punto di vista della espressività grafica dei
messaggi, sia per quello che riguarda i supporti e le
applicazioni delle decorazioni.
A parte la novità della decorazione integrale, è
indubbio che le Aziende di Trasporto investono, in
termini di sviluppo del nostro mercato, un’importanza fondamentale ed a mio avviso rappresentano la
carta vincente anche per “dribblare” le improprietà contenute nel Codice della Strada ed in alcuni
regolamenti comunali, che poco fantasiosamente,
si richiamano ad esso per allestire i “fantomatici”
piani della pubblicità.
I servizi sul territorio delle Aziende di Trasporto
infatti, sono espletati principalmente dalle “paline
di fermata” e dalle “pensiline d’attesa”, che, opporCITTÀPUBBLICITÀ
58
tunamente sistemate lungo le strade, individuano i
punti d’arresto dei mezzi pubblici e riportano le
indicazioni relative ai percorsi, alle frequenze ed
agli orari.
Questo patrimonio di presenze qualificate lungo le
strade è, a nostro avviso, scarsamente utilizzato ai
fini pubblicitari e solo in alcune zone della penisola
questi “supporti ideali” godono il giusto riconoscimento da parte dei buyers pubblicitari.
Naturalmente il loro atteggiamento influenza gli
investimenti delle Società di affissione che raramente dedicano attenzione, risorse e supporto ai
servizi ed alla collettività.
È questa un’altra indicazione importante che vorrei dare alla discussione e per questo ho invitato i
rappresentanti di numerose Aziende di Trasporto a
questo tavolo.
Sono certo che il loro contributo sarà fondamentale.
SILVESTRI:
Ringrazio la Jolly di questa opportunità.
Del settore della pubblicità sono un neofita, nel
senso che è solo un paio d’anni che me ne occupo
pienamente. L’esperienza che ho fatto in questi anni
è stata di notevole interesse e ho potuto rilevare che
le aziende di trasporto hanno un patrimonio notevole da utilizzare.
Quando parliamo di patrimonio dell’azienda di trasporto, parliamo di un’azienda che rappresenta e
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CITTÀPUBBLICITÀ
contribuisce a creare l’immagine della città. I nostri
mezzi viaggiano per la città, le stazioni della metropolitana vengono frequentate dal pubblico, quindi il
pubblico, l’azienda e il trasporto insieme fanno la
città.
Se dovessimo sbagliare politica pubblicitaria, intesa
come vendita di spazi e come promozione, faremmo
un enorme danno non solo all’azienda, ma anche
all’immagine complessiva della città.
L’Azienda ha anche grandi opportunità dovute alla
forte aspettativa dei nostri clienti, che vogliono
sapere se il servizio va bene, sapere cosa offre di
particolare il servizio e quali documenti e modalità seguire per viaggiare. Tutto questo crea anche
notevoli occasioni di fare co-marketing, soddisfando nello stesso tempo il desiderio di informazione
dell’utente e l’efficacia del messaggio pubblicitario
dello sponsor.
Il patrimonio dell’Azienda è negli ultimi anni aumentato aggiungendo alla pubblicità dinamica classica,
che tutti conoscono, la pubblicità integrale.
Questa nuova espressione è stata quasi imposta allo
Stato; sapete infatti che prima non era ammessa,
poi grazie ad un’interpretazione un po’ audace della
legge si è potuto realizzarla.
Il risultato è stato buono sia per i risultati economici, che per la città. Oserei dire “la città l’ha voluta”,
se interrogate i cittadini, vi dicono che senza la pubblicità integrale sui tram, non sarebbe più Milano.
CITTÀPUBBLICITÀ
60
Quindi i tram, gli autobus, i filobus, vestiti della
pubblicità, migliorano l’immagine della città. Senza
non è più Milano e ciò a mio parere vale anche per
i tabelloni in P.zza Duomo, che possono piacere o
non piacere, ma se si togliessero, P.zza del Duomo
diventerebbe alla sera un po’ più vuota.
L’essere, come azienda di trasporto, un po’ la città,
crea dei vincoli, questa simbiosi tra azienda e città,
ci addossa la responsabilità di assicurare un’immagine positiva.
La pubblicità deve diventare un piacevole elemento
caratterizzante della città. Ciò esige un controllo
su quello che si espone, sia dal punto di vista della
morale, che dell’estetica. Non a caso abbiamo previsto e sviluppato in passato e recentemente iniziative per migliorare la pubblicità dal punto di vista
estetico e creativo.
Ricordo a questo proposito l’iniziativa dell’I.G.P.
per il concorso di creatività utilizzando il formato
70x200 dove grandi pittori hanno partecipato liberando l’estro creativo.
Recentemente abbiamo fatto proprio con la Jolly
e la 3M una manifestazione in collaborazione con
l’Accademia di Brera stimolando gli studenti a produrre tram integrali.Lo studente è stato portato nel
mondo operativo della pubblicità e le risposte sono
state notevoli, anche se uscire dagli schemi formativi è stato, a mio parere, difficile.
61
CITTÀPUBBLICITÀ
Questa constatazione la facevo proprio l’altro giorno a Brera in occasione di un’altra manifestazione
che stimolava la creatività per un’esposizione cartellonistica alla Stazione M2 Lanza. Gli studenti
hanno risposto con entusiasmo, ma il legame agli
schemi è stato ancora evidente e quindi si afferma
la positività dell’iniziativa anche come crescita
degli artisti.
L’iniziativa di legare l’esigenza speculativa con la
scuola, giova agli studenti, alle agenzie e alla città
che potrà realizzare pubblicità bella e utile.
Le aziende di trasporto, oltre ad essere fornitrici,
sono anche utilizzatrici di spazi, perché loro stesse
devono proporsi al pubblico. Per l’Azienda pubblica
di trasporto la pubblicità ha senso quando, chiuso
un ciclo nel quale viene venduta la pubblicità e
realizzata l’esposizione, il risultato ritorna, oltre
che nell’introito, che è sempre gradito, anche come
valorizzazione del patrimonio e dell’immagine dell’Azienda.
Questo deve essere il nostro obiettivo e deve essere anche l’obiettivo delle istituzioni - del Comune
- con le quali la collaborazione deve essere stretta
e deve diventare l’obiettivo anche di chi fa la pubblicità. L’esposizione non deve diminuire il valore
del sistema messaggio, perché i mezzi, il chiosco,
la stazione metropolitana costituiscono un insieme
che nell’interesse di tutti deve mantenere innanzitutto il valore estetico in quanto parte del paesaggio cittadino.
Stiamo operando in questo senso contenendo il
CITTÀPUBBLICITÀ
62
numero delle vetture disponibili per la pubblicità
integrale, perché non vogliamo che questa si inflazioni. Stiamo oggi puntando sulle altre opportunità, stiamo cercando di realizzare una linea di chioschi integrati con l’informazione e che potrebbero
essere sponsorizzati e sostenuti con la pubblicità,
unendo l’utilità pubblica con quella dello sponsor.
Stiamo poi pensando a forme di pubblicità luminosa. Abbiamo recentemente assegnato un incarico
per lo studio di un’ipotesi di restiling della linea
1. Questo aspetto potrà avere un grosso ruolo per
recuperare quegli spazi bui che oggi sono ancora
presenti in metropolitana e che proprio grazie alla
pubblicità potrebbero diventare più sicuri e invitanti.
CASTI:
Mi permetto di intervenire a proposito dell’opportunità di illuminare la pubblicità, soprattutto in
corrispondenza di situazioni dove questa fonte di
luce possa essere utile alla sicurezza, oppure alla
qualificazione dei siti.
Il sogno di tutti noi è che la pubblicità possa essere
vista di giorno come di notte, all’esterno e all’interno degli ambienti frequentati dal pubblico.
Questo nostro desiderio, in realtà, spesso cozza
contro la realtà di un mercato che purtroppo non è
disposto a pagare i servizi accessori e che ancora frequentemente si domanda come mai le nostre tariffe
siano così lontane da quelle dell’affissione comunale.
65
CITTÀPUBBLICITÀ
L’allestimento di un impianto luminoso inoltre,
necessita di un supporto per l’immagine molto più
costoso che, salvo nel caso della pubblicità “permanente”, ahimè sempre meno di moda, non giustifica
l’investimento.
In questo senso è necessario operare in due direzioni: quella della ricerca di supporti retro illuminabili,
più economici (e qui un po’ di strada l’ha già fatta
la 3M) e quella dell’educazione del mercato, che va
indirizzato a considerare la spesa per la stampa,
non tanto come fase sulla quale economizzare, ma
come opportunità per distinguersi con prodotti e
soluzioni di qualità.
SILVESTRI:
Direi di più, l’esperienza di ricercatore, fatta in passato occupandomi di indagini sul traffico etc, mi ha
fatto fare anche in questo campo piccoli sondaggi,
utilizzando alcune volte aziende specializzate, altre
volte intervistatori interni per cercare di capire
come veniva letta la pubblicità dall’utente.
La sorpresa è stata grossa: non era tanto la quantità
di pubblicità o l’evidenza del messaggio che attirava
l’attenzione, quanto la presenza di informazioni o
messaggi utili per i propri spostamenti. Abbiamo
fatto con la Centrale del Latte del co-marketing
pubblicizzando i nostri abbonamenti annuali e i
biglietti scontati per Natale; nello stesso tempo, da
parte della Centrale del Latte veniva offerto nel carnet di biglietti ATM un buono sconto per lo yogurt.
CITTÀPUBBLICITÀ
66
Vi posso dire che quest’anno la Centrale del Latte
ha sollecitato la ripetizione per i buoni risultati
della campagna. La lettura dei manifesti era stata
enorme, il ritorno dei tagliandi doppio del normale. Questo dimostra che unendo aspetti utili alla
promozione si riesce a sollecitare l’ascolto.
Un’altra esperienza che quest’anno abbiamo fatto
è stata il “gira e vinci” realizzata in co-marketing
con la Siemens. La Siemens ha ritenuto opportuno
darci una mano nella campagna studenti promuovendo il proprio marchio fra gli studenti offrendo
circa 15.000 premi su circa 100.000 acquisti di
abbonamenti fra i quali 6 calcolatori di indubbio
valore.
Il risultato è stato buono e quest’anno si ripeterà.
Abbiamo provato a fare altre iniziative di questo
tipo unendo sempre l’utilità alla pubblicità e il
risultato è stato buono. Adesso stiamo pensando
di realizzare chioschi polifunzionali, affidando ad
architetti di grido la progettazione. Lo scopo è
quello di creare nelle piazze, che il Comune sta
ristrutturando, momenti di richiamo dove si possono avere notizie sul servizio.
Chi chiede pubblicità ricerca il risultato e non
sempre considera i vantaggi che derivano dagli
abbinamenti con gli aspetti utili per i cittadini.
Le indagini condotte sulla pubblicità integrale
hanno poi dimostrato che alcune pubblicità sono
ricordate per la loro caratteristica creativa anche
in difetto della numerosità delle esposizioni.
67 CITTÀPUBBLICITÀ
Abbiamo rilevato che quando il creativo è stato
efficace anche un solo mezzo riesce ad avere una
sufficiente visibilità mentre si ottengono buoni
risultati con tre mezzi.
In collaborazione con l’Accademia di Brera è stato
indetto un concorso sollecitando gli studenti a decorare a piacere un jumbo tram. Su oltre 50 lavori
sono stati premiati un paesaggio classico cittadino
lagunare e una specie di balcone dal quale i viaggiatori guardavano sulla città. Queste due creazioni
sono state realizzate e il ricordo è stato notevole,
nonostante non vi sia un marchio o una scritta,
mentre alcune pubblicità complesse, piuttosto confuse, non le ricorda nessuno.
La pubblicità dinamica e quella integrale, se fatte
bene, ovvero se il creativo ha colto l’essenziale,
danno veramente risultati notevoli.
Di questo anche i clienti se ne stanno accorgendo,
perché stiamo esaurendo le nostre disponibilità di
tram che abbiamo aumentato rispetto a due anni
fa, tanto che non riusciamo più a fare iniziative
nostre.
La strada è quella che c’è stata indicata molto bene
dal Sindaco di Vienna, da Meroni e da Cervetti; dobbiamo essere tutti d’accordo sull’utilità di continuare a fare uso della pubblicità perché possa essere
efficace per le aziende e positiva per la città.
CASTI:
Ringraziando Silvestri per la sua testimonianza,
CITTÀPUBBLICITÀ
68
non posso non sottolineare che la sua azienda è una
di quelle che ha saputo ben seguire il rapporto con
la pubblicità ed è inutile evidenziare che trovandosi
a Milano qualche vantaggio di natura territoriale lo
ha certo avuto.
Il prossimo intervento invece, ci illustrerà una realtà assai diversa e in un certo senso agli antipodi.
La nostra fortuna in questo caso è che Megna, il
prossimo relatore, proviene da un ambiente molto
vicino al nostro.
Bruno Megna infatti, Presidente dell’ACT di Trieste,
è stato dirigente in Coca Cola; per questo gli chiederei di sviluppare il rapporto tra Azienda pubblica,
marca e città.
MEGNA:
Questa mattina mi avete cambiato completamente
quello che intendevo dirvi quando sono arrivato a
Venezia.
Ho sentito alcune frasi: “legare la pubblicità alla
città”, “il contesto valorizza la pubblicità”, per cui
ho pensato che bisogna parlare d’altro.
Ho 28 anni di attività, di cui 17 come dirigente
nell’ambito della Coca Cola nella struttura internazionale per l’Est Europeo. La pubblicità quindi non
è che l’abbia fatta, però ho sempre visto i motivi
fondamentali per cui veniva fatto un certo tipo di
marketing.
Ricordatevi che questo termine - marketing - alcuni anni fa rappresentava la pubblicità, dopodichè
69
CITTÀPUBBLICITÀ
i sistemi di comunicazione si sono specializzati,
abbiamo importato quello che era il sistema anglosassone americano dei mass-media e dei mezzi di
comunicazione e oggi ci troviamo a parlare di pubblicità quale metodo, sistema di comunicazione, ma
proprio perché è un sistema vario a seconda di come
viene articolato nei canali di pubblicazione.
Abbiamo pubblicità esterne, interne, medie, subliminali; è un po’ un mondo che, a seconda da dove si
tocca, comincia e può essere spiegato con diverse
chiavi di lettura.
Sapete meglio di me perché lo vedete tutti i giorni
per la televisione.
La compagnia fa più che altro pubblicità “reminder”, cioè non pubblicizza il prodotto in quanto tale,
la qualità del prodotto, ma ricorda semplicemente
perché esiste quel prodotto, quindi c’è un lavoro di
base già fatto, di qualità affermata e per tanto c’è
soltanto da ricordare.
Probabilmente più vicino a voi può essere l’esperienza Fanta - non credo di fare pubblicità a nessuno perché sono oramai prodotti conosciuti - solo
per poter identificare con il nome e il cognome di
che cosa parliamo.
La Fanta inizialmente è stata pubblicizzata come
prodotto di pubblicità, poi non ne ha avuto più bisogno e pertanto viene identificata come “reminder”,
cioè ricordare.
Sono sistemi di pubblicizzazione che vanno ad essere
supportati dalla psicologia di massa.
Ci sono degli psicologi di massa che studiano i
CITTÀPUBBLICITÀ
70
casi e per tanto i messaggi non sono a se stanti.
In genere identificano modelli di vita, sistemi di
vita, sogni, aspirazioni. È molto importante il target
di riferimento.
Queste compagnie scelgono il loro utente; spesso
attraverso una pubblicità attuale poco attenta si
generalizza il messaggio. Onestamente non essendo
un addetto, uno specialista, non so se sia più efficace il messaggio diretto ad un target specifico, che
non quello generalizzato uguale per tutti.
Mi riferisco un po’ all’esperienza che sto vivendo
da alcuni anni all’Azienda Consorziale Trasporti di
Trieste.
È di questo che volevo parlarvi, perché da una
parte abbiamo l’esaltazione del prodotto, l’attività
maniacale che per creare un modello, tutti insieme
in tutto il mondo con traduzione di spot, con dei
motivi musicali che ne supportano e realizzano in
un certo tempo un modello di vita sognato da chi lo
riceve, dare un messaggio che molte volte travalica
anche i confini nazionali per poter andare a finire anche in aspetti di politica di massa, dall’altra
parte abbiamo oggi una pubblicità molto generalizzata, fatta sugli autobus.
Con la Jolly Pubblicità abbiamo rinnovato i rapporti ultimamente e abbiamo tentato di dare una
spinta diversa, una lettura diversa a quelli che
erano i rapporti precedenti.
È soltanto da 2 anni che stiamo facendo una campagna pubblicitaria a Trieste. È di questo che vi
volevo parlare.
71
CITTÀPUBBLICITÀ
Invidio il dottor Silvestri dell’ATM di Milano,
perché sa come è fatta la sua città: una città
poliedrica, una città estremamente viva e una città
multirazziale, multietnica: ha tutto; è una metropoli e quando parliamo di metropoli significa che
ha tutto.
La nostra è una città, che anche se conta 230 mila
abitanti, è una città di provincia, con un’età media
di ultra sessantenni. Allora, quando si parla di contesto, quando si parla del contesto che valorizza la
pubblicità, l’autobus o la pensilina o la fermata,
qual è il contesto?
Il contesto è un’età media ultra sessantenne; allora il messaggio pubblicitario da mandare alla città
quando si parla di legare la pubblicità alla città
è diverso, bisogna essere estremamente attenti,
perché quello che si è potuto fare a Catanzaro, a
Pesaro, a Verona, non è detto che funzioni anche
a Trieste.
Abbiamo avuto un’esperienza con le prime pubblicità sugli autobus a pubblicità decorati; abbiamo
avuto anche una querelle sulla stampa locale,
perché abbiamo dovuto convenire che l’utente che
sopporta una pubblicità tabellare, la stessa identica su un muro o su un display luminoso o un’insegna, non la sopporta sull’autobus.
Questa è la grossissima differenza che passa da
una pubblicità fatta dal privato e l’altra fatta
dal mezzo pubblico. Perché praticamente la psicologia dell’utente cosa dice? Il privato fa quello
che vuole, ma sul mezzo pubblico, visto che è in
CITTÀPUBBLICITÀ
72
parte anche mio, si deve fare quello che dico io.
Non è una pubblicità esterna in quanto passo e
posso anche non guardarla, (la televisione, il tabellone non lo guardo, passo) se passo sull’autobus
me la porto dietro come un uomo sandwich; questo
è quello che abbiamo vissuto noi a Trieste.
Chiamatela mentalità provinciale, mentalità vecchia, d’altra parte quello che è il contesto in cui ci
si muove, quindi l’attenzione dei creativi da questo
punto di vista deve essere estremamente attenta,
proprio al target di riferimento generalizzato che
in questo momento abbiamo con l’autobus, l’autobus decorato che è la pubblicità innovativa in più,
lo avremo con gli show-bus, che ci saranno tra un
po’ (sapete di che cosa parlo, quindi è inutile che
mi addentri in dettagli tecnici di questo tipo).
È necessaria un’accurata analisi della società
in cui questi mezzi pubblicitari vanno ad avere
un impatto. Si parla sempre di questi bambini,
lo sapete meglio di me che i bambini sono delle
coperture di ciò che noi portiamo dentro e di ciò
che vorremmo vedere, ma non vorremmo dire di
aver visto, perché tutti quanti siamo fatti così,
critichiamo sempre l’altro, d’altra parte di questi
sistemi dobbiamo pur tenerne conto, come quando
mi chiedono di cambiare una linea o di aggiungere
una fermata, di spostare una pensilina, bisogna
tenerne conto perché quella è l’utenza, quelli sono
i nostri clienti e siamo degli intermediari rispetto
alla Jolly, in questo caso quindi è un problema che
va rivisto.
L’ultimo appunto vorrei farlo per quanto riguarda
75
CITTÀPUBBLICITÀ
la qualità; anche in questo caso la qualità non è
nella pubblicità qualche cosa che si può certificare;
può anche darsi che ci sia una qualità certificabile,
ma la qualità è quella percepita dall’utente, non
quella che viene prodotta da chi offre, non tanto il
supporto pubblicitario, ma quanto l’anima stessa
della pubblicità, il messaggio.
Per qualità dobbiamo intendere cosa percepisce
l’utente. Sapete che abbiamo avuto dei flop tremendi proprio perché l’utenza non ha recepito quel
tipo di immagine o quel tipo di messaggio, perché
all’interno di qualsiasi tipo di pubblicità c’è un
messaggio di vita, c’è un messaggio di ottimismo,
c’è un messaggio.
Voi sapete meglio di me cosa significa sbagliare
messaggio. Molte volte significa penalizzare dei
prodotti, addirittura segnare la vita e la sorte di
aziende quando si sbaglia la campagna pubblicitaria: la Coca Cola ne sa qualche cosa con la famosa
Diet Coke e Light Coke anni fa.
Strategicamente si è riusciti a recuperare, ma non
sempre riesce; attenzione non parliamo soltanto di
supporti, so di parlare delle persone e questa mattina me ne sono reso conto, non è che non dovrei
usare il termine sprovveduto, ma tutti quanti sanno
esattamente di che cosa si tratta.
Per cortesia fatemi il piacere: studiamo, prendiamo esempio realmente da chi fa pubblicità con
professione, studiamo a chi è diretta, non tanto
qual è il messaggio in se stesso, perché soltanto
attraverso questo studio possiamo determinare
il valore del messaggio pubblicitario e dopodiché
CITTÀPUBBLICITÀ
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fare anche un po’ di cultura da questo punto di
vista.
Invece di parlare tra di noi, dovremmo anche
acculturare - passatemi questo termine - quelli che
saranno i nostri prossimi utenti.
La pubblicità viene ancora confusa, l’ho detto
prima con il marketing, il sale promotion, il pubblic-relations.Tutte queste cose, che sono i tradizionali sistemi di comunicazione, vanno in crisi,
perché c’è poca cultura, c’è semplicemente la strategia di massa di riempire gli spazi, creare nuovi
mezzi alternativi e poi ci rendiamo conto che si va
in crisi.
La televisione continua ad avere il suo spazio; va
in crisi la pubblicità tabellare ed un certo tipo di
pubblicità. Recuperiamola creando cultura, perché
ci si sazia dappertutto, ma non c’è alternativa,
siamo davanti alla televisione e ci sorbiamo come
soggetti passivi, ma quanti di noi in realtà interagiscono positivamente con quei messaggi?
Facciamo su di noi stessi un’analisi: quanti di noi
realmente recepiscono e vanno l’indomani a comprare quel prodotto?
Le strategie degli spazi esterni devono avere lo
stesso concetto: dobbiamo cominciare ad abituarci al fatto che lo spazio esterno deve essere
gestito in qualche misura; non sono capace di
dirvi come, ma in una certa misura come lo spazio televisivo.
Non voglio divulgarmi molto, perché so che la
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CITTÀPUBBLICITÀ
giornata sarà lunga anche per voi e vi ringrazio
per l’attenzione.
SILVESTRI:
Vorrei sottolineare una cosa interessante sulla pubblicità integrale perché l’abbiamo vissuta un po’
come pionieri assieme a Brescia. Da noi quello che
ha fatto buon gioco sul pubblico è stata l’attesa, nel
senso che era una cosa annunciata da molto tempo,
ma che non aveva mano, nello stesso tempo si faceva
notare il grigiore della città di Milano, questi autobus tutti gialli, arancioni cominciavano a stancare,
era diventato un motivo per il pubblico quasi che
questi autobus invece di essere arancioni fossero
grigi, per cui quando sono arrivati i primi autobus
della pubblicità integrale, che fra l’altro non furono
autobus pubblicitari, perché i primi 6 furono prodotti dall’azienda praticamente come esempio, di come
poteva diventare un autobus: un paesaggio campestre, etc. per cui la gente li ha visti come una liberazione, è chiaro che queste cose tante volte si indovinano per preparare l’ambiente e tante volte meno.
La pubblicità integrale dopo è stata accettata, ma,
ad esempio, abbiamo via via abbandonato gli autobus per passare ai jumbo-tram, perché la scenografia era talmente tanta che la gente quando vedeva
passare questi veicoli abbastanza misurati e indovinati diceva: aspetto il tram della San Pellegrino,
etc., quindi era diventato un modo di vedere il tram
e questo continua ancora oggi.
Tutto sommato i creativi e le stesse aziende non
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hanno dato tutti lo stesso livello, ma mediamente il
livello che è stato dato è stato incisivo sul pubblico
e mi auguro anche per chi lo ha utilizzato, perché
vedo che molti clienti tornano e ben volentieri,
stanno anzi direi ricercando spazi in misura sempre
maggiore.
MEGNA:
Giusto una battuta per concludere, il parametro
che Trieste sia una città di ultra sessantenni la dice
lunga, ma bisogna anche considerare che è una città
che ha poca capacità imprenditoriale privata. Non
abbiamo la grande impresa privata, abbiamo un
para Stato che oramai è allo sfascio, non c’è più,
abbiamo commercio e una piccola media impresa
che non rende in città.
Non voglio criticare nessuno, ma la realtà è questa.
Tutto sommato il 50% dei nostri autobus destinati
alla pubblicità integrale ce li siamo fatti, circa il
90% della pubblicità la portiamo avanti e questo
grazie agli addetti che sono professionisti e che
sanno fare il loro lavoro e con questo chiudo, grazie
ancora.
MICHELETTI:
Vorrei come al solito riprendere i temi trattati in
precedenza, giusto per fare alcune annotazioni in
merito. Abbiamo parlato di formato e della necessità di stare in un formato e del perché siamo in
questo formato.
Piuttosto che pensare all’Euro sarebbe proprio
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CITTÀPUBBLICITÀ
il caso di pensare all’unificazione dei formati in
Europa, visto che i formati sono completamente
diversi da Paese a Paese. Perché sono diversi?
Perché sono derivati tutti dalla diversa disponibilità
di macchine da stampa nei diversi Paesi. In Italia
le macchine di stampa erano basate su formato
70x100 e tutti i formati si sono adeguati a questa
disponibilità.
In Germania - sono più avanti per certi aspetti usano il sistema unificato, usano il sistema UNI,
quindi tutti i formati dei posters in Germania (se
andate a vedere i 6 fogli, i 18 fogli, i 24 fogli) sono
basati sul foglio A3 che è un formato unificato,
unico.
In Grecia le pensiline utilizzano un manifesto di
formato 110x160 (che sono una via di mezzo tra i
Francesi e gli Italiani) perché l’unica macchina che
avevano era questa qui, una macchina che stampava
come massimo il 110x160. Non è quindi una scelta
determinata dai creativi, non sono i creativi che
non hanno interesse, voglia o capacità di sviluppare
nuovi formati, è che se parliamo di affissione in termini tradizionali e cioè impianti ripetuti, ben diffusi
sul territorio, con un’adeguata copertura e adeguata
frequenza, bisogna poi stampare i manifesti relativi,
per stampare i manifesti relativi c’è il vincolo della
tecnologia, ogni Paese ha seguito un formato collegato alla tecnologia disponibile.
I Francesi hanno installato le macchine per stampare
il 120x180 in un pezzo solo ed ecco che su questo si
è sviluppato in modo estremamente importante il forCITTÀPUBBLICITÀ
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mato delle pensiline e dell’arredo urbano in Francia.
A proposito del discorso su Vienna, è vero che il
Sindaco Zilk ha fatto un bel discorso quando eravamo a Vienna, ma ha fatto solo un bel discorso. A
Vienna ci sono circa 30 mila posizioni poster che
sono quasi uguali alle posizioni poster che ci sono
in Italia. Tenete conto che l’Austria è, dal punto di
vista sia della superficie che del numero di abitanti,
molto più piccola dell’Italia, meno di un settimo
dell’Italia. Se c’è una città in cui l’affissione, i
manifesti sono poco coerenti con l’assetto urbanistico, con la situazione e con la qualità della vita
che si può avere a Vienna, questa è proprio Vienna,
con il suo sistema affissionistico. Ricordiamoci
che in Austria vige un sistema tale per cui le due
società di affissione e i due gruppi di affissione più
importanti sono emanazione dei poteri politici e
quindi si capisce bene come si sia verificata questa
situazione. Il Sindaco Zilk, che adesso non è più
Sindaco, per fortuna, predicava bene, ma razzolava
molto male.
A proposito sempre di poteri pubblici è vero che in
Italia abbiamo il problema dell’adeguamento a normativa del Codice della Strada, che è veramente una
stupidaggine incredibile, per cui ci sono dei vincoli
molto meticolosi per determinare, per regolamentare
dove mettere gli impianti, quali impianti mettere e
come metterli; è anche vero però che contemporaneamente non ci sono i controlli. Di conseguenza
ecco che si spiega il problema dell’abusivismo, sia
per gli impianti di breve durata e sia per gli impianti,
oggi in particolar modo, di media durata (3-4 mesi).
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Intendo le impalcature con i grandi teli che assomigliano un po’ alle vetture decorate, (anche lì
Milano aveva rappresentato una posizione di punta,
il famoso telo di Armani in via dell’Orso lo conoscono tutti) però oggi ci sono situazioni in cui è più
facile pagare una multa e vendere lo spazio per 3-4
mesi…
Per chi non è addetto ai lavori: su un’impalcatura
per avere il diritto di esporre un manifesto c’è tutta
una procedura, bisogna sottoporre il progetto con
5 copie all’Ufficio delle Pubbliche Affissioni del
Comune, versare le imposte, non installare niente
finché non si è ottenuta l’autorizzazione. Noi stessi
abbiamo avuto in passato un’esperienza di questo
genere, è stato più facile esporre i manifesti, avere
i verbali dei vigili che hanno detto che questi manifesti erano abusivi, e dovevamo pagare una multa.
Pagare la multa è costato molto meno e abbiamo
avuto l’affissione, c’era un problema della “6 giorni ciclistica” di Milano, quindi bisognava esporre i
manifesti proprio in quei giorni lì, aspettare i tempi
di reazione degli uffici comunali era complesso e
quindi si è preferita questa situazione.
Oggi ci sono operatori del settore che, soprattutto sui grandi teli di grande formato collegato alle
impalcature, che durano 3-4 mesi, offrono cose
interessanti, ma abusive. Spesso i vigili non fanno
neanche in tempo a fare il verbale e ad applicare
la contravvenzione, bisogna stare molto attenti da
questo punto di vista. È un po’ come i limiti di velocità sull’autostrada: c’è il limite in Italia 130 dapCITTÀPUBBLICITÀ
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pertutto, non importa se è la Mestre-Belluno, tre
corsie grandissime, raggio di curva amplissimo dove
andare a 160 o 170 non comporta nessun pericolo
per nessuno, se uno ha una vettura idonea. Però poi
non ci sono controlli sistematici, ma occasionali,
per cui si va a 160 e si spera di farla franca. Se
invece per sfortuna mi capiterà di incontrare un
controllo, pazienza: pagherò la multa, sperando
che non mi venga sospesa la patente. Per ottenere
migliori risultati (sulle autostrade come in affissione), credo che dovremmo avere meno regole, ma
più controlli.
Si diceva la situazione francese: la situazione francese è molto chiara, dà poche regole per l’affissione, però non c’è un impianto che non rispetti queste
regole e se un impianto non le rispetta in capo ad
una settimana viene rimosso. È un problema di
deontologia da parte delle società di affissione,
ma è anche un problema di efficacia del sistema di
controllo e repressivo da parte degli Enti Pubblici.
Tra l’altro in Francia, non c’è bisogno di autorizzazione per l’installazione di un impianto, ma solo di
una “autocertificazione” da parte delle Società di
Affissione che dichiara di avere rispettato le regole. È una fuga in avanti pensare di mettere regole
ancora più strette, ancora più vincolanti, fare come
si diceva a Torino, prescrivendo come devono essere
gli impianti, dove devono essere messi, ecc.
La soluzione invece è: regole poche, chiare, una
forte repressione e il massimo di privatizzazione.
Queste cose sono talmente semplici e talmente evi-
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denti, che difficilmente potranno essere realizzate.
Per quanto riguarda le imposte, è vero che la pubblicità luminosa paga il doppio, forse anche perché
è vista il doppio del tempo rispetto all’affissione
normale, ma non credo che i Comuni siano arrivati
a questa sofisticazione di pensiero, credo che sia
solo perché così incassano più quattrini e siccome si vede bene non si può scappare. È un po’ la
stessa storia per cui i telefonini non sono detraibili
dal reddito delle imprese se non al 50%, lo stesso
le automobili. Come se io oggi venendo da Milano
fossi venuto solo per turismo e non anche per lavoro. Invece no, le spese che ho sostenuto metà sono
utili della società e solo metà sono costi. Anche per
l’affissione luminosa siamo in questa situazione.
Certo che se ci fossero meno imposte, se costasse
meno, probabilmente anche il mercato risponderebbe meglio all’offerta che viene fatta.
Un’altra osservazione che vale per i formati, vale
per Vienna, vale per le regole, è il discorso europeo:
se c’è un settore in cui davvero ci sarebbe bisogno
di integrazione, ci sarebbe bisogno di direttive, ci
sarebbe bisogno di omogeneizzazione, è il settore
dell’affissione, invece ogni paese fa esattamente
quello che vuole. In Germania si può ancora fare
pubblicità alle sigarette, si può ancora fare pubblicità agli alcoolici in affissione, ma non sugli altri
mezzi, allora l’affissione è invasa dalle sigarette. I
tedeschi che sono furbi hanno detto sì, ma non si
può mettere per una marca di sigarette più di un
poster ogni 3 mila abitanti, che era la regola di pianificazione che seguivano le agenzie per pianificare
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l’affissione in Germania, per cui nella realtà non è
cambiato niente.
In Grecia l’85% del mercato è in mano alle
sigarette. Sarebbe interessante anche in Italia dal
punto di vista del mercato avere questo settore,
invece in Italia no, in Francia no, in Spagna no etc..
Una ricerca di integrazione europea dal punto di
vista di queste regole sarebbe un altro fattore sicuramente interessante.
Mi spiace che il Dottor Silvestri non sia più qui,
perché c’è una cosa che mi piacerebbe chiedergli.
Perché deve essere così complicato ottenere il permesso dall’ATM per decorare un tram? Abbiamo
un cliente internazionale che ha sede a Londra;
quando gli abbiamo detto che doveva presentare la
domanda in triplice copia su carta bollata, allegato
lo statuto della società, ha detto:«no, per carità,
non facciamoli i tram decorati».
Perché un’azienda che ha come missione quello di
assicurare i trasporti efficienti in una città importante e complicata, deve investire risorse, energie
per esaminare le pratiche? Noi abbiamo realizzato
tram decorati in molti Paesi Europei in Svizzera
7, in Olanda 5, in Repubblica Ceca, in tutte le città
della Repubblica Ceca abbiamo allestito dei tram
decorati, dipinti, in Polonia e perfino in Lettonia,
ma non abbiamo dovuto esibire il certificato antimafia o altre richieste di questo genere; facciamo
la domanda, se hanno la disponibilità ci dicono
quanto costa, ci dicono quali sono i vincoli tecnici,
per quieto vivere, visto che i nostri soggetti spesso
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sono controversi, glieli facciamo vedere prima (ma
normalmente ci dicono di sì, non abbiamo avuto
nessuna reazione negativa da questo punto di vista).
Definiamo gli aspetti economici e poi … via!
Com’è invece che l’ATM si avvale del diritto di censura o si vuole porre, così come Trieste per altro,
come censore della pubblicità. Vogliono giudicare
loro se un visual è adatto o no…?
CASTI:
Se non sbaglio proprio a Roma c’è una Commissione preposta.
MICHELETTI:
È come se non ci fossero le regole di autodisciplina, oppure il garante che già da solo dovrebbe
essere sufficiente per garantire la correttezza dei
messaggi. Com’è che la società dei trasporti ha
maggiore sensibilità o minore sensibilità rispetto
all’istituto di accertamento, piuttosto che al comitato del garante? Non mi sembra che sia necessario mettere ulteriori regole, ulteriori valutazioni.
Sì, è vero, uno dice: lì pagano il biglietto, quindi
è uno strumento a pagamento. E il canone RAI,
allora? Poi, il pubblico che ci interessa quando
facciamo un tram decorato non è quello che sale
sul tram o non è solo quello, è molto di più, altrimenti a Praga non avremo certamente fatto i tram
decorati, (ancora oggi una corsa in tram a Praga
costa 360 lire, proporzionalmente è il prezzo corrispondente a livello di reddito italiano), ma non è
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certamente quello il cliente che può andare a comprarsi dei jeans da 50 dollari. Anche lì l’azienda
dei trasporti deve valutare che ci sia coerenza tra
il messaggio che viene applicato e l’immagine del
mezzo di trasporto? Mi sembra un vincolo pesante
alla creatività.
Ricordo l’esempio che faceva anche il Dottor
Silvestri a riguardo dell’Esselunga. L’Esselunga
fa una campagna ogni mese per 12 mesi all’anno,
forse per 10, di affissione tradizionale in date città,
(tra cui Milano) con una creatività, per fortuna loro
e anche nostra che ci occupiamo del mezzo, fantastica, ci mancherebbe che avendo fatto 3 o 5 tram
non si vedessero a Milano.
CASTI:
In realtà Esselunga ha sfruttato meglio di altri la
risorsa tipica della distribuzione, quella di poter investire grandi risorse sui mezzi areali.
Si può quindi permettere di surclassare oltre che con
la qualità (che in questo caso è fuori discussione)
anche con la quantità, perché come dice una nota
campagna pubblicitaria “Two is meglio che one”.
MICHELETTI:
Non importa, ma ne faccia 3 o 10 il problema non
è che il tram di Esselunga si vede meglio di quello
di San Pellegrino ed è più efficace di quello di
Pellini Caffè, è solo che sull’immagine dell’Esselunga, sullo stesso tema, sullo stesso meccanismo,
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c’è una presenza continuativa durante tutto l’anno.
San Pellegrino fa solo il tram e non fa neanche una
campagna di affissione. Non è quello il meccanismo.
Anche riguardo a Trieste. Se una campagna pubblicitaria non funziona, se qualcuno ha sbagliato perché
ha sbagliato target, se Coca Cola non si consuma a
Trieste non è colpa degli autobus, il problema è di
Coca Cola, non nel mezzo di trasporto. Non esiste
che il mezzo di trasporto si debba preoccupare se
funziona o non funziona dal punto di vista comunicazionale. Si può preoccupare di questo per vedere
la sua potenzialità di mercato, per capire se è un
mezzo che potrà avere uno sviluppo o meno, ma
certo non per decidere se Coca Cola ha fatto bene
ad usarlo.
Io sbaglio spot o sbaglio pianificazione in televisione, il mio spot non si vende, è colpa della televisione?
Forse no, non mi sembra. Anche qui: non bastano le
regole collettive se il messaggio non corrisponde al
senso del pudore piuttosto che ai problemi di concorrenza e così via?
Ci stiamo confrontando troppo tra di noi, al nostro
interno: il sistema della pubblicità esterna e non
solo dell’affissione, è un sistema diffuso in tutto il
mondo. Mi rendo conto che soprattutto dal punto di
vista legislativo, soprattutto dal punto di vista operativo, i vincoli sono tanti e non ci si può astrarre
da quelli, ma dal punto di vista generale credo che
varrebbe la pena di confrontarsi con gli altri Paesi
per capire, per migliorare, per sviluppare l’impiego
del mezzo.
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CASTI:
Ho preso parte al citato Congresso di Vienna. Ero
tra i pochissimi italiani presenti e non ero ancora in
Jolly; ci sono andato come architetto.
La mia relazione sviluppava proprio il problema dell’inquinamento dei messaggi nell’ecologia urbana.
Lì a Vienna mi sono accorto che per quanto utile, è
molto difficile confrontarsi con Paesi tanto diversi
da noi.
Ti viene rabbia constatare che le pensiline a New
York si vendono come il pane, che in Francia gli
impianti sono così tanti e belli, che in Svizzera
tutto è preciso come un orologio e poi quando torni
a casa ti ritrovi che il Codice della Strada (unico
paese al mondo) ti impedisce praticamente tutto e
che quello che può rimanere all’interno dei centri
urbani ti costa un occhio della testa, perché, chissà
per quale motivo, a differenza degli altri mezzi pubblicitari, l’affissione in Italia è tassata.
Per questo prima parlavo di alternative necessarie
e che impropriamente mi verrebbe da utilizzare un
termine che odio: scappatoie.
MICHELETTI:
Più che trovare la scappatoia sarebbe opportuno
trovare la soluzione di queste cose, capisco che può
essere utopico da molti punti di vista…
CASTI:
La soluzione più praticabile probabilmente è l’uti-
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lizzo creativo di quegli spazi legittimi, ma sappiamo quanto difficile sia per esempio, soprattutto
per i clienti multinazionali, declinare le campagne
confezionate altrove in giro per il mondo, senza
considerare purtoppo l’eventualità di formati strani ed inediti.
MICHELETTI:
Però la raccomandazione all’agenzia per un uso
creativo del mezzo, alle agenzie creative in generale, è sicuramente importante. Abbiamo assistito la
scorsa settimana ad un mezzo che sembrava completamente, direi inattaccabile dal punto di vista
delle innovazioni, come la radio RAI, abbiamo sentito questa campagna Perugina, dei baci perugina,
per la festa della Mamma: al di fuori degli schemi,
al di fuori dei break, con formati molto diversi, con
modalità nuove: molto interessante!
Anche in affissione si potrebbero studiare forme
innovative di impiego del mezzo, forse non tanto
come formati, ma soprattutto come impiego “creativo” di combinazioni di supporti.
CASTI:
Per Perugina come al solito non c’è nessun problema, come Coca Cola o come altri illustrissimi
marchi che si possono permettere di provare e di
spendere. Se Coca Cola sta trattando con lo Stato
Pontificio per il giubileo non lo può fare Birra
Pinco Pallino. Le Olimpiadi di Atlanta le hanno
fatte probabilmente perché quel marchio ne ha
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avuto la forza, purtoppo si tratta solo di episodi e
purtroppo per noi sono molto pochi.
MERONI:
Vorrei invitarvi, provocatoriamente, a smettere
di piangerci addosso, perché mi ricorda un po’ le
lamentele del mercato finanziario italiano fino a
qualche anno fa, quando gli interessi dei BOT e dei
CCT erano ancora a percentuali di due cifre e tutti
si domandavano: com’è che gli italiani, contrariamente agli svizzeri o ai tedeschi, sono così poco
inventivi nei prodotti finanziari? La spiegazione
era chiara: avevamo una cappa sopra la testa, rappresentata dalla concorrenza ufficiale dello Stato,
che per compensare il suo deficit, imponeva una
concorrenza abusiva.
Sul nostro mezzo vige un’altra concorrenza da una
decina d’anni: è un paese ”catodico”, inutile che
ci giriamo attorno, se noi invece di rappresentare
meno del 3% rappresentassimo qualcosa di più,
inventeremmo e sapremmo vendere.
Buon esempio il qui presente architetto e la sua
Società: se li inventano i nuovi mezzi e i nuovi
impianti, ma poi a chi li vanno a vendere con quell’impatto che potrebbe sovvertire il mercato, in un
paese in cui siamo imbrigliati da regolamentazioni
come quelle che ci derivano dal Codice della Strada
e quelle che ci derivano dall’ordinamento fiscale, in
particolare dai tributi locali?
Come possiamo noi scrollarci di dosso questa tutela
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quando tutto va a ”proteggere” il mercato catodico?
Il grosso sforzo - e chiaramente qui parla quello
che non vende la pubblicità, ma che la difende istituzionalmente - dobbiamo metterlo anche in una
difesa istituzionale presso l’Amministrazione del
nostro spazio vitale. Esiste uno spazio rappresentato da una percentuale che in Italia è sottostimata
e che soffre ormai da anni.
CASTI:
Ringrazio Micheletti che come al solito è stato
esauriente, ma soprattutto perché ha aperto di
molto la panoramica.
Credo che a questo punto valga la pena mettere a
fuoco una bella esperienza che ha visto funzionare il
meccanismo della sponsorizzazione dei servizi alla
collettività, non cambiando le regole del mercato,
né raggirando norme o regolamenti.
Vorrei parlare di un’importante agenzia romana,
qui degnamente rappresentata dalla mia amica Di
Blasi, di un grande cliente nazionale che doveva
diffondere la sua leadership, di un bel manufatto
che sono fiero di aver progettato e di una società,
quella che rappresento, che ha investito tantissimo
per inserire questo nuovo prodotto/servizio in una
città difficile e bellissima come Roma.
A parte le problematiche di progetto e la particolarità dell’inserimento del manufatto nel tessuto
urbano della capitale, la difficoltà maggiore è stata
quella di individuare uno sponsor adatto a questo
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intervento, che potesse ricavare dall’operazione un
contenuto d’immagine tale da giustificare l’investimento che progressivamente sarebbe diventato
sempre più alto e comunque considerevole anche
per una città come Roma.
Ne è scaturito un evento che ha portato Pagine
Gialle ad assaporare il giudizio positivo che i romani hanno concretizzato attraverso un’infinità di
lettere e telefonate giunte all’Atac o all’agenzia di
pubblicità.
La scelta di un interlocutore unico si è dimostrata
azzeccata, perché ha accresciuto la visibilità della
qualità dell’iniziativa.
È chiaro che con un unico soggetto pubblicitario le
pensiline si sono rese più visibili, più riconoscibili
e così anche le nuove installazioni erano più individuabili attraverso un manifesto con cui l’utenza
aveva ormai familiarizzato.
Ma credo sia giusto sentire dalla viva voce di
Manuela Di Blasi che cosa è successo e quale è
stata la percezione dalla parte del cliente.
DI BLASI:
Penso che uno dei punti fondamentali della riuscita
di quest’operazione, o quanto meno di questa intuizione, che era nata da una chiacchierata tra Casti
e la nostra agenzia, sia stata anche un po’ la città
di Roma, che come tutti sapete soffre più di tante
altre città di problemi di abusivismo.
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A Roma si crea il paradosso che prendere posters in
batteria sia una cosa positiva e non una duplicazione, infatti è necessario ripetere il proprio messaggio
per ”farsi vedere” nella giungla di posters che vengono continuamente installati.
L’ altro aspetto fondamentale è stato il connubio tra
un ”oggetto utile”, la pensilina, e la comunicazione
di clienti che offrono servizi, come Pagine Gialle e
Telecom per il progetto Roma-Nexus.
Nella fase iniziale l’ATAC, nel definire la collocazione degli impianti, si è soprattutto preoccupata
dei propri utenti; l’installazione di pensiline in
quartieri per lo più periferici (quelli probabilmente
sprovvisti di ripari, ma al contempo con fermate bus
molto frequentate) non sempre ha coinciso con le
necessità dei clienti per ciò che riguarda la diffusione del proprio messaggio pubblicitario.
In un secondo tempo, grazie anche all’intermediazione della Jolly, che si è fatta portavoce delle
nostre esigenze, l’ATAC ha consentito a far montare
gli impianti in posizioni molto interessanti.
Oggi disponiamo di posizioni centralissime, ove
oltretutto non sono presenti altri impianti di un
formato così importante che, a differenza del poster,
proprio per il suo vissuto di “pubblica utilità”, non
solo non dà fastidio, ma viene addirittura apprezzato con il conseguente beneficio per il cliente.
Infatti come diceva Casti, per Seat Pagine Gialle,
che è stato il primo cliente ad utilizzare le pensilne, abbiamo ricevuto telefonate di ringraziamento,
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telefonavano in agenzia per ringraziare del regalo
che Seat aveva voluto fare alla città di Roma, quasi
mettendo in secondo piano l’ATAC.
Direi che le pensiline possono costituire una prima
strada nella soluzione di quanto ci siamo detti
finora, a proposito dell’affollamento e della scarsa qualità, strada che secondo me dovrebbe essere
ricercata e percorsa anche nell’utilizzare gli altri
media.
Tutti i clienti, dal più grande fino a quello che ha
necessità di ottimizzare un budget più esiguo, hanno
l’esigenza di trovare situazioni diverse, nuove, capaci di creare interesse.
Mi sembra che le pensiline possano sicuramente
inserirsi in questo contesto.
CASTI:
Per quanto sia vero quello che dice Manuela, mi
sento di portare alla vostra attenzione un problema
non risolto. In azienda non riusciamo a rimuovere
il timore che l’importanza e la visibilità delle pensiline sia dovuta in larga misura alla sua esclusività.
Non vorremmo trovarci nella condizione di cambiare formula di vendita (creando magari dei circuiti
ed inserendo più clienti) e ritrovarci con un prodotto meno apprezzato.
Vorrei proporre a Micheletti il quesito.
Vedo che scrive, non so se le domande o le risposte.
Poi lo chiedo anche alla Venditti così almeno si prepara la voce, lo chiedo a Micheletti intanto.
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MICHELETTI:
Non sono preparato a dare una risposta professionale, perché non ho in mente gli elementi tecnico-economici collegati all’operazione. Roma,
come sappiamo, è in questo momento sulla bocca
di tutti per altre situazioni e bisogna vedere che
cosa succede. Nel nostro caso specifico dei nostri
clienti, l’uso delle pensiline è stato sempre precluso
dal formato verticale, perché il nostro cliente principale per scelta creativa ha sempre sviluppato le
proprie campagne in formato orizzontale, quindi il
problema non si è mai posto per l’unico che aveva
la potenzialità per accedere ad uno strumento di
questo genere.
Non sono davvero in grado di dare una risposta. Mi
sono scritto pensiline Roma e mi riservo eventualmente di riprendere il discorso in altra sede.
VENDITTI:
Se noi le comperiamo nell’ottica di copertura per
una città in un determinato periodo che si può anche
allargare dai 15 ai 30 giorni, credo che molti clienti per avere una copertura anche al 40- 50% al
30% siano disposti ad acquistare i nostri impianti,
soprattutto considerato che Roma praticamente
non dispone di impianti centrali.
Il formato inoltre non è piccolo, si potrebbe comprare veramente come avevamo detto in sostituzione dei posters.
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CASTI:
È una cosa che verificheremo presto…
VENDITTI:
La politica dell’I.G.P. è di vendere le pensiline, 300
pensiline a Milano per 15 giorni, vedete di fare un
attimino il paragone tra Roma e Milano e vi troverete a verificare che c’è spazio per vendere i vostri
impianti.
DI BLASI:
Credo che sia sempre in quest’ottica fondamentale che il cliente, che è un cliente istituzionale, che
- questo è un mio parere, ma credo condiviso da
Paolo - probabilmente ridurlo, passatemi il termine,
ad un modulo di vendita che possa essere troppo
simile a quello di un poster, inevitabilmente ne sminuirebbe il valore, parlo anche dal punto di vista del
valore pubblicitario per il cliente.
Credo proprio che la prerogativa, seppur onerosa,
sia proprio quella di averle tutte.
CASTI:
Sì, e molto più vicino al concetto di sponsorizzazione piuttosto che a quello di pubblicità che a noi
in questo caso piace di più. Il nostro core business
è la vendita degli spazi pubblicitari in forma tradizionale, ma ci siamo accorti che la vendita di spazi
inconsueti, non tradizionali e inventati, o confezio-
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nati ad hoc, è più remunerativa anche dal punto di
vista dell’immagine aziendale.
Tutte le gare che abbiamo vinto recentemente
erano basate sull’invenzione di situazioni molto
originali di comunicazione. Il problema sarà piuttosto quello di fare confluire questi spazi innovativi
all’interno di un mercato che è abituato a comperare delle cose che hanno un formato o che hanno
uno standard.
MERONI:
Anche qui non giriamo attorno al problema Roma
senza dirci quello che è e che rappresenta effettivamente Roma, a parte quantitativamente una massa
enorme di superficie e di pubblicità esterna, ma
soprattutto un sovraffollamento pubblicitario che
quello sì ha creato una banalizzazione del nostro
messaggio e del nostro supporto. Quando cerchiamo tanto le ragioni per giustificare anche dal punto
di vista del prezzo la presenza di uno strumento
innovativo, lo si dice caro, lo si dice non fortissimo
perché parallelo al senso di marcia, però comunque alternativo alla situazione romana, dobbiamo
soprattutto dire che rischia di diventare uno dei
pochi mezzi visibili nel caos assoluto che in questo
momento rappresenta Roma.
Dove tra parentesi sulla questione dei prezzi si sta
facendo il tutto e il contrario di tutto, quindi non so
bene quali siano i parametri di riferimento per dire
che un mezzo è caro o meno caro. D’altronde se
CITTÀPUBBLICITÀ
104
la minaccia reale per la pubblicità tradizionale per
conto terzi a Roma è costituita da un famoso, se ne
parla molto da parecchio tempo, senza vederne mai
risultati, appalto sull’arredo urbano, altro sogno
megagalattico di non si sa bene quale visionario
architetto romano, significa che il Comune stesso
cerca di trovare, non solo per questa ragione, ma
senz’altro anche per questa ragione, una via d’uscita massacrandoci tutti chiaramente…
DI BLASI:
Sul fatto che le pensiline siano più o meno care, a
mio parere non sono care. Credo che poi l’importanza del budget da investire su questo media sia dato
dal fatto di cui parlavo prima, il senso di avere tutte
le pensiline disponibili e di averle per tanto tempo e
con quel materiale.
Il materiale di realizzazione effettivamente in proporzione al budget, se parliamo per dire di 4 metri
di esposizione, è veramente pesante, però effettivamente c’è da dire che la posizione e l’altezza, il
fatto che siano così irraggiungibili, fanno sì che sia
obbligatorio produrre materiali che siano facilmente da pulire in maniera veloce e continua.
COLLESEI:
Trovo che sia assurdo il ragionamento che qualche
d’uno fa di riavvicinare questo mezzo alla tradizionale affissione; dovete assolutamente considerarla
come una sponsorizzazione, per cui assolutamente
non va verificata. Se uno fa il confronto allora qui
105
CITTÀPUBBLICITÀ
ci deve essere un’azienda che vuole rapidamente
inserire un prodotto o meglio, mi insegnate, un marchio che vuole fargli raggiungere una certa notorietà, che ha un mezzo in zona estremamente efficace
come potrebbe essere un’altra sponsorizzazione,
questo richiede automaticamente un periodo relativamente lungo, non sto a dire se sono 3-4 mesi, ma
certamente non 10-15 giorni. Richiede un mezzo di
un certo prestigio, livello, probabilmente richiede di
essere appoggiati con una comunicazione, prodotti
e altre cose al di fuori.
Una comunicazione quindi orchestrata piuttosto
bene, semmai il problema è che nelle grandi città
questo taglia fuori molte imprese di medie e piccole
dimensioni. Però la domanda che vorrei porvi, non
avete posto il problema dove potrebbe, qui sì l’incidente del costo del mezzo diventa determinante,
bisogna trovare una soluzione efficace altrettanto,
ma più economica da fare a Padova perché altrimenti a Padova non si farà mai. Tanto per avere
un’idea.
CASTI:
L’abbiamo già fatto e ha funzionato molto meno e
costa molto meno ed è credo una decina di pensiline,
quindi è un fenomeno completamente diverso.
Silvestri prima parlava di Milano. A Milano tutto
funziona perché è la città della pubblicità per definizione, funziona quindi, sono molto fortunati. A
Roma questo tipo di esperienza ha funzionato e io
CITTÀPUBBLICITÀ
106
auspico funzioni per lungo tempo, certo è che è un
impegno molto grande. Noi siamo affannati a farlo
assomigliare ad una sponsorizzazione e il cliente gradisce questo. Non dimentichiamo che quel
formato è il formato attraverso il quale lo stesso
Comune di Roma espone i manifesti della comunale,
la differenza è che in quella versione sicuramente
meno curata e seguita vengono immediatamente
ricoperti con quelli abusivi.
DELLA CORTE:
Rispetto alle pensiline il punto di vista di Futura
Media è conosciuto. In riferimento alla domanda.
Credo che la politica di vendita riguardi un aspetto
puramente commerciale legato alle vostre esigenze.
È evidente che vendere in circuito le pensiline (e
sono molte) significa tirare fuori i clienti locali,
dato l’onere del costo e questo in un mercato indice
in termine di investimenti locali, se fossi in voi lo
valuterei con attenzione.
C’è anche da considerare che questo è un veicolo di
supporto, ovvero non può essere pianificato da solo,
ma deve necessariamente vivere in una campagna,
insieme a formati diversi, come i 600x300.
Questo perché per sua natura, se pur di formato
interessante, è spesso laterale e non è certa la sua
visibilità, data la sua funzione.
Inoltre il suo costo (acquistando tutto il circuito)
alzerebbe notevolmente, all’interno di un piano, l’incidenza del “costo per comune”.
107
CITTÀPUBBLICITÀ
Un elogio alla Jolly che si sta caratterizzando, in
special modo in alcuni comuni, con una “pubblicità
pulita” e funzionale vedi i cestini a Venezia, le paline, le pensiline, ma il problema si presenta quando
un’agenzia deve prevedere, nonostante le caratteristiche qualitative del mezzo, tra i costi la stampa
di un formato non sempre usato e una quantità di
impianti notevoli.
Altra cosa è poi il fatto che lavorare a Roma sul
600x300, senza avere spiacevoli sorprese è oneroso
in termini di lavoro e di quantità di tempo investito.
Il fatto è che la quantità di impianti, regolari e non,
è talmente alta, che se non stiamo attenti, rischiamo di spendere molti soldi e di non essere visti, un
po’ per problemi legati alla qualità degli impianti,
un po’ per l’effetto “marmellata” determinato dall’eccessiva presenza di pubblicità.
Qui ci sono i ragazzi del Master che io non vorrei
spaventare, anzi, a loro vorrei dire, che se pur difficile da gestire e da proporre ai clienti è un veicolo
assai valido, per tutte quelle caratteristiche tecniche
che notoriamente lo contraddistinguono dagli altri
.
È un mezzo che “torna”, anche se difficilmente si
riesce a spiegare al cliente, perché non esistono,
nonostante gli sforzi dell’INPE, dei dati da poter
fornire. Non siamo in grado di fare né una pre, né
una post-analisi, su quanto spendiamo in termini di
costo per contatto.
Potenzialmente questo mezzo potrebbe rappresentare quote di mercato assai più cospicue, se
CITTÀPUBBLICITÀ
108
esistessero delle informazioni scientificamente più
attendibili di quelle che ci sono attualmente.
Questo vale per tutti i paesi e non solo per il
nostro.
L’Italia in particolare si attesta su dei valori bassissimi rispetto gli altri paesi, anche per un problema di
leggi e regolamenti di cui come al solito non siamo
carenti quantitativamente, ma qualitativamente.
Roma è un mercato indice anche in questo.
Io non me la sento di colpevolizzare gli operatori
romani, perché conosciamo bene le responsabilità
della Pubblica Amministrazione.
Il Comune, nella persona del Dr. Gentiloni, ci informa nei vari momenti di confronto, che delle cose
interessanti si stanno facendo, ma contemporaneamente ci chiede collaborazione, sperando che un
eventuale irrigidimento da parte nostra e nei confronti dell’operatore abusivo possa indurre lo stesso
a desistere e quindi a ritirarsi di buon grado.
Non possiamo chiedere il certificato o l’autorizzazione per ogni impianto che pianifichiamo, anche se
lavorando molto su questo mezzo possiamo immaginare quali impianti non siano regolari.
Non sta a noi, che peraltro siamo penalizzati da questa situazione, assumere il ruolo di moralizzatori.
Abbiamo testato la resa del mezzo su alcuni
clienti locali, chiedendo direttamente ai titolari e
i risultati sono clamorosi. Parliamo di un 30% in
più rispetto all’anno precedente e in un caso di un
40% rispetto lo storico.
109
CITTÀPUBBLICITÀ
È evidente quindi che auspichiamo in generale un
riordino del mercato, in particolare una maggiore attenzione e un ulteriore sforzo per migliorare
(ridurre nei limiti del possibile i costi di produzione) i mezzi che oggi sono a disposizione (decobus
- pensiline in circuito ecc.) dei clienti nazionali
per messaggi istituzionali, al fine di proporre una
presenza alternativa anche a clienti nazionali con
messaggi promozionali o a clienti locali, tenendo in
considerazione che i costi di produzione sono già
oggi troppo incisivi rispetto al costo spazio.
MERONI:
Credo che a Della Corte vada risposto ad un livello
giusto, senza entrare negli aspetti troppo tecnici
che alcuni degli allievi del Master non potrebbero
ancora seguire pienamente. Da parte del mezzo si
stanno infatti facendo due cose proprio in direzioni
da lei indicate.
Dicevo prima misurazione. Effettivamente si è fatto
poco, ma ancora meno si è propagandato; dal 1974
in poi sono state fatte delle cose abbastanza valide.
Effettivamente tutto ciò va rispolverato, soprattutto
nel senso di non andare a cercare e rimisurare le
audience acquisite, ma anche in direzione dell’impact del mezzo pubblicitario.
Dobbiamo poter dimostrare, anche con l’aiuto di
“case history” che esistono e che sono diventate
ormai di valore europeo, penso alla Esselunga or
ora citata, il valore del mezzo e tutto quello che può
CITTÀPUBBLICITÀ
110
ingenerare di apporto nelle varie tappe, terminando con la creatività e responsabilizzando tutti gli
operatori. Non è soltanto una questione di formato,
di materiale o al limite di repressione della pubblicità più o meno abusiva, è anche una questione di
creatività, di interesse in tutti i sensi da parte delle
agenzie e delle centrali media.
In questa direzione l’Associazione si sta muovendo; crediamo che da qua a settembre, alcune
cose, magari non ancora quantificate, ma già
ben delineate, potranno essere rese pubbliche.
Risponderemo meglio degli altri mezzi.
Per quello che riguarda la lotta all’abusivismo non
è un aspetto tecnico, vi assicuro, è veramente una
prerogativa quasi completamente italiana.
Questa manifestazione illegittima del nostro stesso mezzo ce la viviamo all’interno, qualche volta
capita addirittura che noi stessi siamo tentati dal
praticarla quando un Comune, per anni, non ha dato
una sola autorizzazione.
Contro questo fenomeno abbiamo un approccio del
pieno coinvolgimento di tutti gli attori: non vogliamo più accontentarci di vedere promessa dalle varie
amministrazioni la rimozione degli impianti abusivi.
Vogliamo ottenere prioritariamente dai comuni un
nuovo sistema di ricopertura; non più la ricopertura che, ad esempio, a Milano adesso prevede il
messaggio “affissione abusiva”, ma ad esempio,
quello che siamo riusciti ad ottenere a Roma, “pubblicità illegale”, perché quella è pubblicità illegale.
Ci battiamo in questo senso e quei pochi interventi
che siamo riusciti ad ottenere in collaborazione con
111
CITTÀPUBBLICITÀ
l’Amministrazione di Roma hanno portato a dei
risultati eccellenti.
DELLA CORTE:
Anche io eviterei di entrare in argomenti tecnici
altrimenti ci dilunghiamo troppo, ma la soluzione
“pubblicità illegale” non è corretta nei confronti del
cliente, poiché non è la pubblicità, ma l’impianto
illegale e mi è capitato che oltre tutto fosse esposta su un impianto irregolare, perché spostato di
indirizzo, ma autorizzato e questo crea non pochi
problemi.
MERONI:
È una fase transitoria, perché chiaramente il concetto illegale è volutamente ambiguo e non possiamo abusarne. Però bisognava passare veramente
per questa doccia fredda: qualcuno che aveva acquistato in modo troppo leggero, doveva rendersi conto
che doveva domandare qualcosa di più al mezzo.
Questo qualcosa di più, dato che ci sono Società
che sono dispostissime a giurare che loro di mezzi
illegali abusivi non ne hanno, non ne forniscono e
non ne vendono. Questa cosa andava detta e chiarita una volta per tutte.
Anche perché, ripetiamo, tutti gli altri mezzi di lotta
contro la pubblicità selvaggia nel passato non sono
serviti.
CITTÀPUBBLICITÀ
112
DELLA CORTE:
Mi auguro che nel tempo sia risolutivo e che sia
altrettanto risolutivo il censimento di gennaio, ma
da gennaio ad oggi sono nati altri impianti e noi
stiamo perdendo fiducia.
CASTI:
Abbiamo visto che Milano gioisce per gli effetti
della pubblicità, Roma invece piange drammaticamente le conseguenze.
Mi proponevo con i prossimi interventi di sviluppare
in senso inusuale il tema delle potenzialità cercando
di capire quanto sono praticabili certe strade che
hanno certo contenuti etici ed innovativi, ma che, a
quanto pare, non sono riuscite a crescere adeguatamente e soprattutto non vengono interpretate come
buoni esempi da seguire.
La prima testimonianza è quella di un giovane
architetto.
Boeri, oltre ad esercitare la professione, occupandosi soprattutto di urbanistica, insegna all’Univer-sità
e quindi, se vogliamo, è da considerarsi un educatore, un influenzatore del gusto futuro.
Per questo è stato molto stimolante lavorare con
lui e per questo sono felice di averlo al tavolo per
raccontare la sua esperienza “pubblicitaria”.
Con lui abbiamo sviluppato, tra l’altro, la comunicazione esterna della Triennale di Milano, utilizzan-
113
CITTÀPUBBLICITÀ
do messaggi e forme inedite e all’avanguardia nel
nostro mondo.
Boeri ora è protagonista di alcuni progetti riferiti
ad aree speciali all’interno di Genova e di Napoli,
due città molto importanti che stanno cercando di
rendere più belle, ma soprattutto più razionali le
aree portuali.
Spero che le esperienze comuni gli abbiano fatto
maturare una certa sensibilità rispetto agli spazi
pubblicitari e spero che sviluppando questi progetti
tenga presente la necessità di prevedere e organizzare la presenza dei manufatti pubblicitari.
Solo in questo modo, oltre a non disturbare, risulteranno graditi e potranno considerarsi una risorsa
legittima.
BOERI:
La mia competenza è molto distante da alcune delle
questioni che vengono trattate.
Vorrei semplicemente, forse ricordando un po’
questa esperienza sperimentale molto interessante,
spregiudicata per certi versi, fatta grazie a Jolly
Pubblicità e alla 3M di Milano, capire se dal punto
di vista di chi si occupa di architettura, di allestimento spazi urbani esterni può venire qualche
suggerimento, o qualche consiglio, al mondo della
pubblicità esterna e ai diversi operatori che in esso
operano.
Come vi ricorderete, almeno chi ha avuto modo di
seguire questo tentativo, l’ ipotesi era quella di dare
CITTÀPUBBLICITÀ
114
pubblicità ad un evento culturale, che era l’ Esposizione Internazionale della Triennale di Milano a
Palazzo dell’Arte ed era di allestire una grande
piazza di mobilità, che è Piazza Cadorna, che è nei
pressi del Palazzo dell’Arte e allestendo la Piazza,
portare la presenza dell’evento culturale che avveniva a qualche centinaia di metri in uno dei grandi
cuori della mobilità della città.
L’idea è stata quella di mettere a punto dei totem,
cioè degli elementi che dovevano essere alti circa
9-10 metri, poi sono stati purtroppo abbassati da
una serie di norme di cui siamo anche noi penalizzati, legate all’altezza massima dei codici della
pubblicità, legati ai fili dell’Enel e ad una serie di
altre questioni.
Questi totem, circa una ventina, avevano un po’
lo scopo di ispirarsi al tema della mostra che era
“Identità e Differenza”.
Tutti uguali nella configurazione e nella dimensione,
ma ciascuno rivestito da un grafico chiamato ad hoc
in quell’occasione, davano una loro interpretazione
del tema “Identità e Differenza”.
Il tema di cui si faceva pubblicità il totem, era dato
dall’oggetto stesso, che era il tema della ripetizione
dell’identità, mentre la differenza era data invece
dalle diverse pelli che i grafici hanno disegnato.
L’esperienza è stata interessante per tre ragioni che
vorrei brevemente riprendere, perché mi sembra
possano essere vicine alle questioni che ho sentito
trattare soprattutto questa mattina.
La prima ragione riguarda proprio il problema della
115
CITTÀPUBBLICITÀ
localizzazione della pubblicità esterna, o comunque
dei messaggi che hanno una pubblicità mirata.
Penso che dobbiamo oggi tener conto del fatto che
il modo di abitare lo spazio della città è molto cambiato anche solo rispetto a 15-20 anni fa, si è molto
sviluppata una tendenza alla mobilità individuale,
che è anche una tendenza a muoversi, percorrendo
spazi sempre più estesi nel territorio e all’esterno
delle nostre città , nell’arco di una stessa giornata.
Ci sono statistiche su questo molto chiare.
Noi oggi tendiamo nel ciclo spazio temporale di
vita quotidiana, percorrere degli spazi in automobile molto più estesi di un tempo, per compiere azioni
che sono però molto legate ad una dimensione urbana: si va al cinema magari in periferia, poi si va a
fare gli acquisti nel centro commerciale che è dall’altra parte della città, prendendo la tangenziale e
poi ci si incontra la sera magari in un bar invece che
nel centro storico pedonalizzato.
Questo, se vogliamo suscitare un interesse da un
punto di vista della localizzazione pubblicitaria, in
situazioni e impostazioni che sono molto più articolate di un tempo, dovrebbe anche portarci a pensare
con più attenzione, al fatto che spesso l’esperienza
percettiva è molto legata oggi a delle sequenze di
paesaggi piuttosto che a delle scenografie urbane
fisse statiche ed è un’esperienza, soprattutto nel
ricordo, molto legata al fatto che la nostra giornata
si costruisce attraverso una serie di sequenze che
sono spesso ricorrenti.
CITTÀPUBBLICITÀ
116
Pensate quando andate in un centro commerciale: si
esce di casa, si piglia la macchina, si prende spesso
una tangenziale, una radiale che esce dalla città, poi
si arriva ad una segnaletica stradale che ci avvisa
che, spesso è in posizione diversa rispetto a quella
ci immaginiamo, c’è un centro commerciale, c’è un
grande spazio di parcheggio, si parcheggia, si esce,
si cammina a piedi, poi si entra in questo grande
spazio artificiale (è un’esperienza completamente
simmetrica) si esce di nuovo a riprendere la macchina…
È il pacchetto di questa esperienza che diventa un
elemento che noi memorizziamo poi alla fine, non è
tanto un luogo, due luoghi, tre luoghi, è l’insieme di
questa esperienza.
Questo secondo me è importante, perché ci aiuta a
capire che spesso il luogo dove localizzare alcuni
degli elementi di una pubblicità esterna, in questo
caso mi rifaccio all’esempio di Cadorna, va pensato
anche in rapporto a come questi pacchetti si formano.
In quel caso ad esempio, essere in Piazza Cadorna a
Milano, voleva dire essere in un punto dove decine di
migliaia di persone fluiscono senza fermarsi, perché
c’è una rete molto importante della ferrovia, c’è la
fermata della metropolitana e c’è una fermata dei
trasporti pubblici.
In quel caso abbiamo pensato che, invece di dare
forza al messaggio pubblicitario attraverso un grande pannello o utilizzando una parete, avesse più
senso intercettare questi flussi, che erano prevalen-
119
CITTÀPUBBLICITÀ
temente flussi automobilistici, con questo sistema
di totem che erano come dei paletti attorno a cui
passavano e scorrevano questi traffici.
Primo suggerimento: mi sembra molto più interessante, facendolo anche in modo più serio e più rigoroso, provare a ragionare sul fatto che molto spesso
localizzare oggi la pubblicità vuol dire ragionare
non solo sullo spazio statico che c’è, non solo sul
modo in cui si percepisce lo spazio, ma nel modo
in cui lo spazio, in cui facciamo pubblicità, viene
percepito in sequenza rispetto ai modi di abitare il
territorio che sono quelli più importanti.
Il famoso pannello di Armani a Milano non è
importante perché è molto grande, o perché è stato
il primo, è importante perché è stato collocato,
probabilmente casualmente, in un punto importantissimo di soglia tra due modi di abitare lo spazio
della città: siamo all’ingresso di un tessuto molto
commerciale e all’esterno c’è uno spazio del tutto
diverso che è lo spazio di Via Cusani di Piazzale
Cairoli, dove c’è più movimento e più flusso, proprio
perché in quel luogo andava bene un pannello, invece che un oggetto tipo totem, perché segnalava uno
spostamento, uno scarto, una differenza e questo
resta nella memoria di chi abita la città.
Secondo suggerimento, consiglio: credo che il problema della qualità, sentivo parlare questa mattina dell’ordine, non sia riferito alla pubblicità, sto parlando
della pubblicità in senso lato, ma che la buona pubblicità goda del buono spazio urbano dell’ordine.
CITTÀPUBBLICITÀ
120
Penso che il problema che abbiamo oggi è che
siamo spesso di fronte a delle situazioni, nelle
nostre città, dove c’è una sorte di sovraffollamento
di codici. Spesso c’è un rapporto troppo stretto tra
il supporto del messaggio pubblicitario e il genere del messaggio. I pannelli per la pubblicità, gli
striscioni per le affissioni culturali, i cartelli per
la segnaletica stradale, ogni genere di messaggio,
tende ad essere eccessivamente adagiato, aderente
ad un supporto che fissa già un genere.
Questo tipo di sovrapposizione di supporto e di codici, che sono tutti autoreferenziali, perché ognuno
parla per sé, è un problema importante di eccessivo
rumore che la città fa rispetto ad un’operazione
pubblicitaria mirata.
Da questo punto di vista, l’esperienza dei totem è
stata per me interessante, nel senso che il tentativo in
quel caso era quello di provare a capire se si poteva
pensare di lavorare su un oggetto inventato specificatamente per quell’occasione, che usciva un po’ dai
generi di supporto più usati e utilizzati e che cercava
di legarli più al messaggio che non al genere.
La questione era quella di saltare la differenza in
pubblicità, segnaletica stradale, servizi culturali,
elementi turistici, piuttosto che altri, invece che
collegarsi ad un messaggio che era un messaggio,
se volete, che poteva stare tra i diversi generi che
era quello di dire che c’era una mostra che aveva
un certo tema.
Mi sembra molto interessante tutto ciò che viene
fatto oggi nelle nostre città e anche in queste grandi
aree portuali.
121
CITTÀPUBBLICITÀ
Stiamo lavorando in questa direzione quando riusciamo a superare un po’ questa schiavitù data dalle
norme di rapporto troppo strette tra un supporto
fisico per la pubblicità e il genere di contenuto che
viene pubblicizzato.
Ultima questione: mi sembrava che questa mattina
si parlasse forse con eccessiva enfasi di questo fenomeno milanese degli autobus e dei tram, senz’altro
importante. Se ne parla con eccessiva enfasi, perché
non si sottolinea il fatto che c’è un grande vantaggio
che ha la pubblicità integrale dei tram che ha avuto
Milano e che è la mobilità, la scarsa temporaneità del messaggio pubblicitario. Anche qui perché i
totem oggi non sono più in Piazza Cadorna, stanno per essere rimessi a Sesto San Giovanni in una
situazione diversa.
Mi sembra interessante provare a pensare che si
riesce in alcune situazioni a costruire elementi di
supporto per le pubblicità che hanno anche una loro
possibilità di mobilità, nel senso che non sono destinati né ad apparire una volta per tutte in un luogo,
ma neanche ad essere finiti, conclusi, ma che possono riapparire, che possono avere una funzione anche
legata, temporanea e possono avere una funzione di
allestimento di spazi a seconda dei casi.
FRICKER:
Premetto che posso parlare solo dal punto di vista
del nostro limitato settore, che ha a che fare con
il “public adress” e la diffusione del suono negli
spazi all’aperto e negli interni delle città, degli
CITTÀPUBBLICITÀ
122
spazi espositivi, nei parchi e altro. Diffusione del
suono quale musica, intrattenimento, informazione,
annunci per percorsi sonori, manifestazioni ed eventi speciali.
Il diffusore cilindrico monoblocco, che noi progettiamo e produciamo a suono stereospaziale a 360°
ha diverse tipologie, ma qui ci riferiamo solo alla
“Wandor Classica”, cioè a quella tipologia di diffusore appositamente studiata per il “public adress”
e che incorpora nel suo progetto un apposito spazio
quale supporto per evidenziare pubblicità e sponsorizzazioni o informazioni istituzionali; inoltre proprio per il suo posizionamento negli spazi abitati il
cui diffusore è dotato di una speciale lente acustica
anti inquinamento sonoro.
Per l’innovazione tecnologica del suo suono stereospaziale a 360° che immette globalmente il pubblico anche in movimento nel cuore dell’avvenimento
sonoro e per la progettazione di questa speciale
lente acustica atta a delimitare gli effetti del suono
nell’ambiente, i nostri diffusori hanno ottenuto l’
“American Patent”.
Detto questo, sarà facile capire quanti capitali,
esperimenti e sforzi ci sia costato e ci costi il nostro
prodotto.
Come per tutti il lavoro ci ha portato ad esaminare
la tessitura della città e della socialità in rapporto
alla progettazione e alle possibilità di utilizzo che
si aprono ai nostri prodotti e quindi ad un contatto
diretto e continuativo con gli amministratori e con il
sentimento pubblico della città ed è proprio questo
123
CITTÀPUBBLICITÀ
generale sentire fatto di molte voci influenzabili fra
di loro da quelle dei sopraintendenti, ai cittadini, ai
comitati di quartiere, alla stampa, che determina
quell’opinione pubblica che tanta influenza ha sulle
obiezioni e paure dei nostri amministratori e quindi
su di noi.
Titoli di prima pagina quali: “Il Paese minacciato
da traffico e pubblicità” e “Gli ambientalisti contro
la pubblicità: ecco come abolirla” non ci lasciano
indifferenti, anche perché spesso noi ben condividiamo, da privati cittadini della Bella Italia, soffriamo
a vederla sconciata da una deteriore proliferazione
di manufatti per il cosiddetto arredo urbano e pubblicità.
Quali operatori di un certo settore desideriamo
piazzare i nostri prodotti, ma soprattutto quali fornitori di manufatti per una pubblicità di prestigio
ci sentiamo sovente stroncare dagli amministratori
iniziative belle, di decoro e di servizio pubblico, proprio a causa di quanto detto sopra.
A questo si lega l’uso che viene fatto e relativi
permessi, degli spazi della città (il nostro pane)
per manifestazioni temporanee, iniziative stabili e
per gli eventi speciali, pertanto la domanda di chi
abbia competenza a decidere sull’uso di tali spazi
ci compete.
Questo non è un astratto discorso sociologico, ma il
nostro campo di battaglia. La recente polemica tra
commercianti, Daverio e la Sovraintendente per le
Giostre dei Bambini a Carnevale in Piazzetta Reale
a Milano dovrebbe averci messo sull’avviso.
CITTÀPUBBLICITÀ
124
La piazza non è nata solo per stare silenziosa ed
immota sotto i ponti di comando dei Sovraintendenti, né è destinata solo a turisti giapponesi o ai
soli clienti dei bei negozi, la piazza è nata per tutti
noi, perché si possa stare assieme, gente di tutte le
età a trovarsi, a divertirsi, a manifestare ed anche
per far casino.
Basta studiare la storia, guardare i quadri, leggere
Aristofane e le cronache degli storici.
Nella piazza, a fornire servizi, pubblicità e denaro
conseguente, ci possiamo stare anche noi, a patto
che bandiamo il degrado di certi manufatti e ci sia
riguardo dell’ambiente circostante.
Signori, confrontiamoci e combattiamo per la dignità e la realizzazione dei nostri progetti migliori, ma
soprattutto combattiamo, con tutti i nostri mezzi e
con i mezzi che ci offre l’informazione (come ben
fa chi ci attacca) perché noi siamo le prime vittime
di una basilare contraddizione: a noi operatori si
richiede di sanare delle contraddizioni del sistema
in cui operiamo e la cui impossibilità di soluzione è
implicita nelle stesse richieste.
Tale contraddizione trova il suo fondamento nel
sistema degli appalti banditi dai Comuni e nel
concetto scappatoia per ogni connivenza di spazio
in cambio di servizi, spesso assolutamente inutili
e anzi deleteri e sulla cui utilità e decoro civico
nessuno vigila mentre il Comune vigila sull’idoneità
estetica della targhetta del citofono.
Questo si lega agli appalti, nei quali con il pretesto
125
CITTÀPUBBLICITÀ
dell’offerta a prezzo minore, spesso vengono scelti concorrenti non referenziati e improvvisati che
proprio per tale motivo possono offrire ai prezzi
inferiori i prodotti peggiori.
Le Società che investono in ricerca, stabilità ed
estetica sono sorpassate da chi al massimo li imita
in modo grossolano, ma nel medesimo tempo vengono, proprio loro, accusate di riempire la città di
brutture.
Un’esperienza personale: per la piazza di Porto
Ercole, dopo che l’Amministrazione aveva approvato il progetto di Valerio Festi che comprendeva
esplicitamente l’impiego dei nostri diffusori accludendone fotografie e referenze, il Comune, richieste
tre offerte, fra cui quella da noi autorizzata, affidava la fornitura ad un artigiano locale, il quale ha
copiato il nostro prodotto in modo grossolano e lo
ha installato nella piazza copiando pure pari pari
nome e marchio (coperto da marchio internazionale) e a chi chiedeva informazioni ai lavori pubblici
davano il nostro nome, Wandor, e il recapito dell’artigiano casalingo.
Viene da chiedersi se da parte del Comune è leggerezza, incauto acquisto, o connivenza; la causa in
corso, forse, lo dirà.
Signori, teniamo pulito il nostro giardino, difendendoci insieme in tutti i modi possibili.
Davanti a noi si aprono grandi prospettive con
l’avanzata dei privati e il ritiro forzato dello Stato,
Comuni e sponsor hanno bisogno di noi.
Città e cittadini, turisti, piazze e parchi archeoloCITTÀPUBBLICITÀ
126
gici, Giubileo, raduni di massa vogliono intrattenimento, informazione e musica, gli sponsor vogliono
visibilità e lo Stato, come sempre nella storia, vuole
accontentare la gente e fare bella figura senza
spendere, mentre le agenzie cercano nuove vie; è
una grande opportunità che si apre, non lasciamoci
mettere sotto dal nostro stesso lasciar andare.
Noi non produciamo solo pubblicità, ma anche
comunicazione ed informazione e per essere più
funzionali vendiamo noi stessi e operiamo di conseguenza.
MARZOTTO:
Buonasera, mi chiamo Luigi Marzotto e da 4 anni
coordino un’ Associazione che si chiama “Verde in
comune”. La “c” di comune è scritta a carattere
minuscolo volutamente, poiché l’Associazione interagisce con l’Amministrazione pubblica, ma non ne
fa parte: l’uso della parola “comune” sta quindi a
significare verde di proprietà del Comune, ma per
l’uso di tutti.
L’Associazione è nata nel 1993 per volere di un
industriale che si chiama Luigi Lazzaroni, dell’omonima fabbrica di biscotti, che avendo notato
come da anni il verde pubblico della città di Milano
fosse oggetto di una cattiva gestione, propose al
Comune di farlo sponsorizzare da aziende private.
A proposito della nascita dell’Associazione, devo
subito dire che questa iniziativa è nata e vissuta per
i primi 6 mesi con un supporto media molto efficace: il Corriere della Sera, che in un certo senso ci ha
127
CITTÀPUBBLICITÀ
“tirato la volata” presso gli uffici comunali. Infatti
il Corriere ci è servito per superare con la sua
pressione psicologica tutte le difficoltà di ordine
burocratico che ogni giorno sorgevano sul percorso
delle pratiche che avrebbero portato all’assegnazione delle piazze agli sponsor.
Mi gratifica molto il fatto di essere stato chiamato
a testimoniare in questa Tavola Rotonda, anche se
da questa mattina me ne chiedo il motivo, poiché,
pur essendomi occupato a lungo di pubblicità, la
mia attuale attività tratta la sponsorizzazione e
non la pubblicità classica.
Di fatto però noi l’aspetto pubblicitario lo abbiamo
incontrato strada facendo: perché, anche se l’iniziativa non è nata con scopi puramente pubblicitari,
ma fondamentalmente col fine di elevare la propria
immagine aziendale, in un certo senso ne è derivata
anche molta pubblicità positiva. Sono sponsor tutti
piuttosto importanti e conosciuti quelli che attualmente si prendono cura del verde cittadino. Chi è
di Milano avrà senz’altro visto sulle aiuole i nomi
di Bayer, Esselunga, Ken Scott, Fattoria Scaldasole,
Banco Ambrosiano Veneto etc., marchi già piuttosto noti al grande pubblico.
Ma perché questi sponsor hanno deciso di spendere
chi 30, 40, 50, o addirittura 150 milioni in un’operazione di questo genere quando in realtà i loro
budget già prevedono cifre di 2, 3, 5 od 8 miliardi? Credo che la Plasmon oggi spenda circa 10/12
miliardi l’anno, correggetemi voi che siete più
CITTÀPUBBLICITÀ
128
addentro di me in queste cifre, ma sicuramente il
budget penso che sia di questo ordine di grandezza.
Vi voglio raccontare il caso della Plasmon perché
è quello che dall’inizio di questo interessantissimo forum penso possa essere il più calzante per
le problematiche poste sul tavolo. La Plasmon
non ha cercato di aumentare la notorietà in città
come obiettivo fine a se stesso, né voleva “la piazza
principale del paese”, come poteva essere Piazzale
Loreto o Largo Cairoli o Piazza del Duomo per
farsi vedere da più persone possibili: sponsorizzare
l’aiuoletta di Piazza del Duomo è sempre gradevole
alla vista dei cittadini ma, obiettivamente, diciamoci la verità, non serve a nessuno, almeno come
servizio reso ai cittadini.
La Plasmon invece ha volutamente cercato un’area
dove ci fossero dei giochi per bambini. Il suo ragionamento è stato questo: le nostre prime interlocutrici con cui parliamo sono le mamme, andiamo
perciò in un’area dove ci siano dei giochi per bambini perché i bambini, per andare a giocare, vengono accompagnati dalle loro mamme. È stata quindi
individuata un’area lontana dal traffico automobilistico, lontana dalla “visibilità indistinta” di tutta la
città. Si è trovata perciò un’area dove già esisteva
una struttura di gioco per bambini, fatiscente come
quasi tutti quelli gestiti dal Comune a Milano, ed è
stato rimesso a posto.
Poi è stata montata una palestra all’aperto per
bambini con la pavimentazione ad hoc per non farsi
male e l’anno successivo è stato fatto un secondo
131
CITTÀPUBBLICITÀ
“castello” di costruzioni. Infine è di questi giorni lo
studio del preventivo per un terzo gioco, perché ogni
volta che andiamo a parlare con quelle mamme,
oggi mediamente sono 400 al giorno che frequentano l’area Plasmon, esse ci chiedono di costruire
una nuova altalena per i bambini più piccoli. È stata
una scelta molto felice quella di quest’area, anche
perché oltre ad essere all’interno di un parco è vicina ad un asilo. E tutta la popolazione della zona
Magenta e Fiera conosce questa sponsorizzazione
e ne è felice.
Ritengo che questi siano interventi innovativi dal
punto di vista media che, citando il Dr. Meroni di
questa mattina, riescono ad unire due scopi fondamentali: quello di dare un servizio alla cittadinanza e quello di fare pubblicità. Dove l’aspetto
pubblicitario in senso stretto è minimo, perché il
marchio della Plasmon posto su questi cartelli
ha una dimensione di 30-40 centimetri, quindi è
molto piccolo. Ciò serve però a sottolineare che
non sono tanto importanti la quantità degli spazi
o l’ubicazione di essi in funzione della pura visibilità, ma è il contesto in cui questo marchio, questi
soldi vengono spesi per la cittadinanza da parte
dell’investitore. Il risultato qual è? Che oltre alle
400 mamme abbiamo in media una telefonata al
giorno di persone che chiamano la Plasmon. Chi
per complimentarsi, chi per dire che c’è un paletto
di cinta rotto, chi segnala un’aiuola con una piantina spezzata, oppure segnala che l’area è sporca,
o finalmente ora è più pulita e così via. In sintesi
c’è una continua partecipazione da parte della citCITTÀPUBBLICITÀ
132
tadinanza all’operazione della sponsorizzazione.
Ho voluto portare questa testimonianza per dirvi
che Società come la Plasmon e la Bracco, che hanno
fatturati di miliardi ogni anno, potevano spendere
gli stessi soldi in pubblicità e più facilmente con
due pagine in più sui quotidiani, ma evidentemente
la stessa sarebbe svanita nell’arco di 24 ore. Al contrario hanno deciso di diversificare i propri sforzi di
comunicazione: la Plasmon come ho appena detto.
La Bracco prima sponsorizzando una Piazza e poi
i Giardini della Guastalla. La Piazza è quella della
Stazione di Lambrate, dove ogni giorno arrivano
decine di migliaia di pendolari a lavorare in città,
e per la gioia dei quali finalmente, grazie a Bracco,
nel giro di poche settimane si è vista questa piazza
cambiare completamente aspetto. Prima infatti le
aiuole erano un parcheggio abusivo di automobili,
oggi invece accolgono gradevolmente un prato con
dei fiori.
Il prossimo mese, sponsor sempre la Bracco, inizieranno i lavori di sistemazione dei giardini della
Guastalla, un fatto che sottolinea il senso di responsabilità civile di una Azienda che, visto il successo
ottenuto la prima volta con la Piazza di Lambrate,
ha deciso di regalare alla città un fatto ancora più
tangibile: appunto il ripristino dei giardini più antichi di Milano.
La morale di cui sono testimone e che condivido
giorno per giorno con i nostri sponsor del verde di
Milano, credo sia proprio quella di essere riusciti a
133
CITTÀPUBBLICITÀ
dare al cittadino qualcosa in più: un servizio loro
offerto in modo completamente diverso dalle solite
logiche dello spazio pubblicitario convenzionale.
Penso che se oggi dovessi consigliare ad un mio
cliente, utente pubblicitario, come distribuire il proprio budget, ebbene oltre alla notorietà del marchio
da realizzarsi con i mezzi classici, senz’altro lo inviterei a fare un’operazione che gli dia quel “quid” in
più per far sì che il consumatore percepisca questi
suoi sforzi destinati a loro e non solo all’aumento
delle proprie vendite.
CASTI:
Questi due interventi erano molto utili a completamento di questa specie di grande carosello
di opportunità che ci sono all’interno delle città.
Direi proprio, per chiudere il discorso che questa
mattina abbiamo aperto con le altre due aziende di
trasporto, di chiedere a d’Orazio di intervenire per
completare il quadro.
Abbiamo sentito l’intervento di Silvestri entusiasta
di una Milano che si era dotata di questi autobus, di
questi tram decorati. Abbiamo sentito l’intervento
dell’Amministratore di Trieste che era più attento
all’utilizzo. Credo che Padova stia nel mezzo.
D’ORAZIO:
Tanto per avere un quadro del rapporto tra pubblicità, tram e autobus, a titolo di esempio nella città
di Padova, gli spazi riservati all’ affissionistica
tradizionale sono circa 800-1000, mentre gli spazi
CITTÀPUBBLICITÀ
134
che può offrire l’azienda di trasporto pubblico, sono
circa tre volte superiori, tra pubblicità interna, pubblicità esterna, tabelle di fermata, pensiline, eccetera. Il rapporto tra città e pubblicità si esprime
quindi in gran parte attraverso il mezzo di trasporto
pubblico, in diverse forme e con un elevato numero
di contatti che non riguardano sono gli utenti, ma
tutta la città.
Detto questo, volevo però rispondere ad un’affermazione che ha fatto Micheletti. Mi spiace sia andato
via ora, ma mi sembra una cosa abbastanza significativa, relativamente ad un eccesso di burocrazia
in alcune aziende di trasporto riguardante il controllo dei messaggi pubblicitari. Forse per le grandi
aziende esiste effettivamente questo problema che
però bisogna inquadrare nella sua realtà, dal punto
di vista delle aziende. A Padova sicuramente non
abbiamo tutta questa burocrazia da rispettare, ma
anche se non dobbiamo siglare per accettazione i
bozzetti della decorazione integrale, comunque ci
riserviamo la possibilità di non accettarli e l’abbiamo già fatto per due clienti.
Questo perché un’azienda di trasporto municipale
è sempre nel mirino dell’opinione pubblica ed è
importante non urtare la suscettibilità di nessuno e
dunque c’è bisogno di una maggiore attenzione.
Riallacciandomi poi ai problemi di burocrazia e
di normativa che sono stati richiamati all’inizio,
su questo particolare fenomeno della pubblicità
integrale, effettivamente il cliente, specialmente
quello che viene direttamente da noi come azienda
di trasporto, cioè che non passa per l’agenzia, deve
135
CITTÀPUBBLICITÀ
sottostare a tutta una serie di problemi burocratici.
Noi abbiamo due contenziosi aperti con due ditte
incaricate della riscossione dell’imposta di pubblicità, proprio perché non si capisce ancora bene questa
normativa, chi la deve rispettare e come deve essere
rispettata.
Esiste quindi purtroppo un problema burocratico
che si dovrebbe in qualche modo risolvere, anzi per
questo farei appello alle organizzazioni di categoria, affinché si facciano carico di riuscire a chiarire
meglio queste normative ancora molto confuse.
Per quanto riguarda l’aspetto specifico della pubblicità integrale dal punto di vista dell’andamento
del mercato, effettivamente registriamo una stasi,
che non riguarda solo Padova, ma anche Firenze,
Bologna, Milano e tutte le altre città che hanno
messo in piedi questo tipo di iniziativa. Sono problemi, è vero, che riguardano anche il costo stesso
dell’intervento e, come diceva giustamente Casti, i
20 milioni di Milano possono anche essere accettati dai clienti, mentre i 20 milioni di Padova sono
accettati un po’ meno. Esiste quindi un problema di
costi per i quali spero ci sia la possibilità di rivedere al più presto anche le tariffe. Ma c’è anche un
problema, secondo me, di creatività pubblicitaria,
nel senso che - almeno a Padova - questi autobus,
ad eccezione di quelli riservati ai clienti di livello
nazionale, sono stati utilizzati soltanto come dei
tabelloni da riempire con il proprio marchio: il
mezzo cioè non è stato sfruttato nelle sue potenzialità creative. In questo senso il cliente, confrontanCITTÀPUBBLICITÀ
136
dolo con l’investimento da sostenere e con la pubblicità tradizionale, ci ha fatto un pensierino in più.
A questo proposito vorrei approfittare della presenza di autorevoli rappresentanti delle agenzie
per chiedere a loro com’è l’andamento del mercato
della pubblicità integrale e come vedono lo sviluppo
di questo tipo di pubblicità, al di là dei costi e delle
tariffe che, almeno per quanto riguarda Padova,
dobbiamo tenere in piedi almeno per un altro po’
di tempo.
Per finire volevo poi sottolineare come i mezzi a
disposizione delle aziende di trasporto siano molteplici, e da questo punto di vista mi chiedo anche
e lo chiedo soprattutto agli esperti, se esiste la
possibilità di avere una sinergia tra questi mezzi,
se cioè il cliente può essere interessato ad investire
non solo sulle pensiline o sulle tabelle di fermata,
oppure sulla pubblicità esterna o interna, ma creare
delle sinergie in modo tale da dargli la possibilità
di avere un pacchetto utilizzabile, ad esempio, per
quel tipo di target che comprende l’utilizzatore del
mezzo di trasporto pubblico.
CASTI:
Credo di poter rispondere alla seconda domanda e
la prima la giro a Bò della 3M, che sicuramente ha
una panoramica più vasta rispetto al futuro della
decorazione integrale. Il problema del pacchetto
integrale al quale si riferisce D’Orazio, il pacchetto che mette a disposizione la società di trasporti
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CITTÀPUBBLICITÀ
padovana, è già integrato ad altri tipi di impianti. Lo
sforzo commerciale che fa la nostra società infatti
è quello di creare per i clienti un palinsesto completo con varie possibilità di formato, che parte dal
poster, arriva alla pensilina, alla fermata e in alcuni
casi diventa anche la decorazione integrale.
BÒ:
Prima di rispondere vorrei spiegare un po’ il motivo
della mia presenza intorno a questo tavolo. Quasi
5 anni fa 3M ha introdotto un’importante innovazione nel settore della grafica pubblicitaria: si
tratta di un sistema di stampa digitale arricchito
da un pacchetto completo di soluzioni, il tutto studiato e sviluppato per dare maggiore flessibilità e
nuove possibilità realizzative in questo campo, con
importanti implicazioni in tema di pubblicità inserita nella città.
Tra i diversi esempi, uno tra i più prestigiosi è quello appena illustrato dall’Architetto Stefano Boeri,
che con i totem della Triennale di Milano è riuscito a trasformare l’esigenza di comunicazione per
un’iniziativa culturale in un importante elemento di
arredo urbano, perfettamente inserito nel contesto
della città.
Anche la pubblicità integrale sui mezzi pubblici, di
cui oggi si è molto parlato, è uno degli effetti di
questo sviluppo tecnologico.
La pubblicità integrale, che non è un nuovo media,
ma un nuovo modo di utilizzare un mezzo tradizionale, ha avuto un successo immediato perché, come
si può facilmente intuire, immagini grandi che viagCITTÀPUBBLICITÀ
138
giano, si muovono, all’interno di una città, hanno un
impatto e una capacità di attirare l’attenzione del
pubblico sicuramente superiore a quelli delle forme
di comunicazione esistenti.
Un impatto così forte che, nella fase di introduzione, si è temuta una reazione negativa da parte della
popolazione.
Questo timore, in base ad una ricerca di mercato
sviluppata a Milano, si è rilevato infondato, anzi si
può parlare di un livello di gradimento elevatissimo:
più dell’80% degli intervistati ha infatti espresso
un giudizio positivo verso la pubblicità integrale.
Tutte le fasce di popolazione, divise per età, hanno
manifestato nel complesso un giudizio positivo, con
una punta di gradimento superiore al 90% per le
fasce giovanili e un valore comunque superiore al
60% per i più anziani.
Anche quest’ultimo dato è comunque soddisfacente
se si considera che la ricerca è stata effettuata nel
primo anno di vita della pubblicità integrale, quando
era presumibile aspettarsi una più forte resistenza a
questa innovazione.
La pubblicità integrale ha avuto quindi un grandissimo e immediato successo essenzialmente per il
suo carattere di novità.
Passata la euforia iniziale, come era logico attendersi, c’è stato un breve periodo di pausa ma, già
dai primi mesi dell’anno, la pubblicità integrale ha
ripreso il suo abituale trend di crescita; trend di
crescita che le ha consentito di attestarsi intorno al
5% sul totale della pubblicità esterna.
Un risultato importante, se si tiene presente la
139
CITTÀPUBBLICITÀ
novità e il numero limitato dei mezzi disponibili.
In conclusione, con questa prima iniziativa sono
stati raggiunti risultati importanti nello sviluppo
di nuovi modi di comunicazione all’interno delle
città.
A questo si aggiunge la possibilità di sviluppare
nuove iniziative, dalla pubblicità pavimentale, già
utilizzata negli aeroporti e nelle stazioni della
metropolitana al building design.
La tecnologia ha raggiunto livelli impensabili,
offrendo la possibilità di realizzare praticamente
qualsiasi idea, anche la più “grande”. L’unica condizione e non è un limite tecnologico, è di cercare
di uscire dagli schemi.
COLLESEI:
Ho visto che i miei in gran parte sono tornati a
lavorare perché, se non sapete, sono nella fase
stage, quindi hanno lasciato il lavoro stamattina
soprattutto, ma sono 2 o 3, gli altri sono ritornati
precipitosamente a lavorare. Gli stage funzionano,
li fanno lavorare molto e quindi è anche un indice
positivo per il futuro impiego dei ragazzi.
Mi limito ad alcune considerazioni. Oggi si è parlato in due modi di pubblicità esterna, forse non era
così chiaro, ma a me è sembrato chiaro. Sono stati
portati molto esempi di innovazione, dove l’innovatore spesso paga il prezzo, paga il prezzo perché su
questo settore è difficile brevettare e probabilmente
questo vale un po’ per tutto quello che è nuovo, con
CITTÀPUBBLICITÀ
140
determinate caratteristiche. Dico che forse sono
altre idee, però è certo che sono delle vie che si
stanno cercando di fare per innovare attraverso la
sponsorizzazione. Questi sono i due cardini da quello che è venuto fuori degli elementi migliori.
C’è da dire che la pubblicità esterna è sempre stata
vista come un qualcosa di specifico, di particolare,
di una gestione locale della situazione, mentre oggi
tutta la comunicazione come sapete bene sta andando sull’orchestrazione sulla gestione globale di tutti
gli strumenti. Il gioco è che tentavate resistenza del
tipo: no quella è sponsorizzazione, noi facciamo
pubblicità, non fatelo più questo modo da docenti,
oggi chiunque opera all’interno del sistema di comunicazione commerciale ha diritto di interferire con
tutti gli altri strumenti, è il mezzo, si integra perfettamente, d’altronde il discorso di prima è che se uno
fa locale di prestigio per 4 mesi a Roma non può
non utilizzare questi strumenti per affrontare questo problema e non solo in locale, ma probabilmente
in nazionale come supporto o con altre strategie se
non addirittura a livello internazionale.
Si potrebbero immaginare campagne locali delle
capitali di Europa, un’idea che vi do, quando verrà
fuori Maastricht fate per piacere la moneta unica,
potrebbe essere il primo elemento comune di presentare un manifesto con formato.
Altro problema, a parte questo, dicevo di orchestrare meglio, c’è l’innovazione, però è rimasta in sordina, chiamiamo l’affissione tradizionale, senza offe-
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CITTÀPUBBLICITÀ
sa con il termine. Abbiamo visto tante cose nuove,
ma lo strumento base, quello che rappresenta forse
l’80%, anche di più, comunque la quota rilevante è
emersa poco, ho impressione che invece ci sia anche
lì da lavorare. Al di là dei formati e delle situazioni
è un problema di riflessione, perché anche quello,
probabilmente anche quello, ha bisogno di essere
unanime.
Sempre per cercare di trarre qualche considerazione di tendenza, vuoi per le società di trasporto,
vuoi per i Comuni in generale, la richiesta di servizio sarà crescente per una serie di ragioni che non
occorre che stia qui a sottolineare, per questo fabbisogno crescente di servizio non ci sono le risorse
sufficienti, questo è sicuro al 100%.
La sponsorizzazione è la via di integrare e quindi di
trovare una mediazione ragionevole tra pubblicità e
dall’altra parte servizio, arredo urbano, mi sembra
una via che avrà solo un grande futuro. Avete visto
quello che è successo, le sponsorizzazioni dopo la
fase di tangentopoli dove tutti potevamo pensare,
si riducessero alla metà, perché questo è un dato su
cui si può dire grosso modo o anche di più, di fatto
invece hanno ripreso una loro presenza e la loro
ascesa sta a significare che c’è una forza comunque
di traino che è quella del mercato che è una forza
che porta a spingere sempre di più verso questo tipo
di intervento.
Insisto, al cliente finale, al cittadino queste cose
ormai sono gradite, credo che potreste mettere
CITTÀPUBBLICITÀ
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un bel cartello pubblicitario anche davanti ad
una macchina per fare la TAC, il cittadino non si
opporrebbe, nel senso che se sa che gli viene dato
uno strumento diagnostico, che gli si riduce il costo
delle analisi potrebbe benissimo farlo e pensate
quanta gente fa le analisi del sangue, basterebbe
sul bigliettino dove danno gli indirizzi, potrebbe
essere un altro strumento pubblicitario nuovo, perché effettivamente tutti noi forse ci facciamo ogni
tanto qualche esame, nel corso della vita comunque
più volte.
È pensabile che l’innovazione debba cavalcare sempre più nuovi traguardi. Direi però che l’innovazione deve anche considerare il prezzo, l’idea di avere
dei prodotti differenziati all’interno del sistema
delle affissioni, o meglio della pubblicità esterna,
secondo me è un fatto acquisito. Oggi qui emerge
un fatto importante: non si tratta più di ragionare
solo in termini di formati secondo il mio punto di
vista, non è tanto nuovissimo, perché comunque
le posizioni c’erano anche prima, però adesso si
tratta di vedere anche le forme, le forme al di là
delle posizioni potrebbero definire un nuovo tipo di
presentazione.
Avete detto un altro aspetto che era in sordina - e
chiudo - che era la misurazione che è sempre stata
uno dei problemi di tutta la comunicazione. Non ho
mai partecipato ad un incontro o ad un convegno
dove qualcuno non abbia tirato fuori dalla promozione alla pubblicità, chi più e chi meno, ma anche
lì problemi di misurazione e anche qui ci sono
143
CITTÀPUBBLICITÀ
problemi di misurazione. È evidente che va sulla
visione ma attenzione anche qui non esageriamo,
cioè in effetti i risultati in termini dipende da che
cosa l’affissione si proponeva di fatto.
Prima è stato detto che le Pagine Gialle erano
particolarmente indicate con quel tipo di discorso. Ci sono delle coerenze che in pubblicità sono
tutto, almeno a mio giudizio, che trovano più facile
utilizzare il tram piuttosto che la pubblicità statica, quindi queste coerenze c’è lo sforzo creativo,
sforzo creativo di chi ha lo spazio dell’agenzia, del
creativo che poi illustra questo messaggio. Il problema fondamentale è oggi riproporre questi spazi,
soprattutto alla ricerca dei marchi, perché noi in
Italia ci stiamo impoverendo sulla marca e questa è
la cose peggiore che possiamo fare: fare tanta pubblicità sprecata se dietro non c’è una costruzione
di marca.
Credo che il problema del terzo millennio per noi sia
recuperare le marche, anche perché molte di quelle
che avevamo le abbiamo vendute, speriamo di non
vendere anche tutti gli spazi.
FRICKER:
Vorrei solamente che fosse ripresa la cassa acustica, non è questione di brevetti, è questione…
La cassa è super brevettata però i Comuni non
sono responsabili degli acquisti incauti. Per questo
prodotto che unisce il servizio alla sponsorizzazione, il Comune di Milano mi ha chiesto di trovare
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anche gli sponsor per poterli mettere, ad esempio,
al parco Liberty. Mi chiedo: com’è possibile trovare degli sponsor? Avrei trovato degli sponsor,
però il Comune non dà né regole per l’affissione, né
come intendono interpretarle. Questo è un problema
anche di correttezza e di etica, vengono chieste delle
cose contraddittorie a cui non si può rispondere.
CASTI:
Questo è un problema molto importante. Lei
ha parlato della cassa acustica, probabilmente
questo è riferito ad ogni oggetto di pubblica utilità.
Sarebbe senz’altro auspicabile che a questo proposito tutte le pubbliche amministrazioni, non solo
quelle più evolute culturalmente, riconoscessero con
precisione il concetto tanto prezioso per tutti dell’opportunità collettiva.
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progetto e coordinamento grafico
Paolo Casti
elaborazione testi
Monica Bisato
Susanna Benincà
disegni
Gianni Burato
elaborazioni grafiche e impaginazione
Maria Luisa Catullo
Paolo Zuin
Monica Meneghetti
composto con caratteri
Bell Ghotic tondo
stampato su carta
Flora Camoscio 130 g/m2
Cartiera di Cordenons
copertina
Imitlin Simplex Tela Blu notte
Cartiere Fedrigoni
scatola
Ondulato Sirio Blu 140/140 g/m2
Cartiere Fedrigoni
fotolito e stampa
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Finito di stampare
Verona, ottobre 1997
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