Sociologia Economica

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Sociologia Economica
Karl Polanyi (1886-1964)
Due temi dominano l’analisi socio-economica proposta da Polanyi:
1) la relazione che unisce l’economia e la società nelle varie epoche storiche
2) il problema della nascita, dello sviluppo e della crisi di un tipo di società – quella del
capitalismo liberale – dominata dai mercati autoregolati
Università di Torino (sede di Biella)
cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008)
prof. Domenico Carbone
Sociologia Economica
Polanyi: una definizione sostanziale dell’economia
Partendo dall’assunto che l’uomo dipende per la propria sopravvivenza dalla natura e dagli
altri uomini, Polanyi propone un concetto sostanziale di economia.
Esso fa riferimento all’interscambio, che ha per scopo la soddisfazione dei bisogni, tra
l’ambiente sociale e quello naturale.
“…All’origine del concetto sostanziale (di economia ndr.) stanno i concreti sistemi economici.
Questi possono essere definiti (…) come un processo istituzionalizzato di interazione tra
l’uomo e il suo ambiente, che dà vita a un continuo flusso di mezzi materiali per il
soddisfacimento dei bisogni…”
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Sociologia Economica
Polanyi: l’economia embedded nella società
Polanyi è un istituzionalista.
È convinto cioè che lo studio dell’economia non possa fondarsi su un’astrazione analitica,
così come avviene, invece, nell’analisi proposta dall’economia neo-classica
L’analisi economica deve sempre fare riferimento al contesto storico e alle istituzioni sociali
che influenzano le motivazioni ed il comportamento economico degli individui
“L’economia umana è inserita e coinvolta (embedded) in istituzioni di natura economica e non
economica. La presenza di istituzioni non economiche è di importanza decisiva. La religione o
il governo possono essere non meno importanti delle istituzioni monetarie o della stessa
disponibilità di strumenti e di macchine per la struttura e il funzionamento dell’economia”
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Polanyi: le forme di integrazione economia-società
Partendo da questa concezione dei rapporti tra economia e società Polanyi è interessato a
studiare le diverse modalità di istituzionalizzazione delle attività economiche nel tempo e nello
spazio.
Egli individua tre forme di integrazione tra economia e società:
Reciprocità
Redistribuzione
Scambio (di mercato)
Queste tre forme di integrazione regolano la produzione, la distribuzione e lo scambio di beni
e servizi.
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Polanyi: caratteristiche delle forme di integrazione
Le tre forme di integrazione tra economia e società rappresentano l’insieme dei meccanismi
sociali che, in ciascuna società, garantiscono il processo di allocazione delle risorse per gli
individui
“Tali meccanismi assicurano in ogni epoca storica l’ordine nella produzione e redistribuzione
delle risorse” (Polanyi, 1974: 62).
Sono, in altre parole, dei modelli di regolazione che strutturano l’organizzazione dell’economia
e i rapporti tra questa ultima e le altre sfere della vita sociale (politica, famiglia, ecc.).
Le varie forme di integrazione non si escludono a vicenda; tendono invece a coesistere tra
loro anche se una di esse può assumere una posizione dominante all’interno di una specifica
società, dettando le regole per l’utilizzo “economico” delle risorse
Le forme di integrazione non rappresentano “stadi” dello sviluppo. Esse non implicano
nessuna sequenza temporale. A fianco della forma dominante possono co-esistere altre
forme secondarie: la stessa forma dominante può ricomparire dopo un periodo di eclisse
temporanea
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Polanyi: la reciprocità
La reciprocità è un sistema di integrazione che si basa su gruppi sociali organizzati in forma
simmetrica (la famiglia, la parentela, le relazioni tra amici, tra vicini e tra i membri di una
stessa associazione).
In questi ambiti relazionali, i rapporti economici ed i meccanismi di allocazione delle risorse
avvengono sulla base di scambi di beni e servizi che si articolano secondo linee orizzontali e
si fondano su aspettative reciproche tra le parti.
La donazione di un bene viene effettuata, cioè, sulla fiducia nella restituzione dello stesso
bene, o di un’altra risorsa, direttamente a chi ha donato o ad una terza persona in relazione
con il donatore.
All’interno di questo sistema, le motivazioni che guidano l’azione, i mezzi utilizzati e le ragioni
dello scambio, non sono in senso stretto economiche ma dipendono da un sistema più ampio
di aspettative e obbligazioni definite socialmente (dalla tradizione, da norme formali ed
informali, dai valori ecc.)
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Polanyi: la redistribuzione
La redistribuzione, diversamente dalla reciprocità, implica l’esistenza di organizzazioni sociali
più ampie e complesse.
In esse emerge la funzione di un centro politico verso cui le risorse confluiscono e dal quale
vengono poi ridistribuite secondo dei criteri esplicitamente definiti e socialmente condivisi.
Esempio tipico di questo meccanismo di allocazione delle risorse nelle democrazie
contemporanee è il welfare state.
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Polanyi: lo scambio di mercato
Lo scambio di mercato, infine, è un sistema di integrazione in cui l’allocazione delle risorse
avviene attraverso il prezzo dei beni stabilito nell’interazione tra domanda e offerta.
Anche se i mercati e gli scambi sono esistiti fin dall’antichità, secondo Polanyi, questa forma
di regolazione diventa dominante soltanto in epoca moderna, raggiungendo il suo culmine nel
XIX secolo.
Ciò si verifica quando le istituzioni che regolano lo scambio di mercato diventano
predominanti, oltre che nella sfera del commercio, anche in quella della produzione e della
distribuzione dei redditi.
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Polanyi: l’affermazione della società capitalistico liberale
La società capitalistico librale si afferma definitivamente nel XIX secolo e coincide con la
piena affermazione dello scambio di mercato, come forma di integrazione dominante
Ciò avviene, quando, il principio dello scambio di mercato oltre ad essere applicato alla
distribuzione dei beni, viene esteso anche ai fattori di produzione: terra, capitale e lavoro.
La società capitalistico-liberale è, quindi, una società ad economia di mercato
Contrariamente a quanto sostenuto dagli economisti, questo processo fu scandito, secondo
Polanyi, da interventi di tipo politico-amministrativo volti a rompere le barriere di tipo feudale
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Le origini della società capitalistico-liberale
Nel XIX secolo arrivano a compimento qui processi di trasformazione avviati in epoca
medioevale che coincidono con il definitivo superamento “dell’economia signorile”
“L’economia pre-medioevale era sostanzialmente una economia senza mercato” (North e
Thomas, 1976) all’interno della quale il processo di allocazione delle risorse avveniva
prevalentemente attraverso un meccanismo di reciprocità asimmetrica tra i contadini ed i
signori locali.
I primi, attraverso le corvées, garantivano ai secondi i beni di prima necessità, mentre i signori
offrivano in cambio la protezione militare contro eventuali saccheggiatori e garantivano
l’amministrazione della giustizia nelle dispute tra contadini.
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L’economia pre-medioevale
Caratteristiche distintive dell’economia pre-medioevale sono:
- una scarsa formalizzazione dei diritti di proprietà
- un’organizzazione del lavoro agricolo basato sulla servitù
- una funzione di protezione militare garantita localmente
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Crescita demografica e sconvolgimento economico
A partire dal XIII secolo i paesi europei conoscono una crescita demografica che portò la
popolazione dai 61 milioni di abitanti del 1200 ai 73 milioni dei primi decenni del 1300
La crescita demografica, in un contesto regolativo come quello pre-medioevale, ebbe un
impatto importante perché intaccò uno dei principi fondamentali dell’economia signorile:
l’abbondanza della terra.
la crescita demografica impose le necessità di colonizzare nuove terre, spesso meno fertili e,
soprattutto, sempre più distanti dal villaggio.
Tale processo innescò una serie di conseguenze che portarono progressivamente
all’affermazione di nuovi modelli e strutture di regolazione della sfera politica e di quella
economica
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Le conseguenze economiche del boom demografico medioevale
In primo luogo la necessità di coltivare nuove terre rappresentò un incentivo alla costruzione di
manufatti idonei alla lavorazione di terreni fino ad allora incolti e che richiedevano, quindi, attività più
complesse per renderli produttivi.
La domanda di nuovi manufatti, tecnicamente più evoluti, stimolò, inoltre, l’attività artigianale
all’interno dei villaggi che iniziarono a ricoprire un ruolo strategico nei processi di scambio tra
prodotti naturali e manufatti artigianali. Tale aspetto ha una portata, per certi versi, rivoluzionaria
poiché : «né presso gli antici, né durante il primo medioevo […] i beni di normale uso venivano
regolarmente comprati e venduti» (North e Thomas, 1976).
L’ambito urbano inizia ad assumere, in seguito a questi cambiamenti, una posizione strategica nei
processi di sviluppo economico. Da una parte diventa la sede ideale per la crescita e lo sviluppo
degli scambi commerciali che garantiranno l’affermazione dell’economia monetaria, dall’altra, il
centro urbano si afferma come luogo dell’innovazione tecnica.
L’espansione del commercio durante il medioevo portò, inoltre, alla nascita di due istituzioni che
ricopriranno una ruolo strategico nell’affermazione dell’economia capitalista: le banche e le
assicurazioni.
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L’affermazione dei diritti di proprietà della terra
La piena affermazione della modernizzazione avvenne nel momento in cui tutti questi
processi arrivarono a maturazione in quello che viene considerato un altro elemento
fondamentale della modernità: l’affermazione dei diritti di proprietà privata.
Questo ultimo passaggio presuppone, però, una riforma radicale delle consuetudini d’uso
della terra che verrà attuata, pienamente, nei secoli successivi all’epoca medievale.
Per arrivare a questo fu necessario, infatti, compiere un altro passaggio: la terra da bene
comune utilizzabile da tutta la popolazione, secondo le consuetudini dell’economia feudale,
doveva diventare un bene ad uso esclusivo di un proprietario che ne potesse disporre
secondo i propri interessi individuali e non più, necessariamente, secondo gli interessi
dell’intera comunità
L’Inghilterra fu il paese in cui tale passaggio avvenne prima che altrove. In questo paese,
infatti, la "liberazione" della terra dai vincoli feudali si affermò a partire dal XVI secolo
attraverso le enclosures (recinzioni) dei campi comuni da parte dell’aristocrazia locale
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L’impatto sociale ed economico delle enclosures
L’impatto delle recinzioni e la nascita della proprietà privata della terra va valutato da due
punti di vista;
a) per il ruolo giocato nell’affermazione dell’economia capitalista
b) per le sue conseguenze sul piano sociale.
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Il ruolo delle enclosures nell’affermazione dell’economia capitalista
Dopo le recinzioni la terra iniziò ad essere trattata come qualsiasi merce che poteva essere
comprata e venduta.
In altre parole la terrà iniziò ad essere considerata un moderno fattore di produzione
attraverso cui ricavare un profitto monetario
«questo cambiamento segna il trapasso dalla concezione medievale della terra come base
delle funzioni e degli obblighi politici alla moderna concezione di essa come investimento
redditizio. I proprietari terrieri tendono, insomma, ad acquisire una mentalità mercantile»
(Tawney, 1912:180)
Anche presso i proprietari terrieri si afferma progressivamente il comportamento dell’uomo
d’affari che sfrutta le risorse materiali della sua proprietà con l’occhio teso al profitto e
all’efficienza.
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Proprietà privata ed accumulazione originaria
Tanto i grandi possidenti aristocratici quanto i piccoli proprietari terrieri – i cosiddetti yeomen –
affiancheranno i commercianti nel processo di accumulazione originaria funzionale
all’affermazione dell’economia capitalista (Marx).
Tale accumulazione non va intesa soltanto come concentrazione di risorse economiche e
finanziarie che supporteranno successivamente gli investimenti necessari alla produzione
industriale, ma anche come affermazione di una visione del mondo – lo spirito del capitalismo
come lo definisce Weber – in cui il profitto attraverso il lavoro diventa un valore sociale
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Le conseguenze sociali delle enclosures
Il sistema delle recinzioni prevedeva la sottrazione degli appezzamenti in usufrutto o in affitto
ai contadini, con il conseguente allontanamento di questi ultimi dalla loro tradizionale
economia di sussistenza, nonché dalle proprie abitazioni, che venivano, in molti casi, distrutte
Le conseguenze, come si può capire, furono devastanti anche sul piano del soddisfacimento
dei bisogni primari per questa popolazione. Lo standard dei loro consumi alimentari peggiorò,
inesorabilmente:
«costoro si ridussero ad una dieta di pane e formaggio perché il sistema delle recinzioni
aveva portato via loro la terra dove raccoglievano altri prodotti alimentari e la legna
necessaria per cucinare i cibi » (Deane, 1971:59).
Il sistema delle recinzioni portò inoltre alla trasformazione della comunità di villaggio formata
da contadini che vivevano a livello di sussistenza in comunità di lavoratori agricoli il cui livello
di vita cominciò a dipendere sempre più dalle condizioni di mercato nazionale ed
internazionale e dalle condizioni meteorologiche.
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La nascita del proletariato rurale
Progressivamente tra il XVI e la fine del XVII secolo l’azienda familiare autosufficiente del
contadino che lavorava per la propria terra cedette il passo ad una popolazione rurale
stremata, diseredata e costretta a spostarsi spesso in altre zone rurali o nei centri urbani in
cerca di opportunità per vendere la propria forza lavoro.
Nasceva il proletariato rurale.
La conseguenza di questo cambiamento è che le possibilità di allocazione delle risorse per
questa nuova classe sociale vengono a dipendere, quasi esclusivamente, dalla posizione di
ciascun individuo nel mercato (del lavoro) e, quindi, dalle condizioni congiunturali del mercato
stesso.
In questo scenario regolativo, la fase che precede la rivoluzione industriale ed i primi decenni
successivi alla sua affermazione rappresentao un periodo molto difficile per il proletariato a
causa della forte instabilità delle condizioni di mercato. Fasi di alta richiesta di manodopera,
soprattutto nel settore manifatturiero, erano seguite da fasi di stagnazione della domanda di
lavoro in uno scenario caratterizzato da continue fluttuazioni economiche.
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Polanyi: progressiva affermazione del capitalismo liberale
Durante il periodo di transizione al nuovo sistema economico-produttivo, fondato sul “mercato
autoregolato” e caratterizzato dalla razionalizzazione nei sistemi di produzione agricola e
dall’avvio della prima produzione industriale, i termini del rapporto tra economia e società si
invertono; non è più l’economia ad essere inserita nei rapporti sociali ma, al contrario, i
rapporti sociali ad essere assorbiti dal sistema economico.
Questa inversione ha un forte impatto destabilizzante sulla società
Secondo Polanyi un sistema basato solo sul mercato autoregolato risulta assolutamente
incompatibile con qualsiasi forma di socialità, anzi l’affermazione di tale sistema finisce col
distruggere la stessa società.
La piena autonomia dell’economia autoregolata si traduce, infatti, in una subordinazione della
società alle leggi del mercato e tale subordinazione è incompatibile con l’esistenza stessa
della società.
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Polanyi: mercato autoregolato merci fittizie
Secondo Polanyi, i problemi di destabilizzazione del nuovo sistema-socio economico si
producono nel momento in cui i principi dello scambio di mercato (auotodiretto) vengono
applicate a quelle che egli definisce merci fittizie:
Terra: non è una merce vera e propria perché non è un prodotto dell’uomo ma una risorsa
naturale. Il suo utilizzo secondo i principi dello scambio di mercato produce squilibri
nell’allocazione dei beni primari per gli individui. (Oggi possiamo anche dire che l’utilizzo delle
fonti naturali come merci qualsiasi ha un impatto ambientale che mette a serio rischio
l’economia e la società post-moderna)
Moneta: non è una merce bensì un simbolo del potere di acquisto. Il suo utilizzo come una
merce qualsiasi all’interno di una mercato autoregolato produce gravi rischi connessi alla
inflazione e deflazione.
Lavoro: non è una merce perché è legato alla vita umana che non è prodotta per essere
venduta. Trattare il lavoro come una merce qualsiasi significa affidare il destino individuale
alla fluttuazioni del mercato e alle congiunture economiche
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Polanyi: L’autodifesa della società
Trattare terra lavoro e moneta come oggetti di scambio sul mercato, al pari delle altre merci,
produce notevoli rischi sociali e provoca un contromovimento che si oppone alla crescente
espansione del mercato nella società.
Si verificano, in altri termini, delle reazioni di autodifesa della società (leggi protezionistiche
del lavoro, barriere tariffarie e protettive per difendere il mondo agricolo, forme di controllo e
regolazione sul credito e la moneta) che condurranno alla crisi di quella che Polanyi chiama la
“civiltà del diciannovesimo secolo” che culminerà con la grande depressione economica
innestata dal crollo della borsa americana nel 1929.
« Un nuovo modo di vita si diffuse su tutto il pianeta con una pretesa di universalità che era
senza confronti dall’epoca degli inizi del cristianesimo; questa volta tuttavia il movimento era
ad un livello puramente materiale. Simultaneamente nasceva un contromovimento che era
qualcosa di più del solito comportamento difensivo di una società che si trovi di fronte ad un
mutamento; era una reazione contro uno sconvolgimento che attaccava il tessuto della
società e che avrebbe distrutto l’organizzazione stessa della produzione che il mercato aveva
creato ». (Polanyi 1974, p. 167).
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Sociologia Economica
Polanyi: La grande trasformazione
Le diverse soluzioni tentate per arginare l’espansione del mercato (il fascismo, il comunismo
sovietico, il New Deal americano), seppur molto diverse tra loro sotto il profilo politicoistituzionale, avevano in comune il fatto di rappresentare dei tentativi di ricollocare il “posto
dell’economia” all’interno della società.
«….se la produzione poteva essere organizzata teoricamente in questo modo [nella forma dei
mercati autoregolati], la finzione della merce trascurava il fatto che lasciare il destino della
terra e degli uomini al mercato sarebbe stato equivalente al loro annientamento. Di
conseguenza la contromisura consisteva nel controllare l’azione del mercato rispetto ai fattori
di produzione, lavoro e terra. Questa era la funzione principale dell’interventismo». (Polanyi
1974, p. 168).
I primi decenni del XX secolo, con le svolte tragiche segnate dalle due guerre mondiali, non
faranno altro che mettere in luce le tensioni latenti nel capitalismo liberale, avviando un
processo di transizione verso nuove forme di organizzazione economica. È questa la Grande
Trasformazione di cui parla Polanyi e che si attua – in modi diversi - a cavallo tra le due
guerre.
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Sociologia Economica
Schumpeter: un approccio dinamico all’analisi economica
Secondo Schumpeter la teoria d’impostazione neo-classica, è sostanzialmente statica.
“Essa descrive la vita economica dal punto di vista della tendenza del sistema economico ad
uno stato di equilibrio, la quale tendenza ci dà i mezzi per determinare i prezzi e le quantità
dei beni e si presenta nella forma di un adattamento ai dati di volta in volta esistenti. (…) Ma
la teoria “statica” non è in grado di descrivere le conseguenze di cambiamenti discontinui nel
modo tradizionale di compiere le cose; qui l’analisi statica non può spiegare né il verificarsi di
rivoluzioni produttive né i fenomeni che in tale occasioni si producono”.
Dunque l’economica tradizionale non riesce a dar conto dei mutamenti radicali che sono alla
base dei processi di sviluppo e degli andamenti ciclici dell’economia capitalistica.
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Sociologia Economica
Schumpeter: innovazione e cicli economici
Affinché i cicli economici si realizzino si deve produrre una innovazione nei modi di
“combinare materiali e forze” produttive, ovvero si deve verificare l’introduzione di “nuove
combinazioni di mezzi di produzione”. Queste innovazioni possono comportare:
1) l’introduzione di un nuovo bene, non familiare ai consumatori.
2) un nuovo modo di organizzare la produzione.
3) l’apertura di nuovi mercati.
4) l’acquisizione di nuove fonti di approvvigionamento di materie prime e di semilavorati.
5) la riorganizzazione di una industria, o la creazione-distruzione di un monopolio.
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Sociologia Economica
Schumpeter: crescita e crisi dei cicli economici
La storia economica è caratterizzata da cicli economici che si aprono sempre con
un’innovazione significativa in grado di creare una nuova combinazione produttiva. Le fasi di
un ciclo economico, individuate da Schumpeter sono:
1) fase espansiva; collegata all’introduzione e alla prima diffusione dell’innovazione.
2) fase discendente del ciclo; causata dalla crisi delle imprese rimaste fuori dal processo
innovativo e dalla saturazione dell’impulso generato dall’innovazione.
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Sociologia Economica
I cicli economici di Kondratieff
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Sociologia Economica
Schumpeter: il ruolo dell’imprenditore
Secondo Schumpeter, sono gli imprenditori che, per mezzo di queste innovazioni.
Sono loro ad imprimere dinamismo all’economia, scuotendola dall’immobilismo del flusso
circolare.
Egli opera una netta distinzione tra gli innovatori e coloro che, nella gestione delle imprese,
svolgono unicamente dei compiti amministrativi e direzionali sfruttando le conoscenze già
acquisite e le routine consolidate. Queste attività di management ordinario non definiscono la
funzione imprenditoriale che, al contrario, si caratterizza per l’introduzione di nuove
“combinazioni dei fattori produttivi” capaci, cioè, di modificare in profondità l’organizzazione
dell’economia
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Sociologia Economica
Schumpeter: la crisi del capitalismo
Secondo Schumpeter, sono le trasformazioni socio-culturali provocate dallo sviluppo
economico, che creano una sfavorevole al funzionamento dell’economia di mercato
L’avvento dei trust, ovvero di imprese sempre più grandi e concentrate, che agiscono in
condizioni di oligopolio o di monopolio, non impedisce lo sviluppo economico. Tuttavia
l’innovazione all’interno di queste imprese, viene in qualche misura routinizzata, assicurata da
team di specialisti alle dipendenze delle grandi imprese.
Questa burocratizzazione dell’innovazione, però, toglie spazio alla figura dell’imprenditore
nella sua forma originaria “individuale-familiare”.
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Sociologia Economica
Schumpeter: i motivi della crisi
Schumpeter, individua tre processi sociali alla base della crisi del capitalismo di inizio 1900
A) In primo luogo l’indebolimento della borghesia connesso al “deperimento” della figura
dell’imprenditore. Con la spersonalizzazione e la burocratizzazione dell’innovazione, la classe
dominante viene a perde gran parte del prestigio e della legittimazione legata all’esercizio di
quella funzione sociale.
B) In secondo luogo vi è la crisi di alcuni gruppi sociali sopravvissuti al disfacimento della
società feudale, che puntellano gli equilibri di classe presenti nel capitalismo. Schumpeter si
riferisce, in particolare, alla crisi dei ceti aristocratici che, in alcune nazioni (in Inghilterra ad
esempio), avevano continuato a svolgere funzioni politiche cruciali per le quali la borghesia
non sembrava particolarmente tagliata.
C) In terzo luogo vi è la diffusione nell’opinione pubblica di un clima di crescente ostilità nei
confronti dell’economia privata. In parallelo alla crescita del benessere e delle aspirazioni,
infatti, il capitalismo tende a generare una situazione di inquietudine sociale permanente,
legata alla diffusione dell’individualismo. Questa condizione di disagio, però, rimarrebbe
senza conseguenze se non venisse fomentata e organizzata da gruppi di intellettuali che
alimentano la critica alle istituzioni.
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Keynes: un ponte verso la realtà
A partire dagli anni ’30 del 1900 prende forma un cambiamento molto importante nell’indagine
economica: il tentativo di ridurre lo scarto, orami troppo evidente, tra modelli analitici e realtà
storico-empirca.
Emerge, quindi, l’esigenza di costruire “ponti verso la realtà” (Bell, 1981).
Tra questi quello più importante è costituito dall’opera intellettuale di Keynes
L’importanza del pensiero keynesiano risiede nell’aver dato fondamento teorico ad alcuni
esperimenti di politica sociale che erano già in atto da alcuni anni in molti paesi ad economa
di mercato.
Il New Deal in America, il nazismo in Germania e la Socialdemocrazia in Svezia, seppur con
metodi e strumenti differenti hanno anticipato, infatti, molte delle proposte di politica
economica keynesiana
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Keynes: la critica all’economia neoclassica
Il pensiero economico di Keynes segna un punto di rottura importante rispetto alla tradizione
neo-classica
Mentre l’economa neoclassica si interroga intorno al problema della formazione dei prezzi dei
beni e della distribuzione dei reddito, il focus dell’analisi keynesiana si sposta su un livello
macro-economico e si concentra attorno ai fattori che influiscono sui livelli di produzione e
sulla (in) capacità di un sistema economico di generare piena occupazione
A differenza dell’economia neo-classica, inoltre Keynes sostiene che data la complessità dei
fenomeni economici il principio della razionalità illimitata non può esistere nella pratica
concreta di un comportamento economico
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Sociologia Economica
Keynes: l’interventismo pubblico come regolatore dell’economia
Il funzionamento del mercato auto-regolato non conduce, necessariamente il sistema
economico in equilibrio e, soprattutto, non necessariamente si creano autonomamente le
condizioni per la piena occupazione
La propensione all’investimento da parte dei produttori non è legata, come sosteneva
l’economia classica, soltanto ai tassi di interesse
L’equilibrio nel mercato del lavoro non è influenzato soltanto dal livelli salariali
L’unico elemento in grado di rilanciare la produzione e con essa la domanda di lavoro in una
situazione di crisi è la crescita della domanda aggregata di beni .
È sul rilancio di questa componente macro-economica che lo Stato deve intervenire
attraverso strumenti di sostegno alla produzione (es. politiche fiscali per le imprese) ma
soprattutto attraverso interventi di sostegno ai consumi della popolazione.
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Sociologia Economica
Keynes: deficit spending
La spesa pubblica è tanto più efficace quanto più è in grado di stimolare una domanda
aggiuntiva.
Ne consegue che anche in una situazione di stabilità economica lo Stato dovrà essere in
grado di stimolare la domanda aggregata attraverso il ricorso al debito pubblico
Compito primario dello Stato diventa, quindi, quello di sostenere il reddito degli individui
attraverso meccanismi redistributivi in grado di supportare i consumi.
Tale impostazione teorico-analitica segna, quindi, il definitivo superamento del laissez faire e
del capitalismo liberale ed apre la strada ad un nuovo modello economico fondato sul
capitalismo regolato
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Sociologia Economica
Il compromesso storico
I trenta anni gloriosi del capitalismo furono fortemente sostenuti da un nuovo modello di
regolazione istituzionale delle economie dei paesi più sviluppati
Non si tratta soltanto dell’assorbimento da parte dei governi delle nuove idee keynesiane.
Questi sviluppi del pensiero economico furono, sicuramente, molto importanti ma l’intervento
regolativo dello Stato è andato oltre quanto sostenuto da Keynes
Al ruolo dello Stato va aggiunto quello non certo secondario delle grandi imprese “fordiste” e
l’affermazione del modello di “male breadwinner” nei rapporti familiari.
È dall’insieme di questi fattori che deriva quello che è stato definito come compromesso
storico tra le classi sociali
… i movimenti dei lavoratori sospesero le loro rivendicazioni di una più ampia socializzazione
dell’economia. In cambio ottennero la contrattazione collettiva, l’integrazione all’interno del
sistema politico, il Welfare State.
Gli imprenditori sospesero la pretesa di avere una forza lavoro passiva ed atomizzata,
accettarono il welfare state ed in cambio ottennero l’accettazione totale della proprietà privata,
il primato del profitto di mercato, la pacificazione nazionale, una mercato finanziario stabile….
Università di Torino (sede di Biella)
cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008)
prof. Domenico Carbone
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