SVILUPPO SOSTENIBILE (SS)
Qualche riflessione su un concetto contraddittorio e di successo
di Sandro Sutti (LABTER-CREA Mantova), per CSA Mantova
"Molto rumore per nulla" fu uno dei numerosi commenti di stampa che accompagnarono nel 1992 la
conclusione dell'Earth Summit di Rio, per il quale si erano alimentate tante speranze circa un possibile
accordo tra le nazioni sui provvedimenti comuni da prendere per combattere problemi ambientali sempre più
pressanti (il cambiamento climatico, la diminuzione della biodiversità, la riduzione delle foreste, la riduzione
delle riserve idriche, la desertificazione, la produzione di rifiuti, ecc.).
I disaccordi, le divisioni e le tensioni del summit avevano catturato l'attenzione dei media ben più della
proposta finale, incentrata sullo Sviluppo Sostenibile e su uno degli strumenti ideati per conseguirlo:
l'Agenda 21 Locale. Eppure, dalla approvazione del documento finale di Rio il successo dei due termini "sviluppo sostenibile" e "A21L" - è stato immediato e travolgente. Da concetto fino ad allora utilizzato nei
seminari e nei convegni internazionali per specialisti e fortemente dibattuto e discusso per le sue ambiguità,
lo "sviluppo sostenibile" è entrato nella terminologia degli ambientalisti e degli educatori e ha cominciato ad
affacciarsi sempre più spesso nelle proposte politiche, accettato prima come slogan indovinato e poi come
"proposta di buon senso".
E' probabile che molti di coloro che ne fanno uso quotidiano non siano a conoscenza del lungo e non ancora
concluso dibattito intorno alla contraddizione generata dai due termini "sviluppo" e "sostenibile", il primo dei
quali è di utilizzazione comune in economia e reca in sé il concetto di crescita indefinita, dunque senza limiti,
vista nella sua accezione quantitativa, più che qualitativa, mentre il secondo fonda proprio sul concetto di
limite la propria esistenza.
Lo stesso concetto di sostenibilità è ambiguo, proviamo a dimostrarlo. Una persona, una comunità o un
ecosistema possono vivere in condizioni di benessere fisico e spirituale (vale anche per gli ecosistemi); in
questo caso a nessuno viene in mente di chiedersi se tale condizione sia sostenibile o meno, essendo essa
addirittura auspicabile! Poniamo ora il caso che la stessa persona, la stessa comunità o lo stesso
ecosistema cominci a registrare dei disagi; è ragionevole pensare che si studieranno provvedimenti per
eliminare o ridurre le ragioni del disagio, ma che, in caso di fallimento degli interventi o dell'impossibilità di
attuarli, si decida di accettare il disagio, perché con esso si può convivere: la qualità della nuova situazione è
peggiore della precedente, ma la si accetta perché, appunto, "sostenibile".
Potremmo fare ulteriori ipotesi peggiorative e trovare nuovi livelli di adattamento della persona, della
comunità o dell'ecosistema, a ciascuno dei quali corrisponde una qualità di vita via via peggiore, ma ritenuta
sopportabile, appunto sostenibile. Vi sarà pero' un limite oltre il quale l'adattamento della persona, della
comunità o dell'ecosistema cessa; è facile definire questa nuova condizione non sopportabile o non
sostenibile. Oltre questo limite la persona, la comunità o l'ecosistema danno origine a comportamenti non
"ortodossi". Il confine tra sostenibilità e insostenibilità delle persone, delle comunità e degli ecosistemi varia
da persona a persona, da comunità a comunità, da ecosistema a ecosistema: dunque non è oggettivamente
identificato, ma socialmente, biologicamente, fisicamente, economicamente, spiritualmente, ecc. verificato di
volta in volta. E questo basta per scatenare discussioni infinite.
Inoltre, una volta che ci si sia accordati per accettare una situazione sostenibile, sarebbe opportuno fare
chiarezza sul livello di sostenibilità voluta, cosa che scatena altre discussioni.
Se a questo si aggiunge che il concetto di sostenibilità viene richiamato quando la persona o il sistema entra
in uno stato di leggera o accentuata sofferenza, risulta chiaro che proporre uno sviluppo sostenibile, significa
accettare a priori condizioni di sofferenza per la persona o per il sistema, con tutto ciò che ne consegue.
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato ed è fortemente avversato dai sostenitori della ecologia profonda
(deep ecology), perché - essi ritengono - pervaso dei valori della razionalità tecnica, gli stessi che stanno alla
base della distruzione del pianeta.
Per rendere digeribile lo slogan agli ecologisti, agli economisti, ai politici e agli amministratori, se ne sono
sfumate le contraddizioni e le ambiguità, dandone successive definizioni.
La più largamente accettata è la seguente:
lo sviluppo sostenibile consiste nella realizzazione di un equilibrio tra esigenze di tutela ambientale e
sviluppo economico che consenta di soddisfare i bisogni delle persone esistenti senza
compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro bisogni.
Questa definizione è del 1987, tappa fondamentale della evoluzione del concetto di sviluppo sostenibile,
anno in cui a Tokio si svolge la Conferenza delle Nazioni Unite per l'Ambiente e lo Sviluppo (UNCED),
durante la quale viene presentato il "Rapporto Brundtland", dal nome della Presidentessa norvegese della
WCDE (World Commission on Environment and Development, istituita dalle Nazioni Unite e attiva dal 1983
al 1987, anno nel quale pubblica "Our commone future", meglio conosciuto appunto come Rapporto
Bruntland.
Il rapporto "pone al centro della questione ambientale il problema dell'impatto che le società impongono
sull'ambiente e le conseguenze a medio e lungo termine che ne derivano, inclusa la valutazione del danno
provocato alle generazioni future dalla riduzione del patrimonio necessario ad alimentare il processo di
crescita" (Enzo Scandurra, L'ambiente dell'uomo, ETAS Libri 1995).
Secondo tale Rapporto "la protezione dell'ambiente smette di essere considerata come un limite allo
sviluppo economico e sociale per diventarne invece un presupposto fondamentale) (da Nuovi orizzonti
ambientali, Sviluppo sostenibile\Saggi\next_environment-nuovi orizzonti ambientali.htm)
Ancora dal testo di Scandurra riportiamo:
"Non esistono precisi limiti alla crescita in termini di popolazione o uso delle risorse, superati i quali si abbia
il disastro ecologico. Per il consumo di energia, materie prime, acqua e terra valgono limiti differenti; molti di
essi si manifestano in termini di costi crescenti e profitti calanti, anziché in forme di improvvisa scomparsa di
una risorsa base" (WCDE)
La questione ambientale ......viene ora posta in termini della vulnerabilità della qualità dell'ambiente e di
stabilità dell'ecosistema planetario. I nuovi limiti individuati dal rapporto nosono infatti:
" non assoluti, ma imposti dal presente stato dell'organizzazione tecnologica e sociale (....) e dalla capacità
della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane (WCDE).
I nuovi limiti allo sviluppo emergono, paradossalmente, proprio quando i progressi della scienza e della
tecnologia rafforzano la (falsa convinzione che l'uomo sia capace di inventare nuove risorse in sostituzione
di quelle tradizionali, aumentando l'efficienza termodinamica dell'economia, ovvero riducendo l'inquinamento
e lo spreco (Colombo U., 1993).
L'uso di nuove tecnologie implica l'apparizione sulla scena di altri e nuovi problemi (è il caso della tecnologia
nucleare....).
I nuovi limiti alla crescita sono di natura fisica e biologica e appaiono sempre più oggettivamente osservabili:
il buco della fascia di ozono, l'aumento del tasso di biossido di zolfo nell'atmosfera, l'estinzione di molte
specie animali e vegetali, , l'esplosione del problema rifiuti, i conflitti sugli usi dell'acqua, ecc.
Per affrontare la questione ambientale occorre adottare stili di vita "compatibili con le risorse ecologiche del
pianeta". Per questo il nuovo concetto di sviluppo sostenibile "non è uno stato di armonia prefissato, ma
piuttosto un processo di cambiamento, in cui lo sfruttamento delle risorse, la dire<ione degli investimenti e i
cambiamenti istituzionali vengono resi compatibili con i bisogni futuri, oltreché con quelli presenti" (WCDE).
Ancora sul concetto di SS
Dal libro di Scandurra saccheggiamo altre pagine, perché utili ad approfondire l'argomento.
"Il concetto di SS viene lanciato (ma non elaborato) nella Conferenza di Stoccolma del 1972. In questa
conferenza viene, infatti, stabilito il principio secondo il quale sviluppo e protezione ambientale non devono
essere di reciproco ostacolo. (Come detto in precedenza, ndr) ..una sua più ampia elaborazione viene fatta
dalla WCDE nel 1987. Successivamente, nel 1992 nell'Earth Summit di Rio lo SS viene indicato come uno
dei comuni obiettivi (Dichiarazione di Rio) da includere nei piani di azione per specifiche iniziative
economiche, sociali e ambientali in vista del XXI secolo (Agenda 21).
Nell'Agenda 21 si afferma infatti che:
I governi dovrebbero adottare un strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (...)-. Tale strategia dovrebbe
essere predisposta utilizzando e armonizzando le politiche settoriali. L'obiettivo è quello di assicurare uno
sviluppo economico responsabile verso la società, proteggendo nel contempo le risorse fondamentali e
l'ambiente per il beneficio delle generazioni future. Le strategie nazionali per lo SS dovrebbero essere
sviluppate attraverso la più ampia partecipazione possibile e la più compiuta valutazione della situazione e
delle iniziative in corso.
L'Agenda 21 impegna (va), inoltre, i governi dei paesi firmatari ad elaborare entro il 1996, "Agende21" a
livello locale e ad elaborare indicatori di sostenibilità dello sviluppo.
L'estrema pervasività e l'enorme successo di questo concetto sono probabilmente dovuti oltre che all'autorità
dell'organizzazione che lo ha coniato, alla sua capacità di evocare suggestioni e di innescare nuove
esplorazioni in tutti i campi disciplinari delle scienze sociali: dall'economia all'urbanistica, alla sociologia, ecc.
e alla sua carica di implicita critica nei confronti del modello di sviluppo dominante.
E' difficile essere contrari, dice Pearce, al concetto di SS: esso appare come qualcosa su cui tutti dovremmo
convenire, come "la mamma e la torta di mele" (Pearce e all. 1991). Lo stesso Pearce elenca ben 25
definizioni di SS desunte da testi e saggi diversi, che poi è la prova evidente che non esiste una definizione
univoca tale da includere con efficacia l'insieme delle intenzioni, obiettivi e valori che ciascun approccio
sottintende con questo termine.
L'economista Herman Daly afferma che il termine di SS è diventato un tale ronzio internazionale, che vi è
una tendenza a renderlo riferibile ad ogni qualsivoglia cosa che viene giudicata buona.
........
Questo concetto, piuttosto recente, è ancora oggetto di interessanti sviluppi ed approfondimenti teorici in vari
campi delle scienze sociali.
"Dopo il Rapporto Bruntland...... lo SS è stato in effetti posto all'attenzione dei governi e dei processi
decisionali, con qualche risultato; ma ha soprattutto stimolato la ricerca degli economisti sia in campo teorico
che applicativo. Il compito non è stato e non è tuttora facile, perché l'intera storia della nascita e della
diffusione del concetto implica l'estensione degli orizzonti di ricerca e il riconoscimento delle connessioni fra
sistemi economici, ecologici e sociali, che vanno considerati simultaneamente nell'analisi... " (Barbier e all.
1987).
Al concetto di SS fanno riferimento molti approcci economici (dalla scuola neoclassica, alla ecologica
economics, alla bioeconomia) che hanno in comune la ricerca di includere, all'interno della disciplina, le
variabili ambientali. Il concetto di SS viene utilizzato da taluni di questi approcci per esprimere una crescita
ancora nella scia della tradizione neoclassica, ma riconoscendo i limiti biofisici dell'ambiente, oppure, per
indicare il mantenimento di dati livelli di consumo pro capite per le presenti e future generazioni ...., oppure,
più radicalmente, per esprimere un diverso modello di sviluppo con riferimento a variabili di tipo sociale
(qualità della vita) e biofisiche.
In ogni caso, questo concetto è differentemente definito in relazione al modo di considerare le risorse
naturali, alla valutazione che viene data e fatta del processo di sostituzione, al ruolo attribuito all'innovazione
tecnologica e alla valutazione fatta dei limiti biofisici di sopportazione dell'ecosistema. Differenti valutazioni di
questi aspetti conducono a differenti definizioni di SS. Di seguito vengono analizzati alcuni di questi
approcci..."(Scandurra 1995).
Conclusioni
Allarmate dalla progressiva riduzione delle risorse naturali del pianeta, dall'esponenziale deterioramento
della qualità ambientale e dalla paralisi determinata dalle politiche "decidi e controlla" (l'amministrazione
prende decisioni senza aver consultato la cittadinanza, che si ribella di fronte alle possibili conseguenze
ambientali della decisione e la contrasta con forza, congelandone la realizzazione), le Nazioni Unite lanciano
lo SS come obiettivo strategico in grado di coniugare la conservazione del pianeta con lo sviluppo della
qualità della vita dei suoi abitanti e l'Agenda 21 locale come lo strumento più adatto (e più democratico) per
attuare le politiche orientate allo SS e in grado di ricucire il rapporto istituzioni-cittadinanza deteriorato da un
uso eccessivo dello strumento di delega