EVANGELII GAUDIUM: UN PROGETTO PASTORALE. S.E.R. MONS. RINO FISICHELLA Evan gelii g audi um: un progetto pastoral e S.E.R. MONS. RINO FISICHELLA Presidente del Pont if ici o Consiglio pe r la Pro mozione della Nuova Evangelizzazione “Sottolineo che ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti. Spe ro che tu tte le comunità facciano in modo di po rre in atto i m ezzi necessari per avanza re n el cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose co me stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazio ne». Costituiamoci in tu tte le r eg ioni della terra in un «stato permanente di missione»” (Eg 25). Questa espressione di Papa Francesco è chiara e non ha bisogno d i molte interpre tazi oni. Il contenuto della sua Lettera Apostolica a conclusione dell’ A nno della Fede ha un valore “programma tico” per il suo pontificato. Un programma che viene pr esentat o all a Chiesa perché si r inn ovi nella sua azione pastorale, rendend ola sempre più missionari a; in “uscita”, per usa re il linguaggio ormai usuale del Papa. Un a Chiesa in missione permanente, che n on conosce altra sosta se non quella che provie ne dall’obbedien za al la Parola di Dio. Qu est a Parola, infatti, se ben ascoltata e vissu ta , permette di dare senso e significato a l nostr o impegno pastorale. Lo ricorda in modo mo lto plastico l’auto re dell a Lettera agli Eb rei, quando scrive: “Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori come nel giorno de lla ribellione il giorno della tentazione nel de serto dove mi tenta rono i vostri padri mette nd om i alla prova... così ho giurato nella mia ira: n on -1- entreranno nel mio riposo” (Eb 3,7 cit. Sl 9 5) . Il ragionamento dell'autore sacro dive n ta subito chiaro: chi non ascolta la voce d i Dio , n on potrà trovare riposo. Ora, anche a n o i è stata annunciata la stessa parola. Se vog lia mo entrare nel “riposo”, quindi, è necessa rio aprirsi all' ascol to dell'ultima parola che adesso (“oggi”) ci viene rivolta. La Chiesa sa molto bene che il suo “riposo” si trova solo nei pa scoli della Parola del Signore. Ogni crede nte, pertanto, che cerca il “riposo” a cui r ime tte re il senso della propria esistenza, è po sto dinanzi a questa stessa Parola che non con osce tramonto. Egli deve passare per la “po rta” che è Gesù stesso; è invitato ad ascolta re la vo ce del pastore che lo chiama; una voce ch e è subito riconosciuta come una parola r ivolta dir ettamente a lui per trasformare la sua vita (cfr Gv 10,1-7). Dinanzi a questa Paro la og nu no comprende di non poter nascondere n ulla, perché essa t utt o penet ra e tutto conosce ( cfr Eb 4,12). Insomma in tutto l’arco della sua storia, la Chiesa ogni credente, sono po sti sempre dinanzi alla Parola di Dio che è crite rio di verità e di amore. L'ascolto di quest a Paro la, però, perché possa esprimersi in manie ra efficace (cfr I s 55,10), impone l'attenzion e a ll' oggi della fede e all'esistenza personale di ognuno. Il tema dell ’evangelizzazione no n è est raneo alla vita della Chiesa, al contrario . Come ricordava P aolo V I: “La Chiesa esiste p er evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del d on o della grazia, riconciliare i peccatori con Dio , perpetuare il sacri fi cio del Cristo” (E n 14) . Evangelizzare, quindi, equivale a riconosce re la pr opria ident it à e lo scopo della pre sen za della Chiesa nel mondo. Per la Chiesa, quin di, il com pito di evangelizzare è un con tinu o r it or no alle proprie origini. Una responsab ilità antica e sempre nuova perché compo rt a la f edeltà al Vangelo che impone una vigil anza costante alle condizioni di vita sempre mute voli in cui vivono gli uomini e le donne di o gni tempo. Ciò comporta l ’attenzione a com pre nd er e quali linguaggi, quali metodologie e qu a li segni sono pi ù coerenti per dare risposta agli interrogativi del nostro contemporaneo [1 ]. UN PROGETTO PASTORALE C’è un i nterrogativo, comunque, a cui si deve dare risposta: cosa si intende p er “progetto pas torale”?. U n progetto, per sua st essa natura, è una provocazione alla libe rtà. Porsi dinanzi a un progetto, infatti, in dica f ar e delle scelte per costruire qualcosa in cu i si crede, e per cui si mett e in gioco la vit a. E’ la capacità di guardare al futuro non come a uno spazio vuoto e indeterminato; piu tto sto, come a un tempo da modellare e dare forma secondo un ideale da raggiungere. In un p rogetto le persone sono coinvolte direttame nte e intorno a esso si coalizzano le forze per una partecipazione attiva di condivisione. La qualifica di “pastorale” , com unque, fa uscire il progetto dalla genericità per indicare l’insieme delle attività c he la Chiesa realizza per poter esprimere le fina lità proprie della sua missi one. Tutta la vit a della Chiesa è “pastorale” e tutta la “pasto rale ” è intrisa dell a dimensione ecclesiale. Nessu no nella Chiesa può essere estraneo a lla pastorale, perché equivarrebbe ad e sser e pr ivo della linfa che alimenta la stessa vita ecclesiale. Il vescovo come il teologo, il p ar r oco come la catechista, il diacono permane n te come l’economo della diocesi, sono co involt i tutti nella pastorale. Se, tuttavia, lo sguard o di chi è al servi zio si at tarda solo su quest ioni specifiche, e si pensa di agire prescinde n do dalla comunità e dall a complementar it à de i carismi, allora viene meno la “pastorale ”, e con essa si indebolisce l’attività stessa che viene svolta. Se l’impegno che si attua ne lla comunità non è finalizzato a rendere concre to e visibile la missione di tutta la Ch iesa, allora non si è impegnati nella “pasto rale” , m a in un’attività da cui ci si attende u na retribuzione. I nsomma, quando parliamo d i pastorale siamo chiamati a verificare in ch e modo quanto sorge dal la preghiera, da lla r iflessione, e dallo studio possa diventare u n a prassi di vita. Per sua stessa natura, p er ta nt o, la pastorale non è una teoria, ma una pra ssi che si fa forte della testimonianza come su o punto originario e conclusivo. Come scriveva Gregorio Magno: “L’impegno pastoral e è la p rova dell’amore” [2]. Se, dunque, la pasto rale -2- è legata all’amore, questo è chiamato ad essere la regola di vita della comunità cris tiana e dei singoli credenti . LA PASTORALE ALLA LUCE DELLA PAROLA DI DIO Questa premessa era necessaria per creare uno scenario più opportuno ad alcune r iflessioni che derivano dalla let tura e dallo studio della Evangelii gaudium d i Papa Fr ancesco. Uno dei più qualificat i comm entatori di papa Gregorio Magno scrive va: “Gregorio per temperamento non si int er essa affatto alle controversie intellettuali, e l’epoca in cui vive a differenza dei secoli pre cedenti, non è segnata dai grandi diba ttiti teologici. Non è affatto sorprendente quin di che egli non accordi che un’importan za minore all’attività propriamente dottrina le d ei predicatori. Ai suoi occhi, la conversione al cristianesimo impl ica un cambiam en to di vita più che uno sforzo del pensiero” [3]. Mi per metto di applicare a Papa Fra nce sco questa interpretazione, e la lettura di Evangelii gau dium mi rafforza ancor a di p iù nella convinzione di questa prospettiva . Siamo chiam ati a confrontarci con l’Esor ta zione apostolica anzitutto per i suoi conten u ti sull’azione pastoral e che la Chiesa è chiama ta a realizzare in questo tempo, perch é la credibilità della nostra fede emerga pr incipalmente dalla testimonianza viva dei disce poli di Cristo. Quest o i ncontro internazionale che il Pontificio Consiglio per la Promozione de lla Nuova Evangelizzazione ha organizzat o t ratt a solo alcune tematiche presenti in Evange lii gaudium. Al tri incontri permetteranno di f ar em ergere l’ulteriore ricchezza del magiste ro di Papa Francesco. Compito di questo m io int ervento, quindi, non è quello di entrare n el merito delle questioni che saranno trat t at e nei pr ossimi giorni, ma di mostrare l’importa n za di una r iflessione che sappia contener e e indirizzare tutte queste rispettive tematich e all’interno di una azi one pastorale delle nostr e comunità, così da facilitare e ren dere più concreto il contenuto di Evangelii gaudiu m . Insomma, siamo tutti “operatori pastorali” invitati a riflettere su come rendere il nost ro servizio per la Chiesa più missionario; su come trasformare i nostri desideri in r ea lt à, e su come assumere la responsabilità d i evangelizzare all a l uce dell’amore e de lla gio ia cristiana. Scriveva Gregorio Magno nella su a Regola pastorale : “Quanti sono insig n iti di autorità devono considerare in sé non il pot ere del loro grado, ma l’uguaglianza d ella condizione [4], e siano lieti non di dom inare sugli altri uomini, ma di far loro del bene” [5]. E in un passo successivo chiarifica u lt er ior m ente questo pensiero: “Il cuore molto si dissipa tra le parole umane e quando consta con certezza che travolto dai tumulti deg li affari mondani viene meno nelle sue r isor se, deve impegnarsi senza sosta per risolleva rsi attraverso l’amore alla dottrina celest e” [ 6] . Per Papa Gregorio ciò significa: “impegna rsi ogni giorno a medi tare i contenuti della Sacra Scrittura” [7]. Questo testo ci rip orta direttamente all ’i ndicazi one di Papa Fr an cesco : “La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevu to, l’e sperienza di essere salvati da Lui ch e ci spinge ad amarl o sempre di più. Però, che am ore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di present ar la, di farla conoscere? Se non proviamo l’inte n so desiderio di comuni carlo, abbiamo biso gn o di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo b isogno d ’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore fre dd o e scuota la nostra vita tiepida e superficia le. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lascia nd o che Lui ci contempli, riconosciamo que sto sguardo d’amore che scoprì Natanaele il gior no in cui Gesù si fece presente e gli d isse: ‘Io ti ho visto quando eri sotto l’alber o di f ich i’ (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o i n ginocchio davanti a l Sa nt issimo, e semplicemente essere davan ti a i suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciar e che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, ‘que llo che abbiam o veduto e udito, noi lo a nn un ciam o’ (1 Gv 1,3). La migliore motivazione p er decidersi a comunicare i l Vangelo è co nt em plarlo con amore, è sostare sulle sue pagin e e leggerlo con il cuore. S e lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, to rna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urg en te ricuperare uno spirito contemplativo , che ci -3- permetta di riscoprire ogni giorno che sia mo depositari di un bene che umanizza, che a iu ta a condurr e una vit a nuova. Non c’è nie nt e d i meglio da trasmettere agli altri” (Eg 264). La P arola di Dio è la fon te or iginaria e inesauribile per uno stile di vita credente. Essa è la regula fidei della Ch iesa e di ogni battezzato, per non cedere al disorientamento che conduce all’impo ver iment o di sé, al logoramento della pastorale e all’inefficacia dell’evangelizzazione. L a Par ola di Dio è lo specchio dentro cui dobbiamo rifletterci per vedere l’ intensità del n ost ro im pegno e la coerenza della nostra az ione . D’altronde, se riflettiamo sul contesto st or ico e culturale in cui Gregorio Magno viveva, verifichiamo che non è molto distan te dalla nostra attuale situazione. Il sesto seco lo vedeva una societ à di sgregata e fram ment at a, senza un ordine preposto che avre bbe potuto garantire sereni tà e pace; inoltre , il t imo re e la paura di una invasione barbarica era sempre all’erta. Quant o questo possa ave re a nalogie con la nostra condizione cultura le è facile ver ificarlo. La crisi delle Istituzioni int er nazionali manifesta un vuoto non indiffere nte mentre si molti pli cano in varie parti del m ondo guerre incontrollabili. Nuovi barbari so no all’azione, e prepotent e appare la loro op er a quando viene con gli abiti civili del progre sso, mentre in effe tt i è una valanga di distr uzione nei confronti di una civiltà come l’abb iamo conosciuta e costruit a. Non è il tempo tu tta via per cedere al fatalismo né al catastrofi smo. Non spetta a noi subire il cedimento o guard ar e con pessimismo la realtà. Ciò che pe r n o i vale è il r ealismo evangelico che sa quanto il bene e il male crescano insieme fino alla fine dei tempi (cf r Mt 13,24-30). Noi ben conosciamo sia il ma le, frutto del peccato, come la grandezza della santità, opera dell o Spirito di ch i si lascia plasmare dalla grazia (cfr Gal 5,16-2 5). Sappiam o che il male trionfa quando il b en e rimane in silenzio o si nasconde per paura , e tuttavia abbiamo certezza che alla fine sa rà sem pre il bene ad avere la meglio. Per que sto è importante fare emergere le opere d i be ne che sono visibili in tante testimonianze d i cristiani e di uomini e donne di buona volontà . Il nostro compito, comunque, sarà se mpre quello di “pr eparare la via al Signore” ( cfr M t 33); cioè rendere il cuore di chi incontria mo disponibile ad accogliere la grazia e il d on o di Dio. Non sarà la nostra pastora le a convertir e il cuore, ma primariamente la gr azia di Dio che agisce, e la presenza d ello Spirito che opera t rasformando. D’altronde pe r noi valgono sempre le parole dell’Aposto lo: “La mia parol a e la mia predicazione n on si basarono su discorsi persuasivi di sapien za, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede no n fosse fondata sull a sapienza umana, m a sulla potenza di Dio” (1 Cor 2,4-5). La pasto rale non si fa for te del la pretesa di rinchiu de re la forza della Parola di Dio nei meandri d elle interpretazioni special istiche, ma di pu nt ar e su lla semplicità del cuore che sa riconosce re la Rivelazione di Dio (cfr Lc 10,21). D’altr onde, una nota da non trascurare nella no stra pastorale sarebbe proprio l’attenzione al se nsu s fidelium dei nostri cristiani che permette di riconoscere quasi intuitivamente le ve rit à d ella fede e il bene da perseguire. LA PASTORALE ALLA LUCE DELLA PROFEZIA Una dimensione propria dell’a zione pastorale è la sua valenza profetica . Abbiam o dimenticato, purtroppo, l’impegno p er la profezia. Per alcuni versi, è la gra nde assente nell a nostra pastorale. Cadut i nella t rappola del protagonismo e dell’efficienti smo, si è posta la prof ezia ai margini. C’è ancor a spazio oggi per la profezia? Ha ancora se nso per per la nostra vita f are riferimento a lla pr of ezia? L’interrogativo non è affatto ovvio . Esso provoca a verificare in che modo il cr edente ha consapevolezza della sua identità battesimale, e come t raduce in atti con creti l’unzione profetica ricevuta. Il riferimento a una pastorale “pr of etica” indica, in primo luogo, la consapevolezza di essere testi moni di una Parola e di un a visione della vita che ci è stata offerta d al rivelarsi di Dio. D io è venuto incontro a ll’uom o. Q uesto è il fatto originario e originale de lla nostra fede. L ’i ncarnazione è la parola conclu siva di Dio che “molte volte e in diversi mo d i nei tempi antichi aveva parlato ai padr i pe r mezzo dei profeti e ultimamente, in questi giorn i -4- ha parlato a noi per mezzo del Figli o” ( Eb 1, 1-2). Dio si è messo sulle nostre stra de e ha voluto incontrarci per rimanere con n oi. L a Rivelazione, comunque, non è solo Dio che viene incontro al l’ uomo, ma ancora di più; è Dio che si rivolge a noi come a degli amici e si “intrattiene” con noi (cf r DV 2). Non h a fr et t a di lasciarci, al contrario. Egli rimane con noi e chiede a noi di rimanere con lui, perch é p ossa rimanere “in” noi. Insomma, ci è offe rta la presenza uni ca e t ravolgente da camb iar e la vita: la presenza in noi dello Spirito Sa n to. Questa è pro fezi a. Permettere che lo Spir ito a gisca attraverso di noi. Favorire la n ostra apertur a e tra sformazione della vita p er ché d iventi evidente la sua parola. Avverte, tuttavia, Papa Fr an cesco che c’è un pericolo: “Chi è caduto nella mondanità guarda dall’alto e d a lonta no , rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare cont inuam ente gli errori degli altri ed è ossessiona to dall’apparenza. Ha ripi egato il riferim en to del cuore all’orizzonte chiuso della su a immanenza e dei suoi interessi e, come co nse guenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticament e aperto al perdono. È un a t remenda corruzione con apparenza di ben e . Bisogna evitarla met tendo la Chiesa in m ovim ento di uscita da sé, di missione centra ta in Gesù Cristo, di impegno verso i pover i. Dio ci liberi da una Chiesa mondana so tto drappeggi spirit uali o pastorali! Quest a m on da nità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spiri to S anto, che ci liber a da l rim anere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza reli giosa vuota di Dio” (Eg 97 ). Parole che non permettono scusanti ta n to sono dirette, toccando l’esperienza qu ot id iana di molte delle nostre comunità. Una pastorale in chiave missionaria, q uindi, fa propria la profezia. Ciò significa, comunque, una provocazione ad andare sem pr e oltre, a non fermarsi mai per permette re di coglier e l’essenza dell’impegno past or ale. Pr ofezia, equivale a cogliere ed evidenziare la presenza d ei semi na Verbi nelle cult ur e, negli uomini, nelle religioni… e, nello ste sso tempo, a non diment icare che la Par ola rive lata imprime una novità talmente genuin a e originale da non conoscere confronto ( cfr Eg 39.251). La profezia, quindi, si trasforma in un annuncio di speranza nella prom essa di Gesù Cristo di rinnovare tutte le cose (cfr Ap 21,5); di chiamare a sé tutti quant i h an no bisogno di misericordia (cfr Mt 11,28); di preparare un posto per condividere l’e tern it à n ella gioia della contemplazione del volto de l Dio Trino (cfr Gv 14,1-3). Profezia, è a nn un cio dell’amore di Dio che “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,43). Un amore che si apre ed allarga al l’ amore fraterno p er ogni p ersona e che si esprime in una parola, un segno di perdono, di donazione di sé, di so lid ar ietà, di aiuto (cfr En 28). Lo ricorda anco ra Evangelii gau dium : “La dignità della per son a umana e il bene comune stanno al di so pra della tr anquillità di alcuni che non vogliono r inu nciare ai loro privilegi. Quando questi valo ri vengono colpiti, è necessaria una voce p rofe tica” (Eg 218). I profeti “parlano al cuor e” , aff er ma l’apostolo (1 Cor 14,25). Per questo abbiamo bisogno della loro presenza e de lla lo ro testimonianza. Porre la nostra pastora le alla luce della profezia, infine, significa fa r em ergere il contenuto specifico della n ostra fede: l'amor e misericordioso di Dio. È inte ressante osservare come, a partire dal Nu ovo Testamento, la prof ezia non è data co me f or ma di condanna, di giudizio o di paura , a l contrario. La profezi a è sempre una paro la di co nforto, di fiducia e di speranza. Il fatto n o n è privo di spiegazione. Il momento cu lminant e della rivelazione dell'amore di Dio, infa tti, trova nel mistero pasquale la sua signif ica zione suprema. In linguaggio umano, Dio rivela cosa significa amare e come amare. La cro ce di Gesù di Nazareth è il segno profetico culminante, perché là ognuno è obb lig at o a vedere il nesso tra la sofferenza, la morte e la m anifestazione del la gloria di Dio . Sul volto del crocefisso risplende la “gloria del Padr e” (2 Cor 4,6), questo è il messag gio che viene comunicato all'umanità in cerca d i u n senso per la propria vi ta. Nel crocefisso risort o si realizza la volontà salvifica di Dio. Qui diventa eviden te l'essenza stessa della natu ra divina: amore che si dona per sempre a tu tti, senza escludere nessuno e senza nulla chied ere in cambio. Un amore che perdona per distruggere og ni volta il peccato come espr essione di non amore e rifiuto di responsabilità . Dopo la morte e la risur rezion e di Gesù Cristo, la Chiesa è chiamata ad essere " profezia" dell 'amore trinitario di Dio. Un amore che non ha rifiutato la condan n a dell'Innocente per la sal vezza del peccat or e (Rom 5,6-10). La profezia, insomma, abilita il -5- credente a parl are dell a fede come un messaggio che ha in sé una speranza incrollabile , affidata alla Chiesa perché la comunichi al mondo e la renda visibile. Una Chiesa forte della profezia sarà sempre in grado di scopr ire le insondabili vie che lo Spirito le ap re, perché la sua missi one evangelizzatrice possa incontrare tutti senza escludere nessu no. Ne deriva una conseguenza per la nostr a p astorale. Una profezia che si presenta sse con un linguaggio di condanna in ch iave rig or ista non rifletterebbe la fiducia nell’a more di Dio, m a riporterebbe ai tratti di un m on tanismo e un donatismo in chiave mode rna che vanificherebbero i l cuore stesso de lla Rivelazione (cfr Eg 41). Non dimentichia mo l’insegnamento di P apa Francesco in pr op osito : “La Chiesa vive un desiderio inesauribile di offrir e miseri cordia, frutto dell’aver sperim entato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva” (Eg 24). In questo contesto, un esemp io p ast orale, giunge immediato proprio per la vicinanza del Sinodo dei Vescovi: com e f ar comprendere il valore profetico che rive ste oggi la fam iglia cri sti ana? Certo, è bene ave re uno sguardo capace di cogliere la pluralità delle situazioni e la complessità del fe no meno culturale che formano una ragnatela tale da imprigionare e rendere spesso van a la r ea lizzazione di una famiglia. Le difficoltà in cui si trovano soprattutto le giovani gener azio ni, prive di lavoro e quindi senza possibil ità di costruirsi solidament e un futuro; la cultura do minante che invita a vivere con interesse solo un weekend spensierato e ricco di em ozio ni, piuttosto che un impegno e una decisione duratura e stabile. La concezione fa lsata del rapporto interpersonale che mortifica la complementarit à per la sopraffazion e de lla volontà dell’individuo. La visione parziale della vita che si conclude in una miope accettazione del successo immediato, più che della fatica p er ricercare il senso de ll’esist enza. La concezione sempre più marcata de l possesso dell’altro più che della donazion e di sé… L’elenco sarebbe lungo, ma non farebb e modificare la visione parziale della famiglia e della concezione della persona che eme rge da questa cultura dominante soprattutt o nell’occidente. Il valore profetico della famig lia cristiana, invece, si pone come modello d i r ealizzazione di sé nella compartecipaz ione , nell’amor e gratuito e nell’accoglienza di t ut t o ciò che si è, in forza di una vocazione e una missione da realizzare. La dimensio ne del mistero d’amore diventa fondamentale per la visione cristi ana della famiglia. Aiu tare a scoprire l’orizzonte del mistero che chiede d i essere conosciuto giorno dopo giorno in una dinamica crescente perché pone dinan zi al piano di salvezza che Dio ha per gli sposi. Il m istero grande di cui parla l’Apostolo (cfr Ef 5,32) che è capace di dare senso alla vit a. I l m istero non schiaccia le persone, le eleva e conduce progressivamente a scoprirsi pa rt e in tegrante di un progetto che solo attrave rso la propria libertà può realizzarsi. La triad e p roposta da Papa Francesco: permesso, grazie e scusa non sono alt ro che l’abc di una con dizione di amore che si apre all’amore perch é si è scoperto di essere stati amati (cf r 1 Gv 4, 10). LA PASTORALE ALLA LUCE DELL’ACCOGLIENZA Un ulteri ore tratto che dovr ebbe car atterizzare la pastorale è l’ accoglienza. Una comunità che accoglie è, anzitutt o, una comunità che non guarda al colore della pelle, alla lingua che si parla o a quale ceto sociale si appartiene. Le parole dell’Aposto lo dovrebbero r isuonare molto forti: “Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; n o n c'è m aschio e femmina, perché tutti vo i siet e uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Il samarita no (cfr Lc 10,30-37) non ha guardato a nulla se non alle ferite del malcapitato, per questo gli è diventato suo “prossimo”. Non ha scelto lui chi e come aiutare, gli è stato offe rto. Altri sono passati non curanti e indif fere nt i, probabilmente anche infastiditi. Lui no . L ui si è accorto, fermato, preso cura, intere ssat o, sostenuto e accompagnato. Non ha avu to fretta di liberarsi, si è fatto compagno di str ad a. Una pastorale segnata dall’accoglien za si rinnova nelle sue strutture, ma soprat t ut t o nella mentalità. È una comunità che sa te nere la “por ta aperta” (cfr E g 47) non metaf or icam ente, ma concretamente. Non è la fredd ezza dell’impatto c he converte, ma la gioia che pro viene dal calore di sapere comunicare Cristo. Non una pastoral e per i perfetti, ma per qu an ti sono in cammino e bussano alla porta per essere accolti con “perfetta letizia”. Papa Fr an cesco indica chi sono i privilegiati di que sta accoglienza: “I poveri sono i destinata ri pr ivilegiati del Vangelo, e l’evangelizzazion e -6- rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare. Occo rre afferm are sen za giri di parole che e sist e un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli” (Eg 48). I n questo contesto assu me tutta la sua importanza la “cultura dell’incontro”. P er una pastorale che si fa accoglienza non dovrebbe essere diffici le la riscoperta del valore dell’amicizia e de lla f rate llanza come pilastri su cui far crescere la testimonianza. Trasformare questo in p ast or ale, equivale ad assumere un comportamento che sa com prendere il valore insostituibile d ell’incontro interpersonale. Come incontra re l’uomo di oggi, come permettergli di aver e un incontro con Cristo nel silenzio d ella propria intimità e nei segni che ne in dicano la presenza nei fratelli. Ciò implica pu re il recupero del sacramento della ricon ciliazio ne e il confronto con la guida spiritu a le per ver ificare l a propria crescita nella f ed e. È un incontro con un fratello e una sorella perché scaturisce dall’incontro con il Signore Gesù. Sviluppare questa dimensione, implica allargare gli ingressi del le nostre chiese e degli spazi connessi, perché non siano a sen so unico, dove l’i ngresso è riservato a pochi pr ivilegiati e l’uscita a tanti perché delu si. Una cultura d ell ’i ncontro non si ferm a a po chi momenti frettolosi, e all’insegna d ella formalità. L’ in contro è piuttosto la scopert a della persona, del suo mistero e della sua vocazione. È l’ incont ro con la ricche zza d ell’esperienza acquisita e con i carismi ch e sono offerti per la crescita della comu nità . Una cultura dell’incontro, quindi, è accogli enza del mister o d el fratello per comprend er e an cor a di più il mistero della propria esisten za . È un i ncontro dove la priorità del “noi” em erge su quella dell’”io”. Come ricorda Pa p a Francesco: “sol o grazi e a quest’incontr o… siamo riscattati dalla nostra coscienza isola ta e dall’autorefer enzial it à” (Eg 8). Un incontr o d ove la dimensione della Chiesa, una comun ità che vive la comuni one, diventa criterio di giu dizio e testimonianza della nostra presenza nel mondo di oggi. LA PASTORALE ALLA LUCE DELLA FORMAZIONE Un ultimo trat to qualificante un pro ge tto pastorale è la formazione. La formaz ione. Non è una parola astratta. Quando si pa rla di formazione non si fa riferimento a u na questione teori ca, ma esistenziale. Si gn if ica e ssere nella condizione di poter dare “ragio n e della speranza” presente in noi (cfr 1 Pt 3, 15), per partecipare ad ognuno che incontria mo la gioia di avere incontrato Gesù Cristo. È qui che si incontra il cuore della fede. Noi sia mo stati generati dal la fede nella resurre zione di Cristo che è il fondamento della speran za . Papa Francesco lo ricorda a più riprese in ma niera netta: “Non fuggiamo dalla risurrezion e di Gesù, non di amoci mai per vinti, acca da qu el che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!” (Eg 3); “La sua risu rre zione non è una cosa del passato; con tiene una forza di vi ta che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da og n i parte tornano ad appari re i germogli della risu rrezione. È una forza senza uguali” (Eg 2 76); “La r isurr ezione di Cristo produce in og ni luo go germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ri tornano a spuntare, perch é la risurrezione del Signore ha già penetra to la tr ama nascosta di questa storia, per ché G esù non è risuscitato invano. Non rimaniamo al mar gine di questo cammino della sper an za viva!” (Eg 278). Siamo posti dinanzi alla sola possibilità per l’ uomo di trovare u na r isposta al non senso della morte e della disfa tta di noi stessi. S e C risto non è risorto, allor a non c’è futuro e neppure speranza. Ma se Cristo è davve ro ri sorto da morte, come noi crediamo, allora la speranza abbraccia l’intera esistenza e la storia per indirizzarle olt re il lim ite. La speranza non ci può essere rub ata né possiam o essere noi a vanificarla con u na fe de debole e una vita priva della forza de lla testimonianza. Come si può arguire, per i crist ia ni il riferimento alla formazione, equivale a prender e cosci enza della responsabilit à che ci è stata affidata di portare il Vang e lo a tutti. E ’ la consapevolezza di avere ricevuto in dono il senso della propria vita. E cco perché la formazione possiede un alto va lor e esistenziale. Perché fa riferimento al se nso -7- della vita. Credere nella risurrezione di G esù Cr isto comporta aver trovato la risposta alla perenne domanda di senso che alber ga nel cuore di ogni persona. Gli interrogativi che ruotano intorno al dilemma: “Chi sono io? ”, “ Da dove vengo?”, “Dove sto andando?”, “Ch e senso ha il d olore e la sofferenza sopr at t ut t o di un innocente?”, “C’è una vita dopo la morte?”… Queste domande non sono a ffa tto te or iche né retoriche, ma coinvolgono in mo d o diretto la vita di ogni persona. La risur rezion e di Cristo ha accolto in sé questa doma nda e vi ha dato risposta. N on ci sono alt er na tive. L’Apostolo ha ragione quando scrive: “Se Cristo non è ri sorto al lora mangiamo e bevia mo perché domani moriremo” (1 Cor 15,32 ). La formazione a cui si fa riferimento è all’int er no di questa dimensione e permette di entra re sempre di più nell’intimo del mistero della vit a personale. In una cultura sempre più sotto l’egida della t ecnica, noi siamo chiamat i a m an tenere alto il valore del mistero della vita . Al tentativo di razional izzare ogni cosa noi r ispondiamo che ci sono conoscenze che va n no al di là della ragione e che le “ragioni de l cuore ” hanno tutta la loro importanza. E’ sempre Papa Francesco che ci i ndica questa pro spe ttiva quando in Lumen fidei scrive: “All’uo mo moderno sem bra, inf att i, che la question e dell’a more non abbia a che fare con il vero… Se l’amore non ha rapporto con la verità , è soggetto al mutare dei sentimenti e non su pera la pr ova del tempo. L’ amore vero inve ce un if ica tutti gli elementi della nostra person a e diventa una luce nuova verso una vita gr an de e piena. Senza verità l’amore non può offrire un vincolo solido, non riesce a portar e l’"io" al di là del suo isolamento, né a libe rarlo dall’istante fu gace per edificare la vit a e p or ta re frutto” (Lf 27). Insomma, pensare che la formazio ne con sista nel rimanere seduti a una scrivania , con un libro aperto tra le mani per pr epara re un esame significa non aver compreso il valore dell’educazi one che fin dagli in izi de lla nostra storia è stato percepito e vissu to . La formazione consiste, anzitutto, nel rito rnare a tenere tra le mani la Parola di Dio p er farla diventare nutrimento della nost ra esistenza. Una Parola viva, perché esiste una comunità che nel corso dei secoli la mant iene viva attraverso la sua vita, fatta di annuncio , di com prensione sempre più profonda d el senso originario, di una trasmissione ch e di generazione in generazi one trova le form e più coerenti e proprie a ogni epoca per rend e rla pane da spez zare alla stessa stregua d el pane spezzato sull’altare (cfr DV 21). E’ questa formazione che ha permesso in tante co munit à di produrre i “catechismi”, di dare vita alle “scuole del Vangelo”, l a “lectio divina” , i “ labor atori della fede”… e tante altre esperien ze di cui è ricca la nostra storia recente [ 8]. CONCLUSIONE È import ante che si trovino delle pr ior ità nell’azione pastorale. E questo, me lo si lasci dire con t utt a f ranchezza, non è l’org an izzazione strutturale della comunità, né la su a preoccupazio ne economica e finanziaria. Non dico che non siano problemi da affron tare , dico che non sono l a pri orità pastorale su cui p orre la nostra attenzione. Papa Francesco ci mette ben in guardia quando scrive: “ Ci sono strutture ecclesiali che possono arriva re a condizionare un dinamismo evang elizzat or e; ugualmente, le buone strutture servo no quando c’è una vit a che le anima, le sost ie ne e le giudica. Senza vita nuova e aute ntico spirito evange li co, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nu ova struttura si corrompe in poco tempo” (Eg 26 ). Aver posto nel passato questo orizzo nte come im pegno priorit ario, ha portato oggi ad avere delle comunità stanche, deboli, prive di giovinezza e purtroppo sempre più sterili. I ncapaci di generare, perché lo sguardo no n è stato puntat o sul l’ essenziale, ma su llo str ut turale, cadendo, purtroppo, nell’effimero. Alla f ine dell’ Anno de lla Fede, Papa Francesco ha voluto consegna re simbolicamente questa sua Esortazione Apo stolica ai diversi operatori pastorali. Un progetto che si ri volge a tutta la Chie sa e alle singole Chiese per riscoprire con vigo re l’essenza della nostra identità: ann un ciar e il Vangelo con gioia e convinzione, co n rispetto e con una testimonianza cred ibile. Tornano, a conclusione, cariche di attua lità le parole della E vangeli i nuntiandi: “Tacitame nt e o con alte grida, ma sempre con fo rza, ci domandano: Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che credete ? -8- Predicate verament e quello che vivet e? ” ( En 76). Questi interrogativi rimangono una provocazione anche per noi oggi per riscop rir e il valore insostituibile della testimonianza. I nostri contemporanei si attendono da noi u n ba lzo in avanti. È vero, ci sono stati segni ch e fanno percepire l ’assenza di Dio. Sappiamo , tu ttavia, che il desiderio di Dio non può esse re annientato nel cuore di nessuno. Sempre l’u om o sentirà come nostalgia non compiuta il desiderio di incontrare persone che gli p ar lino dell’amore di Dio e della speranza pe r u n mondo nuovo come scaturisce dalla Risur rezione di Cristo. A ognuno di noi, in forz a d e l battesimo ricevuto e del sostegno dell’Euca restia il compito di trovare le espressioni più coerenti per dare voce a questo desiderio e di rendere visibile l’intramontabile amore di Dio Padre, Figl io e Spiri to Santo, unica po ssibilità per rendere fecondo il nostro rinno vato annuncio del Vangelo. S.E.R. Mons. R ino Fisichella [1] Quella de l linguaggio è una tematica estr emamente importante perché ha biso gno di muover si nell’equilibrio tra il linguaggio fondativo della fede, che trova la su a sistematizzazi one nel dogma, e il lingua gg io dell’annuncio per la comprensione della ve rità rivelata (cfr Eg 41.42.45). [2] Gregorio Magno, La regola pastor ale, I, V. [3] C. Dagens, Sai nt Grégoire le Gran d. Cu lt ur e et expérience chrétienne, Paris 1977, 3 41, citato da G. Cremascoli, Introduzione a Gr eg or io Magno, La regola pastorale, Roma 200 8 , XII, nota 29. [4] Papa Gr egorio intende dire che sia mo t utt i f igli e tutti uguali davanti a Dio. [5] Gregorio Magno, La regola pastor ale, II , VI, XVII. [6] Ibidem. [7] Ibidem , II,X I, XXI I. -9- [8] Cfr Verbum Domi ni , 75. - 10 -