LA VIA ITALIANA ALL`EBRAISMO: UNA PROSPETTIVA GLOBALE

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La via italiana all’ebraismo:
una prospettiva globale
Sergio Della Pergola
Dov’è l’Italia?
Nel riconsiderare le modalità della reciproca interazione fra minoranza
ebraica e società di maggioranza in Italia nei 150 anni di unità nazionale,1 è
necessario porre una domanda preliminare sul contesto generale di questo
rapporto: Cos’è l’Italia? Dov’è l’Italia? La domanda emerge naturalmente
dalla necessità di collocare la storia e la sociologia dell’ebraismo italiano
in un ampio quadro interpretativo come si conviene a una fenomenologia
religiosa, culturale, sociale e demografica globale come è quella del collettivo ebraico. Un discorso sugli ebrei delimitato da un concetto formale
di un’Italia unitaria rischia, infatti, di essere parziale e poco conclusivo.
Non solo: la prospettiva degli ultimi 150 anni – l’arco di tempo dell’Unità
nazionale – non è sempre sufficiente a fornire una spiegazione chiara ed
esauriente del presente e di ciò che lo ha preceduto immediatamente. Da
un lato, i condizionamenti di epoche precedenti svolgono un ruolo sorprendentemente robusto e persistente nel determinare l’identità italiana in
generale, e quella ebraica italiana in particolare. D’altra parte, i 150 anni
dell’Unità costituiscono una sequela di fasi alterne e molto eterogenee che
non permettono un semplice giudizio di sintesi.
Dell’Italia stessa, assieme all’ideale aspirazione unitaria che anticipa di
molti secoli l’effettiva realizzazione del progetto politico, va anche capita
Cfr. anche S. Della Pergola, Anatomia dell’ebraismo italiano: caratteristiche demografiche, sociali, economiche, religiose e politiche di una minoranza, Assisi/Roma,
Carucci 1976; Id., Precursori, convergenti, emarginati: trasformazioni sociodemografiche degli ebrei in Italia, 1870-1945, in S. Simonsohn (a cura di), Gli ebrei nell’Italia
unita, 1870-1945, Italia Judaica, IV, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Ufficio Centrale per i Beni Archivistici 1993, pp. 48-81; Id., La popolazione
ebraica in Italia nel contesto ebraico globale, in C. Vivanti (a cura di). Storia d’Italia.
Gli ebrei in Italia, vol. II, Torino, Einaudi 1997, pp. 895-936.
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la complessa collocazione nel sistema europeo e mondiale delle nazioni e
degli stati, cercando di evitare una discussione apologetica o polemica – di
per sé interessante ma qui non rilevante. La collocazione internazionale
dell’Italia fisica, culturale e politica non può essere indifferente agli sviluppi interni all’ebraismo italiano. Il collettivo ebraico in Italia certamente
vanta buoni titoli per essere considerato come un’entità con caratteri suoi
propri e originali2 che con successo ha saputo integrare in una sintesi creativa le idee e le aspirazioni universali della tradizione ebraica e le qualità
estetiche e umanistiche della tradizione italiana. Ma questi caratteri vanno
inquadrati e confrontati in modo da riflettere la più complessa collocazione
dell’Italia e dei suoi ebrei nell’ambito globale.
Nello studio delle società europee i demografi in special modo hanno
rilevato una persistente logica divisoria fra Europa occidentale e Europa
orientale. È stata individuata un’immaginaria linea Trieste-Leningrado (il
nome della città settentrionale all’epoca in cui fu proposta la tipologia)3
che separa in modo efficiente le affiliazioni religiose (cattolici e protestanti
a ovest, pravoslavi a est), etniche (sassoni, celti e latini a ovest, slavi e asiatici a est) e demarca modelli familiari, socioeconomici, culturali e politici
differenziati e riconoscibili. Divisioni lungo la medesima falsariga sono
state proposte anche nello studio delle società ebraiche in Europa.4 Allo
stesso tempo, la distinzione fra comunità ebraiche occidentali e orientali,
spesso sovrapposta a una dicotomia fra ebraismo ashkenazita e sefardita,5
allude solitamente a una divisione fra uno spazio europeo rispetto a uno
spazio nord-africano e mediorientale che implicitamente corrisponde alla
divisione fra mondo cristiano (nelle sue differenti modalità) e mondo islamico. La demarcazione geofisica occidente-oriente è ovviamente inaccurata perché se vogliamo tracciare una virtuale linea di demarcazione fra
questi due mondi, questa semmai unisce Tangeri con Astrakhan, e crea una
distinzione fra nord e sud e non fra ovest e est (vedi Figura 1).6
D. Ruderman, Un punto d’incontro tra culture diverse: Il retaggio storico
dell’ebraismo italiano, in V. Mann (a cura di), I Tal Ya’, Isola della rugiada divina.
Duemila anni di vita ebraica in Italia, Milano, Mondadori 1989, pp. 21-22.
3
J. Hajnal, European Marriage Patterns in Perspective, in D.V. Glass, D.E.C.
Eversley (a cura di), Population in History, London, Arnold, 1965, pp. 101-143.
4
E. Mendelsohn, The Jews of East Central between the World Wars, Bloomington,
Indiana University Press 1983.
5
Ashkenàz come traduzione di Germania, e Sefaràd come traduzione di Spagna – i
due centri propulsori della cultura ebraica all’inizio del secondo millennio dell’e.v.
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S. Della Pergola, Where Is East and Where Is West? Some Observations on De2
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Figura 1. Mappe culturali dell’Italia:
fra Europa, Africa e Asia
In questa approssimativa cartografia culturale, l’Italia evidentemente
svolge un importante ruolo di cerniera, di passaggio e di confine. I vari
confini che abbiamo ora delineato attraverso la penisola, sembrano convergere all’altezza dell’emblematico punto focale di Roma, e creano una
certa presenza sul territorio italiano di mondi culturali diversi e una definizione territoriale-culturale del paese tutto sommato ibrida. Un fatto
straordinario di queste semplici tipologie è la loro estrema forza di sopravvivenza nei tempi lunghi. In particolare nella direzione nord-sud, se
osserviamo una mappa della distribuzione del voto a favore del partito
della Lega Nord – l’emblema del separatismo nordista – notiamo nel
simbolo elettorale una chiara linea divisoria che unisce l’alto Tirreno e
l’alto Adriatico e separa l’Italia settentrionale dal resto del paese. Questa divisione dell’Italia in due parti corrisponde quasi perfettamente alla
mography and Identification among non-Ashkenazim, presentato al Convegno internazionale Oriental Jews in the West From the Rising of the Sun unto its Setting, Jerusalem, Ben Zvi Institute, 2010.
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linea che demarcava l’estensione settentrionale del dominio dell’antica
Roma sulla penisola nell’anno 282 p.e.v., alla vigilia delle Guerre Puniche (vedi Figura 2), e rammenta la linea La Spezia-Rimini che segna
il confine fra il sostrato linguistico prelatino e le parlate italiane centromeridionali.7
Figura 2. Mappe culturali dell’Italia:
la Lega Nord (XXI sec.) e i domini romani (III sec. a.C.)
Se poi guardiamo una mappa della divisione del Sacro Impero Romano
alla morte di Carlo Magno nell’863 e.v.,8 notiamo che la parte centrale attribuita al figlio Lotario, la Lotaringia (che a dire il vero durerà solo pochi
anni), include gran parte del territorio dell’Italia e si estende a sud fino a
una certa latitudine (vedi Figura 3). Questa linea meridionale demarca le
7
C. Rinaudo, Atlante storico, Parte prima, Il mondo antico, Torino, Paravia 1958,
carta 16; C. Grassi, Parole e strumenti del mondo contadino, in R. Romano e C. Vivanti (coord.), Storia d’Italia, vol. VI, Atlante (a cura di L. Gambi e G. Bollati), Torino,
Einaudi 1976, pp. 429-478.
8
P. Chaunu, La France: Histoire de la sensibilité des Français à la France, Paris,
Robert Laffont 1982, p. 116.
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Figura 3. Mappe culturali dell’Italia:
partizione dell’Impero alla morte di Carlo Magno nell’anno 843
provincie che oltre mille anni dopo, nel 1946 avrebbero più chiaramente
preferito la Monarchia alla Repubblica,9 e nel referendum del 1974 si sarebbero pronunciate con maggiore decisione a favore dell’abrogazione
della legge sul divorzio introdotta pochi anni prima.10
La medesima falsariga geografica marca profonde e persistenti differenze socioeconomiche fra le regioni dell’Italia. Nel primo decennio del
XXI secolo, il PIL per abitante era di 30.400 euro nelle regioni del nord,
28.300 nel centro, e 16.400 nel sud e isole.11 Semplificando, il Rubicone, il
Sangro e il Volturno continuano a mantenere rilevanza nella definizione demografica, socio-economica e politica delle varie parti dell’Italia. I tempi
C. Donzelli, Le elezioni, in R. Romano e C. Vivanti (coord.) Storia d’Italia, vol.
VI, Atlante, cit., pp. 782-808.
10
M. Livi Bacci, Donna, fecondità e figli: Due secoli di storia demografica italiana, Bologna, Il Mulino pp. 265-266; Donzelli, Le elezioni, cit.
11
Istituto Centrale di Statistica, Il reddito disponibile delle famiglie nelle regioni
italiane Anni 2006-2009, in «Conti in breve» (2011), <http://www.istat.it/salastampa/
comunicati/non_calendario/20110202_00>.
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dell’antropologia culturale profonda dell’Italia sembrano molto lunghi,
quasi eterni, e di questo non si può non tener conto nel discutere i caratteri della società italiana.12 Quando ci si riferisce all’Italia post-unitaria,
in realtà, di Italie ne esistono diverse, e questo non può non avere rilevanza nell’affrontare la questione del significato del rapporto fra l’Italia e
gli ebrei.
Dove sono gli ebrei?
Una simile osservazione vale certamente anche per quanto concerne la
storia e la geografia delle comunità ebraiche in Italia. Innanzitutto, una nozione di notevole importanza è che l’Italia è stata il luogo di passaggio delle
originarie migrazioni ebraiche provenienti dal Mediterraneo e dirette verso
l’Europa centro-settentrionale. I recenti studi di genetica delle popolazioni
indicano una forte affinità fra gli ebrei italiani e il tipo medio-orientale
mediterraneo che li precede cronologicamente, e fra gli ebrei italiani e gli
ashkenaziti che rappresentano cronologicamente uno sviluppo posteriore.13
Per quanto riguarda gli ebrei stanziati in Italia, nel quadro complessivo
della popolazione ebraica mondiale,14 gli ebrei italiani hanno sempre rappresentato una minoranza nella minoranza. L’ebraismo italiano si è creato
come prodotto nei tempi lunghi di una serie di stratificazioni immigratorie
di provenienze diverse – da sud, da est, da nord e da ovest. Le trasformazioni intervenute nell’ebraismo italiano, nel corso di oltre 2000 anni, ma
anche negli ultimi 150 anni, e in particolare negli ultimi sessant’anni, sono
state spesso il riflesso di processi storicamente rilevanti che avevano le loro
origini altrove nel sistema mondiale.
Indicatore sintetico di grande rilievo, in questo senso, è l’alternarsi di
12
Cfr. R. Romano e C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia, I caratteri originali, 2
volumi, Torino, Einaudi 1972.
13
M. Hammer et al., Jewish and Middle Eastern non-Jewish Populations Share
a Common Pool of Y-chromosome Biallelic Haplotypes, «Proceedings of the National
Academy of Sciences» 97, 12, (2000), (2000), pp. 6769–6774; D. M. Behar et al.,
MtDNA Evidence for a Genetic Bottleneck in the Early History of the Ashkenazi Jewish
Population, «European Journal of Human Genetics» (2004), pp. 1–10; D. M. Behar et
al., The Genome-wide Structure of the Jewish People, «Nature», <http://www.nature.
com/dofinder/10.1038/nature09103>, pp. 1-6.
14
Della Pergola, Riflessioni globali sulla demografia degli ebrei, «Zachor» 7
(2004), pp. 105-139.
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periodi di crescita e di recessione nella lunga storia dell’ebraismo italiano
(vedi Figura 4).15 Gli ebrei nella penisola sono stati valutati a diverse decine di migliaia nel periodo imperiale romano. Poi diminuiscono a una
stima minima di forse una decina di migliaia nel quadro generale della
depopolazione contestuale e successiva alla caduta dell’Impero. Segue un
periodo di incremento di alcune centinaia di anni fino a un nuovo massimo attorno ai 50.000 alla fine del Quattrocento, senza tener conto delle
temporanee e non marginali presenze in transito nel periodo successivo
all’espulsione dalla penisola iberica. Dopo l’istituzione dei ghetti in molte
città e le espulsioni da numerose altre, la popolazione ebraica è ridotta a
circa 20.000 unità attorno al 1600. Una graduale ripresa porta a un nuovo
picco di poco inferiore ai 50.000 alla vigilia della seconda guerra mondiale. Dopo la brusca contrazione causata dalla persecuzione fascista e
nazista, l’ebraismo italiano riparte nell’ultimo dopoguerra da 25-30.000
persone e si mantiene tale nel corso dei sei decenni successivi. Negli ultimi decenni del XX secolo le comunità ebraiche in Italia ricevono ripetute
ondate migratorie, ma soffrono di una continua erosione demografica dovuta all’invecchiamento che riflette la bassa fecondità,16 l’assimilazione e
i numerosi matrimoni misti,17 e a un modesto ma continuo movimento di
emigrazione.
Rispetto al totale della popolazione italiana18 la piccola minoranza
ebraica avrebbe raggiunto un massimo di 7-8 per l000 abitanti nel I secolo
dell’e.v., e si sarebbe ridotta a livelli di 2-4 per 1000 abitanti fra il V secolo
e il 1400. Verso la fine del Quattrocento si sarebbe raggiunta brevemente
un’aliquota di 5-6 ebrei per 1000 abitanti, senza tener conto dei profughi
in transito dopo l’espulsione dalla Spagna. Poi, causa il più rapido accrescimento della popolazione italiana totale, la proporzione degli ebrei si
sarebbe ridotta nuovamente a 1-2 per 1000 abitanti in Italia, e dopo la seconda guerra mondiale sarebbe scesa ulteriormente a 0,5 per 1000.
Cfr. Id., La popolazione ebraica in Italia, cit.
Id., Perché la natalità è così differente in Italia e in Israele? in L. Picciotto (a
cura di), Saggi sull’ebraismo italiano del Novecento in onore di Luisella Mortara Ottolenghi, «La Rassegna Mensile di Israel» LXIX, 2 (2003), pp. 635-662.
17
Id., Jewish and Mixed Marriages in Milan, 1901-1968; with an Appendix: Frequency of Mixed Marriages among Diaspora Jews, Jerusalem, The Hebrew University,
Jewish Population Studies, 3, 1972.
18
A. Bellettini, La popolazione italiana; un profilo storico, Torino, Einaudi 1987;
L. Del Panta, M. Livi Bacci, G. Pinto, E. Sonnino, La popolazione italiana dal Medioevo a oggi, Bari, Laterza 1996.
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Figura 4
Rispetto alla popolazione ebraica totale nel mondo,19 gli ebrei d’Italia
con singolare costanza lungo un periodo di venti secoli avrebbero costituito una proporzione oscillante fra 10 e 30 per 1000 (1-3%), salvo una breve
parentesi, nel Quattro-Cinquecento (5-6% del totale mondiale). A partire
dalla fine del XIX secolo, la proporzione degli ebrei italiani si riduceva a
meno del 5 per 1000 dell’ebraismo mondiale, e dopo la Shoà a meno dell’1
per 1000. La non marginale presenza degli ebrei italiani nel campo della
cultura italiana generale e di quella ebraica mondiale è ancora più apprezzabile alla luce del loro ridotto impatto quantitativo.
Ma la lezione fondamentale di queste profonde oscillazioni numeriche
è che esse riflettono la posizione asimmetrica di una piccola minoranza
di fronte alla maggioranza dominante e alle sue istituzioni, ai suoi pregiudizi e ai suoi interessi, alle sue periodiche tolleranze e intolleranze. I
tre momenti di maggiore espansione demografica e culturale corrispon-
S. Della Pergola, Introduction III: Nombres, in E. Barnavi, Histoire Universelle
des juifs, de la Genèse à la fin du XXème siècle, Paris, Hachette 1992, pp. XII-1.
19
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dono a Roma imperiale, al periodo dal Medioevo fino al Rinascimento,
e al periodo del Risorgimento e del liberalismo italiano post-unitario. Si
tratta, in ognuno dei tre casi, di epoche caratterizzate dall’esistenza in Italia
di una civiltà relativamente tollerante e aperta alla diversità delle identità
collettive – sempre entro i limiti delle norme culturali e delle istituzioni di
potere esistenti in ogni periodo. D’altra parte, i periodi di caduta demografica sono coincisi, ciclicamente, con il passaggio verso regimi dominati
da minore libertà di pensiero e diminuita diversità religiosa, culturale e
politica. Se le nostre stime sono ragionevolmente esatte, nel 1600, dopo un
lungo periodo di espansione numerica, la popolazione ebraica sotto il peso
della Controriforma si era ridotta bruscamente alle dimensioni che possedeva 600 anni prima, attorno all’anno 1000. Nel 1945, dopo il trauma della
Shoà, la popolazione ebraica era tornata indietro nuovamente di 600 anni,
alle dimensioni che essa aveva nel 1300.
Lo studio dello sviluppo demografico degli ebrei in Italia deve anche
fare riferimento alla distribuzione regionale e alle mutazioni nelle dimensioni delle diverse comunità locali. La profonda trasformazione dell’esperienza ebraica nel nostro paese nell’ampio arco di tempo qui considerato è
ben riassunta dalle maggiori fasi della redistribuzione del suo ecumene.20
Nel corso del tempo la distribuzione degli ebrei in Italia è cambiata ripetutamente e drasticamente, passando da una forte predominanza al sud e
in Sicilia fino al 1500, poi al nord, in particolare in Emilia-Romagna, fino
all’Unità d’Italia, e finalmente al centro dominato prima dalla Toscana e
poi da Roma capitale. Il fatto saliente dell’odierna quasi assenza dal sud e
dalle isole riflette le espulsioni dai domini spagnoli di 500 anni fa.
La geografia dei primi insediamenti ebraici nell’Italia meridionale potrebbe aver corrisposto a grandi linee a quella che ancora ai giorni attuali è
l’estensione geografica – estremamente concentrata in poche regioni meridionali – della cultura dell’etròg (il cedro utilizzato a fini di culto nella
Festa delle Capanne, Succòt) o di altri agrumi più diffusi come il limone.21
In una seconda fase, la presenza ebraica tende a diffondersi o a contrarsi
secondo la variabile configurazione delle autonomie feudali e dei mercati
economici-finanziari di limitata estensione locale e regionale. In una terza
fase, strangolata dai provvedimenti restrittivi del ghetto e delle espulsioni,
20
Cfr. R. Bonfil, Gli ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento, Firenze, Sansoni
1991.
21
Cfr. R. Bachi, Atlante Statistico Italiano 1988, Roma, Istat - Istituto Centrale di
Statistica 1988, pp. 324, 425-426.
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la comunità ebraica è costretta a una strategia di sopravvivenza basata sulla
ricerca di una nicchia vitale dovunque questa sia possibile. La chiave della
sopravvivenza verrà individuata in un processo di modernizzazione che si
concluderà, in una quarta fase, con una configurazione geografica molto
simile a quella del terziario avanzato, concentrato in poche città ben inserite nel contesto nazionale e internazionale. Tipicamente, a partire dalla
metà del XIX secolo e fino ai primi tre quarti del XX secolo, la comunità
di Milano ascende da piccola sezione della comunità di Mantova a centro
di maggiore importanza nazionale, ma questa crescita si ferma – evidentemente impedita da un’insufficiente forza di propulsione economica della
metropoli lombarda.22 Infine, nella fase più recente, la crescente concentrazione a Roma, la capitale politica e di gran lunga la più grande città d’Italia
– anche se non la maggiore area metropolitana – indica un adattamento a
una funzione sussidiaria all’economia del grande centro burocratico divoratore di beni di consumo, del quale la comunità ebraica è assai più dipendente di quanto non sia protagonista.23
Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il sistema delle comunità ebraiche è ancora decisamente influenzato non solo dagli eventi del 1861 ma anche
dalla lunga storia che li ha preceduti. Lo dimostra la divisione del territorio
nazionale in circoscrizioni amministrative comunitarie ebraiche che ancora
in buona parte seguono la logica degli stati pre-unitari (vedi Tabella 1).
La Tabella 1 descrive i maggiori cambiamenti regionali per il periodo
dal 1861 al 2010, con particolare attenzione agli anni immediatamente precedenti e successivi alla seconda guerra mondiale.24 I profili ascendenti e
discendenti delle varie aree dell’Italia sottintendono coerenti tendenze di
graduale concentrazione dai molti piccoli centri provinciali in cui si ubicava l’ebraismo italiano prima dell’emancipazione, verso le capitali regionali, e infine verso una più marcata tripartizione fra Roma, Milano e il resto
22
S. Della Pergola, La Comunità ebraica di Milano: profilo sociodemografico, in
M. Paganoni (a cura di), Per ricostruire e ricostruirsi: Astorre Mayer e la rinascita
ebraica tra Italia e Israele, Milano, Franco Angeli 2010, pp. 59-73.
23
Camera di Commercio di Roma, Comunità Ebraica di Roma, La comunità
ebraica di Roma nel secondo dopoguerra: Economia e società (1945-1965) a cura
dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, Roma, Camera di Commercio
Industria Artigianato e Agricoltura di Roma 2007.
24
Della Pergola, Precursori, convergenti, emarginati, cit.; M. Sarfatti, Gli ebrei
nell’Italia fascista: Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi 2000; Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane, Indagine demografica – Numero degli iscritti delle
comunità, Roma 2010.
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del paese. Fra le ripartizioni regionali alle date indicate, cinque aree (Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Marche) raggiungono il valore
massimo di popolazione nel 1861, tre (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto
Adige, Napoli con Sud e Isole) nel 1901, una (Liguria) nel 1938, una nel
1965 (Milano con Lombardia), e una (Roma con Lazio e Umbria) nel 2010.
Tabella 1. Popolazione ebraica in Italia, secondo regioni – 1861-2010a
Regione
Italia totale
Nord-ovest
Piemonte-Val d’Aosta
Liguria
Lombardia
Nord-est
Veneto
Trentino-Alto Adige
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Centro
Toscana
Marche
Lazio e Umbria
Sud e Isole
1861b
39.200
10.080
6.620
270
3.190
14.390
4.610
0
4.700
5.080
14.040
7.220
2.270
4.550
690
1901b
43.048
12.212
6.276
1.415
4.521
14.256
4.260
754
5.497
3.745
15.734
6.225
1.671
7.838
826
1938c
45.270
13.900
4.890
2.040
6.970
11.130
3.440
180
4.660
2.850
19.460
5.800
1.180
12.480
780
1940d
34.228
10.230
3.463
1.350
5.417
6.642
2.058
79
3.092
1.413
16.826
4.451
675
11.700
530
1948d
27.861
9.018
3.227
1.108
4.683
3.997
1.438
64
1.634
861
14.312
2.912
400
11.000
534
1965e
32.000
12.170
2.134
1.036
9.000
3.104
1.233
39
1.118
714
16.239
2.663
316
13.260
487
2010d
24.460
7.477
967
347
6.163
1.658
715
44
545
354
15.135
1.604
148
13.383
190
a Italia nei confini attuali.
b Censimento italiano della popolazione.
c Censimento italiano della razza.
d Iscritti alle comunità ebraiche.
eIndagine statistica sugli ebrei in Italia, inclusa stima dei non iscritti alle comunità ebraiche.
Gli ebrei sono una collettività generalmente dotata di istruzione superiore
alla media (relativamente all’ambiente circostante) e dotata di capacità economiche imprenditoriali e professionali indipendenti e ben sviluppate, sia
pure in presenza di notevole variabilità all’interno delle stesse comunità.25
S. Della Pergola, E.F. Sabatello, The Italian Jewish Population Study, in U.O.
Schmelz, P. Glikson, S.J. Gould (a cura di), Studies in Jewish Demography; Survey
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Se non costretto da interdizioni giuridiche, un gruppo umano siffatto trova
il suo impiego migliore nei centri urbani di maggiore importanza regionale
e soprattutto nazionale, meglio ancora se ben connessi internazionalmente.
Cambia così la logica funzionale della presenza ebraica, a lungo coatta in
specifiche nicchie dell’economia e del territorio causa la debolezza contrattuale dell’ebreo di fronte all’autorità costituita, ma negli ultimi due secoli
progressivamente più libera; un tempo risultante da trattative asimmetriche
fra i detentori assoluti del potere locale e le famiglie ebraiche più rappresentative, più recentemente funzione delle opportunità di studio, di lavoro e di
cultura disponibili in loco. Negli ultimi 150 anni, decine di piccole comunità
hanno così cessato di esistere, gli ebrei in Italia tendono a essere più concentrati in un numero sempre minore di località, e di fatto oggi una sola città
– Roma – costituisce oltre la metà dell’intera popolazione ebraica italiana.
Quando si esaminano i meccanismi di adattamento della minoranza
ebraica nell’ambito della maggioranza italiana, anche quest’ultima ha
avuto e ha le sue esigenze e richieste. Al di là degli episodi più torvi e vergognosi di emarginazione e discriminazione, gli ebrei in passato ma anche
nel presente sono sovente stati considerati da parte di esponenti influenti
della società di maggioranza una risorsa umana desiderata e considerata
necessaria allo sviluppo economico.26 In un passato più remoto, l’ebreo veniva classificato, forse a torto ma con coerenza, come un elemento funzionale, sgradevole ma necessario, nell’ordine costituito.27 Attraverso l’identificazione fra religione diversa, occupazione specializzata e segregazione
geografica, la presenza ebraica era un segno distintivo che consentiva a
una località di considerarsi con qualche orgoglio città a pieno titolo. Anche
oggi la presenza di una comunità ebraica costituita è una risorsa benvenuta
for 1969-1971, Jerusalem, The Hebrew University-London, Institute of Jewish Affairs
1975, pp. 53-152; E.F. Sabatello, Trasformazioni economiche e sociali degli ebrei in
Italia nel periodo dell’emancipazione, in Italia Judaica, IV, Roma, Ministero per i
Beni Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici 1993, pp. 114-124.
26
Cfr. S. Luzzatto, Discorso circa il stato degli Hebrei, et in particolare dimoranti
nell’inclita Città di Venetia, Venezia, Giovanni Calleoni 1638. Cfr. R. Bachi, Israele
disperso e ricostruito: Pagine di storia e di economia, Roma, Ed. La Rassegna Mensile
di Israel 1952; Bonfil, Gli ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento, cit.
27
Con un granello di umorismo rammentiamo che tipicamente i censimenti del
passato distinguevano fra categorie sociali diverse e apparentemente di interesse per la
completezza del tessuto sociale urbano: «Cattolici, clero, incapaci, meretrici, soldati,
hebrei, confinati». Cfr. p. es.: G. Pardi, Disegno della storia demografica di Livorno,
Firenze, R. Deputazione Toscana di Storia Patria 1918; E. Lee (a cura di), Descriptio
Urbis: The Roman Census of 1527, Roma, Bulzoni 1985.
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dall’autorità locale, per una varietà di motivi che vanno dalla volontà di
sviluppare un dialogo interreligioso cristiano-ebraico alla creazione di un
ponte strategico fra occidente e oriente. Spesso queste aspirazioni non corrispondono a un’effettiva funzionalità e rilevanza se messe in rapporto con
la reale consistenza numerica e autonomia operativa del nucleo ebraico.
Questi stimoli, provenienti dall’esterno del collettivo ebraico, hanno operato come meccanismi di conservazione della presenza ebraica.
L’Italia ha a lungo funzionato da ponte, magnete e contenitore nel quale
sono confluiti apporti ebraici umani e culturali diversi. Una prova di questa
pluralità di origini in uno stretto ambito locale sono state a lungo le Cinque Scole di Roma o le diverse sinagoghe del ghetto di Venezia, ognuna
rappresentante di una differente comunità di origine. L’Italia, entro i ben
precisi limiti del progetto di emancipazione, ha costituito la cornice entro
la quale è avvenuta quell’integrazione fra le diverse componenti culturali
interne da cui è nata la particolarità culturale dell’ebraismo italiano. Allo
stesso tempo, si sviluppava il processo di acculturazione nei confronti di
una società di maggioranza che peraltro a sua volta diveniva italiana solo
gradualmente, tardivamente, e mai completamente.28
Nella dialettica demografica fra continuità ed erosione, ha giocato un
ruolo importante quella che si può definire la via italiana all’ebraismo.
Questa si è manifestata attraverso una sintesi particolare fra l’ambiente
culturale italiano e una cultura ebraica tradizionale e multiforme aliena
da precisi confini geografici e non eccessivamente influenzata da modelli
esterni. Nel contesto dell’Italia si è realizzata di fatto, ante litteram, una
forma di mizùg galuiòt (fusione delle diaspore) che sarebbe divenuta molti
secoli più tardi una delle mete cardinali nello sviluppo della popolazione
e della società ebraica nello stato d’Israele. Attraverso l’integrazione nel
lungo periodo di tali e tanti molteplici apporti, è emersa la configurazione
originale e unica dell’ebraismo italiano.29
Ma le stratificazioni originarie dell’ebraismo italiano non sono mai del
tutto scomparse. Ne è una prova uno studio sulla distribuzione dei cognomi
degli ebrei fra le varie regioni italiane condotto nel 1965, in un momento
28
C. Vivanti, Lacerazioni e contrasti, in R. Romano e C. Vivanti (a cura di), Storia
d’Italia, I caratteri originali, vol. II, Torino, Einaudi 1972, pp. 869-950; G. Bollati,
L’italiano, in ivi, pp. 951-1021; E. Galli della Loggia, L’identità italiana, Bologna, Il
Mulino 1998; D. Bidussa (a cura di), Siamo italiani, Milano, Chiarelettere 2007.
29
Cfr. A. Foa, Gli ebrei in Europa. Dalla peste nera all’emancipazione, RomaBari, Laterza 1992.
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storico dunque abbastanza recente rispetto al lungo periodo, dal quale si
desumono significative differenze che riflettono l’esposizione delle varie
parti dell’Italia a diversi contatti reciproci e con il mondo extra-italiano
(vedi Figura 5).30
Figura 5
La correlazione esistente fra le frequenze dei cognomi rilevati in dieci
aree urbane, regionali o interregionali, italiane produce una matrice statistica
che può essere rappresentata graficamente in modo facilmente interpreta-
30
S. Della Pergola, Alcuni aspetti quantitativi della distribuzione del cognome
ebraico in Italia, in: A.Toaff (a cura di), «Annuario di Studi Ebraici 1980-1984», X
(1984), pp. 65-86. Il metodo di analisi dei dati e di rappresentazione grafica è lo Smallest Space Analysis (SSA) di Louis Guttman.
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bile. La prossimità o la distanza fra i vari punti che nella Figura 5 rappresentano le diverse aree geografiche indicano la similitudine o la differenza nella
frequenza locale dei rispettivi cognomi ebraici. Da questa mappa statisticaculturale, creata da un computer sulla base di dati che gli sono stati forniti,
appaiono in primo luogo le contrapposte posizioni dell’antica comunità di
Roma – a lungo segregata dal resto dell’ebraismo italiano nella sua esperienza storica e sociale – e della moderna comunità di Milano – massimamente aperta al contributo di ebrei provenienti da tutte le regioni italiane
e ancora di più dall’estero. Tutte le altre regioni appaiono nella mappa in
una posizione intermedia, e quasi esattamente nell’ubicazione prevista da
una convenzionale carta geografica dell’Italia, non solo nel senso nord-sud,
ma anche nel senso ovest-est. Questo indica chiaramente la gradualità dei
rapporti di vicinato attraverso migrazioni interne di media distanza, l’effetto
di barriere fisiche che esistono sul territorio dell’Italia, e l’apertura storica
di ogni regione nei confronti di migrazioni internazionali provenienti da
aree extra-italiane dirimpettaie e diverse le une dalle altre.31 Così, Trieste,
Venezia e Ancona sono esposte a scambi con l’Adriatico e i Balcani (le
prime due anche con l’Impero Asburgico), Torino riceve apporti dalla Francia, mentre Livorno, Pisa e Firenze attirano ebrei dalla Penisola Iberica. La
carta geografica dell’ebraismo italiano moderno e contemporaneo costituisce dunque la prova lampante di una causalità che agisce nei tempi lunghi e
compendia elementi di forte dipendenza da fattori esterni imponderabili con
elementi di libero arbitrio e di razionalità legati a fattori locali.
Precursori, convergenti, emarginati
Gli aspetti essenziali della demografia e della stratificazione sociale
degli ebrei in Italia fra l’ultima parte del XIX e la prima metà del XX
secolo offrono importanti indicazioni sulle caratteristiche fondanti dei diversi processi di trasformazione e di acculturazione nel contesto generale.32 L’ebraismo italiano con la sua dimensione limitata e relativamente
invariante attorno a 20-50.000 effettivi, differisce rispetto alle maggiori
31
Sulle implicazioni culinarie ebraiche di queste distinzioni regionali vedi A. Toaff,
Mangiare alla giudia: Cucine ebraiche dal Rinascimento all’età moderna, Bologna, Il
Mulino 2a, 2011; Id., Culture ebraiche nel mondo, in M. Montanari, F. Saban (a cura di),
Atlante dell’alimentazione e della gastronomia, vol. I, Torino, UTET 2004, pp. 229-241.
32
Della Pergola, Anatomia, cit. Vedi anche L. Allegra (a cura di), Una lunga presenza: Studi sulla popolazione ebraica italiana, Torino, Silvio Zamorani Editore 2009.
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comunità europee. Fra il 1800 e il 1900 – periodo di espansione demografica rapidissima causa la diminuita mortalità e l’alta natalità – il numero
totale degli ebrei nel mondo aumentava di oltre quattro volte, passando da
2,5 a oltre 10,5 milioni di persone. In Europa occidentale il ritmo di accrescimento era più lento, e tuttavia la popolazione ebraica cresceva di oltre
tre volte nel corso di cento anni. L’Italia è a lungo rimasta fuori dal grande
sistema delle migrazioni internazionali, e comunque vi ha partecipato soprattutto come paese esportatore e non importatore.
Osservati attraverso una vasta anche se necessariamente selettiva mole
di dati, gli ebrei in Italia appaiono, innanzitutto, come precursori rispetto a
nuove tendenze sociali e demografiche, in parte condivise con altri gruppi
sociali particolari,33 e solo molti decenni dopo destinate a diffondersi nella
popolazione italiana nel suo complesso. In altri rispetti, gli ebrei risultano convergenti verso tendenze generali preesistenti e alle quali essi non
avevano potuto partecipare sin dall’inizio per una molteplicità di ragioni
storiche, politiche e sociali. Infine, in determinati periodi, gli ebrei sono
emarginati dal contesto sociale normale, e tragicamente penalizzati nella
propria vita personale e di comunità.34
Questi tre tipi di sviluppo non si sono articolati storicamente in maniera del tutto autonoma l’uno dall’altro, ma semmai appaiono periodicamente con una certa ciclicità e reciproca interdipendenza. È precisamente
da una condizione di iniziale emarginazione, e forse in parte a causa di
essa, che nel tardo periodo delle interdizioni si sono messi in moto i primi
passi dell’anticipo ebraico nel processo di transizione demografica da alta
a bassa mortalità. Questo avveniva fra gli ebrei con un calendario notevolmente anticipato rispetto alla società circostante, come riflesso di variabili
culturali connesse in parte con le prescrizioni normative dell’ebraismo, e
in parte con differenze significative nella struttura sociale e professionale
delle diverse popolazioni. Anche il passaggio da alta a bassa natalità avveniva, fra le altre cause, in relazione agli spazi residenziali angusti concessi agli ebrei nelle loro località di residenza, e più tardi come riflesso di
differenze sociali e normative fra ebrei e non ebrei.35 In questo quadro di
33
M. Livi Bacci, Ebrei, aristocratici e cittadini: precursori del declino della fecondità, «Quaderni Storici» 54 (1983), pp. 913-939.
34
L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli Ebrei deportati dall’Italia
(1943-1945), Milano, Mursia 1991.
35
S. Della Pergola, La trasformazione demografica della diaspora ebraica, Torino, Loescher 1983.
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graduale e precoce modernizzazione socioeconomica e demografica, che
ha determinato il basso quoziente di crescita dell’ebraismo italiano, alcuni
aspetti relativi alla centralità della famiglia hanno conservato più a lungo
taluni tratti tradizionali rispetto al resto della popolazione.36 La comunità
di Roma ha mantenuto più a lungo delle altre una certa vitalità riproduttiva,
salvo raggiungere più recentemente i modelli declinanti tipici delle altre
comunità della diaspora.37
Le trasformazioni urbane e sociali degli ebrei italiani, e in particolare
le direzioni delle migrazioni interregionali, hanno invece sovente reagito
a tendenze più generali adeguandosi ai vincoli e agli incentivi offerti dallo
sviluppo delle diverse regioni italiane. Ma anche sotto questo profilo, in
relazione alle diverse stratificazioni socioeconomiche dei gruppi e forse
anche a diverse preferenze estetiche, non sono mancati gli aspetti di originalità, di concentrazione o di deviazione rispetto ai modelli urbani e residenziali della società di maggioranza.38
Infine, il ritorno a un sia pur breve, ma tragicamente intenso periodo
di emarginazione nell’epoca della sovranità fascista e poi sotto l’occupazione nazista ha determinato una gamma di conseguenze demografiche che
hanno condizionato in misura non marginale la demografia immediata, e
poi odierna e futura dell’ebraismo italiano. Il termine di trasformazione
sottintende sia una modifica più o meno irreversibile della sostanza di una
tendenza preesistente; sia una svolta formale nell’ambito della quale i contenuti fondamentali della tendenza precedente vengono però conservati.39
Entrambi questi modi di trasformazione ricorrono nella demografia degli
ebrei italiani, pur attraverso i profondi cambiamenti che si sono succeduti
nel corso degli ultimi due secoli, e più in particolare fra il 1861 e il 1938, e
poi dal 1945 fino ai giorni nostri.
L’esperienza della popolazione ebraica d’Italia si colloca in un conte-
36
Cfr. le classiche analisi storiche di L. Livi, Gli ebrei alla luce della statistica,
Firenze, Libreria della Voce 1918-1920; R. Bachi, The Demographic Development of
Italian Jewry from the Seventeenth Century, «The Jewish Journal of Sociology» IV, 2
(1962), pp. 172-191.
37
E. Sonnino, La popolazione della comunità ebraica di Roma durante l’ultimo
ventennio, «Zachor» 7 (2004), pp. 81-104.
38
S. Della Pergola, Trasformazioni sociodemografiche degli ebrei a Trieste e in
Italia nord-orientale (XIX e XX secolo), in G. Todeschini, P.C. Ioly Zorattini (a cura
di), Il mondo ebraico: Gli ebrei tra Italia nord-orientale e Impero asburgico dal Medioevo all’Italia contemporanea, Pordenone, Edizioni Studio Tesi 1991, pp. 517-552.
39
Cfr. Id., La trasformazione demografica della diaspora ebraica, cit.
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sto storico e socio-demografico assai più vasto. Gli elementi e i processi
principali che hanno determinato le trasformazioni demografiche degli
ebrei italiani possono essere ricondotti a tre tipi principali di variabili che
hanno operato anche altrove: (a) intrinsecamente legate alla cultura del
gruppo ebraico, ossia il complesso di imperativi religiosi, di valori morali,
di norme sociali, di tradizioni locali, di istituzioni peculiari alla vita della
comunità ebraica che si possono considerare relativamente invarianti nel
lungo periodo; (b) attinenti ai modi di interazione fra comunità ebraiche e
popolazione e società generale, spesso determinati in misura decisiva dalle
mutevoli disposizioni giuridiche discriminatorie che regolavano in passato
la vita delle stesse comunità; e (c) legate all’ambiente esterno, in particolare il complesso di fattori economici, sociali, politici, intellettuali, tecnologici e anche climatici condivisi da ebrei e ambiente circostante in una
certa situazione locale, ma assai variabili attraverso il tempo e lo spazio.
Quello che di particolare vi è stato in Italia è il dosaggio di questi elementi,
e da esso emerge una ben determinata specificità nel quadro più vasto della
trasformazione demografica della diaspora ebraica.40
L’ebraismo italiano è una piccola minoranza, dotata di radici storiche
locali generalmente più profonde rispetto ad altre comunità ebraiche, e
quindi in misura superiore alla norma partecipe ai processi di lungo periodo che hanno animato la società di maggioranza. È vero peraltro che
attraverso l’azione combinata e contrapposta dell’immigrazione e dell’assimilazione, nel corso dei secoli si è verificata più di una volta una sostituzione di gran parte della popolazione ebraica esistente in Italia. Questo è
avvenuto ancora dopo la seconda guerra mondiale mediante un’immigrazione significativa da paesi in gran parte mediterranei e mediorientali come
l’Egitto, la Libia, la Siria, il Libano, la Turchia e l’Iran, e in misura minore
da paesi dell’Europa centrale e orientale. I nuovi arrivati hanno rinsanguato
gli effettivi di una comunità decimata dalla Shoà, dall’emigrazione e dalle
abiure, hanno portato una maggiore vitalità demografica e un concetto
di identità ebraica più tradizionale e robusto (vedi oltre), ma non sempre
hanno potuto condividere il vissuto e la memoria del passato con le sezioni più veterane della popolazione ebraica. La continuità della presenza
ebraica in Italia è dunque un dato di fatto incontestabile nel lungo periodo,
da un punto di vista aggregativo, ma non è un fatto altrettanto reale quando
si passi a vagliare attentamente le singole storie familiari e individuali.
R. Bachi, S. Della Pergola, Gli ebrei italiani nel quadro della demografia della
diaspora, «Quaderni Storici» XIX, 55 (1984), pp. 155-191.
40
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Modelli di identificazione: la minoranza ebraica
Le percezioni dottrinarie, scientifiche e popolari dell’esperienza ebraica
globale si concentrano di solito sulle sue modalità quantitativamente più
frequenti piuttosto che sulla assai piccola minoranza ebraica italiana. È
usuale trarre delle conclusioni generali sul mondo ebraico e sull’essenza
normativa dell’ebraismo sulla base di espressioni che rappresentano il folklore e l’ermeneutica di piccole (anche se numerose) comunità dell’Europa
orientale; l’illuminismo e l’aspirazione riformista di comunità dell’Europa
centro-occidentale; il tradizionalismo delle comunità dei paesi islamici;
l’eclettico pluralismo dell’ebraismo americano; o la non semplice dialettica fra sovranità politica territoriale e riferimenti simbolici universali
dell’ebraismo israeliano. Queste conclusioni generali vengono talvolta erroneamente applicate anche all’esperienza degli ebrei in Italia. In realtà
nessuno di questi casi particolari può rappresentare il tutto, ma ognuno va
compreso nel contesto degli altri se si voglia capire a fondo la problematica
delle molteplici forme della civiltà ebraica.41
Un’importante distinzione, troppo spesso ignorata, è quella fra ebraismo
(in inglese Judaism) come complesso di contenuti normativi e ebraismo (in
inglese Jewry) come complesso di persone viventi. In realtà, una chiara distinzione fra i due significati non è facile dato che non può esservi plausibile comunità ebraica senza che essa manifesti alcun contenuto ebraico, né
può esservi manifestazione di contenuti ebraici in assenza di una qualsiasi
comunità ebraica di persone. La ragione d’essere del complesso delle norme
e delle istituzioni ebraiche è che esse siano fruite da un ben preciso collettivo
di persone reali. Il tentativo analitico di sottolineare soprattutto le mutazioni
e gli ibridismi come carattere determinante dell’esperienza ebraica attraverso
il tempo possiede apparente attrattiva quando si esamini la storia delle idee e
delle persone.42 Ma questa prospettiva perde molta della sua efficacia quando
si rifletta sulla continuità nei tempi lunghi di determinate problematiche fondamentali nell’espressione culturale degli ebrei direttamente legate alla lettura
e comprensione dei testi di base in ebraico o in aramaico, e si osservi la fondamentale concatenazione e continuità storica, e quindi culturale, delle persone.
S.N. Eisenstadt, Civiltà ebraica: L’esperienza storica degli ebrei in una prospettiva comparativa, trad. di M. Astrologo, F. Bises, Roma, Donzelli 1993.
42
D. Bidussa, Mappe storiche, geografiche, culturali dell’ebraismo in Età moderna e contemporanea, in G. Filoramo (a cura di), Le religioni e il mondo moderno, vol.
II, Ebraismo (a cura di D. Bidussa), Torino, Einaudi 2008, pp. XIII-XXXVIII.
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In questa disamina storica, ovviamente, va tenuto conto delle trasformazioni culturali proprie di ogni epoca, delle quali gli ebrei sono parte
integrante. Ma va anche considerato che l’ebraismo stesso nella sua matrice originaria porta con sé dei meccanismi di cambiamento, come esemplificato dalla metodologia dello studio del testo talmudico in funzione di
nuovi quesiti che sorgono nel tempo e di nuove soluzioni che l’ebraismo
normativo a essi costantemente cerca di proporre. Inoltre attraverso le catene genealogiche familiari si realizza una significativa continuità fra passato e presente – sia pure con costanti flussi in entrata e in uscita di persone,
come si è già notato più in passivo che in attivo. Si è così preservata, anche
in Italia, una memoria che non è necessariamente quella dei luoghi e dei
tempi presenti, bensì con tenacia quella di tempi e luoghi passati.43
Gli ebrei in Italia, prima e dopo l’Unità nazionale, hanno recepito idee
raccolte sul posto, e a volte le hanno assimilate e sviluppate tanto bene al
punto da divenire gli alfieri di tali idee. In Italia il contesto culturale generale è stato a lungo dominato dal particolare duopolio del forte ruolo del
cattolicesimo come religione pubblica, e del nazionalismo italiano come
sua alternativa secolare, al quale più tardi è succeduta come maggiore antagonista l’espressione politica del movimento operaio. La partecipazione
degli ebrei italiani non solo ai grandi momenti ma alla stessa elaborazione
dei fondamenti dell’idea del Risorgimento nazionale,44 e molto più tardi,
della Resistenza antifascista, è stata grandemente superiore in proporzione alla loro ristretta entità numerica. Ma per meglio capire i significati dell’identificazione ebraica in Italia, è importante cercare di coglierne
i contenuti di generale applicabilità nel tempo e nello spazio, al di là di
dettagli di forma e modelli contingenti alle singole situazioni locali, e di
superficiali generalizzazioni come quella fra religiosi e laici, o fra comunitari e assimilati. La realtà è più complessa ed è meglio raffigurata dalla
contemporanea presenza di diversi tipi identitari ebraici, con assai variabili
modalità quantitative nel corso del tempo e dello spazio.
Le fondamenta dell’identità ebraica si articolano attorno a due assi di
appartenenza: il primo coinvolge la presenza, rilevanza, centralità, valenza
positiva, predominanza relativa (o l’assenza) nella coscienza dell’individuo di contenuti normativi e culturali tipici dell’ebraismo e diversi da
43
Cfr. un esempio in P. Levi, Argon, in Id., Il sistema periodico, Torino, Einaudi
1975, pp. 3-21.
44
A. Momigliano, Pagine ebraiche, a cura di S. Berti, Torino, Einaudi 1987, pp.
237-239.
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quelli della società circostante. Il secondo asse coinvolge la natura delle
reti sociali dell’individuo, primariamente vincolato nel quotidiano ad altre
persone e istituzioni della stessa appartenenza (o meno). Dalle varie combinazioni possibili fra l’intensa esistenza o assenza di queste due dimensioni, una di norme e valori, l’altra di reti sociali, emerge una parsimoniosa
ma probabilmente utile tipologia identitaria.45
Il tipo ideale normativo tradizionale si applica alle persone significativamente e primariamente coinvolte sia nel sistema di valori ebraico sia
nelle reti di associazioni ebraiche. La pratica religiosa, che implica anche
un forte coinvolgimento e l’accettazione di rilevanti controlli e sanzioni
a livello comunitario, svolge un ruolo importante anche se non esclusivo
nella vita e nell’identità ebraica di queste persone. Il tipo etno-comunitario
include persone non particolarmente forti nella salienza dei valori religiosi
dell’ebraismo ma fortemente vincolate in reti sociali e istituzionali ebraiche
che costituiscono la maggioranza di tutte le relazioni personali. Una forte
coesione sociale e nazionale, indipendentemente dalla pratica religiosa,
costituisce il vincolo principale di questo settore di persone. Il tipo residuo
culturale si applica alle persone poco coinvolte in un contesto ebraico, né a
livello normativo né a livello associazionistico, e tuttavia ancora portatrici
nella propria identità collettiva di un senso di nostalgia, interessi intellettuali, nozionismo culturale, e persistente attenzione (a volte in senso critico
negativo) nei confronti del gruppo ebraico di origine. Il tipo duale (ossia, in
Italia, fondamentalmente cattolico) o nullo, infine, si applica a persone che
hanno perso qualsiasi interesse, associazione particolare o perfino consapevolezza nei confronti dell’identità ebraica di origine e sono coinvolti invece intensamente in valori e reti associative di altre origini e provenienze.
Costoro, tuttavia, non avendo compiuto un atto formale di dissociazione
dalla propria comunità di origine, ancora formalmente ne fanno parte.
Questi diversi tipi ideali hanno convissuto costantemente nell’esperienza dell’ebraismo italiano, e dal loro cangiante equilibrio quantitativo è
emerso il profilo complessivo di una collettività ebraica che sarebbe gravemente erroneo assimilare a uno solo dei diversi tipi. È anche possibile riconoscere le mutazioni fondamentali che sono avvenute nell’identificazione
ebraica in Italia nelle ultime generazioni. Il tipo normativo-tradizionale,
che fu a lungo dominante in un passato più remoto – quando poteva sussistere anche in condizioni di relativo isolamento geografico – ha perso
Cfr. S. Della Pergola, World Jewry Beyond 2000: The Demographic Prospects,
Oxford, Oxford Centre of Hebrew and Jewish Studies 1999.
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gradualmente molto del suo impatto attraverso gli storici processi nazionali di emancipazione, secolarizzazione e acculturazione. Tuttavia, sotto
l’impatto di leader spirituali particolarmente carismatici,46 periodicamente,
e in una certa misura anche nel corso degli ultimi decenni, si sono verificati
visibili movimenti di recupero di questo tipo di identità ebraica (anche per
ragioni che verranno chiarite più oltre). Il tipo etno-comunitario non ha
mai goduto di molto spazio in un contesto nazionale italiano (ed europeo)
normalmente etnocentrico e poco propenso a lasciare spazi al multiculturalismo e alle autonomie identitarie nell’ambito dello stato nazionale unitario. Queste ultime hanno invece goduto di ampia legittimità nel differente
contesto di paesi di grande immigrazione come gli Stati Uniti o il Canada.
Ma la nascita e crescita di Israele (vedi oltre) contribuisce a rafforzare questo tipo. Il grande beneficiario e dominatore delle trasformazioni identitarie dell’ebraismo italiano degli ultimi 150 anni è stato il tipo residuo
culturale – sotto la rubrica di Italiani di religione israelitica – che però, per
definizione, è stato poco in grado di trasmettere se stesso con sufficiente
spessore in proiezione futura e, in Italia come altrove, ha generalmente
prefigurato un ulteriore indebolimento delle identità ebraiche. I movimenti
di immigrazione verso l’Italia da altri paesi hanno invece contributo periodicamente a rafforzare i tipi identitari più forti, quello normativo-tradizionale e quello etno-comunitario, e hanno frenato per lo meno nell’arco
della prima generazione la tendenza verso il tipo residuo culturale, o verso
le forme di identificazione ebraica duale o nulla.
In una visione complessiva di queste diverse modalità tipologiche è
possibile distinguere fra un ebraismo di continuità, in cui l’identità personale viene trasmessa attraverso processi familiari e comunitari da una
generazione di persone a una generazione successiva, e un ebraismo terminale per il quale l’esperienza ebraica, qualunque essa sia, può essere
rilevante per l’individuo in questione ma non viene trasmessa a una generazione futura. A un livello maggiormente aggregativo è possibile formu-
46
Importante in questo senso il caso del Collegio Rabbinico Italiano di Firenze,
diretto da Rav Shmuel Margulies, che all’inizio del XX secolo, fu la fucina di una
importante generazione di capi intellettuali e spirituali dell’ebraismo italiano. Cf: S.R.
Di Segni, Moshe David Cassuto ubeit hamidràsh lerabbaním haitalki lefí netuním midohòt beit hamidràsh [Moshe David Cassuto e il Collegio Rabbinico Italiano secondo
i dati delle Relazioni del Collegio], in R. Bonfil (a cura di), Umberto (Moshe David)
Cassuto. Italia, Studi e ricerche sulla storia, la cultura e la letteratura degli ebrei
d’Italia, Conference Supplement Series, 3, Jerusalem, The Hebrew University Magnes
Press-Kedem-Yad Leyekirenu 2007, pp. 73-105 (in ebraico).
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lare l’ulteriore distinzione fra un ebraismo di creatività che esprime la sua
cultura e la sua coesione associativa indipendentemente dalle condizioni
contingenti di tempo e di spazio in cui si trova, e un ebraismo di presenza,
che compare (o scompare) nel tempo e nello spazio soprattutto come funzione delle cangianti condizioni di mercato e di vivibilità socioeconomica
in un certo luogo.47
Un momento di grande interesse nel discorso identitario dell’ebraismo
italiano fu il convegno giovanile di Livorno del 1924, dove si misurarono
apertamente i diversi tipi ideali ora delineati: il recupero di un ebraismo integrale attraverso l’osservanza delle mitzwot nella terra dei padri di Alfonso
Pacifici; il ricupero della sovranità nazionale ebraica e della realizzazione
pionieristica di Enzo Sereni; la militanza culturale ebraica nella consapevolezza del legame con la comunità residente in Italia di Yoseph Colombo; e
l’impegno nel trasfondere valori religiosi, etici e sociali ebraici nel contesto
politico generale della società italiana dei fratelli Carlo e Nello Rosselli.48
Ricostituita almeno sul piano della tipologia una certa coerenza nell’evoluzione identitaria dell’ebraismo italiano – nella consapevolezza della diversa predominanza delle sue manifestazioni in ogni periodo – possiamo
rettificare il tiro rispetto allo stereotipo dominante dell’ebreo italiano come
caso di individuo largamente assimilato alla cultura circostante, poco propenso alla pratica religiosa, non eccessivamente interessato a un associazionismo segregato di gruppo. In seguito alla legge sull’organizzazione delle
comunità ebraiche e dell’Unione delle Comunità Israelitiche del 1930 –
paradossalmente per decisione dello stato fascista di impronta nazionalista
anti-pluralista – gli ebrei italiani venivano coinvolti in una forma di associazionismo quasi coatto, strumento forte della conservazione di un’identità di
tipo etno-comunitario, dunque foriera di pluralismo culturale.
Due grandi spartiacque hanno poi spezzato e riorientato la graduale
evoluzione delle identità ebraiche in Italia nel XX secolo: il primo, le leggi
razziali del 1938; e il secondo, l’indipendenza dello stato d’Israele nel
1948, o meglio la definitiva affermazione identitaria di Israele in seguito
alla guerra dei sei giorni nel 1967. Se guardiamo alla sequela temporale a
S. Della Pergola, Jews in the European Community: Sociodemographic Trends
and Challenges, «American Jewish Year Book» 93 (1993), pp. 25-82.
48
S. Della Seta, Il movimento sionistico. I. Dal primo dopoguerra alla Guerra
d’Etiopia, in C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia. Gli ebrei in Italia, vol. II, Torino,
Einaudi 1997, pp. 1323-1338; A. Marzano, Una terra per rinascere: Gli ebrei italiani
e l’emigrazione in Palestina prima della guerra (1920-1940), Genova-Milano, Marietti-1820 2003.
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partire dall’emancipazione o dall’unità d’Italia, questi particolari momenti
storici hanno causato uno stimolo percepito da tutti simultaneamente, anche se non in misura o modi identici. In questi momenti la base identitaria
di una comunità è mutata radicalmente attraverso la caduta di un vecchio
paradigma e la nascita di uno nuovo. Per capire come ciò sia avvenuto per
gli ebrei in Italia occorre volgere lo sguardo ai modi in cui la società italiana di maggioranza ha guardato all’identità ebraica.
Modelli di identificazione: la maggioranza italiana
Il 27 febbraio 1987, al termine della cerimonia della firma del nuovo
documento sulle Intese fra lo Stato italiano e l’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane rappresentata da Tullia Zevi, l’allora primo ministro socialista Bettino Craxi – nel ricordare l’abbattimento dei muri del ghetto di
Roma e il messaggio allora inviato dagli ebrei romani a Vittorio Emanuele
II nel quale affermavano che «fuori dal nostro Tempio, dobbiamo essere
degli Italiani, dei romani e null’altro» – diceva: «Oggi, nel firmare un accordo il cui significato non esito a definire storico, i cittadini ebrei – senza
dimenticare o perdonare i tragici eventi delle leggi razziali e dell’olocausto – possono ripetere con definitiva consapevolezza di essere nuovamente
’degli italiani e null’altro’».49 Nel 1987, queste parole esprimevano le intenzioni positive di chi aveva sanzionato un rinnovato rapporto fra lo Stato
e il sistema organizzativo delle comunità ebraiche in Italia. La nuova legge
passava da un regime di iscrizione obbligatoria a un’adesione volontaria,
e sostituiva i termini di ebrei e comunità ebraiche ai precedenti termini
di israeliti e comunità israelitiche. La nuova Intesa, oltre a essere più democratica della legge preesistente, meglio rispondeva alle esigenze di una
comunità più disposta a portare la propria identità collettiva con orgoglio
e senza eufemismi. Ma allo stesso tempo la frase «italiani e null’altro»
poteva offrirsi a un’interpretazione limitativa dello spazio identitario in
un’epoca in cui cominciavano ad assumere crescente visibilità le identità
multiple e in cui la veterana diffidenza contro la «doppia lealtà» cominciava ad apparire riduttiva e anacronistica.50
La definizione stessa di cosa sia una comunità ebraica era stata molto
49
Craxi: “Le storiche peculiarità delle comunità ebraiche”, «Shalom» XXI, 3
(1987), p. 6 (articolo non firmato).
50
A. Levi, Un paese non basta, Bologna, Il Mulino 2009.
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dibattuta ma poi finalmente concordata con lo Stato italiano. Secondo l’articolo 1 dello Statuto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
le comunità ebraiche, istituzioni tradizionali dell’ebraismo in Italia, sono formazioni sociali originarie, organizzate secondo la legge e la tradizione ebraiche, ciascuna nell’ambito della propria circoscrizione. Esse provvedono al
soddisfacimento delle esigenze religiose e delle diverse esigenze, associative,
sociali e culturali degli ebrei escluso ogni fine di lucro.51
Emergeva dunque una definizione di contenuti che, superando la mera
denominazione religiosa, tendeva, anche senza coincidervi, a un concetto
di gruppo etno-religioso. Di fatto, si recepiva che un’autentica manifestazione identitaria ebraica è difficilmente pensabile senza contare l’esistenza
di legami intellettuali, emotivi e istituzionali fra gli ebrei in Italia e altre
comunità ebraiche fuori dall’Italia.
Ripercorrendo i tempi lunghi della presenza ebraica in Italia, gli ebrei
pur essendo una delle più antiche componenti stanziali sono stati a lungo
percepiti dalla popolazione locale nel ruolo dell’altro – diverso, temuto, a
volte odiato, sempre sopravvalutato.52 Strategie di esclusione in un passato
più remoto periodicamente attuavano l’espulsione, la segregazione territoriale, la conversione forzata al cattolicesimo, o anche la soppressione
fisica. Ma gli ebrei pur non essendo parte del sistema dominante delle élite
aristocratiche, religiose, economiche e burocratiche, facevano comunque
parte in un qualche modo dell’ordine sociale costituito.
La moderna emancipazione degli ebrei, nel contesto di una generale
liberalizzazione della cultura politica europea e italiana, è avvenuta corrispettivamente alla crescita di dottrine antisemite che si sono nutrite di
nuovi simboli e strumenti di aggressione spesso derivati da vecchie forme
di pregiudizio religioso e secolare. L’apparente contraddizione fra pregiudizio discriminatorio e apertura egualitaria ha mantenuto aperta la questione
di quale sia stato lo spirito più autentico della società di maggioranza nei
confronti degli ebrei – inclusione senza condizioni, o esplicita esclusione.
Forse la formula più esatta è quella di inclusione a determinate condizioni,
ossia a patto di una rinuncia da parte dell’ebreo e della sua comunità a determinate sue caratteristiche fondanti o più apparenti.53 Entro questi limiti,
<http://moked.it/ucei/legislazione/statuto/>.
Cfr. D. Segre, The Roles of the Jews in Italian Society, «Changing Jewish Communities» 53 (2010).
53
Cfr. C. Cattaneo, Interdizioni israelitiche, Torino, Einaudi, 1962 (1837).
51
52
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dall’Unità d’Italia in avanti si è svolto il processo di integrazione e di ascesa
sociale degli ebrei in Italia che veniva brutalmente interrotto nel 1938.54
Ci si può chiedere se e in che modo il potere di acculturazione e di
integrazione dell’Italia nei confronti degli ebrei abbia continuato a manifestarsi dopo la fine della seconda guerra e nei decenni successivi.55 Negli
ultimi sessantacinque anni, dopo la Shoà, l’Italia ha offerto agli ebrei tutti
gli strumenti della Costituzione repubblicana, e certo non sono mancate ai
singoli e alle loro comunità le opportunità per godere pienamente dei diritti
di cittadinanza, di libera espressione, di sicurezza e di mobilità sociale. Ma
le radici della contestazione antiebraica non sono mai morte e si sono manifestate nelle forme più diverse. Il problema riguarda i contenuti e la caratterizzazione dell’identità italiana prima ancora che di quella ebraica. La
risposta che si può dare a questo interrogativo non è del tutto chiara perché
l’Italia, a distanza di decenni dal momento fondante dell’unità nazionale,
non solo sembra alla ricerca perenne di un equilibrio permanente nella sua
identità culturale-pubblica fra i modelli del nord continentale europeo e
del sud mediterraneo, ma ha anche prodotto una grande messe di matrici
ideologiche e politiche concorrenti, ognuna delle quali ha inciso profondamente e diversamente sulla relazione bilaterale con gli ebrei. Gli ebrei
hanno vissuto questi dilemmi doppiamente, sia come italiani, sia come
parte di una comunità i cui possibili poli di riferimento sono ancora più
estesi nello spazio e possono talvolta essere in conflitto nei contenuti con
le norme prevalenti in Italia.
Nel dopoguerra post-fascista, l’Italia ha svolto un importante ruolo
nel facilitare l’immigrazione ebraica, allora in gran parte illegale, verso
la Palestina,56 dimostrandosi così amica degli ebrei. Tuttavia la re-integrazione in Italia degli ebrei nei loro diritti civili ed economici espropriati
è stata penosamente reticente, e mai interamente completata, Accanto a
questo, vi è stato un fenomeno inquietante di appropriazione della specificità della storia, della memoria e dell’identità, e quindi della Shoà ebraica
da parte dei molti che, forse con le migliori intenzioni, nel campo della
Cfr G. Fubini, La condizione giuridica dell’ebraismo italiano dal periodo napoleonico alla Repubblica, Firenze, La Nuova Italia 1974; E. Capuzzo, Gli ebrei italiani
dal Risorgimento alla scelta sionista, Firenze, Le Monnier 2004.
55
M. Toscano, Integrazione nazionale e identità ebraica. Francia, Germania, Italia (1870-1918), in G. Filoramo (a cura di), Le religioni e il mondo moderno, vol. II,
Ebraismo (a cura di D. Bidussa), Torino, Einaudi 2008, pp. 145-170.
56
Cfr. M. Toscano, La «Porta di Sion», L’Italia e l’immigrazione clandestina
ebraica in Palestina (1945-1948). Bologna, Il Mulino 1990.
54
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cultura, delle arti, della politica erano preoccupati dall’urgenza di assemblarsi intorno a una storia, una memoria, un’identità nuova e differente,
quella della Resistenza.57 Era finita la guerra mondiale con il fascismo,
stava cominciando la democrazia con la guerra fredda, e in un paese in
cui, in definitiva, la continuità tra i regimi prevaleva sulla discontinuità,
la recita passava subitaneamente da un vecchio a un nuovo copione. La
parola Shoà nel 1945 non esisteva e si cominciava a parlare, erroneamente,
di Olocausto. La Shoà degli ebrei italiani veniva rappresentata con il termine deportazione che è soprattutto, ma non solo, il portare verso l’ultimo
viaggio. Il fatto oscuro, particolare, parrocchiale della minoranza ebraica
è stato a lungo derubricato e sminuito a sotto-categoria dell’ethos più generale, pubblicamente rilevante ed eroico della Resistenza, non importa se
autentico o meno. Ma è anche vero che nel corso degli anni la memoria
della Shoà degli ebrei italiani ha progressivamente assunto un ruolo istituzionalizzato e perfino ipertrofico nella memoria pubblica dell’Italia, mentre le deportazioni dei militari e dei politici – non certo su iniziativa ebraica
– venivano quasi dimenticate e sacrificate all’esigenza della ricostruzione
della compagine identitaria nazionale.
Per molti decenni, la memoria degli ebrei è stata così investita del ruolo
problematico di unica memoria omologata nella coscienza italiana del dopoguerra, e a essa si sono attribuite ben due date – il 27 gennaio, Giorno
Internazionale della Memoria, e la prima domenica di settembre, Giornata
della Cultura Ebraica. Nessun altro gruppo in Italia, al di fuori della maggioranza normativa cattolica, può vantare un riconoscimento di altrettanto
alto profilo pubblico. E corrispettivamente continua la confusione semantica fra ebreo, israelita e israeliano che genera associazioni improprie e a
volte imbarazzanti fra le distinte fenomenologie, e contribuisce a rafforzare
la percezione dell’ebreo come estraneo. Se poi la lezione morale e storica
della Shoà sia stata realmente metabolizzata nel profondo della cultura e
della politica italiana è domanda aperta a cui una risposta potrà essere data
solamente a più lungo termine.
Se ripercorriamo le diverse matrici dell’ostilità antiebraica, da parte dei
circoli nostalgici fascisti e neonazisti non è venuta meno la teoria del complotto giudaico né è cessata la diffusione di osceni libelli rivolti alle menti
57
M. Consonni, Resistenza o Shoà. Zicharòn hagherùsh vehahashmadàh beItalia
1945-1985 [Resistenza o Shoà. La memoria della deportazione e dello sterminio in
Italia 1945-1985] (in ebraico), Jerusalem, Magnes Press 2010.
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più deboli.58 Non vi sono stati rimorso per le leggi razziali, ritrattazione
del paradigma della razza,59 condanna e ripudio della Repubblica di Salò,
o rinuncia a piani eversivi. La strategia della tensione è stata rivolta primariamente contro lo Stato e alle sue istituzioni, ma nell’ottobre 1982 – attraverso un’associazione fra forze terroristiche palestinesi e elementi criminali reclutati in Italia – ha colpito tragicamente la comunità di Roma.60 In
Italia, lo zoccolo duro dell’antisemitismo (fenomeno peraltro trasversale)61
è relativamente stabile e minoritario, ma anche se si trattasse solo del dieci
per cento della popolazione – e in realtà la base è più vasta – si parlerebbe
pur sempre di sei milioni di persone.62
Dalle posizioni cattoliche ante-conciliari e anti-conciliari non è venuta
meno la polemica anti-ebraica in parte fondata su vecchi presupposti teologici,
in parte refrattaria ad accettare le nuove e più tolleranti posizioni della Chiesa
nei confronti dell’ebraismo. Chi ha avuto l’occasione di esaminare l’opera di
Padre Agostino Gemelli,63 di discutere con i sostenitori della presunta profanazione ebraica e del «miracolo dell’ostia fritta» negli anni ’50 e ’60,64 o perfino
58
Cfr. la discussione in G. S. Rossi, La destra e gli ebrei, Soveria Mannelli, Rubbettino 2003.
59
Sulle premesse scientifiche e il dibattito accademico inerente, cfr. A. Treves, Le
nascite e la politica nell’Italia del Novecento, Milano, Edizioni Universitarie di Lettere
Economia Diritto 2001.
60
Vedi su questo episodio e su altri aspetti della relazione fra ebrei e politica in
Italia la serie di articoli di M. Molinari nella sezione Cultura de «La Stampa», 22, 27, e
30 novembre 2001, <http://www.morasha.it/speciali/01viaggio_molinari.html>.
61
Cfr. E. Campelli, E. Cipollini, Contro il seme di Abramo: indagine sull’antisemitismo a Roma, Milano, Franco Angeli 1984.
62
A. Goldstaub, R. Mannheimer, Gli atteggiamenti negativi verso gli ebrei. Note
in margine all’indagine Il pregiudizio nei confronti dei diversi e degli ebrei in particolare, «La Rassegna Mensile di Israel», LVI, 3 (1990) pp. 387-417; D. Bidussa, Razzismo e antisemitismo in Italia: ontologia e fenomenologia del “Bravo Italiano”, «La
Rassegna Mensile di Israel», LIX, 3 (1992) pp. 1-36; R. Mannheimer, L’immagine di
Israele tra gli Italiani. Una Ricerca per conto di Aspen Institute Italia. Milano, Istituto
per gli Studi sulla Pubblica Opionione – ISPO 2008.
63
Cfr. R. Finzi, L’ antisemitismo. Dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio, Firenze, Giunti 1997.
64
Il mito del miracolo mantiene i suoi cultori, uno dei quali sarebbe stato Padre
Pio da Petralcina. Per una disamina apparentemente fattuale e senza ombra di critica, cfr. Gesù Eucaristia – Santissimo Sacramento, Miracolo Eucaristico di Trani
(Anno 1000 circa) – l’ostia fritta, 5 febbraio 2009, <http://www.facebook.com/notes/
ges%C3%B9-eucaristia-santissimo-sacramento/miracolo-eucaristico-di-trani-anno1000-circa-lostia-fritta/53177027510>.
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di leggere i più recenti scritti di Vittorio Messori,65 sa di aver incontrato
degli acerrimi avversari, influenti, non sconfessati dalle autorità ecclesiastiche. Esemplare il caso di Gianni Baget Bozzo, cattolico e socialista, che ha
voluto individuare una presunta trasformazione antropologica dell’ebreo,
da condannato errante a sanguinario conquistatore.66 Per capire l’ostilità
della maggior parte degli ebrei italiani nei confronti di Pio XII non basta
soffermarsi sui giorni più tragici del 1943, ma bisogna anche percepire il
senso della relazione reciproca fra Chiesa e ebrei prima, durante, e dopo
la seconda guerra mondiale, per lo meno fino all’enciclica Nostra Aetate.67
Dopo la Shoà, la sinistra liberale ha offerto agli ebrei una casa politica
da condividere, sia pure al prezzo di qualche rinuncia identitaria. Ma a
partire dallo spartiacque della guerra dei sei giorni, la sinistra marxista o
terzomondista ha scelto la posizione dell’antisionismo.68 È questa sinistra
che, sotto l’occhio forse disattento della Confederazione Generale dei Lavoratori, ha depositato una bara di fronte alla sinagoga di Roma nel 1982,
prima del delitto Taché,69 poi nel 1985 per bocca di Bettino Craxi, in occasione del rapimento della nave Achille Lauro, ha definito «non manifestamente infondato» il terrorismo palestinese,70 attraverso le colonne de «Il
Manifesto» ha quotidianamente stravolto il senso dell’informazione da e
su Israele, e con le vignette di Forattini e Apicella ha con «sottile ironia»
alluso agli ebrei e agli israeliani come picchiatori, deicidi e genocidi.
65
V. Messori, Le radici dell’odio contro i cristiani, «Corriere della Sera» 7 gennaio 2011, spiega la strage dei Copti avvenuta nei giorni precedenti in Alessandria
d’Egitto con queste parole: «tutti i governi di tutte le nazioni islamiche sono sotto lo
tsunami che ha avuto come detonatore l’intrusione violenta del sionismo che è giunto
a porre la sua capitale a Gerusalemme, città santa per i credenti quasi alla pari della
Mecca. Ira, umiliazione, senso di impotenza hanno dato avvio a un panislamismo che
intende demolire le frontiere e i regimi attuali per giungere a un blocco comune e ferreo di fedeli nel Corano. Una sorta di superpotenza che possa sfidare persino gli Stati
Uniti, padrini di Israele».
66
G. Baget Bozzo, L’ebraismo tra profezia e storia, «il manifesto», 25 agosto
1982, in cui si afferma tra l’altro che «il Dio del Vangelo si ritrova oggi nel nuovo popolo della dispersione: il popolo palestinese che sostituisce gli ebrei nella perfetta via
dell’abbandono e dell’esilio».
67
S. Minerbi, Pius XII, a Reppraisal, in C. Rittner, J.K. Roth (a cura di), Pope Pius
XII and the Holocaust, London-New York, Leicester University Press 2002, pp. 85-104.
68
Cfr. M. Molinari, La sinistra e gli ebrei in Italia 1967-1993, Roma, Corbaccio
1995; Gadi Luzzatto Voghera, Antisemitismo a sinistra, Torino, Einaudi 2007.
69
E. Toaff, Perfidi giudei, fratelli maggiori, Milano, Mondadori, 1987, pp. 183-211.
70
Cfr.< http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=283>.
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Dalla matrice liberale-moderata, nel 1946 Benedetto Croce (coraggioso
antifascista nel 1938) invitava gli ebrei a non «chiedere privilegi o preferenze» dopo le persecuzioni subite e ad assimilarsi pedissequamente nel
contesto culturale italiano.71 Sergio Romano,72 invece, riecheggiava Arnold
Toynbee nel descrivere l’ebraismo come un fossile.73
Questa parziale ed eterogenea galleria – che non si compone di schegge
impazzite ma di figure di primaria centralità nelle diverse articolazioni ideali della società civile italiana – ha generato un ambiguo discorso sull’ebreo
buono, universalista, vittima inerme della violenza altrui, e l’ebreo cattivo,
particolarista, vittimizzatore potente dell’inerme altro.74 In questa operazione si è soprattutto finito per contestare all’ebreo quanto di più essenziale
esiste nell’identità collettiva: il diritto alla scelta della sovranità politica. La
nascita nel 1948, ma soprattutto l’emergere reale nel 1967 del polo di riferimento israeliano, ha infatti marcato profondamente la relazione bilaterale
Italia-ebrei, trasformandola in modo irreversibile in un triangolo Italia-Israele-ebraismo italiano – non necessariamente nel senso dell’identità, ma certamente nel senso delle sensibilità. Periodi di grande frustrazione seguivano
negli anni ’70 e negli anni ’80, quando governi italiani legati a forti interessi
economici nei paesi arabi – specialmente in materia di politica energetica –
non solo mantenevano posizioni politiche distanti da Israele, ma allo stesso
tempo sembravano ignorare esigenze inderogabili legate alla memoria della
seconda guerra mondiale nell’ambito delle comunità ebraiche.75
B. Croce, Prefazione, in C. Merzagora, I pavidi (dalla cospirazione alla Costituente), Milano, Editrice Istituto Galileo 1946, invita gli ebrei a «cancellare quella
distinzione e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire»,
e li accusa di disconoscere «le premesse storiche (Grecia, Roma, Cristianità) della
civiltà di cui dovrebbero venire a fare parte», pp. VII-VIII. Cfr. anche R. Finzi, Tre
scritti postbellici sugli ebrei di Benedetto Croce, Cesare Merzagora, Adolfo Omodeo,
in «Studi Storici» XLVII, 1 (2006), pp. 81-108.
72
S. Romano, Lettera a un amico ebreo, Milano, Longanesi 1997, p. 84, afferma che
«dopo essere stato trasgressivo, spregiudicato e genialmente “marrano”, l’intellettuale
ebreo è stato tirato per il fondo del suo invisibile caffettano e si è visto costretto, nella
migliore delle ipotesi, a manifestare comprensione per il catechismo fossile di una delle
più antiche, introverse e retrograde confessioni religiose mai praticate in Occidente».
73
A. Toynbee, A Study of History, vol. I, London, Oxford University Press 1934,
pp. 135-139.
74
S. I. Minerbi, Neo Anti-Semitism in Today’s Italy, «Jewish Political Studies Review» XV, 3-4 (2003).
75
Emblematico in questo senso l’episodio della fuga nel 1977 (quando il Primo
71
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Molti in Italia ritengono ancora oggi che esista un’ambiguità, una sorta
di doppia fedeltà nell’essere ebrei e cittadini dello Stato italiano. Da parte
loro gli ebrei, al di là del dovere di essere buoni cittadini contribuendo al
benessere del Paese, avocano il diritto a essere vincolati a un patto diverso,
dal quale può derivare il più prezioso contributo della comunità ebraica alla
società italiana.76 Non sempre esiste il riconoscimento che dovrebbero essere gli ebrei stessi gli unici autorizzati a rispondere alla domanda su quale
sia la vera vocazione dell’ebreo: innanzitutto, se persistere o scomparire.
E, poi, se vivere come popolo anomalo in perenne condizione diasporica, o
alla stregua di tutti gli altri, come attore indipendente della propria storia e
quindi dotato anche di territorialità e di strumenti di difesa.77 Questo mancato riconoscimento rappresenta di fatto una forma di persistente colonialismo culturale da parte della società di maggioranza.78
Il senso di insofferenza e di tensione accumulato all’interno della comunità ebraica di fronte all’ingiustificata ostilità proveniente dall’esterno ha
potuto anche generare momenti di eccesso di difesa preventiva di fronte a
un pericolo di aggressione percepito come immediato, ma in realtà più immaginario che reale. Suggeriamo questa chiave di lettura di fronte all’eruzione di emozioni, accuse, veti, ostracismi che nel 2007 ha accompagnato
la pubblicazione di un volume di storia ebraica medievale, ben al di là dei
meriti – normalmente opinabili – dell’opera,79 nella quale alcuni avevano
individuato la rinascita del libello di sangue antiebraico.
Di fronte sia all’accumulazione di tanti veleni antiebraici, sia della frustrata precarietà nelle percezioni di molti ebrei italiani, merita particolare
attenzione l’alta e ferma voce chiarificatrice per tutti giunta dal Presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano che, in occasione del Giornata della
Memoria, il 25 gennaio 2007 ha dichiarato:
Ministro era Aldo Moro e il Ministro della Difesa Vito Lattanzio) del criminale militare tedesco Herbert Kappler dall’ospedale militare del Celio dove era stato trasferito un
anno prima con l’accordo dell’allora ministro della difesa Arnaldo Forlani (con Giulio
Andreotti Primo Ministro).
76
R. Della Rocca, citato da R. Tercatin, Qui Milano – Parlando di Unità d’Italia,
<http://www.moked.it/unione_informa/110317/110317.html>.
77
Cfr. P. Battista, Lettera a un amico anti-sionista, Milano, Rizzoli 2011.
78
Cfr. A. Memmi, Portrait d’un juif, Paris, Gallimard, 1962.
79
A. Toaff, Pasque di sangue, Bologna, Il Mulino 2007. La polemica seguita a
questa pubblicazione ha occupato per molti giorni le prime pagine dei quotidiani nazionali, fatto senza precedenti per una ricerca dotata di un cospicuo apparato scientifico e destinata a un pubblico di lettori specializzati.
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Dobbiamo combattere ogni rigurgito di antisemitismo, anche quando esso
si travesta da antisionismo, perché antisionismo significa negazione della
fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita ieri e
della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di
Israele.
I dilemmi identitari degli ebrei italiani di fronte all’opinione pubblica
generale negli ultimi decenni hanno finito per generare una profonda, anche
se non necessariamente irreversibile, mutazione nell’espressione delle loro
identità politiche, sia verso la società italiana in generale sia nella gestione
interna delle comunità ebraiche. Non sappiamo con certezza come sia ripartito il voto politico degli ebrei in Italia, ma è certo che nel dopoguerra la
maggioranza del voto si è orientato verso i partiti laici dell’arco costituzionale antifascista, soprattutto a sinistra. Risultava anche proporzionalmente
alta la propensione nei confronti del Partito Repubblicano Italiano.80
I cittadini italiani emigrati in Israele, pur non costituendo uno spaccato fedele della comunità ebraica in Italia, forniscono tuttavia un’indicazione di umori politici cangianti che non si possono ritenere del tutto
estranei dal contesto italiano. Nel 1975 una ricerca svolta all’Università
di Gerusalemme81 confermava le ipotesi emerse dall’osservazione degli
ebrei in Italia: l’82% degli italiani in Israele si sentivano vicini ai partiti
politici italiani della sinistra e del centrosinistra, mentre solamente il 18%
si sentivano vicini ai partiti italiani del centrodestra e della destra. Ma
nel 2006, alle elezioni per la Camera dei Deputati alle quali i cittadini
italiani all’estero partecipavano per la prima volta, i partiti della sinistra
ottenevano il 31% dei voti espressi in Israele, mentre il 69% preferivano
i partiti della destra. Alle elezioni parlamentari del 2009, la sinistra (che
esprimeva il governo uscente) scendeva al 24% dei voti e la destra saliva
al 76%. Pur senza averne la prova certa, è da ritenere che il voto degli
ebrei in Italia si sia spostato nella stessa direzione, anche se non nella
stessa misura.
La maggioranza degli italiani in Israele, e per implicazione la maggioranza degli ebrei in Italia, si sono dunque dissociati apertamente, quasi
ostentatamente, dalla sinistra – quella sinistra nella quale molti erano cresciuti, nella quale avevano creduto, che aveva a lungo rappresentato la loro
Cfr. Della Pergola, Anatomia, cit.
S. Della Pergola e A. Tagliacozzo, Gli Italiani in Israele, Roma, ed. La Rassegna
Mensile di Israel 1978.
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naturale alleata e difesa, e alla quale ancora oggi aderisce una minoranza.
Un cambiamento talmente profondo negli orientamenti politici degli ebrei
italiani si richiama evidentemente alle espressioni pubbliche, cui abbiamo
accennato, dei diversi partiti nelle formazioni di governo, in parlamento, e
attraverso i mezzi di comunicazione di massa in Italia.
Israele: polo identitario e alternativa
L’apparizione di Israele nell’orizzonte conoscitivo degli ebrei italiani (e
della diaspora in generale) ha trasformato irreversibilmente una relazione
fra ebrei e società che, come già notato, da bilaterale è divenuta trilaterale.
Dal momento della percezione di Israele come fatto identitario rilevante,
ogni evento in Medio Oriente marca e coinvolge la vita della comunità
in Italia, anche se quest’ultima in realtà non svolge né può svolgere alcun ruolo diretto in quegli stessi eventi. Con diverse modalità e valenze,
prevalentemente positive ma anche negative, molto raramente di indifferenza, Israele diventa comunque una nuova e molto visibile componente
dell’identità ebraica dell’ebreo italiano. L’immigrazione dall’Italia in Israele può divenire per alcuni un atto concreto di questa espressione identitaria, ma soprattutto ci offre un indicatore collaterale della rilevanza di
Israele nella percezione identitaria (vedi Figura 6).
Figura 6
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In totale, nel periodo dal 1919 fino al 14 maggio 1948, gli immigrati
dall’Italia in Palestina82 sono stati 2.679, la maggioranza dei quali fra il
1938 e il 1940, e fra il 1944 e il 1947, su una popolazione ebraica italiana
di circa 45.000 persone. Dal giorno dell’indipendenza di Israele, nel periodo 1948-2010, il numero degli immigrati in Israele dall’Italia ammonta
a 6.48083 – su una popolazione ebraica locale che nello stesso periodo ha
oscillato fra i 25.000 e i 32.000. Si tratta dunque di una percentuale minoritaria ma non marginale del totale. Nei dati è incluso un numero non
accertato di persone nate in altri paesi ma emigrate dall’Italia.
Le diverse significative fluttuazioni nei ritmi dell’immigrazione rimandano a una lettura delle vicende dell’Italia e degli ebrei italiani durante gli
stessi anni. Si riconosce la migrazione dei primi anni del dopoguerra, che
in una certa misura completa l’ondata migratoria immediatamente successiva alle leggi razziali del 1938. Dopo un periodo di scarsa migratorietà,
in seguito alla guerra dei sei giorni del 1967 appare una forte ripresa –
non immediatamente, ma nel lasso dei quattro-cinque anni successivi. Più
che di una reazione immediata e spontanea alla nuova forza d’attrazione
esercitata da Israele dopo la vittoria militare, si tratta in apparenza di un
effetto ambientale di spinta maturato gradualmente nel contesto politico
e culturale italiano già discusso più sopra. La migrazione aumenta nuovamente nella seconda metà degli anni ’70 – i cosiddetti anni di piombo
– e nel 1983, con l’ondata di ostilità percepita in seguito alla guerra in
Libano e al massacro di palestinesi effettuato dalle Falangi cristiane nei
quartieri di Sabra e Shatila a Beirut, e culminata con l’attentato al Tempio
maggiore di Roma. Un nuovo incremento appare nei primi anni ’90 nel
movimentato periodo della transizione politica fra le cosiddette «prima»
e «seconda» repubblica. Nel primo decennio del XXI secolo l’aumentata
immigrazione sembra riflettere un diffuso disagio legato alla situazione
economica, ma anche a fattori negativi di spinta percepiti nella società
italiana – oltre al notevole sviluppo e alla crescente forza di attrazione
dell’economia di Israele. Queste tendenze consolidano e moltiplicano sia
i legami statali fra Italia e Israele, sia la sinergia identitaria fra le rispettive
comunità ebraiche.
Cfr. in proposito Marzano, Una terra per rinascere, cit.
Israel Central Bureau of Statistics, Statistical Abstract of Israel, Jerusalem (annuale).
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La via italiana all’ebraismo:una prospettiva globale
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Prigionieri della speranza
In questa disamina di alcuni aspetti del mutuo rapporto fra gli ebrei e
l’Italia – con un occhio al passato e uno al presente – abbiamo suggerito
l’esistenza di diversi modi di essere dell’Italia – ai limiti e come parte dei
tre mondi dell’Europa occidentale, dell’Europa orientale, e del Sud mediterraneo; di diverse Italie – non solo in senso geografico al nord, al centro, e
al sud, ma anche nelle sue contrastanti articolazioni ideologiche e politiche
della destra, della sinistra, del centro cattolico e di quello liberale secolare;
e di diversi tipi di ebraismo italiano – a Roma, a Milano, e nelle comunità
più piccole del resto d’Italia – e attraverso un’ampia gamma tipologica di
origini geografiche e di idee diverse. Il giudizio sul rapporto reciproco fra
la cultura e la società di maggioranza e quella della minoranza non può
essere evidentemente univoco, ma si articola in un notevole numero di situazioni che sollecitano conclusioni separate e diverse.
Nonostante la difficoltà, è pur sempre attraente tentare di dare un giudizio sintetico su quanto è avvenuto nel corso dei 150 anni dell’esperienza
italiana unitaria. Se guardiamo alla lunga storia degli ebrei in Italia, molti
dei mutamenti avvenuti ripetutamente nel lungo periodo, prima e dopo
l’unità d’Italia, si sono ripetuti negli ultimi sessant’anni (immigrazioni,
cambiamenti sociali strutturali, trasformazioni culturali). Rispetto agli stati
pre-unitari nei quali si è articolata la parte più lunga della storia ebraica in
Italia, l’Italia unita ha creato un quadro maggiormente omogeneo e vincolante di riferimento, che peraltro ha conosciuto momenti assai diversi.
Anche nelle percezioni ideali degli ebrei italiani vi sono state difformità
importanti che però non dissimulano importanti continuità. Il critico americano Stuart Hughes nell’intitolare il suo saggio sull’identità degli ebrei
italiani Prigionieri della speranza,84 ha inteso sottolineare la persistente,
struggente e forse ingenua aspirazione a far parte e a essere riconosciuti
nell’ambito del consenso nazionale italiano, nonostante i segnali contrastanti o negativi provenienti da quest’ultimo. L’ebraismo italiano ha a
lungo offerto un esempio unico di assuefazione a molti e cangianti regimi
politici attraverso i tempi lunghi della storia, e ha saputo mantenere un suo
profilo originale a contatto di una grande varietà di tipi di società e di culture del potere – evolvendosi verso una mentalità che è stata definita ecu-
S. Hughes, Prigionieri della speranza: Alla ricerca dell’identità ebraica nella
letteratura italiana contemporanea, trad. di V. Lalli, Bologna, Il Mulino 1982.
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menica-umanistica-progressista.85 La più recente fase di acculturazione, di
assimilazione e di svuotamento dei contenuti culturali originali ha però
messo in serio pericolo la capacità di continuità della comunità ebraica in
Italia. I passati e collaudati meccanismi di sopravvivenza hanno cessato di
essere sufficienti a garantire il futuro sulla base delle sole forze disponibili
localmente. Una causa concomitante è stata il progressivo esaurimento dei
tradizionali serbatoi dell’immigrazione dall’estero.
Ma la presenza di Israele – ineluttabile polo di riferimento nella definizione dell’identità degli ebrei in Italia – ha generato nuove energie, positive
o negative, nella reciproca relazione Italia-ebrei. In parte influenzata da
una più chiara percezione del lontano o virtuale centro ideale geografico
della tradizione culturale ebraica, anche le percezioni religiose e nazionali
dell’identità ebraica si sono rafforzate. Il modo di partecipazione degli
ebrei italiani alla sfera pubblica ne è uscito profondamente modificato – dal
modello degli Italiani di religione israelitica dei primi settant’anni dell’Italia unita, a quello degli ebrei cittadini italiani dei quaranta più recenti.
Dopo 150 anni di unità nazionale, il fatto di poter vivere in Italia può
essere percepito come un privilegio, anche se non come un obbligo, e molti
ebrei ne hanno goduto e ne godono pienamente e liberamente, ma non
senza frustrazioni. Più che l’antisemitismo rozzo e brutale che induce alla
commiserazione e all’autodifesa senza esclusione di mezzi, il fattore di
disturbo è stato la persistente insidia dei due pesi e delle due misure. Ma al
di là delle percezioni ideali, è importante sottolineare che le condizioni che
consentiranno la continuazione di una piccola ma significativa presenza
ebraica in Italia sono largamente legate alle rapide trasformazioni del sistema mondiale, alle sue ripercussioni sul sotto-sistema Italia, e al ruolo
che l’Italia saprà svolgere nella globalizzazione.86 Attraverso la gamma di
opzioni culturali-ideali e socioeconomiche offerte sia dalla società di maggioranza, sia dalla comunità di minoranza, si delinea così la via ancora
tutta da percorrere nel futuro dialogo civile fra l’Italia e gli ebrei, fra gli
ebrei e l’Italia.
Della Pergola, Anatomia, cit., p. 264.
Id., Jews in Europe: Demographic Trends, Contexts, Outlooks, in J. Schoeps,
O. Glöckner, A. Kreienbrink (a cura di), A Road to Nowhere? Jewish Experiences in
Unifying Europe, Leiden-Boston, Brill 2011, pp. 3-34.
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