Calendario 2013 - Comune di Masullas

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Masullas - Ambiente e Natura © Copyright 2012 Ivo Piras - Vico IV Trieste, 3 - Mogoro (OR) - [email protected] - Tutti i diritti riservati
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Il calendario 2013 presenta alcune delle località più suggestive del territorio di Masullas:
miniere, grotte, patriarchi vegetali, cascate e monumenti geologici intessuti in leggende
che si perdono nella notte dei tempi. In questi siti di alto pregio naturalistico, si coglie sempre
l’impronta dell’uomo che l’ha vissuto sin dal lontano neolitico, oltre 8.000 anni fa, sfruttando l’Ossidiana,
definita l’oro nero della preistoria, di cui Masullas possiede il più importante giacimento del Mediterraneo.
Il Sindaco
Mansueto Siuni
C A L E N D A R I O 2 0 1 3
Nella foto: grotta di “Su Stabi Mannu”
© Foto e testi Ivo Piras
Su Carongiu de Fanari - Le violente manifestazioni vulcaniche sottomarine che hanno interessato la Sardegna nel Miocene, hanno dato luogo alla formazione di tufi, brecce e lave a “pillow”, ossia a
“cuscino”, per la caratteristica forma globulare assunta nell’ambiente subacqueo. Fra i rilievi che interrompono gli antichi sedimenti marini si fa notare per la sua mole, sul bordo sinistro della strada MasullasGonnostramatza, la spettacolare rupe andesitico-basaltica denominata Su Carongiu de Fanari (130 m s.l.m). Si tratta di un mega-pillow situato nella valle del Riu Gutturu Forru, incassata fra i diatremi vulcanici di
Cruccu di Masullas e Cuccuru Casu. L’aspetto frontale del monumento geologico è simile a un grande rosone con un nucleo centrale a raggiera, mentre al di sopra si nota la tipica struttura globulare dovuta al rapido
raffreddamento e consolidamento del magma a contatto con l’acqua dei fondali marini Miocenici, avvenuto circa 20 milioni di anni fa! Per la sua ampiezza e per lo stato di conservazione, che lo rendono unico al
mondo, è stato istituito Monumento Naturale Regionale in data 8 giugno 2012. Oltre agli immancabili licheni, alcune piante rupicole hanno trovato ideale l’arido habitat di Su Carongiu de Fanari: tra le umide fenditure della roccia riescono a vegetare alcuni caprifichi (Ficus carica) e tra gli interstizi dei cuscini di lava alcuni suffrutici di scuderi (Phagnalon rupestre) e pochi esemplari di asparago bianco (Asparagus albus).
© Foto e testi Ivo Piras
Sa Spendula de Cannas - Le cascate delle montagne del mediterraneo sono tanto spettacolari quanto effimere e possono passare diversi anni prima che si manifestino in tutta la loro forza. É quello che
accade nella parte alta della valle del Riu Cannas, nel canalone (Gutturu Cannas) incassato tra i versanti di Sa Conca de sa Mai e Sa Scovera. Nelle annate particolarmente piovose si può osservare un bellissimo salto
d’acqua: la suggestiva cascata, detta Sa Spendula de Cannas, scaturisce da un precipizio di rupi vulcaniche alto una quindicina di metri, alla base del quale si forma un laghetto temporaneo. Si tratta probabilmente
della cascata posta alla quota più bassa del Monte Arci: la sua ubicazione altitudinale è infatti di circa 200 m s.l.m. La vegetazione circostante è rigogliosa, costituita prevalentemente da lecci (Quercus ilex), anche di
notevoli dimensioni, alaterni (Rhamnus alaternus), filliree (Phillyrea latifolia) e qualche caprifico (Ficus carica). La velocità con la quale si crea è pari a quella con la quale scompare: pochi giorni di intense piogge
possono alimentare un gettito scrosciante, il cui eco è udibile a molta distanza, ma pochi giorni dopo si riduce a semplice stillicidio. Il fascino della montagna è anche questo, uno spettacolo elargito a chi sa pazientare
per vedere i suoi aspetti “nascosti”: la natura sa celarsi o svelare i suoi volti più belli agli occhi di chi l’ama.
© Foto e testi Ivo Piras
Giacimento di ossidiana di conca ‘e Cannas - I contrafforti meridionali del Monte Arci sono interessati da colate riolitiche molto estese e potenti. Nella depressione valliva del Riu Cannas, a quote
comprese tra 140 e 200 m s.l.m, si conserva uno dei giacimenti di ossidiana più importanti e vasti del Mediterraneo. Fu utilizzato già agli albori della storia dai popoli prenuragici e nuragici, che in quel luogo trovarono,
oltre al prezioso vetro nero vulcanico, anche numerosi ripari naturali, boschi, selvaggina e sorgenti d’acqua. A distanza di millenni dal primo sfruttamento da parte dell’uomo neolitico, più precisamente negli anni 50 del
secolo scorso, il giacimento fu coltivato per l’estrazione della perlite con l’apertura di cave e scavi a cielo aperto. Oggi, lo scenario minerario più antico dell’Isola, è inserito nel Parco Geominerario Storico e Ambientale
della Sardegna, riconosciuto dall’UNESCO. Il sito, caratterizzato dal brillante luccichìo dell’ossidiana che ne riveste la superficie, appare di notevole pregio paesaggistico: si passa dal fresco torrente ombreggiato dagli
ontani neri (Alnus glutinosa) alle aride e soleggiate rupi dei rilievi circostanti, peculiarizzati da un’intensa tafonatura. In questi anfratti, dove alligna esuberante l’euforbia arborea (Euphorbia dendroides) trovano rifugio
numerose specie di uccelli e solo le abili capre riescono ad arrampicarsi alla ricerca di qualche germoglio. In passato questo scenario era popolato anche da cervi (Cervus elaphus corsicanus) e daini (Dama dama).
© Foto e testi Ivo Piras
Valle di Thamis - Nei primi rialzi pedemontani, nel settore orientale del territorio, storia e natura s’intrecciano armoniosamente in un paesaggio che si affaccia sulla piana del Campidano, dirimpetto ai rilievi
del Linas e dell’Arcuentu. A 250 m s.l.m., come una sentinella, svetta il nuraghe Su Para, arroccato sopra un poggio trachitico tra la valle di Cannas e quella di Thamis. Alle sue spalle, verso nord, un nucleo boschivo
di lecci (Quercus ilex) protegge le sorgenti di Su Fixili (dal latino filix, felce) e Sonnixeddu, quest’ultima rinomata in passato per le sue proprietà antimalariche. Sin dall’antichità l’uomo captò queste fonti e già i romani
le sfruttarono, convogliandole verso l’insediamento di Thamis, per alimentare forse un impianto termale. Di quel canale a cielo aperto, lungo circa 2 km, affiorano dal terreno ancora oggi alcuni resti della muratura
in opus cementium. Successivamente, intorno al XII sec., furono i monaci di San Michele di Thamis a beneficiarne per irrigare il celebre giardino dell’abbazia vallombrosana, ricordato dalla memoria popolare come
un eden dove prosperavano ortaggi e frutteti. Ai primi del 1900, infine, divennero acquedotto per Uras e Terralba. Tra i numerosi anfratti presenti sul crinale roccioso si annoverano Sa Grutta de Larenzu Coni, celata
dalla vegetazione sul versante orientale, e Sa Grutta de Su Para che si apre nel versante sud-occidentale. Tra i ripari “sotto roccia” quest’ultima rappresenta una delle più vaste cavità naturali del territorio.
© Foto e testi Ivo Piras
Lentisco monumentale - Fra gli arbusti più diffusi in Sardegna, il lentisco (Pistacia lemtiscus) in questione è da annoverare certamente fra i più ragguardevoli dell’Isola. La peculiarità distintiva di questo esemplare, che vegeta in località Cottina de Ludu, è ascrivibile sia alle dimensioni che al portamento ad “arbusto gigante”: dalla ceppaia infatti si dipartono tre fusti principali, con rispettive circonferenze di 110,
130 e 150 cm. I rami laterali, lunghi oltre 10 m, s’intersecano sostenendosi vicendevolmente in uno spettacolare groviglio: formano delle anse che, toccando a terra per emergere nuovamente verso l’alto, sgravano
peso ai fusti che li sorreggono, comportandosi come radici aeree di puntellamento. La vita e la storia di questa pianta secolare sono segnate da qualche cicatrice procurata, forse, da qualche evento climatico particolare, come il peso della neve o la forza di impetuosi venti, che hanno parzialmente spaccato alcuni fusti primari i quali, tuttavia, vegetano ancora egregiamente mostrando una vitalità e una tenacia quasi palpabile.
A fare compagnia al lentisco patriarca (si tratta di un individuo maschile) un esemplare a portamento arboreo alto circa 7 m, con un diametro del fusto di 130 cm, anch’esso maschile. Le loro chiome occupano complessivamente una superficie di circa 200 m2 all’interno della quale il visitatore si ritrova in un microcosmo fuori dal tempo.
© Foto e testi Ivo Piras
Sa Grutta de su Para - Sul costone roccioso rivolto a sud-ovest, interposto tra la valle di Cannas e quella di Thamis, si apre una delle cavità più vaste del Monte Arci conosciuta col nome di Sa Grutta de Su
Para, ossia la “grotta del frate”. Detta anche Grutta de is Cappuccinus, si trova a poca distanza da un nuraghe, anch’esso chiamato Su Para, a 2 km di cammino dall’abbazia di Thamis. Tali appellativi rimandano alla
leggenda di un frate cappuccino del Convento di San Francesco di Masullas che, in questo umile riparo di roccia, trascorreva alcuni periodi di tempo in solitaria meditazione. Nell’ameno luogo solo alcuni pastori si
recavano per offrirgli pane, formaggio e acqua e lui ricambiava con preghiere e invocazioni protettive per loro e per quanto avevano di più caro: la famiglia e le greggi per la sussistenza. Le pareti esterne della grotta
sono rivestite da evidenti croste di licheni gialli, arancio vivo e altri colori più tenui, creando un variegato mosaico che vitalizza la nuda roccia. Dall’interno della grotta sembra di vedere attraverso una grande finestra:
le valli sottostanti sono ammantate da una fitta macchia mediterranea, un “mare” verde che sfuma nelle coltivazioni intensive della piana del Campidano da cui si elevano le montagne del Linas e dell’Arcuentu.
A destra, poco sotto l’orizzonte, i raggi del tramonto fanno brillare una sottile lama d’acqua che s’incunea dal Golfo di Oristano verso Capo Frasca: sono le pescose lagune di Santa Maria, San Giovanni e Marceddì.
© Foto e testi Ivo Piras
Pedra Sposa - Dal monotono paesaggio dei coltivi annuali di cereali e leguminose, presso un effimero corso d’acqua stagionale al confine tra Masullas, Simala e Gonnoscodina, svettano alcune peculiari guglie
rocciose, decorate da licheni e appellate col nome di Pedra Sposa. Si tratta di affioramenti lavici Miocenici, alti 4-5 m, scolpiti e modellati dagli agenti atmosferici nel corso di milioni di anni. A poca distanza, sotto
la chioma di un fico, un’ altra effusione magmatica prende il nome di Sposu Mascu. Tali nomi risalgono a un’antica leggenda popolare che narra di due sposi i quali, dopo essersi uniti in matrimonio nella chiesa di
Siddi (paese della sposa), s’incamminarono per raggiungere il paese di Masullas. Quando mancavano ormai pochi chilometri, il riecheggiante suono delle campane festive di Sa Gloriosa, trasportato dal caldo vento
dei primi giorni di luglio, catturò la loro attenzione. Il sarcasmo della sposa sull’armonia di quei rintocchi procurò la reazione della “divinità” che, istantaneamente, pietrificò in silenziosi guardiani del territorio gli
sposi, il suonatore di launeddas che li accompagnava e i loro cavalli. Al di la della fantasia, il sito ha restituito reperti archeologici tipicamente prenuragici (raschiatoi, coltelli in ossidiana e un’ascia in calcare) e questi
monoliti vulcanici, simili a menhir naturali, potrebbero essere stati venerati come divinità fecondatrici, teatro di ancestrali culti preistorici legati alle cerimonie propiziatrici degli antichi popoli agro-pastorali.
© Foto e testi Ivo Piras
Sa Pedra Sperrada - “La pietra spaccata”, dalla traduzione letterale del toponimo, è facilmente individuabile: spicca isolata a 208 m di altitudine accanto alla S.S. 442, presso l’incrocio con la strada comunale
Piscina su Meli che conduce alle falesie montane di Su Columbariu. Dal punto di vista geologico si tratta di un macigno di origine vulcanica, forse un masso erratico, una bomba vulcanica o un affioramento lavico sottomarino. Di forma rotondeggiante, alta 2 m e con una circonferenza di circa 7 m, si presenta con un’ evidente fenditura mediana nella quale ha trovato rifugio un pungitopo (Ruscus aculeatus). Accanto a questo monumento
naturale è presente anche un grande blocco di calcite, parzialmente occultato dalle fronde di un lentisco (Pistacia lentiscus), dai grovigli della clematide invernale (Clematis cirrhosa) e della robbia (Rubia peregrina). Nelle
circostanze, entro alcune geodi di rocce magmatiche, si rinvengono anche piccoli cristalli di dolomite, con colorazioni che sfumano dal bianco al giallo, le cui dimensioni non superano 5 mm. Sa Pedra Sperrada è appellata
anche col fantasioso nome di Su Procu de Luxia Arrabiosa ispirato alla leggendaria donna che, nella faticosa ricerca dei figli scomparsi nell’altopiano di Prabanta (tra Morgongiori e Pompu), in preda all’ira avrebbe sferrato
un calcio a un maiale, dividendolo in due parti e pietrificandolo. Una variante del suddetto racconto popolare narra invece che il maiale di Luxia Arrabiosa sarebbe stato colpito da un fulmine.
© Foto e testi Ivo Piras
Panorama ovest da Tramesu ’e Bruncus - Percorrendo la strada comunale che da Masullas conduce a Sa Pedra Sperrada, dopo meno di 2 km di salita si giunge al piccolo valico di Tramesu ’e Bruncus che,
letteralmente, significa “in mezzo ai rilievi”. Effettivamente ci troviamo al centro di due piccoli rilievi molto pronunciati: uno è sulla destra, alla fine della Corona de Fraus, posto a una quota di 290 m s.l.m.; l’altro, sulla sinistra,
è chiamato proprio Punta Tramesu ’e Bruncus ergendosi a 279 m s.l.m. Da qui, nelle giornate terse, si gode di un panorama impareggiabile. Al mattino, quando sussistono le migliori condizioni di visibilità, è conveniente affacciarsi a ovest, dove si domina un arco di paesaggio che spazia dai rilievi minerari dell’Iglesiente a quelli granitici del Monte Linas, dall’aspra e tormentata catena vulcanica dell’Arcuentu alle cime più dolci che degradano sino al
tavolato basaltico di Capo Frasca. Dalla pianura alluvionale del Campidano svetta, sull’estrema sinistra, l’inconfondibile sagoma cuneiforme del colle di Monreale col suo castello medioevale, mentre davanti a noi s’innalzano gli
altopiani vulcanici costituiti dalle ultime e fluide effusioni magmatiche del Monte Arci. Un paesaggio di pascoli e coltivi, di macchie e boscaglie, di rigagnoli e sorgenti, intensamente popolato sin dalla preistoria, che conserva siti
di straordinario valore storico-archeologico. Un semplice ma attento sguardo sul territorio consente di fare un tuffo nel passato, immergendosi nella storia geologica e antropologica di un territorio affascinante e intrigante.
© Foto e testi Ivo Piras
Panorama est da Tramesu ’e Bruncus - Dallo stesso punto di osservazione di Punta Tramesu ’e Bruncus, volgendo lo sguardo a oriente, si configura un paesaggio completamente diverso. Sulla sinistra si
staglia il massiccio vulcanico del Monte Arci, dal bastione di Conca ’e Mraxi sino alla punta più elevata costituita dal neck di Trebina Longa; al centro del paesaggio emerge il netto profilo tabulare della Giara, una vasta colata
di basalto “sospesa” fra cielo e terra dove galoppano liberi i cavallini selvatici. Nelle limpide giornate invernali, in fondo alla lunga prospettiva oltre la Giara, sopra gli antichi rilievi calcarei del Sarcidano, svettano le cime del
Gennargentu incappucciate di neve, sino ai 1.834 m s.l.m. di Punta La Marmora. Sulla destra ancora una serie di profili trapezoidali più piccoli: la Giara di Siddi e Su Pranu Mannu di Gonnostramatza. Fra loro spiccano i rilievi
di Collinas e di Villanovaforru dove è presente il noto nuraghe Genna Maria. Lo sguardo termina in territorio di Sardara, sul Monte Fortuna e sull’arcaica prominenza di Monreale coronata dall’omonimo castello. Al di sotto
invece, in direzione dell’abitato di Masullas, le testimonianze di un antico fondale marino si materializzano nel cosiddetto “Bacino Miocenico della Marmilla”. Esso è costituito prevalentemente da depositi calcarei, marnosi e
arenacei, sconvolti da un’intensa attività vulcanica sottomarina che ha scolpito l’attuale paesaggio fatto di innumerevoli e dolci colline. Fra tutte s’impone il grande sistema di diatremi costituito dai rilievi di Cruccu.
© Foto e testi Ivo Piras
Canali de Genna ’e Acedda - L’esteso rilievo rupicolo di Su Columbariu è interrotto a occidente dal canalone chiamato Su Canali de Genna ’e Acedda, che lo separa dai rilievi successivi terminanti nel poggio del nuraghe Su Para. L’importante via naturale rappresentata dal sito ha consentito per tanti secoli l’accesso all’altopiano di Campuanni dalla valle di Thamis. Infatti ancora oggi si scorge l’antico sentiero che dal fondovalle porta sino
al passo di Genna ’e Acedda, per poi proseguire sino a Su Cuili de Campuanni. Qui sino a qualche decennio fa era ancora possibile osservare il caratteristico capanno ricoperto di frasche limitrofo ai recinti in pietra per gli animali
da pascolo. L’impervio canalone è simile a un anfiteatro che si apre a sud dove l’intenso soleggiamento ha favorito una vegetazione termofila costituita prevalentemente da olivastri, filliree, lentischi, cisti, calicotomi e, nei tratti
di roccia affiorante, estese colonie di euforbia arborea con gli immancabili fico-d’india. Nei recessi più umidi del fondovalle qualche mirto arricchisce il contingente arbustivo. Nella parte più elevata le rupi dei costoni assumono
le forme più bizzarre e, con un pizzico di fantasia, si manifestano in strane figure animali (nella foto, la testa di un felino roccioso sembra affacciarsi sul Canali de Genna ’e Acedda). Nel crinale che si affaccia sopra la sorgente di
Sonnixeddu, si fa notare anche un enorme monolite vulcanico: al tramonto le calde luci del sole enfatizzano il colore rosso mattone della rupe il quale, evidentemente, ha suggerito l’appellativo di Sa Pedra Arrubia.
© Foto e testi Ivo Piras
Su Columbariu - La falesia montana di Su Columbariu rappresenta il principale accesso meridionale per chi si accinge a raggiungere il cuore del Monte Arci. Non a caso ci troviamo nell’antica subregione geografica di Parte Montis, antica curatorìa del Giudicato di Arborea. Il sito si raggiunge facilmente percorrendo la sterrata che si origina all’incrocio con la S.S. 442, in corrispondenza del monumento geologico Sa Pedra
Sperrada. Dopo aver risalito per 1,5 km la valle di Sa Gora de Tappoi si raggiunge la base della spettacolare parete vulcanica ignimbritica di Su Columbariu. Qui, in corrispondenza di un pioppo nero (Populus nigra),
sgorga l’omonima sorgente detta Mitza de su Columbariu. Questa vertiginosa falesia, che in alcuni tratti sfiora i 100 m di altezza, è letteralmente crivellata di pertugi e nicchie di ogni dimensione e forma: sono i tafoni,
tipiche rocce trachitiche erose e modellate dagli agenti meteorici. In questo habitat riescono a vegetare specie tipicamente rupicole che hanno saputo adattare la loro vita a estreme condizioni climatiche, capaci di resistere
a forti venti, proibitive carenze d’acqua e temperature elevatissime, fra queste spiccano: il fico d’india, la borracina azzurra e l’endemica ginestra sardo-corsa. Superata la sorgente, percorrendo una ripida e tortuosa strada
si arriva all’altopiano di Campuanni, dove si ammira un superbo paesaggio che si estende sino al Golfo di Oristano. (Nella foto: il complesso montano di Su Columbariu visto da una grotticella antistante).
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