Omelia-Assemblea ‘05 IL PADRE CI BASTA Omelia su Gv 14,7-14 tenuta alla XII Assemblea Naz. dell’ACI – Roma, 23.4.’05 1. “Signore Gesù, facci comprendere le Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli. Cristo, Figlio del Dio vivente, mostraci il Padre, e questo ci basta. Nostro unico, divino Maestro, facci comprendere il senso vero dell’umanissima domanda di Filippo; facci ardere il cuore, mentre ci spieghi il segreto della tua traboccante risposta: Chi vede me, vede il Padre”. Sì, carissimi tutti, siamo invitati oggi a godere con gratitudine di questa sosta contemplativa, che ci dona il vangelo appena proclamato, ma prima e proprio per accogliere la rivelazione di Gesù, dobbiamo ritornare sulla domanda di Filippo: “Signore, mostraci il Padre!”. Nella supplica ardita di Filippo riconosciamo la voce di tanti, la nostra voce. In quella domanda - solo a prima vista fuori luogo e fuori misura - intercettiamo l’anelito di Mosè: “Signore, mostrami la tua gloria” (Es 33,18). Vi cogliamo il fremito di Israele: “La mia anima anela a te, o Dio… Quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 42). Nella supplica impaziente di Filippo rintracciamo l’eco della preghiera di ogni uomo: “Di te ha detto il mio cuore: Cercate il suo volto. Il tuo volto, Signore, io cerco”. E’ la voce di Agostino: “Ogni nostro desiderio si spegnerà quando avremo raggiunto la visione di Dio”. E’ la voce dell’Innominato e di tanti e tanti che non credono o credono di non credere: “Dio! Dio! Dio! Se lo sentissi! Se lo vedessi! Dov’è questo Dio?”. E’ la voce di tanta povera gente che in occasione dello tsunami, come ogni volta che il dolore bussa alla porta degli esuli figli d’Eva, ci provoca e ci brucia in cuore: “Ma dov’è il vostro Dio?”. La domanda di Filippo porta la firma di ogni uomo, quell’animale desiderante, “troppo grande per bastare a se stesso” (Pascal). 2. E veniamo alla risposta di Gesù: “Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre”. Con buona pace di tutti i commentari che ho avuto modo di esplorare, non riesco proprio a pensare che Gesù si sia stizzito o sia rimasto sconcertato e deluso dalla domanda di Filippo. Modestamente penso che Gesù non aspettasse altro, per ribadire la verità già rivelata: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Per Gesù ogni occasione è buona per ridire il vangelo del Padre, la buona notizia: “Il Padre mio vi ama!”. Non possiamo ridurre Gesù a uomo straordinario, a grande riformatore sociale, a eroe senza macchia e senza paura, magari con qualche spanna in più rispetto alla media aritmetica ponderata tra Robin Hood e Masaniello: un Gesù senza Padre, una sorta di “orfano” di Dio, sarebbe irriconoscibile. Dunque – sembra dire Gesù – guardami, Filippo: eccolo il Padre. E’ qui accanto a te, e ti sfiora e ti parla. E tu lo puoi vedere, toccare, ne puoi sentire il battito del cuore, come lo ha sentito Giovanni. E tu lo puoi abbracciare e baciare, come farà Giuda al Getsemani. No, Filippo, non aspettarti una rivelazione grandiosa, come le antiche teofanie, tra fulmini e saette: ormai Dio non è più in mezzo a fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta. Filippo, eccolo il Padre: ha la mia faccia, la mia voce; ha il mio respiro, il mio cuore. Dio non è un sole pallido da cercare tra sperdute regioni astrali: è qui, ha il passo dell’uomo per camminare con ogni uomo. Non temere, Filippo: Dio “non vuole essere tanto Signore, quanto Padre. Cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato non dalla morte, ma dall’amore” (S. Pietro Crisologo, Disc. 108; PL 52,499s.). Dio è Padre, è l’Abbà forte e tenero di Gesù di Nazaret, il nostro Babbo grande e vicino, a noi intimo, più del nostro intimo. “Padre” non è un titolo tra i vari possibili, che le nostre povere parole incerte e balbettanti gli possano attribuire: è il suo nome proprio. Egli è solamente, interamente, perennemente Padre. E’ solamente Padre: un padre umano è lui stesso figlio di qualcuno, mentre Dio Padre è il Genitore-ingenerato: la domanda “chi c’era prima di lui?” è una sgrammaticatura teologica. Egli è interamente Padre: un padre umano è anche sposo, fratello, amico, e poi è un lavoratore o un pensionato, un artista o un artigiano, uno sportivo o un tifoso ecc. Lui, no: padre è la sua qualifica essenziale, integrale, esclusiva. E permanente: un padre umano lo diventa a un certo punto della sua vita. Dio non diventa, ma è Padre: lo è da sempre e per sempre. Così è fatto Dio, ci dice Gesù; Dio è fatto d’amore. In Dio c’è il Padre, l’Origine di tutto senza essere originato da nulla. E il Figlio Gesù è la sua Immagine unica, fedele, perfetta. E poiché Dio è Amore, il Padre è l’Origine dell’Amore, di cui il Figlio è l’Immagine, lo Spirito Santo è l’Amore dell’Immagine e dell’Origine, l’infinito scambio di un dono infinito. 3. Hai ragione, Filippo, in questo hai pienamente ragione: il Padre ci basta! Ma allora non resta che fidarsi e affidarsi a Lui. Se hai la sorte di sentirti amato dall’Amore, se hai la fortuna di credere di essere preceduto e atteso da un Padre che ha contato perfino i capelli del tuo capo, se hai ricevuto la grazia di avvertire che la tua esistenza è sorretta dalle sue mani sicure e di percepire che Egli, il creatore onnipotente delle sconfinate moltitudini dei mondi che popolano l’universo, ti pensa, ti segue e ha tracciato una strada appositamente per te, allora come fai a non fidarti? Come puoi pensare che esista qualcosa di più giusto e di più utile per te dell’accettare e fare la sua volontà? Colui che sa far funzionare l’universo, non sarà forse in grado di far andare bene anche la tua vita? Questo atteggiamento di fiducia previa è talmente centrale da costituire un punto discriminante con la mentalità laico-razionalista. L’uomo mosso dalla sola ragione opera una critica implacabile contro l’idea stessa di un piano di Dio. L’uomo si autorealizza senza Dio: questo è il dogma del razionalismo. O l’alienazione della fede o l’emancipazione della ragione: tertium non datur, affermava la modernità, ovviamente optando per la ragione. Ma oggi sono gli stessi laici a sfatare quel mito. In un grande quotidiano dell’altro ieri, un maitre-à-penser della cultura laica affermava: “Ogni giorno che passa, il rapporto tra modernità e felicità diventa più ambiguo; troppo spesso ogni nesso tra le due sembra svanire e apparire inesistente” (E. Galli Della Loggia, Il Corriere della sera, 21.4.’05). E’ tremendamente vero: l’autorealizzazione dell’uomo è la sua autodistruzione. Già De Lubac nel più drammatico Natale del Novecento, quello del ’43, scriveva: “Non è poi vero che l’uomo sia incapace di organizzare la terra contro Dio. Ma ciò che è vero è che, senza Dio, egli non può alla fin fine che organizzarla contro l’uomo” (Il dramma dell’umanesimo ateo). Oggi gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti non solo di parlare di Dio, ma in certo senso di farlo loro vedere. Mostrare il volto di un Padre affidabile è possibile solo a chi crede, cioè a chi ha il volto e il cuore di uno che si fida di e si affida a Cristo: “Amen amen, dico a voi: chi crede in me, farà le opere che io faccio e ne farà di più grandi” (v. 12). Le opere buone che compiremo saranno viste dagli uomini, che renderanno gloria non a noi, ma al Padre che è nei cieli (cfr. Mt 5,16). E saranno opere più grandi di quelle di Gesù da solo: certamente noi non sfameremo le folle, non guariremo i lebbrosi e non risusciteremo i morti, ma la vite che è Cristo, porterà molto più frutto attraverso noi, suoi tralci, che senza. Rendere il Padre affidabile agli occhi di molti, al cuore di tutti: questo è il compito che la Chiesa ci ha affidato e che papa Benedetto – ne siamo sicuri - oggi ci rinnova. + F.L.