Forum Mondiale dei Giovani – Trieste, 4

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Forum Mondiale dei Giovani – Trieste, 4-6 ottobre 2013
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Essere cittadino nella città globale: nuovi doveri, nuovi diritti, nuovo impegno”
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Biblion: la conoscenza come bene globale
A cura di Maria Francesca Casamassima
Buongiorno a tutti cari amici intervenuti! Sono Maria Francesca Casamassima, ho 27 anni e
vengo da Corato, un paese della Puglia in provincia di Bari.
Ho chiesto di partecipare al Forum Mondiale dei Giovani con l’idea che una piccola goccia di
inchiostro, come quella che andrò ad esporvi, può contribuire ad alimentare la riflessione
personale e il dibattito comunitario che in questi giorni ci vedranno attivi protagonisti. Il mio
intervento, in particolare, richiama un tema a me caro ed importante per il futuro dell’odierno
sistema globale affinché, nella diffusione del concetto di nuova cittadinanza, possa trovare
spazio anche la lettura e l’accesso alla conoscenza come modalità per un approccio
interculturale.
In biblioteca, infatti, la conoscenza si esprime nella capacità di accedere e far uso di saperi e
competenze per porli al servizio della comunità, alimentando il progresso sociale e culturale
della persona, in quanto titolare di diritti e doveri iscrivibili in un contesto relazionale e
solidale. La cultura, quindi, trova nei libri forma di solidarietà e di responsabilità sociale e
nella donazione la sua piena e totale efficacia. Da questo punto di vista, diversi sono gli esempi
che potrei considerare per esprimervi nel concreto ciò di cui vi sto parlando.
Un caso a me vicino è rappresentato dalla Biblioteca Comunale di Corato, nata dalla donazione
dei circa 4000 libri appartenuti a Matteo Renato Imbriani che, da biblioteca privata sono
divenuti fondo costitutivo di una biblioteca pubblica e patrimonio di tutti. Uomo politico del
Meridione, Matteo Renato Imbriani ha combattuto sin da giovane per la causa di unificazione
italiana e per le cosiddette “terre irredente”, facendosi promotore di un dibattitto culturale
che, attraverso la sua azione solidale nei confronti delle giovani generazioni coratine, ancora
oggi, avvicina ed unifica.
Più recente, invece, è il caso di Lampedusa dove sono giunte, fino al mese scorso, oltre 400
scatole contenenti migliaia di libri, provenienti da tutta Italia. I volumi sono stati donati da
cittadini privati, associazioni, case editrici, comuni, provincie e altre istituzioni, che hanno
accolto l’appello lanciato dal sindaco della città, Giusi Nicolini, per l’apertura di una biblioteca,
fino ad oggi inesistente sull’isola in quanto priva anche di una libreria. È nata così, nel giro di
brevissimo tempo, un’intensa mobilitazione sociale e culturale sostenuta dall’idea che leggere
apre le menti ed allarga i confini del mondo.
L’avvento della globalizzazione ha mutato la visione tradizionale di biblioteca che, secondo
una concezione consolidatasi nei millenni, la riteneva il deposito della memoria scritta
dell’umanità. Il termine biblioteca, infatti, trae origine dal greco bibliotheke, composto
dall’unione di biblion, che significa libro, e theke, che significa appunto teca, ripostiglio.
L’idea di biblioteca pubblica, nel senso comunemente inteso al giorno d’oggi, è nata nel
contesto della società industriale e, precisamente, nei paesi dell’area anglosassone, intorno
alla metà del XIX secolo. Considerata come un’infrastruttura funzionale allo sviluppo della
società, è solo nelle fasi storiche successive alle due guerre mondiali che si carica di valori che
vanno oltre le sue funzioni specificamente biblioteconomiche, per assumere intense
connotazioni politiche e sociali. Nel corso del XX secolo, infatti, graduale e costante è stato
l’affermarsi dell’idea di biblioteca pubblica come istituto della moderna democrazia
rappresentativa, poiché fondata sui principi della libertà di accesso all’informazione e della
parità di opportunità di crescita culturale per tutti gli individui. La sua identità si è plasmata
all’interno di un sistema di valori condivisi e garantiti formalmente sia dalla Dichiarazione
universale dei diritti umani del 1948 sia dalle Carte costituzionali delle democrazie
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Biblion: la conoscenza come bene globale” - A cura di Casamassima Maria Francesca
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Essere cittadino nella città globale: nuovi doveri, nuovi diritti, nuovo impegno”
occidentali, compresa la nostra Costituzione che all’art. 9 recita: La Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Questa visione così compatta e unitaria, è stata poi messa in discussione a partire dagli anni
Settanta, sull’onda di movimenti di pensiero che vedevano la funzione dell’integrazione
sociale non necessariamente positiva, anzi piuttosto riduttiva e strumentale. Queste
prospettive critiche hanno trovato espressione anche nei recenti dibattiti relativi ai servizi
multiculturali, dove si è sviluppata una contrapposizione tra una visione puramente
integratrice delle diverse culture e quella opposta, favorevole al policentrismo culturale.
In ogni caso, le caratteristiche di base della biblioteca pubblica sono strettamente ricollegabili
alle tematiche primarie della cittadinanza, in quanto la sua mission consiste nell’essere centro
di diffusione della conoscenza, finalizzato a garantire a tutti il libero, indiscriminato e
democratico accesso alla cultura e all’informazione. Ciò avviene attraverso la predisposizione
di servizi ed iniziative che sappiano accogliere lingue e culture differenti, garantendo il
riconoscimento delle diverse identità culturali. Essa poi sembra particolarmente adatta a
sostenere le politiche di interazione e di coesione sociale attraverso interventi culturali mirati,
capaci di renderla protagonista di una fitta rete di relazioni umane. In primo luogo, perché si
tratta di un’istituzione capillarmente diffusa, con una presenza significativa anche in territori
gravemente degradati. In secondo luogo perché è territorialmente radicata, concentrando la
propria azione nei confronti di un utenza locale. Infine, perché utilizza gli strumenti tipici
della diffusione della cultura e della conoscenza con finalità sia educative che artistiche.
A conferma delle esigenze interculturali emerse in questi ultimi decenni, l’edizione del 1994
del Manifesto dell’UNESCO per le biblioteche pubbliche, esordisce con la seguente dichiarazione
programmatica:
La biblioteca pubblica, via di accesso locale alla conoscenza, costituisce una condizione
essenziale per l’apprendimento permanente, per l’indipendenza nelle decisioni, per lo
sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali.
E continua affermando che:
La biblioteca pubblica è il centro informativo locale che rende prontamente disponibile
per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informazione. I servizi della biblioteca
pubblica sono forniti sulla base dell’uguaglianza di accesso per tutti, senza distinzione di
età, razza, sesso, religione, nazionalità, lingua o condizione sociale.
La dimensione etica e sociale del Manifesto è stata ulteriormente rinvigorita dalla Copenhagen
Declaration, cioè la Dichiarazione sulle biblioteche pubbliche redatta e sottoscritta il 15 ottobre
1999 nel corso della Conferenza Paneuropea sulle biblioteche pubbliche nell’era
dell’informazione.
In essa, le biblioteche vengono indicate come strumenti chiave per garantire l’accesso libero
all’informazione di qualità e il loro ruolo strategico viene polarizzato su quattro azioni
fondamentali:
- favorire l’esercizio della democrazia e della cittadinanza mediante le opportunità di
miglioramento della qualità della vita e le possibilità per tutti i cittadini di accedere
all’informazione di qualità;
- sostenere lo sviluppo economico e sociale;
- garantire l’apprendimento permanente (il lifelong learning);
- rafforzare l’identità culturale e linguistica, promuovendo azioni di integrazione
interculturale dei cittadini.
È chiaro che il legame tra le funzioni della biblioteca pubblica e le problematiche dell’attuale
società multiculturale è molto più stretto di quanto possa apparire a prima vista.
Come sostiene Marta Brunelli, la biblioteca è un istituto unico per la sua capacità di agire nel
senso della democratizzazione delle conoscenze attraverso l’erogazione di un servizio sviluppato
sempre più in molteplici direzioni e verso pubblici “altri” che emergono con tutte le loro
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problematiche di rischio, di vulnerabilità, di esclusione sociale. Una community che, attraverso
il web, è capace di condividere illimitatamente i suoi contenuti – ovunque e in qualunque
momento – ed interiorizzarli come fonti di apprendimento del sapere. Perché l’esclusione
sociale e culturale, oltre a generare emarginazione, pone un serio limite alla crescita
pluralistica della società e costituisce una minaccia per la convivenza pacifica.
Di conseguenza, anche attraverso la partecipazione volontaria di ciascuno di noi, possiamo
contribuire a migliorare l’azione delle biblioteche di pubblica lettura, aiutandole a
trasformarsi da semplici istituzioni in “agenti culturali che favoriscono la coesione sociale”,
avviando nel corso del tempo politiche economicamente sostenibili.
Nella cosiddetta società della conoscenza, la libertà, il benessere e lo sviluppo comunitario e
del singolo individuo sono valori umani fondamentali e potranno essere raggiunti solo
attraverso la capacità dei cittadini di esercitare i loro diritti e di compiere i loro doveri,
giocando un ruolo attivo nella società, nella consapevolezza di farsi promotori di un bene
globale.
La conoscenza come bene globale presuppone la facoltà di diffondersi ovunque liberamente,
come di un sapere comune custodito in una biblioteca senza pareti ed accessibile a chiunque
lo desideri per mezzo dell’avvento e dell’utilizzo delle risorse elettroniche.
Il contesto sociale in cui viviamo è intriso di molteplicità e complessità culturali, umane,
economiche, politiche ed ambientali che devono essere riconosciute come risorse
imprescindibili da mettere a disposizione di tutti, perché costituiscono l’originalità e la
ricchezza individuale di ogni persona e, soprattutto, per impedire che la diversità si trasformi
in diseguaglianza sociale e civile e, di conseguenza, in emarginazione.
Un rischio questo che oggi riguarda molte categorie di persone: dagli anziani ai migranti, dalle
donne ai minori, in un’ottica nuova e più allargata che sposta la condizione di “disabilità” dal
concetto di menomazione fisica a quello di svantaggio sociale. Disabilità provocata da quelle
barriere che sono i pregiudizi e le culture dell’esclusione, che impediscono una reale
partecipazione nella società su basi di uguaglianza in dignità e diritti per tutti.
È evidente, dunque, che la cultura del bene comune rappresenta la nuova sfida con cui deve
misurarsi l’impegno civile di ciascuno di noi nei prossimi anni. In questo obiettivo siamo tutti
coinvolti: famiglie, giovani, lavoratori e ovviamente istituzioni, pubbliche e private.
Il bene comune, però, non sempre corrisponde esattamente al bene pubblico, poiché
quest’ultimo è in qualche modo subordinato agli orientamenti economici e sociali del governo
in carica e della sua maggioranza di riferimento, e in alcuni casi può addirittura essere
alienato o modificato nei vincoli e nelle funzioni. Il bene comune, invece, rientra tra i diritti
fondamentali di ciascuno e di tutti, poiché consiste nell’insieme di quelle condizioni della vita
sociale che permettono ai gruppi come ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione
più pienamente e più speditamente. Per questo motivo, dovrebbe risultare accessibile,
indiscutibile e immodificabile.
Come l’acqua, anche la cultura non può essere declinata in chiave di possesso, di chi la compra
o di chi la taglia, ma rappresenta una forma di condivisione. Oltretutto, i teatri, i musei, le
associazioni e le biblioteche non sono solo un patrimonio collettivo, ma costituiscono anche lo
spazio in cui si alimenta o viene pregiudicata la capacità stessa di dare un valore a questo
patrimonio.
All’interno del bene comune poi, il bene culturale occupa un posto fondamentale, che va
condiviso, rispettato e tutelato, pena l’abdicazione del proprio essere uomini e cittadini. Ed è
indubbio che uno dei beni comuni fondamentali e imprescindibili per tutto il genere umano è
il libro, custode del sapere di ogni cultura, oggetto di venerazione e, di conseguenza, anche di
distruzione, per la paura che il suo enorme potere porta con sé. È nostro dovere morale,
quindi, proteggere questi beni dalle ingiurie del tempo, dall’uso improprio e dai danni
provocati dall’incuria umana, col fine di preservarli e trasmetterli alle future generazioni,
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“E
Essere cittadino nella città globale: nuovi doveri, nuovi diritti, nuovo impegno”
affinché continuino ad incentivare misure ed azioni di nuova cittadinanza, sempre più globale
e solidale.
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