INDIALOGO
Nuova Umanità
XX (1998/2) 116, 319-326
LA VERITÀ, IL NULLA E IL RISCHIO DELLA LIBERTÀ CRISTIANA Cronaca di un dibattito tra Emanuele Severino e Piero Coda C'è qualcosa di profondamente vero nella convinzione greca
secondo cui l'origine del pensare la verità stia nel dialogo. Ci si
rende conto di questo quando si ha la fortuna di vivere un evento
come quello che ha raccolto più di quattrocento persone ad Alba,
domenica 23 novembre 1997, per ascoltare un intero giorno di
confronto pubblico tra Piero Coda e Emanuele Severino su un te­
ma tutt'altro che facile: «La verità e il nulla: il rischio della li­
bertà».
Un teologo cattolico e un filosofo non certo propenso a faci­
li accondiscendenze al proprio interlocutore si son trovati davanti
ed hanno dato vita ad un sincero confronto, dove si sono potuti
assaporare la fatica e gli orizzonti di novità di un pensare insieme
il significato di alcuni concetti che hanno guidato la civiltà occi­
dentale fin dall' antichità greca.
Proponiamo in questo articolo una breve sintesi della gior­
nata, anticipando che gli atti dell'intero confronto verranno pub­
blicati dall'Editrice San Paolo.
1. GRECIA ED OCCIDE\ìTE: LA VERITÀ COME STABILITÀ
Severino aprendo il dibattito ha ricordato che l'apparente
astrattezza di parole come libertà, nulla e libertà non deve trarre
in inganno. «Occorre diffidare - ha esordito il filosofo - di coloro
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La verità, il nulla e il rischio della libertà cristiana
che ritengono che vivere coi piedi per terra significhi prescindere
dai significati dominanti come essere, verità, libertà. Ogni civiltà
infatti compie le proprie opere alla luce di ciò che pensa della pa­
rola "essere", perché è in relazione a ciò che pensiamo dell'essere
cosa delle cose che viviamo, decidiamo agiamo».
Questa imprescindibilità non si traduce certo in una situa­
zione di tranquilla condivisione del valore da attribuire a questi
significati. L'interloquire di un pensiero come quello di Severino,
tutto proteso ad una fedeltà alla struttura originaria messa in
campo dalla filosofia greca per risolvere i nodi dell'interrogarsi
umano sulla verità e di una teologia come quella di Coda, fedele
all'originale apporto cristiano a questo problema, hanno reso evi­
dente come le prospettive siano molteplici, ma non per questo
costrette alla radicale incomunicabilità.
Severino ha dichiarato fin da subito il significato che attribui­
va al termine verità dando una coordinata di riferimento intorno a
cui si è costruito tutto il dialogo. «Non è certo il caso di compulsa­
re Heidegger - ha detto - per sapere che il termine con cui il mon­
do greco indica la verità, e cioè il termine "aletheia", appare co­
struito con la parola "lethes", che significa "oblio", preceduta da
un'alfa privativa che funge da negazione del termine stesso che pre­
cede. Un semplice vocabolario di greco ci consentirà di compren­
dere che, in questo specifico ambito linguistico, parlare di verità si­
gnifica parlare di "non-nascondimento" e che dunque il contenuto
del termine verità sia il "non-latente". Ora, quando il greco pensa
all'" aletheia", ha la chiara percezione che questo disvelamento non
disvela un contenuto qualsiasi, ma un contenuto che invece non
può essere smosso, scosso, negato. La lingua greca ha a disposizio­
ne una parola formidabile per indicare questa stabilità: la parola
"episteme" che significa "ciò che nel disvelamento si manifesta co­
me stante e imponentesi su ("epi") ciò che vorrebbe scuoterlo,
smentirlo, metterlo in discussione". Se dunque vogliamo restituire
alla parla greca "aletheia" il suo autentico significato dobbiamo di­
re che per il greco la verità è pensata come la manifestazione
dell'innegabile, o in altri termini, il disvelarsi dello stante».
I Greci evocando questo senso della parola verità delineano,
secondo Severino, un significato che si conserverà a lungo, ben
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oltre l'antichità. Nel dialogo tra filosofia e teologia, tra filosofia e
cristianesimo è quindi necessario pensare questo innestarsi del
cristianesimo sull'antologia greca. «Al riguardo - ha spiegato il
filosofo - penso possa essere utile e chiarificante utilizzare una
metafora che mi è cara. li greco è colui che prepara la scacchiera
su cui saranno giocati tutti i giochi dell'Occidente. È chiaro che
l'inventore della scacchiera non prevede tutti i giochi e quindi
non può prevedere nemmeno il grande gioco del cristianesimo
che su quella scacchiera verrà giocato. Tuttavia sia il grande gioco
cristiano, sia tutti gli altri giochi grandi e piccoli della civiltà occi­
dentale saranno giocati proprio su quella schacchiera che il greco
ha inventato e con quelle regole che il greco ha elaborato».
A questa scacchiera fanno riferimento - secondo Severino ­
pur con la dovuta articolazione, i temi fondamentali della visione
del mondo cristiana e lo stesso concetto di fede che sorregge la vi­
ta del cristiano è secondo questa interpretazione ancorata all'idea
della verità come innegabile. Se si interroga un credente sulla for­
ma del suo credere si deve convenire che quando egli crede, pro­
prio perché crede davvero, non ha più dubbi. E che cosa vuoI di­
re non avere dubbi?
«VuoI dire - risponde Severino - che ciò in cui il cristiano
crede attraverso il suo atto di fede si presenta come qualcosa che
non può essere negato. La fede del cristiano dunque, pur facendo
concretamente i conti con la diversa complessità della propria cul­
tura, viene configurandosi come un percorso in cui l'innegabilità
del contenuto di ciò in cui si crede avrà daccapo quei tratti dell'in­
negabile di cui parlavamo quando dicevamo che l'aletheia ha co­
me contenuto IIepisteme, ciò che è assolutamente indiscutibile».
2. PENSARE L'ORIGINALITÀ CRISTIANA
A fronte di questo completo inserimento dell'esperienza cri­
stiana nella grande scacchiera greca Coda ha fatto valere l'origi­
nalità della concezione biblico-cristiana della verità. «Reagendo
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La verità, il nulla e il rischio della libertà cristiana
alla metafora proposta dal prof. Severino - ha detto il teologo ­
mi preme immediatamente chiarire che la scacchiera sulla quale si
gioca il grande gioco del cristianesimo non mi sembra semplice­
mente riconducibile alla scacchiera elaborata dalla filosofia greca.
Certo, non si può negare il fatto che il rapporto tra la rivelazione
ebraico-cristiana e il pensiero greco sia profondamente intenso, e,
per certi versi, addirittura indisgiungibile. Nello stesso tempo
però la relazione tra questi due ambiti di esperienza e di pensiero
appare anche drammatica, in quanto la prospettiva ebraico-cri­
stiana, evidentemente determinata dalla pretesa di definitività
della rivelazione cristologica, si rapporta al pensiero greco riven­
dicando una sua specifica originalità».
Coda ha poi delineato la concezione cristiana della verità
mostrando come filosofia greca e pensiero cristiano si collochino
all'interno della più originaria percezione del senso che è l' "espe­
rienza religiosa" del mistero. Questa antecendenza evidenzia una
forma di rapporto con i significati fondamentali dell'Occidente
che, seppur priva di esplicitatezza argomentativa ed epistemica,
offre all'uomo una percezione profonda del senso ed un compito
decisivo di cura di sé, di cura dell'altro e di cura del mondo. «È
solo all'interno della generale esperienza religiosa che può essere
colta l'originalità ebraico-cristiana, tenendo in conto - ha sottoli­
neato Coda - che l'incontro di essa con la tradizione greca si è
spesso tradotto in una riduzione intellettualistica del concetto di
esperienza proprio della rivelazione ebraico-cristiana».
Molti sono gli aspetti che il teologo cristiano può elencare
per esibire questa originalità. Tra gli altri Coda si è soffermato
sull'uso della parola "Abbà" fatto da Gesù nei confronti di Dio. Il
prof. Severino nella conclusione del suo ultimo libro-intervista
dal titolo La follia dell'Angelo ha scritto una pagina luminosa nel­
la quale può sottolineare giustamente che c'è una parola che da
una parte evidenzia l'appartenenza di Gesù alla parabola del pen­
siero greco, almeno per certi versi, mentre dall' altra segnala inve­
ce un'alterità rispetto all'ambito di pensiero in questione: la paro­
la "Padre", "Abbà". Da una parte, questa parola mette in luce la
relazione dell' evento della fede singolare di Gesù con la tradizio­
ne greca (e più in generale con l'universale esperienza religiosa),
La verità, il nulla e il rischio della libertà cristiana
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rimandando anche - se vogliamo - al problema del fondamento
espresso dai Greci come episteme (secondo l'interpretazione del
prof. Severino). In Gesù, tuttavia, la parola Padre dice anche
qualcosa di profondamente diverso: dice cioè il compimento di
un'esperienza di alleanza e di liberazione che viene da Dio e ri­
chiama il senso radicale di quella che la tradizione veterotesta­
mentaria chiama" creazione", un compimento che si esprime co­
me relazione di "figlità", come "essere figlio" di Gesù nei con­
fronti di Dio.
Nella figura dell'essere figlio si apre una prospettiva diversa
per esprimere il rapporto tra uomo e Dio, tra uomo e verità. È
pur vero che l'esser figlio di Gesù significa che Cristo si percepi­
sce come colui che è donato a sé dalla Verità il cui volto autentico
è quello del Padre, ma nello stesso tempo anche come colui che
in libertà è chiamato a rispondere a questo dono. Accanto alla
stabilità dell' episteme si prospetta una diversa struttura originaria,
dove la verità è inscindibilmente legata alla libertà nel rapporto di
prossimità/distinzione tra Padre e Figlio. «Sarà dunque questa
struttura - ha affermato Coda - che, pensata come originale,
verrà espressa e precisata dalla tradizione cristiana successiva co­
me struttura trinitaria: una struttura cioè che evidenzia una rela­
zione di esser uno nella distinzione (in quanto amore). Ed è pro­
prio per questa relazione di unità nella distinzione che, come scri­
ve il Vangelo di Giovanni, Gesù può dire "lo sono la via, la verità
e la vita" e rivolto ai suoi discepoli: "Conoscerete la verità e la ve­
rità vi farà liberi "».
Al discorso di Coda Severino ha reagito concentrando la sua
attenzione sul chiarimento del significato della fede. Avere fede ­
ha insistito il filosofo dell'Università di Venezia - non significa li­
beramente scegliere una verità che potrebbe anche essere differen­
te da quella che si crede essere vera, ma piuttosto ritenere vera una
verità nei termini di un "argumentum non apparentium", vale a di­
re pretendere per la verità in cui si crede la stabile ragionevolezza
(argumentum), pur trattandosi di cose che non si vedono (non ap­
parentium). Intorno a questo punto si raccolgono, secondo Severi­
no, anche le differenze tra fede cristiana e episteme greca, differen­
ze che rendono però preferibile la seconda alla prima, perché 1'epi­
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La verità, il nulla e il rischio della libertà cristiana
steme non ha soltanto la pretesa di "stare", bensì possiede la ca­
pacità di mostrare per quali motivi lo stante dice "io sto".
3. IL RISCHIO DELLA LIBERTÀ:
L'OCCIDENTE TRA SALVEZZA E NICHILISMO
La riconducibilità del Cristianesimo alla scacchiera greca se­
condo Severino trascina l'esperienza di Gesù nello stesso gorgo di
problemi in cui è risucchiata l'ontologia greca e la condanna alla
stessa ineludibile deriva. «li grande senso della verità aperto dai
greci e fatto proprio dal cristianesimo appare destinato al falli­
mento. Se esiste uno stante, un immutabile non può esistere ciò
di cui la tradizione occidentale è convinta: il divenire delle cose, il
loro oscillare - come dice Platone - tra l'essere e il nulla. Se esiste
l'eterno non possiamo esistere noi nella dimensione concreta del­
la nostra vita. Questo è la Stimmung della contemporaneità, que­
sto è il transito, su cui oggi a mio avviso si riflette troppo poco,
dalla tradizione occidentale ad un modo di pensare che vuoI sal­
vare ciò che per tutti noi, abitatori dell'Occidente, è indiscutibile:
il divenire, la temporalità, la fugacità, la nullità delle cose contese
come sono tra l'essere e il nulla». Tanto grande è la forza di attra­
zione del nulla che non vi sfugge neanche l'esperienza ebraico cri­
stiana. Se Dio crea dal nulla - ha concluso Severino -le cose sono
per sempre segnate dal nulla nella loro creaturalità.
«La creazione dal nulla - ha risposto Coda - non è sempli­
cemente la nascita dal nulla e un poter andare verso il nulla, ma
piuttosto un riceversi dall' atto gratuito di Dio che ci fa essere e la
possibilità di donarsi a lui. Questa comprensione profonda non
può essere intesa - in tutta la sua originalità - se non alla luce
dell'evento cristologico che ci dischiude il mistero trinitario: dove
il Padre riversa eternamente, non trattenendo nulla per sé, il suo
Essere nel Figlio, e viceversa. li divenire non è negato, ma Dio
stesso - in certo modo - è divenire nella sua eternità in quanto è
Amore, è dar-Si/ricerver-Si: come hanno sottolineato importanti
La verità, il nulla e Il rùchio della libertà cristiana
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rappresentanti della teologia contemporanea, si pensi a H.V. von
Balthasar e a E. Jiingel».
«Credere in Gesù - ha continuato Coda - è riconoscere in
Lui l'opera, anzi, l'essere del Padre ("lo e il Padre siamo uno"),
come testimonianza della verità di Dio offerta alla libertà dell'uo­
mo. Come bene ha intuito D. Bonhoffer, di fronte al Dio di Gesù
Cristo e alla sua verità il correlativo umano dell'evento rivelativo
non è tanto e solo un atto individuale, ma una nuova sfera di co­
noscenza e di prassi in cui l'uomo è/diventa libertà nella storia: la
sfera dell' esistenza in relazione sociale».
L'introduzione del tema del divenire in Dio e della libertà
come dedizione personale da parte di Coda ha provocato il di­
scorso di Severino, chiaramente impegnato a difendere la forma
necessaria della verità come «episteme". Secondo il filosofo non
esiste la possibilità di parlare di divenire in Dio perché se ci si ac­
corda sul fatto che la cosa in quanto cosa è impossibile che non
sia, parlare di un Dio come divenire eterno significa semplice­
mente eternizzare l'assurdo. Anche da un punto di vista cristiano
si deve pensare un Dio eterno.
«Noi stiamo andando verso un mondo - ha detto Severino­
nel quale le fedi sono destinate ad essere molte. li mondo non è
ovattato, il mondo è aspro e crudele e ci manda incontro le pro­
prie fedi che spesso sono lontanissime dalla fede cristiana. Né una
maggiore vicinanza è garantita dal fatto che queste fedi si ancori­
no alla fine nel terreno di quella che Coda ha chiamato "esperien­
za religiosa". Temo che la teologia cristiana e la teologia cattolica
in particolare finiscano in questa specifica situazione col non es­
sere in grado di presentare un discorso capace di reggere il con­
fronto con le altre fedi».
«Nella mia riflessione - ha concluso Severino - non ho mai
utilizzato la parola libertà. Il prof. Coda ha usato il termine li­
bertà nel suo significato di libero arbitrio, io credo che si possa
parlare di libertà soltanto in termini di liberazione dagli eterni e
dagli immutabili, e la vicenda della libertà come liberazione costi­
tuisce di fatto la storia dell'uomo moderno e della modernità.
Ora, la libertà pensata come liberazione dall'eterno mette in cam­
po come suo specifico esito uno scontro tra fedi che vedrà la più
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La verità, il nulla e il rischio della libertà cristiana
potente di esse dichiarata vincente rispetto alle altre, e la situazio­
ne non si risolve ricorrendo al libero arbitrio della decisione per­
ché il libero arbitrio è un'idea della ragione e non un dato ogget­
tivo eSl?eribile».
«E un topos della stessa tradizione cattolica - ha detto Coda
in conclusione dell'incontro - la contrapposizione tra eternità e
divenire, tra verità e libertà. Ma la verità nella sua costituzione
originaria è relazione alla libertà, incontro delle libertà (di Dio e
dell'uomo) e non incontrovertibilità. Ciò che allora occorre seria­
mente pensare non è la possibilità della libertà, ma il fatto che se
la libertà è data nell'atto gratuito della figlità, nello stesso tempo è
data la possibilità del suo scacco. Questo è il vero nulla: che la li­
bertà si ritiri, si sottragga alla relazione, imploda nichilisticamente
in se stessa. Il Dio cristiano non è l'eterno che annichila l'esistente
che ha creato. È l'esistente che può fallire. L'esperienza dell'ab­
bandono di Cristo sulla croce mostra come il Figlio venuto nella
carne sia l'evento della dedizione di Dio che assume in sé lo scac­
co stesso della libertà umana per salvarla».
Il dialogo -l'hanno auspicato sia i protagonisti sia i numero­
si e attenti partecipanti - può di qui proseguire.
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