Pergolesi in Mirrorshades: musica e tempo, mito e destino nel “Gianni” di Robert Silverberg1 di Marco Lauri, Università la Sapienza di Roma “ Ὀν οἰ θεοί φιλούσιν ἀποθνήσκει νέος ” “ Muore giovane chi è caro agli dei ” Menandro Musica e Fantascienza. In secoli ormai passati, la musica, disciplina del “quadrivio” medievale, era considerata, nella sua componente teoretica, una conoscenza “scientifica”; parte delle matematiche più che delle arti, intesa come studio del numero in movimento, secondo la celebre definizione di Boezio. Tale collocazione, mai comunque del tutto salda, è quasi scomparsa dopo l'epoca di Bach e Rameau, e già prima del Romanticismo l'Occidente ha decisamente collocato la musica tra le discipline artistiche, il cui valore si spende sul piano pratico ed estetico. In questo senso, la musica segue un percorso per molti aspetti inverso a quello della storia, che da genere letterario che descriveva il fatto vero, qual'era nel mondo classico, andrà sviluppando caratteristiche di sapere critico e di vera e propria scienza nello scorcio tra Sei e Settecento; mutamento a cui non sono estranei personaggi, come Leibniz, che erano impegnati anche sul fronte scientifico della teoria musicale (era ad esempio in corrispondenza con Bach). L'antica idea filosofica, già suggerita da Pitagora, che la musica esprimesse l'armonia del Cosmo, non è scomparsa dal pensiero occidentale, ma ha quasi del tutto smesso di far parte della comprensione scientifica dell'Universo con il successo del meccanicismo newtoniano. Va detto tuttavia che questa concezione armonica e cosmologica non è stata né unica né sempre dominante, e che in ogni caso tendeva ad emarginare la concreta pratica vocale e strumentale. La “musica delle sfere” è rimasta una ricchissima metafora, ma non è più vista come una realtà del mondo come lo conosciamo. Né, del resto, lo sono le sfere stesse, nel significato originario, astronomico, dell'espressione. D'altra parte, se alla teoria musicale e all'armonia si dava la più alta importanza teorica e cosmica, la pratica musicale era vista con un certo sospetto o perlomeno senza esaltazione, e i suoi effetti di tipo estetico ed emotivo sull'uditore, fin da Platone, appaiono pericolosi e destabilizzanti al punto di 1 Desidero ringraziare il maestro Andrea Strappa per i suggerimenti bibliografici e per avermi messo a disposizione le sue conoscenze di storia della musica, il personale della biblioteca comunale “Romolo Spezioli”per la disponibilità e la gentilezza, Luca Simoni per le discussioni di estetica della musica, e soprattutto la dottoressa Roberta Amato, senza la quale nessuna fase di questo lavoro non sarebbe stato possibile. giustificarne accurate censure, discusse in dettaglio nei libri terzo e decimo della Repubblica. Nella storia della sua elaborazione in Occidente, la musica ha spesso occupato, e in parte occupa ancora oggi, territori di frontiera nella mappa delle conoscenze, confinando di volta in volta con le scienze, le matematiche, le arti retoriche o le belle arti. Suggerisco qui, senza pretendere di dimostrarlo, che questo stato anfibio rappresenti un possibile momento di congiunzione tra la musica e la fantascienza, genere che pure, in maniera completamente diversa, si misura con il piano scientifico oltre che con quello estetico. Quello che è certo è che la fantascienza si è occupata di musica spesso, volentieri e in molti modi. E' scontato che gli autori di fantascienza, nel descrivere i loro futuri, o i loro Altrove, immaginari, ne possano sviluppare o almeno accennare le forme artistiche. Per la mia esperienza di lettore, è molto più frequente che siano descritte arti performative piuttosto che figurative, e la musica in particolare occupa un posto di assoluta rilevanza. La musica nella fantascienza di lingua inglese (la sola che conosca abbastanza dettagliatamente per poter fare affermazioni generali) costituisce un soggetto frequente, dalle trattazioni molteplici e con risvolti metaforici abbondanti, meritevoli probabilmente di analisi più accurate. Difficile dire quanto questo rilievo provenga da antichi pitagorismi e quadrivi, dall'essere stata la musica stessa una matematica ed una scienza, cosa che pittura e poesia non furono, in Occidente, mai. Questa è tuttavia l'unica ragione che mi venga in mente. La stessa idea pitagorica della musica del cosmo e delle sfere è ben presente ad alcuni scrittori di fantascienza. Ursula K. LeGuin, nel suo capolavoro The Dispossessed (1974), descrive una razza aliena umanoide, i Cetiani, per i quali la musica, anche la musica concretamente composta ed eseguita, è sempre una branca della matematica, o comunque uno strumento di comprensione scientifica della realtà fisica, e le “Armonie” suscitano su di essi un effetto sia intellettuale che estetico. Robert Silverberg stesso, di cui ci si occuperà più avanti, ha riproposto il concetto di musica delle sfere nella parte finale del suo Starborne (1996). In termini meno diretti, la musica delle sfere riaffiora anche forse, ad esempio nel “Vuoto che Lega” dell'Endymion di Dan Simmons; il bel racconto Blood Music di Greg Bear, non parla della musica come arte, ma di quelli potrebbero essere definiti rapporti tra microcosmo e macrocosmo. Si potrebbe ipotizzare un'eco pitagorica, boeziana, o forse perfino ermetica, non so quanto consapevole, nell'uso della “musica” come metafora-chiave di questi rapporti. In alcuni casi le musiche sono immaginate come strumento di comunicazione tra intelligenze aliene, come nel film Incontri Ravvicinati di Terzo Tipo, o nella parte de La Nuvola Nera di Fred Hoyle in cui gli umani trasmettono ad una nube cosmica senziente della musica di Beethoven. Anche qui la musica si pretenderebbe universale, perché universale ne sarebbe la fondazione matematica; ma in altri casi, come nel breve racconto in Blind! di Isaac Asimov, la differenza negli organi di senso impedisce di condividere certe sensazioni, mentre il loro valore estetico, in questo breve lavoro, resta comune a terrestri ed alieni. Molti scrittori di fantascienza, nell'immaginare società aliene o future, ne hanno descritto, se non la musica, gli atteggiamenti culturali verso la musica. In un altro romanzo di U.K. Le Guin, The Word for World is Forest, ad un gruppo di alieni umanoidi è attribuita la pratica della gara di canto rituale per incanalare la competizione, un uso peraltro attestato sulla nostra Terra tra gli Inuit, come la Le Guin, figlia del noto antropologo Alfred Kroeber, certamente sapeva. Più raramente, la musica è stata mezzo espressivo della fantascienza; l'esempio più significativo, vista l'importanza dei nomi coinvolti, sono le opere composte da Philip Glass su libretti Doris Lessing. Per l'Italia si potrebbe citare la popolare canzone di Eugenio Finardi, Extraterrestre, che è in effetti un breve racconto di fantascienza messo in versi e musica, o quella di Franco Battiato, Via Lattea. Vengo infine (trascurando molte altre possibilità) alle categorie che interessano più da vicino il mio discorso: quella parte della fantascienza che si occupa delle musiche, o dei musicisti, del futuro; un sottogenere relativamente ricco in cui segnalo due racconti significativi. The Tunesmith (Il Melodista, 1957) di Lloyd Biggle jr. è la storia di un musicista di genio, dal significativo nome di Erlin Baque (cioè Bach) che vive in un mondo dove la musica è stata privata di qualsiasi significato estetico, artistico, o cognitivo, per ridursi ad accompagnamento pubblicitario cantato. La situazione iniziale presenta quello che chiamerei il Brave New World dell'estetica musicale. Baque riesce a restituire la musica all'arte, e anche a quella potenza (l'ethos greco o gli affetti della teoria rinascimentale) che una antica tradizione le attribuiva, di scatenare o istradare le passioni dell'ascoltatore; ma nel farlo si scontra contro potenti interessi economici e subisce anni di lavori forzati su un satellite di Giove. Al suo ritorno sulla Terra, grazie anche a lui, esistono di nuovo sale da concerti, musicisti veri, e un pubblico in grado di apprezzarli. Ma lui è diventato sordo. Difficile non vedere in questa conclusione un richiamo a Beethoven. A Work of Art (Un'opera d'arte, 1956) di James Blish, è un'affascinante riflessione sul significato dell'arte e il lavoro dell'artista. Il protagonista è un redivivo Richard Strauss (o meglio, quel che al lettore appare tale) “reincarnato” nel ventiduesimo secolo grazie ad una nuova, inquietante, arte tecnologica, la “scultura della mente”; sono dunque due le arti che si confrontano in questo bel racconto, la musica di Strauss e la “scultura della mente” del faustiano dottor Kris che lo fa “rinascere”, ma che non può replicare il suo genio. E' interessante notare la somiglianza tra la situazione del “nuovo” Strauss in Blish e quella che secondo Adorno 2 è stata la condizione storica 2 Adorno 1962: 88-89 del compositore; del resto, la “distopia musicale” presentata nel Melodista sembra ricordare da vicino le teorie critiche di Adorno sul ruolo della musica nella società capitalista. Entrambi i racconti precedono di alcuni anni le lezioni del 1962 che avrebbero formato Introduzione alla sociologia della musica, ed erano apparsi su riviste specializzate di fantascienza relativamente poco note; in mancanza di qualsiasi altro dato non posso che considerare tali somiglianze delle semplici coincidenze, sebbene Adorno si trovasse all'epoca negli Stati Uniti. A mia conoscenza, A Work of Art è il primo testo di fantascienza in cui viene affrontata la possibilità di riportare “in vita”, nel futuro, un musicista del passato; sebbene questo non accada in questo caso tramite il “classico” strumento del viaggio nel tempo ma per mezzo di una raffinata manipolazione mentale ipnotica, che potrebbe sembrare una negromanzia tecnologica. Gli altri testi importanti di questo tipo usano invece il vero e proprio viaggio nel tempo. L'importanza di questo elemento per tutto il genere fantascientifico, che per alcuni, tra cui chi scrive, nasce proprio con The Time Machine di H.G. Wells (1895),3 è notoria; gli autori di fantascienza hanno speculato su una enorme varietà di implicazioni e modalità di esso, tra le quali l'eventualità appunto di riportare nel presente/futuro individui del passato, più o meno importanti, è ampiamente sfruttata per la ricchezza di opzioni narrative, non di rado comiche, che offre. In un breve racconto di Asimov, The Immortal Bard, Shakespeare viene portato in incognito nel ventesimo secolo e bocciato ad un esame universitario di letteratura inglese. Oltre al citato A Work of Art, esistono due lavori di fantascienza in lingua inglese a me noti, entrambi provenienti dagli Stati Uniti degli anni Ottanta, il cui centro narrativo è la possibilità di portare nel futuro musicisti del diciottesimo secolo: i due musicisti sono Mozart e Pergolesi. Se la scelta di Mozart, nel racconto Mozart in Mirrorshades di Bruce Sterling è piuttosto comprensibile (se ne accennerà più oltre), quella di Pergolesi potrebbe destare qualche sorpresa. Finora ci si è confrontati infatti con compositori di ben maggiore notorietà globale. Gianni Gianni è un racconto di fantascienza di Robert Silverberg, uscito per la prima volta su Playboy nel 1982 e poi ripubblicato, in una versione modificata, nell'antologia The Conglomeroid Cocktail Party del 1984. Robert Silverberg è un personaggio di tutto rispetto nel panorama fantascientifico americano, sia come autore, assai prolifico, che come curatore e saggista. Il racconto, pubblicato in due versioni con differenti narratori, 4 (in una Dave Leavis, nella seconda 3 È ad esempio la posizione di Sergio Solmi, e, relativamente alla fantascienza moderna, anche di Darko Suvin. Va tuttavia osservato che alcune “macchine del tempo” appaiono in opere precedenti. 4 Si farà qui riferimento riferimento alla versione originale uscita su Playboy, disponibile per il lettore italiano in “La fantascienza di Playboy” a cura di Alice Turner, vol. II. Sam Hoaglund) narra la rinascita di Gian Battista Pergolesi nella California all'inizio del Ventunesimo Secolo, resa possibile da uno strumento chiamato “cronodraga” che consente di prelevare oggetti dal passato e trasferirli nel presente. Si tratta di un topos fantascientifico non raro, e lo stesso Silverberg ne ha fatto uso in altre opere. E' significativo sottolineare che la cronodraga, in Gianni, è uno strumento sperimentale, e Pergolesi è quindi il primo personaggio di rilevo ad essere portato nel futuro dal gruppo di sperimentatori, che operano in privato e con scarsa pubblicità. Perché Pergolesi? In fondo, non si tratta di un artista le cui importanza e notorietà, specialmente negli Stati Uniti, siano tali da giustificarne la priorità assoluta. Il racconto si apre con Sam Hoaglund che chiede al narratore (Dave Leavis): “perché non Mozart?”. Verrebbe da pensare che Sterling, quando scriverà Mozart in Mirrorshades pochi anni dopo, stia rispondendo al suggerimento implicito in questa domanda. La domanda prosegue, dopo aver nominato altri musicisti che sarebbe stato interessante riportare nel futuro “E alla gente interessa ancora Pergolesi nel 2008? […] Mozart sarebbe stato una pubblicità migliore […] Pergolesi è completamente dimenticato, ormai”. Ovviamente Pergolesi non è completamente dimenticato, specialmente non in Italia, ma la risposta che Silverberg fornisce per tramite di Leavis è diversa: “Spiegami perché avremmo dovuto dare a Mozart una seconda possibilità. Sarà anche morto giovane, ma se ci pensi non era poi così giovane, e aveva fatto il suo lavoro. Gianni [Pergolesi] aveva 26 anni quand'è morto. Avrebbe potuto diventare più famoso di Mozart, se solo avesse avuto un'altra decina d'anni”. Il confronto con Mozart riapparirà poco più avanti nel racconto, quando Pergolesi, che sta studiando la cultura musicale del futuro, ascolterà la sua musica ed esclama “E' meraviglioso! […] nessuno dovrebbe comporre così, nessuno, se non Pergolesi! […] Questo Figaro del 1786... avrei potuto scriverlo io, vent'anni prima!”. Già nelle prime pagine, emergono alcune coordinate della figura pergolesiana scelta e dipinta da Silverberg; a prescindere dal personale gusto musicale, e dal possibile interesse nel far scoprire al pubblico americano un compositore relativamente poco noto, sembrerebbe che Silverberg, come il suo narratore, abbia scelto Pergolesi anche per alcune componenti del mito pergolesiano. Pergolesi genio, Pergolesi morto giovanissimo e prima di poter compiere la sua opera, e come apparirà ben presto, Pergolesi artista sregolato e megalomane, secondo una concezione romantica di discutibile storicità. Un Pergolesi, insomma, dal destino tragicamente segnato, nel diciottesimo secolo come nel ventunesimo. Tale dimensione mitica si evidenzia nella descrizione del compositore offerta dal racconto: “un ometto minuto, aggraziato e delicato, con occhi profondi ed espressivi”. Questa immagine si fonda su una tradizione ritrattistica di origine pre-romantica che, come ha mostrato Degrada, è costruita dal mito pergolesiano più che dall'aspetto reale del compositore, peraltro scarsamente documentato. Pergolesi può aver interessato anche per una diversa ragione storica, che credo vada comunque vista in relazione al suo mito: la sua opera fu percepita, dopo la sua morte, come centrale nel cambiamento di paradigma musicale del tempo; nel racconto questo fatto viene sottolineato, mettendo apertamente in contrasto la (mitica) vita infelice e la gloria postuma dell'artista. Cito a questo proposito le parole elogiative del suo conterraneo e biografo, o se si vuole, mitografo, Giuseppe Fracassetti: “Pergolese il primo immaginò che gli strumenti oltre ad accompagnare la musica vocale l'avessero ad ornare con fregi opportuni, e servir potessero non solamente ad accrescere l'espressione delle parole, ma ad esprimere eziandío gli accidenti e le circostanze per avventura non bastassero ad ispiegare”.5 Parole che potrebbero essere dette ugualmente di Erlin Baque, il protagonista del già citato Melodista? Pergolesi ha certamente contribuito ad un certo affrancamento, sebbene relativo, della musica strumentale dal suo ruolo di accompagnamento delle parole, ma pur sempre in relazione con esse; Baque più radicale, si rivolta ad ogni asservimento alle parole dell'espressività autonoma della musica strumentale. Non si è ancora con Pergolesi all'affrancamento estetico della musica, già alle porte, ma senza dubbio su quella strada. Questo processo di astrazione musicale viene portato avanti all'estremo dal Pergolesi redivivo nel racconto di Silverberg. Se dapprima il personaggio appare un uomo del diciottesimo secolo, portato nel ventunesimo senza che il diciottesimo secolo sia portato via da lui, nel corso della narrazione la musica fornisce lo strumento con cui si integra nel nuovo spaziotempo. La tipologia musicale che glielo consente non è quella colta che ne rivendica l'eredità (a volte esplicitamente, come nel Pulcinella di Stravinskij) ma un genere popolare chiamato significativamente overload (sovraccarico). L'overload è una musica semplice, basata su un ritmo estremamente rapido e ripetitivo, quasi priva di melodia, accompagnata da forti luci stroboscopiche, suonata da gruppi dal vivo. In sostanza qualcosa di abbastanza simile ad una techno con volumi più alti e ritmi accelerati, al punto tale che richiede una droga che alteri la percezione del tempo per migliorarne la fruizione.6 Sarà un'overdose di questa droga ad uccidere per la seconda volta Pergolesi. Per Silverberg, questo fatto era una ripetizione necessaria ed inevitabile della vicenda storica di Pergolesi, il destino (uno dei personaggi parla di karma)7 che opera in ogni tempo. Tale destino può, a mio parere, essere letto sotto due luci contrastanti. Una è universale, analoga al fato della tradizione classica e in particolare 5 Fracassetti 1839 6 “seems to be a kind of techno-industrial, full-body, highly rhythmic sound, and it is associated with a drug called slice.” Dal sito autorizzato che riporta la bibliografia di Silverberg, a cura di Jon Davis, www.majipoor.com 7 Si potrebbe discutere dell'uso diffuso di termini sanscriti o arabi, o cinesi, decontestualizzati per indicare concetti assolutamente correnti anche nel pensiero occidentale, una pratica comune sia in ambito giornalistico che nella letteratura di genere. Nella fantascienza questo fatto può avere un effetto straniante, e quindi positivo e funzionale come nelle parole cinesi impiegate da Philip Dick in The man in the High Castle, o condurre ad esiti più ambigui come quello del lessico arabizzante del ciclo di Dune di Frank Herbert; si pensi alle implicazioni del termine Jihad in quel contesto. di miti tragici come quello dell'Edipo sofocleo; nella conclusione, dopo la seconda morte di Pergolesi, il narratore di Gianni si domanda se sia giusto utilizzare la cronodraga per far riportare nel presente altri geni precocemente scomparsi, con l'amaro dubbio che nel nuovo mondo andrebbero ben presto incontro ad una sorte non troppo diversa da quella che avevano avuto in vita. L'altra punta invece sulla personalità specifica di Pergolesi, così come rappresentata da alcuni elementi del mito pergolesiano evidentemente ben presenti a Silverberg: elementi di origine romantica, ma che nel racconto finiscono coll'assumere una marcata tonalità decadente (artista contro la società, emarginato e povero, dedito ai vizi e in particolare alla lussuria). Va ribadito quanto questa rappresentazione non abbia granché a che fare col Pergolesi storico, un artista legato a committenze auliche ed aristocratiche, perfettamente inserito, alla fine in posizione di prestigio, nell'ambiente musicale di cui faceva parte e da esso riconosciuto come membro di talento, sebbene il riconoscimento postumo sia stato senz'altro ben maggiore. Vale inoltre la pena di sottolineare come Silverberg recepisca solo una parte del complesso mitico imbastito attorno al compositore jesino dalla tradizione romantica, la parte che appunto può far risuonare corde decadenti e bohémien più che davvero romantiche. L'intero romanzo d'amor lacerante, separazione forzata e tragiche morti che i biografi inventarono sul giovane Pergolesi e specialmente sulla composizione dello Stabat Mater viene espunto per far posto all'immagine, ugualmente desunta dalla tradizione tardo-settecentesca ma rimasta poi secondaria negli sviluppi ottocenteschi del mito, di un libertino dissoluto, ucciso più dalle malattie veneree che dalla tubercolosi ossea (che il Pergolesi storico contrasse nell'infanzia). Pergolesi, appare quindi come un giovane genio, come un uomo del diciottesimo secolo trapiantato nel ventunesimo (con tutto lo straniamento che questo può produrre, sapientemente usato dall'autore nelle scene della prima visita dell'artista alla Los Angeles futura) e poi, come un artista bohémien, una aspirante popstar (o techno-star, se si preferisce) e infine una marionetta in balia del cinico fato-karma che lo destina all'autodistruzione nonostante gli sforzi degli altri personaggi e il completo mutamento d'ambiente. In definitiva, è difficile vedere in Gianni un approfondimento cognitivo su Pergolesi, se non per il fatto che il racconto riporta sulla figura una meritata attenzione, come anche il presente lavoro, nel trecentesimo anniversario della nascita, si propone di fare. Non emerge infatti Pergolesi come uomo, o come figura storica; è in effetti un personaggio estratto dal suo mito ad agire, non troppo diversamente dai personaggi della tragedia classica. Un po' più vivo ci appare Pergolesi come compositore: la sua importanza nella storia della musica è assai giustamente sottolineata, sebbene senza gli eccessi retorici di un Fracassetti o di un Arteaga, ma anche con qualche imprecisione storica (ad esempio, è difficile dire che dal punto di vista del Pergolesi storico, Bach potesse rappresentare il “futuro”). Il centro del racconto, il novum per dirla con Suvin, appare essere una riflessione amara sul destino individuale, ineluttabile, degli uomini anche se in possesso dei mezzi, come la cronodraga, che promettono, all'inizio, di sconfiggerlo. A latere, si può scorgere una prosecuzione della polemica contro l'idra divoratrice della musica commerciale e del pop che si è già vista in Blish, Biggle ed Adorno. La “rivolta contro il mondo moderno”, la protesta più o meno esplicita contro l'alienazione in esso latente, è un tema caro ad una lunga tradizione della fantascienza e dei generi ad essa vicini come l'utopia e la satira straniante, fin dagli Uccelli di Aristofane, passando per San Tommaso Moro, Swift, Poe, Mary Shelley e il primo Wells, fino ad Aldous Huxley, Karel Čapek, Clifford Simak, Walter Miller jr., Ursula Le Guin (specialmente nel già citato The Word for World is Forest e nella parabola antimoderna The Telling) e molti altri. La paura di un degrado culturale massificato ed alienante, che abbiamo visto essere la preoccupazione primaria di Biggle e di Blish, è un tema importante di due grandi distopie come Brave New World e Fahrenheit 451 di Bradbury. Forse la migliore espressione delle paure che una certa vena della fantascienza esprime è proprio di Bradbury: “Non cerco di prevedere il futuro. Faccio del mio meglio per prevenirlo.” Nel caso del nostro racconto i tempi sono mutati, e così l'estetica della musica pop. Il disgusto per la modernità traspare chiaramente da queste parole, pensate dal narratore Dave Leavis mentre accompagna Pergolesi nella sua prima visita a Los Angeles: “Cercai di immaginarmi Los Angeles vista attraverso gli occhi di una persona che aveva trascorso un'intera vita tra gli splendori dell'architettura rinascimentale e barocca, e la trovai un orrore sotto ogni punto di vista” (corsivo mio). Pergolesi tuttavia non condividerà questo senso di orrore; sarà l'orrore a distruggerlo. La protesta contro la modernità e la musica moderna è in Silverberg, marcata e cupa, anche se tematicamente secondaria: da un lato si denuncia la dissociazione tra musica seria e popolare, (tema già evidente in A Work of Art) e il risultante degrado della tradizione musicale colta. Ancora più, dall'altra parte, la musica commerciale e i suoi sinistri addentellati come le droghe (che nei racconti di Blish e Biggle non hanno invece nessun collegamento strutturale con una musica futura esteticamente insulsa ma non realmente minacciosa) risultano non solo esteticamente ma anche fisicamente mortali. Indicazioni bibliografiche Adorno Theodor Wiesengrund Introduzione alla sociologia della musica1962 Bradbury Ray Fahrenheit 451 Fracassetti Giuseppe Giovanni Battista Pergolesi in “Vite di Piceni Illustri” 1839 Fubini Enrico Storia dell'estetica musicale Hoyle Fred La Nuvola Nera Huxley Aldous Brave New World trad, it. Il Mondo Nuovo Le Guin Ursula Kroeber The Dispossessed trad. it. I reietti dell'altro pianeta The Word for World is Forest trad. it. Il mondo della foresta The Telling trad. it. La salvezza di Aka Silverberg Robert Starborne trad. it. L'arca delle stelle Simmons Dan Endymion Solmi Sergio (a cura di) Le meraviglie del possibile Sterling Bruce (a cura di) Mirrorshades Suvin Darko Le metamorfosi della fantascienza Wells Herbert George The Time Machine