1.1 L’ambiente celeste L’astronomia, la scienza che studia i corpi celesti, ha origini antiche. In India l’osservazione del cielo era praticata già nel III millennio a.C., in Cina e in Mesopotamia nel I millennio. Inizialmente gli astronomi svilupparono l’astronomia descrittiva e si dedicarono principalmente alla determinazione della posizione e alla previsione dei movimenti degli astri. In questo campo vennero raggiunti già dai Greci risultati talvolta sorprendentemente accurati, considerati i limiti degli strumenti disponibili. La ricerca delle cause di tali movimenti ebbe inizio solo nel XVI secolo, grazie agli studi di Keplero, Galileo e Newton. L’astronomia ha raggiunto il suo massimo sviluppo nel XX secolo: accanto agli studi della meccanica celeste sono sorte nuove branche di ricerca: l’astrofisica, che applica le leggi fisiche allo studio dei corpi celesti; la cosmologia, che studia l’origine e l’evoluzione dell’universo; la cosmogonia, che si occupa dell’origine e dell’evoluzione delle strutture che costituiscono l’attuale universo (galassie, sistemi planetari, ecc..). Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.2 La posizione della Terra nell’Universo Nell’antichità si pensava che la Terra si trovasse al centro dell’Universo e che avesse natura diversa dagli altri corpi, i quali venivano considerati eterni e immutabili. Oggi sappiamo che l’Universo, inteso come la regione di spazio e di tempo accessibile alle nostre osservazioni, ha avuto un inizio: esso si modifica, non solo nella composizione, ma anche nelle dimensioni. Sappiamo che le stelle sono fatte di materia, nascono, si evolvono e si spengono, e sappiamo che le particolari caratteristiche del nostro pianeta dipendono dal luogo, dal modo e dal tempo in cui si è formato. La Terra è un pianeta del Sistema Solare. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.2 La posizione della Terra nell’Universo Il Sistema Solare è l’insieme dei corpi che risentono in modo apprezzabile dell’attrazione gravitazionale del Sole. Il Sole è una stella, cioè un corpo celeste di grande massa che produce luce e altre radiazioni elettromagnetiche. Intorno ad esso si muovono otto pianeti, corpi opachi e relativamente freddi che non sono in grado di produrre luce. Essi percorrono traiettorie ellittiche intorno al Sole e ruotano su se stessi. Il moto di un pianeta intorno al proprio asse è detto moto di rotazione, mentre il moto intorno al Sole è detto moto di rivoluzione. La distanza media della Terra dal Sole è di circa 150 000 000 km. Intorno alla Terra si muove un satellite: la Luna. Nel Sistema Solare molti altri pianeti possiedono uno o più satelliti, corpi opachi, di dimensioni variabili, legati per attrazione gravitazionale a un pianeta intorno a cui compiono una rivoluzione. Tutti i satelliti del Sistema Solare, come i pianeti, ruotano su se stessi. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.2 La posizione della Terra nell’Universo Le dimensioni del Sistema Solare sono molto ridotte rispetto allo spazio circostante, che è popolato da un gran numero di stelle. Tra il Sole e le stelle più vicine ci sono distanze considerevoli, perciò un immenso spazio ci separa dagli altri sistemi stellari. Le stelle hanno una massa enorme e, pur essendo distanti l’una dall’altra, ciascuna risente dell’attrazione gravitazionale delle stelle circostanti: per questo esse non sono isolate, ma raggruppate in sistemi, detti galassie. Nelle galassie, le stelle si muovono compiendo una lenta rivoluzione intorno al centro della galassia. Il Sole appartiene a una galassia, la Via Lattea, che contiene centinaia di miliardi di stelle. Il Sistema Solare si muove intorno al centro della galassia, compiendo una rivoluzione in circa 225 milioni di anni. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.3 La sfera celeste e le costellazioni Se in una notte serena guardiamo il cielo da un qualsiasi luogo della Terra, esso ci appare come una grande cupola cosparsa di innumerevoli punti più o meno luminosi. Abbiamo così l’impressione di trovarci sempre al centro di una sfera cava, di raggio infinito, detta sfera celeste, sulla cui superficie sono disposti i corpi celesti. La sfera celeste non esiste realmente: i corpi celesti non si trovano tutti alla medesima distanza dalla Terra, ma lo sguardo non riesce a percepire e a misurare tali distanze. Nonostante questo limite, la sfera celeste costituisce un valido artificio, un modello matematico utile per rappresentare e studiare la disposizione dei vari corpi celesti che circondano la Terra. In base alla diversa natura è possibile distinguere vari tipi di corpi celesti: stelle, galassie, pianeti, satelliti. Lo spazio tra gli astri appare vuoto, anche se è costituito in realtà da un gas di particelle molto rarefatte o da polveri, la materia interstellare. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.3 La sfera celeste e le costellazioni Non tutte le stelle sono ugualmente brillanti e le più visibili sembrano delineare sulla volta buia figure particolari, la cui forma, ovviamente, è tale solo per un osservatore posto sulla superficie terrestre, mentre cambierebbe se ci si ponesse da un’altra prospettiva. Queste figure immaginarie sono dette costellazioni. In virtù della lontananza, le stelle di una costellazione ci appaiono vicine le une alle altre, anche se nella realtà sono disposte nello spazio a distanze molto diverse e non sono vincolate in alcun modo tra loro; esse hanno storie, età e origine differenti. Nonostante siano associazioni fittizie, le costellazioni sono lo strumento migliore per orientarsi; esse infatti non si modificano sostanzialmente nel tempo, perché l’enorme distanza non ci consente di percepire in modo significativo i moti reali delle stelle. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.3 La sfera celeste e le costellazioni La consuetudine di suddividere la volta celeste in settori, immaginando su di essa figure di esseri umani, animali, eroi, è molto antica ed è legata alla tradizione mitologica: Cinesi, Egizi, Greci vedevano rappresentate nel cielo storie e miti differenti, perciò avevano costellazioni diverse. Il catalogo delle costellazioni, introdotto nel 1930 dall’Unione Astronomi Internazionale, riprende in massima parte il modello greco e il catalogo di Tolomeo (almagesto), nel quale erano elencate 48 costellazioni visibili sulla porzione di sfera celeste osservabile dal bacino del Mediterraneo. Il catalogo di Tolomeo fu completato tra il XVI e il XVIII secolo, quando le esplorazioni geografiche portarono alla scoperta delle regioni dell’emisfero australe. Oggi gli astronomi distinguono nel cielo ben 88 costellazioni, di cui ci si serve per dividere la sfera celeste in settori. All’interno delle costellazioni, le stelle vengono indicate con una lettera greca (in ordine alfabetico secondo la luminosità), seguita dal nome della costellazione. Le stelle più brillanti conservano nomi tradizionali: Antares, Arturo, Sirio, Betelgeuse, Rigel, Vega. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste Per stabilire la posizione esatta di un astro è utile costruire sulla sfera celeste un sistema di riferimento che abbia un valore universale, indipendente cioè dalla posizione dell’osservatore. I due elementi di riferimento fondamentali sono l’asse del mondo e l’equatore celeste. L’asse del mondo è la linea ideale che si ottiene prolungando all’infinito l’asse di rotazione della Terra; esso interseca la sfera celeste in corrispondenza di due punti, denominati polo nord celeste e polo sud celeste. Il polo nord celeste attualmente si trova in prossimità della Stella Polare, nella costellazione dell’Orsa Minore. Il polo sud celeste si trova nella costellazione dell’Ottante, vicino alla stella s Oct (una stella poco brillante e difficilmente osservabile). Il piano dell’equatore terrestre è perpendicolare all’asse del mondo e passa per il centro della sfera celeste. Se immaginiamo di prolungare questo piano fino ad intersecare la superficie della sfera celeste, otteniamo un circolo, detto equatore celeste. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste L’equatore celeste divide la sfera celeste in un emisfero settentrionale o boreale, e un emisfero meridionale o australe. Come sulla Terra, è possibile immaginare sulla superficie della sfera celeste un reticolo, formato da paralleli e meridiani. I paralleli celesti sono circoli paralleli all’equatore, i meridiani celesti sono i semicerchi che uniscono polo nord e polo sud celesti. Il parallelo celeste fondamentale è l’equatore, mentre il meridiano celeste fondamentale è quello che passa per il punto γ, il punto della sfera celeste in cui si trova il Sole nell’equinozio di primavera, mentre il punto diametralmente opposto è detto punto ω. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste Dalla posizione dell’osservatore dipende invece la prospettiva con cui si osserva la sfera celeste. Gli elementi di riferimento in questo caso sono la verticale e il piano dell’orizzonte astronomico. La verticale è la retta immaginaria che passa per il punto in cui si trova l’osservatore e per il centro della Terra. Essa interseca la sfera celeste in due punti: lo zenit, sopra la testa dell’osservatore, e il nadir, sotto i piedi dell’osservatore. Il piano dell’orizzonte celeste è il piano passante per il centro della sfera celeste e perpendicolare alla verticale del luogo. Esso interseca la sfera celeste secondo una circonferenza, che prende il nome di orizzonte astronomico del luogo. La posizione dello zenit e del piano dell’orizzonte astronomico variano secondo la latitudine dell’osservatore: il piano dell’orizzonte di un osservatore al polo nord coincide con il piano dell’equatore, mentre il piano dell’orizzonte di un osservatore all’equatore passa per l’asse terrestre. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste Il piano dell’orizzonte celeste, comunque sia inclinato rispetto all’asse del mondo, divide la sfera celeste in due semisfere: quella superiore visibile, che contiene lo zenit, e quella inferiore non visibile, che contiene il nadir. In pratica, ogni osservatore può vedere in ogni istante solo metà della sfera celeste, anche se la porzione visibile varia a seconda della latitudine a cui si trova. Sulla superficie della sfera, i circoli massimi passanti per zenit e nadir sono detti circoli verticali. Di questi il più importante è il circolo che passa anche per i poli celesti: il meridiano locale. Sull’orizzonte, inoltre, è possibile identificare quattro punti cardinali: l’est e l’ovest sono i punti in cui l’equatore celeste interseca il piano dell’orizzonte; il nord e il sud sono i punti in cui il circolo meridiano locale interseca l’orizzonte, ognuno nella direzione del corrispondente polo. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste Poiché la Terra con buona approssimazione può essere considerata di forma sferica, ogni osservatore ha sempre l’impressione di trovarsi al centro di un piano delimitato da una linea circolare che sembra separare la Terra, o il mare, dal cielo. Questa linea è detta linea dell’orizzonte, o orizzonte visivo, e delimita la porzione della superficie terrestre che si può vedere. Man mano che l’osservatore sale di quota, l’orizzonte visivo si espande. Poiché l’orizzonte visivo può variare anche nello stesso luogo, in funzione della quota, per la definizione della posizione di un punto sulla superficie terrestre si preferisce utilizzare come riferimento il piano dell’orizzonte apparente, cioè il piano tangente alla superficie terrestre nel punto in cui si trova l’osservatore. Poiché le dimensioni della Terra sono molto piccole rispetto alle distanze che ci separano dai corpi celesti, in astronomia ci si riferisce al piano dell’orizzonte astronomico, cioè al piano passante per il centro della Terra, parallelo al piano dell’osservatore visivo. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.5 Le coordinate astronomiche Indipendentemente dal sistema di riferimento adottato, la posizione di un corpo celeste è nota se sono noti due angoli, che vengono chiamati coordinate astronomiche. Esistono due sistemi di coordinate astronomiche. Il sistema di coordinate che prende come riferimento l’orizzonte e la verticale del luogo è detto sistema delle coordinate altazimutali. Le coordinate altazimutali definiscono la posizione di un astro dalla misura di due angoli, l’altezza e l’azimut. L’altezza (h) è la distanza angolare di un astro dal piano dell’orizzonte. Essa corrisponde all’angolo compreso tra il segmento che unisce il centro del piano dell’osservatore all’astro e il piano dell’orizzonte. Varia da 0º (sul piano dell’orizzonte) a +90º (allo zenit) a -90º (al nadir). L’azimut (a) è l’angolo compreso tra il piano del circolo verticale passante per l’astro e il piano del meridiano locale. Si misura sull’orizzonte astronomico dell’osservatore, partendo dal punto cardinale sud e procedendo in senso orario. Le coordinate altazimutali variano durante il giorno a causa dei movimenti della sfera celeste. Nel medesimo istante, inoltre, sono diverse da luogo a luogo in relazione alla latitudine dell’osservatore. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.5 Le coordinate astronomiche Il sistema di coordinate che prende come riferimento l’equatore celeste e l’asse del mondo è detto sistema delle coordinate equatoriali. Le coordinate equatoriali definiscono la posizione dell’astro dalla misura di due angoli, la declinazione e l’ascensione retta. La declinazione (δ) è la distanza angolare di un astro dall’equatore celeste. La declinazione è positiva nell’emisfero boreale, negativa nell’emisfero australe. I punti posti sull’equatore celeste hanno declinazione 0º ; il polo nord e il polo sud celesti hanno rispettivamente declinazione +90º e -90º. La declinazione quindi varia dal +90º a -90º. L’ascensione retta (α) è l’angolo compreso tra il piano del meridiano celeste passante per l’astro e il piano del meridiano fondamentale. Tale angolo si misura in senso antiorario, partendo dal meridiano fondamentale. In genere si esprime in ore, minuti e secondi, tenendo presente che ogni 4 min la volta celeste si sposta di circa 1º. Il sistema delle coordinate equatoriali è indipendente dalla posizione dell’osservatore, perciò viene utilizzato per la costruzione delle mappe del cielo. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.6 I movimenti apparenti degli astri La sfera celeste compie ogni giorno una rotazione su se stessa intorno all’asse del mondo, ruotando da est verso ovest in senso orario (visto dal polo nord celeste). Il movimento di rotazione della sfera celeste si completa in 23 h 56 min 4 s. In questo movimento vengono trascinati tutti gli astri, solo l’asse del mondo resta immobile e con esso i poli. Per questo la Stella Polare appare come l’unico punto fermo nel cielo, ma in realtà anch’essa compie una piccola rotazione, poiché la sua posizione non coincide perfettamente con il polo nord celeste. Il moto diurno della sfera celeste è un moto apparente: in realtà è la Terra che ruota su se stessa in senso antiorario da ovest verso est causando l’apparente rivoluzione in senso contrario di tutti i corpi celesti visibili. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.6 I movimenti apparenti degli astri Le stelle, pur muovendosi, conservano sempre la medesima declinazione e la stessa posizione le une rispetto alle altre. Nel corso della rotazione della sfera celeste, ciascuna di esse torna ad occupare la stessa posizione dopo 23 h 56 min 4 s. A causa del moto diurno della volta celeste, nel nostro emisfero le stelle visibili descrivono circonferenze concentriche intorno alla Stella Polare, che resta (apparentemente) immobile. Anche i corpi del sistema solare presentano un moto apparente diurno in senso orario intorno alla Terra, ma il loro moto non è in sincronia con quello delle stelle. Ciò dipende dal fatto che il Sistema Solare è un insieme di corpi in movimento: il moto di rivoluzione dei pianeti e della Terra intorno al Sole modifica giornalmente le loro posizioni relative. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.6 I movimenti apparenti degli astri Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.6 I movimenti apparenti degli astri Il Sole compie una rivoluzione giornaliera in senso orario intorno alla Terra, ma è più lento delle altre stelle, poiché completa il suo giro apparente in 24 h. Il Sole è, quindi, l’unica stella che non si colloca in una costellazione definita: ogni mese accumula un ritardo di circa 30º (pari a 120 min), dunque “esce” da una costellazione ed “entra” in un’altra. Le costellazioni che fanno da sfondo al moto annuo del Sole sono dette costellazioni dello zodiaco. Il Sole presenta una seconda particolarità: giorno dopo giorno, modifica la sua declinazione, passando nell’arco di 1 anno da un valore massimo di +23º,27' (nel solstizio d’estate) a un valore minimo di –23º,27' (nel solstizio d’inverno). Poiché il giorno civile dura 24 h, le stelle risultano tutte spostate verso ovest di circa 1º ogni giorno. Ogni notte sorgono nuove stelle e ne tramontano altre, ma le stelle più vicine alla stella polare restano visibili per tutto l’anno. Lo scenario notturno si ripresenta identico dopo 1 anno. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.6 I movimenti apparenti degli astri La Luna, come il Sole, ha un moto proprio regolare: compie una rivoluzione apparente diurna in senso orario ma ritarda ogni giorno di circa 50 min, e torna nel medesimo punto della sfera celeste dopo circa 1 mese. Il ritardo giornaliero della Luna si spiega considerando il suo moto di rivoluzione intorno alla Terra. I pianeti hanno un comportamento differente sia dal Sole sia dalla Luna. Essi sembrano avere un moto proprio che li porta ad assumere posizioni diverse nel corso dell’anno; come astri erranti, per qualche tempo si muovono nello stesso verso del Sole, ma talvolta, per un certo periodo, invertono il verso del loro moto, per tornare poi a muoversi nella direzione originaria. Il loro moto apparente dipende dalla combinazione dei movimenti della Terra e il loro moto di rivoluzione intorno al Sole. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.7 La luce messaggera dell’Universo La luce è un insieme di radiazioni elettromagnetiche. Da una sorgente essa si propaga nello spazio con una velocità costante e finita che nel vuoto è di circa 300 000 km/s. Ogni radiazione può essere rappresentata come un’onda, distinguibile dalle altre per i valori della frequenza e della lunghezza d’onda. La frequenza è in numero di oscillazioni complete che un punto dell’onda compie nell’unità di tempo e si misura in hertz. La lunghezza d’onda è la distanza tra due massimi (creste) o due minimi (gole) e si misura in multipli e sottomultipli del metro. La luce visibile è costituita da radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa tra 400 e 700 nm. In questo intervallo di valori il nostro occhio percepisce i cambiamenti di lunghezza d’onda delle radiazioni come cambiamenti di colore: in ordine lunghezza d’onda decrescente, rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.7 La luce messaggera dell’Universo Il campo delle radiazioni elettromagnetiche si estende oltre l’intervallo di lunghezze d’onda visibili e comprende raggi ultravioletti, i raggi X, i raggi γ (radiazioni con lunghezza d’onda inferiore al violetto), i raggi infrarossi, le microonde, le onde radio (radiazioni con lunghezza d’onda superiore al rosso). Le radiazioni elettromagnetiche trasportano nello spazio energia sotto forma di fotoni. Ogni fotone trasporta una quantità definita e discreta di energia, tanto che può essere considerato una particella della luce. L’energia dei fotoni dipende dalla frequenza delle radiazioni: tanto maggiore è la frequenza di una radiazione, tanto maggiore è l’energia di un singolo fotone. Le dimensioni della sorgente non influenzano la quantità di energia trasportata da ciascun fotone, ma solo il loro numero. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.8 Gli strumenti per osservare il cielo Per scandagliare il cielo gli astronomi utilizzano i telescopi. I telescopi che raccolgono le radiazioni elettromagnetiche nel campo del visibile sono detti telescopi ottici. I telescopi ottici sono costituiti da un obiettivo dove si forma l’immagine, che viene osservata attraverso l’oculare. Le immagini raccolte dai telescopi ottici sulla Terra sono sempre imprecise, perché le radiazioni, per raggiungere il telescopio, devono attraversare l’atmosfera terrestre che assorbe alcune lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico e produce una certa distorsione dell’immagine. Questi effetti dell’atmosfera non possono essere eliminati, pertanto gli astrofisici hanno messo a punto telescopi orbitanti intorno alla Terra. I telescopi che operano nello spazio non risentono dell’effetto di assorbimento causato dall’atmosfera e raccolgono informazioni in tutti i campi dello spettro elettromagnetico. I telescopi ottici che oggi possediamo sono di due tipi: - telescopi a rifrazione; - telescopi a riflessione. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.8 Gli strumenti per osservare il cielo Un telescopio il cui funzionamento di basa su un sistema di lenti si chiama telescopio a rifrazione. Il primo telescopio costruito montava delle semplici lenti convergenti. La lente più importante, l’obiettivo, produce l’immagine deviando e facendo convergere i raggi luminosi in un punto, il fuoco, nel quale si forma l’immagine. La distanza tra il fuoco e la lente è detta lunghezza focale della lente. Una seconda lente, l’oculare, ingrandisce l’immagine prodotta dall’obiettivo. L’ingrandimento di un sistema semplice di lenti è dato dal rapporto tra lunghezza focale dell’obiettivo e lunghezza focale dell’oculare. Scegliendo un oculare con una lunghezza focale più piccola, si può aumentare l’ingrandimento. Il limite massimo alla capacità di ingrandimento di un telescopio a rifrazione è pari a circa 20 volte il diametro dell’obiettivo espresso in centimetri; di conseguenza, i telescopi con grandi obiettivi possono «vedere» più lontano nello spazio di quelli con obiettivi piccoli. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.8 Gli strumenti per osservare il cielo Il problema principale dei telescopi a rifrazione è che una lente devia i raggi di luce di ciascuna lunghezza d’onda secondo angoli leggermente diversi: questo effetto fastidioso, conosciuto come aberrazione cromatica, indebolisce l’immagine, che inoltre appare circondata da un alone colorato. Se questo effetto non può essere completamente eliminato, viene però notevolmente ridotto accoppiando una seconda lente speciale all’obiettivo. Un vantaggio dei telescopi con grandi obiettivi è l’alto potere di risoluzione, che consente di avere immagini più nitide e di osservare dettagli più minuti. Il potere di risoluzione di un telescopio da terra è fortemente limitato dalle condizioni atmosferiche: quando c’è molta turbolenza, il movimento dell’aria fa variare gli effetti della rifrazione atmosferica, provocando l’apparente tremolio delle stelle. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.8 Gli strumenti per osservare il cielo I telescopi a riflessione utilizzano uno specchio concavo che raccoglie e concentra la luce di fronte all’obiettivo invece che dietro di esso. Lo specchio è ricavato in genere da un vetro accuratamente levigato, poi la superficie dello specchio stesso viene poi ricoperta con un materiale altamente riflettente. Per far convergere in un punto preciso (fuoco) i raggi di luce, lo specchio viene sagomato secondo una superficie geometrica detta paraboloide. Poiché il fuoco è davanti allo specchio, sono stati studiati particolari accorgimenti per osservare l’immagine senza ostacolare troppo la luce in arrivo. La cabina di osservazione ostacola solo il 10% della luce totale in arrivo, e la perdita è più che compensata dalle dimensioni degli obiettivi usati. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.8 Gli strumenti per osservare il cielo Per diverse ragioni tutti i grandi telescopi oggi usati sono riflettori. Tra i tanti motivi vi è anche l’estrema difficoltà di costruire grandi lenti di vetro di alta qualità, prive di bolle d’aria, che sono necessarie per i telescopi a rifrazione. Inoltre, tutte e due le superfici della lente devono essere accuratamente levigate per correggere l’aberrazione cromatica; nel caso di un telescopio a riflessione, invece, è solo una superficie da lucidare. Ancora, nel telescopio a rifrazione le lenti possono essere sostenute solo lungo il bordo e quindi possono facilmente deformarsi per effetto del loro stesso peso. Il più grande telescopio al mondo è un riflettore di 600 cm, nelle montagne del Caucaso, in Unione Sovietica; al secondo posto, per dimensioni, il telescopio Hale, di 508 cm, in California. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.8 Gli strumenti per osservare il cielo Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.8 Gli strumenti per osservare il cielo La radiazione emessa dal Sole non è costituita solo dalla luce percepita dal nostro occhio: oltre alla luce visibile, i copri celesti emettono anche raggi gamma, raggi X, radiazioni ultraviolette, radiazioni infrarosse e onde radio. Di grande importanza per gli studi astronomici è una stretta banda di onde radio che riescono a penetrare nell’atmosfera. La rilevazione di onde radio è resa possibile dai radiotelescopi. Il principio su cui si basano è lo stesso dei telescopi ottici a riflessione: un’ampia superficie a forma di paraboloide raccoglie le onde radio e le fa convergere su un’antenna che «ascolta» la sorgente. Dato che le onde radio sono circa 100 000 volte più lunghe delle radiazioni visibili, l’accuratezza della superficie del paraboloide è molto minore; tuttavia, il vantaggio è bilanciato dal fatto che l’energia radio emessa dalle sorgenti celesti è debole, e questo rende necessaria la costruzione di paraboloidi molto grandi. Il più grande radiotelescopio del mondo si trova ad Arecibo, nell’isola di Portorico. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.9 La spettroscopia Lo spettro è la figura che si ottiene raccogliendo su di uno schermo nero o su una lastra fotografica le radiazioni elettromagnetiche provenienti da una sorgente, dopo che queste hanno subito una rifrazione. In uno spettro, le radiazioni appaiono come righe e si dispongono sempre in ordine di lunghezza d’onda, subendo infatti una deviazione tanto maggiore quanto minore è la loro lunghezza d’onda. Lo spettro completo delle radiazioni elettromagnetiche comprende tutte le radiazioni, dalle onde radio ai raggi γ. Nel campo del visibile le radiazioni si dispongono dal rosso al violetto, in una successione che è sempre la stessa. L’esperimento di scindere la luce solare nei suoi colori componenti (dispersione della luce) fu effettuato da Isaac Newton nel 1666 e ha dato avvio ad un nuovo campo di studi: la spettroscopia. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.9 La spettroscopia Le analisi spettroscopiche hanno permesso di scoprire che esistono tre diversi tipi di spettri. Gli spettri di emissione continui si ottengono facendo passare attraverso una fenditura e scomponendo con un prisma la radiazione emessa da un solido o da un liquido incandescenti oppure da un gas denso riscaldato. In uno spettro di emissione sono presenti tutte le radiazioni senza soluzione di continuità. Le caratteristiche dello spettro dipendono dalla temperatura del corpo: a basse temperature sono più intense le radiazioni a minor frequenza, ad alte temperature sono più intense quella a maggior frequenza. La radiazione che predomina per intensità determina il colore della luce emessa dalla sorgente incandescente. Copyright © 2008 Zanichelli editore 1.9 La spettroscopia Gli spettri di emissione a righe si ottengono usando come sorgente di emissione un gas rarefatto portato a elevata temperatura o attraversato da una scarica elettrica. Lo spettro non è continuo, ma è costituito da un insieme di righe sottili (se il gas è formato da atomi) o di bande (se è formato da molecole) su uno sfondo nero. Ogni elemento produce uno spettro caratteristico che contiene sempre le stesse righe. Gli spettri di assorbimento si ottengono quando la radiazione continua proveniente da una sorgente luminosa viene fatta passare attraverso una sostanza gassosa a bassa pressione e meno calda della sorgente. In questo caso, il gas assorbe alcune delle radiazioni emesse dalla sorgente generando nello spettro colorato (come uno spettro continuo) righe o bande scure in corrispondenza delle radiazioni assorbite. Le radiazioni che il gas interposto assorbe sono esattamente le stesse che produce quando viene riscaldato fino a emettere luce. Uno spettro di assorbimento è dunque esattamente il negativo di uno spettro di emissione e consente di identificare la natura chimica della sostanza allo stato gassoso interposta tra la sorgente e l’osservatore. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.0 La distanza delle stelle Le distanze tra i corpi celesti possono essere espresse utilizzando tre unità di misura: l’unità astronomica, l’anno-luce, il parsec. L’unità astronomica (UA) corrisponde alla distanza media Terra-Sole, equivalente a circa 150 milioni di km. L’anno-luce (al) è la distanza percorsa in 1 anno dalla luce, che si muove alla velocità di circa 300 000 km/s. Un anno-luce corrisponde, quindi, a una distanza di circa 9463 miliardi di km. Il parsec (parallasse-secondo) corrisponde alla distanza alla quale dovrebbe trovarsi un corpo per avere un angolo di parallasse di 1” d’arco. 1 pc equivale a 206 265 UA e a circa 3,26 al. L’unità di misura parsec deriva dal metodo di determinazione della distanza della stelle che si basa sulla misura accurata dell’angolo di parallasse. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.0 La distanza delle stelle Il termine parallasse indica lo spostamento apparente, rispetto ad uno sfondo lontano, di un oggetto visto da due diversi punti di osservazione. Anche le stelle presentano un effetto di parallasse, noto come parallasse annua, causato dal moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole: la posizione da cui osserviamo il cielo, perciò, si modifica nel corso dell’anno. Tale effetto è utilizzato per determinare la distanza di una stella dalla Terra. Le due posizioni della stella, rilevate a distanza di 6 mesi, permettono di definire un triangolo che ha per base il diametro dell’orbita terrestre e per lati le distanze tra i due punti di osservazione e la stella. L’angolo di parallasse annua (p) è la metà dello spostamento angolare della stella in 1 anno, e corrisponde alla metà dell’angolo al vertice (2p). L’angolo di parallasse è inversamente proporzionale alla distanza dell’astro dalla Terra; conoscendo p si può quindi calcolare la distanza della stella. Non è possibile determinare distanze di stelle la cui parallasse sia inferiore ad 1 secondo d’arco. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.0 La distanza delle stelle Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.1 La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine Le stelle hanno luminosità differente. La luminosità apparente di una stella, cioè la luminosità misurata dalla Terra, dipende non solo dalla quantità di energia che essa irradia, ma anche dalla sua distanza dall’osservatore. Una stella, perciò, può apparire più splendente di un’altra solo perché si trova più vicina alla Terra. La luminosità apparente di un astro deve essere distinta dalla luminosità assoluta, la quale misura l’energia totale irradiata da una stella nell’unità di tempo. La luminosità assoluta dipende solo dalla temperatura superficiale (T) e dalla superficie (S) di emissione; più il corpo è grande e caldo, più è luminoso: L ass = σ S T^4 con σ = costante di Stefan (5,67·10^8 J /m²·K^4·s) La luminosità assoluta si esprime in Joule/secondo, ma spesso di utilizza come unità di misura la luminosità del Sole ( 3,83·10^26 J/s), a cui si attribuisce valore 1. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.1 La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine La luminosità viene espressa in genere mediante la magnitudine, un parametro che permette di confrontare la luminosità di una stella con quella della altre, stabilendo una scala di grandezze relative. Per ogni astro, si può stabilire una magnitudine apparente e una magnitudine assoluta. La magnitudine apparente di un astro si ottiene confrontando la sua luminosità apparente con la luminosità della Stella Polare, scelta come stella campione, cui viene assegnata magnitudine apparente 2,12. Ad un valore di magnitudine più piccolo corrisponde una luminosità apparente maggiore. La scala delle magnitudini non è lineare: passando da un ordine di grandezza ad un altro, la variazione di luminosità è di 2,512 volte. Una stella di magnitudine 2 è perciò 2,512 volte più luminosa di una stella di magnitudine 3, e viceversa. Le stelle più luminose hanno magnitudine apparente 0 oppure addirittura valori negativi. Il Sole, la stella più luminosa del cielo, ha magnitudine apparente -26,8. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.1 La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine La magnitudine assoluta è definita come la magnitudine apparente che avrebbero le stelle se si trovassero tutte alla distanza di 10 pc (cioè 32,6 al) dalla Terra. Per i valori di magnitudine assoluta si conserva lo stesso criterio adottato per la magnitudine apparente: ad un valore di magnitudine minore corrisponde un maggiore splendore, e viceversa. Per ricavare la magnitudine assoluta di un astro dalla sua magnitudine apparente, occorre conoscere la sua distanza dalla Terra. Se una stella è più vicina alla Terra di 10 pc, la sua magnitudine assoluta è maggiore di quella apparente, perché il suo splendore, portandola idealmente ad una distanza maggiore, diminuisce. Al contrario, se una stella si trova a una distanza dalla Terra superiore a 10 pc, la sua magnitudine assoluta è minore rispetto a quella apparente, perché avvicinandola idealmente al nostro pianeta, aumenta di splendore. Catalogando le stelle in base alla magnitudine assoluta si può notare un dato interessante: molte stelle hanno luminosità variabile. Queste stelle sono dette variabili. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.2 Le stelle variabili Molte stelle presentano luminosità variabile. Si distinguono variabili regolari e variabili irregolari. Molte variabili regolari sono stelle che attraversano nella loro esistenza fasi in cui modificano le loro dimensioni, alternando fasi di espansione a fasi di contrazione. Tra le variabili regolari vanno incluse le cefeidi, stelle azzurre o bianche con un periodo di pulsazione che varia da 1 a 50 giorni. La loro luminosità assoluta è legata al periodo di pulsazione: più è lungo il periodo, maggiore è la luminosità assoluta. Appaiono come variabili regolari anche sistemi di stelle doppie a eclisse, nelle quali una stella più piccola gravita intorno ad un’altra molto più grande e luminosa: a ogni rivoluzione le due stelle si eclissano vicendevolmente, causando massimi e minimi di luminosità. La luminosità massima del sistema si ha quando le due stelle sono affiancate; quando la stella più luminosa viene eclissata, la luminosità del sistema si riduce al minimo; quando la stella più piccola viene eclissata, si ha una debole riduzione dello splendore del sistema. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.2 Le stelle variabili Le variabili irregolari comprendono stelle che non mostrano alcuna regolarità nelle loro variazioni di luminosità. A causa di un evento catastrofico, in un particolare momento della loro esistenza, esse esplodono o perdono parte della loro massa. L’evento provoca un aumento improvviso della luminosità dell’astro e può ripetersi, ma in modo irregolare ed imprevedibile. Esistono due sotto-tipi principali: - Variabili irregolari eruttive - Variabili irregolari pulsanti Appartengono alle variabili irregolari le novae e le supernovae. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.2 Le stelle variabili Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.3 Volume e massa delle stelle Conoscendo la luminosità assoluta e la temperatura superficiale di una stella, si può calcolare il suo raggio grazie alla relazione: L ass = σ S T^4 In questo modo si può stabilire il volume della stella. Le misure effettuate mostrano che le stelle possono avere dimensioni molto varie. Le stelle che hanno piccolo volume sono dette nane, mentre le stelle di volume maggiore sono chiamate giganti o supergiganti. Per quanto riguarda la massa, essa può essere misurata con una certa precisione solo quando ci si trova in presenza di stelle doppie o multiple. Le stelle doppie sono un sistema binario di stelle legate tra loro da attrazione gravitazionale: i corpi ruotano intorno ad una baricentro comune. Esistono poi sistemi multipli, che contengono tre o più stelle che si attirano gravitazionalmente l’una con l’altra. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.3 Volume e massa delle stelle Le stelle di un sistema binario o multiplo si muovono con una certa regolarità, dunque conoscendo il periodo orbitale e la distanza tra le due stelle, con le leggi di Keplero o di Newton si può determinare la massa. Poiché i sistemi binari e multipli sono molto frequenti, è stato possibile determinare la massa di un buon numero di stelle. I dati ottenuti vengono in genere espressi utilizzando come unità di misura la massa solare, cui viene attribuito valore 1. Confrontando i valori di massa con i rispettivi volumi, si può notare che la massa delle stelle varia indipendentemente dalla misura del raggio. Alcune stelle hanno grande massa e piccolo volume: sono stelle molto dense. Altre stelle, hanno una massa relativamente piccola distribuita in un volume molto grande: sono stelle poco dense. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.4 Colori, temperature e spettri stellari Le stelle sono sorgenti di radiazioni elettromagnetiche. Esse producono al loro interno tutte le radiazioni dello spettro, ma possono avere colori diversi. Il colore di una stella è determinato dalla radiazione predominante per intensità nel suo spettro. Una stella gialla come il Sole al suo interno produce radiazioni elettromagnetiche nel visibile di tutti i colori, ma le più intense sono le radiazioni gialle. Si può dimostrare che il colore di una stella dipende solo dalla temperatura superficiale. Ogni stella ha un massimo di irraggiamento corrispondente ad una frequenza il cui valore è direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta. Le stelle più fredde sono rosse perché irraggiano principalmente luce rossa (nel campo del visibile le radiazioni rosse sono quelle con minore frequenza); al crescere della temperatura, le stelle assumono colori che vanno dall’arancio, al giallo, al bianco-azzurro, all’azzurro. Le temperature variano dai 3000 K circa delle stelle rosse ai 40 000 - 60 000 K circa delle stelle azzurre. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.4 Colori, temperature e spettri stellari Uno dei metodi di indagine più significativi per studiare la natura delle stelle è l’analisi spettrale. Gli studi spettroscopici hanno evidenziato che gli spettri delle stelle sono sempre spettri di assorbimento. All’interno della stella vengono prodotte tutte le radiazioni dello spettro elettromagnetico, che emergono dopo aver attraversato gli strati dell’atmosfera stellare. L’atmosfera di tutte le stelle è formata da gas a bassa densità che assorbono selettivamente, in base alla loro composizione chimica, una frazione delle radiazioni provenienti dall’interno. Lo spettro di ciascuna stella, perciò, contiene una serie di righe nere corrispondenti alle radiazioni assorbite dagli elementi presenti negli strati più esterni. Analizzando la posizione delle righe di assorbimento è possibile stabilire la composizione chimica della parte superficiale di una stella: ogni elemento chimico, infatti, genera un insieme di righe di assorbimento caratteristico. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.4 Colori, temperature e spettri stellari I componenti principali della materia stellare sono idrogeno ed elio, con abbondanza percentuale superiore al 95%. Dallo spettro di assorbimento di una stella si può conoscere anche la sua temperatura superficiale: ciò è possibile perché la temperatura condiziona l’efficacia dell’assorbimento o dell’emissione di un elemento. In base alla presenza o assenza di righe di assorbimento particolarmente evidenti, corrispondenti a determinati elementi, le stelle possono essere suddivise in classi spettrali. Stelle della stessa classe hanno medesima temperatura superficiale, stesso colore e generano uno spettro simile. Esistono sette classi spettrali principali, suddivise in sottoclassi. Ogni classe è indicata con una lettera dell’alfabeto: O, B, A, F, G, K, M; le lettere sono disposte in ordine decrescente di temperatura superficiale; le sottoclassi sono indicate con un numero che può variare da 0 a 9. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.5 L’effetto Doppler Le stelle sono in movimento, tuttavia, a causa delle grandi distanze che ci separano, è possibile percepire visivamente solo le componenti del movimento che causano un cambiamento evidente della posizione delle stelle rispetto alle costellazioni della sfera celeste. Non si riesce a rilevare, solo con l’osservazione diretta, l’esistenza di un movimento di allontanamento o di avvicinamento. I movimenti di allontanamento o di avvicinamento di una stella possono essere evidenziati analizzando il suo spettro per vedere se presenta l’effetto Doppler. L’effetto Doppler consiste nella variazione della frequenza della radiazione, causata dal movimento relativo della sorgente rispetto all’osservatore, o viceversa, dal movimento dell’osservatore rispetto alla sorgente: in generale, se sorgente e osservatore si avvicinano, la frequenza della radiazione aumenta; se sorgente e osservatore si allontanato l’uno dall’altro, la frequenza diminuisce. Quando una stella è in allontanamento dalla Terra, tutte le righe di assorbimento del suo spettro risultano spostate verso il rosso; quando una stella è in avvicinamento, le righe risultano spostate verso il campo del blu. L’ampiezza dello spostamento delle righe è direttamente proporzionale alla velocità dello spostamento. L’effetto Doppler si osserva anche quando la Terra, in movimento, si avvicina o si allontana dalle stelle; l’effetto Doppler dovuto al moto della Terra si riconosce perché ha una periodicità sempre uguale, con situazioni che si ripetono identiche a distanza di 1 anno. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.6 Materia interstellare e nebulose Negli immensi spazi che separano le stelle sono diffusi polveri finissime e gas. Tale materia interstellare risulta spesso concentrata in ammassi di fine materia che hanno un aspetto simile alla nebbia e che vengono perciò detti nebulose: ammassi scuri perché privi di luce (nebulose oscure), che si stagliano come ombre su un fondo luminoso di stelle, o debolmente luminosi se attraversati dalla luce di stelle molto brillanti e molto vicine (nebulose a riflessione). Vi sono anche ammassi dotati di una tenue luce propria (nebulose a emissione): sono essenzialmente gassosi ed emettono luce per un fenomeno di fluorescenza, provocato nei gas da radiazioni ultraviolette provenienti da qualche stella vicina. Dalla materia interstellare si sono originate – e continuano ad originarsi – le stelle. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.7 Le forze che agiscono nelle stelle Come sono fatte al loro interno le stelle e come producono energia? E’ necessario tener presente che non è possibile né osservare direttamente la struttura interna di una stella né rilevarne le caratteristiche fisiche e chimiche. I modelli attuali partono da due presupposti: 1. La forza di attrazione gravitazionale. Le stelle sono sfere di massa enorme, soggette ad una forza di gravità diretta sempre verso il centro. Dunque, gli strati esterni esercitano una forte pressione sugli strati interni, che tendono spontaneamente a contrarsi, cioè a collassare. La contrazione si realizza solo in momenti particolari della vita di una stella, ovvero quando la forza di gravità non viene contrastata adeguatamente dalla “resistenza” opposta dai materiali presenti all’interno della stella. Quando avviene un collasso gravitazionale, la temperatura interna della stella aumenta, soprattutto nel centro. Le stelle di massa maggiore generano una forza gravitazionale più intensa, perciò raggiungono al loro interno temperature più elevate rispetto alle stelle di massa minore. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.7 Le forze che agiscono nelle stelle 2. La pressione di radiazione. Grazie alle particolari condizioni di temperatura e pressione, nella zona centrale delle stelle, detto nòcciolo o nucleo, possono avvenire reazioni di fusione termonucleare. L’energia liberata in queste reazioni viene emessa dalla stella sotto forma di calore e radiazioni elettromagnetiche. Le reazioni di fusione termonucleare sono reazioni in cui più nuclei atomici si uniscono per formare un nucleo più complesso, con un difetto di massa: la massa perduta viene trasformata in energia secondo la relazione: E=mc² dove c è la velocità della luce Le reazioni possono essere innescate solo in determinate condizioni di temperatura e pressione. L’energia prodotta da queste reazioni termonucleari non viene dissipata integralmente all’esterno sotto forma di luce e calore: una parte riscalda la materia all’interno della stella, determinando una pressione rivolta verso l’esterno. Tale pressione, detta pressione di radiazione, si oppone alla pressione della forza di gravità, impedendo il collasso della stella. Ogni stella quindi è destinata a spegnersi, perché le reazioni termonucleari possono durare solo finché esistono i materiali reagenti e vengono mantenute le condizioni di temperatura e pressione necessarie. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.8 Il diagramma di Hertzsprung-Russell Tra il 1911 e il 1913 due scienziati, E. Hertzsprung e H.N. Russell, elaborarono (pur lavorando indipendentemente) il diagramma oggi noto come diagramma di Hertzsprung-Russell. Nel diagramma H-R, ogni stella è individuata da un punto cui corrispondono due coordinate: sull’asse delle ascisse viene riportata la classe spettrale di appartenenza, sull’asse delle ordinate la luminosità assoluta. Le stelle non si distribuiscono in modo casuale sul diagramma H-R, ma si concentrano in aree precise. La maggior parte delle stelle si trova in una fascia, la sequenza principale, che attraversa il diagramma obliquamente. Le stelle appaiono disposte in ordine decrescente di dimensioni e temperatura, dalle stelle azzurre, enormi e caldissime, alle stelle rosse, più fredde e piccole. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.8 Il diagramma di Hertzsprung-Russell Quasi tutte le stelle rimanenti si dispongono in due zone del diagramma: in alto a destra, si trova un gruppo di stelle molto luminose, ma fredde, le giganti e supergiganti rosse; a sinistra della sequenza principale, in basso, si trova un gruppo di stelle piccole, ma decisamente calde, denominate nane bianche. Per le stelle della sequenza principale, la luminosità dipende dalla massa: le stelle bianco-azzurre, le più calde, sono le stelle con massa maggiore, mentre le stelle rosse, più fredde e meno luminose, sono quelle che hanno massa più piccola. La relazione massa-luminosità non è invece valida per le stelle che si trovano al di fuori della sequenza principale. Le giganti e le supergiganti, ad esempio, sono molto luminose, ma solo perchè hanno una superficie molto estesa: la loro massa è relativamente piccola, sono stelle poco dense. Al contrario, le nane bianche hanno una massa e densità molto elevate, ma sono piccolissime: sono perciò poco luminose. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.8 Il diagramma di Hertzsprung-Russell Il diagramma H-R è il punto di riferimento più importante per comprendere l’evoluzione stellare. L’attuale interpretazione si basa sulle seguenti ipotesi: - Nel diagramma si trovano stelle giovani e stelle anziane, accanto a stelle di «mezza età». - Ogni regione del diagramma occupata corrisponde ad uno stadio possibile della vita di una stella, perciò le regioni più affollate rappresentano le fasi evolutive in cui una stella trascorre la maggior parte della sua esistenza. Queste interpretazioni conducono a due interessanti conclusioni: - La posizione di una stella sul diagramma dipende da vari fattori (massa, età, composizione chimica) che si modificano nel tempo, per questo la posizione di una stella nel diagramma non è fissa, ma cambia mentre la stella si trasforma. - La sequenza principale, dove si trova la massima densità stellare, rappresenta la fase più lunga e stabile della vita di una stella. Nane bianche e giganti rosse dovrebbero essere stadi evolutivi diversi delle stelle della sequenza principale. Copyright © 2008 Zanichelli editore 2.9 La nascita delle stelle Le stelle si formano per collasso gravitazionale all’interno delle nebulose. Le nebulose sono ammassi più densi rispetto allo spazio interstellare, hanno dimensioni estese e contengono in prevalenza idrogeno ed elio. Una stella si forma quando in un globulo, a causa di movimenti turbolenti innescatisi casualmente, si forma un “grumo” più denso che comincia ad attirare polveri e gas, accrescendo così la sua massa. La nube collassa per effetto della forza di gravità e al centro si forma una protostella, che lentamente si contrae. La contrazione gravitazionale produce calore che in parte scalda l’interno della protostella, in parte viene dissipato verso l’esterno. Per questa ragione, la temperatura all’interno della protostella cresce lentamente. Quando la temperatura della zona più interna della stella supera i 10 milioni di kelvin, iniziano le reazioni di fusione termonucleare e la protostella diviene una vera e propria stella. La fase prestellare, cioè l’insieme dei fenomeni che da nebulosa portano alla formazione della stella, hanno durata diversa a seconda della massa della protostella. Più è grande la massa, più velocemente avviene la contrazione; se la massa è piccola, invece, la contrazione è più lenta. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.0 Le stelle sella sequenza principale In una stella appena formata, gli strati più esterni si comportano come un gas ionizzato, molto caldo e rarefatto, mentre nel nocciolo, dove la pressione supera i 500 miliardi di atmosfere e la temperatura raggiunge i 10-15 milioni di kelvin, la materia si trova allo stato di plasma. Nel plasma avvengono le reazioni termonucleari che trasformano l’idrogeno in elio. 4 nuclei di idrogeno vengono trasformati in 1 nucleo di elio e il difetto di massa viene trasformato in energia sotto forma di radiazione. L’energia prodotta sotto forma di raggi γ dal nòcciolo della stella viene trasferita all’esterno: una parte riscalda l’interno della stella per generare una pressione di radiazione che contrasti la forza gravitazionale. Una stella che si trovi in questa fase è stabile, cioè non si espande né si contrae. Sul diagramma H-R, le stelle di questo tipo si trovano nella sequenza principale. La fase di stabilità è destinata a terminare perché la stella può utilizzare per le sue reazioni di fusione termonucleare solo l’idrogeno del nòcciolo: l’idrogeno degli strati esterni è abbondante, ma non esistono le condizioni di temperatura e pressione necessarie per la fusione. Il tempo necessario alla stella per consumare l’idrogeno del nòcciolo dipende dalla massa. Le stelle di massa maggiore devono consumare molto velocemente idrogeno per poter contrastare efficacemente la forza gravitazionale. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.1 Le reazioni termonucleari delle stelle Secondo i modelli teorici, le reazioni di fusione avvengono con modalità diverse nelle stelle di grande massa e in quelle di piccole massa, anche se il risultato è sempre lo stesso: si consuma idrogeno presente nel nocciolo e si producono nuclei di elio. Nelle stelle inferiori a 1,5 masse solari, la temperatura nel nocciolo non supera i 15 milioni di kelvin e in queste condizioni la produzione di elio avviene mediante un processo detto ciclo protone-protone. Nelle stelle con massa maggiore la temperatura del nocciolo supera i 20 milioni di kelvin e prevale un processo, denominato ciclo carbonioazoto-ossigeno. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.1 Le reazioni termonucleari delle stelle Nel ciclo P-P è possibile individuare due fasi: Prima fase: fusione di due protoni, cioè due nuclei di idrogeno (H⁺) con produzione di deuterio (idrogeno che possiede un protone ed un neutrone nel nucleo). Questa fusione libera energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche e fotoni e comporta la trasformazione di un protone in un neutrone mediante l’espulsione di un elettrone positivo (e⁺) e di un neutrino (v). Il deuterio a sua volta si fonde con un altro protone formando un nucleo di elio (He) leggero, contenente due protoni e un neutrone. Anche in questa fase viene liberata energia, sempre sotto forma di raggi γ. Seconda fase: i nuclei di elio leggero vengono trasformati in nuclei di He (formato da due protoni e due neutroni) unendosi direttamente e producendo anche due protoni, i quali possono essere utilizzati per un nuovo ciclo. In totale, 6 protoni sono stati immessi nel ciclo e 2 sono stati restituiti alla fine, insieme al nucleo di elio. Il bilancio complessivo del ciclo è: 4¹H ----> ⁴He + 2e⁺ + 2v + raggi γ Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.1 Le reazioni termonucleari delle stelle Il ciclo carbonio-azoto-ossigeno inizia quando un nucleo di idrogeno penetra in un nucleo di carbonio, formando un nucleo di azoto instabile che va incontro ad ulteriori trasformazioni in cui vengono assorbiti altri tre protoni. Al termine del ciclo viene rigenerato un nucleo di carbonio identico a quello di partenza e viene espulso un nucleo di elio (He). Il bilancio complessivo della reazione è identico a quello del ciclo protone-protone: dall’assorbimento di 4 protoni di forma un nucleo di He, 2 elettroni positivi, 2 neutrini ed energia sotto forma di raggi γ. 4¹H ----> ⁴He + 2e⁺ + 2v + raggi γ Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.2 Dalla sequenza principale alle giganti rosse Quando si arrestano le reazioni di fusione dell’idrogeno, la stella riprende a contrarsi per effetto della forza di gravità. Il suo destino è condizionato dalla massa. Se la stella ha massa inferiore a 0,5 masse solari, la contrazione non permette di raggiungere i valori necessari per innescare nuove reazioni termonucleari. La contrazione procede incontrastata: la stella entra nella fase finale della sua vita. Le stelle con massa superiore a 0,5 masse solari raggiungono al loro interno valori di temperatura (circa 100 milioni di K) tali da far avviare nel nucleo reazioni di fusione nucleare che trasformano l’elio in carbonio. 3 ⁴He ----> ¹²C + raggi γ Gli strati più esterni della stella, riscaldati dall’energia prodotta, si espandono e contemporaneamente si raffreddano: la stella si trasforma in una gigante rossa. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.2 Dalla sequenza principale alle giganti rosse La successiva evoluzione della gigante rossa è ancora condizionata dalla massa. Se la gigante rossa ha massa inferiore alle 2 masse solari, non vengono raggiunte le temperature necessarie per nuove reazioni e la stella entra nella fase finale della sua vita. Se la stella, invece, ha una massa superiore alle 2 masse solari, la densità e la temperatura interna permettono l’avvio di nuove reazioni di fusione, con produzione di elementi più pesanti, come neo, ossigeno, silicio. Gli strati esterni si espandono ulteriormente e la stella diventa una supergigante rossa. Essa ha una struttura ad involucri concentrici, con un nocciolo a strati in cui avvengono reazioni di fusione diverse: al centro si producono gli elementi più pesanti, negli involucri circostanti carbonio ed elio. Ogni volta che si esaurisce il combustibile del nocciolo, la stella riprende a contrarsi e riscaldarsi. I processi di fusione possono proseguire fino alla formazione di nuclei di ferro. Le reazioni di fusione a partire da nuclei di ferro non liberano energia, ma la assorbono, perciò la stella quando giunge alla formazione di ferro, arresta la produzione di energia. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.3 La morte di una stella La fase finale della vita di una stella è condizionata dall’intensità della forza gravitazionale che agisce al suo interno. Le stelle di sequenza principale con massa inferiore a 0,5 masse solari si trasformano direttamente in nane bianche senza attraversare lo stadio di gigante rossa. Una nana bianca è un corpo piccolo, molto denso e caldo. All’interno non avvengono reazioni termonucleari, ma la temperatura superficiale può superare i 30 000 K. La materia all’interno della nana bianca si trova in uno stato degenere: gli elettroni sono separati dai nuclei, ma si dispongono intorno a essi avvicinandosi il più possibile, fino a quando la repulsione elettrostatica non impedisce un ulteriore collasso. La materia allo stato degenere resiste alla contrazione ed esercita una pressione, la pressione degenere, che sostiene la stella. La stella non può più contrarsi, ma il raffreddamento la porterà a diventare una nana nera, un corpo oscuro non più visibile. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.3 La morte di una stella L’evoluzione di una nana bianca può essere accompagnata da una fase esplosiva nella quale si realizza un improvviso aumento di luminosità della stella, pari anche ad un milione di volte, con una variazione di magnitudine di 11-12 classi. Le stelle che manifestano questo rapido aumento di luminosità sono chiamate novae e in genere declinano rapidamente. Si tratta quasi sempre di stelle che appartengono a sistemi binari. E’ raro che, infatti, nei sistemi binari le stelle si trovano nella stessa fase evolutiva. Può, così, capitare che in un sistema binario si trovino vicine una nana bianca e una gigante rossa. Secondo i modelli teorici quest’ultima perderebbe materia dallo strato esterno espanso e tale materia sarebbe attratta dalla nana bianca. La caduta di gas sulla nana bianca innescherebbe nuove reazioni termonucleari con fenomeni esplosivi esterni e formerebbe così una nova. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.3 La morte di una stella Anche le giganti rosse con massa inferiore alle 8 masse solari si trasformano in nane bianche. Queste stelle, però, prima di diventare nane attraversano una fase di instabilità in cui espellono gli strati più esterni, formando nebulose planetarie. Il nòcciolo residuo diventa poi una nana bianca. Le giganti rosse con massa superiore alle 8 masse solari muoiono in modo catastrofico diventando supernovae. Una supernova è una stella che esplode violentemente aumentando anche di 1 miliardo di volte la sua luminosità. Il rapido collasso del nucleo libera un’enorme quantità di energia gravitazionale che dilata l’involucro esterno ed espelle una parte consistente della materia della stella a velocità elevatissima. Al termine dell’esplosione, al posto della supernova resta il nòcciolo, estremamente caldo e denso che, a seconda della massa, dà origine a una stella a neutroni o a un buco nero. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.3 La morte di una stella Le stelle a neutroni hanno una massa compresa tra 1,44 e 3 masse solari. Per effetto della intensissima forza di gravità al loro interno, la materia assume l’aspetto di un fluido, composto quasi esclusivamente di neutroni, i quali esercitano una pressione tanto intensa da impedire un ulteriore collasso. Le stelle a neutroni hanno luminosità ancor più ridotta delle nane bianche, per cui risulta difficile osservarle. La loro esistenza era stata prevista teoricamente, ma solo alla fine degli anni ’60 sono state scoperte le pulsar, che potrebbero identificarsi con le stelle a neutroni. Le pulsar sono oggetti celesti di dimensioni ridotte che emettono onde radio attraverso impulsi a intervalli regolari nell’ordine di 1 s. Dotate di un campo magnetico, ruotano molto rapidamente (anche 1000 giri/sec) su loro stesse, perdendo continuamente energia. Nel tempo le pulsar rallentano la loro rotazione e lentamente perdono energia, raffreddandosi come le nane bianche. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.3 La morte di una stella Se il nucleo della supernova ha una massa superiore alle 3 masse solari si trasforma in un buco nero, un corpo nel quale il collasso gravitazionale non può essere contrastato in alcun modo: qualsiasi oggetto è destinato a precipitare all’interno, perdendo la sua identità; la luce stessa viene intrappolata, tanto da rendere il corpo invisibile a qualsiasi osservazione. I buchi neri sono un esempio di modello teorico elaborato senza l’appoggio di dati sperimentali. Oggi si osservano stelle dalle quali fuoriesce materia che si dispone come un disco in rotazione intorno a una massa invisibile per essere inghiottita: questa massa nascosta invisibile potrebbe essere un buco nero. Secondo alcuni astrofisici, al centro di ogni galassia si troverebbe un buco nero, intorno al quale la galassia stessa ruota. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.4 Le stelle modificano la composizione dell’Universo Le stelle non si sono formate tutte contemporaneamente in una fase precoce della vita dell’universo: anche oggi all’interno di nebulose si può osservare la nascita di nuove stelle. Inoltre, le stelle invecchiano e muoiono secondo tempi e modalità che dipendono dalla loro massa: le stelle di grande massa evolvono rapidamente e in modo catastrofico, al contrario di quelle di piccola massa. La morte delle stelle ha modificato in modo significativo la composizione dell’universo e ha contribuito a diffondere nello spazio elementi chimici che non erano presenti nell’universo iniziale, cioè elementi pesanti. Da tali elementi potranno formarsi nuove stelle, caratterizzate perciò da una composizione leggermente diversa rispetto a quella delle stelle primordiali. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.4 Le stelle modificano la composizione dell’Universo Una galassia contiene quindi diverse generazioni di stelle: 1. una generazione di stelle formatesi nelle prime fasi dello sviluppo della galassia, chiamate stelle di popolazione II o di prima generazione, povere di elementi pesanti, relativamente vecchie (perché dotate di massa non troppo elevata), composte prevalentemente da idrogeno; 2. una generazione di stelle relativamente “giovani”, chiamate stelle di popolazione I o di seconda generazione, ricche di elementi pesanti prodotti da una generazione precedente di stelle. Il Sole è una stella di II generazione. L’abbondanza di elementi pesanti nel Sole, prodotti in tempi remoti da qualche supernova, ha reso possibile la vita sulla Terra. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.5 Le galassie e la struttura dell’Universo Nell’Universo le stelle non sono mai isolate, ma fanno parte di veri e proprio sistemi, chiamati galassie. Ogni galassia è una sorta di “isola”, un sistema autogravitante distante milioni di anni luce da quelli circostanti. Le galassie sono corpi molto complessi che possono avere forma e dimensioni diverse. Fra una stella e un’altra lo spazio non è vuoto: si trovano particelle di gas estremamente rarefatti e polveri cosmiche, costituite da atomi, ioni, e molecole varie, che formano il mezzo interstellare. In alcune regioni dello spazio poi le particelle si addensano creando nubi molecolari, nubi di idrogeno atomico, nubi di gas ionizzati o nubi di polveri. Le galassie distano le une dalle altre 2 o 3 milioni di anni luce, ma in certi casi sono sufficientemente vicine da risentire di una reciproca attrazione gravitazionale: si formano così sistemi più ampi, detti ammassi di galassie. La Via Lattea, la nostra galassia, fa parte insieme ad Andromeda, alle Nubi di Magellano e a una ventina di altre galassie di un ammasso di piccole dimensioni, denominato Gruppo Locale. Gli ammassi spesso sono organizzati in sistemi più complessi: i superammassi. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.5 Le galassie e la struttura dell’Universo La nostra galassia, la Via Lattea, è una galassia a spirale e ha la forma di un disco molto appiattito, con diversi bracci, disposti sul piano del disco galattico. Contiene oltre 100 miliardi di stelle, ha un diametro di circa 100 000 al (30 kpc) e uno spessore medio di 5000 al, massimo nella zona centrale dove si trova un evidente rigonfiamento. Questo rigonfiamento, detto nucleo galattico, presenta una densità stellare molto elevata, mentre scarseggiano gas e polveri; si tratta di stelle vecchie formatesi probabilmente in una fase «giovanile» della galassia. Forse al centro del rigonfiamento si trova un enorme buco nero. Oltre al nucleo si estende il disco galattico, dal quale partono alcuni bracci, tra cui il braccio di Orione, dove si trova il Sistema Solare. Intorno al disco vero e proprio, si osserva un alone quasi sferico, costituito da stelle vecchie, spesso raggruppate in ammassi. Il Sole si trova in posizione periferica, lì dove si assiste alla formazione di molte stelle di II generazione. In questa regione la densità stellare è inferiore rispetto a quella della regione centrale. Questa lontananza è garanzia di stabilità: i grandi spazi proteggono il Sistema Solare da collisioni o esplosioni di supernovae. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.5 Le galassie e la struttura dell’Universo Nella Via Lattea si osservano molti ammassi stellari, insiemi di stelle generati da una stessa nube che si muovono in modo solidale. Esistono due tipi di ammassi: gli ammassi aperti e gli ammassi globulari. Gli ammassi aperti hanno forma irregolare e contengono poche stelle, disperse in uno spazio molto ampio. In queste regioni la materia interstellare è molto abbondante e sono presenti stelle relativamente giovani, di II generazione, che hanno un’alta metallicità. Gli ammassi aperti sono più frequenti nel disco galattico, arricchitosi di elementi pesanti prodotti dall’esplosione delle stelle vecchie dell’alone. Gli ammassi globulari contengono un gran numero di stelle raggruppate in uno spazio ridotto. Nella nostra Galassia sono noti circa 150 ammassi globulari, gran parte dei quali si trova nell’alone; sono molto densi e possono contenere anche milioni di stelle. Mancano stelle bianco-azzurre, mentre abbondano le giganti rosse. La materia interstellare è scarsa. Le stelle di questi ammassi sono principalmente stelle di I generazione, povere di metalli pesanti. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.6 La classificazione delle galassie Poiché non è ancora chiaro come si evolvono le galassie nel tempo, la classificazione si basa su criteri semplici e immediati: forma e dimensioni. In base alla loro forma si possono distinguere tre tipi principali di galassie: galassie ellittiche, galassie a spirale, galassie irregolari. Le galassie ellittiche si presentano come chiazze di luce di forma sferica o ovoidale, entro le quali le stelle sono distribuite in modo abbastanza regolare e la densità stellare è molto elevata, specialmente nella zona centrale. Al loro interno mancano stelle giovani e si rilevano scarse quantità di polveri e gas. In generale predominano stelle rosse in fasi di vita avanzata; inoltre, la probabilità che si formino nuove stelle è molto ridotta, a causa dell’assenza di nebulose di gas. La massa delle galassie può variare in un intervallo molto ampio: le più grandi hanno una massa anche di 10 000 miliardi di masse solari, le più piccole hanno una massa equivalente a 1 milione di masse solari. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.6 La classificazione delle galassie Le galassie a spirale presentano un rigonfiamento al centro (bulge), circondato da un alone sferoidale e da un disco appiattito in rotazione, formato da stelle, polveri, gas, da cui si originano bracci a spirale. Contengono grandi quantità di polvere interstellare e sono presenti diverse stelle in formazione o in stadi giovanili, localizzate specialmente nei bracci. Le stelle più vecchie, invece, sono generalmente disposte nella zona centrale della galassia. Le dimensioni e la massa variano considerevolmente da caso a caso. Le più grandi hanno una massa pari a circa 2000 miliardi di masse solari, anche se contengono alcune centinaia di miliardi di stelle. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.6 La classificazione delle galassie Le galassie irregolari, non dotate cioè di una forma geometricamente definita, sono poco frequenti. In alcune, come le Nubi di Magellano, la forma è di una nebulosa allungata. In queste galassie sono presenti solitamente stelle molto giovani e nubi di polvere e gas in grande quantità, distribuite disordinariamente. Spesso si osserva una intensa attività di formazione di nuove stelle. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.6 La classificazione delle galassie Indipendentemente dalla forma, alcune galassie presentano particolari caratteristiche. Le galassie attive emettono radiazioni nel campo del visibile in quantità anomale rispetto alle galassie normali. Un’emissione così intensa non può essere giustificata considerando soltanto l’attività delle stelle della galassia. Si pensa che in queste galassie si verifichino particolari fenomeni esplosivi e turbolenti. Nella maggior parte dei casi il centro dell’attività è la regione centrale della galassia, che talvolta si presenta tanto luminosa da offuscare le altre regioni. Secondo molti studiosi, l’attività delle galassie attive dipenderebbe dalla presenza al centro di un enorme buco nero, che inghiotte materia a velocità elevatissima. La caduta di materia verso il buco nero provocherebbe l’emissione di energia, un’intensa emissione di onde radio e variazioni di luminosità. Tra le galassie attive vanno incluse le radiogalassie, che emettono radiazioni molto intense nel campo delle onde radio. Le radiogalassie sono molto spesso galassie ellittiche. Anche i quasar potrebbero essere galassie attive. I quasar sono corpi così brillanti da sembrare oggetti stellari ordinari. In realtà non si tratta di stelle, ma di oggetti estremamente luminosi situati ai limiti dell’Universo osservabile. La distanza, calcolata sfruttando l’effetto Doppler, risulta essere dell’ordine di miliardi di anni luce. Poiché sono visibili in cielo nonostante l’elevatissima distanza, i quasar devono avere una luminosità intrinseca enorme e di natura sconosciuta: non è stato possibile definire una fonte di energia tale da generare una emissione così potente. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.7 Le galassie in movimento Ogni galassia presenta un moto di rotazione intorno al suo nucleo centrale e un moto di traslazione insieme alle altre galassie che fanno parte dello stesso ammasso. Poiché le distanze tra le galassie sono relativamente ridotte, nel loro moto di traslazione le galassie possono entrare in collisione. Tali collisioni galattiche non implicano normalmente una vera interazione tra le stelle, perché all’interno di ciascuna galassia la distanza tra un astro e l’altro è in genere molto superiore al loro diametro. Le collisioni coinvolgono invece nebulose, polveri, materiale interstellare: le galassie possono deformarsi, disgregarsi parzialmente oppure fondersi producendo movimenti di materia e formazione di nuove stelle. La forza responsabile del moto delle galassie è la forza gravitazionale, ma la velocità di traslazione di alcune galassie supera di molto i valori previsti applicando le leggi di gravitazione alle masse realmente osservate. Ciò indica che in molti ammassi è presente una quantità di massa maggiore di quella osservata. Questa materia non può essere osservata perché non assorbe radiazioni né le emette: è la cosiddetta materia oscura. Secondo alcuni, potrebbe essere composta da miriadi di stelle poco luminose, secondo altri, da neutrini. Il problema della massa mancante è tuttora aperto. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.8 Il red shift delle galassie e l’espansione dell’Universo Le galassie come le stelle producono spettri a righe. Tra il 1910 e 1925 si scoprì che le righe degli spettri delle galassie sono sempre spostate verso il rosso. Il fenomeno, detto red shift, si spiega considerando l’effetto Doppler e indica che le galassie si stanno allontanando dalla nostra galassia. Nel 1929 Edwin Powell Hubble dimostrò che lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso è tanto più marcato quanto più la galassia è lontana dal Sistema Solare; si può dire quindi che le galassie più lontane si allontanano più velocemente di quelle più vicine. Il movimento di allontanamento è detto moto di recessione. La relazione tra velocità di allontanamento e distanza della galassia dalla Terra è espressa dalla legge di Hubble: υ = H · d La scoperta di Hubble ha un’implicazione importantissima: l’Universo è in espansione, e la rapidità con cui si espande è espressa dalla costante di Hubble, attualmente compresa tra 40 e 80 km/s/Mpc. Copyright © 2008 Zanichelli editore 3.9 Perché la notte è buia? La sorgente principale di luce per la Terra è il Sole, la cui luminosità è tanto elevata da occultare la luce di tutte le altre stelle, che diventa percettibile solo durante la notte, quando l’osservatore è rivolto in direzione opposta al Sole e può quindi osservare il settore di cielo che non viene investito dalla luce solare. Se immaginassimo di «togliere» il Sole dal cielo, questo apparirebbe sempre buio. Se tuttavia si riflette della struttura dell’Universo, sorge una domanda che per molto tempo ha impegnato gli astronomi: «Perché il cielo è buio?» Poiché l’Universo è popolato da un numero grandissimo di stelle e di galassie, distribuite nello spazio in modo abbastanza uniforme, dovrebbe essere visibile una stella o una galassia in qualunque direzione e il cielo dovrebbe apparire sempre luminoso, indipendentemente dalla presenza del Sole sopra il nostro orizzonte. Ciò non accade per due ragioni: innanzitutto l’Universo si espande e modifica le sue dimensioni nel tempo; in secondo luogo, la luce si muove a velocità finita. Poiché l’espansione dell’Universo continua da circa 10-15 miliardi di anni, la luce proveniente dalle galassie più remote non ha avuto a disposizione un tempo sufficiente per giungere fino a noi. Risulta impossibile percepire la luce di tutte le galassie che si trovano distanti da noi più di 15 miliardi di anni-luce; inoltre, a causa dell’effetto Doppler provocato dall’espansione, le radiazioni provenienti dalle stelle più lontane subiscono un significativo spostamento verso il rosso tanto da non essere più percepibili dall’occhio umano. Il buio della notte, quindi, ci conferma che l’Universo non è statico e immutabile. Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.0 Le ipotesi cosmologiche La scoperta dell’espansione dell’Universo fu una vera rivoluzione, perché in contrasto con l’idea di un universo statico e immutabile, dominante fino ai primi del XX secolo. Per spiegare il moto di recessione delle galassie è necessario ammettere che l’Universo abbia avuto un inizio. Utilizzando la costante di Hubble e presupponendo che la velocità sia rimasta invariata, è possibile stabilire approssimativamente quando ebbe inizio l’espansione dell’Universo e datarne quindi l’origine. L’età oggi stimata dell’Universo è 15-20 miliardi di anni. L’origine e la successiva evoluzione dell’Universo sono oggetto di studio della cosmologia. Per spiegare le origini dell’Universo sono state formulate due ipotesi cosmologiche: l’ipotesi dello stato stazionario e l’ipotesi del big bang. Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.0 Le ipotesi cosmologiche Secondo il modello dello stato stazionario, l’Universo è uniforme nello spazio e nel tempo, non ha un inizio preciso e non cambia nel tempo. Per spiegare il fenomeno della recessione, gli autori di questa teoria sostengono che nell’Universo si crea lentamente e continuamente nuova materia (precisamente nuovi atomi di idrogeno a ritmo di 1 atomo/km³/10 miliardi di anni). Nuove galassie, quindi, prenderebbero il posto di quelle che si sono allontanate, e ogni regione dell’Universo manterrebbe costante nel tempo la sua densità. Un’ipotesi del genere viola il principio di conservazione della materia e oggi non ha più molto seguito. Secondo il modello del big bang, l’Universo è nato da un’esplosione a partire da una singolarità, uno stato iniziale di densità e temperature infinite. L’esplosione avrebbe generato non solo tutta la materia che costituisce l’Universo, ma anche le quattro forze fondamentali (forza gravitazionale, elettromagnetica, di interazione nucleare forte, di interazione nucleare debole), lo spazio e il tempo. Dall’esplosione avrebbe avuto inizio anche l’espansione che continua ancora oggi. Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.1 Il big bang Il modello che descrive la creazione della materia e delle fasi dell’espansione conseguenti al il big bang è detto modello standard. Secondo tale modello, il momento in cui si è originato l’Universo è detto tempo zero e dovrebbe collocarsi tra 15 e 20 miliardi di anni fa. E’ impossibile sapere cosa sia accaduto nell’intervallo di tempo tra 0 e 10ˉ⁴³ s, denominato era di Plank, perché l’Universo era una singolarità, un sistema che non può essere descritto con le leggi fisiche e per il quale non è possibile parlare di spazio e tempo. Al termine dell’era di Plank, l’Universo doveva avere dimensioni infinitesimali, temperatura dell’ordine di 10³³ K, le forze erano unificate in un’unica superforza. Successivamente al tempo di Plank, l’Universo cominciò a espandersi a velocità elevatissima e in un tempo brevissimo cominciarono a formarsi le particelle di materia più semplici, mentre la temperatura e la densità diminuivano. Poco più di un secondo dopo il big bang, la temperatura era scesa a 10 miliardi di K ed erano presenti protoni, neutroni, elettroni e fotoni, mentre la densità doveva aver un valore circa 380 000 volte maggiore della densità dell’acqua. Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.1 Il big bang Nei 3 minuti successivi, la temperatura scese a valori dell’ordine di 1 miliardo di K e cominciarono le prime reazioni di fusione tra protoni (fase di nucleosintesi). Si formarono così nuclei atomici di deuterio ed elio. Nei 300 000 anni successivi, proseguì l’espansione, ma a ritmo ridotto rispetto alla fase iniziale. Dopo 300 000 anni, la temperatura si ridusse fino a circa 3000 K, tanto da permettere la formazione di atomi. L’Universo, dapprima opaco a causa dei fotoni che venivano continuamente assorbiti e riemessi dagli elettroni del plasma, divenne trasparente: le radiazioni cominciarono a muoversi percorrendo lunghi tragitti. Si verificarono così nuove forme di aggregazione: gli atomi si organizzarono a formare molecole e si crearono composti più complessi Cominciarono a formarsi nebulose di gas e 2-3 milioni di anni dopo l’origine dell’Universo cominciarono a formarsi le prime protogalassie. Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.1 Il big bang Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.2 Le prove a favore del big bang Attualmente, le prove a sostegno della teoria del big bang sono tre. La prima prova è il moto di recessione delle galassie. La seconda prova è l’analisi delle percentuali di idrogeno e di elio nell’Universo attuale, oggi costituito per il 75% da idrogeno e poco meno del 25% da elio. Se non si fosse verificato il big bang, tutto l’elio presente nell’Universo deriverebbe dalle reazioni di fusione avvenute nelle stelle, ma la quantità di elio rilevata risulta troppo elevata rispetto alle previsioni. La terza e più convincente prova è l’esistenza della radiazione cosmica di fondo, scoperta nel 1964 da Penzias e Wilson, due radioastronimi. I due rilevarono con appositi strumenti l’esistenza di una radiazione persistente che proveniva uniformemente da tutte le direzioni. Le radiazioni rilevate erano radiazioni elettromagnetiche a bassa energia, dette microonde. Questa radiazione, definita poi radiazione fossile, sarebbe costituita da fotoni (prodotti in seguito al big bang) che avrebbero percorso l’Universo in espansione fino a noi; nel loro viaggio, a causa dell’effetto Doppler, queste radiazioni si sarebbero trasformate in onde radio. Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.3 Verso gli abissi. L’evoluzione futura Attualmente l’Universo si sta espandendo, ma il destino che avrà resta oscuro. Gli astrofisici ritengono che il parametro da determinare per capire quale sarà l’evoluzione dell’universo sia la densità. La densità, infatti, dipende dalla quantità di materia presente, e questa a sua volta determina l’intensità della forza di attrazione gravitazionale. L’attrazione gravitazionale è importante perché è l’unico fattore che può impedire l’espansione dell’Universo. Se la densità dell’Universo sarà sufficiente per generare una forza gravitazionale in grado fermare la spinta all’espansione, l’Universo cesserà di espandersi e ricadrà su se stesso contraendosi. Il gigantesco collasso che avverrebbe in questo caos è detto big crunch. Un universo che si espande per poi contrarsi è un universo chiuso. Nessun modello è in grado di prevedere cosa succederà in seguito al collasso. Secondo alcuni si ripeterà il big bang e l’Universo continuerà ad alternare espansione e collasso ciclicamente (big bounce). Copyright © 2008 Zanichelli editore 4.3 Verso gli abissi. L’evoluzione futura Se la densità sarà troppo piccola e non genererà una forza gravitazionale sufficiente per impedire all’espansione di durare per sempre, le galassie si allontaneranno fino a spegnersi. L’Universo, che in questa seconda ipotesi sarebbe un universo aperto, diventerà sempre più freddo, oscuro e vuoto. Se la forza gravitazionale non sarà sufficiente per causare una contrazione, ma riuscirà a contrastare l’espansione tanto da rallentarla sempre più, senza però causare un collasso, si avrà un universo che viene chiamato piatto. Per capire quale dei tre modelli si avvicini maggiormente alla realtà è essenziale determinare l’intensità della forza gravitazionale. Tale stima risulta difficile perché, oltre alla materia che conosciamo, esiste sicuramente un altro tipo di materia con proprietà del tutto differenti: la materia oscura. Copyright © 2008 Zanichelli editore A cura di : Classe : V Giovanni Domenico Ciriello Sez. : E Anno scolastico : 2010/2011 Copyright © 2008 Zanichelli editore