1.1 L’ambiente celeste
L’astronomia, la scienza che studia i corpi celesti, ha
origini antiche. In India l’osservazione del cielo era
praticata già nel III millennio a.C., in Cina e in
Mesopotamia nel I millennio. Inizialmente gli
astronomi svilupparono l’astronomia descrittiva e si
dedicarono principalmente alla determinazione della
posizione e alla previsione dei movimenti degli astri.
In questo campo vennero raggiunti già dai Greci
risultati talvolta sorprendentemente accurati,
considerati i limiti degli strumenti disponibili.
La ricerca delle cause di tali movimenti ebbe inizio
solo nel XVI secolo, grazie agli studi di Keplero,
Galileo e Newton.
L’astronomia ha raggiunto il suo massimo sviluppo
nel XX secolo: accanto agli studi della meccanica
celeste sono sorte nuove branche di ricerca:
l’astrofisica, che applica le leggi fisiche allo studio
dei corpi celesti; la cosmologia, che studia l’origine e
l’evoluzione dell’universo; la cosmogonia, che si
occupa dell’origine e dell’evoluzione delle strutture
che costituiscono l’attuale universo (galassie, sistemi
planetari, ecc..).
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1.2 La posizione della Terra nell’Universo
Nell’antichità si pensava che la Terra si
trovasse al centro dell’Universo e che avesse
natura diversa dagli altri corpi, i quali venivano
considerati eterni e immutabili.
Oggi sappiamo che l’Universo, inteso come la
regione di spazio e di tempo accessibile alle
nostre osservazioni, ha avuto un inizio: esso si
modifica, non solo nella composizione, ma
anche nelle dimensioni.
Sappiamo che le stelle sono fatte di materia,
nascono, si evolvono e si spengono, e
sappiamo che le particolari caratteristiche del
nostro pianeta dipendono dal luogo, dal modo e
dal tempo in cui si è formato.
La Terra è un pianeta del Sistema Solare.
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1.2 La posizione della Terra nell’Universo
Il Sistema Solare è l’insieme dei corpi che risentono in modo apprezzabile
dell’attrazione gravitazionale del Sole.
Il Sole è una stella, cioè un corpo celeste di grande massa che produce luce
e altre radiazioni elettromagnetiche.
Intorno ad esso si muovono otto pianeti, corpi opachi e relativamente
freddi che non sono in grado di produrre luce. Essi percorrono traiettorie
ellittiche intorno al Sole e ruotano su se stessi. Il moto di un pianeta intorno
al proprio asse è detto moto di rotazione, mentre il moto intorno al Sole è
detto moto di rivoluzione.
La distanza media della Terra dal Sole è di circa 150 000 000 km.
Intorno alla Terra si muove un satellite: la Luna.
Nel Sistema Solare molti altri pianeti possiedono uno o più satelliti,
corpi opachi, di dimensioni variabili, legati per attrazione
gravitazionale a un pianeta
intorno a cui compiono una
rivoluzione.
Tutti i satelliti del Sistema Solare,
come i pianeti,
ruotano su se stessi.
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1.2 La posizione della Terra nell’Universo
Le dimensioni del Sistema Solare sono molto ridotte
rispetto allo spazio circostante, che è popolato da un
gran numero di stelle.
Tra il Sole e le stelle più vicine ci sono distanze
considerevoli, perciò un immenso spazio ci separa dagli
altri sistemi stellari.
Le stelle hanno una massa enorme e, pur essendo
distanti l’una dall’altra, ciascuna risente dell’attrazione
gravitazionale delle stelle circostanti: per questo esse
non sono isolate, ma raggruppate in sistemi, detti
galassie.
Nelle galassie, le stelle si muovono compiendo una
lenta rivoluzione intorno al centro della galassia.
Il Sole appartiene a una galassia, la Via Lattea, che
contiene centinaia di miliardi di stelle.
Il Sistema Solare si muove intorno al centro della
galassia, compiendo una rivoluzione in circa
225 milioni di anni.
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1.3 La sfera celeste e le costellazioni
Se in una notte serena guardiamo il cielo da un qualsiasi luogo della
Terra, esso ci appare come una grande cupola cosparsa di
innumerevoli punti più o meno luminosi. Abbiamo così
l’impressione di trovarci sempre al centro di una sfera cava, di
raggio infinito, detta sfera celeste, sulla cui superficie sono disposti i
corpi celesti. La sfera celeste non esiste realmente: i corpi celesti non
si trovano tutti alla medesima distanza dalla Terra, ma lo sguardo
non riesce a percepire e a misurare tali distanze. Nonostante questo
limite, la sfera celeste costituisce un valido artificio, un modello
matematico utile per rappresentare e studiare la disposizione dei vari
corpi celesti che circondano la Terra. In base alla diversa natura è
possibile distinguere vari tipi di corpi celesti: stelle, galassie,
pianeti, satelliti. Lo spazio tra gli astri appare vuoto, anche se è
costituito in realtà da un gas di particelle molto rarefatte o da polveri,
la materia interstellare.
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1.3 La sfera celeste e le costellazioni
Non tutte le stelle sono ugualmente brillanti e le più
visibili sembrano delineare sulla volta buia figure
particolari, la cui forma, ovviamente, è tale solo per
un osservatore posto sulla superficie terrestre,
mentre cambierebbe se ci si ponesse da un’altra
prospettiva.
Queste figure immaginarie sono dette costellazioni.
In virtù della lontananza, le stelle di una
costellazione ci appaiono vicine le une alle altre,
anche se nella realtà sono disposte nello spazio a
distanze molto diverse e non sono vincolate in alcun
modo tra loro; esse hanno storie, età e origine
differenti.
Nonostante siano associazioni fittizie, le
costellazioni sono lo strumento migliore per
orientarsi; esse infatti non si modificano
sostanzialmente nel tempo, perché l’enorme
distanza non ci consente di percepire in modo
significativo i moti reali delle stelle.
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1.3 La sfera celeste e le costellazioni
La consuetudine di suddividere la volta celeste in
settori, immaginando su di essa figure di esseri
umani, animali, eroi, è molto antica ed è legata alla
tradizione mitologica: Cinesi, Egizi, Greci vedevano
rappresentate nel cielo storie e miti differenti, perciò
avevano costellazioni diverse.
Il catalogo delle costellazioni, introdotto nel 1930
dall’Unione Astronomi Internazionale, riprende in
massima parte il modello greco e il catalogo di
Tolomeo (almagesto), nel quale erano elencate 48
costellazioni visibili sulla porzione di sfera celeste
osservabile dal bacino del Mediterraneo. Il catalogo
di Tolomeo fu completato tra il XVI e il XVIII
secolo, quando le esplorazioni geografiche
portarono alla scoperta delle regioni dell’emisfero
australe. Oggi gli astronomi distinguono nel cielo
ben 88 costellazioni, di cui ci si serve per dividere la
sfera celeste in settori. All’interno delle
costellazioni, le stelle vengono indicate con una
lettera greca (in ordine alfabetico secondo la
luminosità), seguita dal nome della costellazione.
Le stelle più brillanti conservano nomi tradizionali:
Antares, Arturo, Sirio, Betelgeuse, Rigel, Vega.
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1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste
Per stabilire la posizione esatta di un astro è utile
costruire sulla sfera celeste un sistema di
riferimento che abbia un valore universale,
indipendente cioè dalla posizione dell’osservatore.
I due elementi di riferimento fondamentali sono
l’asse del mondo e l’equatore celeste.
L’asse del mondo è la linea ideale che si ottiene
prolungando all’infinito l’asse di rotazione della
Terra; esso interseca la sfera celeste in
corrispondenza di due punti, denominati polo
nord celeste e polo sud celeste.
Il polo nord celeste attualmente si trova in
prossimità della Stella Polare, nella costellazione
dell’Orsa Minore.
Il polo sud celeste si trova nella costellazione
dell’Ottante, vicino alla stella s Oct (una stella
poco brillante e difficilmente osservabile).
Il piano dell’equatore terrestre è perpendicolare
all’asse del mondo e passa per il centro della sfera
celeste. Se immaginiamo di prolungare questo
piano fino ad intersecare la superficie della sfera
celeste, otteniamo un circolo, detto equatore
celeste.
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1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste
L’equatore celeste divide la sfera celeste in un emisfero settentrionale o
boreale, e un emisfero meridionale o australe.
Come sulla Terra, è possibile immaginare sulla superficie della sfera celeste
un reticolo, formato da paralleli e meridiani.
I paralleli celesti sono circoli paralleli all’equatore, i meridiani celesti sono
i semicerchi che uniscono polo nord e polo sud celesti.
Il parallelo celeste fondamentale è l’equatore, mentre il meridiano celeste
fondamentale è quello che passa per il punto γ, il punto della sfera celeste
in cui si trova il Sole nell’equinozio di primavera, mentre il punto
diametralmente opposto è detto punto ω.
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1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste
Dalla posizione dell’osservatore dipende invece la
prospettiva con cui si osserva la sfera celeste.
Gli elementi di riferimento in questo caso sono la
verticale e il piano dell’orizzonte astronomico.
La verticale è la retta immaginaria che passa per il
punto in cui si trova l’osservatore e per il centro
della Terra. Essa interseca la sfera celeste in due
punti: lo zenit, sopra la testa dell’osservatore, e il
nadir, sotto i piedi dell’osservatore.
Il piano dell’orizzonte celeste è il piano passante
per il centro della sfera celeste e perpendicolare
alla verticale del luogo. Esso interseca la sfera
celeste secondo una circonferenza, che prende il
nome di orizzonte astronomico del luogo.
La posizione dello zenit e del piano dell’orizzonte
astronomico variano secondo la latitudine
dell’osservatore: il piano dell’orizzonte di un
osservatore al polo nord coincide con il piano
dell’equatore, mentre il piano dell’orizzonte di un
osservatore all’equatore passa per l’asse terrestre.
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1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste
Il piano dell’orizzonte celeste, comunque sia
inclinato rispetto all’asse del mondo, divide la
sfera celeste in due semisfere: quella superiore
visibile, che contiene lo zenit, e quella inferiore
non visibile, che contiene il nadir.
In pratica, ogni osservatore può vedere in ogni
istante solo metà della sfera celeste, anche se la
porzione visibile varia a seconda della latitudine a
cui si trova.
Sulla superficie della sfera, i circoli massimi
passanti per zenit e nadir sono detti circoli
verticali. Di questi il più importante è il circolo
che passa anche per i poli celesti: il meridiano
locale. Sull’orizzonte, inoltre, è possibile
identificare quattro punti cardinali: l’est e l’ovest
sono i punti in cui l’equatore celeste interseca il
piano dell’orizzonte; il nord e il sud sono i punti
in cui il circolo meridiano locale interseca
l’orizzonte, ognuno nella direzione del
corrispondente polo.
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1.4 Gli elementi di riferimento sulla sfera celeste
Poiché la Terra con buona approssimazione può
essere considerata di forma sferica, ogni
osservatore ha sempre l’impressione di trovarsi al
centro di un piano delimitato da una linea circolare
che sembra separare la Terra, o il mare, dal cielo.
Questa linea è detta linea dell’orizzonte, o
orizzonte visivo, e delimita la porzione della
superficie terrestre che si può vedere. Man mano
che l’osservatore sale di quota, l’orizzonte visivo
si espande. Poiché l’orizzonte visivo può variare
anche nello stesso luogo, in funzione della quota,
per la definizione della posizione di un punto sulla
superficie terrestre si preferisce utilizzare come
riferimento il piano dell’orizzonte apparente,
cioè il piano tangente alla superficie terrestre nel
punto in cui si trova l’osservatore. Poiché le
dimensioni della Terra sono molto piccole rispetto
alle distanze che ci separano dai corpi celesti, in
astronomia ci si riferisce al piano dell’orizzonte
astronomico, cioè al piano passante per il centro
della Terra, parallelo al piano dell’osservatore
visivo.
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1.5 Le coordinate astronomiche
Indipendentemente dal sistema di riferimento adottato, la
posizione di un corpo celeste è nota se sono noti due angoli,
che vengono chiamati coordinate astronomiche. Esistono due
sistemi di coordinate astronomiche.
Il sistema di coordinate che prende come riferimento
l’orizzonte e la verticale del luogo è detto sistema delle
coordinate altazimutali.
Le coordinate altazimutali definiscono la posizione di un
astro dalla misura di due angoli, l’altezza e l’azimut.
L’altezza (h) è la distanza angolare di un astro dal piano
dell’orizzonte. Essa corrisponde all’angolo compreso tra il
segmento che unisce il centro del piano dell’osservatore
all’astro e il piano dell’orizzonte. Varia da 0º (sul piano
dell’orizzonte) a +90º (allo zenit) a -90º (al nadir).
L’azimut (a) è l’angolo compreso tra il piano del circolo
verticale passante per l’astro e il piano del meridiano locale. Si
misura sull’orizzonte astronomico dell’osservatore, partendo
dal punto cardinale sud e procedendo in senso orario.
Le coordinate altazimutali variano durante il giorno a causa dei
movimenti della sfera celeste. Nel medesimo istante, inoltre,
sono diverse da luogo a luogo in relazione alla latitudine
dell’osservatore.
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1.5 Le coordinate astronomiche
Il sistema di coordinate che prende come riferimento
l’equatore celeste e l’asse del mondo è detto sistema delle
coordinate equatoriali.
Le coordinate equatoriali definiscono la posizione
dell’astro dalla misura di due angoli, la declinazione e
l’ascensione retta.
La declinazione (δ) è la distanza angolare di un astro
dall’equatore celeste. La declinazione è positiva
nell’emisfero boreale, negativa nell’emisfero australe. I
punti posti sull’equatore celeste hanno declinazione 0º ; il
polo nord e il polo sud celesti hanno rispettivamente
declinazione +90º e -90º. La declinazione quindi varia dal
+90º a -90º.
L’ascensione retta (α) è l’angolo compreso tra il piano
del meridiano celeste passante per l’astro e il piano del
meridiano fondamentale. Tale angolo si misura in senso
antiorario, partendo dal meridiano fondamentale. In
genere si esprime in ore, minuti e secondi, tenendo
presente che ogni 4 min la volta celeste si sposta di circa
1º.
Il sistema delle coordinate equatoriali è indipendente
dalla posizione dell’osservatore, perciò viene utilizzato
per la costruzione delle mappe del cielo.
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1.6 I movimenti apparenti degli astri
La sfera celeste compie ogni giorno una rotazione
su se stessa intorno all’asse del mondo, ruotando
da est verso ovest in senso orario (visto dal polo
nord celeste).
Il movimento di rotazione della sfera celeste si
completa in 23 h 56 min 4 s.
In questo movimento vengono trascinati tutti gli
astri, solo l’asse del mondo resta immobile e con
esso i poli.
Per questo la Stella Polare appare come l’unico
punto fermo nel cielo, ma in realtà anch’essa
compie una piccola rotazione, poiché la sua
posizione non coincide perfettamente con il polo
nord celeste.
Il moto diurno della sfera celeste è un moto
apparente: in realtà è la Terra che ruota su se
stessa in senso antiorario da ovest verso est
causando l’apparente rivoluzione in senso
contrario di tutti i corpi celesti visibili.
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1.6 I movimenti apparenti degli astri
Le stelle, pur muovendosi, conservano sempre la
medesima declinazione e la stessa posizione le une
rispetto alle altre.
Nel corso della rotazione della sfera celeste,
ciascuna di esse torna ad occupare la stessa
posizione dopo 23 h 56 min 4 s.
A causa del moto diurno della volta celeste, nel
nostro emisfero le stelle visibili descrivono
circonferenze concentriche intorno alla Stella
Polare, che resta (apparentemente) immobile.
Anche i corpi del sistema solare presentano un
moto apparente diurno in senso orario intorno alla
Terra, ma il loro moto non è in sincronia con
quello delle stelle.
Ciò dipende dal fatto che il Sistema Solare è un
insieme di corpi in movimento: il moto di
rivoluzione dei pianeti e della Terra intorno al Sole
modifica giornalmente le loro posizioni relative.
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1.6 I movimenti apparenti degli astri
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1.6 I movimenti apparenti degli astri
Il Sole compie una rivoluzione giornaliera in senso
orario intorno alla Terra, ma è più lento delle altre
stelle, poiché completa il suo giro apparente in 24 h. Il
Sole è, quindi, l’unica stella che non si colloca in una
costellazione definita: ogni mese accumula un ritardo
di circa 30º (pari a 120 min), dunque “esce” da una
costellazione ed “entra” in un’altra.
Le costellazioni che fanno da sfondo al moto annuo
del Sole sono dette costellazioni dello zodiaco.
Il Sole presenta una seconda particolarità: giorno dopo
giorno, modifica la sua declinazione, passando
nell’arco di 1 anno da un valore massimo di +23º,27'
(nel solstizio d’estate) a un valore minimo di –23º,27'
(nel solstizio d’inverno).
Poiché il giorno civile dura 24 h, le stelle risultano
tutte spostate verso ovest di circa 1º ogni giorno.
Ogni notte sorgono nuove stelle e ne tramontano altre,
ma le stelle più vicine alla stella polare restano visibili
per tutto l’anno.
Lo scenario notturno si ripresenta identico dopo 1
anno.
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1.6 I movimenti apparenti degli astri
La Luna, come il Sole, ha un moto proprio regolare:
compie una rivoluzione apparente diurna in senso
orario ma ritarda ogni giorno di circa 50 min, e torna
nel medesimo punto della sfera celeste dopo circa 1
mese. Il ritardo giornaliero della Luna si spiega
considerando il suo moto di rivoluzione intorno alla
Terra.
I pianeti hanno un comportamento differente sia dal
Sole sia dalla Luna. Essi sembrano avere un moto
proprio che li porta ad assumere posizioni diverse
nel corso dell’anno; come astri erranti, per qualche
tempo si muovono nello stesso verso del Sole, ma
talvolta, per un certo periodo, invertono il verso del
loro moto, per tornare poi a muoversi nella direzione
originaria. Il loro moto apparente dipende dalla
combinazione dei movimenti della Terra e il loro
moto di rivoluzione intorno al Sole.
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1.7 La luce messaggera dell’Universo
La luce è un insieme di radiazioni elettromagnetiche.
Da una sorgente essa si propaga nello spazio con una
velocità costante e finita che nel vuoto è di circa
300 000 km/s.
Ogni radiazione può essere rappresentata come
un’onda, distinguibile dalle altre per i valori della
frequenza e della lunghezza d’onda.
La frequenza è in numero di oscillazioni complete
che un punto dell’onda compie nell’unità di tempo e si
misura in hertz.
La lunghezza d’onda è la distanza tra due massimi
(creste) o due minimi (gole) e si misura in multipli e
sottomultipli del metro.
La luce visibile è costituita da radiazioni
elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa
tra 400 e 700 nm. In questo intervallo di valori il
nostro occhio percepisce i cambiamenti di lunghezza
d’onda delle radiazioni come cambiamenti di colore:
in ordine lunghezza d’onda decrescente, rosso,
arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto.
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1.7 La luce messaggera dell’Universo
Il campo delle radiazioni elettromagnetiche si estende oltre l’intervallo di lunghezze d’onda visibili e
comprende raggi ultravioletti, i raggi X, i raggi γ (radiazioni con lunghezza d’onda inferiore al
violetto), i raggi infrarossi, le microonde, le onde radio (radiazioni con lunghezza d’onda superiore
al rosso).
Le radiazioni elettromagnetiche trasportano nello spazio energia sotto forma di fotoni. Ogni fotone
trasporta una quantità definita e discreta di energia, tanto che può essere considerato una particella
della luce.
L’energia dei fotoni dipende dalla
frequenza delle radiazioni: tanto
maggiore è la frequenza di una
radiazione, tanto maggiore è
l’energia di un singolo fotone.
Le dimensioni della sorgente
non influenzano la quantità
di energia trasportata da ciascun
fotone, ma solo il loro numero.
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1.8 Gli strumenti per osservare il cielo
Per scandagliare il cielo gli astronomi utilizzano i
telescopi.
I telescopi che raccolgono le radiazioni
elettromagnetiche nel campo del visibile sono detti
telescopi ottici. I telescopi ottici sono costituiti da un
obiettivo dove si forma l’immagine, che viene
osservata attraverso l’oculare. Le immagini raccolte dai
telescopi ottici sulla Terra sono sempre imprecise,
perché le radiazioni, per raggiungere il telescopio,
devono attraversare l’atmosfera terrestre che assorbe
alcune lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico
e produce una certa distorsione dell’immagine. Questi
effetti dell’atmosfera non possono essere eliminati,
pertanto gli astrofisici hanno messo a punto telescopi
orbitanti intorno alla Terra. I telescopi che operano
nello spazio non risentono dell’effetto di assorbimento
causato dall’atmosfera e raccolgono informazioni in
tutti i campi dello spettro elettromagnetico.
I telescopi ottici che oggi possediamo sono di due tipi:
- telescopi a rifrazione;
- telescopi a riflessione.
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1.8 Gli strumenti per osservare il cielo
Un telescopio il cui funzionamento di basa su un sistema di lenti si chiama telescopio a
rifrazione.
Il primo telescopio costruito montava delle semplici lenti convergenti. La lente più
importante, l’obiettivo, produce l’immagine deviando e facendo convergere i raggi luminosi
in un punto, il fuoco, nel quale si forma l’immagine. La distanza tra il fuoco e la lente è detta
lunghezza focale della lente. Una seconda lente, l’oculare, ingrandisce l’immagine prodotta
dall’obiettivo. L’ingrandimento di un sistema semplice di lenti è dato dal rapporto tra
lunghezza focale dell’obiettivo e lunghezza focale dell’oculare. Scegliendo un oculare con
una lunghezza focale più piccola, si può aumentare l’ingrandimento. Il limite massimo alla
capacità di ingrandimento di un telescopio a rifrazione è pari a circa 20 volte il diametro
dell’obiettivo espresso in centimetri; di conseguenza, i telescopi con grandi obiettivi possono
«vedere» più lontano nello spazio di quelli con obiettivi piccoli.
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1.8 Gli strumenti per osservare il cielo
Il problema principale dei telescopi a rifrazione
è che una lente devia i raggi di luce di ciascuna
lunghezza d’onda secondo angoli leggermente
diversi: questo effetto fastidioso, conosciuto
come aberrazione cromatica, indebolisce
l’immagine, che inoltre appare circondata da
un alone colorato. Se questo effetto non può
essere completamente eliminato, viene però
notevolmente ridotto accoppiando una seconda
lente speciale all’obiettivo.
Un vantaggio dei telescopi con grandi obiettivi
è l’alto potere di risoluzione, che consente di
avere immagini più nitide e di osservare
dettagli più minuti.
Il potere di risoluzione di un telescopio da terra
è fortemente limitato dalle condizioni
atmosferiche: quando c’è molta turbolenza, il
movimento dell’aria fa variare gli effetti della
rifrazione atmosferica, provocando l’apparente
tremolio delle stelle.
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1.8 Gli strumenti per osservare il cielo
I telescopi a riflessione utilizzano uno specchio concavo che raccoglie e
concentra la luce di fronte all’obiettivo invece che dietro di esso.
Lo specchio è ricavato in genere da un vetro accuratamente levigato, poi la
superficie dello specchio stesso viene poi ricoperta con un materiale
altamente riflettente.
Per far convergere in un punto preciso (fuoco) i raggi di luce, lo specchio
viene sagomato secondo una superficie geometrica detta paraboloide.
Poiché il fuoco è davanti allo specchio, sono stati studiati particolari
accorgimenti per osservare l’immagine senza ostacolare troppo la luce in
arrivo.
La cabina di osservazione ostacola solo il 10% della luce totale in arrivo, e
la perdita è più che compensata dalle dimensioni degli obiettivi usati.
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1.8 Gli strumenti per osservare il cielo
Per diverse ragioni tutti i grandi telescopi oggi
usati sono riflettori. Tra i tanti motivi vi è
anche l’estrema difficoltà di costruire grandi
lenti di vetro di alta qualità, prive di bolle
d’aria, che sono necessarie per i telescopi a
rifrazione.
Inoltre, tutte e due le superfici della lente
devono essere accuratamente levigate per
correggere l’aberrazione cromatica; nel caso di
un telescopio a riflessione, invece, è solo una
superficie da lucidare.
Ancora, nel telescopio a rifrazione le lenti
possono essere sostenute solo lungo il bordo e
quindi possono facilmente deformarsi per
effetto del loro stesso peso.
Il più grande telescopio al mondo è un
riflettore di 600 cm, nelle montagne del
Caucaso, in Unione Sovietica; al secondo
posto, per dimensioni, il telescopio Hale, di
508 cm, in California.
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1.8 Gli strumenti per osservare il cielo
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1.8 Gli strumenti per osservare il cielo
La radiazione emessa dal Sole non è costituita
solo dalla luce percepita dal nostro occhio: oltre
alla luce visibile, i copri celesti emettono anche
raggi gamma, raggi X, radiazioni ultraviolette,
radiazioni infrarosse e onde radio.
Di grande importanza per gli studi astronomici è
una stretta banda di onde radio che riescono a
penetrare nell’atmosfera.
La rilevazione di onde radio è resa possibile dai
radiotelescopi. Il principio su cui si basano è lo
stesso dei telescopi ottici a riflessione: un’ampia
superficie a forma di paraboloide raccoglie le
onde radio e le fa convergere su un’antenna che
«ascolta» la sorgente. Dato che le onde radio
sono circa 100 000 volte più lunghe delle
radiazioni visibili, l’accuratezza della superficie
del paraboloide è molto minore; tuttavia, il
vantaggio è bilanciato dal fatto che l’energia
radio emessa dalle sorgenti celesti è debole, e
questo rende necessaria la costruzione di
paraboloidi molto grandi.
Il più grande radiotelescopio del mondo si trova
ad Arecibo, nell’isola di Portorico.
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1.9 La spettroscopia
Lo spettro è la figura che si ottiene
raccogliendo su di uno schermo nero o su una
lastra fotografica le radiazioni
elettromagnetiche provenienti da una sorgente,
dopo che queste hanno subito una rifrazione.
In uno spettro, le radiazioni appaiono come
righe e si dispongono sempre in ordine di
lunghezza d’onda, subendo infatti una
deviazione tanto maggiore quanto minore è la
loro lunghezza d’onda.
Lo spettro completo delle radiazioni
elettromagnetiche comprende tutte le
radiazioni, dalle onde radio ai raggi γ.
Nel campo del visibile le radiazioni si
dispongono dal rosso al violetto, in una
successione che è sempre la stessa.
L’esperimento di scindere la luce solare nei
suoi colori componenti (dispersione della luce)
fu effettuato da Isaac Newton nel 1666 e ha
dato avvio ad un nuovo campo di studi: la
spettroscopia.
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1.9 La spettroscopia
Le analisi spettroscopiche hanno permesso di scoprire che esistono tre diversi tipi di
spettri.
Gli spettri di emissione continui si ottengono facendo passare attraverso una fenditura
e scomponendo con un prisma la radiazione emessa da un solido o da un liquido
incandescenti oppure da un gas denso riscaldato.
In uno spettro di emissione sono presenti tutte le radiazioni senza soluzione di
continuità.
Le caratteristiche dello spettro dipendono dalla temperatura del corpo: a basse
temperature sono più intense le radiazioni a minor frequenza, ad alte temperature sono
più intense quella a maggior frequenza.
La radiazione che predomina per intensità determina il colore della luce emessa dalla
sorgente incandescente.
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1.9 La spettroscopia
Gli spettri di emissione a righe si ottengono usando
come sorgente di emissione un gas rarefatto portato a
elevata temperatura o attraversato da una scarica
elettrica. Lo spettro non è continuo, ma è costituito
da un insieme di righe sottili (se il gas è formato da
atomi) o di bande (se è formato da molecole) su uno
sfondo nero. Ogni elemento produce uno spettro
caratteristico che contiene sempre le stesse righe.
Gli spettri di assorbimento si ottengono quando la
radiazione continua proveniente da una sorgente
luminosa viene fatta passare attraverso una sostanza
gassosa a bassa pressione e meno calda della
sorgente. In questo caso, il gas assorbe alcune delle
radiazioni emesse dalla sorgente generando nello
spettro colorato (come uno spettro continuo) righe o
bande scure in corrispondenza delle radiazioni
assorbite. Le radiazioni che il gas interposto assorbe
sono esattamente le stesse che produce quando viene
riscaldato fino a emettere luce. Uno spettro di
assorbimento è dunque esattamente il negativo di uno
spettro di emissione e consente di identificare la
natura chimica della sostanza allo stato gassoso
interposta tra la sorgente e l’osservatore.
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2.0 La distanza delle stelle
Le distanze tra i corpi celesti possono essere espresse
utilizzando tre unità di misura: l’unità astronomica,
l’anno-luce, il parsec.
L’unità astronomica (UA) corrisponde alla distanza
media Terra-Sole, equivalente a circa 150 milioni di
km.
L’anno-luce (al) è la distanza percorsa in 1 anno dalla
luce, che si muove alla velocità di circa 300 000 km/s.
Un anno-luce corrisponde, quindi, a una distanza di
circa 9463 miliardi di km.
Il parsec (parallasse-secondo) corrisponde alla distanza
alla quale dovrebbe trovarsi un corpo per avere un
angolo di parallasse di 1” d’arco.
1 pc equivale a 206 265 UA e a circa 3,26 al.
L’unità di misura parsec deriva dal metodo di
determinazione della distanza della stelle che si basa
sulla misura accurata dell’angolo di parallasse.
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2.0 La distanza delle stelle
Il termine parallasse indica lo spostamento apparente,
rispetto ad uno sfondo lontano, di un oggetto visto da
due diversi punti di osservazione. Anche le stelle
presentano un effetto di parallasse, noto come
parallasse annua, causato dal moto di rivoluzione
della Terra intorno al Sole: la posizione da cui
osserviamo il cielo, perciò, si modifica nel corso
dell’anno.
Tale effetto è utilizzato per determinare la distanza di
una stella dalla Terra.
Le due posizioni della stella, rilevate a distanza di 6
mesi, permettono di definire un triangolo che ha per
base il diametro dell’orbita terrestre e per lati le
distanze tra i due punti di osservazione e la stella.
L’angolo di parallasse annua (p) è la metà dello
spostamento angolare della stella in 1 anno, e
corrisponde alla metà dell’angolo al vertice (2p).
L’angolo di parallasse è inversamente proporzionale
alla distanza dell’astro dalla Terra; conoscendo p si può
quindi calcolare la distanza della stella.
Non è possibile determinare distanze di stelle la cui
parallasse sia inferiore ad 1 secondo d’arco.
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2.0 La distanza delle stelle
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2.1 La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine
Le stelle hanno luminosità differente.
La luminosità apparente di una stella, cioè la
luminosità misurata dalla Terra, dipende non solo
dalla quantità di energia che essa irradia, ma
anche dalla sua distanza dall’osservatore.
Una stella, perciò, può apparire più splendente di
un’altra solo perché si trova più vicina alla Terra.
La luminosità apparente di un astro deve essere
distinta dalla luminosità assoluta, la quale misura
l’energia totale irradiata da una stella nell’unità di
tempo.
La luminosità assoluta dipende solo dalla
temperatura superficiale (T) e dalla superficie (S)
di emissione; più il corpo è grande e caldo, più è
luminoso:
L ass = σ S T^4
con σ = costante di Stefan (5,67·10^8 J /m²·K^4·s)
La luminosità assoluta si esprime in
Joule/secondo, ma spesso di utilizza come unità
di misura la luminosità del Sole ( 3,83·10^26 J/s),
a cui si attribuisce valore 1.
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2.1 La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine
La luminosità viene espressa in genere mediante la
magnitudine, un parametro che permette di
confrontare la luminosità di una stella con quella
della altre, stabilendo una scala di grandezze
relative. Per ogni astro, si può stabilire una
magnitudine apparente e una magnitudine assoluta.
La magnitudine apparente di un astro si ottiene
confrontando la sua luminosità apparente con la
luminosità della Stella Polare, scelta come stella
campione, cui viene assegnata magnitudine
apparente 2,12.
Ad un valore di magnitudine più piccolo corrisponde
una luminosità apparente maggiore. La scala delle
magnitudini non è lineare: passando da un ordine di
grandezza ad un altro, la variazione di luminosità è
di 2,512 volte.
Una stella di magnitudine 2 è perciò 2,512 volte più
luminosa di una stella di magnitudine 3, e viceversa.
Le stelle più luminose hanno magnitudine apparente
0 oppure addirittura valori negativi.
Il Sole, la stella più luminosa del cielo, ha
magnitudine apparente -26,8.
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2.1 La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine
La magnitudine assoluta è definita come la
magnitudine apparente che avrebbero le stelle se
si trovassero tutte alla distanza di 10 pc (cioè 32,6
al) dalla Terra. Per i valori di magnitudine
assoluta si conserva lo stesso criterio adottato per
la magnitudine apparente: ad un valore di
magnitudine minore corrisponde un maggiore
splendore, e viceversa.
Per ricavare la magnitudine assoluta di un astro
dalla sua magnitudine apparente, occorre
conoscere la sua distanza dalla Terra.
Se una stella è più vicina alla Terra di 10 pc, la
sua magnitudine assoluta è maggiore di quella
apparente, perché il suo splendore, portandola
idealmente ad una distanza maggiore, diminuisce.
Al contrario, se una stella si trova a una distanza
dalla Terra superiore a 10 pc, la sua magnitudine
assoluta è minore rispetto a quella apparente,
perché avvicinandola idealmente al nostro
pianeta, aumenta di splendore.
Catalogando le stelle in base alla magnitudine
assoluta si può notare un dato interessante: molte
stelle hanno luminosità variabile.
Queste stelle sono dette variabili.
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2.2 Le stelle variabili
Molte stelle presentano luminosità variabile.
Si distinguono variabili regolari e variabili irregolari.
Molte variabili regolari sono stelle che attraversano
nella loro esistenza fasi in cui modificano le loro
dimensioni, alternando fasi di espansione a fasi di
contrazione. Tra le variabili regolari vanno incluse le
cefeidi, stelle azzurre o bianche con un periodo di
pulsazione che varia da 1 a 50 giorni. La loro luminosità
assoluta è legata al periodo di pulsazione: più è lungo il
periodo, maggiore è la luminosità assoluta.
Appaiono come variabili regolari anche sistemi di stelle
doppie a eclisse, nelle quali una stella più piccola
gravita intorno ad un’altra molto più grande e luminosa:
a ogni rivoluzione le due stelle si eclissano
vicendevolmente, causando massimi e minimi di
luminosità. La luminosità massima del sistema si ha
quando le due stelle sono affiancate; quando la stella più
luminosa viene eclissata, la luminosità del sistema si
riduce al minimo; quando la stella più piccola viene
eclissata, si ha una debole riduzione dello splendore del
sistema.
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2.2 Le stelle variabili
Le variabili irregolari comprendono stelle che non mostrano alcuna regolarità nelle loro variazioni
di luminosità.
A causa di un evento catastrofico, in un particolare momento della loro esistenza, esse esplodono o
perdono parte della loro massa.
L’evento provoca un aumento improvviso della luminosità dell’astro e può ripetersi, ma in modo
irregolare ed imprevedibile.
Esistono due sotto-tipi principali:
-
Variabili irregolari eruttive
-
Variabili irregolari pulsanti
Appartengono alle variabili irregolari
le novae e le supernovae.
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2.2 Le stelle variabili
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2.3 Volume e massa delle stelle
Conoscendo la luminosità assoluta e la temperatura
superficiale di una stella, si può calcolare il suo raggio
grazie alla relazione:
L ass = σ S T^4
In questo modo si può stabilire il volume della stella.
Le misure effettuate mostrano che le stelle possono avere
dimensioni molto varie.
Le stelle che hanno piccolo volume sono dette nane,
mentre le stelle di volume maggiore sono chiamate giganti
o supergiganti.
Per quanto riguarda la massa, essa può essere misurata
con una certa precisione solo quando ci si trova in
presenza di stelle doppie o multiple.
Le stelle doppie sono un sistema binario di stelle legate tra
loro da attrazione gravitazionale: i corpi ruotano intorno ad
una baricentro comune.
Esistono poi sistemi multipli, che contengono tre o più
stelle che si attirano gravitazionalmente l’una con l’altra.
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2.3 Volume e massa delle stelle
Le stelle di un sistema binario o multiplo si muovono
con una certa regolarità, dunque conoscendo il
periodo orbitale e la distanza tra le due stelle, con le
leggi di Keplero o di Newton si può determinare la
massa.
Poiché i sistemi binari e multipli sono molto
frequenti, è stato possibile determinare la massa di un
buon numero di stelle.
I dati ottenuti vengono in genere espressi utilizzando
come unità di misura la massa solare, cui viene
attribuito valore 1.
Confrontando i valori di massa con i rispettivi
volumi, si può notare che la massa delle stelle varia
indipendentemente dalla misura del raggio.
Alcune stelle hanno grande massa e piccolo volume:
sono stelle molto dense.
Altre stelle, hanno una massa relativamente piccola
distribuita in un volume molto grande: sono stelle
poco dense.
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2.4 Colori, temperature e spettri stellari 
Le stelle sono sorgenti di radiazioni elettromagnetiche.
Esse producono al loro interno tutte le radiazioni dello
spettro, ma possono avere colori diversi.
Il colore di una stella è determinato dalla radiazione
predominante per intensità nel suo spettro. Una stella
gialla come il Sole al suo interno produce radiazioni
elettromagnetiche nel visibile di tutti i colori, ma le più
intense sono le radiazioni gialle.
Si può dimostrare che il colore di una stella dipende
solo dalla temperatura superficiale.
Ogni stella ha un massimo di irraggiamento
corrispondente ad una frequenza il cui valore è
direttamente proporzionale alla sua temperatura
assoluta. Le stelle più fredde sono rosse perché
irraggiano principalmente luce rossa (nel campo del
visibile le radiazioni rosse sono quelle con minore
frequenza); al crescere della temperatura, le stelle
assumono colori che vanno dall’arancio, al giallo, al
bianco-azzurro, all’azzurro.
Le temperature variano dai 3000 K circa delle stelle
rosse ai 40 000 - 60 000 K circa delle stelle azzurre.
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2.4 Colori, temperature e spettri stellari 
Uno dei metodi di indagine più significativi per
studiare la natura delle stelle è l’analisi spettrale.
Gli studi spettroscopici hanno evidenziato che gli
spettri delle stelle sono sempre spettri di
assorbimento. All’interno della stella vengono
prodotte tutte le radiazioni dello spettro
elettromagnetico, che emergono dopo aver
attraversato gli strati dell’atmosfera stellare.
L’atmosfera di tutte le stelle è formata da gas a
bassa densità che assorbono selettivamente, in
base alla loro composizione chimica, una
frazione delle radiazioni provenienti dall’interno.
Lo spettro di ciascuna stella, perciò, contiene una
serie di righe nere corrispondenti alle radiazioni
assorbite dagli elementi presenti negli strati più
esterni.
Analizzando la posizione delle righe di
assorbimento è possibile stabilire la
composizione chimica della parte superficiale
di una stella: ogni elemento chimico, infatti,
genera un insieme di righe di assorbimento
caratteristico.
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2.4 Colori, temperature e spettri stellari 
I componenti principali della materia stellare sono idrogeno ed elio, con abbondanza percentuale
superiore al 95%.
Dallo spettro di assorbimento di una stella si può conoscere anche la sua temperatura superficiale:
ciò è possibile perché la temperatura condiziona l’efficacia dell’assorbimento o dell’emissione di
un elemento.
In base alla presenza o assenza di righe di assorbimento particolarmente evidenti, corrispondenti a
determinati elementi, le stelle possono essere suddivise in classi spettrali. Stelle della stessa classe
hanno medesima temperatura superficiale, stesso colore e generano uno spettro simile. Esistono
sette classi spettrali principali, suddivise in sottoclassi. Ogni classe è indicata con una lettera
dell’alfabeto: O, B, A, F, G, K, M; le lettere sono disposte in ordine decrescente di temperatura
superficiale; le sottoclassi sono indicate con un numero che può variare da 0 a 9.
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2.5 L’effetto Doppler
Le stelle sono in movimento, tuttavia, a causa delle grandi distanze che ci separano, è possibile
percepire visivamente solo le componenti del movimento che causano un cambiamento evidente della
posizione delle stelle rispetto alle costellazioni della sfera celeste. Non si riesce a rilevare, solo con
l’osservazione diretta, l’esistenza di un movimento di allontanamento o di avvicinamento.
I movimenti di allontanamento o di avvicinamento di una stella possono essere evidenziati
analizzando il suo spettro per vedere se presenta l’effetto Doppler. L’effetto Doppler consiste nella
variazione della frequenza della radiazione, causata dal movimento relativo della sorgente rispetto
all’osservatore, o viceversa, dal movimento dell’osservatore rispetto alla sorgente: in generale, se
sorgente e osservatore si avvicinano, la frequenza della radiazione aumenta; se sorgente e osservatore
si allontanato l’uno dall’altro, la frequenza diminuisce. Quando una stella è in allontanamento dalla
Terra, tutte le righe di assorbimento del suo spettro risultano spostate verso il rosso; quando una stella
è in avvicinamento, le righe risultano spostate verso il campo del blu. L’ampiezza dello spostamento
delle righe è direttamente proporzionale alla velocità dello spostamento. L’effetto Doppler si osserva
anche quando la Terra, in movimento, si avvicina o si allontana dalle stelle; l’effetto Doppler dovuto
al moto della Terra si riconosce perché ha una periodicità sempre uguale, con situazioni che si
ripetono identiche a distanza di 1 anno.
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2.6 Materia interstellare e nebulose
Negli immensi spazi che separano le stelle sono
diffusi polveri finissime e gas.
Tale materia interstellare risulta spesso
concentrata in ammassi di fine materia che
hanno un aspetto simile alla nebbia e che
vengono perciò detti nebulose: ammassi scuri
perché privi di luce (nebulose oscure), che si
stagliano come ombre su un fondo luminoso di
stelle, o debolmente luminosi se attraversati
dalla luce di stelle molto brillanti e molto vicine
(nebulose a riflessione).
Vi sono anche ammassi dotati di una tenue luce
propria (nebulose a emissione): sono
essenzialmente gassosi ed emettono luce per un
fenomeno di fluorescenza, provocato nei gas da
radiazioni ultraviolette provenienti da qualche
stella vicina.
Dalla materia interstellare si sono originate
– e continuano ad originarsi – le stelle.
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2.7 Le forze che agiscono nelle stelle
Come sono fatte al loro interno le stelle e come
producono energia? E’ necessario tener presente che
non è possibile né osservare direttamente la struttura
interna di una stella né rilevarne le caratteristiche
fisiche e chimiche. I modelli attuali partono da due
presupposti:
1. La forza di attrazione gravitazionale.
Le stelle sono sfere di massa enorme, soggette ad una
forza di gravità diretta sempre verso il centro. Dunque,
gli strati esterni esercitano una forte pressione sugli
strati interni, che tendono spontaneamente a contrarsi,
cioè a collassare. La contrazione si realizza solo in
momenti particolari della vita di una stella, ovvero
quando la forza di gravità non viene contrastata
adeguatamente dalla “resistenza” opposta dai materiali
presenti all’interno della stella. Quando avviene un
collasso gravitazionale, la temperatura interna della
stella aumenta, soprattutto nel centro. Le stelle di
massa maggiore generano una forza gravitazionale più
intensa, perciò raggiungono al loro interno temperature
più elevate rispetto alle stelle di massa minore.
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2.7 Le forze che agiscono nelle stelle
2. La pressione di radiazione.
Grazie alle particolari condizioni di temperatura e pressione,
nella zona centrale delle stelle, detto nòcciolo o nucleo,
possono avvenire reazioni di fusione termonucleare.
L’energia liberata in queste reazioni viene emessa dalla stella
sotto forma di calore e radiazioni elettromagnetiche. Le
reazioni di fusione termonucleare sono reazioni in cui più
nuclei atomici si uniscono per formare un nucleo più
complesso, con un difetto di massa: la massa perduta viene
trasformata in energia secondo la relazione:
E=mc²
dove c è la velocità della luce
Le reazioni possono essere innescate solo in determinate
condizioni di temperatura e pressione. L’energia prodotta da
queste reazioni termonucleari non viene dissipata integralmente
all’esterno sotto forma di luce e calore: una parte riscalda la
materia all’interno della stella, determinando una pressione
rivolta verso l’esterno. Tale pressione, detta pressione di
radiazione, si oppone alla pressione della forza di gravità,
impedendo il collasso della stella. Ogni stella quindi è destinata
a spegnersi, perché le reazioni termonucleari possono durare
solo finché esistono i materiali reagenti e vengono mantenute le
condizioni di temperatura e pressione necessarie.
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2.8 Il diagramma di Hertzsprung-Russell
Tra il 1911 e il 1913 due scienziati, E.
Hertzsprung e H.N. Russell,
elaborarono (pur lavorando
indipendentemente) il diagramma oggi
noto come diagramma di
Hertzsprung-Russell. Nel diagramma
H-R, ogni stella è individuata da un
punto cui corrispondono due
coordinate: sull’asse delle ascisse
viene riportata la classe spettrale di
appartenenza, sull’asse delle ordinate
la luminosità assoluta. Le stelle non si
distribuiscono in modo casuale sul
diagramma H-R, ma si concentrano
in aree precise. La maggior parte delle
stelle si trova in una fascia, la
sequenza principale, che attraversa il
diagramma obliquamente. Le stelle
appaiono disposte in ordine
decrescente di dimensioni e
temperatura, dalle stelle azzurre,
enormi e caldissime, alle stelle rosse,
più fredde e piccole.
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2.8 Il diagramma di Hertzsprung-Russell
Quasi tutte le stelle rimanenti si dispongono in due
zone del diagramma: in alto a destra, si trova un
gruppo di stelle molto luminose, ma fredde, le giganti
e supergiganti rosse; a sinistra della sequenza
principale, in basso, si trova un gruppo di stelle
piccole, ma decisamente calde, denominate nane
bianche.
Per le stelle della sequenza principale, la luminosità
dipende dalla massa: le stelle bianco-azzurre, le più
calde, sono le stelle con massa maggiore, mentre le
stelle rosse, più fredde e meno luminose, sono quelle
che hanno massa più piccola.
La relazione massa-luminosità non è invece valida
per le stelle che si trovano al di fuori della sequenza
principale. Le giganti e le supergiganti, ad esempio,
sono molto luminose, ma solo perchè hanno una
superficie molto estesa: la loro massa è relativamente
piccola, sono stelle poco dense. Al contrario, le nane
bianche hanno una massa e densità molto elevate, ma
sono piccolissime: sono perciò poco luminose.
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2.8 Il diagramma di Hertzsprung-Russell
Il diagramma H-R è il punto di riferimento più
importante per comprendere l’evoluzione stellare.
L’attuale interpretazione si basa sulle seguenti ipotesi:
- Nel diagramma si trovano stelle giovani e stelle
anziane, accanto a stelle di «mezza età».
- Ogni regione del diagramma occupata corrisponde
ad uno stadio possibile della vita di una stella,
perciò le regioni più affollate rappresentano le fasi
evolutive in cui una stella trascorre la maggior
parte della sua esistenza.
Queste interpretazioni conducono a due interessanti
conclusioni:
- La posizione di una stella sul diagramma dipende
da vari fattori (massa, età, composizione chimica)
che si modificano nel tempo, per questo la
posizione di una stella nel diagramma non è fissa,
ma cambia mentre la stella si trasforma.
- La sequenza principale, dove si trova la massima
densità stellare, rappresenta la fase più lunga e
stabile della vita di una stella. Nane bianche e
giganti rosse dovrebbero essere stadi evolutivi
diversi delle stelle della sequenza principale.
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2.9 La nascita delle stelle
Le stelle si formano per collasso gravitazionale
all’interno delle nebulose. Le nebulose sono ammassi
più densi rispetto allo spazio interstellare, hanno
dimensioni estese e contengono in prevalenza idrogeno
ed elio. Una stella si forma quando in un globulo, a causa
di movimenti turbolenti innescatisi casualmente, si
forma un “grumo” più denso che comincia ad attirare
polveri e gas, accrescendo così la sua massa. La nube
collassa per effetto della forza di gravità e al centro si
forma una protostella, che lentamente si contrae. La
contrazione gravitazionale produce calore che in parte
scalda l’interno della protostella, in parte viene dissipato
verso l’esterno. Per questa ragione, la temperatura
all’interno della protostella cresce lentamente. Quando la
temperatura della zona più interna della stella supera i 10
milioni di kelvin, iniziano le reazioni di fusione
termonucleare e la protostella diviene una vera e propria
stella. La fase prestellare, cioè l’insieme dei fenomeni
che da nebulosa portano alla formazione della stella,
hanno durata diversa a seconda della massa della
protostella. Più è grande la massa, più velocemente
avviene la contrazione; se la massa è piccola, invece, la
contrazione è più lenta.
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3.0 Le stelle sella sequenza principale
In una stella appena formata, gli strati più esterni si comportano come un gas ionizzato, molto caldo e
rarefatto, mentre nel nocciolo, dove la pressione supera i 500 miliardi di atmosfere e la temperatura
raggiunge i 10-15 milioni di kelvin, la materia si trova allo stato di plasma. Nel plasma avvengono le
reazioni termonucleari che trasformano l’idrogeno in elio.
4 nuclei di idrogeno vengono trasformati in 1 nucleo di elio e il difetto di massa viene trasformato in
energia sotto forma di radiazione. L’energia prodotta sotto forma di raggi γ dal nòcciolo della stella
viene trasferita all’esterno: una parte riscalda l’interno della stella per generare una pressione di
radiazione che contrasti la forza gravitazionale. Una stella che si trovi in questa fase è stabile, cioè
non si espande né si contrae. Sul diagramma H-R, le
stelle di questo tipo si trovano nella sequenza principale.
La fase di stabilità è destinata a terminare perché la
stella può utilizzare per le sue reazioni di fusione
termonucleare solo l’idrogeno del nòcciolo: l’idrogeno
degli strati esterni è abbondante, ma non esistono le
condizioni di temperatura e pressione necessarie
per la fusione.
Il tempo necessario alla stella per consumare l’idrogeno
del nòcciolo dipende dalla massa. Le stelle di massa
maggiore devono consumare molto velocemente
idrogeno per poter contrastare efficacemente
la forza gravitazionale.
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3.1 Le reazioni termonucleari delle stelle
Secondo i modelli teorici, le reazioni di fusione
avvengono con modalità diverse nelle stelle di
grande massa e in quelle di piccole massa, anche
se il risultato è sempre lo stesso: si consuma
idrogeno presente nel nocciolo e si producono
nuclei di elio.
Nelle stelle inferiori a 1,5 masse solari, la
temperatura nel nocciolo non supera i 15 milioni
di kelvin e in queste condizioni la produzione di
elio avviene mediante un processo detto ciclo
protone-protone.
Nelle stelle con massa maggiore la temperatura
del nocciolo supera i 20 milioni di kelvin e
prevale un processo, denominato ciclo carbonioazoto-ossigeno.
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3.1 Le reazioni termonucleari delle stelle
Nel ciclo P-P è possibile individuare due fasi:
Prima fase: fusione di due protoni, cioè due nuclei di
idrogeno (H⁺) con produzione di deuterio (idrogeno che
possiede un protone ed un neutrone nel nucleo). Questa
fusione libera energia sotto forma di radiazioni
elettromagnetiche e fotoni e comporta la trasformazione
di un protone in un neutrone mediante l’espulsione di un
elettrone positivo (e⁺) e di un neutrino (v). Il deuterio a
sua volta si fonde con un altro protone formando un
nucleo di elio (He) leggero, contenente due protoni e un
neutrone. Anche in questa fase viene liberata energia,
sempre sotto forma di raggi γ.
Seconda fase: i nuclei di elio leggero vengono
trasformati in nuclei di He (formato da due protoni e due
neutroni) unendosi direttamente e producendo anche due
protoni, i quali possono essere utilizzati per un nuovo
ciclo. In totale, 6 protoni sono stati immessi nel ciclo e 2
sono stati restituiti alla fine, insieme al nucleo di elio.
Il bilancio complessivo del ciclo è:
4¹H ----> ⁴He + 2e⁺ + 2v + raggi γ
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3.1 Le reazioni termonucleari delle stelle
Il ciclo carbonio-azoto-ossigeno inizia quando
un nucleo di idrogeno penetra in un nucleo di
carbonio, formando un nucleo di azoto instabile
che va incontro ad ulteriori trasformazioni in cui
vengono assorbiti altri tre protoni.
Al termine del ciclo viene rigenerato un nucleo di
carbonio identico a quello di partenza e viene
espulso un nucleo di elio (He).
Il bilancio complessivo della reazione è identico a
quello del ciclo protone-protone:
dall’assorbimento di 4 protoni di forma un nucleo
di He, 2 elettroni positivi, 2 neutrini ed energia
sotto forma di raggi γ.
4¹H ----> ⁴He + 2e⁺ + 2v + raggi γ
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3.2 Dalla sequenza principale alle giganti rosse
Quando si arrestano le reazioni di fusione dell’idrogeno, la stella
riprende a contrarsi per effetto della forza di gravità. Il suo destino è
condizionato dalla massa.
Se la stella ha massa inferiore a 0,5 masse solari, la contrazione non
permette di raggiungere i valori necessari per innescare nuove reazioni
termonucleari. La contrazione procede incontrastata: la stella entra
nella fase finale della sua vita.
Le stelle con massa superiore a 0,5 masse solari raggiungono al loro
interno valori di temperatura (circa 100 milioni di K) tali da far avviare
nel nucleo reazioni di fusione nucleare che trasformano l’elio in
carbonio.
3 ⁴He ----> ¹²C + raggi γ
Gli strati più esterni della stella, riscaldati
dall’energia prodotta, si espandono e
contemporaneamente si raffreddano:
la stella si trasforma in una gigante rossa.
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3.2 Dalla sequenza principale alle giganti rosse
La successiva evoluzione della gigante rossa è ancora
condizionata dalla massa.
Se la gigante rossa ha massa inferiore alle 2 masse solari,
non vengono raggiunte le temperature necessarie per nuove
reazioni e la stella entra nella fase finale della sua vita.
Se la stella, invece, ha una massa superiore alle 2 masse
solari, la densità e la temperatura interna permettono
l’avvio di nuove reazioni di fusione, con produzione di
elementi più pesanti, come neo, ossigeno, silicio. Gli strati
esterni si espandono ulteriormente e la stella diventa una
supergigante rossa. Essa ha una struttura ad involucri
concentrici, con un nocciolo a strati in cui avvengono
reazioni di fusione diverse: al centro si producono gli
elementi più pesanti, negli involucri circostanti carbonio ed
elio. Ogni volta che si esaurisce il combustibile del
nocciolo, la stella riprende a contrarsi e riscaldarsi.
I processi di fusione possono proseguire fino alla
formazione di nuclei di ferro. Le reazioni di fusione a
partire da nuclei di ferro non liberano energia, ma la
assorbono, perciò la stella quando giunge alla formazione
di ferro, arresta la produzione di energia.
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3.3 La morte di una stella
La fase finale della vita di una stella è
condizionata dall’intensità della forza
gravitazionale che agisce al suo interno.
Le stelle di sequenza principale con massa
inferiore a 0,5 masse solari si trasformano
direttamente in nane bianche senza attraversare
lo stadio di gigante rossa.
Una nana bianca è un corpo piccolo, molto
denso e caldo. All’interno non avvengono
reazioni termonucleari, ma la temperatura
superficiale può superare i 30 000 K. La materia
all’interno della nana bianca si trova in uno stato
degenere: gli elettroni sono separati dai nuclei,
ma si dispongono intorno a essi avvicinandosi il
più possibile, fino a quando la repulsione
elettrostatica non impedisce un ulteriore collasso.
La materia allo stato degenere resiste alla
contrazione ed esercita una pressione, la
pressione degenere, che sostiene la stella. La
stella non può più contrarsi, ma il raffreddamento
la porterà a diventare una nana nera, un corpo
oscuro non più visibile.
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3.3 La morte di una stella
L’evoluzione di una nana bianca può essere
accompagnata da una fase esplosiva nella
quale si realizza un improvviso aumento di
luminosità della stella, pari anche ad un
milione di volte, con una variazione di
magnitudine di 11-12 classi.
Le stelle che manifestano questo rapido
aumento di luminosità sono chiamate
novae e in genere declinano rapidamente.
Si tratta quasi sempre di stelle che
appartengono a sistemi binari. E’ raro che,
infatti, nei sistemi binari le stelle si trovano
nella stessa fase evolutiva. Può, così,
capitare che in un sistema binario si trovino
vicine una nana bianca e una gigante rossa.
Secondo i modelli teorici quest’ultima
perderebbe materia dallo strato esterno
espanso e tale materia sarebbe attratta dalla
nana bianca. La caduta di gas sulla nana
bianca innescherebbe nuove reazioni
termonucleari con fenomeni esplosivi
esterni e formerebbe così una nova.
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3.3 La morte di una stella
Anche le giganti rosse con massa inferiore
alle 8 masse solari si trasformano in nane
bianche.
Queste stelle, però, prima di diventare nane
attraversano una fase di instabilità in cui
espellono gli strati più esterni, formando
nebulose planetarie. Il nòcciolo residuo
diventa poi una nana bianca.
Le giganti rosse con massa superiore alle 8
masse solari muoiono in modo catastrofico
diventando supernovae. Una supernova è una
stella che esplode violentemente aumentando
anche di 1 miliardo di volte la sua luminosità.
Il rapido collasso del nucleo libera un’enorme
quantità di energia gravitazionale che dilata
l’involucro esterno ed espelle una parte
consistente della materia della stella a velocità
elevatissima. Al termine dell’esplosione, al
posto della supernova resta il nòcciolo,
estremamente caldo e denso che, a seconda
della massa, dà origine a una stella a neutroni
o a un buco nero.
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3.3 La morte di una stella
Le stelle a neutroni hanno una massa compresa tra 1,44 e 3 masse solari. Per effetto della
intensissima forza di gravità al loro interno, la materia assume l’aspetto di un fluido, composto quasi
esclusivamente di neutroni, i quali esercitano una pressione tanto intensa da impedire un ulteriore
collasso. Le stelle a neutroni hanno luminosità ancor più ridotta delle nane bianche, per cui risulta
difficile osservarle. La loro esistenza era stata prevista teoricamente, ma solo alla fine degli anni ’60
sono state scoperte le pulsar,
che potrebbero identificarsi con le
stelle a neutroni.
Le pulsar sono oggetti celesti di
dimensioni ridotte che emettono
onde radio attraverso impulsi a
intervalli regolari nell’ordine di 1 s.
Dotate di un campo magnetico,
ruotano molto rapidamente
(anche 1000 giri/sec) su loro stesse,
perdendo continuamente energia.
Nel tempo le pulsar rallentano la
loro rotazione e lentamente perdono
energia, raffreddandosi come le
nane bianche.
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3.3 La morte di una stella
Se il nucleo della supernova ha una massa superiore alle 3 masse solari si trasforma in un buco nero,
un corpo nel quale il collasso gravitazionale non può essere contrastato in alcun modo: qualsiasi oggetto
è destinato a precipitare all’interno, perdendo la sua identità; la luce stessa viene intrappolata, tanto da
rendere il corpo invisibile a qualsiasi osservazione. I buchi neri sono un esempio di modello teorico
elaborato senza l’appoggio di dati sperimentali. Oggi si osservano stelle dalle quali fuoriesce materia che
si dispone come un disco in rotazione intorno a una massa invisibile per essere inghiottita: questa massa
nascosta invisibile potrebbe essere un buco nero.
Secondo alcuni astrofisici, al centro di ogni galassia si troverebbe un buco nero, intorno al quale la
galassia stessa ruota.
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3.4 Le stelle modificano la composizione dell’Universo
Le stelle non si sono formate tutte
contemporaneamente in una fase precoce della
vita dell’universo: anche oggi all’interno di
nebulose si può osservare la nascita di nuove
stelle. Inoltre, le stelle invecchiano e muoiono
secondo tempi e modalità che dipendono dalla loro
massa: le stelle di grande massa evolvono
rapidamente e in modo catastrofico, al contrario di
quelle di piccola massa.
La morte delle stelle ha modificato in modo
significativo la composizione dell’universo e ha
contribuito a diffondere nello spazio elementi
chimici che non erano presenti nell’universo
iniziale, cioè elementi pesanti. Da tali elementi
potranno formarsi nuove stelle, caratterizzate
perciò da una composizione leggermente diversa
rispetto a quella delle stelle primordiali.
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3.4 Le stelle modificano la composizione dell’Universo
Una galassia contiene quindi diverse generazioni di
stelle:
1. una generazione di stelle formatesi nelle prime
fasi dello sviluppo della galassia, chiamate stelle di
popolazione II o di prima generazione, povere di
elementi pesanti, relativamente vecchie (perché
dotate di massa non troppo elevata), composte
prevalentemente da idrogeno;
2. una generazione di stelle relativamente “giovani”,
chiamate stelle di popolazione I o di seconda
generazione, ricche di elementi pesanti
prodotti da una generazione precedente di stelle.
Il Sole è una stella di II generazione. L’abbondanza
di elementi pesanti nel Sole, prodotti in tempi remoti
da qualche supernova, ha reso possibile la vita sulla
Terra.
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3.5 Le galassie e la struttura dell’Universo
Nell’Universo le stelle non sono mai isolate, ma fanno
parte di veri e proprio sistemi, chiamati galassie. Ogni
galassia è una sorta di “isola”, un sistema
autogravitante distante milioni di anni luce da quelli
circostanti. Le galassie sono corpi molto complessi
che possono avere forma e dimensioni diverse. Fra
una stella e un’altra lo spazio non è vuoto: si trovano
particelle di gas estremamente rarefatti e polveri
cosmiche, costituite da atomi, ioni, e molecole varie,
che formano il mezzo interstellare. In alcune regioni
dello spazio poi le particelle si addensano creando
nubi molecolari, nubi di idrogeno atomico, nubi di gas
ionizzati o nubi di polveri.
Le galassie distano le une dalle altre 2 o 3 milioni di
anni luce, ma in certi casi sono sufficientemente
vicine da risentire di una reciproca attrazione
gravitazionale: si formano così sistemi più ampi, detti
ammassi di galassie. La Via Lattea, la nostra
galassia, fa parte insieme ad Andromeda, alle Nubi di
Magellano e a una ventina di altre galassie di un
ammasso di piccole dimensioni, denominato Gruppo
Locale. Gli ammassi spesso sono organizzati in
sistemi più complessi: i superammassi.
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3.5 Le galassie e la struttura dell’Universo
La nostra galassia, la Via Lattea, è una galassia a spirale
e ha la forma di un disco molto appiattito, con diversi
bracci, disposti sul piano del disco galattico. Contiene
oltre 100 miliardi di stelle, ha un diametro di circa
100 000 al (30 kpc) e uno spessore medio di 5000 al,
massimo nella zona centrale dove si trova un evidente
rigonfiamento. Questo rigonfiamento, detto nucleo
galattico, presenta una densità stellare molto elevata,
mentre scarseggiano gas e polveri; si tratta di stelle
vecchie formatesi probabilmente in una fase «giovanile»
della galassia. Forse al centro del rigonfiamento si trova
un enorme buco nero.
Oltre al nucleo si estende il disco galattico, dal quale
partono alcuni bracci, tra cui il braccio di Orione, dove
si trova il Sistema Solare. Intorno al disco vero e proprio,
si osserva un alone quasi sferico, costituito da stelle
vecchie, spesso raggruppate in ammassi.
Il Sole si trova in posizione periferica, lì dove si assiste
alla formazione di molte stelle di II generazione. In
questa regione la densità stellare è inferiore rispetto a
quella della regione centrale. Questa lontananza è
garanzia di stabilità: i grandi spazi proteggono il Sistema
Solare da collisioni o esplosioni di supernovae.
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3.5 Le galassie e la struttura dell’Universo
Nella Via Lattea si osservano molti ammassi stellari,
insiemi di stelle generati da una stessa nube che si
muovono in modo solidale.
Esistono due tipi di ammassi: gli ammassi aperti e gli
ammassi globulari.
Gli ammassi aperti hanno forma irregolare e
contengono poche stelle, disperse in uno spazio molto
ampio. In queste regioni la materia interstellare è molto
abbondante e sono presenti stelle relativamente giovani,
di II generazione, che hanno un’alta metallicità. Gli
ammassi aperti sono più frequenti nel disco galattico,
arricchitosi di elementi pesanti prodotti dall’esplosione
delle stelle vecchie dell’alone.
Gli ammassi globulari contengono un gran numero di
stelle raggruppate in uno spazio ridotto. Nella nostra
Galassia sono noti circa 150 ammassi globulari, gran
parte dei quali si trova nell’alone; sono molto densi e
possono contenere anche milioni di stelle. Mancano
stelle bianco-azzurre, mentre abbondano le giganti
rosse.
La materia interstellare è scarsa.
Le stelle di questi ammassi sono principalmente stelle
di I generazione, povere di metalli pesanti.
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3.6 La classificazione delle galassie
Poiché non è ancora chiaro come si evolvono le galassie
nel tempo, la classificazione si basa su criteri semplici e
immediati: forma e dimensioni.
In base alla loro forma si possono distinguere tre tipi
principali di galassie: galassie ellittiche, galassie a spirale,
galassie irregolari.
Le galassie ellittiche si presentano come chiazze di luce di
forma sferica o ovoidale, entro le quali le stelle sono
distribuite in modo abbastanza regolare e la densità stellare
è molto elevata, specialmente nella zona centrale.
Al loro interno mancano stelle giovani e si rilevano scarse
quantità di polveri e gas.
In generale predominano stelle rosse in fasi di vita
avanzata; inoltre, la probabilità che si formino nuove stelle
è molto ridotta, a causa dell’assenza di nebulose di gas.
La massa delle galassie può variare in un intervallo molto
ampio: le più grandi hanno una massa anche di 10 000
miliardi di masse solari, le più piccole hanno una massa
equivalente a 1 milione di masse solari.
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3.6 La classificazione delle galassie
Le galassie a spirale presentano un rigonfiamento al centro (bulge),
circondato da un alone sferoidale e da un disco appiattito in rotazione,
formato da stelle, polveri, gas, da cui si originano bracci a spirale.
Contengono grandi quantità di polvere interstellare e sono presenti
diverse stelle in formazione o in stadi giovanili, localizzate
specialmente nei bracci. Le stelle più vecchie, invece, sono
generalmente disposte nella zona centrale della galassia. Le dimensioni
e la massa variano considerevolmente da caso a caso. Le più grandi
hanno una massa pari a circa 2000 miliardi di masse solari, anche se
contengono alcune centinaia di miliardi di stelle.
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3.6 La classificazione delle galassie
Le galassie irregolari, non dotate cioè di una forma geometricamente
definita, sono poco frequenti. In alcune, come le Nubi di Magellano, la
forma è di una nebulosa allungata. In queste galassie sono presenti
solitamente stelle molto giovani e nubi di polvere e gas in grande
quantità, distribuite disordinariamente. Spesso si osserva una intensa
attività di formazione di nuove stelle.
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3.6 La classificazione delle galassie
Indipendentemente dalla forma, alcune galassie presentano particolari caratteristiche.
Le galassie attive emettono radiazioni nel campo del visibile in quantità anomale rispetto alle galassie
normali. Un’emissione così intensa non può essere giustificata considerando soltanto l’attività delle
stelle della galassia. Si pensa che in queste galassie si verifichino particolari fenomeni esplosivi e
turbolenti. Nella maggior parte dei casi il centro dell’attività è la regione centrale della galassia, che
talvolta si presenta tanto luminosa da offuscare le altre regioni. Secondo molti studiosi, l’attività delle
galassie attive dipenderebbe dalla presenza al centro di un enorme buco nero, che inghiotte materia a
velocità elevatissima. La caduta di materia verso il buco nero provocherebbe l’emissione di energia,
un’intensa emissione di onde radio e variazioni di luminosità. Tra le galassie attive vanno incluse le
radiogalassie, che emettono radiazioni molto intense nel campo delle onde radio. Le radiogalassie
sono molto spesso galassie ellittiche.
Anche i quasar potrebbero essere galassie attive.
I quasar sono corpi così brillanti da sembrare
oggetti stellari ordinari. In realtà non si tratta di
stelle, ma di oggetti estremamente luminosi situati
ai limiti dell’Universo osservabile. La distanza,
calcolata sfruttando l’effetto Doppler, risulta essere
dell’ordine di miliardi di anni luce. Poiché sono
visibili in cielo nonostante l’elevatissima distanza,
i quasar devono avere una luminosità intrinseca
enorme e di natura sconosciuta: non è stato possibile
definire una fonte di energia tale da generare una
emissione così potente.
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3.7 Le galassie in movimento
Ogni galassia presenta un moto di rotazione intorno al suo
nucleo centrale e un moto di traslazione insieme alle altre
galassie che fanno parte dello stesso ammasso. Poiché le
distanze tra le galassie sono relativamente ridotte, nel loro moto
di traslazione le galassie possono entrare in collisione. Tali
collisioni galattiche non implicano normalmente una vera
interazione tra le stelle, perché all’interno di ciascuna galassia
la distanza tra un astro e l’altro è in genere molto superiore al
loro diametro. Le collisioni coinvolgono invece nebulose,
polveri, materiale interstellare: le galassie possono deformarsi,
disgregarsi parzialmente oppure fondersi producendo
movimenti di materia e formazione di nuove stelle.
La forza responsabile del moto delle galassie è la forza
gravitazionale, ma la velocità di traslazione di alcune galassie
supera di molto i valori previsti applicando le leggi di
gravitazione alle masse realmente osservate. Ciò indica che in
molti ammassi è presente una quantità di massa maggiore di
quella osservata. Questa materia non può essere osservata
perché non assorbe radiazioni né le emette: è la cosiddetta
materia oscura. Secondo alcuni, potrebbe essere composta
da miriadi di stelle poco luminose, secondo altri, da neutrini.
Il problema della massa mancante è tuttora aperto.
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3.8 Il red shift delle galassie e l’espansione dell’Universo
Le galassie come le stelle producono spettri a righe. Tra il 1910 e 1925 si scoprì che le righe degli
spettri delle galassie sono sempre spostate verso il rosso. Il fenomeno, detto red shift, si spiega
considerando l’effetto Doppler e indica che le galassie si stanno allontanando dalla nostra galassia.
Nel 1929 Edwin Powell Hubble dimostrò che lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso è
tanto più marcato quanto più la galassia è lontana dal Sistema Solare; si può dire quindi che le
galassie più lontane si allontanano più velocemente di quelle più vicine.
Il movimento di allontanamento è detto moto di recessione. La relazione tra velocità di
allontanamento e distanza della galassia dalla Terra è espressa dalla legge di Hubble: υ = H · d
La scoperta di Hubble ha un’implicazione importantissima: l’Universo è in espansione, e la rapidità
con cui si espande è espressa dalla costante di Hubble, attualmente compresa tra 40 e 80 km/s/Mpc.
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3.9 Perché la notte è buia?
La sorgente principale di luce per la Terra è il Sole, la cui luminosità è
tanto elevata da occultare la luce di tutte le altre stelle, che diventa
percettibile solo durante la notte, quando l’osservatore è rivolto in
direzione opposta al Sole e può quindi osservare il settore di cielo che non
viene investito dalla luce solare. Se immaginassimo di «togliere» il Sole
dal cielo, questo apparirebbe sempre buio. Se tuttavia si riflette della
struttura dell’Universo, sorge una domanda che per molto tempo ha
impegnato gli astronomi: «Perché il cielo è buio?» Poiché l’Universo è
popolato da un numero grandissimo di stelle e di galassie, distribuite nello
spazio in modo abbastanza uniforme, dovrebbe essere visibile una stella o
una galassia in qualunque direzione e il cielo dovrebbe apparire sempre
luminoso, indipendentemente dalla presenza del Sole sopra il nostro
orizzonte. Ciò non accade per due ragioni: innanzitutto l’Universo si
espande e modifica le sue dimensioni nel tempo; in secondo luogo, la luce
si muove a velocità finita. Poiché l’espansione dell’Universo continua da
circa 10-15 miliardi di anni, la luce proveniente dalle galassie più remote
non ha avuto a disposizione un tempo sufficiente per giungere fino a noi.
Risulta impossibile percepire la luce di tutte le galassie che si trovano
distanti da noi più di 15 miliardi di anni-luce; inoltre, a causa dell’effetto
Doppler provocato dall’espansione, le radiazioni provenienti dalle stelle
più lontane subiscono un significativo spostamento verso il rosso tanto da
non essere più percepibili dall’occhio umano. Il buio della notte, quindi, ci
conferma che l’Universo non è statico e immutabile.
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4.0 Le ipotesi cosmologiche
La scoperta dell’espansione dell’Universo fu una vera rivoluzione, perché in contrasto con l’idea
di un universo statico e immutabile, dominante fino ai primi del XX secolo.
Per spiegare il moto di recessione delle galassie è necessario ammettere che l’Universo abbia
avuto un inizio. Utilizzando la costante di Hubble e presupponendo che la velocità sia rimasta
invariata, è possibile stabilire approssimativamente quando ebbe inizio l’espansione dell’Universo
e datarne quindi l’origine.
L’età oggi stimata dell’Universo è 15-20 miliardi di anni.
L’origine e la successiva evoluzione dell’Universo sono oggetto di studio della cosmologia.
Per spiegare le origini dell’Universo sono state formulate due ipotesi cosmologiche: l’ipotesi
dello stato stazionario e l’ipotesi del big bang.
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4.0 Le ipotesi cosmologiche
Secondo il modello dello stato stazionario, l’Universo è
uniforme nello spazio e nel tempo, non ha un inizio preciso
e non cambia nel tempo. Per spiegare il fenomeno della
recessione, gli autori di questa teoria sostengono che
nell’Universo si crea lentamente e continuamente nuova
materia (precisamente nuovi atomi di idrogeno a ritmo di 1
atomo/km³/10 miliardi di anni). Nuove galassie, quindi,
prenderebbero il posto di quelle che si sono allontanate, e
ogni regione dell’Universo manterrebbe costante nel tempo
la sua densità. Un’ipotesi del genere viola il principio di
conservazione della materia e oggi non ha più molto
seguito.
Secondo il modello del big bang, l’Universo è nato da
un’esplosione a partire da una singolarità, uno stato iniziale
di densità e temperature infinite. L’esplosione avrebbe
generato non solo tutta la materia che costituisce
l’Universo, ma anche le quattro forze fondamentali (forza
gravitazionale, elettromagnetica, di interazione nucleare
forte, di interazione nucleare debole), lo spazio e il tempo.
Dall’esplosione avrebbe avuto inizio anche l’espansione che
continua ancora oggi.
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4.1 Il big bang
Il modello che descrive la creazione della materia e delle fasi
dell’espansione conseguenti al il big bang è detto modello
standard.
Secondo tale modello, il momento in cui si è originato
l’Universo è detto tempo zero e dovrebbe collocarsi tra 15 e 20
miliardi di anni fa.
E’ impossibile sapere cosa sia accaduto nell’intervallo di tempo
tra 0 e 10ˉ⁴³ s, denominato era di Plank, perché l’Universo era
una singolarità, un sistema che non può essere descritto con le
leggi fisiche e per il quale non è possibile parlare di spazio e
tempo.
Al termine dell’era di Plank, l’Universo doveva avere
dimensioni infinitesimali, temperatura dell’ordine di 10³³ K, le
forze erano unificate in un’unica superforza. Successivamente
al tempo di Plank, l’Universo cominciò a espandersi a velocità
elevatissima e in un tempo brevissimo cominciarono a formarsi
le particelle di materia più semplici, mentre la temperatura e la
densità diminuivano.
Poco più di un secondo dopo il big bang, la temperatura era
scesa a 10 miliardi di K ed erano presenti protoni, neutroni,
elettroni e fotoni, mentre la densità doveva aver un valore circa
380 000 volte maggiore della densità dell’acqua.
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4.1 Il big bang
Nei 3 minuti successivi, la temperatura scese a
valori dell’ordine di 1 miliardo di K e
cominciarono le prime reazioni di fusione tra
protoni (fase di nucleosintesi). Si formarono così
nuclei atomici di deuterio ed elio.
Nei 300 000 anni successivi, proseguì l’espansione,
ma a ritmo ridotto rispetto alla fase iniziale.
Dopo 300 000 anni, la temperatura si ridusse fino a
circa 3000 K, tanto da permettere la formazione di
atomi. L’Universo, dapprima opaco a causa dei
fotoni che venivano continuamente assorbiti e
riemessi dagli elettroni del plasma, divenne
trasparente: le radiazioni cominciarono a muoversi
percorrendo lunghi tragitti. Si verificarono così
nuove forme di aggregazione: gli atomi si
organizzarono a formare molecole e si crearono
composti più complessi
Cominciarono a formarsi nebulose di gas e 2-3
milioni di anni dopo l’origine dell’Universo
cominciarono a formarsi le prime protogalassie.
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4.1 Il big bang
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4.2 Le prove a favore del big bang
Attualmente, le prove a sostegno della teoria del big bang sono tre.
La prima prova è il moto di recessione delle galassie.
La seconda prova è l’analisi delle percentuali di idrogeno e di elio nell’Universo attuale, oggi
costituito per il 75% da idrogeno e poco meno del 25% da elio. Se non si fosse verificato il big
bang, tutto l’elio presente nell’Universo deriverebbe dalle reazioni di fusione avvenute nelle
stelle, ma la quantità di elio rilevata risulta troppo elevata rispetto alle previsioni.
La terza e più convincente prova è l’esistenza della radiazione cosmica di fondo, scoperta nel
1964 da Penzias e Wilson, due radioastronimi. I due rilevarono con appositi strumenti
l’esistenza di una radiazione persistente che proveniva uniformemente da tutte le direzioni. Le
radiazioni rilevate erano radiazioni elettromagnetiche a bassa energia, dette microonde. Questa
radiazione, definita poi radiazione fossile, sarebbe costituita da fotoni (prodotti in seguito al big
bang) che avrebbero percorso l’Universo in espansione fino a noi; nel loro viaggio, a causa
dell’effetto Doppler, queste radiazioni si sarebbero trasformate in onde radio.
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4.3 Verso gli abissi. L’evoluzione futura
Attualmente l’Universo si sta espandendo, ma il destino che avrà resta
oscuro. Gli astrofisici ritengono che il parametro da determinare per capire
quale sarà l’evoluzione dell’universo sia la densità.
La densità, infatti, dipende dalla quantità di materia presente, e questa a
sua volta determina l’intensità della forza di attrazione gravitazionale.
L’attrazione gravitazionale è importante perché è l’unico fattore che può
impedire l’espansione dell’Universo.
Se la densità dell’Universo sarà sufficiente per generare una forza
gravitazionale in grado fermare la spinta all’espansione, l’Universo
cesserà di espandersi e ricadrà su se stesso contraendosi.
Il gigantesco collasso che avverrebbe in questo caos è detto big crunch.
Un universo che si espande per poi contrarsi è un universo chiuso.
Nessun modello è in grado di prevedere cosa succederà in seguito al
collasso.
Secondo alcuni si ripeterà il big bang e l’Universo continuerà ad alternare
espansione e collasso ciclicamente (big bounce).
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4.3 Verso gli abissi. L’evoluzione futura
Se la densità sarà troppo piccola e non genererà una forza
gravitazionale sufficiente per impedire all’espansione di durare per
sempre, le galassie si allontaneranno fino a spegnersi.
L’Universo, che in questa seconda ipotesi sarebbe un universo
aperto, diventerà sempre più freddo, oscuro e vuoto.
Se la forza gravitazionale non sarà sufficiente per causare una
contrazione, ma riuscirà a contrastare l’espansione tanto da
rallentarla sempre più, senza però causare un collasso, si avrà un
universo che viene chiamato piatto.
Per capire quale dei tre modelli si avvicini maggiormente alla
realtà è essenziale determinare l’intensità della forza
gravitazionale.
Tale stima risulta difficile perché, oltre alla materia che
conosciamo, esiste sicuramente un altro tipo di materia con
proprietà del tutto differenti: la materia oscura.
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A cura di :
Classe : V
Giovanni Domenico Ciriello
Sez. : E
Anno scolastico : 2010/2011
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