1 - PRINCIPI FISICI DELL’IMAGING CON
RISONANZA MAGNETICA
Introduzione
Il fenomeno della Risonanza Magnetica coinvolge campi magnetici e onde elettromagnetiche a
radiofrequenza (RF). E’ stato scoperto nel 1946 indipendentemente da due gruppi di scienziati: uno
diretto da Bloch a Stanford e l’altro con a capo Purcell ad Harvard 1, 2. Da allora, l’imaging
mediante RM (RMI, o, dall’Inglese Magnetic Resonance Imaging: MRI) è stato un utilissimo
strumento specialmente nella chimica analitica e nella biochimica [3, 4]. La RMI può generare
immagini con eccellente contrasto tra i tessuti molli e con alta risoluzione spaziale in ogni
direzione. Analogamente ad altre tecniche di imaging, la RMI utilizza radiazioni elettromagnetiche
per studiare distretti all’interno del corpo umano. Tali radiazioni, comunque, sono a bassa energia,
per cui, se utilizzate in condizioni normali, possono tranquillamente essere considerate non
dannose.
L’idea di eseguire studi con la MR sull’uomo è dovuta a Jackson che, nel 1967 ha acquisito I primi
segnali RM da un animale vivo. La prima immagine RM di un campione contenente acqua è stata
generata nel 1972 da Lauterbur [5]. Nel 1974 Lauterbur generò la prima immagine RM di un
animale in vivo [6]. Successivamente, moltissimi gruppi, in modo più o meno indipendente,
contribuirono al miglioramento della tecnica e delle tecnologie stesse per la generazione e
ricostruzione delle immagini RM [7, 8, 9, 10, 11, 12].
Nel presente capitolo saranno mostrate le basi fisiche del fenomeno della Risonanza Magnetica
(RM) e della formazione delle immagini RM. La descrizione dei vari processi coinvolti non può
essere considerata esaustiva: sono infatti trattati prevalentemente i concetti base, cercando di
mantenere un filo logico nelle varie sezioni. Un grande sforzo, inoltre, è stato fatto per cercare di
spiegare nel modo più “semplice” possibile, concetti piuttosto complessi e che richiederebbero uno
spazio decisamente maggiore rispetto a quello disponibile. Per cui, per una più approfondita
esposizione dei principi fisici alla base della MRI si rimanda a testi specifici 13, 14, 15].Inoltre, in
[16, 17.sono spiegati i principi fisici della RM e come questi sono applicati per lo studio del
sistema cardiovascolare.
Il fenomeno di Risonanza Magnetica
Il fenomeno della Risonanza Magnetica può essere studiato utilizzando diversi tipi di nucleo (1H,
13
C, 19F, 23Na, 31P) ma per la formazione di immagini RM è utilizzato l’atomo 1H. Un’analogia
meccanica del fenomeno del magnetismo del nucleo è quella di una massa carica elettricamente che
ruota intorno al proprio asse e che genera quindi un piccolo campo magnetico, con una propria
direzione ed un proprio verso. Questo fenomeno di rotazione è detto “spin” e fa sì che il nucleo
possegga un momento magnetico  (figura 1).
1
Figura 1. Schematizzazione di una massa, elettricamente carica, dotata di movimento di rotazione
intorno al proprio asse detto “spin”. Ne risulta un momento magnetico ().
Nel caso di 1H, il nucleo è composto da un solo protone (carica elettrica positiva).
Il nucleo
La proprietà che permette ad un nucleo di interagire con un campo magnetico esterno è il così detto
spin intrinseco. E’ un fenomeno quantistico per il quale il nucleo ruota intorno al proprio asse, come
schematizzato in figura 1. I valori assunti dallo spin, I, dipendono dal numero di protoni e neutroni
presenti nel nucleo.
Se I= 0, non c’è interazione tra il nucleo e il campo magnetico esterno. Noi consideriamo, in questo
studio, solo gli atomi di Idrogeno 1H che consistono in un singolo protone ed ha spin I=1/2.
Il momento angolare, p, del nucleo dovuto allo spin I è dato da:
p = I
(1)
dove  è la costante di Planck e p e I sono quantità vettoriali.
Ciò che lega il momento magnetico  ed il momento angolare p è il così detto rapporto
giromagnetico:
μ
(2)

p
ed è una costante caratteristica del tipo di nucleo; per esempio, per l’idrogeno 1H, si ha  = 42.57
MHz/T.
Interazione con un campo magnetico esterno
Possiamo pensare il nucleo dell’Idrogeno 1H come una barretta magnetica con un polo nord e un
polo sud (cioè un dipolo). Secondo le leggi di meccanica quantistica il momento di dipolo del
nucleo può assumere 2I+1 orientamenti in un campo magnetico esterno, corrispondenti a 2I+1
livelli energetici permessi. La “barretta magnetica”, protone, può quindi allinearsi al campo esterno
in posizione parallela o antiparallela, come schematizzato in figura 2.
2
Figura 2. Livelli di energia degli spin in un campo magnetico; sinistra: livello basso di energia,
destra: livello alto di energia
In effetti il modello quantistico è il modello che dovrebbe essere usato per spiegare tutti i fenomeni
di risonanza magnetica nucleare.
Comunque l’uso del modello classico, in cui gli spin possono assumere tutte le orientazioni in un
campo magnetico esterno, risulta migliore dal punto di vista intuitivo per la visualizzazione della
maggior parte degli esperimenti.
Per I = ½ , come si ha per il nucleo dell’idrogeno 1H, tutte le previsioni del modello classico si
accordano esattamente con la teoria quantistica applicata ad un sistema macroscopico.
Nel modello classico, una massa con carica elettrica che ruota intorno al proprio asse, quando è
immersa in un campo magnetico B0, tende ad allinearsi lungo B0. Quindi il protone risente di una
forza torcente che fa sì che il protone inizi a precedere intorno a B0.
Un’analogia a tale fenomeno è quello della trottola che, oltre a ruotare intorno a sè stessa, si muove
con moto precessionale intorno ad un asse perpendicolare al pavimento (la forza di gravità).
La frequenza di precessione (il numero di rotazioni intorno alla direzione di B0 nell’unità di tempo)
dipende dal tipo di nucleo e dall’intensità di B0.
La frequenza di precessione può essere calcolata in base alla legge di Larmor:
  B0
(3)
dove  è la cosiddetta frequenza di Larmor (unità di misura il MHz), e , come già visto, è il
rapporto giromagnetico (unità di misura MHz/Tesla che descrive il rapporto delle proprietà
meccaniche e magnetiche del nucleo in questione e dipende dal tipo di nucleo), B0 è l’intensità del
campo magnetico in cui si trova immerso il nucleo unità di misura il Tesla (T) dove 1 T = 10 kG =
10.000 G (Gauss).
Dalla formula (3) si ottiene che, aumentando l’intensità del campo magnetico B0, la frequenza 
aumenta, cioè la velocità di rotazione del nucleo intorno a B0 aumenta.
Nella pratica, non si osserva mai un singolo nucleo o il singolo momento magnetico, ma l’effetto
combinato di tutti i nuclei del campione.
Quello che si osserva, perciò, è la magnetizzazione totale M, data dalla somma vettoriale dei
singoli momenti magnetici: M =   , come mostrato in figura 3
Figura 3. Rappresentazione grafica del vettore di magnetizzazione totale M
3
All’equilibrio c’è solo una componente lungo B0, dovuta al fatto che i momenti magnetici tendono
ad allinearsi al campo magnetico esterno.
Impulsi a radio frequenza (RF)
Per rivelare la magnetizzazione totale è necessario perturbare in qualche modo il sistema che si
trova nel suo stato di equilibrio e costringere M ad allontanarsi da B0.
L’impulso di eccitazione è dato dall’applicazione di un secondo campo magnetico B1,
perpendicolare a B0 e rotante attorno a B0 alla frequenza , esattamente uguale alla frequenza di
precessione dei nuclei.
Il campo B1 causa lo spostamento di M dalla posizione di riposo parallela a B0 e lo costringe ad
eseguire una traiettoria a spirale, figura 4.
Figura 4 : Vettore di magnetizzazione M durante l’attivazione di un campo aggiuntivo B1.
Quando B1 viene spento, M continua a precedere descrivendo un cono ad un angolo  da B0.
La grandezza di questo angolo, angolo di flip, dipende dall’ampiezza di B1 e dal tempo della sua
applicazione.
Infatti:
  B1t
(4)
dove t è il tempo per cui l’impulso B1 è rimasto acceso.
Se B1 è applicato per un tempo opportuno, si può causare il posizionamento di M a 90° rispetto a
B0. In questo caso l’applicazione di B1 è chiamata impulso a 90°. Si può causare anche il
posizionamento di M in direzione -B0. Questo è un impulso a 180° o impulso di inversione.
B1 è anche detto campo magnetico a radiofrequenza perché /2 è normalmente compreso tra 1
MHz e 500 MHz, frequenze che corrispondono alle onde radio. Quindi gli impulsi B1 sono chiamati
anche “impulsi a radiofrequenza “.
Segnale di decadimento libero (FID)
Dopo l’applicazione dell’impulso a 90 °, il vettore di magnetizzazione M genera esso stesso un
campo magnetico oscillante a radiofrequenza. Questo può essere rivelato perché capace di indurre
una corrente alternata in una bobina, la stessa bobina che è usata per applicare il campo B1. Il
segnale indotto dal vettore di magnetizzazione aumenta durante l’impulso a 90° e dopo tale impulso
decade a zero a causa del rilassamento che fa tornare M alla sua posizione di equilibrio, M0,
parallela a B0.
Questo tipo di segnale di decadimento, ottenuto in assenza di B1, è chiamato segnale di
decadimento libero ed in inglese è detto FID (Free Indunction Decay) oppure FIS (Free Indunction
Signal ), figura 5. Nel presente testo chiameremo il FID segnale RM.
4
Figura 5 : Segnale di decadimento libero successivo all’impulso di 90 °
Il sistema di riferimento rotante
Noi siamo interessati al comportamento del vettore di magnetizzazione durante le sequenze di
impulsi.
Il movimento del vettore M visto risulta molto complicato e difficile da visualizzare se si vogliono
considerare tutti i fenomeni coinvolti, specialmente quando sono applicati due o più impulsi. Al fine
di facilitare la descrizione (sia matematica, che visiva) del fenomeno, si preferisce descriverlo dal
punto di vista di un osservatore che ruota attorno all’asse parallelo a B0, in sincronismo con i
momenti magnetici nucleari.Questo è il cosiddetto sistema di riferimento rotante.
E’ come osservare gli oggetti che si muovono in una giostra che ruota: se siamo interessati solo al
movimento degli oggetti e non alla giostra che gira, è più comodo osservarli mentre siamo anche
noi nella giostra, e ruotiamo con essa. Il cosiddetto “sistema di riferimento di laboratorio” equivale
a quando osserviamo gli oggetti mentre siamo fermi, fuori della giostra; il “sistema rotante”
equivale a quando osserviamo gli oggetti stando sulla giostra.
Nel caso di sistema rotante, i protoni che precessano con frequenza  sono fermi, mentre quei
protoni che, per qualche fenomeno aggiuntivo (che spiegheremo più avanti), precessano a velocità
minore, sono osservati come rotanti in senso antiorario; analogamente, protoni che precessano con
frequenza maggiore di  sono osservati come rotanti in senso orario (vedi figura 6).
Figura 6. Rappresentazione grafica su un sistema rotante di assi, di protoni che precessano a
diverse frequenze.
Parametri di interazione tessuto - Risonanza Magnetica
Il contrasto nelle immagini di risonanza magnetica nucleare dipende dalle diverse proprietà
magnetiche dei tessuti. Sebbene ci siano molti parametri che influenzano il segnale proveniente dal
campione sotto osservazione, i parametri comunemente usati sono: la densità protonica, T1 e T2
rilevabili dal segnale RM emesso dal materiale Questi parametri possono avere valori diversi per
5
tessuti diversi e anche valori diversi per uno stesso tessuto che si trovi in uno stato normale o
patologico.
Densità protonica
La maggior parte degli atomi di Idrogeno nel corpo umano costituiscono le molecole di acqua e
sono proprio queste molecole che andiamo a rivelare con l’esperimento di risonanza magnetica.
Il termine densità protonica si riferisce semplicemente al numero di protoni per unità di volume ed è
effettivamente proporzionale alla densità di acqua nei tessuti. Quindi ad esempio l’osso ha una
densità d’acqua molto bassa, il fegato alta ed il sangue molto alta.
Figura 7: Effetto della diversa densità protonica sul vettore M e sull’ampiezza del segnale.
La densità protonica del tessuto osservato è semplicemente proporzionale all’ampiezza iniziale del
segnale RM immediatamente dopo la fine dell’impulso di eccitazione a 90° (figura 7): più è alta la
densità protonica, maggiore è l’ampiezza del segnale.
Rilassamento
Il rilassamento degli spin è causato dallo scambio di energia tra uno spin e l’altro e tra lo spin e
l’ambiente che lo circonda. Queste interazioni danno origine a due tipi di decadimento del vettore
M, chiamati rilassamento spin-spin e rilassamento spin–reticolo rispettivamente. Il risultato finale
del rilassamento è il ritorno di M nel suo stato iniziale parallelo a B0.
Il rilassamento spin-spin, detto anche tempo di rilassamento trasversale, o T2, è causato
dall’interazione tra i momenti magnetici nucleari.
Il campo magnetico sperimentato istantaneamente da ciascun nucleo è certamente dominato dal
campo esterno applicato B0, ma c’è anche un contributo al campo locale proveniente dai nuclei più
vicini. Queste interazioni spin-spin provocano una debole variazione della velocità di precessione di
ciascun nucleo.
Il risultato di ciò è una perdita della coerenza della fase dei nuclei tra loro, cosicché la componente
trasversale del vettore di magnetizzazione M (Mxy), cioè la componente perpendicolare al campo
B0, si riduce (figura 8). La costante di tempo del rilassamento trasversale Mxy è data da T2., cioè il
tempo necessario affinché lo sfasamento dei nuclei determini la riduzione della componente
trasversale Mxy del 63%.
6
Figura 8 :Il rilassamento Spin-Spin causa la precessione dei momenti magnetici nucleari a velocità
diverse. La perdita della coerenza di fase provoca il decadimento esponenziale della
magnetizzazione trasversale con costante di tempo T2.
Il rilassamento spin-reticolo detto anche tempo di rilassamento longitudinale, o T1, causa il
graduale riallineamento dei momenti magnetici con B0, come mostrato in figura 9. Questo
fenomeno dipende dalle proprietà intrinseche del nucleo ma anche dal microambiente in cui si trova
immerso (nuclei circostanti, temperatura, presenza di molecole di grandi dimensioni o/e di molecole
paramagnetiche come quelle dei mezzi di contrasto, etc.) e per questo si parla di interazione spinreticolo. Quindi la componente di M parallela a B0, ossia la componente longitudinale, torna al
valore di equilibrio M0 in un tempo caratteristico T1. T1 è il tempo necessario affinché il 63% dei
nuclei riacquisti il loro stato di equilibrio dopo che un impulso in RF ne ha modificato la posizione
di 90 rispetto alla posizione di riposo. Il T1 dei tessuti è in genere dell’ordine di 1 secondo.
Figura 9. Il rilassamento Spin-Reticolo causa il ritorno della componente longitudinale del vettore
di magnetizzazione al suo valore M0 di equilibrio, con costante di tempo T1.
Una volta che il vettore di magnetizzazione M è tornato al suo valore di equilibrio M0 parallelo a
B0, non c’è nessuna possibilità di avere una magnetizzazione traversa diversa da zero. Per questo
motivo T2 è sempre minore o al limite uguale a T1.
Pseudo – rilassamento detto anche tempo T2*. La presenza di una disomogeneità del campo
magnetico all’interno del campione causa inevitabilmente un ulteriore defasamento relativo dei
nuclei tra loro, tanto che è necessario definire un altro tempo di rilassamento, T2*, esprimendo la
velocità di decadimento trasversale osservata, 1/T2*, come la somma di due contributi:
7


il contributo del rilassamento spin-spin
il contributo del rilassamento dato dalla disomogeneità di campo magnetico
E quindi:
1/ T2* = 1/ T2 + 1/ T2disom
Dove:
(5)
1/ T2disom =  B0
in cui B0 è l’ampiezza della variazione di campo magnetico, nella regione occupata dal campione.
Parametri di misura del segnale RM
Tempo di ripetizione TR
In una sequenza di impulsi, il Tempo di Ripetizione, o TR, è il tempo che intercorre tra un impulso
RF e l’altro.
In figura 10 è mostrato, a titolo di esempio su tre tessuti con tre diversi valori di T1, come il
parametro TR può essere opportunamente fissato, al fine di enfatizzare il contrasto tra i diversi
tessuti.
Figura 10. Contrasto tra tessuti con diverso T1, in funzione di diversi valori di TR
Tempo di Eco TE
Il tempo di Eco, TE, è il tempo tra l’impulso di eccitazione RF e il centro dell’eco, cioè dove il
segnale eco acquisito ha ampiezza massima. L’ampiezza della magnetizzazione traversa Mxy (e
quindi del segnale eco acquisito) al picco dell’eco dipende da TE e dal T2 del tessuto. Infatti, per
uno stesso tipo di tessuto, per TE brevi, abbiamo che la componente Mxy di M si è ridotta di una
quantità legata al T2 del tessuto in esame, per cui il segnale eco acquisito avrà un’ampiezza
determinata dal TE scelto.
L’operatore nella macchina RM può definire opportunamente il TE e trovare quel valore che generi
immagini con maggior contrasto tra i tessuti. Infatti nella figura 11 sono mostrati, a titolo
esemplificativo, tre diverse curve relative a tre diversi tessuti; dalla figura si vede già ad occhio che
ci sono valori di TE per cui la distinzione tra i tessuti è maggiore rispetto ad altri valori di TE.
8
Figura 11. Contrasto tra tessuti con diverso T2, in funzione di diversi valori di TE
Angolo di flip FA
Il Flip Angle, FA, corrisponde all’angolo  = B1t compreso tra la direzione del campo B0 ed il
vettore di magnetizzazione M (vedi paragrafo “impulsi RF”). Come si vede dalla formula, un alto
valore di  (FA) si ottiene con una durata più lunga di attivazione dell’impulso RF o con
un’ampiezza del campo B1 maggiore. Per cui, FA = 90° corrisponde ad un tempo di attivazione
dell’impulso RF doppio rispetto ad un FA = 45°; è per questo che, quando occorre acquisire
immagini molto velocemente per monitorare fenomeni di breve durata (come spessissimo avviene
per immagini cardiovascolari), si cerca di fissare valori di FA piuttosto bassi.
La formazione di immagini RM
Quasi tutte le immagini RM sono ottenute dopo un’analisi di Fourier che è una tecnica molto
efficiente e versatile per identificare la locazione spaziale dei segnali RM emessi dalle varie
sorgenti del corpo in esame. Si possono costruire sia immagini 2D che 3D, con diverse
caratteristiche spaziali e dimensioni. Le immagini sono calcolate da segnali RM, in genere segnali
eco, digitalizzati.
Molte immagini RM sono mostrate come piani 2D suddivisi in una griglia di punti (detti pixels).
L’intensità di un pixel rappresenta l’ampiezza dei segnali RM emessi dalla corrispondente regione.
Viene ora descritto come le informazioni spaziali sono codificate in questi segnali RM e poi
decodificate durante il calcolo di un’immagine RM in un processo detto ricostruzione
dell’immagine.
Gradienti di campo magnetico
Un gradiente di campo è un campo magnetico che viene aggiunto a B0, la cui intensità varia
linearmente con la posizione lungo un asse scelto. Il sistema di misura RM ha tre gradienti, uno
lungo ciascun asse x, y e z. Questi assi sono fissi nel magnete e l’origine è al centro del magnete,
mentre il campo B0 è per convenzione lungo z.
Prescindendo dalla direzione del gradiente, comunque il suo campo magnetico è sempre diretto
lungo B0, come mostrato in figura 12.
9
Figura 12. Aggiunta di un campo magnetico variabile lungo l `asse x
La figura 12 mostra come, grazie al gradiente, varia l’intensità di B0 lungo l’asse x:
GX 
dB z
dx
(8)
il campo magnetico totale è allora dato da:
Bz (x)  Bo  xG x
(9)
per cui il valore di Bz è diverso a seconda della posizione del punto lungo l’asse x in cui ci
troviamo.
Dalla formula  = B avremo quindi che la frequenza di precessione dei protoni,  , è diversa a
seconda del campo Bz a cui sono soggetti, cioè della posizione lungo l’asse x.
Figura 13. Segnale RM acquisito, con gradiente attivo, in funzione della posizione spaziale delle
molecole di idrogeno.
10
La figura 13 mostra come varia la frequenza del segnale emesso dalle varie bottiglie di acqua, in
funzione della loro posizione spaziale: la bottiglia che è influenzata da un campo B < B0 (bottiglia
1) emette un segnale con frequenza  < 0. Analogamente, il contenuto della bottiglia 3 emette un
segnale con frequenza  > 0 mentre per la bottiglia 2 la frequenza è 0. Il segnale risultante è dato
dalla somma dei tre segnali. Da notare, inoltre, come l’ampiezza dei tre segnali sia diversa a
seconda della quantità di acqua presente nelle bottiglie (dipende infatti dal numero di nuclei di
idrogeno – densità protonica).
La discriminazione spaziale è effettuata attivando opportunamente i tre gradienti (lungo x, y, z),
così da ottenere tre tipi di codifica, lungo le tre direzioni spaziali: 1)eccitazione selettiva,
2)codifica di frequenza, 3) codifica di fase.
1. La tecnica di eccitazione selettiva è il metodo grazie al quale l’eccitazione di RM, e dunque il
segnale, è limitata ad una fetta scelta in un campione o paziente; per questo tale codifica è anche
detta selezione della fetta. Si ottiene applicando un impulso a 90° insieme ad un gradiente “Slice
Selection Gradient” perpendicolare alla fetta desiderata.
L’effetto dell’attivazione contemporanea del gradiente e dell’impulso RF è dunque quello di far sì
che solo i protoni all’interno della fetta (che quindi precessano esattamente alla frequenza  = B0)
siano eccitati.
Figura 14. Eccitazione selettiva di una fetta.
Infatti, l’impulso a 90° ha un’ampiezza ed un andamento temporale tale da contenere uno stretto
intervallo di frequenze vicine alla frequenza fondamentale  0  B0 : solo quegli spin la cui
frequenza di risonanza appartiene a questo intervallo saranno eccitati.
2. La codifica di frequenza sfrutta la proprietà che la frequenza di risonanza nella RM è
direttamente proporzionale all’intensità del campo magnetico. Quando applichiamo un gradiente
(ad esempio lungo x) abbiamo una frequenza di risonanza che è funzione della posizione lungo la
direzione del gradiente, ovvero
 x    B0  xGx 
(11)
Il gradiente di codifica di frequenza viene attivato durante la fase di acquisizione del segnale RM.
Conoscendo l’intensità del gradiente Gx, dalle informazioni frequenziali del segnale acquisito, si
può risalire alla posizione dell’oggetto lungo la direzione del gradiente del campo. Tale operazione
è effettuata mediante un’analisi in frequenza del segnale.
11
3. La terza discriminazione spaziale è detta codifica di fase. E’ così chiamata perché in questo caso
vengono valutati i cambiamenti di fase della precessione dei protoni durante l’attivazione del
gradiente. La direzione della codifica di fase è perpendicolare alla direzione della codifica di
frequenza. Se ad esempio viene applicato un impulso a 90° ad una colonna di spin seguito da un
gradiente di codifica di fase, gli spin precedono a differenti velocità (frequenze i) defasandosi gli
uni rispetto agli altri. Quando il gradiente viene spento, gli spin sentono lo stesso campo magnetico
B0 e quindi tornano a precedere tutti alla stessa frequenza mantenendo però uno sfasamento (dovuto
alla precedente attivazione del gradiente di fase) la cui entità dipende dalla posizione lungo la
direzione di codifica di fase
Per la formazione dell’immagine RM il gradiente di codifica di fase è attivato e disattivato più
volte, variando opportunamente ogni volta la sua ampiezza.
Riassumendo, la successione di attivazione e disattivazione di dei gradienti (sequenza) per la
codifica spaziale, che permettono la formazione dell’immagine, consiste in:
1) Selezione di una fetta ed eccitazione degli spin (intervallo 1 fig.24). Il gradiente di selezione
della fetta fa sì che i diversi protoni precedano a diverse frequenze cosicché solo i protoni che
giacciono in una fetta e che precedono ad una specifica frequenza (0), risentono dell’impulso
RF avente frequenza 0;
2) un phase encoding gradient applicato tra l’eccitazione e il periodo di lettura.(intervallo 2 fig.
24). Immediatamente dopo la disattivazione dell’impulso RF e del gradiente di selezione fetta,
viene attivato per un brevissimo tempo il gradiente di fase, in modo tale che le frequenze di
precessione dei protoni (e dunque la fase) lungo la direzione del gradiente siano diversi tra
loro; viene poi disattivato il gradiente di fase, per cui i protoni ritornano a precedere alla
frequenza iniziale 0, ma sono tra loro sfasati lungo la direzione del gradiente di fase.
L’informazione spaziale nella direzione della codifica di fase può essere risolta se vengono
acquisiti molti segnali RM, in cui l’ampiezza del gradiente di fase viene modificato (da valori
di ampiezza massimi, via via a valori minori, fino a raggiungere valori negativi e minimi
negativi;
3) un gradiente di lettura durante il quale è raccolto il segnale NMR (intervallo 3 fig. 24).
Ciascun segnale è acquisito mentre questo è a forma di eco, durante l’attivazione del gradiente
di frequenza, cosicché si crea una distribuzione di diverse frequenze lungo la direzione del
gradiente di frequenza.
Al fine di ottenere l’immagine, questa sequenza è ripetuta più volte, variando ogni volta l’ampiezza
del gradiente di fase, come mostrato nell’esempio di figura 15, intervallo 2.
12
Figura 15. Rappresentazione schematica di una sequenza per la generazione di immagine RM.
La serie di segnali così acquisiti, viene opportunamente digitalizzata e memorizzata in una matrice
detta k-spazio.
Il K-Spazio
L’evoluzione di un sistema di spin dopo l’eccitazione è studiata più facilmente nel k-spazio. Il Kspazio è importante per la formazione delle immagini RM perché è proprio nel K-spazio che
vengono memorizzati i segnali RM acquisiti: i campioni dei segnali acquisiti sono proprio i
campioni della matrice K-spazio! Tale spazio è in realtà il dominio della trasformata di Fourier
dell’immagine RM che vogliamo ottenere. k sta per numero d’onda k= 2/, con componenti Kx,
Ky e Kz .
Infatti, le immagini possono essere decomposte nella somma di onde seno e coseno con differente
frequenza ed orientazione. Il K-spazio consiste nell’insieme dei coefficienti che costituiscono il
fattore peso di queste onde seno e coseno. Le coordinate del K-spazio sono dette frequenze spaziali
e la loro unità di misura è: cicli per unità di lunghezza. Per cui, le frequenze spaziali K x e Ky
corrispondono ad un’immagine 2D con coordinate x e y.
Il K-spazio contiene informazioni sull’intensità dei vari contorni dell’immagine piuttosto che le
distribuzioni spaziali delle varie strutture anatomiche; tali distribuzioni spaziali sono invece
rappresentate nelle immagini RM. Le immagini sono trasformate dal K-spazio al dominio spaziale
mediante una trasformata inversa di Fourier, come sarà descritto più avanti. Ogni punto del Kspazio contiene informazioni su tutta l’immagine RM (come si vede nell’esempio in figura 16).
La figura 16 mostra i contributi di sei punti del K-spazio nell’immagine finale. Come mostrato in
figura, la distanza dei punti dal centro del K-spazio determina la frequenza delle linee ripetute: più
si è lontani dal centro, più le linee sono fitte (frequenze più alte). L’orientazione (obliquità)
dell’andamento sinusoidale è perpendicolare alla direzione di K.
13
Figura 16. Un singolo punto nel K-spazio corrisponde ad un andamento sinusoidale di una
specifica frequenza ed orientazione nell’immagine RM.
Il centro del K-spazio contiene informazioni sulla struttura grossolana dell’immagine, mentre le
regioni più lontane dal centro codificano i dettagli. Perciò: alte frequenze (cioè alti valori di K x e
Ky) danno informazioni sui dettagli degli elementi dell’immagine, mentre le basse frequenze danno
informazioni più grossolane.
La transizione da informazioni grossolane ai dettagli è graduale dal centro del K-spazio ai suoi
estremi. Alle volte può essere utile non acquisire tutto il K-spazio, soprattutto se si vuole ridurre il
tempo di acquisizione dei dati per le immagini RM (come in effetti accade nell’ambito
cardiovascolare). Infatti, applicando il metodo “Half- Fourier” vengono acquisiti solamente i
segnali che riempiono la metà positiva del K-spazio e le righe più centrali della metà negativa,
come vedremo più in dettaglio.
Dal K-spazio all’immagine RM: la Trasformata di Fourier
La trasformata di Fourier decompone segnali o curve in una somma di onde seno e coseno aventi
ciascuna differenti frequenze [18].
Per ricostruire immagini RM, viene utilizzata l’operazione di trasformata Discreta di Fourier
(solitamente chiamata DFT) piuttosto che una trasformata continua. I dati memorizzati nel Kspazio, sono infatti dati numerici, cioè discreti. La DFT e la sua inversa sono definite come una
serie matematica (cioè una somma di termini) in cui il numero dei termini corrisponde al numero
dei campioni della curva da trasformare. I termini della serie sono sommati per calcolare un pixel
(cioè un punto) nell’immagine finale RM. La Trasformata di Fourier veloce (Fast Fourier
Transform, FFT) è un algoritmo ormai riconosciuto come il più efficiente per il calcolo della DFT,
ed è quello implementato ormai in tutte le macchine di RM.
Una DFT bidimensionale (DFT-2D) ricostruisce un’immagine 2D dal K-spazio. La DFT 2D è
implementata come tante FFT separate, una per ogni riga del K-spazio, su cui vengono poi calcolate
le FFT lungo le colonne, tante quante sono le colonne del K-spazio. Per cui, se il K-spazio contiene
256 righe e 256 colonne, la ricostruzione dell’immagine RM richiede in tutto 512 FFT. La
Trasformata di Fourier volumetrica (3D), utilizzata per ricostruire immagini volumetriche, è
un’estensione della DFT 2D.
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Bibliografia
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