“L`IMPERO BIZANTINO TRA LUCI E OMBRE PROF . MARCELLO

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“L'IMPERO BIZANTINO TRA LUCI E
OMBRE”
PROF. MARCELLO PACIFICO
Università Telematica Pegaso
L'impero bizantino tra luci e ombre
Indice
1
LA GRECIZZAZIONE DELL’IMPERO --------------------------------------------------------------------------------- 3
2
L’ESPANSIONE TERRITORIALE ---------------------------------------------------------------------------------------- 6
3
FORTUNA E DECLINO ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 La grecizzazione dell’impero
Alla fine dell’VIII secolo i territori bizantini corrispondevano a circa un terzo del territorio
al tempo di Eraclio (610-641): esso comprendeva metà della Turchia, Tracia orientale, Atene,
Patrasso, Corinto e i territori dell’Italia meridionale eccetto le terre longobarde.
Le perdite a causa degli attacchi arabi, slavi, longobardi e bulgari erano state molte e solo a
partire dal IX secolo le dinastie bizantine iniziarono con rinnovato vigore una politica
espansionistica per ritrovare l’antico splendore.
Nel periodo più buio comunque vennero attuate diverse riforme come quella amministrativa:
per dare una struttura organizzata al territorio dividendolo in temi con a capo uno stratega, quella
territoriale, per distribuire in maniera razionale i possedimenti, quella militare, i soldati (stratioti)
erano allo stesso tempo colonizzatori e proprietari delle terre, quella sociale, venne favorita la
nascita di una classe di contadini liberi che potevano godere di piccole proprietà.
L’impero bizantino doveva preoccuparsi di difendere i propri confini e si chiuse nelle sue
frontiere, perse le sue pretese di universalismo e acquistò un carattere più orientale tanto che anche
la lingua ufficiale non fu più il latino ma il greco.
Il titolo imperale non fu più imperator, Caesar o augustus ma basileus; nell’ambito del diritto
ci si rivolse alla giurisdizione orientale e si attuò sempre più frequentemente una compenetrazione
tra vita civile e religiosa.
Nelle province orientali dell’impero bizantino (le più influenzate dal Giudaismo e
dall’Islamismo) si generò la controversia iconoclasta, la lotta contro il culto delle icone raffiguranti
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Cristo, la Vergine e i santi poiché la venerazione di immagini veniva considerato peccato di
idolatria.
Queste province sapevano che la loro posizione periferica e perciò in prima linea contro gli
attacchi esterni era importante e cercarono di sfruttare la situazione per avere più autonomia dal
potere centrale.
Quando al trono salì Leone III l’Isaurico (717-741) gli iconoclasti ebbero esaudite parte
delle loro richieste; nel 726, nonostante l’opposizione del patriarca di Costantinopoli e del papa
Gregorio III, con un decreto proibì il culto delle immagini nelle icone e ordinò la distruzione di
affreschi e mosaici raffiguranti immagini sacre. Nel 731 papa Gregorio III lo scomunica.
Anche il figlio Costantino V (741-775) proseguì la strada intrapresa dal padre: infatti
l’appoggio delle province orientali era decisivo per la stabilità del potere imperiale.
Le loro scelte in realtà non furono errate visto che grazie all’appoggio dei territori periferici
l’impero riuscì a fermare l’invasione araba e arrestare la crisi dell’impero.
Nel 784 la politica degli imperatori isaurici ebbe fine poiché fu nominato un imperatore
iconodulo, Costantino VI (780-797), cioè favorevole al culto delle immagini e nel Nel 787 il
concilio di Nicea II di Nicea condannò definitivamente l’iconoclasmo come eresia.
Un ritorno dell’ideologia iconoclasta si ebbe con Leone V in modo però non vigoroso e solo
nell’843 Michele III(842-867) si richiamò formalmente al Concilio di Nicea del 787, riaffermando
la liceità del culto alle immagini.
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Questo evento non a caso coincise con l’attenuarsi del pericolo arabo e con la ripresa della
grande proprietà terriera ad opera di funzionari e burocrati, di membri del clero, dei vertici militari e
dei mercanti.
Contemporaneamente però il ceto dei piccoli proprietari, stratioti e contadini liberi, entrò in
crisi; diversi imperatori come Romano Lecapeno (920-944), Costantino VII Porfirogenito (944-959)
e Romano II (959-963) emanarono leggi in difesa della piccola proprietà: in caso di vendita ad
esempio erano agevolati i vicini che non fossero grandi proprietari. Nonostante queste leggi però i
contadini, molto impoveriti, preferivano vendere ai grandi proprietari; si ripropose lo stesso
processo già avvenuto in Occidente.
L’imperatore Niceforo Foca (963-969) al contrario dei suoi successori emanò leggi a favore
delle potenti famiglie aristocratiche, alla quale lui stesso apparteneva, e agevolò il concentramento
delle terre nelle mani di pochi proprietari.
I suoi successori Giovanni Zimisce e Basilio II ripresero una politica antinobiliare; questi
cercarono di tenere l’aristocrazia sotto pressione ma la maggior parte delle terre erano ormai in
mano ai grandi proprietari.
Nell’impero bizantino comunque non si ebbe il completo trasferimento dei poteri ai signori
poiché l’esistenza di un efficiente apparato pubblico rendeva sempre necessaria la presenza dello
Stato.
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2 L’espansione territoriale
L’imperatore bizantino contava su un efficiente apparato burocratico possedendo strumenti
sconosciuti ai sovrani dell’Occidente e paragonabili a quelli del sultano di Baghdad.
Il rapporto tra Stato e Chiesa divenne molto stretto: l’imperatore, rappresentante di Dio sulla
terra divenne capo dell’esercito e dell’amministrazione, garante della giustizia e della pace,
difensore della Chiesa e della vera fede; tutto questo non portò mai a veri e proprio scontri come in
Occidente perché qui il potere imperiale era riconosciuto maggiore rispetto a quello della Chiesa.
Un ulteriore rafforzamento del potere imperiale si ebbe anche durante la dinastia macedone;
questi imperatori ebbero molti successi militari grazie al rafforzamento della flotta e alla riconquista
di molti territori che avevano perso in passato, come Creta, Edessa, la Siria, il Libano e la Palestina.
Figura di spicco nell’ambito ecclesiastico fu il patriarca Fozio, eletto nell’858 che cercò di
contrastare la tendenza del potere imperiale imponendosi anche alla Chiesa (cesaropapismo).
I membri della dinastia macedone, primo tra tutti Romano Lecapeno, riscossero molti
successi militari anche sul fronte settentrionale dei Balcani minacciato dalle invasioni dei Russi: nel
944 Romano Lecapeno conquista l’importante centro strategico di Edessa, stringendo alleanze
grazie alle quali riuscì ad accerchiare i Bulgari che furono definitivamente sconfitti nel 1014 da
Basilio II. Anche Foca ottenne ottimi risultati occupando Creta nel 961; Aleppo nel 962 e buona
parte della Siria con Antiochia nel 969. Giovanni Zimisce invece riconquistò Libano e Palestina
spingendosi fino a Gerusalemme. L’aggressività dei Russi sfociò invece nell’assedio di
Costantinopoli nell’860 e nel 907.
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Grazie a Lecapeno il delicato momento venne superato: egli infatti instaurò un sistema attivo
di alleanze che portarono all’accerchiamento dei Bulgari da parte dei Serbi, dei Croati e dei Russi.
Simeone re dei Bulgari (893-927), il quale educato a Costantinopoli, si faceva chiamare “zar”,
rinunciò ai suoi ambiziosi progetti, accontentandosi del titolo di basileus dei Bulgari. Basilio II;
detto Bulgaroctono, vinse e sottomise tutta la popolazione bulgara. La Chiesa bulgara invece, sotto
Re Boris(852-893), da patriarcato divenne archiepiscopato e fu sottomessa al patriarcato di
Costantinopoli.
La cristianizzazione degli Slavi e delle altre popolazioni pagane nei Balcani corrispondeva
ad un ampliamento dell’influenza politica di Bisanzio; il fatto che la conversione dei popoli pagani
fosse legata all’aumento dell’influenza politica non era un fatto nuovo visto che la Chiesa romana
con l’appoggio dei Franchi stavano attuando la stessa strategia e proprio per questo motivo
entrarono in contrasto.
Un vero e proprio conflitto scoppiò per il controllo della Chiesa bulgara; le due Chiese si
accusarono a vicenda di superare la propria area di influenza e ben presto il dibattito si spostò
all’ambito teologico e più precisamente alla questione del «Filioque».
Il patriarca di Costantinopoli Fozio scomunicò il papa Niccolò I perché a Roma durante la
recita del Credo si affermava che lo Spirito Santo derivasse sia dal Padre che dal Figlio mentre il
Concilio di Nicea I, del 325 aveva postulato una derivazione solo dal Padre.
Per rimettere la pace l’imperatore Basilio I convocò un concilio nell’869-870 durante il
quale si decretò la deposizione di Fozio e la sottomissione a Bisanzio della Chiesa bulgara.
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I contrasti di natura religiosa per alcuni anni furono sopiti ma ripresero violentemente nel
corso del XI secolo quando alla guida delle due Chiese si trovarono due prelati molto intransigenti:
Leone IX a Roma e di Michele Cerulario a Costantinopoli.
La Chiesa Occidentale doveva fronteggiare problemi come il matrimonio dei preti (non
consentito) e l’uso di pane lievitato durante l’Eucarestia ma il problema principale rimaneva quello
del «Filioque».
Nessuno sforzo di conciliazione si ebbe dalle due parti; nel 1054 tre delegati bizantini si
recarono a Roma nel falso tentativo di appianare le tensioni e senza nessuna motivazione di apertura
tanto che al loro ritorno a Costantinopoli portarono la bolla di scomunica del papa al patriarca che,
ovviamente, fece la stessa cosa col papa.
Lo scisma tra le due Chiese si compì senza che però fosse avvertito come un evento
traumatico dal mondo cristiano visto che non era la prima volta che si erano verificate tensioni tra i
vertici della Chiesa romana e di quella bizantina.
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3 Fortuna e declino
Tra il IX e il X secolo la società bizantina attraversò un periodo di crescita in tutti i suoi
settori: politico, amministrativo, economico, commerciale, artistico.
Costantinopoli era la più importante città del Mediterraneo ed era inoltre nota per la
produzione di stoffe e sete.
Altre città importanti per i commerci internazionali erano Tessalonica (oggi Salonicco),
Corinto in Grecia, Trebisonda, Amastri sul Mar Nero, Efeso e Attalia sulle coste del Mediterraneo.
A Costantinopoli non si ha conoscenza di come venissero regolati i commerci e la attività
produttive, ma era forte dovunque il controllo dello stato.
Nel testo denominato “Libro dell’eparco” (prefetto) emerge che a Bisanzio tutti i mestieri
erano organizzati in corporazioni, che operavano sotto il controllo delle autorità statali.
La capitale, anche per iniziativa degli imperatori, era sede di un’intensa attività intellettuale
e artistica; Leone VI, ad esempio, fu filosofo, teologo e giurista: il su nome è legato alla revisione
del diritto giustinianeo.
Costantino VII Porfirogenito compose opere di carattere storiografico, I Temi,
L’amministrazione dell’impero e Il trattato sulle Cerimonie della corte bizantina.
Un grande filosofo, teologo, storico e statista bizantino dell’XI secolo fu Michele Psello il
quale incoraggiò l’attività delle scuole e fu molto influente a corte.
Proprio quando il prestigio politico-culturale di Bisanzio era al culmine si manifestarono i
primi segni di crisi che condussero l’impero a un rapido declino.
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Questa crisi fu determinata da vari fattori. Morta Teodora di Bisanzio nel 1056 la dinastia
macedone si estinse e iniziò una lunga lotta per la successione tra la nobiltà della capitale e i
membri della burocrazia contro l’aristocrazia fondiaria. Ad avere la meglio fu l’aristocrazia che
legiferò a suo favore non occupandosi più dei contadini. Sul fronte orientale i Turchi selgiuchidi si
erano impadroniti di Baghdad e ciò rappresentava una seria minaccia per Bisanzio visto che questi
iniziarono subito un’offensiva verso l’Egitto ripristinando in qualche modo l’antico impero arabo. I
turchi conquistarono anche la Siria, la Palestina e Gerusalemme nel 1070: lo stesso imperatore
Romano IV Diogene fu fatto prigioniero.
Nel 1081, quando l’imperatore Alessio Comneno ( 1081-1118) conquistò in maniera
definitiva il potere all’impero era rimasto un territorio corrispondente a meno di un quarto
dell’attuale Turchia.
Sul fronte dell’Italia meridionale un altro pericolo fu costituito dai Normanni; questi
conquistarono i territori bizantini in Italia e dopo aver conquistato Durazzo (in Albania) si mossero
verso Costantinopoli. L’imperatore Alessio Comneno chiese aiuto ai Veneziani che riuscirono a
fermare i Normanni e che per il loro intervento pretesero da Bisanzio un compenso altissimo: con
un diploma imperiale (crisobolla) del 1082 gli furono concessi numerosi privilegi, come ad esempio
commerciare liberamente nelle città dell’impero senza pagare dazi e tasse. Ne risultò un duro colpo
alle finanze dell’impero che presto si trovò con le casse in dissesto.
Dopo la parentesi del Regno Latino, entità politica creata dai crociati, la riconquista di
Costantinopoli, nel 1261, non apportò mutamenti radicali nello sviluppo dell'impero bizantino. Gran
parte degli antichi possedimenti era definitivamente perduta sia in Asia Minore che nei Balcani;
alcune regioni si erano staccate e praticamente vivevano vita propria (Epiro, Tessaglia), altre erano
ancora sotto il dominio franco (Attica, Beozia, parte delle isole). Costantinopoli era sempre un
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grande centro urbano di importanza commerciale e culturale. Il rientro trionfale dell'imperatore,
della corte, del patriarca e dell'amministrazione bizantina nella riconquistata ma alquanto mal
ridotta e spoglia capitale fu naturalmente accompagnato dalla resurrezione e dal risveglio
dell'ideologia imperiale e universalistica, che era stata accantonata, almeno in pratica, per un mezzo
secolo. I suoi punti essenziali non furono però mai abbandonati sino alla fine dell'esistenza
dell'impero. Sostenitrice convinta del dogma dell'universalità dell'impero fu, fino alla sua caduta, la
Chiesa, una delle poche forze ben organizzate e stabili.
Quando, verso la fine del XIV secolo, l'impero era ridotto alla sola capitale e circondato da
ogni parte dai Turchi, il patriarca Antonio scriveva ancora al granduca di Mosca, Basilio I,
rimproverandogli di aver dimenticato che c'era solo un impero e solo un imperatore e questi era
quello dei Romei che risiedeva a Costantinopoli.
Dopo la riconquista della capitale, l'impero fece grandi sforzi per riaffermarsi sul piano
internazionale ma inutilmente. Ancora sotto il regno dell'imperatore Michele VIII Paleologo egli
s'immischiò negli affari mediterranei conducendo una politica attiva ma volta piuttosto alla difesa
che alla conquista o espansione. Costantinopoli rimase quindi oggetto piuttosto che soggetto della
grande politica e presto passò a stato di terzo rango; già alla metà del XIV secolo divenne vassallo
dei Turchi Ottomani e alla fine, quando era ormai ridotto alla sola capitale, tagliato fuori dal suo più
prospero e splendido possesso, il Peloponneso o Morea, fu sommerso dai Turchi nel 1453. Non
molto dopo, nel 1460, gli stessi Turchi entravano in Mistrà, capitale del Peloponneso bizantino,
ponendo fine all'impero che da quasi due secoli era moribondo.
In quest'ultimo periodo le forze sociali, che dall'XI secolo erano in continua ascesa,
raggiunsero il punto più alto del loro sviluppo e furono esse, non le vecchie strutture statali, a
caratterizzare l'ultima epoca bizantina. I grandi proprietari fondiari avevano già alzato la testa negli
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ultimi anni dell'impero di Nicea. Con i Paleologhi trionfarono completamente, e fra essi soprattutto
i membri della famiglia imperiale, che possedevano immensi latifondi. I grandi signori feudali
avevano i loro seguiti armati e spesso furono essi, poiché lo stato non ne era più in grado, a formare
o finanziare nuovi eserciti e flotte. Crebbe l'estensione della grande proprietà e con essa si acuì il
processo di differenziazione in seno all'aristocrazia fondiaria e si formò uno strato sociale di grandi
e potenti latifondisti. Ne trassero nuovo impulso le forze centrifughe, di espressione tipicamente
feudale, che erano in opera da qualche secolo.
A partire dal XII secolo Cipro, Trebisonda, Filadelfia in Asia Minore, Epiro e Tessaglia e
tante altre regioni si erano staccate più o meno permanentemente dall'impero. Questo processo
continuò ancora più vigorosamente sotto i Paleologhi con la distribuzione, da parte degli imperatori,
degli appannaggi, cioè di regioni o province, ai membri della famiglia imperiale, appannaggi che,
anche se non formalmente, erano di fatto indipendenti sia dal punto di vista amministrativo che
politico. Ancora verso la fine del XIII secolo proposte di divisione dell'impero avevano sollevato
scandalo. Le forze feudali si espandevano e dominavano lo stato e nulla ormai poteva più frenarle o
fermarle. L'effettivo potere era nelle mani dei grandi signori, in primo luogo dei membri della
famiglia imperiale, con un potente ed efficiente apparato burocratico.
Gli scrittori del tempo non riuscivano a ricordarsi o ignoravano quale fosse il contenuto di
cariche quali «logoteta del dromo» o «eparco della città», importanti ancora tre secoli addietro; la
maggior parte di esse sono ora vuoti titoli di corte.
Accanto alla grande proprietà laica, quella della Chiesa, e soprattutto dei monasteri, assunse
proporzioni mai viste prima. È vero però anche che, proprio grazie alla continuità del possesso
monastico e alla tradizione documentaria conservatasi fino a oggi, siamo molto meglio informati sui
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beni della Chiesa che non su quelli dei laici; ma è comunque manifesto che ambedue
caratterizzarono lo sviluppo dell'ultimo periodo bizantino.
I cambiamenti quantitativi, per quanto di grande portata, non furono certo gli unici a influire
sul possesso fondiario nel periodo tardo-bizantino. Altrettanto importanti furono quelli concernenti
il potere dei signori feudali sui loro contadini. Crebbero i loro diritti immunitari, non solo sul piano
tributario ma anche su quello giurisdizionale: le libertà dei contadini furono sensibilmente ridotte,
furono date ai signori feudali nuove possibilità di prelazione sui beni contadini in certi casi (per es.
di successione). D'altronde, non era in decadenza soltanto la proprietà contadina ma anche quella
dell'aristocrazia media e piccola, le cui terre furono in parte assorbite dai grandi signori. La
differenziazione sociale aveva fatto passi da gigante.
Questi cambiamenti evidentemente scalzarono anche i resti dell'organizzazione delle forze
armate, che ormai erano nelle mani dell'alta nobiltà tanto sul piano personale che su quello
finanziario. Quanto mal ridotte esse fossero, divenne evidente sotto il regno dell'imperatore
Andronico II (1282-1328) allorché egli non riuscì, malgrado una riforma finanziaria, a mettere in
piedi un esercito di 3000 uomini (2000 per il servizio in Europa e 1000 per quello in Asia Minore),
né a formare una flotta di 20 triremi.
Le finanze erano in rovina e la situazione, invece di migliorare, divenne sempre più critica.
La svalutazione precipitava: all'inizio del XIV secolo il nomisma bizantino, o come veniva
chiamato sempre più spesso l'iperpero, conservava appena la metà del suo valore originario. Esso
continuò a perdere livello e a peggiorare di lega, per cui i pagamenti si facevano a peso e non al
pezzo.
Perdite territoriali, guerre civili, svalutazione monetaria, concorrenza spietata di
commercianti stranieri che affluivano ancora numerosi nel fiorente centro di Costantinopoli,
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provenienti dai paesi arabi o italiani, provenzali o spagnoli, russi o balcanici, ma in primo luogo da
quelli veneziani e sempre più da quelli genovesi contribuì a ridurre il bilancio statale a misere
somme. Come prima nel cuore dell'impero e di Costantinopoli s'era insediata Venezia. Verso la fine
del XIII secolo i Genovesi fondarono la loro colonia a Galata o Pera, dunque di fronte a quella
veneziana, che fortificarono come se fossero in territorio nemico, e da dove controllarono sempre
più il commercio e le finanze bizantine. Queste non bastavano né per l'esercito mercenario, anche se
ormai minimo, né per le spese di corte spesso più che modeste. Se ancora all'inizio del XIV secolo
si era potuto pensare a un esercito di 3000 uomini e a una flotta di 20 navi da guerra, verso la fine
dello stesso secolo l'imperatore Manuele II, al momento di partire per l'occidente, lasciava a difesa
della capitale 100 cavalieri francesi, 100 servitori armati, una compagnia di arcieri e otto galere, che
erano state poste a sua disposizione dai Veneziani e dai Genovesi.
Neppure imposte nuove e straordinarie, o tasse prelevate due o tre volte l'anno, potevano
riempire le casse dello stato. Gli imperatori ricorsero a donazioni di ricchi signori feudali, a prestiti
all'estero, e per esempio alla ricca ma poco sentimentale repubblica veneta , per cui si trovano
ancora oggi nella chiesa di San Marco i gioielli della corona depositati quale garanzia nel XIV
secolo; o a pie oblazioni come quella inviata dal granduca russo Basilio II nella prima metà del XV
secolo per eseguire ingenti riparazioni alla chiesa di Santa Sofia ma con grande scandalo dei
contemporanei impiegate come soldo per truppe mercenarie. Nelle città, che si andavano riducendo
sempre più a centri di regioni agricole, la vita era determinata dall'aristocrazia fondiaria. La politica
imperiale di controllo sia dell'industria che del commercio, e soprattutto i sempre maggiori privilegi
concessi a partire dalla fine dell'XI secolo alle repubbliche marinare italiane avevano soffocato
l'iniziativa delle classi cittadine: fu così che Bisanzio divenne una specie di Hinterland economico
dei centri commerciali italiani.
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Nelle città bizantine non sorse mai una classe capace di incrementare lo sviluppo
commerciale e industriale, come accadeva in occidente. Non si può dire che una tale classe
mancasse del tutto; poiché anzi si sviluppò fino a un certo livello, ma non assunse mai forza
sufficiente a inculcare nuove energie allo stato o a imprimergli una nuova direzione nella politica
economica e sociale. Il tentativo più serio da parte delle nuove forze economiche e sociali sorte
dallo sviluppo del primo capitalismo fu compiuto a Tessalonica, dove un partito popolare, quello
degli «zeloti», poté assumere verso la metà del XIV secolo il potere nelle proprie mani per quasi un
decennio. Ma le sue forze non ressero e l'alta aristocrazia poté ben presto riprendere le posizioni
perdute. La mancanza di una giovane e vigorosa, intraprendente e audace borghesia bizantina fu
certamente una delle cause, ma non la sola, che portò al crollo dell'impero. Il trionfo della reazione
aristocratica feudale e la posizione privilegiata delle repubbliche marinare italiane, in primo luogo
Venezia e Genova, con le loro immense privative commerciali, finanziarie, doganali, impedirono lo
sviluppo di una borghesia quale si era formata in occidente. Forse una tale classe sarebbe stata una
forza capace di opporsi alle tendenze centrifughe, separatistiche e smembratrici che indebolirono,
scalzarono e rovinarono l'edificio dello stato bizantino dall'interno fino a un tal punto che cadde,
come frutto maturo, in mani turche.
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Bibliografia
 E. Ashtor, Storia Economica E Sociale Del Vicino Oriente, Nel Medioevo, Torino Einaudi,
1982
 G. Ostrogorsky , Storia Dell’Impero Bizantino, Torino, Einaudi,1968
 M. Psello, Imperatori di Bisanzio, Milano, Fondazione Valla Mondadori, 1984
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