10. Paul Karl Feyerabend, Contro il metodo
(1924-1994) (tedesco di origine, negli USA come luogo di professione)
Il proclama
1. Attacco al metodo: Contro il metodo
2. Nodi dello smontaggio del metodo presunto e della proposta per fare scienza
3. Una scienza pubblica e le sue argomentazioni “ad hoc”
4. I traguardi raggiunti e le direzioni nuove da percorrere: elogio dell’anarchismo
metodologico e della libertà (etica, sociale, scientifica)
5. Scienza umanità democrazia un rinnovato incontro civile: «il ruolo della scienza
in una società libera»
Opera di riferimento
Feyerabend Paul K.1970, 19752, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della
conoscenza, ed. Feltrinelli, Milano 1979 [citato (Feyerabend 1975)]
e
Feyerabend Paul K. 1978, La scienza in una società libera, Feltrinelli, Milano 1981
Feyerabend Paul K.1973, Tesi sull’anarchismo, in Lakatos Imre, Feyerabend Paul K. 1995, Lakatos
Imre, Feyerabend K. Paul, 1995, Sull’orlo della scienza. Pro e contro il metodo, Raffaello Cortina,
Milano 1995 (come un manifesto le pp.163-169 di Feyerabend)
Lakatos Imre, Musgrave Alan (a cura di) 1970 Critica e crescita della conoscenza, testi di P.
Feyerabend, T. Kuhn, I. Lakatos, M. Masterman, K. Popper, S. Toulmin, L. Pearce Williams,
Feltrinelli, Milano 19862
Come presentazione dello stile e dell’autore:
«Voi che vi dilettate di strane cose, amici, nemici, signore e signori:
Prima di cominciare il mio discorso, vorrei spiegarvi in che modo esso ebbe origine.
Circa un anno fa, quando ero a corto di fondi, accettai un invito a contribuire a un libro che si
occupava del rapporto fra scienza e religione. Per far vendere il libro, pensai di dover rendere
provocatorio il mio intervento, e l’affermazione più provocatoria che si possa fare sul rapporto fra
scienza e religione è che la scienza è una religione. Avendo fatto di quest’affermazione il nucleo
centrale del mio contributo, scoprii che a favore di tale tesi si potevano trovare una quantità di
ragioni, e di ragioni eccellenti. Enumerai le ragioni, terminai il mio scritto e fui pagato. Quella fu la
fase uno.» (Paul K. Feyerabend 1974/1975, Come difendere la scienza contro la scienza, in
Hacking Ian (a cura) 1981, Rivoluzioni scientifiche. Feyerabend, Hacking, Kuhn, Laudan, Popper,
Putnam, Shapere (prefazione di Giulio Giorello), Laterza, Roma-Bari 1984, 211)
E ancora, nello stesso intervento: «Favole Io voglio difendere la società e i suoi abitanti da tutte le
ideologie, scienza inclusa. Tutte le ideologie vanno viste in prospettiva. Si deve evitare di prenderle
troppo sul serio. Bisogna leggerle come favole che abbiano una quantità di cose interessanti da dire,
ma che possono contenere anche scellerate bugie o prescrizioni etiche che potrebbero essere regole
empiriche utili ma che sono mortali quando vengono seguite alla lettera.» (ivi 212)
«La metodologia è oggi così affollata di ragionamenti raffinati e vuoti che è estremamente difficile
percepire i semplici errori alla base. È un po’ come combattere l’idra: quando si riesce finalmente a
mozzare una di quelle teste minacciose, essa viene sostituita da otto formalizzazioni. In questa
situazione l’unica risposta è la superficialità: quando la complessità perde contenuto, l’unico modo
di conservare il contatto con la realtà è di essere rozzi e superficiali, e tale io intendo essere.» (ivi
216)
Indicativa, ancora, la nota del traduttore, Libero Sosio, all’edizione italiana di Feyerabend Paul K.
1978/1980, La scienza in una società libera, Feltrinelli, Milano 1981, p. 9: «L’edizione italiana di
1
quest’opera si fonda sull’edizione più recente, quella approvata dall’autore come definitiva (almeno
per ora): l’edizione tedesca Erkenntnis für freie Menschen. Veränderte Ausgabe, Suhrkamp Verlag,
Frankfurt am Main 1980. L’“almeno per ora” non significa che sia già prevista un’ulteriore edizione
modificata, ma si riferisce al temperamento agitato e truculento dell’autore, impegnato a combattere
una lotta a oltranza e senza pause contro un mondo di “analfabeti” (tra cui sono alcuni fra i massimi
esponenti della filosofia della scienza di oggi [oltre ai classificati tra i “lettori della domenica” e i
“propagandisti” ; come al cap. 7. Lettori della domenica, analfabeti e propagandisti]), e al rovello
incessante che lo porta a togliere, aggiungere, risistemare, mettere a punto, rispondere alle
inevitabili polemiche, nonché al carattere aperto, problematico, volutamente provvisorio dei suoi
libri, che non intendono trasmettere una verità, quanto piuttosto insegnare a discutere verità
considerate da troppo tempo definitive.»
Il proclama: Contro il metodo
«L'opera che maggiormente ha contribuito alla fama di Feyerabend, la versione estesa di Contro il
metodo (1975), nasce dalla sfida di Imre a Paul: “Perché non butti giù quella roba che vai
raccontando ai tuoi poveri studenti [H.]? Io risponderò e ci divertiremo un mondo”.
(Sull’orlo della scienza. Pro e contro il metodo, ed. Raffaello Cortina, Milano 199, prefazione di
Giulio Giorello, X)
«La scienza è un'impresa essenzialmente anarchica: l’anarchismo teorico è più umanitario e più
aperto a incoraggiare il progresso che non le sue alternative fondate sulla legge e sull’ordine.
Il saggio che segue è scritto nella convinzione che l’anarchismo, pur non essendo forse la filosofia
politica più attraente, è senza dubbio una eccellente medicina per l’epistemologia e per la filosofia
della scienza. Non è difficile trovarne la ragione. “La storia in generale, la storia delle rivoluzioni in
particolare, è sempre più ricca di contenuto, più varia, più multilaterale, più viva, più ‘astuta’” di
quanto possano immaginare anche il migliore storico e il miglior metodologo. La storia è ricca di
“casi e congiunture e curiose giustapposizioni di eventi” e ci dimostra la “complessità del
mutamento umano e il carattere impredicibile delle conseguenze ultime di ogni dato atto o decisione
di esseri umani”. Dobbiamo credere veramente che le regole ingenue e semplicistiche che i
metodologi prendono come loro guida possano rendere ragione di un tale “labirinto di interazioni”?
E non è chiaro che può partecipare con successo a un processo di questo genere solo un
opportunista senza scrupoli che non sia legato ad alcuna particolare filosofia e che adotti in ogni
caso il procedimento che gli sembra il più opportuno nella particolare circostanza?
È questa in effetti la conclusione a cui sono pervenuti osservatori intelligenti e profondi.»
(Feyerabend 1975, 15-16)
«… come la storia insegni che non c'è una sola regola metodologica che prima o poi non inibisca la
scienza, e non una mossa “irrazionale” che non la faccia avanzare, nelle circostanze appropriate.
[…] Impiegando tutti questi elementi propagandistici nel modo migliore, l’anarchico cercherà
convincere il suo pubblico che l’unica regola che può essere considerata in accordo con le mosse
che lo scienziato deve compiere per far progredire il suo campo d’indagine è tutto va bene.»
(Feyerabend, 1973, Tesi 166,167)
Due obiettivi ispirano costantemente le posizioni assunte da Feyerabend nel campo della scienza e
della cultura in generale: [1] liberare la scienza, la ricerca e la conoscenza da qualsiasi cammino
prefissato; [2] renderle umanitarie come fine e come metodo.
0.1. «Feyerabend criticava aspramente la scienza non perché credesse sul serio che essa non abbia
titolo ad aspirare alla verità più di quanto ne abbia l’astrologia. Al contrario. La attaccava perché si
rendeva conto, con orrore, del suo potere, della potenzialità insita in essa di soffocare la varietà del
pensiero e della cultura dell’umanità. Si opponeva alla certezza scientifica per ragioni di carattere
morale e politico piuttosto che epistemologico.» (Horgan John 1996 La fine della scienza, Adelphi,
Milano 1998, 84)
2
0.2. «Come quest’ultimo [Kuhn], anche Feyerabend negava di essere contrario alla scienza. Ciò che
in realtà sosteneva era, in primo luogo, che non esiste alcun metodo scientifico. «È proprio così che
vanno le cose nel campo della scienza» mi disse. «Si hanno certe idee che funzionano e poi salta
fuori una nuova situazione e si prova qualcos’altro. È opportunismo. C’è bisogno di una cassetta
degli attrezzi completa degli strumenti più disparati: non soltanto di martello e chiodini». Questo
era quanto intendeva con il motto, spesso denigrato, «qualsiasi cosa può andar bene » (e non, come
comunemente si pensa, che una teoria scientifica sia buona quanto qualunque altra). Secondo
Feyerabend, ridurre la scienza a una particolare metodologia, seppur definita in modo vago come il
procedimento di falsificazione di Popper o la scienza normale di Kuhn, significherebbe distruggerla.
(Horgan 1996 La fine della scienza, 88-89)
0.3. in altri termini e prospettive: «E se arrivassimo a sostenere che il metodo della scienza non
esiste affatto? È una visione radicale, ma non poco diffusa, che porta a concludere che dal punto di
vista metodologico «tutto va bene», nel senso che non si può mai stabilire a priori che cosa
funzionerà per spiegare un certo fenomeno o produrre un certo effetto. Questa prospettiva è stata
chiamata anarchismo epistemologico: la cosa che possiamo fare, nel fare scienza, è lasciare libere
tutte le opzioni, permettere una pluralità di punti di vista e di metodi.» (Mario De Caro, Che cosa
sanno gli scienziati? in Ferraris Maurizio (a cura di) 2012 Scienza. Che cosa sanno gli scienziati?,
Gruppo editoriale l’Espresso, Roma, 25)
0.4. la massima di Feyerabend, «tutto va bene», va contro la irrefrenabile tentazione riduzionistica,
la tendenza astringente implicita, quasi strutturalmente, in ogni teoria e nella sua funzione di
strumento di orientamento, o di cura preventiva dello smarrimento fonte di angoscia. «Gli occhi di
Feyerabend tornarono però a brillare quando cominciò a parlare di un libro al quale stava lavorando.
Intitolato provvisoriamente The Conquest of Abundance, era dedicato alla passione umana per il
riduzionismo. «Tutte le attività dell’uomo», spiegò, sono volte a ridurre la varietà, o «abbondanza»,
naturale intrinseca alla realtà. «In primo luogo è il sistema percettivo a ridurre questa abbondanza,
perché altrimenti non potremmo sopravvivere ». La religione, la scienza, la politica e la filosofia
rappresentano i nostri tentativi di comprimere ulteriormente la realtà. Com’è ovvio, tali tentativi di
sconfiggere l’abbondanza non fanno altro che creare nuove abbondanze, nuove complessità. «Un
numero infinito di persone sono state uccise nelle lotte politiche. Voglio dire che certe opinioni non
sono gradite ». Mi resi conto di come le sue parole richiamassero la ricerca della Risposta, ovvero
della teoria destinata a porre fine a tutte le teorie.
Secondo Feyerabend, però, la Risposta rimarrà sempre — e deve rimanere — fuori dalla nostra
portata. Egli metteva in ridicolo la convinzione di alcuni scienziati di poter un giorno racchiudere la
realtà in un’unica teoria del tutto. «Che si tengano la loro convinzione, se ciò li rende felici. Che ci
facciano anche delle conferenze. “Tocchiamo l’infinito!". Così qualcuno dirà:» e Feyerabend
simulava una voce annoiata «“Sì, sì, dice che tocca l’infinito". E qualcun altro dirà:» ora simulava
una voce fremente «“Sì, sì! Dice che tocca l’infinito!”. Ma andare a scuola a dire ai bambini: “Ecco
qual è la verità", questo è davvero eccessivo». Qualunque descrizione della realtà è necessariamente
inadeguata, sosteneva Feyerabend. «Come si può pensare che questo moscerino che vive un giorno
solo, questo frammento di nulla che è l’essere umano — stando alla cosmologia attuale! — possa
comprendere tutto? Mi sembra un’idea così folle! Non può assolutamente essere vero! Ciò che essi
hanno compreso è una particolare risposta alle loro azioni, e questa risposta fornisce questo
universo, e la realtà che sta dietro se la ride: “Ah! Ah! Credono di avermi compresa!"». (Horgan
1996 La fine della scienza, 92-93)
1. Attacco al metodo: Contro il metodo
«La scienza è un’impresa essenzialmente anarchica: l’anarchismo teorico è più umanitario e più
aperto a incoraggiare il progresso che non le sue alternative fondate sulla legge e sull’ordine. […]
Lo si può dimostrare sia attraverso un esame di episodi storici sia attraverso una analisi astratta del
rapporto fra idea e azione. L’unico principio che non inibisce il progresso è: qualsiasi cosa può
andar bene.» (Feyerabend 1975, titoli introduzione e 1)
3
«Il mio intento non è quello di sostituire un insieme di norme generali con un altro insieme di
norme, bensì piuttosto quello di convincere il lettore del fatto che tutte le metodologie, anche quelle
più ovvie, hanno i loro limiti. Il modo migliore per realizzare quest’obiettivo consiste nel dimostrare
i limiti e anche l’irrazionalità di alcune norme che vengono di solito considerate fondamentali. Nel
caso dell’induzione (compresa l’induzione per falsificazione) si tratta di dimostrare con quanta
efficacia il procedimento controinduttivo possa essere sostenuto dal ragionamento...» (Feyerabend
1975, 29); obiettivo ripreso e confermato in Feyerabend 1978, La scienza in una società libera, con
la seguente aggiunta: «I problemi non si risolvono sostituendo un criterio con un altro criterio o un
gruppo di regole con un altro gruppo di regole. Si risolvono mediante una riforma globale della
razionalità. Dico che tutte le regole hanno i loro limiti e che non esiste una razionalità generale
neppure all’interno della scienza; non dico che ormai dobbiamo vivere senza regole e senza criteri.
Rimando all’importanza delle circostanze nelle quali una regola viene applicata ma non dico che le
regole assolute debbano essere sostituite da regole contestuali; esse devono solo esserne integrate.
Propongo inoltre un nuovo rapporto fra regole (criteri) e tradizioni. È questo rapporto, e non un
determinato contenuto delle regole, a caratterizzare la mia “posizione”.» (Feyerabend 1978 65-66)
Ancora in evidente intenzione di rispondere alle interpretazioni e alle critiche diffuse riferite al
motto «qualsiasi cosa può andar bene» (anything goes) [«L’errore secondo cui “anything goes”
sarebbe il mio principio fondamentale si trova in molte recensioni.» Feyerabend 1978, 82 nota], e
consapevole dei rischi che esso può comportare (cioè una dittatura totale in due direzioni opposte,
quella di un metodo unico, quella della totale assenza di metodo in termini di arbitrio totale),
Feyerabend precisa, con una certa cura: «Si osservi il contesto in cui quest’affermazione viene fatta.
“Qualsiasi cosa può andar bene” non è l’unico “principio” di una nuova metodologia da me
raccomandata. Io non raccomando alcuna “metodologia”, ma al contrario affermo che l’invenzione,
la verifica, l’applicazione di regole e criteri metodologici sono di competenza della ricerca
scientifica concreta e non dei sogni della filosofia. I filosofi non hanno nulla da cercare nella
metodologia, mentre fuori di essa prendono parte addirittura alla ricerca scientifica stessa.
"Qualsiasi cosa può andar bene" è il modo in cui i razionalisti tradizionali, che credono in criteri e
regole universali della ragione, dovranno descrivere il mio modo di rappresentare le tradizioni, la
loro interazione e i loro mutamenti. Per loro l’immagine delle scienze che deriva dalla ricerca
storica e che sostituisce le “ricostruzioni” è in realtà senza regole, senza ragione, e tutto ciò che essi
hanno da dire nei confronti di quest’immagine è: qualsiasi cosa può andar bene. […] “Anything
goes” non è dunque un “principio” da me introdotto, ma una presentazione un po’ scherzosa della
situazione del razionalista… » (Feyerabend 1978, 78, 82)
Dunque, contro l’idea di una metodologia universale, magari come fatto “di fede” e obiettivo di
ostinata e febbrile ricerca (cfr. Feyerabend 1978, 79).
Osserva, in bilancio introduttivo, Giulio Giorello: «Scrivere contro il metodo è, naturalmente, una
provocazione. Il metodo è una delle più sicure conquiste della nostra tradizione: lo ha scoperto
Galileo, Bacone ne è stato il propagandista, Newton il trionfo. Poi sono venuti Maxwell, Mach,
Einstein, Bohr, Heisenberg… sviluppandolo pezzo a pezzo e costruendo così l’attuale visione
scientifica.
Eppure, “l’idea di un metodo che contenga principi fermi, immutabili e assolutamente vincolanti
come guida nell’attività scientifica si imbatte in difficoltà considerevoli quando viene messa a
confronto con i risultati della ricerca storica. Troviamo infatti che non c'è una singola norma, per
quanto plausibile e per quanto saldamente radicata nell’epistemologia, che non sia stata violata in
qualche circostanza”, di più, risulta che “tali violazioni sono necessarie per il progresso scientifico”
(CM, p. 21). Così per Paul Feyerabend, “la scienza è un'impresa essenzialmente anarchica:
l’anarchismo teorico è più aperto a incoraggiare il progresso che non le sue alternative fondate sulla
legge e sull’ordine” (CM, p. 15). Occorre chiudere con la “chimera” che le regole “ingenue e
semplicistiche” proposte dai metodologi possano rendere ragione di quel “labirinto di interazioni”
che offre la storia reale. Del resto, se nella pratica scientifica venissero scrupolosamente messe in
atto, tali regole soffocherebbero ogni libertà intellettuale producendo un greve conformismo. Come
4
capita a Mr. Humphreys in un racconto di M. R. James, la ricostruzione metodica del tracciato del
labirinto genera alla fine un mostro che tenta di soffocarlo.
L’anarchico “epistemologico”, come Feyerabend si definisce, è “un agente segreto che gioca la
partita della Ragione allo scopo di minare l’autorità della Ragione (della Verità, dell’Onestà, della
Giustizia, ecc.)” (CM, p. 29).» Giorello Giulio, Prefazione a Feyerabend 1975, Contro il metodo, 1)
In conclusione: «Lakatos: … Ma, come era già chiaro a Duhem, logica deduttiva e crude esperienze
osservative forniscono una misera teoria della razionalità scientifica.» (Introduzione UN
DIALOGO (costruito tendenzialmente con citazione da Imre Lakatos e Paul K. Feyerabend da
Matteo Motterlini – curatore dell’opera: Lakatos Imre, Feyerabend K. Paul, 1995, Sull’orlo della
scienza. Pro e contro il metodo, Raffaello Cortina, Milano 1995, p. 15)
Il binomio classico, proprio della scienza moderna, in particolare di Galilei, e dominante, pur in
forme diverse, nelle impostazioni del Circolo di Vienna, viene ripreso per essere scardinato e
diversamente composto nell’epistemologia contemporanea; in modo esplicito, a partire da Popper,
con estrema analisi e ironia critica in Lakatos e Feyerabend.
1.1. Contro il metodo: la tesi e la critica
[riprendendo] «L’idea di un metodo che contenga principi fermi, immutabili e assolutamente
vincolanti come guida nell’attività scientifica si imbatte in difficoltà considerevoli quando viene
messa a confronto con i risultati della ricerca storica. Troviamo infatti che non c’è una singola
norma, per quanto plausibile e per quanto saldamente radicata nell’epistemologia, che non sia stata
violata in qualche circostanza. Diviene evidente anche che tali violazioni non sono eventi
accidentali, che non sono il risultato di un sapere insufficiente o di disattenzioni che avrebbero
potuto essere evitate. Al contrario, vediamo che tali violazioni sono necessarie per il progresso
scientifico. In effetti, uno fra i caratteri che più colpiscono delle recenti discussioni sulla storia e la
filosofia della scienza è la presa di coscienza del fatto che eventi e sviluppi come l’invenzione
dell’atomismo nell’Antichità, la rivoluzione copernicana, l’avvento della teoria atomica moderna
(teoria cinetica; teoria della dispersione; stereochimica; teoria quantistica), il graduale emergere
della teoria ondulatoria della luce si verificarono solo perché alcuni pensatori o decisero di non
lasciarsi vincolare da certe norme metodologiche “ovvie” o perché involontariamente le violarono.
Questa libertà di azione, lo ripeto, non è solo un fatto della storia della scienza. Esso è sia
ragionevole sia assolutamente necessario per la crescita del sapere. Più specificamente, si può
dimostrare quanto segue: data una norma qualsiasi, per quanto “fondamentale” o “necessaria” essa
sia per la scienza, ci sono sempre circostanze nelle quali è opportuno non solo ignorare la norma,
ma adottare il suo opposto. Per esempio, ci sono circostanze nelle quali è consigliabile introdurre,
elaborare e difendere ipotesi ad hoc, o ipotesi che contraddicano risultati sperimentali ben stabiliti e
universalmente accettati, o ipotesi il cui contenuto sia minore rispetto a quello delle ipotesi
alternative esistenti e adeguate empiricamente, oppure ancora ipotesi autocontraddittorie ecc. […] È
chiaro, quindi, che l’idea di un metodo fisso, o di una teoria fissa della razionalità, poggia su una
visione troppo ingenua dell’uomo e del suo ambiente sociale. Per coloro che non vogliono ignorare
il ricco materiale fornito dalla storia, e che non si propongono di impoverirlo per compiacere ai loro
istinti più bassi, alla loro brama di sicurezza intellettuale nella forma della chiarezza, della
precisione, dell’“obiettività”, della “verità”, diventerà chiaro che c’è un solo principio che possa
essere difeso in tutte le circostanze e in tutte le fasi dello sviluppo umano. È il principio: qualsiasi
cosa può andar bene. Questo principio astratto dev’essere ora esaminato e spiegato nei particolari
concreti.» (Feyerabend 1975, 21, 25)
In conclusione di presentazione e per una collocazione delle tesi di Feyerabend all’interno del
vivace dibattito epistemologico di fine ‘900 (specialmente tra Popper, Kuhn, Lakatos, Feyerabend).
Nel 1970 l’epistemologo tedesco (tedesco-americano per lavoro) Paul K. Feyerabend (1924-1994)
pubblica il saggio Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza nel quale
espone il risultato degli studi compiuti presso l’Università americana di Berkeley sui fondamenti
5
storici e teorici della ricerca scientifica. In questo saggio Feyerabend conduce una vivace polemica
contro ogni teoria che pretenda di fondare su regole rigide e sicure la validità dei procedimenti
scientifici: Feyerabend obietta che il progresso della conoscenza può attuarsi solo grazie a un
continuo rinnovamento dei metodi di indagine e mediante una continua messa in discussione dei
principi e delle scelte di metodo. Solo se disposto ad abbandonare ogni rigida convinzione per
assumere un atteggiamento aperto alla critica, lo scienziato può sperare di allargare e migliorare la
sua conoscenza del mondo.
1.1.1. Come per ogni tesi che intenda presentarsi come nuova e, qui, polemica, si impone un
passaggio di carattere storico in forma di esame critico di precedenti e diverse posizioni. A sostegno
della sua tesi, Feyerabend presenta un analitico riesame storico delle teorie epistemologiche
elaborate dai filosofi nel corso dei secoli. La sua polemica si rivolge sia ai principi dell’induttivismo
classico sia a quelli del razionalismo critico di Popper, ma si appunta in particolare (in vivace,
battagliero ma amichevole confronto) contro la teoria dei programmi di ricerca scientifica sostenuta
dall’epistemologo ungherese Imre Lakatos. Nei suoi scritti, e in particolare nel saggio La
falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifici (1970), Lakatos aveva difeso la
natura rigorosa e razionale dell’attività scientifica affermando che tutte le procedure di indagine e le
stesse teorie si svolgono nell’ambito di «programmi di ricerca scientifica». Facendo perno su di un
nucleo centrale indeformabile e non falsificabile di concetti e di ipotesi, la ricerca organizza dati
d’esperienza in visioni e teorie complessive del mondo (ad esempio: la visione meccanicistica, la
visione evoluzionistica). Lo sviluppo storico della scienza non nasce quindi da un confronto tra la
teoria e i fatti, ma tra i diversi programmi di ricerca; ne consegue che l’abbandono di un programma
non deriva dalla sua falsificazione empirica (come già asseriva Popper, nessuna falsificazione può
essere definitiva), ma dalla scoperta di programmi dotati di maggior potere euristico, capaci cioè di
far emergere una più vasta base empirica e nuove teorie.
1.1.1.1. In Contro il metodo Feyerabend affronta direttamente, con l’intento di provocare una
discussione produttiva, l’idea razionalistica di Lakatos, secondo cui lo sviluppo scientifico è basato
sul confronto tra i programmi di ricerca; egli definisce infatti la sua opera «nient’altro che una
lettera, lunga e piuttosto personale, a Imre, ogni frase dispettosa che esso contiene fu scritta in
previsione di una replica ancor più perfida da parte del mio corrispondente». Le Tesi
sull’anarchismo, del 1973, erano state “buttate giù” in forma di appunti in vista di una conferenza
(20 marzo 1973) nella quale si sarebbe confrontato con Lakatos su anarchismo e metodologia dei
programmi di ricerca scientifici. Le tesi furono allegate alla sua lettera del 1973.
1.1.1.2. La mancata risposta di Lakatos (che morì nel 1974 [1922-1974] senza avere avuto il tempo
di replicare in modo compiuto) conferisce oggi all'opera di Feyerabend la natura di un manifesto di
denuncia dell’arbitrarietà, della superficialità e della precarietà delle prescrizioni e delle operazioni
di ordine che le diverse metodologie vorrebbero imporre in modo definitivo alla realtà. L’opera di
Feyerabend si schiera così in difesa del diritto alla proliferazione illimitata delle teorie, alla libera
critica scientifica, al gioco creativo dei metodi.
1.1.2. Attraverso puntuali riletture del testo di Copernico e, più in particolare, delle opere di Galilei,
Feyerabend mostra come la formulazione della teoria eliocentrica e la nascita della dinamica
galileiana dei corpi debbano la propria origine alla coraggiosa violazione delle teorie aristoteliche,
considerate fino ad allora uniche e definitive: «il copernicanesimo e altre concezioni “razionali”
esistono oggi solo perché in qualche periodo nel loro passato la ragione fu sopraffatta». E la
sopraffazione risulta ancor più evidente se si costata, come nota Feyerabend, che le intuizioni e gli
enunciati sui quali si basano le nuove teorie fisiche vennero esposti da Galilei non solo prima di una
loro legittimazione teorica e sistematica, ma anche su di una base empirica molto più limitata di
quella a disposizione della fisica aristotelica e tolemaica e con l’introduzione di modifiche ad hoc,
giustificate solo dall’esigenza di dare credibilità e garantire il successo delle sue nuove ipotesi.
1.2. Contro il metodo: la tesi e la nuova natura del fare scienza: «L’anarchismo è un’eccellente
medicina per l’epistemologia»
6
1.2.1. L’evoluzione scientifica non deriva dunque dal rispetto della ragione e dalla coerenza ai
modelli assunti, ma proviene da elementi comunemente ritenuti del tutto estranei e in contrasto con
la ragione (come pregiudizi, opportunismi, convinzioni comuni), da una continua interazione tra la
produzione scientifica e altre sfere culturali considerate estranee alla scienza, come la poesia, il
mito, la metafisica, la teologia, la politica.
«Uno fra i caratteri più ragguardevoli della ricerca scientifica è il fatto che essa non tiene alcun
conto delle divisioni fra singole discipline. Galilei argomentò come se non ci fosse alcuna
differenza fra astronomia e fisica — due discipline che nella filosofia del tempo venivano divise
accuratamente —; Boltzmann si servì di considerazioni di meccanica, di ottica e di fenomenologia
per definire l’ambito della teoria cinetica del calore; Einstein combinò talune particolari
approssimazioni con una rassegna metafisica di varie immagini del mondo per comprendere meglio
la natura della luce (cfr. il suo saggio sull’effetto fotoelettrico); Heisenberg attinse idee
fondamentali dal Timeo e, in seguito, da Anassimandro. Principi metafisici vengono utilizzati per
portare avanti la ricerca, leggi logiche e considerazioni metodologiche vengono sospese in quanto
comportano limitazioni indesiderate, concezioni e procedimenti avventurosi e "irrazionali"
abbondano da ogni lato. Il bravo ricercatore è un uomo colto, conosce molti trucchi, idee,
terminologie, conosce particolari della storia della sua disciplina così come anche astrazioni
cosmologiche, voci oltre che fatti, è in grado di combinare assieme frammenti di punti di vista
molto diversi fra loro e di passare rapidamente da un ambito a un altro del tutto diverso e
incommensurabile. Non è legato ad alcun linguaggio particolare ed è capace di parlare ora il
linguaggio dei fatti e poi di nuovo il linguaggio delle favole e mescolarli assieme in modo inatteso.
E si osservi che tali procedimenti emergono tanto nel “contesto della scoperta” quanto anche nel
“contesto della giustificazione”, poiché l’esame scientifico di idee è altrettanto complesso quanto la
loro invenzione.» (Feyerabend 1978, 206-207)
1.2.1.1. con una precisazione sui termini progresso, evoluzione e simili: « (Per inciso, vorrei
sottolineare che l’uso frequente, da parte mia, di parole come “progresso”, “perfezionamento",
“miglioramento” ecc. non significa che io pretenda di possedere una speciale conoscenza di ciò che
è bene e ciò che è male nelle scienze e che voglia imporre questa conoscenza a chi mi legge.
Ognuno è libero di leggere questi termini a modo suo e in accordo con la tradizione a cui
appartiene. Così, per un empirista, la parola “progresso” significherà il passaggio a una teoria che
fornisca prove empiriche dirette per la maggior parte dei suoi assunti fondamentali. Alcune persone
ritengono che la teoria quantistica sia una teoria di questo genere. Per altri, “progresso” può
significare unificazione e armonia, forse anche a spese dell’accordo con l’esperienza. In questo
modo Einstein considerava la teoria generale della relatività. E la mia tesi è che l'anarchismo aiuta
a conseguire il progresso in qualsiasi senso si voglia intendere questa parola. Anche una scienza
fondata sui principi della legge e dell’ordine avrà successo solo se saranno consentiti di tanto in
tanto modi di procedere anarchici.)» (Feyerabend 1975, 24-25)
1.2.2. Le tradizioni epistemologiche della storia della filosofia, sia quelle di impianto empiristico,
sia quelle razionalistiche, riferiscono la bontà di una teoria alla coerenza logica della dimostrazione
e alla regolarità dei fatti d’esperienza; presentano la crescita della scienza come un processo di
convergenza verso la «teoria vera». Coerenza, rigore, ordine e correttezza non svolgono invece per
Feyerabend una proficua funzione di crescita, ma anzi bloccano la scienza; i principi della coerenza
e dell’ordine servono a preservare ciò che è vecchio e viene considerato valido solo perché
familiare e diffuso.
1.2.3. L’impresa scientifica si affida invece all’immaginazione inventiva, alla spregiudicatezza,
all’opportunismo. La ricchezza dei dati empirici e l’inesauribile libera creatività della ragione
umana possono emergere solo grazie alla formulazione continua di alternative alla teoria esistente,
alla proliferazione senza limiti di ipotesi scientifiche. Le infinite risorse dell’esperienza e della
ragione umana impongono come principio guida di una «teoria anarchica e libertaria della
conoscenza» il riconoscimento che nella cultura l’unico principio che non inibisce il progresso è:
«qualsiasi cosa può andar bene».
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1.2.4. «“Un altro errore”, scriveva Bacone proprio su questo punto, “... è la troppo affrettata e
perentoria riduzione del sapere ad arti e metodi: da quel momento in poi le scienze progrediscono in
genere poco o nulla. Ma come i giovani, una volta completamente formati e sviluppati, di rado
crescono ancora in statura, così la conoscenza, finché è espressa in aforismi e osservazioni, procede
nel suo sviluppo, ma una volta che sia racchiusa in metodi esatti, può ancora avvenire che sia
perfezionata e chiarita e adattata a usi pratici, ma certo non cresce più per volume e sostanza”.»
(Feyerabend 1975, 128)
2. Nodi dello smontaggio del metodo presunto e della proposta per fare scienza
Si tratta qui di un percorso che richiama lo snodarsi delle riflessioni di Feyerabend nell’opera
Contro il metodo. Un percorso che trova una valida guida già nei titoli dei singoli capitoli del testo
redatti come veri e propri slogan-manifesto del proclamato anarchismo metodologico il cui
obiettivo è di essere fedeli alla scienza, riscoperta, rispettata e restituita alla complessità del suo
farsi storico. Fedeli alla scienza e non vittime dei suoi risultati storici momentaneamente redatti in
teorie compiute, sistemi, manuali, stili di orientamento e abitudini percettivo-linguistiche al
momento dominanti. In questo proclama è in azione una doppia fedeltà: alla storia e in essa alla
fatica degli uomini che dedicano la propria vita alla ricerca, alla scienza come impresa libera di una
umanità se, come dice Aristotele, “Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza”.
Si può immaginare che la riflessione di Feyerabend e lo smontaggio critico propositivo del fare
scienza nel tempo ruoti attorno a due classici nodi della scienza e soprattutto della filosofia della
scienza: esperienza (come viene individuata, garantita e ampliata [empirismo]: primo nodo, 2.1.),
dimostrazione (come viene costruita, portata a sistema, diffusa e trasformata in “paradigma”
condiviso di orientamento comune [razionalismo]: secondo nodo, 2.2.)
2.1. primo nodo: il ruolo della contraddizione contro i miti della coerenza sistemica e il
rispetto della esperienza.
2.1.1. «Per esempio, possiamo servirci di ipotesi che contraddicano teorie ben confermate e/o
risultati sperimentali ben stabiliti. Possiamo far progredire la scienza procedendo in modo
controinduttivo.» (Feyerabend 1975, cap. 2)
2.1.1.1. Il saggio “Contro il metodo” si apre con l’invito a fare scienza non andando alla ricerca di
conferme nell’esperienza; la ragione di un simile invito trova fondamento nella natura del dato
osservato: «è sufficiente ricordare che rapporti su dati d’osservazione, risultati sperimentali,
asserzioni “fattuali” o contengono assunti teorici o li asseriscono attraverso il modo con cui sono
usati.» (Feyerabend 1975, 27), cioè: «Fatti e teorie sono connessi in modo molto più intimo di
quanto non ammetta il principio di autonomia [“autonomia relativa dei fatti o principio di
autonomia”]. Non soltanto la descrizione di ciascun fatto singolo dipende da qualche teoria (la
quale potrebbe, ovviamente, essere molto diversa dalla teoria che dev’essere verificata), ma
esistono anche fatti che non possono emergere se non con l’aiuto di alternative alla teoria che si
tratta di verificare, e che cessano di essere disponibili non appena tali alternative siano escluse. Ciò
suggerisce che l’unità metodologica alla quale dobbiamo riferirci quando discutiamo questioni di
verifica e di contenuto empirico è costituita da un intero insieme di teorie, in parte sovrapponentisi,
fattualmente adeguate ma reciprocamente contraddittorie.» (Feyerabend 1975, 33).
«… nelle Maximen und Reflexionen di Goethe troviamo la frase: “La cosa suprema da capire è che
ogni dato reale [alles Faktische] è già teoria”» (Feyerabend 1978, 194)
«L’assunto che l’informazione concernente il mondo esterno pervenga alla coscienza passando
indisturbata per i sensi conduce al criterio che la nostra conoscenza debba essere verificata nel
confronto con l’osservazione: le teorie che si accordano con l’osservazione sono migliori di teorie
che non concordano con essa. Questo criterio si imbatte in difficoltà non appena scopriamo che
l’informazione sensibile riproduce i contenuti di fatto del mondo solo deformandoli. Facciamo
questa scoperta mentre sviluppiamo teorie che non corrispondono più esattamente all’osservazione,
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ma troviamo che hanno altre qualità eccellenti. Nei capitoli 5-12 di CM abbiamo visto come si sia
comportato Galileo scoprendo una tale situazione.» (Feyerabend 1978, 69-70)
2.1.1.2. Non andare alla ricerca di conferme, ma muoversi nella direzione suggerita da una
“metodologia pluralistica”. Si intraprende efficacemente questa strada attraverso l’adozione di
«ipotesi che siano in contraddizione con teorie ben stabilite […] accettate e ben confermate»
(Feyerabend 1975, 26); strategia che consiste quindi nel «mettere a confronto idee con altre idee
anziché con l’“esperienza”» (Feyerabend 1975, 27), facendo cioè ricorso a «un modello di critica
esterno, abbiamo bisogno di un insieme di assunti alternativi…»(Feyerabend 1975, 28).
Si tratta di una strategia efficace sia dal punto di vista teorico che empirico. Avvia una analisi critica
della teoria definendone gli ambiti di accettabilità scientifica, allarga il campo dell’esperienza a
disposizione se si considera che «Alcune fra le proprietà più importanti di una teoria, inoltre,
vengono trovate per contrasto, e non per analisi.» (Feyerabend 1975, 26); se si vuole, in questo caso
(e non ossimoricamente) l’analisi critica è un’analisi sintetica, che porta con sé nuovo materiale
d’esperienza. «L’empirismo, almeno in alcune fra le sue versioni più sofisticate, richiede che il
contenuto empirico di qualsiasi conoscenza da noi posseduta venga accresciuto il più possibile.
Perciò l’invenzione di alternative all’opinione in esame costituisce una parte essenziale del metodo
empirico. Inversamente, il fatto che la condizione di coerenza elimini le possibili teorie alternative
ci dimostra ora che essa è in disaccordo non solo con la pratica scientifica ma anche con
l’empirismo. […] Ora, se è vero […] che molti fatti diventano disponibili solo con l’aiuto di teorie
alternative, allora il rifiuto di considerare queste ultime avrà come conseguenza l’eliminazione
anche di fatti suscettibili di confutare la teoria accettata. Più specificamente, tale rifiuto condurrà
all’eliminazione di fatti la cui scoperta avrebbe dimostrato la completa e irrimediabile
inadeguatezza della teoria.» (Feyerabend 1975, 35,36) Senza il principio della “metodologia
multipla” la teoria viene consegnata ad un destino di rigida ideologia dogmatica; con il principio
della contraddizione pluralistica cambia invece il panorama della produzione scientifica.
«La conoscenza così concepita non è una serie di teorie in sé coerenti che convergono verso una
concezione ideale, non è un approccio ideale, non è un approccio graduale alla verità. È piuttosto un
oceano, sempre crescente, di alternative reciprocamente incompatibili (e forte anche
incommensurabili): ogni singola teoria, ogni favola, ogni mito che fanno parte di questa collezione
costringono le altre a una maggiore articolazione, e tutte contribuiscono, attraverso questo processo
di competizione, allo sviluppo della nostra coscienza. Nulla è mai deciso, nessuna concezione può
mai essere lasciata fuori da un’esposizione generale.» (Feyerabend 1975, 27)
2.1.2. «La condizione della coerenza, la quale richiede che le nuove ipotesi siano in accordo con
teorie accettate, è irragionevole, in quanto preserva la teoria anteriore, non la teoria migliore. Le
ipotesi in contraddizione con teorie ben affermate ci forniscono materiali di prova che non possono
essere ottenuti in alcun altro modo. La proliferazione delle teorie è benefica per la scienza, mentre
l’uniformità ne menoma il potere critico. L’uniformità danneggia anche il libero sviluppo
dell’individuo.» (Feyerabend 1975, cap. 3)
2.1.2.1. è un attacco all’intolleranza: «La condizione di coerenza è molto meno tollerante. Essa
elimina una teoria o un’ipotesi non in quanto è in disaccordo con i fatti; la elimina perché è in
disaccordo con un’altra teoria: una teoria, per di più, di cui condivide i materiali di conferma.»
(Feyerabend 1975, 31)
2.1.2.2. è un attacco alla abitudini e al sonno della ragione che esse generano, la coerenza esprime
spesso, in realtà, una situazione di familiarità, di abitudine (e di pigrizia): «L’unica differenza fra
una tale teoria e una teoria più recente consiste nell’età e nella familiarità. Se la teoria più giovane
fosse stata proposta per prima, la condizione di coerenza avrebbe operato a sua favore. […] Da
questo punto di vista l’effetto della condizione di coerenza …contribuisce alla preservazione di ciò
che è vecchio e familiare non in virtù di un qualche vantaggio in esso intrinseco — per esempio,
non perché è meglio fondato nell’osservazione di quanto non sia l’alternativa suggerita
recentemente, o perché è più elegante —, ma solo perché è vecchio e familiare.» (Feyerabend 1975,
31)
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In conclusione, il successo e la condivisione di una teoria non è di per sé una garanzia di validità se
essa si traduce in un attacco indiscriminato (negazione anche con eliminazione fisica) ad ogni
ipotesi alternativa. Valga il caso storico, richiamato da Feyerabend, della stregoneria, non solo
prassi politica e culturale di repressione ma vero e proprio sistema di teologia e cosmologia capace
di spiegare tutto comprese le prove addotte a sua smentita; la strategia del sistema era affermare che
si trattava di prove fornite con arte subdola dal demonio che agisce con maggior libertà ed efficacia
proprio facendo credere di non esistere; le prove mosse contro la stregoneria sono da lei previste
come opera somma della stessa arte che esse pretendono di negare, prove che finiscono dunque per
confermarla (drammaticamente, per la mente umana, per la società, per le singole persone). «Questo
mito [della stregoneria] è un complesso sistema esplicativo che contiene numerose ipotesi ausiliarie
destinate a coprire casi speciali; in tal modo esso ottiene un alto grado di conferma sulla base
dell’osservazione. Fu insegnato per molto tempo e il suo contenuto fu corroborato dal timore, dal
pregiudizio e dall’ignoranza, oltre che da un clero invidioso e crudele. Le sue idee compenetrarono
il linguaggio più comune, infettarono tutti i modi di pensiero e incisero su molte decisioni che
avevano un grande significato nella vita umana. Esso fornì modelli per la spiegazione di qualsiasi
evento concepibile: concepibile, cioè, per coloro che lo avevano accettato. […] L’apparato
concettuale della teoria e le emozioni connesse con la sua applicazione compenetrano tutti i mezzi
di comunicazione, tutte le azioni e di fatto l’intera vita della comunità; è garantito così il successo di
metodi come la deduzione trascendentale, l’analisi dell’uso, l’analisi fenomenologica, che sono
altrettanti metodi per rafforzare ulteriormente il mito […] Anche i risultati dell’osservazione si
esprimeranno a favore della teoria, in quanto vengono formulati nei termini della teoria stessa. Si
avrà l’impressione che la verità sia stata infine raggiunta. Nello stesso tempo, è evidente che ogni
contatto col mondo è andato perduto e che la stabilità conseguita, l’apparenza di una verità assoluta,
non è altro che il risultato di un assoluto conformismo. […] Qualsiasi metodo del genere è, in
ultima analisi, un metodo di inganno. Un tale metodo impone un conformismo non illuminato e
parla di verità; conduce a un deterioramento delle capacità intellettuali, del potere
dell’immaginazione, e parla di comprensione profonda; distrugge il bene più prezioso dei giovani:
la loro grandissima capacità di immaginazione, e parla di educazione.
Per concludere: l’unanimità di opinione può essere adatta per una chiesa, per le vittime atterrite o
bramose di qualche mito (antico o moderno), e per i seguaci deboli e pronti di qualche tiranno. Per
una conoscenza obiettiva è necessaria la varietà di opinione. E un metodo che incoraggi la varietà
è anche l'unico metodo che sia compatibile con una visione umanitaria. (Feyerabend 1975, 37-39)
2.1.3. Dunque l’apertura storica, o la dimensione inesorabilmente storica della scienza: «Non c’è
alcuna idea, per quanto antica e assurda, che non sia in grado di migliorare la nostra conoscenza.
L’intera storia del pensiero viene assorbita nella scienza e viene usata per migliorare ogni singola
teoria. Né vengono rifiutate interferenze politiche. Esse possono essere necessarie per avere ragione
dello sciovinismo della scienza, che resiste ad alternative allo status quo.» (Feyerabend 1975,cap. 4)
«Uno scienziato che sia interessato ad avere un contenuto empirico il più esteso possibile, e che
desideri comprendere il maggior numero possibile di aspetti della sua teoria adotterà perciò una
metodologia pluralistica, confronterà teorie con altre teorie anziché con l’“esperienza”, con “dati” o
“fatti” e cercherà di perfezionare anziché rifiutare le opinioni che appaiono uscire sconfitte dalla
competizione. Le alternative di cui egli ha bisogno per mantenere in piedi il contrasto possono
essere tratte anche dal passato. In effetti possono essere prese dovunque si riesca a trovarne: da miti
antichi e da pregiudizi moderni; dalle elucubrazioni di esperti e dalle fantasie di persone
eccentriche. L’intera storia di un argomento può essere utilizzata nell’intento di migliorare il suo
stadio più recente e più “avanzato”. La separazione fra la storia di una scienza, la sua filosofia e la
scienza stessa non ha alcuna consistenza effettiva e lo stesso vale per la separazione fra scienza e
non scienza.» (Feyerabend 1975, 40) [dunque anche contro l’affannosa ricerca di criteri di
demarcazione].
2.1.4. Come non è possibile sostenere che una teoria derivi dai fatti, poiché questi possono essere
definiti tali solo in forza di una teoria (e vi è tra teoria e fatti un rimando continuo di confronto e di
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modifica), è altrettanto vero che nessuna teoria può dichiarare non solo di aver preso in
considerazione tutti i fatti possibili concernenti il proprio punto di vista, ma nemmeno di fornire una
adeguata spiegazione di tutti i fatti che rientrano per sua definizione nel proprio campo esplicativo;
deve prendere atto di una serie di discordanze che cataloga con il come “anomalie” e che aggiusta o
nasconde «per mezzo di approssimazioni ad hoc e di altri procedimenti» (Feyerabend 1975,54).
E si tratta qui di una situazione che non deve essere intesa come una sconfitta ma una indicazione di
opportunità e di direzione per la scienza. «Nessuna teoria è sempre in accordo con tutti i fatti
compresi nel suo campo, ma non sempre la colpa è della teoria. I fatti sono costituiti da ideologie
anteriori, e un conflitto tra fatti e teorie può essere una prova di progresso. Questo è anche un primo
passo nel nostro tentativo di trovare i principi impliciti in nozioni d’osservazioni familiari.»
(Feyerabend 1975, cap. 5)
2.2. secondo nodo: la dimostrazione è una resistenza attuata con tutti i modi storici a
disposizione, suggeriti dall’urgenza di costruire la nuova teoria e di diffonderla convincendo.
La riflessione epistemologica di Feyerabend è una riflessione analitica critica su alcuni dei processi
dimostrativi presenti nelle teorie scientifiche che hanno definito e diffuso la scienza moderna. In
particolare l’attenzione è rivolta alle opere di Galilei (citazioni specifiche dal Dialogo sopra i due
massimi sistemi).
«Come esempio di un tale tentativo esaminerò l’argomento della torre, di cui gli aristotelici si
servirono per confutare il moto della Terra. L’argomento implica interpretazioni naturali, idee
connesse così strettamente con osservazioni da richiedere uno sforzo speciale per rendersi conto
della loro esistenza e per determinarne il contenuto. Galileo identifica le interpretazioni naturali che
sono in contraddizione con Copernico e le sostituisce con altre.» (Feyerabend 1975, cap.6)
2.2.1. La dimostrazione si costruisce opponendo osservazione a osservazione e affrontando così il
tema delle cosiddette “interpretazioni naturali” o osservazioni naturali, se esistono, come si formano
se hanno valore come base empirica autonoma.
(«Una mossa intelligente è fare due cose in contraddizione e continuare a riflettere.» da un serial
poliziesco televisivo [“commissario Cordier”])
«… l’idea che le cose abbiano proprietà ben determinate e che noi non viviamo in un mondo
paradossale conduce al criterio della coerenza: le teorie che contengono contraddizioni devono
essere escluse dalle scienze. Questo criterio, apparentemente del tutto fondamentale, che i
razionalisti abbracciano con lo stesso devoto entusiasmo con cui i cattolici accettano il dogma
dell’immacolata concezione di Maria, perde la sua autorità non appena troviamo che esistono fatti
la cui unica descrizione adeguata contiene una contraddizione e che talune teorie incoerenti possono
essere feconde e facili da usarsi, mentre il tentativo di eliminare le loro contraddizioni conduce
spesso a mostruosità inutili e goffe.» (Feyerabend 1978, 70)
In altri termini, non sempre una contraddizione all’interno di una teoria equivale (o è equiparabile) a
una contraddizione logica, tale in assoluto e quindi inaccettabile; non svolge la stessa funzione e
non può subire lo stesso trattamento o provocare la stessa reazione; anzi, in quella teoria, la
contraddizione svolge una funzione “evolutiva” per la teoria stessa: di abbandono, correzione,
corroborazione, prassi euristica…
Quindi il tema della contraddizione (e della irrazionalità) nell’ambito della metodologia della
scienza va affrontato tenendo presente la varietà delle forme che la logica assume quando se ne
considera la situazione operativa in terreni pratici specifici. «L’obiezione suppone che la classe
delle conseguenze di una proposizione scientifica venga fissata indipendentemente dalla trattazione
della proposizione, ossia secondo le regole della logica proposizionale. I filosofi della scienza non
hanno mai giustificato questo assunto. Una tale giustificazione è però assolutamente necessaria. La
logica proposizionale è solo uno fra molti sistemi logici. Esistono logiche intuizionistiche che non
conoscono il principio del terzo escluso, logiche costruttive nelle quali le conseguenze di una
proposizione semplicemente non “esistono”, bensì devono essere proposte con l’aiuto di specifiche
argomentazioni, ci sono modi di argomentazione che hanno validità solo in determinati ambiti. A
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ciò si aggiunge il vasto campo dei modi di argomentazione impliciti nella ricerca scientifica, i quali
dunque non sono ancora stati separati dalla ricerca, ripuliti, abbelliti, spolverati e presentati in forma
di principi. Abbiamo così la logica di Hegel e il suo sviluppo nel materialismo dialettico, la teoria
del ragionamento plausibile di Polya ecc. Perché dunque usare solo la logica proposizionale? Perché
per esempio non Hegel? Non abbiamo avuto alcuna risposta. Il fatto però che solo di rado la ricerca
scientifica si sia lasciata distogliere da contraddizioni e abbia proceduto per la sua via senza
preoccuparsi troppo indica che le basta una logica pratica nella quale una proposizione
contraddittoria non ha mai le conseguenze catastrofiche che si verificano quando la si vincola alla
logica proposizionale. È compito della psicologia della scienza investigare con maggiore precisione
questa logica pratica.» (Feyerabend 1978, 70-71)
«Regole e criteri logici e metodologici non sono dunque arbitri indipendenti dalla prassi della
ricerca, della morale, della bellezza, presentati da un gruppo di alti sacerdoti di grande intelligenza
sottratti all’irrazionalità del comune volgo scientifico, politico, estetico; essi sono strumenti che
sono stati inventati per raggiungere un determinato obiettivo e devono continuare a essere esaminati
in riferimento a tale obiettivo.» (Feyerabend 1978, 75)
2.2.1.1. «Come esempio concreto e come base per proseguire la discussione, descriverò ora
brevemente il modo in cui Galileo disinnescò un importante argomento contro l’idea del moto della
Terra. […] Secondo l’argomento che convinse Tycho Brahe, e che è usato contro il moto della
Terra nel Trattato della sfera dello stesso Galileo, l’osservazione dimostra che “i corpi gravi...
cadendo da alto a basso vengono per una linea retta e perpendicolare alla superficie della Terra;
argomento stimato irrefragabile, che la Terra stia immobile: perché, quando ella avesse la
conversion diurna, una torre dalla sommità della quale si lasciasse cadere un sasso, venendo portata
dalla vertigine della Terra, nel tempo che ’l sasso consuma nel suo cadere, scorrerebbe molte
centinaia di braccia verso oriente, e per tanto spazio dovrebbe il sasso percuotere in terra lontano
dalla radice della torre”. Considerando quest’argomentazione, Galileo ammette subito l’esattezza
del contenuto sensibile dell’osservazione fatta, ossia che i gravi, “cadendo da alto a basso, vengono
a perpendicolo sopra la superficie della Terra”.» (Feyerabend 1975, 59)
2.2.1.2. Galilei ammette l’esattezza e l’evidenza inconfutabile di quella osservazione ma ve ne
oppone un’altra, di altra natura, creando la necessità di far intervenire “il discorso”, la riflessione, la
ragione per controllare l’esattezza o la fallacia dell’osservare. « L'esattezza dell’osservazione non è
affatto in discussione. Ciò che è in discussione è la sua “realtà” o “fallacia”.» (Feyerabend 1975,
60) Afferma infatti Galilei: «…perché sì come io... non ho mai veduto, né mi è parso di veder, cader
quel sasso altrimenti che a perpendicolo, così credo che a gli occhi di tutti gli altri si rappresenti
l’istesso. Meglio è dunque che, deposta l’apparenza, nella quale tutti convenghiamo, facciamo forza
co l’ discorso, o per confermar la realtà di quella, o per iscoprir la sua fallacia.»
E Galilei risponde contrapponendo un’altra quotidiana e altrettanto evidente osservazione da cui «si
può comprendere quanto facilmente possa altri restar ingannato dalla semplice apparenza o
vogliamo dire rappresentazione del senso. E l’accidente è il parere, a quelli che di notte camminano
per una strada, d’essere seguitati dalla Luna con passo uguale al loro, mentre la veggono venir
radendo le gronde de i tetti sopra le quali ella gli apparisce, in quella guisa appunto che farebbe una
gatta che, realmente camminando sopra i tegoli, tenesse loro dietro: apparenza che, quando il
discorso non s’interponesse, pur troppo manifestamente ingannerebbe la vista.» (Feyerabend 1975,
60) Tra le due situazioni osservative non c’è molta pertinenza ma il tema in questione diventa
l’osservazione, la sua natura e la sua attendibilità percettiva e scientifica.
2.2.1.3. l’intervento del discorso o della ragione. «Ora “il discorso s’interpone”: l’asserzione
suggerita dall’impressione sensibile viene esaminata e si considerano in suo luogo altre asserzioni.
La natura dell’impressione non è modificata per nulla da quest’attività del discorso.» (Feyerabend
1975, 60) «I sensi da soli, senza l’aiuto della ragione, sono incapaci di darci una vera immagine
della natura. Ciò di cui abbiamo bisogno per pervenire a una comprensione vera della realtà è il
“senso, ma accompagnato e co ‘l discorso”» (Feyerabend 1975, 62). L’opposizione delle due
esperienze, l’una affermata come indubitabilmente vera (“la pietra cade a perpendicolo”), l’altra
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come indubitabilmente falsa (“la Luna mi segue”) sposta l’attenzione sulla natura e quindi sul ruolo
scientifico dell’osservazione; l’esame impone la chiamata in causa del discorso. Galilei elogia il
coraggio dell’intervento della ragione. «Voi vi maravigliate che così pochi siano seguaci della
opinione de' Pitagorici [del moto della Terra]; ed io stupisco come si sia mai sin qui trovato alcuno
che l’abbia abbracciata e seguita, né posso a bastanza ammirare l’eminenza dell’ingegno di quelli
che l’hanno ricevuta e stimata vera, ed hanno con la vivacità dell’intelletto loro fatto forza tale a i
proprii sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava, a quello che le sensate
esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario. Che le ragioni contro alla vertigine diurna
della Terra, già i esaminate da voi [le argomentazioni di dinamica discusse sopra], abbiano
grandissima apparenza, già l’abbiamo veduto, e l'averle ricevute per concludentissime i Tolemaici,
gli Aristotelici e tutti i lor seguaci, è ben grandissimo argomento della loro efficacia; ma quelle
esperienze che apertamente contrariano al movimento annuo, son ben di tanto più apparente
repugnanza, che (lo torno a dire) non posso trovar termine all’ammirazione mia, come abbia
possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragione tanta violenza al senso, che contro a questo ella
si sia fatta padrona della loro credulità.» (Galilei, Dialogo, citato Feyerabend 1975, 84-85)
2.2.1.3.1. Non si tratta di due processi distinti: l’osservazione (vedo una cosa … indistinta) e la sua
enunciazione con il discorso o descrizione (vedo la luna), ma di un fatto percettivo unico: «Per
cominciare, dobbiamo chiarirci la natura del fenomeno totale: apparenza più asserzione. Non ci
sono due atti distinti — l’osservazione di un fenomeno, e la sua espressione con l’aiuto di una
formulazione verbale appropriata — ma soltanto uno, consistente nel dire ad esempio, in una certa
situazione d’osservazione: “la Luna mi segue” oppure “la pietra cade a perpendicolo”. È ovvio che
possiamo suddividere astrattamente questo processo in due parti […] In circostanze normali, però,
una tale divisione non esiste…» (Feyerabend 1975, 60-61)
2.2.1.3.2. Perché l’osservazione è sempre un’osservazione concettuale o linguistica, considerata
naturale perché “naturalizzata” o in quanto diventata modo abituale condiviso di orientamento.
«… la descrizione di una situazione familiare è, per chi parla, un evento in cui espressione verbale e
fenomeno sono saldati assieme. Quest’unità è il risultato di un processo di apprendimento che ha
inizio nell’infanzia. Sin dai primissimi giorni impariamo a reagire alle varie situazioni con
appropriate risposte, linguistiche o d’altro genere. I procedimenti dell’insegnamento plasmano
l’“apparenza” o “fenomeno” e stabiliscono una connessione costante con le parole, così che infine i
fenomeni sembrano parlare di per se stessi senza aiuti esterni o conoscenze estranee. Essi sono ciò
che le espressioni linguistiche ad essi associate dicono che sono. Il loro “linguaggio” è ovviamente
influenzato dalle convinzioni di generazioni anteriori, convinzioni che sono state nutrite tanto a
lungo da non apparire più come principi separati ma da entrare come parte integrante nel discorso
quotidiano e da dar quasi l’impressione di emergere, dopo il prescritto addestramento, dalle cose
stesse.» (Feyerabend 1975, 61) L’abitudine ci porta a considerare oggettivi e naturali enunciati di
osservazione che dipendono dal linguaggio appreso, dai concetti e connessa visione del mondo
(anche teorie) che quel linguaggio trasporta e trasferisce. In realtà, quelle che presentiamo come
osservazioni naturali (quindi oggettive, anzi trasmesse a noi dalla realtà) sono “interpretazioni
naturali” (non osservazioni naturali, che non esistono, non possono esistere, ma ciò che noi
definiamo concettualmente e percettivamente come natura) o “presupposti a priori” o “pregiudizi”.
«… dovrebbe essere chiaro che una persona che affrontasse un campo percettuale senza disporre
neppure di una singola interpretazione naturale sarebbe priva di qualsiasi orientamento e non
potrebbe neppure dare inizio a un’attività scientifica». (Feyerabend 1975, 64)
Non esistono percezioni naturali (oggettive in sé) come è convinzione del cosiddetto realismo
ingenuo, a partire dal quale però le osservazioni sono (contraddittoriamente) oggettive in rapporto
ad ogni percezione soggettiva (è oggettivo sia il vedere streghe che il vedere roghi e giustificare
questi con quelle, ignorando il fatto della loro invenzione politico-strategica e delittuosa)).
«Si ha “obiettività” [cioè una attribuzione all’oggetto o alla realtà in sé di un tratto sensibilmente e
intellettivamente percettivo] quando il partecipante a una tradizione non la rileva e perciò non la
menziona nei suoi giudizi. Come il realista ingenuo considera il freddo una proprietà esistente nel
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mondo, e invero indipendentemente dal suo proprio stato fisiologico, così anche l’oggettivista
ingenuo considera la correttezza di una deduzione, la presenza di una contraddizione, il sussistere di
una verità, l’umanitarismo (o la disumanità) di un’azione qualcosa che ha un contenuto di fatto
“oggettivo”, al quale egli non dà alcun contributo: l’“oggettività” è il risultato di una miopia
gnoseologica, non è una prestazione filosofica.» (Feyerabend 1978, 117-118)
Ciò che Galilei mette dunque in campo è il tema della natura teorica dell’osservazione. La
resistenza ad andare oltre il dato visivo per coglierne la relativa pertinenza non deriva dalla volontà
di rispettare l’osservazione e quindi la realtà (quale “osservazione naturale” devo rispettare: “la
pietra cade a perpendicolo” o “la Luna mi segue” ?), ma dalla volontà di difendere (e talora con
cocciuto accanimento) la teoria e la visione del mondo che trova espressione in quelle osservazioni
e alla quale si è abituati / affezionati. Dunque, perché l’osservazione non può essere considerata di
per sé il criterio definitivo di verità, certezza e oggettività? Perché ogni osservazione non è neutra o
semplice ma si compone di dati sensibili e presupposti teorici: è un’unità complessa.
2.2.1.4. Quindi prendono campo e vigore le due componenti di metodo che Galilei richiama in tutte
le sue opere: “sensata esperienza” e “necessarie dimostrazioni” (binomio ribadito con particolare
frequenza ad esempio nella Lettera che Galilei invia a don Benedetto Castelli sul tema della teoria
copernicana in rapporto alle Scritture).
2.2.1.5. Tornando alla torre: la soluzione. 1. «Secondo Copernico, il moto di un sasso in caduta
dovrebbe essere “misto di retto e circolare” . Per “moto del sasso” si intende non solo il suo moto
relativamente a qualche punto di riferimento visibile nel campo visivo dell’osservatore, ovvero il
suo moto osservato, ma piuttosto il suo moto nel sistema solare o nello spazio (assoluto), cioè il suo
moto reale.» (Feyerabend 1975, 62) Invece 2. Nella percezione quotidiana visiva si prescinde dal
moto della terra «I fatti familiari cui Galileo si appella nella sua argomentazione asseriscono un tipo
di moto diverso, un semplice moto verticale.» (Feyerabend 1975, 62) Il “discorso” mi porta a
comprendere che non percepisco il moto comune dei corpi, cioè il moto che è comune a tutti i corpi;
e ciò perché sono un osservatore interno (il moto dunque della situazione in cui mi trovo, cioè come
osservatore interno: la terra [per Tolomeo], la nave di moto rettilineo uniforme se sono
“sottocoperta”), ma il moto proprio che in quella situazione comune caratterizza un singolo corpo
(un sasso che cade, io che cammino sotto la luna, il volo di un uccello, di insetti, la caduta di gocce
nella stanza sotto coperta di una grande nave…); solo come osservatore esterno posso percepire il
moto comune o il moto del sistema (Copernico che considera la terra a partire dal sole; un
viaggiatore che può cogliere il moto della nave in quanto salito sul ponte si rapporta alla riva;
dunque un moto individuabile relativamente a un punto di riferimento). Per esempio, la caduta di un
sasso lanciato da un aereo in volo: «Relativamente all’aeroplano la pietra cade in linea retta,
relativamente alla Terra descrive invece una curva chiamata parabola.» (esempio di Landau L.D.,
Rumer G.B., Che cos’è la relatività?, Editori Riuniti, Roma 1977, 19). «… ma quella parte di tutto
questo moto che è comune del sasso, della torre e di noi, ci resta insensibile e come se non fusse, e
solo rimane osservabile quella parte della quale né la torre né noi siamo partecipi, che è in fine
quello con che la pietra, cadendo, misura la torre. […] … la parte del circolare [del moto circolare
della terra] che è comune della pietra e dell’occhio, continua d’esser impercettibile, e solo si fa
sensibile il retto, perché per seguirla vi convien muover l’occhio abbassandolo.» (Galilei, Dialogo
sopra i due massimi sistemi, citato in Feyerabend 1975, 70) Il sistema inerziale aiuta a conciliare
l’evidenza del dato visivo (la caduta “a perpendicolo” del sasso dalla torre) e l’evidenza fisica del
moto della terra (nella velocità dei suoi diversi moti).
Riassume e procede di conseguenza il nuovo capitolo di Feyerabend: «Le nuove interpretazioni
naturali costituiscono un linguaggio d’osservazione nuovo e altamente astratto. Esse sono introdotte
tacitamente, così che non si rilevi il mutamento che ha avuto luogo (metodo dell’anamnesi). Esse
contengono l’idea della relatività di ogni moto e la legge dell’inerzia circolare.» (Feyerabend 1975,
cap. 7) «Il… sistema concettuale è costruito attorno alla relatività del moto, ed è anch’esso ben
radicato nel suo proprio campo di applicazione. Galileo tende a sostituire il primo sistema col
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secondo in tutti i casi, terrestri e celesti. Il realismo ingenuo rispetto al moto dev’essere eliminato
completamente.» (Feyerabend 1975, 73)
«Oggi, dopo che il successo della scienza , moderna ci ha fatto render conto che la relazione fra
l’uomo e l’universo non è cosi semplice come suppone il realismo ingenuo, possiamo dire che
questa fu un’intuizione esatta, che l’osservatore è separato in effetti dalle leggi del mondo in
conseguenza delle speciali condizioni fisiche della sua piattaforma d’osservazione, la Terra in
movimento (effetti gravitazionali; legge d’inerzia; forze di Coriolis; influenza dell’atmosfera sulle
osservazioni ottiche; aberrazione; parallasse stellare, s ecc.), delle peculiarità del suo fondamentale
strumento d’osservazione, l’occhio umano (irraggiamento; immagini consecutive; reciproca
inibizione di elementi retinici adiacenti e cosi via...), oltre che di concezioni anteriori che hanno
invaso il linguaggio d’osservazione costringendolo a parlare il linguaggio del realismo ingenuo
(interpretazioni naturali). Le osservazioni possono contenere un contributo da parte della cosa
osservata, ma questo contributo è in generale soffocato da altri effetti (alcuni dei quali abbiamo
appena menzionato) e potrebbe essere cancellato completamente da essi.» (Feyerabend 1975, 123)
«In breve: quel che serve per una verifica di Copernico è una visione del mondo completamente
nuova, la quale contenga una nuova visione dell'uomo e delle sue capacità di conoscenza.»
(Feyerabend 1975, 124)
2.2.2. Il ruolo delle ipotesi ad hoc nella scoperta scientifica e nella costruzione di teorie.
«Difficoltà iniziali causate dal mutamento sono eliminate per mezzo di ipotesi ad hoc, le quali
risultano così occasionalmente avere una funzione positiva; esse concedono alle nuove teorie una
pausa di riflessione, e indicano la direzione della futura ricerca.» (Feyerabend 1975, cap. 8)
Uno dei temi ricorrenti nel dibattito epistemologico contemporaneo è quello del ricorso del
ricercatore ad ipotesi ad hoc allo scopo di rendere possibile l’accettazione di nuove scoperte e il loro
inserimento coerente nel sistema teorico che si ritiene fondato, che si intende sostenere, ma che si
mostra inadatto a riconoscere come validi i nuovi dati d’esperienza. L’esempio storico più noto è il
ricorso ad eccentrici ed epicicli per comporre le osservazioni del cielo in modo da confermare il
modello tolemaico. La modifica ad hoc si presenta dunque come strumento di difesa della teoria
dominante, porta con sé il rischio del dogmatismo e viaggia con il giudizio poco favorevole
espresso nei suoi confronti da epistemologi contemporanei come K.R. Popper e, pur con molti
distinguo, T. Kuhn. Di diverso avviso è Feyerabend che, richiamate alcune posizioni critiche
diffuse, teorizza il ruolo che la prassi della modifica ad hoc svolge nella produzione di teorie
scientifiche.
2.2.2.1. Il giudizio negativo dominante: « È d’uso supporre che i buoni scienziati si astengano
dall’usare ipotesi ad hoc e che abbiano ragione a comportarsi in tal modo. […] Le ipotesi ad hoc
finiscono per insinuarsi nell’attività scientifica, ma lo scienziato dovrebbe resistere ad esse e tenerle
a bada. Questo è l’atteggiamento abituale, qual è espresso, per esempio, negli scritti di K.R.
Popper.» (Feyerabend 1975, 78)
2.2.2.2. Una ammissibilità funzionale: «In contrapposizione a questa tesi, Lakatos ha sottolineato
che la “adhocness” (l’uso di ipotesi ad hoc) non è né disprezzabile né assente dal corpo della
scienza. Le nuove idee, egli sottolinea, sono di solito quasi interamente ad hoc, e non possono non
esserlo. Esse vengono inoltre emendate solo in modo frammentario, per estensione graduale, così
che finiscono con l’applicarsi a situazioni che vanno oltre il loro punto di partenza.» (Feyerabend
1975, 78)
2.2.2.3. Secondo la valutazione di Feyerabend la modifica ad hoc non è affatto solo uno
stratagemma di una teoria già consolidata per difendersi da critiche e obiezioni, ma è un processo
naturale di scoperta e il principio per determinare il sorgere di una nuova teoria, visti i tempi
necessari per la sua definizione e affermazione. L’esempio fornito richiama la relazione tra la teoria
dell’impetus, superata da Galilei con il principio di inerzia, legata in forma indispensabile con la
teoria copernicana; in gioco era quindi non un fenomeno da salvare ma una “nuova concezione del
mondo”. «È mia impressione che un’idea chiara di un moto permanente, con o senza impetus, si sia
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sviluppata in Galileo solo parallelamente alla sua graduale accettazione della concezione
copernicana. Galileo mutò poi opinione sui moti “neutri” — che rese permanenti e “naturali" —
allo scopo di renderli compatibili con la rotazione della Terra e di evitare le difficoltà
dell’argomento della torre. Le sue nuove idee su tali moti sono perciò almeno in parte ad hoc.
L'impetus nel vecchio senso scomparve, in parte per ragioni metodologiche (interesse per il come
anziché per il perché — già questo sviluppo meriterebbe di per sé uno studio attento)—, in parte a
causa dell’incoerenza, vagamente avvertita, con l'idea di relatività di tutti i moti. Il desiderio di
salvare Copernico svolge una parte in entrambi i casi. Ora, se siamo nel vero supponendo che
Galileo abbia creato a questo punto un’ipotesi ad hoc, possiamo anche elogiarlo per il suo acume
metodologico. È chiaro che una Terra in movimento richiede una nuova dinamica.» (Feyerabend
1975, 81) «Richiede tempo perché il campo dei fenomeni possibili dev’essere preliminarmente
delimitato dall’ulteriore sviluppo dell’ipotesi copernicana. È molto meglio rimanere per un po’ in
una posizione ad hoc e nel frattempo sviluppare l’eliocentrismo in tutte le sue ramificazioni
astronomiche, che non risprofondare in idee anteriori le quali, in ogni caso, possono essere difese
solo con l’aiuto di altre ipotesi ad hoc. Galileo si servì perciò di ipotesi ad hoc. Fu un bene che se ne
sia servito. Se non lo avesse fatto si sarebbe trovato in ogni caso in una posizione ad hoc, ma questa
volta rispetto a una teoria anteriore.» (Feyerabend 1975, 82)
In conclusione: «… le ipotesi ad hoc e le approssimazioni ad hoc creano un’area di contatto
provvisoria fra i "fatti" e quelle parti di una nuova concezione che sembrano capaci di spiegarli, in
un qualche tempo nel futuro e previa aggiunta di molto altro materiale.» (Feyerabend 1975,146)
2.2.3. Sensi, strumento e fenomeni osservati: il trionfo storico del moto locale. Tra i sensi che
osservano e il fenomeno osservato, la scienza moderna introduce uno strumento come mezzo
indispensabile di osservazione. Ciò che accade in questa introduzione non è soltanto un
potenziamento dei sensi, in particolare della visione, ma un mutamento delle sensazioni,
l’identificazione di aspetti particolari della realtà, la definizione specifica del compito di ricerca
delle scienze. Non si è più di fronte ad una generica e generale osservazione e descrizione del
mondo. È una rivoluzione che inaugura i tempi lunghi della scienza per ottenere che essa si diffonda
dimostrativamente e si specializzi nelle molte discipline che convergono attorno ai fenomeni
oggetto di studio; tempi lunghi perché il suo metodo e i suoi esiti diventino opinione diffusa e
accettata dagli scienziati, nei luoghi in cui si decide socialmente e perché facciano sorgere un nuovo
senso comune nei confronti della realtà naturale.
«Oltre a modificare interpretazioni naturali, Galileo cambia anche sensazioni che sembrano
danneggiare Copernico. Egli ammette che sensazioni del genere esistano, elogia Copernico per
averle trascurate, sostiene di averle eliminate con l’aiuto del cannocchiale. Non offre però alcuna
ragione teorica per cui ci si dovrebbe attendere che il cannocchiale ci dia un’immagine fedele del
cielo.» (Feyerabend 1975, cap. 9)
2.2.3.1. Nella storia, il cambiamento da Aristotele a Galilei: il concetto di movimento si riduce,
diventa dominante il moto locale, il concetto di moto locale e lo strumento adottato per il suo studio
e interposto tra senso e realtà implicano una generalizzazione del moto locale all’intera dinamica
naturale. Il cannocchiale, del resto, non può certo osservare il movimento come passaggio dalla
potenza all’atto, né individuare nel moto cause materiali, formali, efficienti e finali, non vede forze
segrete (fisico-metafisiche) come l’impetus.
«Si osservi, incidentalmente, che il procedimento di Galileo riduce drasticamente il contenuto della
dinamica. La dinamica aristotelica era una teoria generale del mutamento, comprendente il moto
locale, il mutamento qualitativo, la generazione e la corruzione, e forniva una base teorica anche
alla teoria delle arti magiche. La dinamica di Galileo e dei suoi successori si occupa del solo moto
locale, e anche in quest’ambito solo del moto locale della materia. Altri, tipi di moto sono messi da
parte con la promessa (risalente a Democrito) che il moto locale riuscirà infine a spiegare ogni
moto. Una teoria empirica molto generale del moto è sostituita così da una teoria molto più ristretta
…» (Feyerabend 1975, 83) Feyerabend ritorna sul mutamento in atto nel campo dello studio del
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moto ad attestarne la rilevanza storica, sempre avvicinando, per segnalare il passaggio tra fisica
antica e fisica moderna, Aristotele e Galilei.
2.2.3.1.1. L’ipotesi geocentrica è connessa alla natura metafisica ampia del movimento, e alla sua
percezione empirica diretta senza (apparentemente) alcuna sua correzione ad opera di concetti.
«L’ipotesi geocentrica e la teoria della conoscenza e della percezione di Aristotele sono ben adattate
l’una all’altra. La percezione sostiene una teoria del moto locale la quale comporta l’immobilità
della Terra ed è a sua volta un caso speciale di una concezione generale del moto che comprende,
oltre al moto locale, il mutamento quantitativo (aumento e diminuzione), il mutamento qualitativo e
la generazione e corruzione. Questa concezione generale definisce il moto come la transizione di
una forma da un agente a un paziente, transizione che ha termine quando il paziente possiede
esattamente la medesima forma che caratterizzò l’agente all’inizio dell’interazione. La percezione è
perciò un processo in cui la forma dell’oggetto percepito entra nel percipiente come precisamente la
medesima forma che caratterizzava l’oggetto, cosicché il percipiente, in un certo senso, assume le
proprietà dell’oggetto. Una teoria della percezione di questo genere (che potremmo considerare una
versione sofisticata di realismo ingenuo) non consente alcuna discrepanza importante fra le
osservazioni e gli oggetti osservati.» (Feyerabend 1975,121)
2.2.3.1.2. l’ipotesi copernicana si lega al solo moto locale e alla sua capacità di ricondurre a sé ogni
moto naturale per darne una lettura scientifica (fisica meccanica); l’osservazione deve essere qui
conosciuta nella sua funzione empirica specifica e, visto come può essere fonte di illusione, viene
posta in relazione di controllo con la mente (intelletto, ragione, discorso: «hanno con la vivacità
dell’intelletto loro fatto forza tale a i proprii sensi» Galilei). Galilei, ribadisce di nuovo Feyerabend,
«…ogni volta che gli fu possibile, sostituì vecchi fatti con un nuovo tipo di esperienza, che egli
semplicemente inventò allo scopo di sostenere Copernico. Si ricordi, per inciso, che il procedimento
di Galileo riduce drasticamente il contenuto della dinamica: la dinamica aristotelica era una teoria
generale del mutamento comprendente il moto locale, il mutamento qualitativo, il mutamento
quantitativo, e il mutamento nella sostanza (generazione e corruzione). La dinamica di Galileo e dei
suoi successori si occupa solo della locomozione; tutti gli altri tipi di moto sono messi da parte con
l’osservazione (dovuta a Democrito) che il moto locale potrà infine comprendere tutti i moti. Così
una teoria empirica generale del moto viene sostituita da una teoria molto più ristretta più una
metafisica del moto, esattamente come un’esperienza “empirica” è sostituita da un’esperienza che
contiene elementi speculativi. È questo, a mio giudizio, il procedimento reale seguito da Galileo.»
(Feyerabend 1975, 131)
2.2.3.1.3. sul ruolo rivoluzionario dello strumento, una nota espressa da Leopold Infeld:
«Apparecchiature sperimentali sempre più accurate ci aprono sempre nuovi mondi di fatti
sperimentali e mettono in evidenza contraddizioni con leggi che fino a poco prima credevamo
ovviamente valide. Poi effettuiamo misure ancora più accurate: ed ecco che, dove prima trovavamo
soltanto una contraddizione con le leggi esistenti, ora scopriamo che le nuove misure obbediscono a
nuove, più profonde leggi. Leggi che anch’esse dopo poco saranno contraddette da più precise
misure sperimentali. La teoria cerca non soltanto di seguire i passi in avanti realizzati
dall’esperienza ma anche di precederla di prevedere nuovi fatti. Lo sviluppo di una teoria consiste
nella sua progressiva liberazione da ipotesi semplificatrici e nella sua capacità di spiegare un
insieme sempre più grande di fatti sperimentali.» (Infeld Leopold 1957, Introduzione alla fisica
moderna, Editori Riuniti, Roma 1972, 93-94)
2.2.3.2. L’introduzione, l’uso e la presentazione pubblica del cannocchiale da parte di Galilei
attestano con chiarezza le sue scarse conoscenze di ottica, la difficoltà dello strumento a sostenere le
scoperte annunciate e le conseguenti “prove” a favore della teoria copernicana. Se il cannocchiale si
rivela uno strumento utile per gestire le situazioni terrestri in quanto già note e ingrandite nella loro
forma e riconoscibilità, non consente di delineare con chiarezza le forme e i moti dei corpi celesti,
“macchie” lunari, ai movimenti di Marte e Venere, satelliti di Giove, anelli di Saturno, macchie
solari… «Lo stesso Galileo sottolinea il numero e l’importanza dei “vantaggi di questo strumento,
così per terra come per mare”. Il successo terrestre del cannocchiale era in tal modo assicurato. La
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sua applicazione alle cose celesti era però una cosa completamente diversa. […] Sulla superficie
della Terra — nell’osservazione di edifici, navi ecc. — il telescopio funzionerà ovviamente assai
bene; si tratta infatti di oggetti familiari e la conoscenza che ne abbiamo ci consente di eliminare la
maggior parte delle distorsioni, così come la nostra conoscenza di una voce e di una lingua ci
consente di eliminare le distorsioni del telefono. Il processo di compensazione non funziona in
cielo, come i primi osservatori ben presto osservarono e dissero.» (Feyerabend 1975, 90, 100)
«Neppure l’esperienza iniziale col cannocchiale offrì tali ragioni. Le prime osservazioni
telescopiche del cielo furono indistinte, indeterminate, contraddittorie e in conflitto con ciò che
chiunque poteva vedere a occhio nudo. E la sola teoria che avrebbe potuto aiutare a separare le
illusioni telescopiche da fenomeni veridici era confutato da test semplici.» (Feyerabend 1975, cap.
10) «… A quest’idea fisica se ne aggiungeva un'altra che è del tutto in accordo con la teoria
aristotelica della conoscenza (e anche con le opinioni attuali sulla materia), ossia che i sensi sono
abituati all’aspetto degli oggetti terrestri, che a volte abbiamo l’opportunità di osservare da vicino, e
sono perciò in grado di percepirli distintamente, anche se l’immagine telescopica dovesse essere
molto distorta o sfigurata da frange di colore. Non sappiamo come sono le stelle perché non le
abbiamo mai viste da vicino. Nel loro caso non possiamo perciò servirci della memoria per separare
i contributi del telescopio e quelli che provengono dall’oggetto stesso.» (Feyerabend 1975, 101102) « Se a queste difficoltà di carattere psicologico si aggiungono le molte imperfezioni dei
telescopi dell’epoca, ben si comprende la scarsità di resoconti soddisfacenti e si rimane sorpresi per
la rapidità con cui la realtà dei nuovi fenomeni fu accettata e, com’era costume, pubblicamente
riconosciuta?» (Feyerabend 1975, 105)
2.2.3.3. Nonostante le difficoltà, le imprecisioni e le approssimazioni, le ragioni del successo.
Ignoranza e successo: «Keplero sollevò dubbi sull’impressione che il margine della Luna fosse
liscio e invitò Galileo a “riesaminare l’argomento”. E se nessun altro sollevò obiezioni del genere,
ciò indica solo che la gente non osservò con molta attenzione ed era perciò pronta ad accettare i
nuovi miracoli astronomici di Galileo. L’ignoranza, o la trascuratezza, furono di nuovo un bene.
[…] Nessuno, tranne Keplero, fu preoccupato da tali discrepanze, le quali dimostrano ancora quanto
poca diligenza si dedicasse alle osservazioni. (Fu questa trascuratezza dei suoi contemporanei che
consentì a Galileo di procedere come fece.) […] Così facendo essi dimostravano o una grossolana
negligenza o ignoranza o una totale indifferenza per le richieste della coerenza (le quali sono
sostenute non da me ma dai metodologi, persino dai più mediocri). Eppure essi ebbero successo.
Ancora una volta l’ignoranza, o la superficialità o la mancanza di rigore si risolsero in una
benedizione.» (Feyerabend 1975, 98-99) «Per esprimere la situazione in modo diverso: il
copernicanesimo e altre concezioni “razionali” esistono oggi solo perché in qualche periodo nel
loro passato la ragione fu sopraffatta.» (Feyerabend 1975, 126)
«Ora, supponendo che il copernicanesimo sia una buona cosa, dobbiamo ammettere che anche la
sua sopravvivenza è una buona cosa. E, considerando le condizioni della sua sopravvivenza,
dobbiamo ammettere inoltre che fu una buona cosa che la ragione sia stata sopraffatta nei secoli
XVI, XVII e anche XVIII. Inoltre i cosmologi del Cinquecento e del Seicento non possedevano le
conoscenze che abbiamo noi oggi, e non sapevano che il copernicanesimo era in grado di dare
origine a un sistema scientifico accettabile dal punto di vista del “metodo scientifico”. Essi non
sapevano quale delle molte concezioni esistenti a quel tempo avrebbe condotto in futuro alla
ragione se fosse stata difesa allora in un modo “irrazionale”. In assenza di una tale guida essi
dovettero fare una congettura, e nel fare tale congettura, come abbiamo visto, poterono seguire solo
le loro inclinazioni. È perciò consigliabile, in qualche circostanza, lasciare che le nostre inclinazioni
vadano contro la ragione, poiché la scienza può trarne profitto. […] Se invece la mia esposizione si
rivela una favola, allora questa favola ci dice che un conflitto fra la ragione e le condizioni
preliminari del progresso è possibile, ci indica come può insorgere e ci costringe a concludere che le
nostre possibilità di progredire possono essere impedite dal nostro desiderio di essere razionali. E si
osservi che il progresso è definito qui come lo definirebbe un cultore razionalistico della scienza,
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ossia nel senso che Copernico è meglio di Aristotele e Einstein meglio di Newton. Ovviamente non
è necessario accettare questa definizione, che è certamente molto angusta.» (Feyerabend 1975, 127)
2.2.3.4. La conclusione di Feyerabend sul “fecondo disordine” (p. 99) in cui matura il consenso alla
teoria copernicana e la nuova fisica: «L’ignoranza fu una benedizione», sia l’ignoranza dei
contemporanei, sia, da parte di Galilei, l’ignorare le regole di metodo diffuse e precettate; l’analisi
storica (di Feyerabend) porta ad un elogio della irrazionalità.
«Galileo ebbe successo perché non seguì queste regole; i suoi contemporanei, con pochissime
eccezioni, ignorarono difficoltà fondamentali che esistevano a quell’epoca; e la scienza moderna si
sviluppò rapidamente, e nella direzione "giusta" (dal punto di vista degli attuali adepti della
scienza), proprio perché trascurò tali difficoltà. Inversamente, un’applicazione più rigorosa dei
canoni del metodo scientifico, una ricerca più decisa dei fatti rilevanti, un atteggiamento più critico,
lungi dall’accelerare questo sviluppo, avrebbero condotto a un punto morto.» (Feyerabend 1975,
94) «Ci sono, d’altra parte, alcuni fenomeni telescopici che si rivelano chiaramente copernicani.
Galileo introduce questi fenomeni come prove indipendenti a favore di Copernico, mentre la
situazione vera è piuttosto che una concezione confutata — il copernicanesimo — ha una certa
somiglianza con fenomeni emergenti da un'altra concezione confutata: l’idea che i fenomeni
telescopici siano immagini fedeli del cielo. Galileo si impone grazie al suo stile e alle sue capacità
di persuasione, perché scrive in italiano anziché in latino e perché si appella a persone che si
oppongono per temperamento alle vecchie idee e ai modelli di insegnamento ad esse connessi.»
(Feyerabend 1975, cap. 11)
«Il lettore si renderà conto che uno studio più particolareggiato di fenomeni storici come questi crea
difficoltà considerevoli all’opinione che il passaggio dalla cosmologia precopernicana a quella del
Seicento sia consistito semplicemente nella sostituzione di teorie confutate con congetture più
generali, che spiegavano i casi contraddittori con le vecchie teorie, facevano nuove predizioni ed
erano corroborate da osservazioni eseguite per verificare queste nuove predizioni. Il lettore si
renderà forse conto dei meriti di un’opinione diversa, secondo la quale, se l’astronomia
precopernicana si trovava in difficoltà (posta di fronte com’era a una serie di dati d’osservazione
che la confutavano e a numerose implausibilità), la teoria copernicana versava in difficoltà ancora
maggiori (trovandosi di fronte a dati d’osservazione che la confutavano e a implausibilità ancora
più drastiche); ma, essendo in accordo con teorie ancor più inadeguate, guadagnò forza e fu
conservata, le confutazioni essendo state rese inefficaci mediante ipotesi ad hoc e mediante tecniche
di persuasione più abili. Questa parrebbe una descrizione degli sviluppi che ebbero luogo al tempo
di Galileo molto più adeguata di quella offerta da quasi tutte le esposizioni alternative.»
(Feyerabend 1975, 118)
Si tratta di una strategia dimostrativa storicamente necessaria, non disonesta (perché si muove a
partire dalle convinzioni altrui, pur non condivise) ed efficace. Osserva Feyerabend: «Anche il
razionalista più puritano sarà allora costretto ad abbandonare la discussione e a usare, diciamo, la
propaganda, non perché alcune delle sue argomentazioni abbiano cessato di essere valide, ma
perché sono venute meno le condizioni psicologiche che gli impediscono di discutere efficacemente
in questo modo e quindi di influenzare gli altri. […] … mi sembra che un’impresa il cui carattere
umano sia comprensibile a tutti debba preferirsi a un’altra che appare “oggettiva” e impermeabile
alle azioni e alle speranze umane.» (Paul Feyerabend, 1969, Consolazioni per lo specialista, in
Lakatos Imre, Musgrave Alan (a cura di) 1970 Critica e crescita della conoscenza, 298, 309).
Anche Kuhn precisa: «Parlare di persuasione come di una risorsa dello scienziato, non vuol dire
sostenere che non ci siano molte buone ragioni per scegliere una teoria piuttosto che un’altra. …
queste ragioni costituiscono dei valori da usarsi per fare delle scelte, piuttosto che delle regole di
scelta.» (Samuel Kuhn, 1970, Riflessioni sui miei critici, in Lakatos Imre, Musgrave Alan (a cura
di) 1970 Critica e crescita della conoscenza, 346, 347).
Dunque, nel (e dal) capitolo 12, un elogio alla irrazionalità: «Tali metodi “irrazionali” di sostegno
sono necessari a causa dello “sviluppo diseguale” (Marx, Lenin) di parti diverse della scienza. Il
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copernicanesimo e altri ingredienti essenziali della scienza moderna sono sopravvissuti solo perché
nel loro passato la ragione fu spesso ignorata.»
È dunque una convinzione di metodo argomentativo specifico per sostenere l’affermarsi di una
nuova teoria: «È chiaro che il proselitismo alle nuove idee dev’essere stato realizzato per mezzo di
altri argomenti. Esso dev'essere stato realizzato facendo ricorso a mezzi irrazionali come la
propaganda, l’emozione, ipotesi ad hoc e appello a pregiudizi di ogni sorta. Noi abbiamo bisogno di
questi “mezzi irrazionali” allo scopo di sostenere quella che non è altro che una fede cieca finché
non abbiamo trovato le scienze ausiliarie, i fatti, gli argomenti che trasformino quella fede in una
“conoscenza” sicura.» (Feyerabend 1975, 125)
3. Una scienza pubblica e le sue argomentazioni “ad hoc”
Scienza e persuasione, scienza e propaganda o le argomentazioni ad hoc di una scienza alla ricerca
di un consenso e di un successo pubblico.
«L’azione propagandistica di Galileo fu spesso guidata dalla percezione che le istituzioni, le
condizioni sociali vigenti, i pregiudizi potevano impedire l’accettazione di nuove idee e che le
nuove idee potevano perciò dover essere introdotte in modo “indiretto”, stabilendo connessioni fra
le circostanze della loro origine e le forze che potevano danneggiarne la sopravvivenza.
Comportandosi in questo modo nel caso della dottrina copernicana Galileo si allontana più di una
volta dal retto sentiero della verità (quale che esso sia). […] … Galileo il ciarlatano è un
personaggio molto più interessante del misurato “ricercatore della verità” che di solito ci viene
additato come esempio da riverire. Infine, solo attraverso giochi di prestigio come quelli in tale
periodo particolare si poteva far progredire la scienza…» (Feyerabend 1975, 89 nota). Come
dimostrare e argomentare per diffondere a un vasto pubblico (magari curioso ma anche ignaro e
spesso restio) le nuove teorie. Il successo di una teoria e di una scoperta è legato alla convinzione
che riesce a creare, alla diffusione e al consenso di cui può disporre. A tale scopo è necessario
adottare argomentazioni convincenti in cui, partendo da quanto è già condiviso, con opportune
valorizzazioni, critiche e adeguato smontaggio, si ragiona per persuadere; (il metodo era già ben
chiaro e articolato nelle opere di Aristotele e nella tradizione retorica che anche da lui deriva:
«Definiamo dunque retorica la capacità di scoprire in ogni argomento ciò che è in grado di
persuadere.[…] Si obietterà che la retorica può nuocere gravemente per un uso poco onesto del
potere della parola? Ma si può dire lo stesso di tutte le facoltà, eccetto che della virtù. […] È dunque
chiaro che, al pari della dialettica, la retorica non appartiene a un genere definito di oggetti, ma che,
come quella, è universale. Chiaro anche che anch’essa è utile. Chiaro, infine, che la sua funzione
non è (solamente) di persuadere, ma di vedere quanto ogni singolo caso comporti di persuasivo. Lo
stesso vale per tutte le altre arti perché non si richiede nemmeno alla medicina di dare la salute, ma
di fare quanto è in suo potere per guarire il malato.» Aristotele, Retorica, 1996, I, 1355 a-b).
Si tratta di argomentazioni che se sembrano non avere alcuna efficacia nel definire e corroborare
scientificamente e contenutisticamente la teoria, in realtà ne portano a chiarezza la razionalità
propria e certamente ne possono decretare il successo in termini di consenso e diffusione.
«Proprio in questo contesto va vista gran parte dell’opera di Galileo. Quest’opera è stata spesso
assimilata a propaganda e tale è certamente. Ma la propaganda di questo genere non è affatto
qualcosa di marginale che possa aggiungersi o no a mezzi di difesa considerati più sostanziali e che
dovrebbero forse essere evitati dallo “scienziato onesto nella sua professione”. Nelle circostanze
che stiamo considerando ora, la propaganda ha un’importanza essenziale. Ha un’importanza
essenziale in quanto si tratta di creare interesse in un periodo in cui le usuali prescrizioni
metodologiche non hanno alcun punto di attacco; e perché quest’interesse dev’essere mantenuto,
forse per secoli, finché non emergano nuove ragioni. È chiaro anche che tali ragioni, ossia le
scienze ausiliarie appropriate, non hanno bisogno di apparire in tutto il loro splendore formale.»
(Feyerabend 1975, 129) Un tema accennato al capitolo 13.: «Il metodo di Galileo funziona anche in
altri campi. Per esempio, può essere usato per eliminare le argomentazioni esistenti contro il
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materialismo e per metter fine al problema filosofico corpo-mente. (I corrispondenti problemi
scientifici rimangono invece intatti.)»
3.01. Feyerabend, per il realismo storico esplicito e diretto che caratterizza la sua analisi, non manca
di sottolineare come i cammini della ricerca, nel corso del tempo, siano guidati e ispirati più da
esigenze di carattere economico, da interferenze di carattere politico che da un amore per il sapere
astratto e senza legami con i rapporti sociali e le istituzioni che li determinano o gestiscono. Si tratta
delle molte ingerenze dei poteri politici e religiosi nella nascita della scienza moderna (emblematici
nella loro drammaticità i casi di Giordano Bruno e di Galileo Galilei), si tratta di una situazione
contemporanea fattasi istituzione. «Oggi questa fede ingenua e quasi infantile nella scienza è messa
in pericolo da due sviluppi. Il primo sviluppo consiste nell’avvento di nuovi generi di istituzioni
scientifiche. Contrariamente alla sua antecedente immediata, la scienza del tardo XX secolo ha
rinunciato a tutte le sue pretese filosofiche ed è diventata un’attività economicamente importante,
che plasma la mentalità di coloro che la praticano. Un buon stipendio, una buona posizione rispetto
al capo e ai colleghi della propria “unità!” sono le principali ambizioni… […] Il secondo sviluppo
concerne la presunta autorità dei prodotti di questa impresa sempre mutevole.»
(Feyerabend 1975,154)
3.02. Legami e vincoli sociali di carattere politico ed economico che non possono essere eliminati e
che possono assumere, almeno a distanza, un’altra valenza e di carattere epistemologico.
Nell’assunto di Feyerabend, secondo cui ogni tipo di ragionamento, nel principio del pluralismo
delle procedure, può risultare efficace e funzionale per la scoperta e la costruzione scientifica,
quelle procedure argomentative (in particolare quelle utilizzate da Galilei che vengono richiamate in
esame) articolate per persuadere protettori ed avversari pericolosi e importanti, per diffondere un
nuovo modo di sentire estetico e scientifico, hanno una notevole rilevanza storica generale nella
definizione di una ragione scientifica stessa che risulti aperta e “umanitaria”. «Il pluralismo delle
teorie e delle concezioni metafisiche è non solo importante per la metodologia, ma è anche una
parte importante di una visione umanitaria.» (Feyerabend 1975, 41)
3.1. Storicità della ragione scientifica nelle sue varie forme e direzioni (sia dimostrative,
scientifiche, che pubblicitarie, retoriche; con poca possibilità di porre una distinzione netta tra
dimostrazioni scientifiche e dimostrazioni retoriche ai fini della costruzione di una teoria e delle
condizioni del suo successo).
Trascurare la tipologia storica di dimostrazione e di diffusione argomentata delle scoperte e delle
teorie scientifiche porta con sé la conseguenza di non comprendere non solo il cammino storico
della produzione scientifica ma la stessa natura del suo farsi. Come ogni produzione che possa
definirsi culturale, anche la scienza risponde a questo triplice senso e a queste tre possibili direzioni
(ricordate da Kant): è signum rememorativum [che fa ricordare], demonstrativum [che dimostra],
prognosticum [che permette cli conoscere ciò che sarà], proprio per la sua stretta collocazione
storica. «… ignorando le influenze “esterne”, egli [Lakatos] falsifica la storia delle discipline…»
(Feyerabend 1975, 176)
3.1.1. Contro universalismi astratti, ragioni universali e immutabili, metodi unici, rigidità formali, il
ruolo del confronto storico. «Una tendenza dominante nelle discussioni metodologiche è quella di
accostarsi ai problemi della conoscenza, per così dire, sub specie aeternitatis. Le formulazioni
vengono affrontate fra loro senza alcun riguardo alla loro storia senza considerare che potrebbero
appartenere a strati storici diversi. […] Quasi tutti, però, danno per scontato che osservazioni
precise, principi chiari e teorie ben confermate sono già decisivi; che possono e devono essere usati
qui e ora per eliminare l’ipotesi suggerita o per renderla accettabile o forse anche per dimostrarla.
Un tale modo di procedere ha un senso solo se noi possiamo supporre che gli elementi della nostra
conoscenza — le teorie, le osservazioni, i principi delle nostre argomentazioni — siano entità senza
tempo che condividono tutte il medesimo grado di perfezione, che siano tutti altrettanto accessibili e
che siano connessi l’uno all’altro in un modo indipendente dagli eventi che li hanno prodotti.
Questo è, ovviamente, un assunto molto comune. Esso è dato per scontato da ogni logico ed è alla
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base della distinzione familiare fra un contesto di scoperta e un contesto di giustificazione; e viene
spesso espresso dicendo che la scienza si occupa di proposizioni e non di asserzioni. Il
procedimento trascura però il fatto che la scienza è un processo storico complesso ed eterogeneo
che contiene anticipazioni ancora vaghe e incoerenti di future ideologie accanto a sistemi teorici
molto sofisticati e a forme di pensiero antiche e fossilizzate. Alcuni suoi elementi sono disponibili
nella forma di asserzioni scritte chiare e precise, mentre altri sono nascosti e diventano noti solo per
contrasto, per confronto con opinioni nuove e insolite. […] Essi hanno molto in comune con i
problemi che emergono quando c’è bisogno di installare una centrale elettrica accanto a una
cattedrale gotica. Di tanto in tanto si tengono presenti tali caratteri; per esempio, quando si afferma
che leggi (asserzioni) fisiche e leggi (asserzioni) biologiche appartengono a campi concettuali
diversi e non possono essere comparate direttamente. Ma nella maggior parte dei casi, e
specialmente nella contesa fra osservazione e teoria, le nostre metodologie proiettano tutti i vari
elementi della scienza e i diversi strati storici che essi occupano su un medesimo piano, e procedono
immediatamente a formulare giudizi comparativi. È un po' come organizzare un incontro di pugilato
fra un bambino e un adulto e annunciare trionfalmente, come è del resto ovvio, che l’adulto si
aggiudicherà la vittoria (la storia della teoria cinetica e la storia più recente delle teorie delle
variabili nascoste nella meccanica quantistica è piena di critiche insulse di questo genere, e lo stesso
si può dire per la storia della psicoanalisi e per quella del marxismo). (Feyerabend 1975, 119-121)
3.1.1. Si impone quindi una teoria della scienza (epistemologia) fondata anche (e soprattutto) sul
confronto e sull’esame storico di ciò che è stato prodotto e dei modi diversi del suo farsi. «L’esame
non è astratto, ma si serve di dati storici: i dati storici svolgono un funzione decisiva nella lotta fra
metodologie rivali. Questo secondo suggerimento separa Lakatos e anche me dai logici che
considerano un appello alla storia come un “metodo di scarsissima efficienza” e che credono che la
metodologia dovrebbe operare solo sulla base di modelli semplici. (Molti logici non si rendono
neppure conto del problema; essi danno per scontato che la costruzione di sistemi formali e il lavoro
con essi è l’unico modo legittimo di comprendere il mutamento scientifico.)» (Feyerabend 1975,
150)
3.1.2. Occorre argomentare (usare dimostrazioni a finalità persuasive, strategiche ma non
ingannevoli) all’interno di un’urgenza insieme scientifica e sociale allo scopo di rendere operative
opinioni «che possano essere usate come leve intellettuali per rovesciare questa ideologia»
(l’ideologia ortodossa vincolante e oppressiva). «Egli [un ipotetico intellettuale anarchico, immerso
comunque nel confronto sociale storico] si renderà conto che idee astratte potranno trasformarsi in
leve del genere solo se diventano parte di una prassi, di una “forma di vita” che a) le connetta con
eventi influenti e b) abbia di per sé una qualche influenza sociale: in caso diverso saranno ignorate
alla stregua di segni di un’attività intellettuale sofistica e astratta. Dev’esserci una tradizione in
grado di assorbire le nuove idee, di usarle, di elaborarle, e questa tradizione dev’essere rispettata
presso persone influenti, classi sociali potenti ecc.» (Feyerabend 1975, 158-159)
3.2. Dimostrazioni “scientifiche” condotte con finalità persuasive di pubblicizzazione degli
esiti della nuova scienza e nuova visione del mondo (individuate nei testi di Galilei)
3.2.01. Si tratta per lo più di argomentazioni ad hominem: dimostrare a partire da argomenti ad
hominem (ad personam). Galilei costruisce un argomento nella forma definita dagli scolastici ad
hominem (o ad personam); esso consiste nell’assumere come premessa di partenza, ipoteticamente
vera, la tesi dell’avversario e nel dimostrare che, se si procede da essa con coerenza, quella tesi
porta a conclusioni che la contraddicono.
3.2.1. Dimostrare a partire da una posizione di teologia metafisica (di cui probabilmente Galilei è
convinto ma si tratta anche di un argomento ad hominem).
Dal Saggiatore. Il passo è tra i più noti e citati: « La filosofia è scritta in questo grandissimo libro
che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico lo universo), ma non si può intendere se
prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in
lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi
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è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro
laberinto.» Il «libro della natura» rimanda all’idea che la divinità modelli, scriva con i propri
caratteri le forme della natura. In questo caso il Dio di Galilei sarebbe un matematico che ha creato
un universo geometrico. Dunque la matematica è una forma ideale di carattere fisico e metafisico
(essenza del mondo), è la scrittura del mondo, scrittura con cui Dio crea secondo ordine e ragione la
natura (dunque scrittura di Dio o teologica; parallela alla rivelazione/parola di Dio).
3.2.2. A sostegno della teoria aristotelica, tolemaica, geocentrica, veniva solitamente citato il passo
biblico di Giosuè che ferma il sole per portare a termine la battaglia che stava vincendo («Giosuè di
fronte a tutto il popolo disse: Sole non muoverti da Gabaon e tu Luna dalla valle di Aialon. Il Sole e
la Luna si fermarono... si fermò dunque il Sole in mezzo al cielo» (Giosuè 10,12-13). Negare il
moto del sole, oltre a negare l’evidenza, «è cosa molto pericolosa non solo d’irritare tutti i filosofi e
theologi scholastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante.»
(Roberto Bellarmino cardinale). Il tema viene affrontato da Galilei con un argomento ad hominem:
egli prende come punto di partenza del suo ragionamento i movimenti che la teoria tolemaica
attribuiva al Sole: quello annuo e quello diurno, considerati tra loro in direzione contraria e
ragionando su di essi, secondo la coerenza richiesta dalla teoria tolemaica, dimostra come proprio
questo sistema sia in contrasto con la Scrittura. Galilei ricorda come la teoria tolemaica spieghi il
movimento diurno del Sole, che va come evidente da oriente a ponente, e come ne indichi il suo
principio nel primo mobile, cioè la sfera celeste più esterna dell’universo che contiene le altre sfere,
trasmette loro il movimento ed è causa prima del loro moto circolare; quindi il percorso che il Sole
compie nella giornata non è causato da un movimento che appartenga al Sole. Il moto proprio e
naturale del Sole è invece quello annuo e questo si svolge da ponente a levante (al contrario del
moto diurno). Se il Sole, come dice alla lettera il testo biblico, arresta il suo moto proprio, allora
quest’ultimo non contrasta più quello diurno che spinge il Sole verso ponente, questo moto si
accelera e di conseguenza il giorno si accorcia; in altri termini, fermare il Sole, come vuole il senso
letterale della Sacra Scrittura (invocato dai teologi del Santo Uffizio), significa fermare il suo moto
verso oriente e accelerare il moto del Sole che dipende dal primo mobile verso occidente e quindi
non allungare ma abbreviare il dì. L’episodio del prolungamento del giorno descritto dalla Bibbia si
può spiegare con l’arresto del Sole soltanto facendo ricorso alla teoria copernicana; collocando il
Sole al centro di un sistema di pianeti come causa del loro movimento, è possibile comprendere
perché il suo arresto abbia effetto di prolungare la durata del giorno sulla Terra, uno dei suoi
pianeti: fermando il Sole si arresta infatti tutto il sistema. L’intenzione di Galilei non è però quello
di interpretare la Bibbia a partire dalla teoria copernicana, ma quello di non leggere il testo biblico
come se fosse un testo di fisica. Occorre riflettere sulla prassi ermeneutica delle Scritture.
3.2.3. Sciogliere obiezioni contro la teoria copernicana mosse a partire dalle Sacre Scritture
costruendo procedimenti di ermeneutica biblica. La riflessione di Galilei è sorretta da due
presupposti fondamentali: 1. poiché il testo della rivelazione (la Sacra Scrittura) e l’ordine della
natura hanno lo stesso autore non è possibile che quanto Dio afferma nella Bibbia sia in
contraddizione con l’ordine stesso del mondo; 2. l’intenzione con cui Dio si esprime nei due ambiti
è diversa: nella Sacra Scrittura l’obiettivo della salvezza lo porta a scegliere di adeguare le proprie
parole alla mente degli uomini cui si rivolge e ne consegue che talvolta sacrifica all’esigenza di farsi
intendere il rigore richiesto da un discorso scientifico sul mondo; nella natura, invece, Dio si
esprime con regolarità e necessità e perciò lo studio di questa, condotto con metodo scientifico,
permette di giungere al vero assoluto.
3.2.4. Dimostrare a partire da un autentico rispetto del principio di autorità e, in particolare, dal
rispetto di Aristotele. Galilei si dichiara un aristotelico autentico perché ne segue le linee di metodo
a differenza degli “aristotelici” (scolastici o accademici) che, fedeli alle dottrine di Aristotele, le
trasformano in dogmi abbandonando il confronto con l’esperienza. Afferma Aristotele: «disprezzare
la conoscenza sensibile, è una debolezza del pensiero» (Aristotele Fisica, 253 a 33)
«Ritenere in generale che sia principio sufficiente affermare che «così è sempre», oppure che
«accade così», non è assunto corretto…» ( Aristotele Fisica, 252 a 32). Afferma Galilei: «Avete voi
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forse in dubbio che quando Aristotile vedesse le novità scoperte in cielo, e’ non fusse per mutar
opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle più sensate dottrine, discacciando da sé quei
così poveretti di cervello che troppo pusillanimemente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto,
senza intendere che quando Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello
indocile, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico che volesse che i suoi
decreti fossero anteposti a i sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno
data l’autorità ad Aristotile, e non esso che se la sia usurpata o presa...» Con questa ferma e
polemica presa di distanza da coloro che si professano uomini di scienza perché conoscono e citano
costantemente le opere di Aristotele, Galileo Galilei (1564-1642) replica alle accuse che i suoi
antagonisti gli rivolgono basandosi sulle auctoritates anziché sull’esperienza e sulle dimostrazioni
razionali. I loro metodi e i loro studi non meritano di essere definiti scientifici e, del resto, non
possono essere considerati neppure aristotelici. Neanche Aristotele, infatti, avrebbe osato
contrapporre le sue dottrine «a i sensi, alle esperienze, alla natura stessa»; invece i maestri
dell’Università di Padova e i teologi del Santo Uffizio romano, che si dichiarano fedeli allievi di
Aristotele, preferiscono negare l’evidenza delle osservazioni sensibili e delle dimostrazioni
matematiche per difendere il sistema tolemaico che essi ritengono veritiero solo perché fondato
sull’autorità di Aristotele e della Bibbia; in nome di qualche passo delle Sacre Scritture combattono
come eretica una dottrina scientifica fondata su prove, dimostrazioni, esperimenti.
3.2.5. Dimostrare mostrando a partire dagli effetti pratici ricavati dall’introduzione di nuovi
strumenti, rimandando (in quanto non storicamente richiesta) una dimostrazione scientifica teorica
della correttezza della nuova strumentazione. Si tratta del caso noto e clamoroso dell’uso del
cannocchiale da parte di Galilei. È un percorrere la strada dell’incontro tra tecnica e scienza non
insistendo però sui presupposti teorici che giustificano e fondano l’incontro ma a partire dagli effetti
pratici e dalle opportunità nuove, immediatamente produttive che lo strumento può garantire.
L’interlocutore privilegiato e la sede della presentazione non sarà il dotto che insegna nelle
università commentando i testi antichi, ma l’amministratore o l’artigiano che si occupa di guerra, di
navi, di attrezzi …in generale di gestione e produzione. Il riferimento va al modo con cui Galilei si
è servito e ha introdotto lo strumento del cannocchiale nell’osservazione scientifica astronomica:
pur non ferrato nelle leggi di ottica e nella costruzione strumentistica, egli presenta i risultati e i
successi dell’osservazione astronomica ottenuti puntando al cielo il cannocchiale (Sidereus Nucius).
«Il nuovo strumento consente di vedere cose che non si possono vedere a occhio nudo e la cui
natura si conosce per altra via: torri, mura, navi ecc. Nessuno dubita del fatto che lo strumento fa
vedere le cose come realmente sono. La scena è pronta. Ora il cannocchiale viene rivolto verso il
cielo. Appaiono numerosi fenomeni sconcertanti, alcuni assurdi, altri contraddittori, altri ancora che
apportano un sostegno diretto alla convezione copernicana. Neppure i ragionamenti più sofisticati
di ottica riescono ad arginare la crescente convinzione che abbia avuto inizio una nuova èra per la
conoscenza e che le vecchie storie sul cielo non sono appunto altro che storie. Questa convinzione è
particolarmente forte fra coloro che hanno una conoscenza avanzata in campo pratico, scevra da una
terminologia complessa e involuta, e che sono convinti che la fisica universitaria sia una collezione
di parole anziché una conoscenza di cose (si ricordi il disprezzo dei puritani per le speculazioni
inutili). Richiesto di una giustificazione teorica, il nostro anarchico, ricordando la legge dello
sviluppo diseguale, userà scampoli di ragionamento in un modo impudentemente propagandistico.
Molto spesso l’entusiasmo per le nuove opinioni è abbastanza forte da rendere inutile un’ulteriore
propaganda: “Fu una fortuna per questi uomini che le loro simpatie oscurassero talvolta la loro
visione critica", scrive Albert Schweitzer […] Le nuove osservazioni sono accettate, le vecchie
osservazioni sono dimenticate e non viene mai addotta alcuna ragione per giustificare tale scambio:
le ragioni non esistono mentre il mutamento si verifica e non sono di alcun interesse quando
finalmente diventano disponibili. In questo modo l’aumento di contenuto viene confezionato
attraverso un uso combinato di entusiasmo, di oblio e di mutamento storico. […] Il ragionamento
può far ritardare lo sviluppo della scienza, mentre l’inganno è necessario per farla avanzare. Si
aggiunga quanto abbiamo appreso sui principi d’ordine del mito, dell’entusiasmo religioso, delle
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esperienze anormali e si sarà fortemente inclini a credere che ci siano molti modi diversi di
accostarsi alla natura e alla società…» (Feyerabend 1975, 159-161)
4. i traguardi raggiunti e le direzioni nuove da percorrere: elogio dell’anarchismo
metodologico e della libertà (etica, sociale, scientifica)
Le riflessioni epistemologiche di Feyerabend sono sorrette da due convinzioni: la realtà è complessa
e imprevedibile, il pluralismo è indispensabile a ogni progetto di sapere che mira al progresso
dell’umanità. Le teorie che negano questi presupposti e si propongono di elaborare univoche
spiegazioni capaci di semplificare e di ordinare i molteplici dati raccolti, si rivelano un ostacolo per
la ricerca e lo sviluppo della scienza. Feyerabend osserva come gli obiettivi dell’ordine e della
coerenza logica, dell’educazione al senso della realtà (comuni a molti programmi scientifici
ufficiali) nascondano un’impaurita difesa di se stessi, alimentino la povertà dell’intelligenza, si
traducano in negazione della ragione e del libero sviluppo individuale. Solo il pluralismo degli
atteggiamenti, dei metodi, dei principi e delle teorie, senza preclusioni di carattere razionalistico,
metafisico, etico, religioso, politico permette alla scienza di avviarsi lungo le infinite strade che può
intraprendere, consente alla realtà di manifestare le inesauribili aggregazioni formali di cui è
suscettibile, valorizza i talenti e le convinzioni di tutti gli individui. Un solo principio, dunque, sta
alla base di una reale autonomia e di un pieno e libero sviluppo della scienza: in essa tutto è
possibile, nulla è precluso. L’attacco di Feyerabend al metodo si trasforma così in un'accorata e
accanita difesa della libertà di metodo. Lo scienziato è un anarchico metodologico e un
“opportunista senza scrupoli”. «Uno dei caratteri più ragguardevoli della ricerca scientifica è il fatto
che essa non tiene alcun conto delle divisioni fra singole discipline.» (Feyerabend 1975, 206)
4.1. conclusione 1. Abolisci la distinzione opposizione separazione scoperta/giustificazione
«I risultati ottenuti finora suggeriscono di abolire la distinzione fra un contesto di scoperta e un
contesto di giustificazione, e di trascurare la distinzione connessa fra termini d’osservazione e
termini teorici. Nessuna delle due distinzioni ha una parte nella pratica scientifica. Eventuali
tentativi di imporle avrebbero conseguenze disastrose.» (Feyerabend 1975, cap. 14)
«L’argomentazione astratta è necessaria in quanto fornisce una direzione ai nostri pensieri. Ma
anche la storia è necessaria, allo stato presente della filosofia, in quanto dà forza alle nostre
argomentazioni.» (Feyerabend 1975, 130)
4.1.1. scoperta e giustificazione: la tesi della disgiunzione dei due contesti, per diversi ruoli, per
diverse abilità richieste e in essi in azione.
«Una fra le obiezioni che possono essere opposte al mio tentativo di desumere conclusioni
metodologiche da esempi storici è che esso confonde due contesti che sono sostanzialmente distinti,
ossia un contesto di scoperta e un contesto di giustificazione. La scoperta può essere irrazionale e
non ha bisogno di seguire alcun metodo riconosciuto. La giustificazione, d’altra parte, o — per
usare il Verbo Sacro di una scuola diversa — la critica, ha inizio solo a scoperta già avvenuta, e
procede in un modo ordinato. “Una cosa”, scrive Herbert Feigl, “è ricostruire le origini storiche, la
genesi e lo sviluppo psicologici, le condizioni socio-politico-economiche per l’accettazione o il
rifiuto di teorie scientifiche; altro è fornire una ricostruzione logica della struttura concettuale e
della verifica di teorie scientifiche.” Queste sono in effetti due cose diverse, tanto più che vengono
coltivate da due discipline diverse (la storia della scienza e la filosofia della scienza), le quali sono
gelosissime ciascuna della sua autonomia. […] … il problema è in quale misura la distinzione
introdotta rifletta una differenza reale e se la scienza possa o no progredire senza la forte interazione
fra campi separati.» (Feyerabend 1975, 135) Una concezione di separazione tra scoperta e
giustificazione che Feyerabend, proseguendo, richiama da epistemologi contemporanei (come il
citato Herbert Feigl) ricostruendola in questo modo: «Inventando teorie e contemplandole in modo
rilassato e “artistico”, spesso mettiamo in atto procedimenti che sono proibiti da regole
metodologiche. Per esempio, interpretiamo i dati empirici in modo da adattarli alle nostre idee
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fantastiche, eliminiamo difficoltà per mezzo di procedimenti ad hoc, le mettiamo da parte o
semplicemente ci rifiutiamo di prenderle sul serio. Le attività che, secondo Feigl, appartengono al
contesto della scoperta non sono perciò solo diverse da ciò che si verifica nel contesto della
giustificazione, ma sono in conflitto con essa.» (Feyerabend 1975,136) Per evidenziare il campo del
contrasto di tesi sulla relazione tra scoperta e giustificazione, si pensi, forse come esempio estremo,
a tutte le storie/storielle ispirate al principio della serendipity secondo le quali una scoperta
scientifica (materiale o teorica) avviene all’improvviso e del tutto inaspettatamente e proprio
quando ci si muoveva in tutt’altra direzione, addirittura in situazione di distrazione nei confronti del
proprio lavoro scientifico. Alla scoperta improvvisa e fortuita seguirà (seguirebbe o deve seguire,
stando al cliché narrativo) però il lavoro “serio” di giustificazione e di costruzione razionale e
dimostrativa della teoria fisica che così diventa a pieno titolo scientifica.
4.1.2. scoperta e giustificazione: la tesi delle stesse abilità in azioni nei due funzionali contesti o
momenti: a dispetto della tesi che sostiene che, a scoperta avvenuta, il percorso scientifico si ispiri
(si debba ispirare) a ben altri criteri, cioè a quelli del rigore e della coerenza razionali. La posizione
di Feyerabend è nettamente contraria ad una così rigida separazione tra scoperta e giustificazione (e
con lui teorici contemporanei della scienza che considerano “la distinzione come non valida o
almeno sviante”) . «Anche le esposizioni più sorprendenti del modo in cui gli scienziati pervengono
alle loro teorie non possono escludere la possibilità che essi procedano in modo totalmente diverso
una volta che le abbiano trovate.» (Feyerabend 1975, 136); totalmente diverso cioè dal rigore
razionale che verrebbe presunto come serio metodo scientifico; o da un metodo impostato a sezioni
separate come se la prima, la scoperta, venisse consegnata a facoltà quali intuizione, fantasia, estro,
genialità, irrazionalità e a circostanze fortuite e fortunate, mentre la seconda, la strada della
giustificazione teorica e della costruzione di visioni globali, fosse unicamente la sede della
coerenza, del rigore, della controllata dimostrazione razionale, del tipo “prima abbiamo giocato, ora
si fa sul serio”). La storia, esaminata e più volte richiamata da Feyerabend [con particolare
attenzione a Galilei, ma l’analisi storica richiamata presenta esempi plurimi in tutto l’arco della
storia scientifica, da Aristotele fino ai fisici contemporanei che parlano ad esempio di buchi neri,
stringhe, “particelle di dio” ecc.], non conferma una simile tesi e opinione a favore del rigore come
unica prassi della giustificazione. Le stesse argomentazioni scientifiche non sono ascrivibili ad un
presunto modello astratto, unico e “perfetto” di razionalità formale dimostrativa unica e universale;
molto devono per la loro costruzione, chiarificazione e diffusione ad argomentazioni “ad personam”
o per lo meno dettate, funzionali e comprensibili in relazione ad un periodo storico, alle sue
convinzioni e alla sua struttura concettuale linguistica storicamente determinata. La tesi della netta
separazione tra scoperta e giustificazione o della sua possibilità almeno ideale, non trova
fondamento. «Questa possibilità, però, non si realizza mai.» (Feyerabend 1975, 136) «…abbiamo
visto che, nel caso di un conflitto, gli scienziati scelgono di tanto in tanto le mosse raccomandate
dal contesto della giustificazione, ma possono anche scegliere le mosse appartenenti al contesto
della scoperta, e spesso hanno ragioni eccellenti per comportarsi in questo modo. In effetti la
scienza quale la conosciamo oggi non potrebbe esistere se non si facesse valere a danno del contesto
della giustificazione. Questa è la seconda parte dell’argomentazione.» (Feyerabend 1975, 137)
4.1.3. Conclusione: la tesi è quella di un concorso continuo delle logiche del doppio momento della
scoperta e giustificazione; non si tratta di abilità che agiscano confinate in campi opposti o
conflittuali o non comunicanti, e nemmeno di momenti che possono considerarsi separati per tempi
e per sedi. «La conclusione è chiara. La prima parte ci dimostra che non abbiamo solo una
differenza, ma un’alternativa. La seconda parte ci dimostra che entrambi gli aspetti dell'alternativa
sono altrettanto importanti per la scienza e che ad essi dev’essere riconosciuto un ugual peso. Non
stiamo perciò occupandoci neppure di un’alternativa bensì di un singolo campo uniforme di
procedimenti, i quali sono tutti altrettanto importanti per la crescita della scienza. In tal modo la
distinzione viene eliminata.» (Feyerabend 1975,137)
4.2. conclusione 2. Abolisci la distinzione opposizione separazione osservazione/teoria
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Il riferimento va ai numerosi passi e alle molte situazioni in cui Feyerabend ha sottolineato come i
fatti e le osservazioni contengono la teoria (cap. 5,6,7), come l’osservazione si avvalga di un
linguaggio osservativo («linguaggio d’osservazione nuovo e altamente astratto»)senza il quale non
si dà alcuna esperienza possibile («… dovrebbe essere chiaro che una persona che affrontasse un
campo percettuale senza disporre neppure di una singola interpretazione naturale sarebbe priva di
qualsiasi orientamento e non potrebbe neppure dare inizio a un’attività scientifica». Feyerabend
1975, 64).
4.2.1. Su tali basi la tesi: «Una distinzione che un tempo può aver avuto un significato ma che oggi
lo ha perduto definitivamente è la distinzione fra osservazione e termini teorici. Oggi si ammette
generalmente che questa distinzione non è altrettanto netta quanto si pensava anche solo qualche
decina di anni or sono. Si ammette anche, in completo accordo con le opinioni originarie di
Neurath, che possano essere abbandonate tanto teorie quanto osservazioni; le teorie possono essere
abbandonate quando sono in conflitto con osservazioni, le osservazioni possono essere abbandonate
per ragioni teoriche. ». (Feyerabend 1975, 137)
4.2.2. Le ragioni della tesi derivano dallo studio dei processi di apprendimento di carattere empirico
e di osservazione. «Infine, abbiamo scoperto che l’apprendimento non va dall’osservazione alla
teoria, ma implica sempre entrambi gli elementi. L’esperienza ha origine assieme ad assunti teorici,
non prima di essi e un’esperienza senza teoria è altrettanto incomprensibile come (si presume sia)
una teoria senza esperienza: se si elimina una parte della conoscenza sensibile di un soggetto
senziente si avrà una persona completamente disorientata e incapace di eseguire l’azione più
semplice. Se si eliminano anche le altre sue conoscenze, il suo mondo sensoriale (il suo "linguaggio
d’osservazione") comincerà a disintegrarsi, i colori e altre sensazioni semplici scompariranno,
finché egli verrà a trovarsi in uno stadio ancora più primitivo di quello di un bambino piccolo.»
(Feyerabend 1975, 137-138)
4.2.3. Come conclusione, una osservazione generale sull’arte del distinguere quando si è di fronte a
processi umani (conoscenza e scienza compresa): «Nessuno negherà la possibilità di fare tali
distinzioni, ma nessuno attribuirà ad esse molto peso, o neppure le menzionerà, in quanto esse non
svolgono oggi alcuna funzione nell’economia della scienza.» (Feyerabend 1975, 138); e osserva in
nota, più causticamente: «La mia obiezione principale è che le distinzioni per quanto possano essere
attraenti per gli spiriti semplici, sono irrilevanti per la marcia della scienza e che il tentativo di
imporle può arrestare il progresso.» (Feyerabend 1975, 138)
Torna così la tesi dell’elogio della irrazionalità o di tutto ciò che ‘può andar bene’ perché la scienza
si compia.
4.3. conclusione 3. Abolisci la distinzione opposizione separazione razionalità/irrazionalità
«Infine, la discussione da noi condotta nei capitoli 6-13 dimostra che la versione popperiana del
pluralismo di Mill non è in accordo con la pratica scientifica e che distruggerebbe la scienza quale
la conosciamo. Poiché la scienza esiste, la ragione non può essere universale e l’irrazionalità non
può essere esclusa. Questo carattere della scienza richiede un’epistemologia anarchica. La presa di
coscienza del fatto che la scienza non è sacrosanta e che la discussione fra scienza e mito è cessata
senza essere stata vinta né da una parte né dall’altra rafforza ulteriormente la causa
dell’anarchismo.» (Feyerabend 1975, cap. 15)
4.3.1. La tesi (esplicita e provocatoria per molti) di Feyerabend: «Devo confessare che questo
impulso quasi universale a una guida “obiettiva” è per me un po’ sconcertante.» (Feyerabend 1975,
148) «… la scienza è molto più "trascurata" e "irrazionale" della sua immagine metodologica. E
sono destinati a ostacolarla perché il tentativo di rendere la scienza più “razionale” e più precisa ha,
come abbiamo visto, la conseguenza di spazzarla via. La differenza fra scienza e metodologia, che è
un fatto così evidente della storia, indica perciò una debolezza della seconda, e forse anche delle
“leggi della ragione”. Quei caratteri che ci si presentano come "sciatteria", "caos" o
"opportunismo", quando vengono messi a confronto con tali leggi, hanno infatti una funzione molto
importante nello sviluppo di quelle stesse teorie che oggi consideriamo parti essenziali della nostra
27
conoscenza della natura. Queste “deviazioni”, questi “errori” sono presupposti del progresso. Essi
consentono alla conoscenza di sopravvivere nel mondo complesso e difficile in cui viviamo, ci
consentono di rimanere liberi e felici. Senza “caos” non c’è conoscenza. Senza una frequente
rinuncia alla ragione non c’è progresso. Idee che oggi formano la base stessa della scienza esistono
solo perché ci furono cose come il pregiudizio, l'opinione, la passione; perché queste cose si
opposero alla ragione; e perché fu loro permesso di operare a modo loro. Dobbiamo quindi
concludere che, anche all’interno della scienza, la ragione non può e non dovrebbe dominare tutto e
che spesso dev’essere sconfitta, o eliminata, a favore di altre istanze. Non esiste neppure una regola
che rimanga valida in tutte le circostanze e non c’è nulla a cui si possa far sempre appello.»
(Feyerabend 1975, 145-146)
4.3.2. A conferma: «Non c’è alcun modo di predire che cosa un’investigazione antropologica
potrebbe portare in luce. Nei capitoli precedenti, che sono abbozzi grossolani di uno studio
antropologico di taluni episodi particolari, è emerso che la scienza è un’attività sempre piena di
lacune e contraddizioni, che l’ignoranza, l’ostinazione, il pregiudizio, la menzogna, lungi
dall’impedire il progresso della conoscenza, ne sono presupposti essenziali e le virtù tradizionali
della precisione, della coerenza, dell’“onestà”, del rispetto per i fatti, del massimo di conoscenza in
circostanze date, se praticate con determinazione, possono condurre a un ristagno. È emerso anche
che i principi logici non soltanto svolgono un ruolo molto minore nei procedimenti (argomentativi e
non argomentativi) che determinano il progresso della scienza, ma che il tentativo di imporli
universalmente intralcerebbe gravemente la scienza stessa.» (Feyerabend 1975, 216)
4.4. conclusione 4. Abolisci la distinzione opposizione separazione scienza/mito
Vale l’assunto già richiamato: la distinzione non può degenerare in separazione o opposizione,
semmai è la premessa per gestire una corretta relazione che impedisce ad una parte [una forma
culturale] di prevaricare sull’altra; riprendendo: «Nessuno negherà la possibilità di fare tali
distinzioni, ma nessuno attribuirà ad esse molto peso, o neppure le menzionerà, in quanto esse non
svolgono oggi alcuna funzione nell’economia della scienza.» Feyerabend 1975, 138). La scienza
(come la razionalità) non è la sola cultura possibile e non può considerarsi isolata dalle altre forme
culturali così come non può prescindere dalla irrazionalità (e ritorna qui la tesi di un’epistemologia
anarchica). «Dato che la scienza esiste, la ragione non può essere universale e l’irrazionalità non
può essere esclusa. Questo carattere peculiare dello sviluppo della scienza costituisce un forte
elemento a sostegno di un’epistemologia anarchica. Ma la scienza non è sacrosanta. Le restrizioni
che essa impone (e tali restrizioni sono molte, anche se non è facile elencarle) non sono necessarie
perché si possano avere concezioni generali coerenti ed efficaci sul mondo. Esistono miti, esistono i
dogmi della teologia, esiste la metafisica, e ci sono molti altri modi di costruire una concezione del
mondo. È chiaro che uno scambio fecondo fra la scienza e tali concezioni del mondo “non
scientifiche” avrà bisogno dell’anarchismo ancora più di quanto ne ha bisogno la scienza.
L’anarchismo è quindi non soltanto possibile, ma necessario tanto per il progresso interno della
scienza quanto per lo sviluppo della nostra cultura nel suo complesso. E la Ragione si unisce infine
alla sorte di tutti quegli altri mostri astratti come l’Obbligo, il Dovere, la Morale, la Verità e i loro
predecessori più concreti, gli Dèi, che furono usati un tempo per incutere timore nell’uomo e per
limitarne il libero e felice sviluppo: svanisce...» (Feyerabend 1975,147)
4.4.1. Da queste prospettive parte il confronto critico con posizioni razionalistiche contemporanee:
Popper e, in particolare, Lakatos [con cui condivide amicizia e molte posizioni], le sue lezioni sul
metodo e la “metodologia dei programmi di ricerca scientifici” (in 1970 Critica e crescita della
conoscenza ). «Anche il tentativo ingegnoso di Lakatos di costruire una metodologia che a) non
imponga ordini e nondimeno b) fissi restrizioni nelle nostre attività rivolte ad accrescere la
conoscenza non sfugge a questa conclusione. La filosofia di Lakatos appare infatti liberale solo
perché è un anarchismo camuffato. E le sue norme, le quali sono tratte per astrazione dalla scienza
moderna, non possono essere considerate giudici imparziali nel contrasto fra scienza moderna e
scienza aristotelica, mito, magia, religione ecc.» (Feyerabend 1975, cap. 16)
28
«Tutti chiedono che le teorie incoerenti, o le teorie dotate di un basso contenuto empirico, vengano
abolite. La metodologia dei programmi di ricerca né contiene tali richieste né può contenerle, come
abbiamo visto. La sua base logica — concedere “respiro” — e gli argomenti che stabilivano il
bisogno di standard più liberali rendono impossibile specificare condizioni in cui un programma di
ricerca dev’essere abbandonato, o le circostanze nelle quali diventa irrazionale continuare a
sostenerlo. Qualsiasi scelta dello scienziato è razionale, essendo compatibile con gli standard. La
"ragione" non influisce più sulle azioni degli scienziati. (Ma fornisce la terminologia per descrivere
i risultati di tali azioni.)» (Feyerabend 1975, 152-153)
4.4.2. Del resto mito e scienza hanno più cose in comune, occorre «dimostrare le somiglianze
sorprendenti che esistono tra il mito e la scienza». (Feyerabend 1975, 241) [1] entrambi sono alla
ricerca di un senso unico da esprimere con modi culturali: «la ricerca di una teoria è una ricerca
dell’unità sottostante all’apparente complessità. […] tanto la scienza quanto il mito ricoprono il
senso comuna con una struttura teorica.» (Feyerabend 1975, 241); [2] entrambi ritengono le proprie
idee base “sacre” e inattaccabili: «le idee centrali di un mito sono ritenute sacre. Le minacce a tali
idee suscitano angoscia. [… nella scienza] L’attacco alle idee di base evoca reazioni di tabù non
meno intense delle reazioni di tabù delle cosiddette società primitive.» (Feyerabend 1975, 242); [3]
in entrambi il dogmatismo svolge una funzione « estremamente importante. Senza di esso la scienza
sarebbe impossibile.» (Feyerabend 1975, 243)
«La scienza è quindi molto più vicina al mito di quanto una filosofia scientifica sia disposta ad
ammettere. Essa è una fra le molte forme di pensiero che sono state sviluppate dall’uomo, e non
necessariamente la migliore. È vistosa, rumorosa e impudente, ma è intrinsecamente superiore solo
per coloro che hanno già deciso a favore di una certa ideologia, o che l’hanno accettata senza aver
mai esaminato i suoi vantaggi e i suoi limiti. E poiché l’accettazione e il rifiuto di ideologie
dovrebbero essere lasciati all’individuo, ne segue che la separazione di stato e chiesa dovrebbe
essere integrata dalla separazione di stato e scienza, che è la più recente, la più aggressiva e la più
dogmatica istituzione religiosa. Una tale separazione potrebbe essere la nostra unica possibilità di
conseguire un’umanità di cui siamo capaci, ma che non abbiamo mai realizzato compiutamente.»
(Feyerabend 1975, cap. 18)
4.4.3. Due esempi di presenza e logica mitica (o “primitiva”) nella “razionale” e “scientifica”
conduzione economica della società contemporanea, presentato da Slavoj Žižek: «Mi piace questo
splendido e semplice esempio: alcuni antropologi hanno scoperto che il tesoro di un’isola
polinesiana era rappresentato da una grande pietra preziosa scolpita. Poi c’è stato un terremoto o
una tempesta e la pietra è stata sommersa dall’acqua, non vi avevano più accesso. La loro risposta è
stata: “non importa, è ancora là anche se non possiamo vederla”. Noi pensiamo che sia una
stupidaggine: ma non è forse la stessa cosa che abbiamo fatto con l’oro di Fort Knox? Mucchi di
oro devono inutilmente giacere a Fort Knox affinché l'equilibrio monetario sia mantenuto. È
esattamente la stessa cosa. L'oro è là, per noi inaccessibile, però funziona. Penso che questa sia la
migliore antropologia critica multiculturale, cioè quando scopri negli stranieri ciò che sembra
stupido, poi ti accorgi che è la stessa cosa che stiamo facendo noi! È il modello dell’interpassività.
Mi piace iniziare prendendomi gioco di quegli stupidi tibetani che non devono pregare. La ruota
della preghiera tibetana funziona infatti cosi: metto un pezzo di carta con una preghiera nella ruota,
la giro meccanicamente (o, più praticamente, lascio che la ruota giri) e la ruota prega per me. Come
avrebbero detto gli stalinisti, “oggettivamente” sto pregando, sebbene i miei pensieri siano occupati
dalle più oscene fantasie sessuali. Per dissipare l'illusione che cose simili possano accadere solo in
società “primitive”, pensiamo alle risate registrate su uno schermo televisivo (la reazione di ridere a
una scena comica è inclusa nella stessa colonna sonora): anche se non rido e semplicemente fisso lo
schermo, stanco dopo una dura giornata di lavoro, mi sento comunque sollevato dopo lo spettacolo,
poiché la televisione ha riso per me. Per afferrare in modo appropriato questo strano processo,
dovremmo integrare la nozione in voga di interattività con il suo doppio misterioso,
l’interpassività.» (Žižek Slavoj 2013 Chiedere l’impossibile, ombre corte, Verona 2013, 130-131)
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(ad esempio la televisione che si presenta interattiva, in realtà è interpassiva; accresce la passività
proprio per il fatto che la maschera come attività).
4.5. conclusione 5. Abolisci l’illusione epistemologica evolutiva (si tratta di una “logica”
conseguenza dell’elogio della irrazionalità [pur nella natura ossimorica dell’enunciato]).
In altri termini, che ne è dell’evoluzione se collocata in sequenze quali: anarchia, violazione, “ogni
cosa va bene”, irrazionalità, confronti e incommensurabilità?
4.5.1. A partire dall'età moderna, la riflessione epistemologica tende a presentare la visione
scientifica del mondo come un solido edificio razionale, fondato sulle sicure fondamenta
dell’esperienza; in tale prospettiva la scienza affiderebbe la sua produttività e la sua crescita alla
stabilità dei principi, alla coerenza delle regole e alla oggettiva definizione dei fatti d’esperienza.
Anche la riflessione epistemologica contemporanea, sia quella formulata dal neopositivismo, sia
quella propria del «razionalismo critico» di Popper, pur segnalando la difficoltà o l’impossibilità di
giungere a fatti d’esperienza definitivi (in grado cioè di fornire un solido fondamento alle teorie), si
richiama al rigore della coerenza. Il razionalismo critico, ad esempio, sostituisce ai principi certi e
stabili le osservazioni-base convenzionali, alla verifica empirica definitiva le condizioni di
falsificabilità, ma ribadisce con fermezza il valore scientifico della coerenza e denuncia le
violazioni, le varianti opportunistiche, le «ipotesi ad hoc» come ignobili stratagemmi introdotti per
salvare a ogni costo una teoria e sottrarla alla controllabilità. Per Feyerabend, di contro, lo sviluppo
storico della scienza deriva da violazioni di modelli, da incoerenze teoriche, da arbitrii logici. Le
scoperte che hanno determinato le rivoluzioni scientifiche sono da attribuire alla incursione nella
scienza di elementi privi di fondamento e di legittimazione razionale: intuizioni azzardate,
convinzioni indimostrate, pregiudizi, postulati metafisici e teologici. Una scienza attenta alla
propria evoluzione, che avverte la propria storia come elemento indispensabile per la comprensione
di sé, considera l’incoerenza e la violazione non come errori, ma come momenti necessari di
sviluppo: «Le violazioni sono necessarie per il progresso scientifico».
4.5.2. L’incontro possibile tra le teoria nella loro successione storica e nel reciproco richiamo di
ripresa, abbandono, rilettura… alimenti di una “illusione epistemologica” evolutiva.
«Le teorie che riescono a rovesciare un punto di vista generale e ben radicato e lo soppiantano sono
ristrette inizialmente a un ambito di fatti abbastanza limitato, a una serie di fenomeni paradigmatici
che le sostengono e che solo lentamente vengono estesi in altre aree. […] …nel tentativo di
sviluppare una nuova teoria, dobbiamo prima fare un passo indietro rispetto ai dati empirici e
riconsiderare il problema dell’osservazione. In seguito, ovviamente, la teoria viene estesa ad altri
campi; ma solo raramente il modo dell’estensione è determinato dagli elementi che costituiscono il
contenuto delle teorie precedenti, L’apparato concettuale lentamente emergente della teoria
comincia ben presto a definire i suoi problemi, e i problemi, fatti e osservazioni anteriori sono
dimenticati o messi da parte come irrilevanti. Questo è uno sviluppo interamente naturale e del tutto
incontestabile. Perché infatti un’ideologia dovrebbe essere vincolata da problemi anteriori i quali,
in ogni caso, hanno senso soltanto nel contesto abbandonato e ora ci appaiono sciocchi e innaturali?
Perché mai dovrebbe prendere in considerazione i "fatti" che dettero origine a problemi di quel
genere o che ebbero una parte nella loro soluzione? Perché non dovrebbe procedere piuttosto a
modo suo, definendo da sé i propri compiti e delimitando il proprio ambito di “fatti"? Una teoria
generale, dopo tutto, dovrebbe contenere anche un’ontologia, la quale ontologia determini che cosa
esiste e circoscriva così il campo dei fatti possibili e delle possibili domande. Lo sviluppo della
scienza è in accordo con queste considerazioni. Nuove concezioni puntano presto in direzioni nuove
e considerano con disapprovazione i vecchi problemi (qual è il sostegno su cui poggia la Terra?
Qual è il peso specifico del flogisto? Qual è la velocità assoluta della Terra?) e i vecchi fatti (la
maggior parte dei fatti descritti nel Malleus Maleficarum; i fatti del vodú; le proprietà del flogisto o
quelle dell’etere), che tanto impegnarono l’intelligenza dei pensatori del passato. E dove essi
dedicano attenzione a teorie anteriori, cercano di accomodarne il nucleo fattuale nel modo già
descritto, con l’aiuto di ipotesi ad hoc, di approssimazioni ad hoc, di ridefinizioni di termini, o
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semplicemente asserendo, senza alcuno studio più particolareggiato della materia, che il nucleo di
fatti “segue dai” nuovi principi fondamentali. […] Il risultato di tutti questi procedimenti è
un’interessante illusione epistemologica: il contenuto immaginato delle teorie anteriori (che è
l’intersezione delle conseguenze ricordate di tali teorie col dominio recentemente riconosciuto di
problemi e di fatti) si contrae e può diminuire in misura tale da diventare meno esteso del contenuto
immaginato delle nuove ideologie… […] Quest’illusione è responsabile della persistente richiesta
di un aumento del contenuto.» (Feyerabend 1975,143-145)
4.5.3. A rendere improbabili le antiche tesi di una inesorabile evoluzione progressiva nella scienza
dal punto di vista sia dei contenuti che dei metodi sta la constatazione storica e teorica della
incommensurabilità tra gli universi o i mondi delle diverse teorie scientifiche strutturate.
«Inoltre questi standard, che implicano un confronto fra classi di contenuto, non sono sempre
applicabili. Le classi di contenuto di certe teorie non sono comparabili, nel senso che nessuna delle
relazioni logiche abituali (di inclusione, esclusione, intersezione) può essere considerata applicabile
nei loro confronti. Ci troviamo in questa situazione quando mettiamo a confronto il mito con la
scienza. La stessa situazione si presenta anche nelle parti più avanzate, più generali e perciò più
mitologiche della scienza stessa.» (Feyerabend 1975, cap. 17)
4.5.3.1. incommensurabilità nel campo della percezione: «Dati stimoli appropriati ma sistemi di
classificazione diversi (“insiemi mentali” diversi), il nostro apparato percettuale potrebbe produrre
oggetti percettuali difficilmente comparabili fra loro. Un giudizio diretto è impossibile.»
(Feyerabend 1975, 187). La tesi rimanda a più elementi: alla connessione tra osservazione e teoria
(«l’immagine percepita dipende da “insiemi mentali”» Feyerabend 1975,188), all’esame delle
immagini fonte di irrisolvibili illusioni ottiche, all’incomparabilità di uno stesso soggetto nel campo
della produzione artistica, al procedere del processo percettivo nel bambino considerato nelle due
situazioni nella fase pre-linguistica e pre-concettuale e nella fase successiva.
4.5.3.2. incommensurabilità tra teorie: «…esistono teorie scientifiche che sono reciprocamente
incommensurabili, anche se apparentemente si occupano dello stesso argomento. […] Quali esempi
di problemi del genere possiamo citare quello della velocità assoluta della Terra, quello della
traiettoria di elettroni in una figura d’interferenza e l’importante problema se gli incubi siano capaci
di produrre prole o se invece siano costretti a servirsi a tale scopo del seme dell’uomo [in
quest’ultimo caso il riferimento è al Malleus maleficarum]. Il primo problema fu dissolto dalla
teoria della relatività, la quale nega l’esistenza di velocità assolute. Il secondo problema fu dissolto
dalla teoria quantistica, la quale nega l’esistenza di traiettorie in figure di interferenza. Il terzo
problema fu dissolto, anche se in modo meno decisivo, dalla psicologia e fisiologia moderne (ossia
posteriori al Cinquecento), oltre che dalla cosmologia meccanicistica di Descartes. […] Non è di
alcuna utilità cercare di connettere formulazioni classiche con formulazioni relativistiche attraverso
un’ipotesi empirica. Un’ipotesi di questo genere sarebbe altrettanto risibile quanto la proposizione
“ogni volta che c’è possessione da parte di un demonio c’è anche una scarica nel cervello”, la quale
stabilisce una connessione fra i termini di una teoria dell’epilessia fondata sul concetto di
possessione e termini “scientifici” più recenti. È chiaro infatti che non vogliamo perpetuare
l’anteriore terminologia demoniaca, e prenderla seriamente, solo per poter garantire la compatibilità
fra classi di contenuto. Ma nel caso dell’alternativa fra relatività e meccanica classica, un’ipotesi di
questo genere non può neppure essere formulata. Quando usiamo i termini classici supponiamo un
principio universale che è sospeso dalla relatività, che è sospeso cioè ogni volta che scriviamo una
proposizione con l’intento di esprimere una situazione relativistica. Usando nella medesima
proposizione termini classici e termini relativistici, usiamo e sospendiamo al tempo stesso certi
principi universali; una tale proposizione, in altri termini, non può esistere: il caso dell’alternativa
fra relatività e meccanica classica è un esempio di due sistemi concettuali incommensurabili. Altri
esempi sono teoria quantistica e meccanica classica, teoria dell’impetus e meccanica newtoniana,
materialismo e dualismo mente-corpo ecc.» (Feyerabend 1975, 228-230); così come, pur di fronte
materialmente allo stesso fenomeno, risultano incomparabili la visione galileiana che vede un
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pendolo e la visione aristotelica che vede un corpo che oscilla perché frenato nel suo impulso di
tendere al proprio luogo naturale.
4.6. conclusione 6. Abolisci la coincidenza tra scienza / metodo
4.6.1. Il principio anarchico epistemologico del “tutto va bene” si traduce nell’invito a non operare
una coincidenza tra scienza e metodo. La scienza è metodo, questa è la convinzione diffusa, al
punto che si avvia la ricerca del Metodo, da Descartes in poi, allo scopo di garantire alla scienza
verità, logica, coerenza, progresso. Feyerabend afferma con vigore come la produttività e la crescita
della scienza si devono alla sua capacità di trasgressione, irrazionalità, immaginazione ecc. La
difesa della scienza, ottenuta attraverso la sua sottrazione all’idea di un metodo unico e alle
caratteristiche formali che lo definiscono per tradizione, si spinge fino all’affermazione (e non solo
provocatoriamente [purtroppo]), in nome della massima libertà, del diritto di ogni pratica culturale
ad avere un proprio rilievo sociale, una propria difesa politica, un proprio spazio nei programmi
educativi scolastici; quindi si insegnerà fisica, astronomia, storia, ma anche magia, astrologia e
leggende; e ancora, medicina ma anche stregoneria, teoria copernicana e teoria tolemaica. Elogio di
tutti, scienza e vodù, fisica e magia, medicina e stregoneria… settori spesso accostati da Feyerabend
(anche se certo non equiparati), forse dimenticando come in questi ambiti “non scientifici” (almeno
per tradizione) si nasconda molta più cialtroneria e un maggior dogmatismo di quello che
Feyerabend (a torto o a ragione) rimprovera alla normale prassi scientifica. Riflessioni che vengono
consegnate al capitolo conclusivo del libro (cap. 18), il capitolo dei bilanci e degli auspici (e delle
provocazioni).
4.6.2. La legittimazione della proposta di abolire la coincidenza scienza/metodo è colta nella
ricostruzione di come la scienza si realizza nel tempo e nella concretezza delle situazioni contestuali
(più volte richiamate), nella varietà dei processi di scoperta, di giustificazione e di dimostrazione
(logica e retorica) di successo, di diffusione con cui la scienza legittima le proprie teorie e nella
relazione quasi antinomica tra fatti e metodo; una relazione che impone di contrastare e abbattere i
privilegi e le pretese dei portatori di un metodo unico. Occorre forse far notare che il motto “Contro
il metodo” in Feyerabend suona forse come motto “libertà per il metodo”, la scienza «non ha alcun
metodo speciale» (Feyerabend 1975, 249). «…i fatti da soli non sono abbastanza forti da farci
accettare, o rifiutare, teorie scientifiche, e il campo che essi lasciano al pensiero è troppo vasto; la
logica e la metodologia eliminano troppo, sono troppo ristrette. Fra questi due estremi è compreso
l’ambito sempre mutevole delle idee e dei desideri umani. E una analisi più particolareggiata delle
mosse che hanno successo nella partita della scienza (che “hanno successo” dal punto di vista degli
scienziati stessi) dimostra in effetti l’esistenza di un ampio ambito di libertà che esige una
molteplicità di idee e permette l’applicazione di procedimenti democratici (discussione democratica
e voto), ma che di fatto è chiuso dal potere politico e dalla propaganda. Proprio a questo punto la
favola di un metodo speciale assume la sua funzione decisiva. Esso occulta, mediante
un’esposizione di criteri “oggettivi”, la libertà di decisione che gli scienziati creativi e il pubblico
generale hanno anche all’interno delle parti più rigide e più avanzate della scienza, proteggendo
così i grossi calibri (premi Nobel, direttori di laboratori, di organizzazioni come l’Ordine
Americano dei Medici, di scuole speciali; “educatori” ecc.) dalle masse (profani; esperti in campi
non scientifici; esperti in altri settori scientifici): contano solo quei cittadini che si sono sottoposti
alle pressioni di istituzioni scientifiche (che si sono assoggettati a un lungo processo di
apprendimento), che hanno ceduto a queste pressioni (hanno superato i loro esami) e che ora sono
fermamente convinti della verità della favola scientifica. In questo modo gli scienziati hanno
ingannato se stessi e tutti gli altri sulla loro attività, ma senza alcun vero svantaggio: essi hanno più
denaro, più autorità, più sex appeal di quanto non meritino e anche i procedimenti più stupidi e i
risultati più risibili nel loro campo sono circondati da un’aura di eccellenza. È ormai tempo di
ridimensionarli e di assegnar loro una posizione più modesta nella società.» (Feyerabend 1975, 247)
Significativo, quasi come un proclama, il titolo del capitolo 7, parte seconda di Feyerabend 1978 (p.
147) «7. I profani possono e devono vigilare sulla scienza». Il principio potrebbe, forse, essere
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questo: la società, nelle sue strutture istituzionali, non decide per l’individuo ma propone e l’uomo
democraticamente controlla dispone. Afferma Feyerabend in un dibattito: «… nella società come
me la figuro io, non può darsi un’ideologia ma solo una struttura protettiva fondamentale.»
(Feyerabend 1978, 216)
4.6.3. Dunque la proposta di distinguere tra scienza e metodologia e le sue ragioni. Far coincidere
scienza e metodo razionale (coerente, logico, fondato…), come intendono fare “razionalismo
critico” (Popper) e “empirismo logico” (Circolo di Vienna), è ostacolare, indebolire se non bloccare
la scienza: «…perché la scienza è molto più “trascurata” e “irrazionale” della sua immagine
metodologica. E sono destinati a ostacolarla perché il tentativo di rendere la scienza più “razionale”
e più precisa ha, come abbiamo visto, la conseguenza di spazzarla via. La differenza fra scienza e
metodologia, che è un fatto così evidente della storia, indica perciò una debolezza della seconda, e
forse anche delle “leggi della ragione”.» (Feyerabend 1975, 146)
4.7. «… non esiste alcun “metodo scientifico”; non esiste un procedimento unico…»
«… non esiste alcun “ metodo scientifico"; non esiste un procedimento unico, una regola unica, non
esiste un criterio di eccellenza che sia alla base di ogni progetto di ricerca e che lo renda
"scientifico" e perciò fidato. Ogni progetto, ogni teoria, ogni procedimento devono essere giudicati
di per sé e secondo criteri che siano adattati ai processi di cui si occupano (cfr. in proposito i capp. 5
e 6 della parte prima). L’idea di un metodo universale e stabile e l’idea corrispondente di una
razionalità universale e stabile sono altrettanto irrealistiche quanto l’idea di uno strumento di misura
che misuri qualsiasi grandezza, in qualsiasi circostanza possibile. Nel corso della loro ricerca, gli
scienziati modificano i loro metodi, i loro procedimenti, i loro criteri di razionalità nello stesso
modo in cui modificano i loro strumenti di misura e le loro teorie. Se si vuole giudicare un risultato
o esaminare una proposta, si deve studiare la cosa nei particolari e non ci si può affidare a
considerazioni generali sulla sua “scientificità” o sulla sua “razionalità”: è questa una ragione
importante per cui la filosofia della scienza non solo non è di alcuna utilità per le iniziative di
cittadini, ma addirittura le guida in direzioni sbagliate: essa offre infatti astrazioni, limitazioni,
proibizioni alle quali nella realtà non corrisponde niente. L’argomento principale per questa risposta
è storico: non esiste neppure una regola, per quanto plausibile e “logica” possa sembrare, che non
sia stata spesso violata durante lo sviluppo delle singole scienze. Tali violazioni non furono eventi
accidentali o conseguenze evitabili dell’ignoranza e della disattenzione. Esse erano necessarie
perché, nelle condizioni date, si potesse conseguire il progresso (nel senso che a questa parola
danno gli amici delle scienze) o qualsiasi altro risultato desiderabile. […]
Ciò che sostengo è che tale sviluppo non è ancora cominciato: oggi dobbiamo praticare la scienza
senza poterci affidare a un “metodo scientifico ” stabile .
Queste osservazioni non significano che la ricerca sia oggi arbitraria o priva di una guida. Ci sono
criteri, ma essi derivano dal processo di ricerca stesso, non da teorie astratte della razionalità.»
(Feyerabend 1978, 150-151)
«Ogni agente segreto vive una vita racchiusa all’interno di un’altra ed è bene imparare un tale modo
di vivere poiché una società, anche la migliore, non consente mai la realizzazione di tutti i desideri,
di tutte le azioni, di tutte le idee, di tutti i sogni dell’uomo, e perciò noi siamo propriamente tutti
sempre degli agenti segreti, salvo il fatto che ci identifichiamo a tal punto con una dottrina
determinata che il resto della nostra anima semplicemente si estingue…» (Feyerabend 1978, 224225 Appendice Piccolo dialogo su grandi parole [discussione – dibattito pubblico del 18 gennaio
1978])
È di nuovo la sede per l’apologia dell’anarchismo metodologico: «Conclusione: né la scienza né la
metodologia dei programmi di ricerca hanno argomenti contro l'anarchismo. […] Il gusto, non
l’argomentazione, guida le nostre scelte scientifiche; il gusto, non l’argomentazione, ci fa compiere
determinate mosse all’interno della scienza (il che non vuol dire che le decisioni sulla base del gusto
non siano circondate, anzi interamente ricoperte di argomenti, proprio come un gustoso pezzo di
carne è talvolta circondato, o interamente ricoperto, di mosche). Non c'è motivo di farsi deprimere
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da una considerazione del genere. La scienza, dopo tutto, è la nostra creatura, non la nostra sovrana;
ergo, dovrebbe essere la schiava dei nostri capricci, e non il tiranno dei nostri desideri.»
(Feyerabend 1973, Tesi, 169)
«… pochi al livello di Feyerabend hanno saputo riconoscere che ciascun essere umano altro non è
se non “una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni. Ogni vita è
un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può
essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”. (Italo Calvino, Lezioni
americane, Garzanti, Milano 1988, p. 119)» Lakatos Imre, Feyerabend K. Paul, 1995, Sull’orlo
della scienza. Pro e contro il metodo, Raffaello Cortina, Milano 1995, prefazione di Giulio
Giorello, XVI); e queste note definiscono anche il fare scienza, come mostrano le analisi di
Feyerabend.
5. Scienza umanità democrazia un rinnovato incontro civile: «il ruolo della scienza in
una società libera»
«Non abbiamo … alcuna ragione per mantenere separato per sempre il programma di ricerca
Scienza dal programma di ricerca Società libera e per isolare corrispondentemente le competenze.
Un’interazione fra la scienza e le idee di una società libera o l’esercizio di un’influenza delle
seconde sulla prima (in altri termini, una democratizzazione della scienza) è non solo necessario ma
urgente — senza di esso non si potrebbero realizzare sino in fondo le idee della libertà —; nelle
scienze non c’è nulla che lo vieti (tranne forse il desiderio degli scienziati di essere ben pagati, ma
per il resto di essere lasciati in pace); molti sviluppi scientifici ebbero luogo perché si imposero
interazioni esattamente dello stesso tipo … » (Feyerabend 1978, 153)
Dalla considerazione della natura della scienza, nel suo farsi, nasce in continuazione l’invito
politico e l’obbligo etico ad introdurre la democrazia (anarchica) nella scienza; democrazia
riscoperta e individuata non solo come contesto sociale e politico che rende possibile lo sviluppo e
l’applicazione plurima della scienza, ma come anima della razionalità (e irrazionalità) scientifica:
Feyerabend Paul K. 1978, La scienza in una società libera, Feltrinelli, Milano 1981.
5.1. L’analisi storica invita a cogliere la coincidenza tra sviluppo della scienza e realizzazione
dell’umanità nella direzione della libertà.
«… essi hanno avuto successo perché non hanno permesso a se stessi di lasciarsi vincolare da “leggi
della ragione”, da “norme di razionalità” o da “leggi di natura immutabili”. Al di sotto di tutte le sue
violazioni c’è la convinzione che l’uomo cesserà di essere uno schiavo e che conseguirà una dignità
che sarà qualcosa di più di un prudente conformismo solo quando diventerà capace di uscire dalle
categorie e convinzioni più fondamentali, comprese quelle che si presume lo rendano più umano.»
(Feyerabend 1975, 156) Libertà come “immaginazione creativa”. Feyerabend cita (con proprie
integrazioni tra [ ]) Lakatos (1970 Critica e crescita della conoscenza): «“è molto difficile
sconfiggere un programma di ricerca promosso da scienziati dotati di talento e di immaginazione”.
“Se due équipe: di scienziati sono in competizione e perseguono programmi di ricerca rivali, è
probabile che abbiano più successo quelli che hanno più talento creativo [e, si dovrebbe aggiungere,
una maggiore comprensione delle condizioni sociali e della psiche degli oppositori]. La direzione
della scienza è determinata, in primo luogo, dall’immaginazione creativa e non dall’universo dei
fatti che ci circondano.”» (Feyerabend 1975, 157-158)
Sullo stesso tema e nello stile vivace (e arrischiato) di Feyerabend: «… sono convinto che
l’Umanità, e anche la Scienza, ne avrà profitto se ognuno farà quel che gli pare: un fisico può
preferire un articolo sciatto e pieno di errori a un’esposizione chiarissima, in quanto tale articolo è
un’estensione naturale della sua ricerca, ancora piuttosto disorganizzata, ed egli potrà conseguire il
successo oltre che la chiarezza molto tempo prima del suo rivale che ha giurato di non leggere mai
nemmeno una riga confusa … […] la scienza ha bisogno di persone dotate di capacità di
adattamento e di immaginazione, non di rigidi imitatori di modelli di comportamento “costituiti”.
(Feyerabend 1975, 178)
34
5.2. la conseguenza come metodo «L’idea che la scienza possa, e debba, essere gestita in
accordo a leggi fisse e universali è tanto irrealistica quanto perniciosa. È irrealistica in quanto
considera in modo troppo semplicistico le doti dell’uomo e le circostanze che ne incoraggiano, o
causano, lo sviluppo. Ed è perniciosa in quanto un tentativo di imporre le regole è destinato ad
aumentare le nostre qualificazioni professionali a scapito della nostra umanità. Tale idea è inoltre
dannosa per la scienza, in quanto trascura le complesse condizioni fisiche e storiche che influiscono
sul mutamento scientifico. Essa rende la nostra scienza meno adattabile e più dogmatica: ogni
regola metodologica è associata ad assunti cosmologici, cosicché usando la regola diamo per
scontato che gli assunti siano giusti. Il falsificazionismo ingenuo dà per scontato che le leggi della
natura siano manifeste e non nascoste dietro disturbi di grandezza considerevole. L’empirismo dà
per scontato che l’esperienza sensoriale sia uno specchio del mondo migliore del pensiero puro.
L’elogio del ragionamento dà per scontato che gli artifici della Ragione diano risultati migliori che
non il libero gioco delle nostre emozioni. Tali assunti possono essere perfettamente plausibili e
anche veri. Di tanto in tanto li si dovrebbe in ogni caso sottoporre a verifica. Sottoporli a verifica
significa che dovremmo smettere di usare la metodologia ad essi associata, cominciare a praticare la
scienza in un modo diverso e vedere che cosa succede. Studi di casi come quelli riferiti nei capitoli
precedenti dimostrano che verifiche del genere hanno luogo continuamente e che danno risultati
contrari alla validità universale di ogni regola. Tutte le metodologie hanno i loro limiti di
applicazione e l’unica “regola” che sopravvive è “qualsiasi cosa può andar bene”.» (Feyerabend
1975, 240-241)
«…liberiamo la società dalla presa soffocante di una scienza ideologicamente fossilizzata, come i
nostri antenati ci hanno liberati dalla presa soffocante dell’Unica Vera Religione! La via verso
quest’obiettivo è chiara. Una scienza che pretende di possedere l’unico metodo corretto e gli unici
risultati accettabili è ideologia e dev’essere separata dallo stato e specialmente dal processo
dell’istruzione.» (Feyerabend 1975, 251)
«“Le condizioni esterne”, scrive Einstein [Albert Einstein, scienziato e filosofo, Einaudi, Torino
1958], “che... si pongono [allo scienziato], non gli consentono di lasciarsi limitare, nella costruzione
del suo mondo concettuale, dalla sua fedeltà a un sistema gnoseologico. Egli deve perciò apparire
inevitabilmente un opportunista senza scrupoli agli occhi di un epistemologo sistematico...”
(Feyerabend 1978, 206)
5.3. la situazione nuova di una “scienza democratica”.
«Si ammette in generale che una società democratica non può essere lasciata in balia delle
istituzioni che contiene; essa deve al contrario esercitare un’opera di vigilanza e di controllo su di
esse. I cittadini e i gruppi di cittadini che esercitano il controllo devono indagare costantemente
sulle conquiste e gli effetti delle istituzioni più potenti, giudicare e, in caso di bisogno, correggere.»
(Feyerabend Paul K. 1978, La scienza in una società libera, Feltrinelli, Milano 1981, 11)
5.3.1. La democrazia nella scienza non si presenta come un elemento esterno o estrinseco al
metodo, ma diventa un contesto di ripensamento e rifondazione della scienza stessa nelle sue
modalità e nei suoi scopi. La situazione può essere ricostruita in una sequenza storica in due tappe
ipotetiche: 1. La scienza ha lottato per la propria autonomia: l’autonomia della scienza in termini di
autocontrollo è il risultato di una lunga lotta per la propria indipendenza e libertà nei confronti della
religione, della politica, della tradizione… 2. la difesa di questa autonomia per se stessa (senza
domande sul suo scopo) rischia di far diventare la scienza come una “nicchia” autosufficiente, una
fede, una religione, una chiesa … in separazione dalla società e dalle sue complesse componenti, in
antitesi al tema e alle urgenze della libertà nella democrazia. 3. perciò la proposta di introdurre un
potere decisionale della società democratica nell’esercizio della prassi scientifica. Introdurre la
democrazia come fatto intrinseco della scienza non significa demolire regole specifiche della
scienza. Si tratta di una apertura destinata a rispettare la natura libera della scienza sottraendola ad
un destino servile nei confronti di una classe politica, di una tendenza economica, di una tradizione
35
storicamente dominanti. Una introduzione che va di pari passo con l’affermazione del legittimo
pluralismo dei metodi e delle tradizione; aprire ad un simile pluralismo significa
contemporaneamente negare a ciascuna impostazione la pretesa di essere portatrice di una verità
assoluta, definitiva ed unica.
5.3.2. Quindi Feyerabend pone la “domanda centrale” tema dominante del testo/saggio La scienza
in una società libera: «In tal modo siamo tornati al nostro problema originario: come può un
cittadino giudicare le proposte delle istituzioni che lo circondano, che vivono del suo denaro e che
plasmano la sua esistenza, e come può giudicare tali istituzioni stesse? Egli ha bisogno di criteri e di
punti di riferimento: ce lo sentiamo ripetere continuamente dai nostri intellettuali. Ma quali criteri
sceglierà? La risposta che io do, spiego e difendo in questo libro suona come segue: in una società
libera un cittadino utilizza i criteri della tradizione cui appartiene… […] Anche in questo caso
dipenderà da tradizione a tradizione in che modo esse riescono a venire a capo di queste limitazioni
e di quali vantaggi sono in grado di trarne. La libertà di una società aumenta esattamente nella
stessa misura in cui diminuisce la limitazione della libertà di azione delle tradizioni in essa
contenute. Si osservi quanto questo atteggiamento si differenzi da quello di certi “pensatori". Essi
(cioè sociologi, politologi, filosofi, cristiani, razionalisti, marxisti) pongono domande come queste:
“Noi vogliamo giudicare le istituzioni della società. A tal fine usiamo criteri (o criteri ‘razionali’,
per usare una formula abituale). Ma quali criteri sono quelli giusti? E come trovarli?” Essi pongono
le domande e suppongono dunque che esista un problema; che il problema riguardi in ugual misura
tutti gli uomini; e che essi siano le persone giuste per capire, formulare e risolvere tale problema
generale. Per loro è semplicemente ovvio che le loro proprie tradizioni di discussione, costruzione e
miglioramento dei criteri siano le uniche tradizioni che valga la pena di considerare. Ci troviamo
così di fronte a una risposta stalinista, non a una risposta democratica.» (Feyerabend 1978, La
scienza in una società libera, 13-15)
5.3.3. la tesi viene sostenuta sulla base di tre principi o constatazioni:
5.3.3.1. «Le scienze non sono condizioni della razionalità, della libertà, non sono condizioni
dell’istruzione, sono merci. Gli scienziati stessi sono venditori di queste merci, non giudici del vero
e del falso. Essi sono servitori della società retribuiti molto bene, vengono assunti per risolvere certi
problemi limitati, e invero sotto la sorveglianza dei cittadini, i quali sono i soli a decidere sulla
natura dei problemi e sul modo della loro risoluzione.» (Feyerabend 1978, 17)
5.3.3.2. «Un secondo argomento a sostegno di un relativismo democratico è strettamente connesso
agli argomenti a favore del pluralismo delle teorie da me sviluppati nel capitolo 3 di CM. Il concetto
fondamentale è che una società che possiede molte tradizioni mette a disposizione del cittadino
mezzi migliori per giudicare tali tradizioni rispetto a una società che possiede un’unica ideologia
fondamentale. Le società “primitive” ci insegnano che esistono modi migliori per provvedere agli
anziani, per trattare gli elementi “criminali”, per curare le malattie mentali di quelli che noi
conosciamo e usiamo oggi.» (Feyerabend 1978, 18)
5.3.3.3. «Un terzo argomento deriva direttamente dal secondo. Punti di vista, idee, procedimenti
scientifici non solo sono incompleti — in quanto trascurano fenomeni importanti —, non solo
compiono errori in campi molto lontani dal centro della loro competenza; ma spesso sono fuori
strada proprio in tale centro.» (Feyerabend 1978, 19)
5.3.4. La posizione di Feyerabend a strenua difesa della libertà più ampia nella scienza, condizione
vera del suo autentico progresso, si difende solo se si fuga l’impressione che anche le sue riflessioni
sul metodo contengano delle condizioni o indicazioni di metodo. Quindi per evitare questa
contraddizione e quindi l’impressione che le sue tesi possano risultare prescrittive e perciò
dogmatiche, Feyerabend (come già indicato per il suo più noto enunciato “anything goes” e per le
interpretazioni che ne sono state fatte divulgativamente) segnala in generale la propria prospettiva:
«Non era però mia intenzione dimostrare ciò che è logicamente possibile, bensì ciò che si verifica di
fatto nel processo storico “scienza”.» (Feyerabend 1978, 28) E, in modo esplicito (seppure in nota):
«Questo non è un principio assoluto, ma un assunto che viene introdotto provvisoriamente ai fini
dell’esposizione. Tutti gli assunti che compaiono nei miei argomenti hanno questo carattere. […] Io
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ho invece insinuato una grande quantità di idee nuove, nascondendole per di più dietro lo scherzo.»
(Feyerabend 1978, 68, 82) Da questa prospettiva il problema allora che emerge è: «Perveniamo così
a un problema che non è mai stato discusso esplicitamente in CM, anche se è alla base di tutte le
argomentazioni in esso usate: il problema del rapporto tra ragione e prassi.» (Feyerabend 1978, 30)
(Per annotazione, è questo a diventare il problema centrale dell’opera di Habermas Jürgen 1992
Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini e
Associati, Milano 1996.)
5.3.4.1. Una risposta dalla storia dei metodi: «… possiamo confrontare gli svantaggi del
naturalismo e dell’idealismo e sviluppare un punto di vista più soddisfacente. Per il naturalista la
ragione è determinata completamente dalla ricerca. Di ciò conserviamo l’assunto che la ricerca
può modificare la ragione. Per l’idealista la ragione è la guida della ricerca. Da ciò ricaviamo l’idea
che la ragione esercita un’influenza sulla ricerca. La connessione dei due elementi conduce all’idea
di un filo conduttore che appartiene all’attività che viene guidata e che viene modificato da essa.
Ciò corrisponde alla teoria dell’interazione di ragione e prassi, che fu spiegata nel capitolo 3 e che
fu illustrata con l’esempio di una carta geografica.» (Feyerabend 1978, 66)
5.3.4.2. Una risposta di contesto sociale: «Il rapporto di ragione e prassi sarà risolto perciò in una
società libera non in modo teorico, cioè attraverso la costruzione di una teoria, ma in modo pratico,
ossia attraverso decisioni (le quali però si fonderanno spesso su riflessioni teoriche e potranno
condurre a risultati teorici).» (Feyerabend 1978, 32) Una specie di circolo “virtuoso” in quanto
produttivo, autodefinentesi e autoalimentantesi. [cfr capitolo 3. Ragione e prassi]
5.3.4.2. Una conseguenza di “politica” scientifica: negata la coincidenza di scienza e ragione e
presentata la formazione della ragione scientifica in rapporto con la sua prassi storica, prende forma
per conseguenza la tesi del suo relativismo: «Il relativismo è una componente importante di tale
cornice: una società libera è una società relativistica.» (Feyerabend 1978, 33 [e cfr 34, 66] [cfr
capitolo 4. Il relativismo]). La riflessione sul ruolo delle tradizioni diventa la sede per una
definizione analitica del tema del relativismo e del suo legame con l’idea di una società libera.
5.3.5. «Le tradizioni e la loro funzione» in una società democratica, cioè libera e per una scienza
libera.
«La tesi che sarà introdotta, spiegata e giustificata nei due capitoli seguenti è questa: il contrasto fra
ragione e prassi o fra ragione e tradizione o fra razionalità e “storia” non è un contrasto fra istanze
qualitativamente diverse — per esempio fra un materiale storico cresciuto in modo casuale da un
lato e forme del pensiero costruite in modo cosciente dall’altro —, ma fra tradizioni, le quali d’altra
parte vengono considerate diversamente e applicate in modo diverso. Il tentativo di una società o di
un gruppo di uomini, o persino quello di un singolo, di riformare “l’uomo”, “la scienza”, “la
filosofia” secondo principi razionali, non è nient’altro che il tentativo di soppiantare o di
trasformare una tradizione per opera di un’istanza che in verità è anch’essa “solo” una tradizione,
ma che, in conseguenza della particolare prospettiva dei riformatori, non appare come una
tradizione. Se questa dimostrazione riuscirà, sarà chiaro che la ragione non è un criterio del nostro
pensiero e della nostra azione, bensì una forma particolare di pensiero e di azione, sullo stesso piano
con altre forme di pensiero e di azione.» (Feyerabend 1978, 34)
Nel pluralismo delle tradizioni, e in assenza di appoggi esterni (metafisici e/o dogmatici), si colloca
la sede della definizioni di una prassi di metodo sulla base del confronto: «… il problema non è
quello dell’interazione fra una prassi e un punto d’appoggio esterno a tutte le tradizioni e a tutte le
pratiche, ma quello dello sviluppo di una tradizione sotto l’influenza di un’altra. Il modo in cui la
scienza tratta i suoi problemi e rivede i suoi criteri ci mostra che quest’immagine corrisponde alla
realtà.» (Feyerabend 1978, 66)
Occorre una precisazione preliminare a fugare facili e diffusi fraintendimenti nei confronti del
termine relativismo: «Io designo questa concezione il relativismo di Protagora.» (Feyerabend 1978,
112); cioè il relativismo non è assenza di valori ma l’affermazione di ambiti di valore: ha valore
relativamente a… solo in tal caso il valore trova realizzazione. Una proclamazione del valore (di
una massima, di un metodo, di una legge) di carattere assoluto contribuisce ad un suo
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indebolimento se non vanificazione vista la necessità, imposta dal reale, di introdurre deroghe,
eccezioni, casi particolari, distinguo… nei suoi confronti; strategia che di fatto ne annulla la
presenza o la riducono a semplici (e ipocrite) enunciazioni formali, passivamente proclamati per
condivisa abitudine.
5.3.5.1. il principio libertario per le tradizioni e il ruolo del sociale che lo sostiene: «Una società
libera è una società nella quale tutte le tradizioni hanno uguali diritti e uguale accesso ai centri
dell'istruzione e ad altri centri di potere. […] Una società libera non si fonda (se non
provvisoriamente) su una fede particolare o su una particolare filosofia; per esempio: non si fonda
su riflessioni razionali. Il fondamento di una società libera non è una religione o una filosofia, per
quanto elevata o umanitaria, bensì una struttura protettiva. Questo fondamento non dà alla
convivenza alcun contenuto, ma la preserva da influenze perturbatrici. Funziona come una
ringhiera, non come una convinzione. […] I dibattiti, le discussioni, gli scambi che fondano una
società libera sono procedimenti liberi, non procedimenti guidati » (Feyerabend 1978, 59, 60)
Si tratta di principi e fondazioni che garantiscono pari trattamento e libero scambio alle tradizioni in
quanto anche, contestualmente, attraverso la garanzia di un libero pluralismo e aperto confronto,
contrastano la pretesa assolutistica facilmente presente nelle tradizioni culturali soprattutto in quelle
socialmente maggioritarie.
5.3.5.2. Persiste l’impressione che in ricorrenti osservazioni e provocazioni, a volte consegnate a
termini di sferzante irriverenza al limite dell’insulto (come «… a un paio di nostri contemporanei
non troppo intelligenti e piuttosto limitati […] Lettori della domenica, analfabeti e propagandisti.
[…] Soltanto l’ignoranza, l’arroganza, o un raziofascismo incolto… Perché accade che gli uomini
abbiano l’aspetto più stupido proprio mentre svelano le loro “convinzioni” più profonde? Il gioco
delle convinzioni, quale viene giocato in Occidente, è una regressione nella bestialità?» Feyerabend
1978, 60, 81, 83, 182), che nelle tesi di Feyerabend, la razionalità e la coerenza possano diventare
sinonimo di oppressione e dittatura (come ove afferma: «il razionalismo non appartiene alla
struttura fondamentale di una società libera» Feyerabend 1978, 60), mentre il paradosso, la
contraddizione e l’irrazionalità (e, nella scienza, una sorta di pari libertà alla stregoneria, «guaritore
che pratichi l’imposizione delle mani» [Feyerabend 1978, 61], come alla medicina condivisa, alla
astrologia come alla astronomia… a giudizio libero dei fruitori) siano sinonimo di libertà, in termini
di un manifesto anti-illuminista; se una razionalità imposta è oppressiva, in quanto sempre legata a
forme storiche particolari e dunque nega la ragione, l’attacco e l’abbandono della razionalità, così
come di un metodo, lasciano alla proprie spalle tragedie e non di poco conto (lo stesso Feyerabend
usa il termine “irrazionalità” come un inaccettabile difetto come quando denuncia «l’irrazionalità di
alcune norme che vengono di solito considerate fondamentali» Feyerabend 1978, 65).
5.4. il contesto del progresso scientifico in una società etica libera, nelle decisioni dei suoi
cittadini.
L’obiettivo di Feyerabend è sempre libertario, volto ad escludere che «teorie presentate siano
vincolanti per tutti coloro che vivono nello stesso Stato» (Feyerabend 1978, 62), diventerebbero un
vincolo per la stessa scienza che ha nella democrazia il proprio criterio di crescita e di controllo.
(L’attacco è rivolto ad un sistema educativo dominante che fa della ripetizione ossessiva di modelli
tradizionali consolidati l’unico metodo di apprendimento, implicitamente, o esplicitamente,
disprezzando o sottovalutando le individuali capacità di pensiero e di proposta; sullo sfondo si può
cogliere ancora la critica di Feyerabend nei confronti della distinzione tra “scienza normale” e
“rivoluzione scientifica”, tra “pensiero convergente” e “pensiero divergente”, tra “dogma e critica”
e nei confronti del ruolo indispensabile che Kuhn attribuisce alla tradizione e al “dogma” nella
produzione scientifica e nel processo educativo, di cui lo stesso Kuhn si occupa brevemente nel
saggio La tensione essenziale, Einaudi, Torino 2006, 88).
«Le obiezioni si fondano tutte sulla supposizione che fondamentali problemi dello Stato e della
società si possano risolvere indipendentemente dalle circostanze nelle quali emergono, che la
soluzione consista nella presentazione di teorie (teorie morali incluse) e che le teorie presentate
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siano vincolanti per tutti coloro che vivono nello stesso Stato, anche quando questi uomini non
hanno alcuna opportunità di collaborare alla loro investigazione e di influire su di esse nel senso
delle loro proprie idee e tradizioni. Gli intellettuali considerano inoltre ovvio che solo le loro teorie
contino. Esse sono il criterio per giudicare tutte le proposte e quindi anche la società nel suo
complesso. Io respingo decisamente questo assunto. In una società libera i problemi si risolvono
non con teorie ma attraverso le decisioni degli individui toccati dai problemi. Le decisioni sono
naturalmente influenzate da teorie, ma non spetta a queste l’ultima parola. L’ultima parola
appartiene alla decisione dei liberi cittadini, la quale dipende a sua volta dalle tradizioni dei cittadini
e dalla visione, condizionata da tali tradizioni, che essi hanno di problemi e proposte di soluzione:
questa decisione è anticipatrice, non conservatrice (cfr. la spiegazione dei concetti a p. 24) e la
collaborazione fra tradizioni è libera, non guidata (p. 58). Vengono rifiutati tutti i tentativi compiuti
da gruppi particolari di manipolare l’uomo per renderlo “più critico”, “più pio”, “più umano” ecc.,
nella misura in cui questi tentativi si fondano su istituzioni statali: la qualità dell’uomo è cosa che
non riguarda lo Stato. Si deve però naturalmente prestare ascolto a intellettuali e a preti, profeti,
stregoni, i quali hanno tutti cose importanti e interessanti da dire. Non criteri razionalistici, non
convinzioni religiose, non emozioni umane, ma iniziative di cittadini sono il filtro che separa idee e
misure utilizzabili da idee e misure inutili. Viene raccomandata una società priva di principi, la
quale non solo rispetti le tradizioni, ma le chiami a collaborare e imponga principi diversi da un
caso all’altro. La migliore educazione consiste nella partecipazione a tutti gli aspetti del processo
sociale, compresa la valutazione di teorie scientifiche. Se questa libertà trasforma gli uomini in
bestie, questo è affar loro, ed essi non devono esserne impediti da alcun dio terreno e tanto meno da
coloro che per professione si propongono di correggere il mondo. Essi hanno l’opportunità di
influire sui loro concittadini in veste di persone private; un’influenza maggiore non è loro
consentita.
In questo saggio spiegheremo e difenderemo solo una minima parte di questo punto di vista, ossia le
conseguenze che esso comporta per la valutazione del razionalismo e della scienza. Cominciamo la
spiegazione proseguendo l’argomentazione di CM: al loro apogeo le scienze erano così libere e
prive di principi come la forma sociale che abbiamo fin qui descritta in breve. Da esse il
razionalismo non può quindi attendersi alcun aiuto.» (Feyerabend 1978, 61- 63)
«Sono i cittadini a decidere in quale misura il pensiero degli intellettuali può influire sulle nostre
tradizioni e dove una tale influenza debba cessare.» (Feyerabend 1978, 197)
5.4.1. effetti di metodo: «In fisica le teorie sono tanto descrizioni quanto anche criteri della
speculazione e della rispondenza ai fatti. Gli strumenti di misura vengono costruiti in accordo con
leggi e le loro letture vengono corrette nell’ipotesi che tali leggi siano giuste. Le leggi sono criteri
per la correzione di strumenti di misura. Analogamente le teorie ci forniscono principi fisici e
quindi criteri per la correzione di altre teorie: le teorie invarianti relativisticamente sono da
preferirsi a teorie che non soddisfano il principio della relatività. I criteri non si sottraggono alla
critica. Essi possono essere investigati ed eliminati. Il criterio dell’invarianza relativistica, per
esempio, incorre in difficoltà non appena si scopre che la teoria della relatività presenta
insufficienze gravi e che forse esistono sistemi di riferimento assoluti. Tali insufficienze vengono in
luce talvolta a un esame diretto della teoria, per esempio attraverso un’analisi della sua struttura
matematica o delle sue predizioni. Uno strumento di critica migliore è lo sviluppo di alternative
(cfr. CM, cap. 3), ossia di procedimenti di ricerca che violino il criterio in esame.» (Feyerabend
1978, 67)
5.4.2. in conclusione: per una libertà di metodo contro la tentazione dogmatica inclusa nella logica
dell’abitudine e delle convinzioni: «Il mondo, in definitiva, non ci è dato direttamente, ma
dobbiamo comprenderlo, con l’aiuto di tradizioni. Persino le argomentazioni cosmologiche sono
perciò strettamente connesse con determinate fasi della competizione fra teorie (comprese le teorie
della razionalità). Spesso accade che gli scienziati si abituino a certi criteri, che dimentichino le
ragioni che hanno condotto alla loro introduzione e che inclinino dunque a considerarli come
“premesse della ricerca” e addirittura come l’“essenza della scienza”. In questo orientamento sono
39
sostenuti con energia dai filosofi della scienza, i quali non solo condividono questa smemoratezza
degli scienziati, ma, facendo di necessità virtù, espongono “sistematicamente” i criteri separati dalle
loro ragioni e tentano di dimostrare che e come essi possano essere derivati da criteri più generali, le
cosiddette teorie della razionalità. Essi non sono solo analfabeti, ma sono analfabeti sistematici. E
poiché l’analfabetismo è sempre più diffuso di una conoscenza approfondita dei limiti di criteri e
delle circostanze della loro invenzione, ben presto diventa molto difficile introdurre quelle teorie
che solo potrebbero indicare tali limiti. Questa combinazione di acutezza logica e di ignoranza
storica oppone alla critica dei metodi scientifici un muro di ostacoli spesso quasi insuperabile.»
(Feyerabend 1978, 68); (una strana sorpresa; riferendosi al mondo Feyerabend afferma dunque
anche: «… dobbiamo comprenderlo, con l’aiuto di tradizioni»; quelle tradizioni tuttavia che, in
termini di tradizioni delle teorie scientifiche e di tutta la cultura che ne ha permesso la nascita,
vengono o venivano dichiarate inutili in Contro il metodo, cfr. Feyerabend 1975, 143-145; qui
riportato in 4.5.2.)
6. appendice di bilancio generale sulle linee della filosofia e metodologia della
scienza contemporanea, con particolare riferimento alla riflessione di Feyerabend (e ai problemi
che le sue proposte/analisi lasciano in consegna). Da Shapere Dudley Significato e mutamento
scientifico, in Hacking Ian (a cura) 1981, Rivoluzioni scientifiche. Feyerabend, Hacking, Kuhn,
Laudan, Popper, Putnam, Shapere (prefazione di Giulio Giorello), Laterza, Roma-Bari 1984.
6.1. elementi condivisi. «Pare così che almeno le tesi seguenti siano condivise da un certo numero
di fautori della «nuova filosofia della scienza» (compreso fra gli altri, come vedremo, Feyerabend):
a) Una teoria della presupposizione di significato: i significati di tutti i termini scientifici, siano essi
«fattuali» (“osservativi”) o «teorici», sono determinati dalla teoria o paradigma o ideale di ordine
naturale che è alla loro base o in cui essi sono incorporati. Questa tesi è in opposizione alla
concezione tradizionale dell’empirismo logico che pone una distinzione assoluta, indipendente dalla
teoria adottata, fra «termini teorici» e «termini osservativi»; questi ultimi avrebbero i medesimi
significati, o almeno un nucleo, di significato comune, per tutte le teorie scientifiche…
b) Una teoria della presupposizione di problemi che definisca il campo dell’investigazione
scientifica e di ciò che può essere considerato una spiegazione nella soluzione di tali problemi.[…]
c) Una teoria della presupposizione della rilevanza di certi fatti per la teoria, e del grado di
rilevanza (cioè dell’importanza relativa di fatti diversi) e, in generale, dell’accettabilità o
inaccettabilità di conclusioni scientifiche diverse (di diverse leggi, teorie, predizioni).» (Shapere
Dudley Significato e mutamento scientifico 62-63)
6.2. posizione di Feyerabend. «Feyerabend fonda la sua posizione su un attacco a due principi
conseguenti alla teoria della spiegazione che è «una delle pietre angolari dell’empirismo filosofico
contemporaneo». Questi due princìpi sono: (1) la condizione della coerenza: «Sono ammissibili in
un dato ambito solo quelle teorie [...] che o contengono le teorie già usate in tale ambito o sono
almeno coerenti con esse all’interno di tale ambito»; (2) la condizione dell’invarianza di significato:
«i significati dovranno essere invarianti rispetto al progresso scientifico; ossia, tutte le teorie future
dovranno essere formulate in modo tale che il loro uso nella spiegazione non influisca su ciò che è
detto dalle teorie o dai rapporti fattuali che devono essere spiegati » [Feyerabend, I problemi
dell’empirismo, pp. 163-164].
In opposizione a queste due condizioni, Feyerabend sostiene (1) che le teorie scientifiche sono, e
devono essere, incoerenti fra loro, e (2) che «il significato di ogni termine da noi usato dipende dal
contesto teorico in cui esso appare. Le parole non "significano" qualcosa considerate isolatamente;
esse acquistano i loro significati dall’essere parte di un sistema teorico» [I problemi dell’empirismo,
p. 180]. Questa dipendenza del significato dal contesto teorico si estende anche a quelli che sono
classificati come «termini osservativi»; tali termini, come qualsiasi altro, dipendono per i loro
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significati dalle teorie nelle quali compaiono. I significati di termini teorici non dipendono (come
veniva sostenuto nella tradizione dell’empirismo logico) da una loro interpretazione nei termini di
un linguaggio d’osservazione precedentemente inteso; al contrario, l’opinione di Feyerabend
implica un rovesciamento: «nella relazione fra teoria e osservazione. Le filosofie che abbiamo
discusso finora [ossia le varie versioni dell’empirismo] supponevano che le proposizioni di
osservazione abbiano un significato per sé, che teorie mantenute separate dalle osservazioni non
abbiano un significato, e che tali teorie ottengano la loro interpretazione attraverso il rapporto a un
qualche linguaggio osservativo che possegga un’interpretazione stabile. Secondo il punto di vista
che io sto sostenendo, il significato delle proposizioni osservative è determinato dalle teorie a cui
esse sono connesse. Le teorie hanno un significato che è indipendente dalle osservazioni; le
proposizioni osservative non hanno un significato, a meno che non siano connesse con teorie. [...]
È perciò la proposizione osservativa ad aver bisogno di essere interpretata, e non la teoria [I
problemi dell’empirismo, p. 213].
Che dire, dunque, dell’opinione tradizionale dell’empirismo secondo cui una teoria dev'essere
controllata mediante il confronto con fatti obiettivi (indipendenti dalla teoria) e secondo cui una
teoria viene adottata a preferenza di un’altra perché è più adeguata ai fatti, fatti che sono gli stessi
per entrambe le teorie? Un tale confronto fattuale, ci dice Feyerabend, non funzionerà per le teorie
scientifiche più fondamentali…
La dipendenza dei significati dalla teoria, unitamente al fatto che ogni teoria specifica il suo proprio
linguaggio osservativo, implica, secondo Feyerabend, che «ogni teoria avrà la sua propria
esperienza » [I problemi dell’empirismo, p. 214]. Ciò non impedisce però che i fatti rivelati da una
teoria siano rilevanti per un’altra teoria. Ciò significa, agli occhi di Feyerabend, che per criticare
teorie di sfondo di alto livello, «dobbiamo scegliere un punto esterno al sistema o al linguaggio
difesi, allo scopo di farci un’idea di come dovrebbe apparire una tale critica» [I problemi
dell’empirismo, p. 151]. È necessario sviluppare teorie alternative: «Non solo la descrizione di ogni
singolo fatto dipende da una qualche teoria [...], ma esistono anche fatti che non possono essere
portati in luce se non con l’aiuto di alternative alla teoria che dev’essere sottoposta a controllo e che
cessano di essere disponibili non appena tali alternative vengano escluse [I problemi
dell’empirismo, p. 175]. Tanto la rilevanza quanto il carattere confutatorio di molti fatti decisivi
possono essere stabiliti solo con l’aiuto di altre teorie che, pur essendo adeguate al livello dei fatti,
non siano in accordo con la concezione che dev’essere sottoposta a controllo. [...] L’empirismo
richiede che il contenuto empirico di qualsiasi nostra conoscenza venga accresciuto il più possibile.
Perciò l’invenzione di alternative che si aggiungano all’opinione che sta al centro della discussione
costituisce una parte essenziale del metodo empirico [I problemi dell’empirismo, p. 176].
Un empirismo adeguato richiede perciò di per sé lo sviluppo particolareggiato del maggior numero
possibile di teorie alternative diverse, e «questa [...] è la giustificazione metodologica di una
pluralità di teorie» [I problemi dell’empirismo, p. 150]. Poiché i significati variano col contesto
teorico, e poiché lo scopo di un tale pluralismo teorico è quello di portare in luce fatti che, pur
essendo rilevanti per la teoria in considerazione, non possono essere espressi nei termini di tale
teoria, e sfuggirebbero di solito all’attenzione dei suoi fautori (o di coloro che parlano un tale
linguaggio), ne segue che non possiamo accontentarci di alternative «create negando
arbitrariamente ora questa ora quella componente del punto di vista dominante» [I problemi
dell’empirismo, p. 149]. Al contrario, «le alternative saranno tanto più efficienti quanto più
radicalmente differiranno dal punto di vista che dev'essere investigato» [ibid.]. In effetti, «è meglio
considerare sistemi concettuali tutti i caratteri dei quali si discostino dal punto di vista accettato»,
anche se «l’incapacità di conseguire questo risultato in un singolo passo non comporta l’insuccesso
del nostro programma epistemologico» [I problemi dell’empirismo, p. 254]. Così «il progresso
della conoscenza potrebbe aver luogo mediante un processo di sostituzione, che non lasci neppure
una pietra che non sia stata rivoltata, piuttosto che per sussunzione. […] Uno scienziato o un
filosofo dovrebbe essere libero di ricominciare completamente da capo e di ridefinire
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completamente il proprio campo di investigazione» [I problemi dell’empirismo, p. 199].» (Shapere
Dudley Significato e mutamento scientifico 65-67)
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