CONOSCERE L'ISLAM L’intento di questo articolo è quello di offrire al lettore spunti di riflessione su un tema come quello dell’Islam, che per la sua complessità e molteplicità richiederebbe, per essere esaustivo, un luogo concettuale e di elaborazione che va al di là di quello che può offrire lo spazio di un articolo. Nella consapevolezza del limite che questa trattazione avrà, si citeranno autori e opere che potranno completare e chiarire i vari punti affrontati. Tranne che negli studi specialistici, si è sempre guardato all’Islam come ad un blocco unico, monolitico. L’Islam è invece qualcosa di variegato, multiforme, basti pensare alle diversità tra sunniti e sciiti1 o alle diverse “confraternite sufi”. Pertanto, per affrontare in modo conciso tale tema, si cercherà di presentare gli elementi che tali correnti hanno in comune, tentando, dove è possibile, di mostrare i punti di contatto con il Cristianesimo e le diverse interpretazioni che sono state elaborate a riguardo. Iniziamo dal termine utilizzato per denominare questa religione: nell’Islam non esiste una parola corrispettiva alla nostra per definire la propria religione. L’universo del mondo religioso islamico è dentro a due parametri: uno è il din (indica religione, ma etimologicamente significa “debito da pagare a qualcuno”) e l’altro è la stessa natura umana, che, in quanto creata da Dio, fa sì che ogni soggetto nato sia configurato islamicamente, in quanto il precostituito di ogni uomo è già ordinato e prefigurato all’Islam2. Questi due termini, insieme a prassi e dawlah (“statalità”), indicano l’universo islamico. Il compimento di questi elementi dà vita alla politica, all’economia politica di Dio nella storia, cioè alla costruzione della “città virtuosa”. E’ per questo che quando si parla di Islam occorre parlare di “ortoprassi” e non di etica, perchè per essere musulmani bisogna essere configurati nell’ortoprassi. Per comprendere il significato di tale concetto bisogna capire che l’Islam è una domanda di guida dell’esistere, di indicazione di via, ma non è domanda su Dio, la cui credibilità si fonda sulla fede del Veridico che si chiama Allah. E’ etica da Dio, non di Dio, che non diventerà mai ethos. La connotazione etica è quella dell’abd, il servo, nelle mani del suo Padrone che deve accettare la shari’a. La domanda non è prettamente religiosa: da Dio il credente è sottomesso al Veridico. Il rapporto tra l’uomo e Dio è determinato da un Patto che viene liberamente offerto dal Signore all’uomo. L’uomo, “schiavo e servo di Allah” una volta che ha accettato di diventare credente è chiamato a mettere in pratica le disposizioni che ha ricevuto da Allah. L’idea del patto non solo è alla base dei rapporti tra Dio e gli uomini, ma viene estesa e serve a fondare anche le altre relazioni sociali, per esempio quale dev’essere il rapporto con il potere temporale dei khalifa, cioè i vicari del Profeta, o con l’imam, cioè la guida dei credenti o perfino la guida tra musulmani e non. La shari’a, cioè la “Legge rivelata da Dio”, deve essere presa dal credente come guida nella manifestazione pratica della sua fede e della sua condotta, in vista della ricompensa finale nell’aldilà. La shari’a trova il suo fondamento e la sua autorevolezza dal Corano e dalla sunna, cioè la “Tradizione” profetica composta dagli hadit, cioè i “detti e i fatti” del Profeta. Essa distingue tra gli ibadat e i mu’amalat. Gli ibadat sono le norme che riguardano le manifestazioni del rapporto tra uomo e Dio e sono essenzialmente i cosidetti 5 “pilastri dell’Islam”, gli arkan al-din, che rimangono eterne e immutabili. A ciò si aggiunge la shahada, cioè la “proclamazione libera individuale e pubblica della proposizione enunciatrice della fede, “non c’è dio se non Dio e Muhammad è il Suo inviato” 3, che è l’unico vero dogma dell’Islam e ribadisce e conferma l’unicità assoluta di Dio, mentre tutti gli altri sono doveri fondamentali, cioè obblighi collettivi che regolano la vita del fedele e riguardano prassi 1 I contrasti tra questi sono così radicati da scatenare rappresaglie e violenze. Vengono sistematicamente riportate sui media notizie di attacchi reciproci tra le due comunità. 2 Corano VII, 172 3 Vercellin G., Istituzioni del mondo musulmano e non dogmi. Perciò, riallacciandoci a quello che era stato precedentemente anticipato, si deve parlare di “ortoprassi”, cioè di esistenza di una base comune di pratiche e rituali, piuttosto che di ortodossia intesa come perfetta conformazione e accettazione di dogmi e credenze 4. Queste prassi rituali sono: la preghiera, l’astinenza (Ramadan), il pellegrinaggio e l’elemosina. Tra gli obblighi collettivi, a cui si devono conformare gli uomini, viene indicato anche quello del Jihad. La parola Jihad significa “sforzo su di sé in vista del perfezionamento morale e religioso”. Ha connotazioni complesse e almeno tre significati: combattimento contro se stessi, lotta per l’espansione dell’Islam (dunque combattimento contro gli infedeli) e combattimento contro i cattivi musulmani (“sempre, lotta sulla via di Dio.”5 ). Gli mu’amalat, invece, stabiliscono le norme che devono guidare le azioni e le relazioni del credente con gli altri esseri umani e vanno a coprire tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica della comunità. Non sono eterni e immutabili come gli arkan al-din e, quindi, possono cambiare in base ai diversi tempi e luoghi, ma sempre in conformità allo spirito della shari’a. In linea teorica, secondo una visione diacronica, è riconosciuta la possibilità dell’attuazione di diverse forme di Islam. Ciò che viene considerato basilare in questa possibile diversificazione è il fatto di tenere fermi gli arkan al-din. Il termine “Corano”, invece, indica “ripetizione ad alta voce, proclamazione, recitazione” ed è considerata come la Rivelazione per eccellenza che supera tutte quelle precedenti perché le conferma e le convalida. Se si vogliono trovare corrispondenze di strutture tra il l’Islam e il Cristianesimo, nello schema islamico il Corano, che è “Parola di Dio”, ha un ruolo corrispondente a quello del “Logos cristiano”6. Quindi il ruolo corrispettivo della Bibbia per l’Islam è quello svolto dalla Tradizione cioè dalla sunna e dagli hadit. In questa logica appare chiaro come il fulcro nell’Islam sia il Corano, così come quello del Cristianesimo sia Gesù. Per l’Islam Gesù è il perfetto musulmano perché dentro alla via si è sottomesso alla shari’a. I testi del Corano su Gesù si riferiscono all’Annunciazione, alla nascita, ai miracoli, ma non riconoscono la Trinità. Tengono quindi una posizione anti- trinitaria. A livello storico il problema della natura di Gesù non era ancora risolto quando il Corano si inserì in questa disputa aperta e prese posizione contro i Concili, dicendo che Gesù era un profeta. Quindi il Corano non vuole dare un’altra lettura cristologica ma nello stesso tempo non è anticristiano: è intervenuto in un dibattito enunciando una propria tesi. Nabi “profeta” e rasul “inviato” sono apposizioni che accompagnano il nome di Gesù indicandolo come un profeta, che è, poi, il tema più in voga nel contesto religioso arabico che non conosceva ancora i concili tenutisi sulla natura uomo/Dio. Ciò che dà credibilità a Gesù come profeta, è il suo legame con i precedenti e la medesimità di quello che dice è la continuità con quello che hanno detto gli altri profeti prima di Lui. Quindi è un profeta e la modernità rispetto ai suoi predecessori è che in Lui si manifesta l’Onnipotenza di Dio: i miracoli in nome di Dio è un segno della potenza di Allah che lo differenzia dai precedenti. Muhammad, che è il vero di Maometto, è, invece, il sigillo che chiude la profezia. Allora nella circolarità del profetismo Muhammad chiude il profetismo. Gesù è quindi il garante del monoteismo e professa la sottomissione di ogni uomo. Ma non è Figlio, Egli è invece segno della Parola di Allah. Qui nasce il problema: il Corano ha una diversa idea di monoteismo e perciò esclude la dottrina trinitaria. Nell’Islam non esiste il concetto di teologia come inteso in occidente, ma di kalam (discorsività) e nella storia dell’Islam è difficile distinguere tra filosofia e “discorsività”, tanto che i due temi si sovrappongono in senso apologetico per dare fondamento all’ortoprassi. Non esiste una scienza speculativa teologica, ma la scienza per eccellenza per l’Islam è il diritto. Il kalam è, quindi, fatto per noi, e non per i credenti. E’ qui che troviamo il passaggio dall’unicità di Dio all’unità di Dio. Infatti c’è l’unicità interna di Dio per il principio che Dio non può essere frazionato 4 Vercellin Giorgio, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi Torino 2002 Bruno Etienne, L’islamismo radicale, Rizzoli Milano 1988, pag. 152. 6 Vercellin Giorgio, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi Torino 2002, p. 51-52 5 ontologicamente. Gesù non è stato generato dal Padre e, per quanto riguarda la sua morte, momento più importante, non muore ma è tirato via dalla storia. Egli è dentro nell’argomentazione profetica non perché è Dio ma perché è profeta. Concludendo data la complessità e la specificità con cui l’Islam si manifesta occorre guardare questa forma e pratica di esperienza religiosa attraverso una chiave di lettura che non sia occidentale perché non è possibile comprenderla attraverso le nostre categorie concettuali. Marzio Gatti Bibliografia Etienne Bruno, L’islamismo radicale, Rizzoli Milano 1988 Rizzardi G., Il dialogo possibile: i cristiani di fronte all'Islam oggi, Sciascia 2005 Rizzardi G., Il linguaggio religioso dell'Islam, Glossa 2004 Rizzardi G., Domande cristiane sull'Islam nel Medioevo, Lussografica 2001 Rizzardi G., L. Massignon (1883-1962). Un profilo dell'orientalista cattolico, Glossa 1996 Rizzardi G., La spiritualità islamica, Studium 1993 Rizzardi G., Introduzione all'Islam, Queriniana 1992 Rizzardi G., La sfida dell'Islam, Casa del Giovane 1993 Vercellin Giorgio, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi Torino 2002