Pietro Bembo e l`invenzione del Rinascimento. Conversazione

Martedì 4 dicembre 2012
Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento.
Conversazione intorno ad una mostra del prossimo anno
Una supernova si accende a Roma nei primi anni del Cinquecento. Brucerà intensissima per due decenni, nel
corso dei pontificati di Giulio II e di Leone X. Si manifesta con il progetto di Bramante per la basilica di San
Pietro, con la volta della Sistina di Michelangelo e con la Scuola di Atene di Raffaello. Un'arte e una
architettura nuove, fondate sulla grandezza di quelle romane antiche, senza tempo e senza inflessioni
regionali. La morte della stella sarà decretata dal Sacco di Roma nel 1527, ma la luce fossile continuerà a
propagarsi a lungo. Il progetto per San Pietro è del 1506, la Sistina comincia due anni più tardi e di lì a poco
Raffaello interviene nelle Stanze. E' quindi Giulio II a generare il primo bagliore. Ma la luce diviene
abbagliante quando, nel marzo del 1513, diviene papa Giovanni de' Medici, il figlio di Lorenzo il Magnifico.
La giovane età, la formazione umanistica seguita da Poliziano e Pico , il mito del mecenatismo del padre,
ingenerano l'idea di una nuova età, una età dell'oro nelle arti e nelle lettere. Rimane la qualità eccezionale
degli artisti coinvolti da Giulio II, ma in più vi è, fra i protagonisti, un senso inedito di consapevolezza di
quanto sta accadendo. La regia di questa visione culturale non è di un artista, ma di un letterato: Pietro
Bembo. Bembo è chiamato da Leone X al proprio fianco come segretario ai brevi, affinché la Curia si
esprima in un latino senza pari. Ma non si trattava solo di questo. Nel 1512, nella polemica con
Gianfrancesco Pico su quali modelli dovessero essere alla base del latino umanistico, Bembo aveva
contrastato una visione antiquaria onnivora, a favore di un riferimento unico: Cicerone. Nessuna concessione
ai vocaboli ricercati nella latinità argentea, ma ricerca del modello perfetto. E' questo il nocciolo ideologico
dell'età di Leone X: se nel passato è selezionabile un riferimento assoluto, una aurea aetas, chi è in grado di
leggerla e coglierne l'eredità pone le basi perché la propria stessa età sia aurea. La corte di Leone X diviene
così qualcosa di mai visto prima: non una corte locale in gara con le altre per lusso e raffinatezza, ma la sola
corte italiana, nella quale a nascere è un'arte italiana. Protagonista di quella stagione, Bembo acquisisce un
ruolo chiave nella cultura del suo tempo grazie alle Prose della volgar lingua, pubblicate a Venezia nel 1525,
ma che già circolavano manoscritte da più di un decennio. Con esse egli norma l'uso di una lingua letteraria
nazionale, l'italiano, fondato sui modelli di Petrarca e Boccaccio, e in grado di superare la frammentazione
linguistica della sua epoca . Si può fare una mostra d'arte incentrandola su un letterato? Il fuoco della mostra
non è il Bembo uomo di lettere, ma la progettualità che accompagna la creatività dell'arte. In essa Bembo è il
punto d'osservazione, l'inquadratura attraverso cui raccontare cosa fa sì che il Rinascimento sia stato vissuto
come tale dagli stessi protagonisti. Il proemio al terzo libro delle Prose si apre con una similitudine che
riguarda le arti. Roma - scrive Bembo - pullula di artisti che studiano le Antichità; essi devono realizzare
opere per il proprio tempo, ma pensano di poterlo fare solo impadronendosi dei segreti dell'arte antica: i
migliori nel farlo sono Michelangelo e Raffaello. Ecco comparire il paragone che diventerà mito: i dioscuri
di un’arte nuova, fondata sulla autorità dell’antico ma in grado di parlare al futuro, universale. Nasce quella
che Vasari chiamerà la maniera moderna e che dominerà il gusto occidentale per secoli.
E' anche il momento in cui viene definito il linguaggio degli ordini architettonici, che con Serlio, Vignola e
Palladio diventeranno la lingua europea dell'architettura. Alla frammentata Italia del primo Cinquecento, in
profonda crisi e dilaniata dagli eserciti stranieri, le Prose di Bembo offrirono una identità comune in cui
riconoscersi, proponendo una unificazione del paese a partire da una lingua nazionale. Il progetto di Bembo,
la sua scommessa, è che un'Italia unita possa acquisire attraverso la cultura il primato che le armi le hanno
tolto. Forse oggi è un momento in cui può essere utile riflettere su quella scommessa, che allora fu vinta.
Prossima lezione: mercoledì 5 dicembre
Burri e l’informale
Barbara Cinelli