CONTRIBUTI
HBV, ANTI-HBs e trasfusione
Giuseppe Cambié
L'infezione HBV si sviluppa attraverso fasi
successive che schematicamente possono essere
identificate come latenza-immunoeliminazioneguarigione nell'infezione acuta e immunotolleranzaimmunoeliminazione-latenza nell'infezione cronica.
La distinzione tra infezione acuta e cronica,
assolutamente valida dal punto di vista clinico, non
può facilmente spiegare la situazione biologica del
carrier cronico inattivo, HBsAg negativo, sovente
caratterizzato da minime lesioni epatiche, minima
viremia e compresenza di anti-HBc e anti-HBs: un
quadro perfettamente compatibile con l'epatite risolta
se non fosse per la reattività di sequenze virali
circolanti, evidenziata nell'ultimo ventennio grazie
alla disponibilità di metodiche molecolari sempre più
sensibili ed emergente su scala routinaria dopo
l'introduzione della NAT HBV come test di screening
delle unità di sangue.
Sappiamo oggi che il decorso naturale
dell'infezione HBV è caratterizzato dal progressivo
accumulo di mutazioni che contraddistinguono e in
alcuni casi predicono le variazioni nella flogosi, nella
viremia e nella sierologia, condizionando anche,
almeno in parte, la comparsa di infezione occulta,
silente o latente, nelle fasi più avanzate. In tali
situazioni il virus persiste a lungo termine, in forma
episomica o integrata, negli epatociti, PBMC o in
altri siti immunologicamente privilegiati. Tuttavia sia
la variabilità dei genomi virali implicati sia la quantità
di HBV DNA intraepatocitario rilevato nelle infezioni
occulte sono spesso del tutto analoghe a quelle
riscontrate in corso di infezione cronica HBsAg
positiva.
Altri fattori, oltre alla variabilità virale,
evidentemente intervengono a modulare
l'espressione e la replica: tra questi, i fattori
immunitari sono da tempo conosciuti mentre i
meccanismi epigenetici sono oggetto di recentissime
ricerche: il cccDNA (minicromosoma virale), in
particolare i complessi istoni-cccDNA, sembrano
esposti a modifiche enzimatiche reversibili da parte
di deacetilasi e metilasi indotte dall'azione di altri
patogeni, agenti chimici e citochine, con
conseguente riduzione dell'espressione virale.
L'immunità cellulo-mediata (rappresentata
soprattutto da CTL anti nucleocapside) persiste in
oltre l'80% dei casi per più di 20 anni dopo la
guarigione da epatite acuta B e la sua intensità correla
SIMT – A.O. della Provincia di Lodi
con la presenza di HBV DNA sierico (A. Penna,
J Clin Invest 1996; B. Rehermann, Nature Med
1996). È noto che T linfociti e citochine (TNFα,
INFα) inibiscono l'espressione a livello post
trascrizionale e che, al contrario, situazioni di
immunodepressione favoriscono la riattivazione del
virus. L'equilibrio tra virus e Sistema Immunitario
decide l'esito di ogni fase dell'infezione, anche
nell'infezione occulta persistente.
Per quanto riguarda l'immunità umorale, dopo
risoluzione clinica dell'infezione acuta, la
concentrazione di anti-HBs gradualmente decresce
nonostante la possibile persistenza del virus per
decenni. Se la replica si riattiva (ad es. per immunodepressione T), le proteine S possono riesprimersi,
neutralizzare l'anti-HBs o sfuggire al legame (se
l'envelope è nel frattempo mutato) e comportare
quindi il rischio di trasmissione. Dopo eventuale
ricostituzione della funzione T, si assiste solitamente
alla comparsa di epatite severa e richiamo del titolo
di anti-HBs. Nell'infezione cronica (e anche dopo
apparente risoluzione dell'infezione acuta) la
persistenza di Ab e CTL anti-HBc indica la continua
espressione di HBcAg e la presenza di HBV DNA
nelle cellule epatiche. Alti titoli di anti-HBc e livelli di
attivazione CTL segnalano la probabilità di viremia
(non correlano invece con la concentrazione del DNA
circolante).
Quando vengano considerate solo casistiche di
soggetti asintomatici (donatori di sangue), di
sufficiente numerosità (>50 soggetti) e residenti
in Paesi occidentali, testati con metodiche molecolari
di elevata sensibilità (<20 UI/mL), la prevalenza di
HBV DNA circolante appare significativa sia in caso
di positività per anti-HBc isolato sia per anti-HBc
associato ad anti-HBs (rispettivamente fino al 3.7%
e fino al 1.7% dei casi). In altre parole, tra le varie
situazioni cliniche in cui si può riscontrare
un'infezione occulta, accanto all'epatite cronica con
mutanti S ed al carrier cronico a bassa viremia,
sieronegativo (circa il 20% dei carrier) o con antiHBc isolato (80%), trova tranquillamente posto
anche l'apparente pregressa guarigione caratterizzata
da presenza di anti-HBs.
Tuttora si dibatte se questa situazione possa
considerarsi "sicura" dal punto di vista trasfusionale
in considerazione della verosimile neutralizzazione
virale da parte dell'anti-HBs circolante.
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CONTRIBUTI
Un primo orientamento può derivare da un
modello di infezione/trasmissione particolarmente
interessante: il virus dell'epatite del Woodchuck
(marmotta americana) o WHV, che presenta
somiglianze virologiche e patobiologiche con l'HBV
e strette analogie nel pattern di progressione ed
evoluzione della malattia epatica (M. Dandri, J Clin
Virol 2005).
Quando l'WHV viene inoculato in animali naive
tramite plasma e PBMC di animali infetti, l'esito nel
ricevente è strettamente correlato alla tipologia di
infezione del "donatore": infezione asintomatica
sieronegativa se il donatore è anti-WHc, anti-WHs,
DNA positivo oppure sieronegativo ma con minima
viremia e infezione localizzata agli organi linfoidi
periferici, invece epatite acuta (con possibile
differente evoluzione verso CAH e HCC o verso
sieroconversione anti-WHs e stato di infezione
occulta persistente) se il donatore è sieronegativo,
con minima viremia e infezione localizzata anche al
fegato, oltre che agli organi linfoidi periferici (T.I.
Michalak, Immunological Reviews 2000).
Gli animali DNA reattivi nonostante apparente
risoluzione dell'epatite acuta trasmettono il virus
alla progenie in forma di infezione occulta
sieronegativa.
Nei soggetti di quest'ultima generazione, l'inoculo
parenterale di WHV suscita sempre epatite acuta
qualora sia costituito da 1010 virioni, ma solo una
risposta anti-WHs o nessuna risposta se contiene
una carica virale inferiore a 104 (C.S. Coffin, J Clin
Invest 1999). Tale rilievo offre spunti di interesse
anche per quanto riguarda l'infezione da HBV
nell'uomo, in particolare sull'interpretazione della
risposta alla vaccinazione anti-HBV in soggetti con
anti-HBc isolato in quanto l'infezione occulta può
associarsi sia a non risposta al vaccino che ad una
risposta anamnestica anti-HBs (rilevata nel 34-59%
dei vaccinati anti-HBc positivi): quest'ultima, di
conseguenza, non appare discriminante per
distinguere tra risoluzione e persistenza di infezione.
Nei donatori di sangue la positività anti-HBs si
accompagna a bassi livelli di HBV DNA
(generalmente <100 c/mL) e rarità della
trasmissione al ricevente e la significatività di tale
correlazione negativa aumenta parallelamente alla
concentrazione dell'anticorpo; tuttavia, come si
evince da quanto sopra esposto, la presenza di
anti-HBs non coincide inevitabilmente con guarigione
dall'infezione né, come accennato di seguito, con
assenza di replica e di contagiosità.
A tale proposito è noto che soggetti (sia
asintomatici che epatopatici) con anticorpi anti-HBV
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conservano segni di attiva replica intra-epatocitaria
(cccDNA), anche in caso di reattività associata antiHBc e anti-HBs, e che pazienti con infezione occulta
HBV, anti-HBs positiva, possono andare incontro a
riattivazione dell'epatite e/o re-sieroconversione in
corso di neoplasie ematologiche, infezione HIV,
trapianto di organi, tessuti o cellule staminali,
chemioterapia, terapia con anti-CD20, anti-CD52
o anti-TNF.
Negli ultimi anni diversi Autori hanno riportato
casi emblematici di attiva replica virale nonostante
la sicura positività dell'anti-HBs (T.H. Westhoff,
Blood 2003; W.H. Gerlich, J Clin Virol 2006; S.
Awerkiew J Clin Virol 2007): si tratta del rilievo di
anti-HBc e bassissime concentrazioni di HBV DNA
(3-21 gEq/mL) in un donatore vaccinato con
successo (anti-HBs >1.000 mU/mL) tre anni prima,
oppure della ricomparsa di epatite acuta dopo
chemioterapia in un paziente precedentemente
guarito da epatite acuta B (anti-HBs >
1.000 mU/mL), o infine della re-sieroconversione
HBsAg e HBeAg dopo chemioterapia in un paziente
già positivo per anti-HBs (>600 mU/mL). In tutti
l'HBV DNA circolava già da mesi o addirittura anni
prima della manifestazione sierologia o clinica di riattivazione, ma la replica incrementava fino a
raggiungere livelli elevati solo negli ultimi due casi,
dopo importante immunosoppressione: a riprova
che la guarigione clinica può non essere
accompagnata dall'estinzione dell'infezione ma
semplicemente consistere nel controllo della replica
da parte della risposta immune. La presenza di antiHBs, in ogni caso, favoriva la selezione di mutanti
escape delle proteine dell'envelope, popolazione
virale che, in condizioni favorevoli, era divenuta
predominante.
I mutanti S dell'HBV rappresentano una realtà
ben conosciuta e relativamente frequente in alcune
casistiche di pazienti HBV DNA reattivi (75-100%
degli epatopatici cronici o trapiantati) ma diffusa
anche tra soggetti asintomatici HBV DNA reattivi
(fino al 50% dei donatori di sangue o dei neonati
profilassati per HBV) (C. Gutierrez, J Med Virol
2004; M.C. Chevrier, Transfusion 2007).
Mutazioni S vanno sospettate in condizioni di
anti-HBc isolato, HBeAg pos in assenza di HBsAg,
riscontro di HBsAg in anti-HBs pos, test discordanti
per HBsAg, reattività HBV DNA in HBsAg neg. Le
particelle virali interessate in tali casi non vengono
neutralizzate dagli anticorpi anti-HBs e acquisiscono
quindi un vantaggio selettivo.
Solo in una parte dei casi viene interessato
direttamente dalla mutazione il determinante a
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(aminoacidi 124-147 della proteina S), il più
conservato, immunogeno e coinvolto nella risposta
al vaccino e nella diagnostica sierologica in vitro;
tuttavia modificazioni conformazionali del
determinante a possono essere indotte anche da
mutazioni a monte e a valle della relativa sequenza
nucleotidica. Di conseguenza gran parte delle
mutazioni S si possono tradurre in anomali risultati
dei test di screening e di conferma per HBsAg.
Sembra accertato che nelle infezioni occulte a
minima viremia dei soggetti asintomatici le mutazioni
S costituiscano la minor parte delle mutazioni
implicate: nella maggior parte dei casi sarebbero
invece in causa mutazioni di altre regioni genomiche
o altri fattori (v. sopra) che condizionerebbero una
ridotta replica ed espressione virali.
Va sottolineato come recenti e autorevoli
pubblicazioni affermino che non c'è garanzia che
l'anti-HBs neutralizzi tutte le varianti HBV in un
portatore di HBV latente e che alcune varianti naturali
sfuggono anche ai più recenti test commerciali
HBsAg (W.H. Gerlich, J Clin Virol 2006; T.D. Ly,
J Clin Microbiol 2006).
La possibilità di trasmissione del virus da parte
di portatori di infezione occulta anti-HBc e/o antiHBs positivi è un elemento critico sia per confermare
l'attività (espressione, replica, infettività) del virus
presente, sia per valutare l'interesse dell'argomento
in ambito trasfusionale.
Tutto sommato non stupisce la comparsa di
segni di infezione HBV in pazienti sottoposti a
trapianto di fegato da donatore anti-HBc positivo e
la probabilità sostanzialmente simile di trasmissione,
che l'anti-HBs sia assente o presente. Infatti, in
tale situazione, il virus, intracellulare, non può essere
neutralizzato dagli anticorpi eventualmente presenti
e questi ultimi non possono in alcun modo inibirne
né il trasferimento né la replica.
Del tutto differente è il contesto trasfusionale,
nel quale il rischio correlato al donatore anti-HBc
e/o anti-HBs positivo, potenzialmente in fase occulta
di infezione, è difficilmente calcolabile e risente
dell'interazione di più fattori, tra i quali la carica
virale, la presenza di genomi mutati, difettivi o
frammentati, l'azione e la concentrazione di anticorpi
neutralizzanti, la sensibilità dei test NAT in uso, lo
stato immunitario del ricevente. Nel complesso, nelle
fasi tardive dell'infezione, si riscontra una bassa
contagiosità delle particelle virali circolanti con
trasmissione nel 2.5-3% dei casi (vs 32-50% da
donatori sieronegativi in fase window) (M. Satake,
Transfusion 2007).
Gli studi sullo scimpanzé testimoniano che il virus
viene trasmesso per via trasfusionale da soggetti
con infezione cronica asintomatica, positiva per antiHBc, anti-HBs ma negativa per HBsAg con una
parte dei test utilizzati, così come da pazienti affetti
da CAH e sieronegativi per ogni marcatore HBV
(C. Brechot, J Hepatol 1991).
Nel ricevente l'infezione non sempre si manifesta
con un pattern sierologico/biologico classico (HBsAg,
anti-HBc, HBV DNA). Al contrario si assiste ad una
notevole variabilità dei segni di infezione,
indipendentemente dalle manifestazioni cliniche
correlate: Anti-HBc-anti-HBs-HBV DNA, Anti-HBsHBV DNA, Anti-HBc-HBV DNA, solo HBV DNA.
Ciò rende particolarmente difficoltoso il monitoraggio
dei pazienti trasfusi e incerti i dati riportati in
letteratura sull'argomento.
Inoltre, il virus isolabile dalle infezioni croniche
latenti, nonostante la presenza di mutazioni o forse
proprio a causa di queste, viene sempre più spesso
considerato responsabile di patologia epatica nel
portatore, in particolari situazioni quali
immunodepressione, coinfezione HCV, abuso
alcolico, emocromatosi … oltre che di possibile
epatite acuta o fulminante in caso di trasmissione.
Per tutti i motivi riportati non sembra opportuna
né prudente l'ipotesi, recentemente pubblicata, di
considerare idonei donatori HBsAg negativi, antiHBc positivi e HBV DNA reattivi se anche anti-HBs
positivi a concentrazione superiore a
1.000 mUI/mL e di consentire l'uso trasfusionale
delle relative unità (J.P. Allain, Transfusion 2006).
L'Italia presenta una situazione epidemiologica
variegata con aree a bassa endemia alternate ad
altre a endemia intermedia.
Nelle prime la prevalenza di infezioni occulte non
supera verosimilmente il 5% dei casi di apparente
immunità anti-HBV, questi ultimi interessano a loro
volta meno del 5% della popolazione, il rischio
trasfusionale è prevalentemente correlato alla fase
window e lo screening si potrebbe avvantaggiare
dell'introduzione dell'anti-HBc e dei test HBsAg più
sensibili.
Tuttavia, nelle seconde i marcatori di infezione
si riscontrano nel 5-20% dei residenti, probabilmente
più del 5% dei soggetti apparentemente immuni
cela un'infezione persistente, la maggiore fonte di
rischio trasfusionale è rappresentata dall'infezione
occulta ed appare ragionevole inserire tra le
procedure di screening, più che l'anti-HBc, la NAT
(L. Comanor, Vox Sanguinis 2006),
indipendentemente dalla presenza e dalla
concentrazione dell'anti-HBs.
A ciò si deve aggiungere l'incognita costituita
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dai crescenti flussi di immigrazione da aree
geografiche ad alta endemia HBV, che nel giro di
pochi anni potrebbero modificare sostanzialmente
l'epidemiologia del virus e delle infezioni occulte in
Italia.
In conclusione, non esiste pattern sierologico
HBV che garantisca guarigione dall'infezione,
assenza di replica e di contagiosità, la diffusione
dell'infezione occulta potrebbe essere significativa
almeno in alcune aree del nostro Paese, la sua
trasmissione può indurre conseguenze cliniche
rilevanti, acute o croniche, nel soggetto contagiato.
Di conseguenza appaiono ancora necessarie
misure di prevenzione quali il monitoraggio delle
prestazioni dei test per HBsAg (sensibilità analitica
e diagnosi dei mutanti escape), l'ampliamento della
sierologia all'anti-HBc in considerazione della difforme
epidemiologia HBV, l'adozione di NAT estremamente
sensibili, l'attività di osservatorio epidemiologico e
di emovigilanza svolta dalle Strutture trasfusionali
soprattutto nei confronti dei mutanti S, la
vaccinazione dei donatori comprendente epitopi preS1 per minimizzare il rischio di selezione di mutanti,
l'approfondimento delle potenzialità dell'inattivazione
virale nei confronti delle forme episomiche latenti e
delle alte viremie.
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