“LA GUARDIA DI FINANZA NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE” (Lezione presso l’Università degli Studi di Firenze, 21 aprile 2009) Cap. Gerardo SEVERINO L'8 SETTEMBRE E LA GUARDIA DI FINANZA. Per meglio comprendere gli avvenimenti connessi con la situazione venutasi a creare dopo l’8 settembre 1943, è opportuno soffermarsi sulla fisionomia che la Guardia di Finanza rivestiva in quel particolare contesto storico, e ciò sia riguardo alle esigenze connesse con il servizio d'istituto, che a quelle inerenti i compiti bellici. Da una circolare datata 28 agosto 1943 avente per oggetto “Norme particolari per la R.Guardia di Finanza durante l’attuale periodo bellico”, emerge che la forza effettiva del Corpo ammontava a 51.133 uomini, ivi compresi i militari richiamati dal congedo. Metà di tale forza (circa 24.880 unità) era impiegata in compiti d'istituto, ai quali vanno aggiunti, oltre alla vigilanza sulla salvaguardia dell’Erario, anche una specifica competenza in materia di polizia economica, strettamente connessa con il periodo di guerra e, non per ultimo, il concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, la cui assicurazione assunse caratteri di elevata gravosità, visto il clima di tensione generale che si venne a creare in seguito alla caduta del fascismo. Il resto della forza (circa 26.253 uomini) era impiegato in compiti di natura militare, ovvero sia nella difesa costiera, nella difesa delle fabbriche e nella protezione degli impianti, a disposizione della C.I.A.F. (Commissione Italiana Armistizio Francia), ma soprattutto nei battaglioni mobilitati dislocati nei territori occupati durante la guerra (Jugoslavia, Dalmazia, Montenegro, Albania, Grecia e Dodecanneso). 1 Riguardo agli avvenimenti connessi con il fatidico 8 settembre, uno specifico riferimento alla delicatissima situazione che di lì a poco si sarebbe delineata per il Corpo potrebbe essere desunto da una circostanza non certamente secondaria, legata alle prime fasi del noto piano "Alarico", in relazione alla quale il 26 luglio 1943, unità corazzate tedesche si presentarono al valico del Brennero, in una inequivocabile formazione da combattimento. D’altra parte, mentre erano in corso le trattative segrete per uscire dal conflitto, lo stesso Comando Supremo aveva studiato delle contromisure per contrastare le prevedibili reazioni tedesche. Si trattava comunque di contromisure che potevano essere poste in essere solo mediante il rientro di unità dai territori occupati, ma anche mediante la riduzione dell'impegno dell'Esercito dai compiti di ordine pubblico. In tale direzione fu coinvolta anche la Regia Guardia di Finanza, alla quale, il 26 agosto, fu richiesta la costituzione di battaglioni mobili, i cui organici ed armamento sarebbero stati simili a quelli dei Carabinieri Reali. Il giorno seguente, il Ministro delle Finanze Bartolini, dopo un colloquio avuto con il Capo del Governo, Maresciallo Pietro Badoglio, predispose l’intervento diretto dello Stato Maggiore del Regio Esercito, onde consentire il rientro di gran parte dei nostri battaglioni mobilitati, dislocati al di là delle frontiere nazionali. In realtà, tali disposizioni, in verità emanate pochi giorni prima della firma dell'armistizio a Cassibile, non ebbero obbiettivamente modo di poter essere attuate. D’altra parte, la formazione di “Reparti Mobili”, che avrebbero dovuto comprendere ciascuno anche una “Compagnia Autoblindo e Carri Leggeri”, rappresentava, per il Corpo, una novità davvero assoluta, considerando il fatto che lo stesso non aveva mai disposto di alcun mezzo corazzato e, di conseguenza, non poteva contare, nell’immediato, su personale specializzato. Il rientro in Patria dei battaglioni di Finanza mobilitati, peraltro frazionati in piccoli reparti (per lo più Distaccamenti), dislocati in località molto isolate, era certamente un'operazione molto complessa, la quale richiedeva i classici “tempi tecnici”. Il Ministero della Guerra, in data 2 settembre, scrisse allo Stato Maggiore del Regio Esercito - Ufficio Operazioni - , comunicando che: “… era necessario disporre il rientro di alcuni battaglioni mobilitati della Regia Guardia di Finanza, che, in ordine di precedenza potrebbero essere i seguenti (.). Si prega codesto Stato Maggiore di voler comunicare la data entro la quale si può ritenere possibile il 2 rientro dei battaglioni predetti, tenuto presente che la costituzione delle nuove unità ha carattere di assoluta urgenza". Come è facile intuire, tutto ciò avveniva il giorno prima della firma, a Cassibile, dell'armistizio, avvenuta, infatti, il 3 settembre 1943. A tal riguardo, appare inevitabile soprattutto per rispetto alla memoria delle vittime - fare una considerazione di merito: considerazioni sulle quali, fra l’altro, si dibatte da molto tempo. Se tali disposizioni fossero state impartite nel loro giusto tempo, il Corpo avrebbe potuto evitare l'internamento, da parte dei tedeschi, di circa un terzo delle proprie forze dislocate oltre frontiera, risparmiando così la vita ai tanti militari che, invece, la persero nei lager nazisti. Per quanto le trattative con quelli che, di lì a poco, sarebbero divenuti i “nuovi alleati” si svolgevano in gran segreto, la situazione politico-militare era ormai tale, al punto da indurre il Comando Generale del Corpo a diramare la citata circolare del 28 agosto 1943 (“Norme particolari per la R. Guardia di Finanza durante l’attuale periodo bellico”), con la quale furono impartiti ordini precisi riguardo al comportamento che i Comandi ed i Reparti della Guardia di Finanza avrebbero dovuto tenere, qualora gli eventi bellici avessero determinato un "l'immediato contatto col nemico", e ciò sia nell’ambito del territorio nazionale, che fuori dai confini del Paese. In buona sostanza, la circolare, stabilì che: “le aliquote poste,a disposizione dell'Esercito, avrebbero mantenuto, in ogni circostanza, le dipendenze operative previste, eseguendo di conseguenza gli ordini”; “i reparti impiegati nel servizio d'istituto nel territorio nazionale non dovevano, in ogni caso, lasciare le loro sedi, salvo ordini superiori, continuando così ad assolvere i loro compiti, compresi quelli di concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica” 1 . 1 Tale disposizione si trovava in perfetta armonia con le norme internazionali, peraltro recepite all'art. 56 d el l a legge di guerra italiana (R.D. 8 l u g l i o 1938, esplicitamente citato nella circolare). 3 La circolare ebbe certamente la sua importanza, soprattutto se consideriamo il fatto che la medesima consentì di orientare l'azione dei Comandanti di Reparto nei momenti più delicati, come lo furono quelli successivi all'annuncio radiofonico dell’avvenuta firma dell'armistizio, assicurando - per quanto fu loro possibile - la sopravvivenza e l'integrità del Corpo stesso, nel preciso momento in cui altre istituzioni statuali si dissolsero. Veniamo ora agli avvenimenti che seguirono il fatidico 8 settembre 1943. Tenendo a mente l’economia del presente intervento, citeremo solo i principali fatti che riguardarono i reparti del Corpo, tralasciando, quindi, la narrazione dei numerosi episodi che comunque videro i singoli militari del Corpo affrontare con le armi il tedesco invasore, pagando, per questo comportamento, con il bene più prezioso: la vita. Tutto ebbe inizio nell'Italia Centrale, ed esattamente a Piombino, ove, verso le ore 22 del 9 settembre 1943, gli equipaggi di due unità della “Kriegsmarine”, ormeggiate in quel porto, attaccarono di sorpresa le postazioni italiane. Fra queste vi erano inquadrati anche reparti della locale Compagnia della Guardia di Finanza. Ne seguì uno scontro a fuoco, durato circa cinque ore, al termine del quale i tedeschi furono costretti a reimbarcarsi ed a prendere il largo, lasciando però a terra oltre un centinaio di morti e numerosi feriti. Anche l’Italia meridionale, area dalla quale le truppe tedesche stavano ritirandosi, in conseguenza degli sbarchi alleati di Salerno e Taranto, pagò a duro prezzo il “rovesciamento delle alleanze”. Fu proprio qui che i nazisti, durante la marcia che li avrebbe condotti verso Nord, diedero inizio ad una lunga sequela di atti di sabotaggio, a quel punto finalizzati ad ottenere il maggior ritardo dell'avanzata nemica. A Bari, ad esempio, la mattina dello stesso 9 settembre, un reparto germanico entrò a sorpresa nel porto, occupandovi alcuni edifici, che avrebbero voluto utilizzare, come base di partenza, per l'azione di gruppi di guastatori che avevano, quale obiettivo principale, quello di far saltare le banchine e le navi ivi ormeggiate. Le “Fiamme Gialle” che in quel momento si trovavano colà di servizio, senza alcuna esitazione, aprirono il fuoco, chiedendo nel contempo l’immediato rinforzo. Da una caserma, prossima alle strutture portuali, fu inviato un nucleo di finanzieri, ai quali si aggiunsero ben presto i soldati del 9° Reggimento Genio ed alcuni marinai. Ne nacquero duri combattimenti, i quali, 4 protrattisi fino a tarda serata, ebbero, quale risultato finale, la salvezza del porto e la resa da parte degli stessi occupanti. Altro episodio degno di nota fu quello verificatosi a Matera il 21 settembre, laddove una colonna di tedeschi si diede al saccheggio dei negozi. L’intervento fulmineo dei finanzieri del locale Comando Compagnia, innescò i primi scontri a fuoco, che ben presto interessarono gran parte della città. Inizialmente respinti, i tedeschi ritornarono in forze, anche con l’ausilio di armi pesanti, circondando immediatamente la caserma della Guardia di Finanza. All’imbrunire, non riuscendo a vincere la resistenza dei nostri militari, gli stessi uomini preferirono abbandonare la città, dopo aver recuperato caduti e feriti. Nelle regioni dell'Italia centro-settentrionale, i Comandi del Corpo rimasero ai loro posti, attenendosi scrupolosamente alle direttive impartite con la citata circolare del 28 agosto. In gran parte di tale area geografica, dopo l’inutile attesa di precisi ordini da parte delle Autorità Centrali e dagli stessi Comandi Militari Territoriali, le autorità di polizia si accordarono fra loro al fine di adottare “misure comuni”, comunque idonee al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. Da questo punto di vista, la Regia Guardia di Finanza poté contare sul fatto che I tedeschi, che inizialmente si erano presentati nelle caserme del Corpo per impadronirsi delle armi, riconobbero le “qualifiche di polizia” rivestite dagli appartenenti all’Istituzione, elemento questo che favorì il mantenimento della compagine territoriale che, di lì a poco, molti vantaggi avrebbe procurato alla Resistenza. I militari del Corpo ebbero così modo di continuare il proprio servizio d’istituto, assicurando, in quel delicatissimo momento storico, sia la vigilanza degli edifici pubblici, che la salvaguardia delle fabbriche e degli impianti loro assegnati, elemento questo importantissimo, specie per gli innumerevoli vantaggi che apportò nella cosiddetta “fase della ricostruzione”. Nella vasta area che comprende il confine italo-svizzero, i finanzieri rimasti in servizio si adoperarono, con grande umanità, per agevolare l'espatrio dei militari italiani, dei prigionieri di guerra alleati evasi dai campi di concentramento, ma soprattutto degli ebrei, già scampati miracolosamente dall’Europa dell’Est e dalla stessa Penisola. In tale ambito, non si può fare a meno di ricordare l’opera meritoria svolta il 12 settembre ’43 dall’allora 5 Capitano Leonardo Marinelli, Comandante della Compagnia di Madonna di Tirano, che personalmente guidò i suoi dipendenti nella disperata corsa contro il tempo pur di salvare il maggior numero possibile di sventurati. Numerosi furono, invece, gli scontri che si registrarono lungo il cosiddetto “confine orientale”, laddove i reparti del Corpo, che avevano immediatamente reagito alle intimazioni di disarmo rivoltegli dalle unità germaniche, entrate in Italia dopo il proclama di Badoglio, furono sopraffatte, nonostante gli eroici tentativi di resistenza. Decisamente drammatica fu, poi, la sorte toccata ai battaglioni di Finanza dislocati oltre confine, i quali, alla stregua di quanto avvenne per le unità del Regio Esercito, fra le quali erano inquadrati, furono colti di sorpresa dagli avvenimenti, tanto che gran parte del loro personale fu catturato ed avviato nei campi di concentramento. Fra i battaglioni dislocati in Francia (due), quello di stanza a Nizza, data la vicinanza al confine italiano, riuscì ad attraversare la frontiera il giorno 9 settembre, circa un'ora prima che i tedeschi interrompessero il traffico a Mentone. Del battaglione di stanza ad Annemasse (Alta Savoia), un solo plotone riuscì a scampare, ritornando in Italia, mentre il resto della forza o riuscì a passare in Svizzera (si trattò di poche unità), ove fu internato, oppure, nella peggiore delle ipotesi, fu catturato ed internato dai tedeschi. Una buona parte dei battaglioni che, alla data dell’8 settembre 1943, si trovavano dislocati nella provincia di Lubiana, dopo alterne vicissitudini, riuscì a rientrare in Patria. Si trattò comunque di un rientro non certamente facile, se consideriamo che molti dei reparti dipendenti, che provenivano da varie località e che si sarebbero dovuti ricongiungere a Trieste, durante la già faticosa marcia di avvicinamento dovettero sostenere non pochi scontri con i partigiani sloveni, i quali, approfittando della situazione venutasi a creare, miravano ad impadronirsi delle loro armi. In altre aree dei Balcani (comprendendovi anche le isole), le sorti dei nostri reparti furono le stesse di quelle delle Grandi Unità del Regio Esercito, dalle quali ovviamente dipendevano. Nei casi in cui fu impartito l'ordine di resistere ai tedeschi, le “Fiamme Gialle” combatterono, con pari valore e dignità, al fianco dei soldati, subendo, per questo, gravissime perdite. In altre circostanze, laddove lo sbandamento dei reparti militari fu 6 completo, i finanzieri furono costretti a cedere le armi e, di conseguenza, furono catturati dai tedeschi. Altri militari del Corpo riuscirono ad evitare la cattura. Molti di essi si unirono immediatamente ai movimenti di resistenza locali, mentre altrettanti entrarono a far parte delle formazioni del nostro Esercito, a seguito delle quali condussero una lotta senza quartiere contro un nemico agguerrito, ben armato, ma soprattutto desideroso di vendicarsi nei riguardi del suo ex alleato. Per fortuna, molto diversa fu la sorte toccata al “Naviglio della Guardia di Finanza” ed al suo personale, il quale, secondo i piani di mobilitazione, era passato, il fatidico 10 giugno 1940, alle dipendenze della Regia Marina, e ciò con equipaggi integralmente composti da finanzieri del contingente di mare. Con la proclamazione dell’armistizio, le superstiti unità del Naviglio (la flotta dei finanzieri aveva, in realtà, subito gravissime perdite durante la guerra), dislocate sia in Italia che oltre confine, in parte si auto affondarono, poiché in procinto di essere catturate dai tedeschi (cosa che avvenne nei porti di Imperia, Livorno, Trieste, Fiume e Napoli), altre, invece, affondarono nel corso dei bombardamenti della Luftwaffe. Altre unità, tra le quali quelle dislocate in Dalmazia, Albania, Grecia e Rodi, riuscirono appena in tempo a salpare, spesso unendosi ad altri convogli, raggiungendo così i porti dell'Italia liberata. In tali circostanze - è doveroso ricordarlo - molti furono i militari sbandati (sia del Corpo che di altre Forze Armate) che vi presero imbarco, avendo così salva la vita. In tale ambito non si può fare a meno di ricordare la vicenda della Pirovedetta "Postiglioni", la quale, salpando da Rodi l’11 settembre, approdò in Medioriente, venendo così impiegata, agli ordini della Marina Reale inglese, in delicatissime missioni di guerra. Prima di passare all’analisi del contributo offerto dalla Guardia di Finanza durante la Guerra di Liberazione, mi sia consentito fare un passo indietro, per poter ricordare due eroici battaglioni del Corpo, che assieme ad altri reparti delle Forze Armate furono colti di sorpresa dalla firma dell'armistizio mentre si trovavano nei Balcani. Mi riferisco al I battaglione, che seguì la tragica sorte della Divisione "Acqui" a Cefalonia ed a Corfù, ed al VI battaglione, il quale, rinforzato da elementi del XV, operò, nell’ambito della 7 gloriosa Divisione "Venezia", contro i tedeschi in Montenegro. I due reparti meritarono rispettivamente la Medaglia d'Oro e la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, appuntate sulla Bandiera di Guerra della Guardia di Finanza, com’è stato recentemente rievocato, in occasione della ricorrenza del sessantesimo anniversario dell’8 settembre. 2. LA GUARDIA DI FINANZA NELL’ITALIA CENTRO-SETTENTRIONALE I lineamenti del regime d'occupazione del territorio italiano erano stati definiti da un "Ordine del Fuhrer” emanato il 10 settembre 1943, con il quale venivano previste tre diverse situazioni territoriali: • due "zone operative speciali", il "Litorale Adriatico" (province di Lubiana, Fiume, Trieste, Gorizia, Pola ed Udine) ed il "Voralpenland" (province di Bolzano, Trento e Belluno) che, in vista di una futura annessione al Reich furono poste sotto il controllo dei Gauleiter della Carinzia e del Tirolo; in esse continuarono ad operare funzionari amministrativi italiani, affiancati però da "consiglieri" tedeschi; • il rimanente territorio del regno, definito inizialmente come "territorio occupato" e poi, dalla fine di settembre, riconosciuto come soggetto alla sovranità della repubblica sociale italiana. Nell'ultima delle situazioni ora citate, comprendente la maggior parte dell'Italia a nord della linea di contatto con le forze alleate - che soltanto a metà ottobre si stabilizzò sulla linea "Gustav", tra Formia ed Ortona - si intrecciava l'attività di tre diversi ordini di autorità - l'amministrazione militare, la rappresentanza diplomatica presso la R.S.I., il comando delle SS e della polizia - che per tutta la durata dell'occupazione interferirono reciprocamente, tra continui attriti, malgrado i tentativi di indirizzo unitario svolti da Rudolf Rahn, ambasciatore presso il governo di Salò e quindi rappresentante di Berlino in Italia. In realtà, ciascuno di tali soggetti rappresentava la proiezione, nel Paese occupato, di altrettanti centri di potere del sistema nazista, tutt'altro che omogeneo, e tenuto insieme soprattutto dalla personalità carismatica del Fuhrer. Ed anche i gruppi di gerarchi 8 fascisti che, nella seconda metà di settembre, costituirono la repubblica sociale non tardarono a cercare ciascuno il proprio referente nella struttura della potenza occupante. L'estrema complessità della situazione ebbe modo di manifestarsi sin dai primi passi del governo fascista repubblicano, quando si dovette affrontare il problema dell'assetto da dare alle forze armate, premessa ovviamente necessaria per la ripresa della lotta a fianco dei tedeschi, che costituiva la ragion d'essere del nuovo regime. Il contrasto era tra la concezione dell'esercito come milizia politica, a base rigorosamente volontaria, sostenuta dal luogotenente generale della milizia Renato Ricci, e quella patrocinata dal ministro della difesa nazionale, il maresciallo Graziani, che individuava nelle forze armate il luogo di realizzazione dell'unità nazionale contro l'invasore straniero, con i caratteri tradizionali dell'assoluta apoliticità e della coscrizione obbligatoria. La seconda tesi ebbe il sopravvento, e l"Esercito Nazionale Repubblicano", costituito con decreto del duce 27 ottobre 1943, non presentò in realtà novità radicali rispetto all'esercito regio, che con lo stesso provvedimento fu disciolto. L'articolo 5 del decreto si occupava delle forze di polizia ad ordinamento militare, stabilendo che: "restano in servizio per il mantenimento dell'ordine i Carabinieri e la Guardia di finanza". Pochi giorni dopo un'altro provvedimento attribuiva agli appartenenti ai due organismi "per il corso della guerra", lo stesso trattamento economico previsto per i membri delle forze armate.In sostanza, il governo della R.S.I. sembrava ipotizzare la sopravvivenza delle forze armate di polizia nella forma precedente l'armistizio, sopprimendo ovviamente gli attributi riferiti all'istituto monarchico e stabilendo con gli appartenenti all'esercito, alla marina e all'aeronautica un'equiparazione esplicitamente correlata all'emergenza bellica, mentre veniva chiarita la destinazione esclusiva delle stesse forze all'assolvimento dei compiti istituzionali di carattere interno. Per la Guardia di finanza, del resto, il concetto era già stato espresso senza reticenze fin dal 25 settembre dal nuovo ministro delle finanze, Domenico Pellegrini Giampietro, il quale anche "considerato che nelle presenti circostanze l'opera della Guardia di finanza ha carattere puramente d'istituto", annunciava di aver sostituito il comandante generale 9 Aymonino, dell'esercito, con il comandante in 2^, generale di divisione Francesco Poli, ufficiale del Corpo. Il tema dell'organizzazione delle forze di polizia - direttamente connesso a quello del mantenimento dell'ordine pubblico, di rilevanza determinante a causa dello sviluppo del movimento partigiano - non tardò tuttavia ad attrarre l'attenzione della corrente che faceva capo al luogotenente generale Ricci, momentaneamente sconfitta sul terreno dell'ordinamento dell'esercito. Prese quindi consistenza un disegno di unificazione delle stesse forze, sfociato, l'8 dicembre 1943, nella costituzione della Guardia Nazionale Repubblicana, nella quale confluirono quanto restava della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, l'Arma dei Carabinieri (previa rigorosa selezione che avrebbe dovuto garantire l'affidabilità politica dei singoli militari) e la Polizia dell'Africa Italiana (P.A.I.). Ricci, nominato comandante generale con il rango di ministro di Stato, diventava di fatto il responsabile unico della sicurezza interna. La G.N.R. ebbe vita travagliata. La Polizia dell'Africa Italiana - presente con circa duemila uomini soltanto a Roma, dove avevano sede i suoi istituti di istruzione - riuscì ad evitare l'incorporamento, anche grazie all'opposizione del comando tedesco della capitale. Il potente ministro degli interni, Buffarini Guidi, si guardò bene dal rinunciare all'apparato investigativo che tradizionalmente faceva capo al suo dicastero, e che anzi fu potenziato, ed ebbe reparti in uniforme e bene armati. Nell'agosto 1944, infine, lo stesso vertice della Guardia fu decapitato, Ricci fu allontanato dal potere, e la carica di comandante generale fu assunta da Mussolini medesimo, mentre la G.N.R. veniva privata della qualifica di polizia giudiziaria ed integrata nell'esercito repubblicano. In un simile contesto, il ministro Pellegrini riuscì a sostenere la tesi della sopravvivenza nella Guardia di finanza come organismo autonomo, evitandone l'integrazione della G.N.R. e l'impiego in compiti diversi da quelli tradizionali di polizia tributaria ed economica. Privi praticamente di consistenza i primi, per il collasso generale dell'apparato tributario, il Corpo trovò spazio nell'area dei controlli imposti dall'economia di guerra, riuscendo a 10 sopravvivere senza farsi coinvolgere, salvo un limitatissimo numero di casi sporadici, nella repressione della guerriglia partigiana. I tedeschi, nella persona del generale Leyers, rappresentante in Italia del ministro degli armamenti Speer, una delle figure di primo piano del sistema nazista, non tollerarono interferenze nel settore dell'industria bellica, che preferirono gestire direttamente, in accordo con gli imprenditori italiani. Fu così smantellata la struttura che aveva assicurato il controllo del settore prima dell'armistizio, a cominciare dal ministero della produzione bellica, soppresso da un decreto del duce del 2 febbraio 1944. E naturalmente seguì la stessa sorte il comando della Guardia di finanza istituito nell'ambito del ministero, da cui dipendevano i dodici nuclei " Fabriguerra" operanti nel Paese. Grande importanza assunse invece l'altra branca dell'apparato di controllo dell'economia di guerra, quella concernente la vigilanza sui prezzi e sulla produzione e distribuzione dei beni destinati ai consumi della popolazione civile. Soprattutto per le pressioni esercitate da parte germanica, si ebbe in primo tempo l'istituzione di un'autorità responsabile del settore, un "Commissario nazionale dei prezzi", sovraordinato, tra l'altro, ad uffici provinciali, cui avrebbero dovuto far capo le squadre di vigilanza annonaria già esistenti presso i comandi della Guardia di finanza e le questure. Il secondo passo fu la realizzazione dell'apparato di vigilanza, mediante l'istituzione, con il D.L. 11 aprile 1944, nr. 114. della "Polizia economica", composta da contingenti della Guardia di finanza e della polizia repubblicana, con il compito di accertare, reprimere e denunciare i reati "attinenti alle discipline economiche della produzione, del reperimento, degli ammassi, della lavorazione e della distribuzione dei prodotti, del tesseramento e del razionamento, dei consumi e dei prezzi". Il nuovo organismo avrebbe dovuto avvalersi di 4.500 finanzieri e di 500 agenti di polizia, ripartiti in nuclei provinciali, con un comando centrale alle dirette dipendenze del ministero degli interni, con sede a Crema, cui fu preposto il generale della Guardia di finanza Angelo Pollina. 11 In effetti il contributo del Corpo non superò mai le 1380 unità, concesse a malincuore dal comando generale, nel frattempo trasferito a Brescia, che avrebbe preferito l'attribuzione diretta delle funzioni di polizia economica alla stessa Guardia, come era stato fino ad allora. E del resto questa fu la soluzione cui si tornò negli ultimi mesi del conflitto. Per la Guardia di finanza, l'accentuazione dei compiti di polizia economica rappresentò un insperato espediente per trasferire su un piano politicamente "neutrale" la collaborazione che le circostanze rendevano inevitabile nei confronti della potenza occupante e del governo di Salò, e che, in tali termini, diventava compatibile con le norme della legge di guerra e con le disposizioni impartite dal governo legittimo prima dell'armistizio. Quel che importav a , è evidente, era la sopravvivenza, evitando la sorte toccata ai Carabinieri - peraltro continuamente minacciata - e senza cadere nell'alternativa, il coinvolgimento nella repressione della guerriglia. Una "spia" importante di questa strategia è del resto individuabile nel testo del provvedimento con il quale la denominazione del Corpo fu variata in "Guardia repubblicana di finanza" (D.L. 29 giugno 1944, nr. 699). Nell'accennare al mantenimento di rapporti diretti tra il comandante generale del Corpo ed una serie di autorità, tra cui il ministro degli interni, il riferimento ai "servizi di ordine pubblico" è integrato dalla precisazione "di natura economica", di cui non è difficile cogliere il significato limitativo. 3. NEL “REGNO DEL SUD". Nell'Italia meridionale la proclamazione dell'armistizio determinò una situazione di collasso delle strutture militari e politico-amministrative non diversa da quella verificatasi nel centro-nord. Il governo militare del maresciallo Badoglio esercitava la propria autorità formalmente sulle province di Bari, Brindisi, Lecce, Taranto, peraltro sotto la stretta sorveglianza di una Commissione Alleata di Controllo, comprendente consulenti militari inglesi o americani per ciascun settore dell'amministrazione. 12 E la situazione non cambiò sostanzialmente dopo il 10 febbraio 1944, data in cui al governo italiano fu restituita l'amministrazione di tutte le provincie meridionali ed insulari, esclusa Napoli. La crisi alimentare, determinata dal mancato funzionamento del sistema degli ammassi e dalla paralisi dei trasporti, provocò la formazione di un mercato clandestino, alimentato in gran parte dai traffici che si sviluppavano intorno ai depositi dell'intendenza militare anglo-americana.Il fenomeno, com'è logico, fece esplodere un'inflazione senza precedenti, anche a causa dell'immissione in circolazione di grosse quantità di cartamoneta da.parte delle autorità d'occupazione. Nel sud quindi, esattamente come nelle province centro-settentrionali, la Guardia di finanza fu impegnata quasi esclusivamente nell'assolvimento di compiti di polizia economica, in stretta collaborazione con la "Military Police" alleata. Ma non mancarono purtroppo, anche le occasioni di impiego per la repressione di disordini e nella lotta contro il banditismo ed il contrabbando, soprattutto in Sicilia, dove l'affermarsi del movimento separatista pose seri problemi di ordine pubblico. Nell'ottobre 1943, appena il governo di Brindisi fu in grado di porre mano alla ricostruzione delle strutture essenziali dell'amministrazione, fu costituito a Bari un "Comando Superiore R. Guardia di finanza per l'Italia liberata", affidato al comandante della legione, il colonnello Giovanni Acampora, l'ufficiale del Corpo più elevato in grado presente al sud. In marzo il comando, assunto successivamente dal generale dell'esercito Oreste Moricca, si trasferì a Salerno, al seguito del governo. Tra i tanti problemi, presentava una certa urgenza l'inquadramento di alcune centinaia di finanzieri che, dai reparti dislocati in Balcania, erano riusciti a raggiungere più o meno fortunosamente la costa pugliese nei giorni successivi all'armistizio. Per tale scopo fu costituito un battaglione speciale, in dicembre trasferito nella zona di Napoli ed adibito a compiti di polizia militare, consistenti essenzialmente nella vigilanza a depositi e nella scorta alle autocolonne alleate dirette al fronte. Alla fine di maggio, approssimandosi la liberazione di Roma, il comando alleato dispose la costituzione di un contingente di carabinieri e di finanzieri, destinati ad organizzare i servizi di polizia nella Capitale. Il battaglione, assunta la denominazione 13 di "R", fu così trasferito sulla testa di ponte di Anzio, ed entrò a Roma con le prime avanguardie americane, il 5 giugno 1944. Tuttavia, come vedremo, le autorità alleate ritennero di mantenere in servizio nella città i finanzieri che vi avevano operato durante l'occupazione nazista, e che avevano attivamente collaborato con la resistenza. Il battaglione "R" fu quindi sciolto il 31 agosto. Alla marcia verso il nord, con la 5^ armata americana, partecipò però una "compagnia speciale AMG" della R. Guardia di finanza, sempre con compiti di polizia militare. 4. LA RESISTENZA A ROMA. La proclamazione dell'armistizio, seguita nel pomeriggio del 10 settembre dalla capitolazione delle forze italiane che avevano tentato di difendere la città, determinò a Roma una situazione estremamente complessa. Il Comandante militare tedesco del sud-ovest, maresciallo Kesselring, peraltro in pieno accordo con l'ambasciatore Rahn, era preoccupato soprattutto di evitare che la capitale diventasse un pericoloso centro di attività di disturbo del fascio di comunicazioni che collegava le retrovie della 10^ armata, schierata fronte a sud contro gli anglo-americani, con le basi nell'Italia settentrionale e nel Reich. Ed al tempo stesso, occorreva esonerare i comandi operativi della Wehrmacht dalla responsabilità del mantenimento dell'ordine e del funzionamento dei servizi pubblici essenziali - in primo luogo i rifornimenti alimentari - in un centro urbano che contava circa due milioni di abitanti. I responsabili germanici cercarono quindi una soluzione che sostanzialmente "neutralizzasse" Roma, sottraendola di fatto alla sovranità del governo collaborazionista di Salò, ed evitando contemporaneamente di impiegare forze nell'occupazione diretta della città. Fu così deciso di confermare la dichiarazione di Roma quale "Città aperta" ai sensi della convenzione dell'Afa, fatta il 14 agosto dal governo Badoglio, di vietare al governo fascista repubblicano l'insediamento di propri organi nella Capitale, e di limitare lo stanziamento di unità tedesche entro la cerchia urbana a piccoli distaccamenti a presidio 14 dell'ambasciata, della centrale telefonica e della sede dell'EIAR. La responsabilità dell'ordine pubblico sarebbe stata affidata alle forze di polizia italiane, sotto il controllo di un comandante militare tedesco, direttamente dipendente da Kesselring. In pratica, dopo la disgregazione dell'apparato politico, militare ed amministrativo dello Stato, la città doveva considerarsi affidata alle forze di polizia, le quali avrebbero dovuto farsi carico sia della tutela fisica che del soddisfacimento delle esigenze vitali della popolazione. Fu creato un comando unico, retto in un primo tempo dal generale Maraffa, poi, dopo l'arresto di questi, dal generale Umberto Presti, entrambi della P.A.I.. Il 15 settembre fu costituito un "Comando della Guardia di finanza per il servizio di polizia nella Città aperta di Roma", dipendente dal comando unico, a capo del quale fu designato il generale Filippo Crimi, comandante della zona di Napoli e casualmente presente nella Capitale. Nello stesso giorno furono diramate le "Istruzioni generali di servizio per la Guardia di finanza", che confermavano sostanzialmente le direttive già impartite il 28 agosto: restare ai propri posti, continuare ad assolvere i compiti d'istituto, nell'interesse della popolazione civile. Il comando di Crimi poteva contare sui reparti della 9^ legione territoriale e sulla legione allievi, per un totale di circa duemila uomini. A metà ottobre fu disposto un arruolamento di "finanzieri ausiliari": un espediente valido per fornire copertura ad ufficiali e sottufficiali delle forze armate regie, a renitenti alla leva ed addirittura ad attivisti di partiti politici, ai quali fu così offerta la possibilità di sottrarsi al servizio del lavoro tedesco o all'incorporazione nelle formazioni repubblicane. Anche a Roma, l'impiego pressoché esclusivo fu nel settore della polizia economica. Un "ufficio servizi protezione alimentazione" ebbe alle dipendenze un "reparto scorte" incaricato di proteggere le autocolonne mediante le quali si cercava di far giungere in città i rifornimenti indispensabili, ed un "nucleo annonario", cui erano affidate le indagini in materia di violazioni alle norme sul razionamento e sulla disciplina dei prezzi. Una catena di posti di blocco sulle vie consolari, presso i mercati generali, lo scalo ferroviario di S. Lorenzo ed alcuni impianti industriali, provvedeva ai servizi di controllo per la repressione del mercato nero. 15 Il tentativo di utilizzare i reparti della Guardia di finanza per l'esecuzione di compiti di altro genere fu abbandonato dopo un unico episodio, una retata nella zona tra via Nazionale e via XX Settembre, in occasione della quale i finanzieri e gli ufficiali che li comandavano si dimostrarono tanfo chiaramente non disposti a collaborare da sollevare le rimostranze del comando tedesco. I rapporti tra occupanti e forze di polizia in Roma erano del resto usciti dall'equivoco dopo la deportazione in massa dei carabinieri, eseguita di sorpresa il mattino del 7 ottobre, ed il passaggio in clandestinità di coloro che erano riusciti a sfuggire alla cattura. Da allora i finanzieri vissero nella convinzione di dover subire, prima o poi, la stessa sorte, e pur nella preoccupazione per la sopravvivenza quotidiana, si orientarono praticamente senza eccezioni a favore della Resistenza. Il 21 ottobre, con una riunione in casa del generale Crimi venne costituita l'organizzazione clandestina della Guardia di finanza a Roma. Erano presenti il tenente colonnello Lionti, già comandante della scuola sottufficiali, il maggiore Tani, che dopo aver ricondotto in Patria dalla Slovenia il IX battaglione mobilitato aveva assunto il comando del II battaglione allievi finanzieri, il maggiore Cimmino, comandante del nucleo annonario, ed i capitani Argenziano e Montalto. Intorno a loro si raccolsero in breve tempo quasi tutti gli ufficiali e gran parte dei sottufficiali e dei finanzieri presenti a Roma. A metà dicembre l'organizzazione fu formalmente integrata nel fronte clandestino militare del colonnello Montezemolo. Essa comprendeva due centri raccolta notizie, un centro logistico ed un centro di controspionaggio. Furono anche assicurati i collegamenti con l'organizzazione clandestina dei Carabinieri facente capo al generale Caruso, e quelli con il Comitato di Liberazione, nella persona del prof. Bauer. Altri militari del Corpo si inserirono nelle organizzazioni clandestine a carattere politico. Il tenente Pietro Spaccamonti, dopo aver tentato di passare il fronte presso Cassino, entrò nell'organizzazione militare del partito socialista diretta da Giacomo Andreoni, per conto della quale costituì nuclei partigiani nella zona di Acilia ed alla Magliana, ed una rete 16 informativa sul litorale laziale,mediante la quale entrò in contatto con l'OSS statunitense. L'ufficiale eseguì anche missioni presso le formazioni partigiane operanti in Abruzzo e, nell'imminenza della liberazione, ebbe il comando di una delle zone in cui era stata suddivisa la città, nella quale agivano i nuclei di patrioti costituiti presso il ministero dei lavori pubblici, l'azienda tranviaria ed i quartieri Italia e Macao. La relativa libertà di movimento di cui fruivano i finanzieri consentì loro di svolgere un lavoro informativo di notevole consistenza. Furono eseguite ricognizioni in prossimità degli aeroporti e delle installazioni di difesa contraerea e costiera e, dopo lo sbarco anglo-americano ad Anzio, nelle immediate retrovie della testa di ponte. I posti di blocco sulle vie consolari consentirono un controllo continuo del traffico tedesco, mentre fu possibile far giungere rifornimenti alle formazioni partigiane dell'alto Lazio, dell'Umbria e dell'Abruzzo utilizzando le autocolonne dell'azienda servizi annonari della Capitale; gli stessi automezzi servirono, anche per trasferire dirigenti delle organizzazioni, prigionieri di guerra evasi, membri di missioni di collegamento. Alcune di tali missioni, implicanti contatti con le formazioni partigiane del nord, furono affidate direttamente ad ufficiali della Guardia di finanza, sfruttando appunto la loro possibilità di spostamento con adeguata "copertura". Un grosso rischio fu corso quando i tedeschi si resero conto che il deposito di armi e munizioni ritirate ai reparti italiani dopo la capitolazione, costituito nel forte Prenestino ed affidato alla custodia della Guardia di finanza, era in realtà divenuto un centro di rifornimento per i partigiani. Il 3 aprile 1944 le SS circondarono il forte e perquisirono il corpo di guardia; il finanziere Marcello Guarcino, trovato in possesso di munizioni, fu portato in via Tasso e sottoposto a torture, ma non rivelò elementi compromettenti per l'organizzazione. Non furono comunque scrupoli formali a far sì che i tedeschi non traducessero in atto la minaccia di deportare in massa i finanzieri romani. In realtà il generale Màltzer, comandante della piazza, temeva di veder ridotta la consistenza delle forze di polizia al di sotto del livello che consentiva di evitare l'impiego in città di truppe germaniche. Tra il febbraio ed il marzo del 1944 il serio ostacolo costituito dall'ordine di far prestare anche ai finanzieri il giuramento di fedeltà alla repubblica sociale fu aggirato dal generale 17 Crimi, il quale ottenne al riguardo una formale autorizzazione sia dal dirigente della resistenza militare che dal rappresentante a Roma del governo di Brindisi, generali Bencivenga ed Armellini, in vista della necessità di mantenere integra l'organizzazione del Corpo nella Capitale. Fu invece opposto un deciso rifiuto alla sostituzione delle "stellette" militari con il nuovo simbolo delle forze armate repubblicane, il gladio inscritto in una corona d'alloro. Si verificò così una serie di incidenti tra militari della Guardia di finanza ed appartenenti alle formazioni della R.S.I., dopo uno dei quali, il 4 maggio, fu addirittura eseguito un rastrellamento nella zona tra piazza di Spagna e piazza del Popolo, al termine del quale furono fermati dieci paracadutisti della "Nembo" con un ufficiale, denunziato al tribunale militare. L'argomento costituì anche oggetto, il 22 maggio, di uno scontro verbale tra il generale Crimi ed il maresciallo Graziani, ricordato da quest'ultimo nelle sue memorie. Alla fine di gennaio, quando lo sbarco alleato aveva fatto ritenere imminente la liberazione della città, si studiarono le misure che avrebbero dovuto consentire ai finanzieri di opporsi ad un eventuale tentativo di disarmo o anche di deportazione, che i tedeschi avrebbero potuto porre in atto al momento della ritirata. Fu così prèvisto il concentramento del personale in alcune caserme più adatte alla difesa, nelle quali furono accantonate scorte di viveri e di munizioni. Il comando militare clandestino chiese anche di predisporre l'occupazione dei commissariati di pubblica sicurezza, e l'assunzione della responsabilità del mantenimento dell'ordine pubblico al momento del trapasso dei poteri. Un’organizzazione commissariati" entrò in funzione nel pomeriggio del 4 giugno. In quelle stesse ore, il generale Crimi ricevette anche l'ordine di provvedere alla protezione della sede del Comitato di Liberazione Nazionale, in piazza di Spagna, del ministero della guerra è del Campidoglio, dove aveva sede il governatorato di Roma. Pattuglie al comando di ufficiali furono inviate incontro alle avanguardie americane, e fu organizzata la difesa dei ponti sul Tevere. Nelle ore che precedettero l'ingresso degli alleati nella Capitale, furono respinti due attacchi alla caserma di viale XXI Aprile, condotti da nuclei di paracadutisti che 18 intendevano requisire gli automezzi; nel combattimento cadde il finanziere Antonio Sciuto. Altri scontri si verificarono al ministero della guerra ed a ponte Sublicio, dove fu messo in fuga un nucleo di guastatori. Il comandante del plotone posto a difesa del Campidoglio, sottotenente Giorgio Barbarisi, ottenne dal colonnello Pollock, designato governatore della città, di far alzare il tricolore insieme alle bandiere alleate; poche ore dopo, il giovane ufficiale doveva cadere per mano di un esponente della resistenza, vittima di un tragico equivoco. 5. L’ESTATE DEL 1944. Alla liberazione di Roma seguì lo spostamento verso nord della linea di contatto tra le forze tedesche e quelle alleate, tanto rapido da determinare in molti la speranza che l'estate 1944 fosse destinata a vedere l'epilogo del conflitto. Nell'inverno e nella primavera precedenti le bande partigiane nell'Italia centrale avevano assunto consistenza, pur senza raggiungere i livelli di organizzazione conseguiti, nei mesi successivi, dalle analoghe formazioni operanti nel nord. Numerosi finanzieri avevano partecipato direttamente sia alle azioni di guerriglia che al lavoro organizzativo, informativo, di collegamento e di supporto logistico. Si erano distinti, ad esempio, il brigadiere Salvatore Micari ed i finanzieri Rasteli, Ezzis, Reginella, Evangelisti, Pulone, operanti nella zona del parco nazionale d'Abruzzo e nel teramano, il finanziere Damaso Di Loreto, fucilato in provincia dell'Aquila, gli allievi ufficiali Enzo Climinti e Francesco Patrizi, partigiani nella zona di Spoleto, il maresciallo maggiore Settimio Formica, membro del C.L.N. di Fabriano, il finanziere Minicucci e l'allievo finanziere Cicalè, fucilati in aprile dopo esser stati catturati con le armi in pugno. Nelle retrovie del fronte abruzzese il tenente Livio Rivosecchi aveva svolto un importante lavoro di organizzazione di formazioni dirette a raccogliere ed a riportare alla lotta militari sbandati; riuscì anche a realizzare una rete clandestina per il recupero ed il trasferimento oltre le linee di prigionieri alleati evasi e, attraversando il fronte numerose volte, svolse un'intensa attività di informazione e di collegamento, comprendente anche 19 alcune missioni in Lombardia ed in Piemonte per conto dell'organizzazione militare del C.L.N.. Un'autentica figura di eroe era stata quella del sottotenente Gian Maria Paolini. Già dell'XI battaglione dislocato in Dalmazia, in settembre era riuscito a raggiungere la costa marchigiana con una diecina dei suoi finanzieri e nella zona di S. Benedetto del Tronto, appoggiandosi alla brigata Guardia di finanza e coadiuvato dall'aiutante di battaglia Pietro Iovine e dal finanziere Antonio Magro, aveva raccolto intorno a sé numerosi militari provenienti in gran parte dalla Dalmazia, che aveva provveduto a riarmare anche recuperando le mitragliere installate sui pescherecci già adibiti al dragaggio e rimasti incustoditi nel porto. Già in settembre la piccola formazione fece il suo esordio, attaccando un treno tedesco alla stazione ferroviaria di S. Benedetto, dopo che si erano verificati incidenti tra militari germanici e popolazione civile. Costretto a darsi alla montagna, Paolini svolse per tutto l'inverno un'intensa attività di guerriglia nell'entroterra ascolano, disarmando presidi della G.N.R., impadronendosi di depositi di grano il cui contenuto veniva poi distribuito alla popolazione civile, attaccando autocolonne tedesche in movimento. A metà marzo, decise azioni di rastrellamento provocarono la disgregazione della "banda Paolini" e la cattura di molti dei suoi componenti, tra i quali l'aiutante Iovine. L'ufficiale, assieme al sottotenente degli alpini Berton e ad un terzo partigiano, si diresse in auto verso il nord, probabilmente per prendere contatto con le formazioni partigiane piemontesi (era torinese), ma presso Arezzo venne arrestato dalla G.N.R. e rinchiuso nel carcere di Montevarchi, dove per circa un mese riuscì a tener celata la propria identità, facendosi passare per un ufficiale sbandato. Per motivi che non furono mai chiariti, i tre arrestati furono trasferiti improvvisamente a S. Giovanni Valdarno, dove il 24 aprile 1944 furono fucilati senza processo, malgrado gli interventi in favore dell'ufficiale da parte del comando generale di Brescia e del comandante della legione di Trieste, che lo aveva in forza. Immediatamente prima dell'esecuzione, il tenente Paolini chiese di parlare con il comandante della brigata Guardia di finanza di S. Giovanni Valdarno, e lo informò circa l'attività partigiana svolta. 20 A Firenze, avendo il generale Conti, comandante della zona all'8 settembre, rifiutato di prestare giuramento alla R.S.I., il comando della Guardia di finanza rimase affidato al comandante della legione, colonnello Amoretti, il quale in primavera prese contatto con esponenti del comitato toscano di liberazione nazionale, tramite il capitano Cardillo, comandante del nucleo Fabriguerra e poi del nucleo di polizia economica, e dei tenenti Remedi e Sacchetti, del comando legione. Sempre nel capoluogo toscano, fin dal febbraio si era inserito nel movimento di resistenza il tenente Angiolo Gracci, già comandante del plotone di Berat, assunto in forza dal comando di legione dopo essere stato colto dall' 8 settembre mentre si trovava in licenza in famiglia. Il 6 giugno Gracci passò ai partigiani e, nel giro di appena un mese, divenne prima capo di stato maggiore e poi comandante della 22^ brigata garibaldina "Senigaglia". La formazione, forte di circa duecento uomini ed inquadrata nella divisione partigiana "Arno" del comandante "Potente" (tenente Aligi Barducci già del 10° reggimento arditi), fu guidata dal tenente Gracci dalle alture del Pratomagno fino a sud dell'Arno e poi nei giorni della battaglia per la liberazione di Firenze; fu il primo reparto a forzare il fiume l'11 agosto ed a stabilire una testa di ponte che consentì poi l'occupazione del centro cittadino da parte delle altre formazioni partigiane e delle avanguardie canadesi. L'avanzata alleata provocò il crollo delle strutture della R.S.I. nell'Italia centrale ed il ripiegamento oltre la linea del Po delle autorità politiche e delle formazioni militari e paramilitari. Ovunque i comandi della Guardia di finanza rifiutarono di eseguire l'ordine di ritirata e rimasero in posto, facendo il possibile per assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico e la tutela della popolazione in attesa delle truppe alleate. A Chieti, il comandante di compagnia, in accordo con il C.L.N. locale, assicurò il pattugliamento del centro cittadino ed inviò emissari incontro alle avanguardie del Corpo Italiano di Liberazione. Ad Ancona il capitano Barrecchia attraversò più volte il fronte per fornire notizie alle truppe polacche avanzanti. A Perugia il capitano Patrassi attaccò con un nucleo di finanzieri un drappello di guastatori tedeschi sorpresi mentre stavano minando un cavalcavia ferroviario. Ad Arezzo il capitano Rosito passò ai partigiani con l'intero 21 reparto, fornendo armi, munizioni e materiali di equipaggiamento. Alla fine di luglio Firenze, evacuata dalle autorità repubblicane, rimase praticamente abbandonata a se stessa, nella drammatica condizione di immediata retrovia del fronte che si andava attestando lungo il corso dell'Arno. Il gen. Conti riprese di propria iniziativa il comando il 31 luglio e, d'intesa con il comando militare del C.T.L.N., fece assumere dai finanzieri il compito di proteggere i magazzini dell'annona, dai quali dipendeva l'alimentazione della città. I militari della Guardia si trovarono quindi in prima linea allorchè, tra l'11 ed il 13 agosto, la lotta divampò casa per casa, ed i partigiani insieme ad esigue avanguardie alleate si trovarono a dover fronteggiare la ripresa offensiva tedesca, mirante a consentire lo sganciamento dei reparti rimasti nel centro cittadino. Furono difesi dai finanzieri il molino Biondi, uno dei capisaldi delle linea difensiva che correva lungo il torrente Mugnone, dove fu ferito il finanziere Aldo Cavallini; l'oleificio Carapelli; il deposito costituito nell'edificio del "parterre" di piazza Costanzo Ciano. In quest'ultima posizione, conquistata dai paracadutisti germanici il mattino dell'11 dopo una lotta violentissima, cadde l'appuntato Agostino Palmieri e fu ferito gravemente il sottobrigadiere Vittorio Chierroni, campione del gruppo sciatori di Predazzo. Usciti definitivamente i tedeschi da Firenze, la lotta proseguì nella Toscana settentrionale fino alla stabilizzazione del fronte sulla linea gotica. I finanzieri della compagnia di Lucca ebbero ancora modo di distinguersi nella difesa delle porte di S. Anna Vecchia e di S. Anna Nuova, assunta da un reparto di formazione costituito d'intesa con il C.L.N., il quale il mattino del 5 settembre fu anche sottoposto al tiro di artiglieria; cadde l'appuntato Lamberti e fu ferito l'allievo finanziere Giuntoli. Il giorno prima i finanzieri avevano dovuto fronteggiare un tentativo di saccheggio della manifattura tabacchi e respingere una pattuglia tedesca incaricata di sabotare gli impianti. All'estremità occidentale di quella che .stava per diventare la "linea gotica" i componenti della compagnia di Apuania furono obbligati a ripiegare su la Spezia essendo stato ordinato lo sgombero totale della zona in vista dell'imminente irrigidimento della difesa. 22 A custodire la caserma fu lasciato il maresciallo maggiore Vincenzo Giudice, comandante della brigata di Carrara; fu trucidato nel tentativo di sottrarre alla morte.un gruppo di ostaggi, tra i quali erano i suoi familiari, nel corso di un'azione di rappresaglia condotta con particolare efferatezza il 16 settembre nella frazione di Bergiola Foscalina, dalle SS del maggiore Reder. Nello stesso giorno, sempre per rappresaglia, fu fucilato con altri ostaggi presso Pietrasanta l'appuntato Francesco Fancello. Tra i militari della compagnia di Apuania alcuni si unirono ai partigiani, come il sottobrigadiere Antonio Pirisinu ed il finanziere Tito Arizio, altri passarono il fronte per raggiungere l'Italia libera, come il maresciallo maggiore Francesco Rizzu, il brigadiere Mazzeddu ed i finanzieri Bavieri, Minuto, Micheli e Colescek. Svolsero invece attività cospirativa il maresciallo maggiore Barani nella zona di Pontremoli ed il brigadiere Aladino Micheli in quella di Fivizzano. In quest'ultima località era stato fucilato il 7 settembre, con altri partigiani, il finanziere Rosario Arnone. Lo sfavorevole andamento delle operazioni contro gli anglo-americani ed il dilagare del movimento di resistenza stavano portando intanto a maturazione la profonda crisi dell'organizzazione delle forze di polizia della R.S.I.. Il 30 giugno, per far fronte alle necessità della lotta antipartigiana, era stata disposta la "militarizzazione" del partito fascista repubblicano e la costituzione delle formazioni paramilitari delle "brigate nere". Il 14 agosto un "decreto del duce" sanciva la fine dell'autonomia della Guardia Nazionale Repubblicana, che veniva ricondotta nell'ambito dell'esercito mentre, defenestrato Renato Ricci, ne assumeva direttamente il comando lo stesso Mussolini. La stessa G.N.R. veniva infine "epurata" di quanto restava della componente proveniente dai Carabinieri. I tedeschi richiesero infatti il trasferimento in Germania, per essere adibiti a compiti di difesa contraerea, di 10.000 uomini già appartenenti all'Arma; i rimanenti sarebbero stati ugualmente internati ed avviati al servizio del lavoro. La deportazione in massa dei carabinieri - e la conseguente altrettanto massiccia ondata di diserzioni, in gran parte con destinazione verso le formazioni partigiane - ebbe sicuramente effetti immediati sul morale della Guardia Repubblicana di Finanza, che in quegli stessi giorni veniva allontanata dal confine svizzero e ripetutamente minacciata di scioglimento. 23 Si moltiplicarono quindi le defezioni ed i passaggi ai partigiani di interi reparti, così come gli "attacchi" alle caserme isolate conclusisi con il disarmo dei finanzieri senza che venisse sparato un colpo. In quasi tutte le località del Piemonte, della Lombardia e del Veneto i comandanti della G.R.F. prendevano contatto con esponenti dei comitati di liberazione nazionale, qualora ciò non fosse già avvenuto prima, per offrire collaborazione e definire i compiti del Corpo nell'ipotesi di un insurrezione ritenuta ormai prossima. A Milano il comandante della legione, col. Malgeri, già in rapporti con il movimento clandestino per il tramite di propri collaboratori, ricevette il 13 giugno da Nello Trotti, rappresentante del C.L.N. lombardo, la proposta di organizzare la defezione in massa dell'intera 3^ legione della guardia, circa cinquemila uomini dislocati nell'interno della Lombardia ed in prossimità del confine svizzero ad est del Lago Maggiore. La proposta era allettante, per il solo fatto di esser stata formulata. Significava in pratica il riconoscimento ufficiale del Corpo da parte del movimento di resistenza ed implicava il superamento di una posizione di ambiguità nei confronti dell'occupante e del governo della R.S.I., che si andava facendo ogni giorno più pericolosa. Ma Malgeri non poteva nascondersi l'estrema difficoltà del tradurre in termini concreti un progetto che avrebbe coinvolto migliaia di persone, molte delle quali relativamente anziane e con carichi di famiglia, certo non tutte adatte, fisicamente e psicologicamente, ad affrontare i disagi della guerriglia in montagna. Il colonnello pose quindi due condizioni: che la richiesta di defezione gli venisse rivolta formalmente dal comando generale del Corpo volontari della libertà, e che i finanzieri fossero raccolti in un'unica formazione chiaramente identificabile come espressione del Corpo. In realtà il comandante della legione di Milano - e lo ammette francamente nel libro pubblicato dopo la liberazione - temeva che l'iniziativa si risolvesse in un disastro: "gran lavoro per i plotoni di esecuzione ed internamento di gran parte dei nostri militari, sorpresi dagli avvenimenti". 24 In definitiva, una perdita per il movimento di resistenza - privato di un importante strumento di lotta - difficilmente compensabile con l'effimero vantaggio propagandistico offerto dall'avvenimento. Il progetto comunque andò avanti e prese consistenza. Si parlò di un trasferimento collettivo dei finanzieri - o almeno di quanti si supponeva di riuscire a portare in montagna - nella zona dell'Ossola, dove sarebbe stata costituita una formazione autonoma, collegata a quella del comandante Superti. Poi le trattative registrarono una pausa, determinata dal temporaneo allontanamento del rappresentante del C.L.N., durante la quale comparve sulla scena milanese un nuovopersonaggio, il tenente Augusto de Laurentiis. L'ufficiale, che durante l'occupazione di Roma era entrato in contatto con l'organizzazione clandestina del partito d'azione, dopo la liberazione della Capitale si era posto a disposizione della "Special Force" dalla quale era stato paracadutato in Val Camonica con il generale Raffaele Cadorna, destinato ad assumere il comando generale del Corpo volontari della libertà. Il ten. de Laurentiis aveva ricevuto dal collega Rivosecchi, pure arruolato dalla "Special Force", l'indicazione del capitano Fumarola come "contatto" affidabile nell'ambiente della Guardia di finanza milanese, e quest'ultimo - diretto collaboratore del colonnello Malgeri ed al corrente delle attività cospirative del suo superiore - non esitò a presentargli l'emissario venuto dal sud. A nome del comando generale del C.V.L., de Laurentiis riprese il disegno del trasferimento in massa in montagna della legione di Milano, per il quale il cap. Fumarola ebbe l'incarico di predisporre un progetto esecutivo, poi approvato dallo stesso comando generale. Ma quando ormai sembrava che, malgrado le perplessità del colonnello Malgeri, fosse venuto il momento di passare all'azione, la controffensiva nazifascista nei confronti delle formazioni partigiane dell' Ossola fece tramontare, in ottobre, le premesse dell'intera operazione. Furono successivamente ripresi i contatti con gli emissari del C.L.N., fu considerata una nuova ipotesi di trasferimento in montagna, questa volta in Valsassina, e tramite il Trotti, furono ricercate intese con le formazioni garibaldine del comandante Moscatelli, operanti in Val Sesia. Per il marcato orientamento politico di queste ultime, tale iniziativa provocò 25 divisioni all'interno del nucleo cospirativo esistente nel comando delle 3^ legione, alle quali pose termine lo stesso gen. Cadorna, facendo pervenire l'ordine di accantonare il progetto di defezione in massa, per tener pronta l'organizzazione della Guardia di finanza a concorrere all'insurrezione, che lo sviluppo della situazione militare faceva ritenere ormai prossima. La fine dell'estate 1944 vide anche l'esperienza del "zone libere", nelle Langhe, nell'Ossola ed in Carnia. La previsione di un imminente collasso delle forze germaniche indusse infatti alcuni comandi partigiani a passare all'occupazione permanente di aree territoriali, dove furono condotte esperienze di autogoverno e di vita politica democratica, rapidamente troncate dalla repressione dell'occupante dopo la stabilizzazione del fronte sulla linea gotica. Nell' Ossola la Guardia di finanza era presente con due compagnie, a Domodossola e a S. Maria Maggiore, comandate rispettivamente dai capitani Vittorio Vienna e Leone Arcangioli, quest'ultimo fin dal novembre membro attivo del C.L.N. locale. Si trattava di reparti costituiti prevalentemente da personale anziano, quasi tutto richiamato, poiché i giovani erano passati in Svizzera o erano entrati nelle formazioni partigiane, dopo la crisi seguita in giugno al ritiro dei finanzieri dal confine ed al tentativo di aggregarli ai distaccamenti della G.N.R. In agosto erano stati arrestati tutti i componenti dei reparti della Val Formazza, ed i comandanti della tenenza e della brigata di Baceno erano in attesa di processo a Novara, con l'accusa di aver fornito aiuto ai partigiani. Il comprensibile stato di demoralizzazione e le preoccupazioni familiari non impedirono però il passaggio integrale delle due compagnie a disposizione della "Giunta provvisoria di governo", costituita a Domodossola il 9 settembre, dopo l'ingresso delle formazioni partigiane nella città, sgombrata poco prima dal presidio repubblicano e dai pochi militari tedeschi presenti, sotto la minaccia di veder recisa la strada di fondovalle Toce, unico collegamento con il resto del territorio occupato. Nella notte sul 10 i finanzieri pagarono il primo tributo di sangue: una pattuglia posta a guardia della sede del comando partigiano a S. Maria Maggiore fu attaccata di sorpresa, 26 e rimase ucciso l'appuntato Paolo Arenare mentre il sottobrigadiere Teodoro Buttazzo fu gravemente ferito. Il 14 settembre la Giunta proclamò l'istituzione della guardia nazionale, affidandone il comando al colonnello dell'esercito Attilio Moneta. Nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere l'unica forza di polizia nel territorio della minuscola repubblica ossolana (in pratica, ogni formazione partigiana continuò ad avere invece un proprio servizio di sicurezza) e comprendeva un reparto di "guardia doganale", denominazione poi mutata in quella di "guardia finanziaria" per le insistenze del cap. Arcangioli, che ne fu nominato comandante, alle dirette dipendenze del col. Moneta. Il reparto, nel quale furono inquadrati tutti i finanzieri in servizio nell'Ossola, assolse il delicatissimo compito di sovrintendere alla raccolta ed alla distribuzione delle risorse alimentari alla popolazione civile, e ripristinò il servizio di vigilanza al confine svizzero, per fare osservare le disposizioni valutarie emanate dal commissario alle finanze della giunta di governo, il futuro ministro Malvestiti. Ai primi di ottobre rientrò clandestinamente in valle anche il capitano Vienna, sorpreso dagli avvenimenti a Novara, dove si trovava per l'inchiesta a carico dei componenti della tenenza di Baceno. La reazione nazifascista scattò esattamente un mese dopo l'ingresso dei partigiani in Domodossola. Il 9 ottobre reparti repubblicani occuparono di sorpresa Cannobio e cominciarono a risalire la valle verso le Bocche di Finero, prendendo alle spalle il grosso dello schieramento partigiano in fondo Val Toce. Il mattino del 12 il comandante della più consistente formazione partigiana, Alfredo Di Dio, partì da Malesco con il colonnello Moneta ed un gruppo di ufficiali, tra i quali il capitano Arcangioli, per portarsi alle Bocche allo scopo di riorganizzare la resistenza. Le due autovetture sulle quali aveva preso posto il piccolo nucleo all'uscita della galleria di Finero furono prese sotto il tiro dei repubblicani. Di Dio e Moneta furono subito uccisi, gli altri risposero al fuoco e poi riuscirono a salvarsi gettandosi nella boscaglia. Il capitano Arcangioli raggiunse i resti della sua compagnia a Bagni di Craveggia, dove andavano concentrandosi i partigiani in ripiegamento dalla Val Cannobina. 27 Intanto anche le formazioni schierate in Val Toce cominciarono a cedere. Il 14 la Giunta lasciò Domodossola trasferendosi in Val Formazza, seguita dal capitano Vienna e dai suoi uomini, con i quali passò in Svizzera il 19 per il Passo di S. Giacomo, nell'ultimo gruppo di cui faceva parte il presidente della Giunta Tibaldi. La sera precedente avevano fatto altrettanto anche i finanzieri di Bagni di Craveggia con il cap. Arcangioli e gli ultimi resti della divisione partigiana "Piave", inseguiti anche oltre confine dal fuoco dei paracadutisti repubblicani 6. L’INSURREZIONE GENERALE. Nell'Italia settentrionale, la vicenda della repubblica sociale si avviava intanto all'epilogo ed in quasi tutte le sedi più importanti i comandi della Guardia di finanza prendevano contatto con i comitati di liberazione nazionale o con gli stessi comandi delle formazioni partigiane. A Genova il comando di legione era tenuto sotto controllo, anche mediante intercettazioni telefoniche, sia dal comando tedesco che dalle autorità repubblicane, fin da quando il comandante, col. Fantapiè, ed il capitano Petrella, addetto al comando di zona, erano stati arrestati a Viareggio dalle SS mentre tentavano di raggiungere Roma, il giorno successivo a quello dello sbarco alleato ad Anzio. Condotti alla "Casa dello studente", sede del comando SS ligure, i due ufficiali si erano salvati, ma da allora i rapporti tra autorità occupante ed il Corpo furono improntati a totale diffidenza. Fu preteso l'allontanamento dei finanzieri dalla cinta portuale e la loro sostituzione con elementi della milizia portuaria, ed il 26 giugno unità navali tedesche giunsero ad aprire il fuoco, provocando un incendio di una certa gravità, contro la caserma "S. Giorgio", dalla quale sembra si fosse sparato. Il contatto con la resistenza fu stabilito mediante alcuni esponenti del partito d'azione, avvicinati dal comandante del nucleo di polizia tributaria con il tacito consenso dei propri superiori. Un'azione analoga fu svolta a Torino dal tenente colonnello Beraldi e dal cap. Saggio, comandanti rispettivamente del nucleo di polizia tributaria e di quello di polizia 28 economica, i quali furono presentati dal professor Valletta al dottor Peccei, rappresentante azionista nel C.L.N., ricevendone incarichi di carattere informativo e la previsione dell'inserimento della Guardia di finanza nel piano di insurrezione. Il tenente Orgera, comandante della compagnia di Susa, era da tempo in contatto con formazioni partigiane, e così pure il cap. Dell'Aquila ad Asti, dove il ten. Pocorobba, dopo aver collaborato clandestinamente per parecchi mesi, fu costretto a passare ai partigiani con il proprio scrivano finanziere Portelli, per evitare l'arresto ormai imminente. Anche nel cuneese la cooperazione tra finanzieri e resistenza fu molto attiva, per opera sia del comandante di gruppo, tenente colonnello Fiammazzo, che del maresciallo maggiore Borrelli, organizzatore di un'efficace rete informativa. Nell'estate erano state disarmate dai "ribelli", sempre senza opporre resistenza, tutte le brigate della compagnia di Saluzzo, il cui comandante, tenente Zingarini, in agosto era stato formalmente arruolato dalla 15^ brigata d'assalto "Garibaldi". In dicembre l'abitazione dell'ufficiale fu perquisita dall'ufficio politico della G.N.R., ed il comando generale ritenne opportuno toglierlo dalla circolazione affidandogli il comando del distaccamento incaricato della custodia del castello reale di Racconigi. Qui il tenente Zingarini fu avvicinato dal collega Rivosecchi, paracadutato dal sud con una missione britannica, che da allora ebbe base nello stesso castello, presidiato anche da un ignaro reparto della brigata nera. Accordi furono anche stabiliti a Novara dove era stato costituito uno speciale reparto per la vigilanza all'officina carte valori dell'istituto poligrafico dello stato - sistemata nello stabilimento De Agostini - che i finanzieri si impegnarono a difendere contro eventuali sottrazioni o distruzioni dell'ultima ora. Il centro della cospirazione era però nella legione di Milano, sia per la prossimità ai vertici del movimento di resistenza - comitato di liberazione nazionale per l'alta Italia e comando generale del Corpo volontari della libertà - sia per il prestigio personale del colonnello Malgeri, che non esitò ad impegnarsi direttamente nell'attività clandestina. Come si è visto, il comando di legione era al centro di una rete di rapporti, grazie ai quali la resistenza era in grado di utilizzare la struttura organizzativa del Corpo, la relativa libertà di movimento dei suoi componenti, la disponibilità di mezzi di trasporto 29 e di nascondigli "sicuri", la possibilità di mantenere i collegamenti con la Svizzera grazie alla conservazione di una sia pur ridotta presenza al confine, ed infine la legittimazione a produrre documenti di identità e di autorizzazione formalmente regolari, idonei ad assicurare una copertura efficace. I rapporti tra la resistenza e la Guardia di finanza milanese erano stati intensificati dall'arrivo nell'Italia settentrionale del ten. Augusto de Laurentiis, lanciato l'11 agosto 1944 in Val Camonica con il generale Cadorna. Il giovane ufficiale, divenuto uno dei dirigenti dell'organizzazione clandestina "Franchi", inserì in essa numerosi elementi del comando legione e del nucleo di polizia tributaria, tra i quali il brigadiere Eustachio Dell'Acqua, responsabile della "sezione falsi" cui era affidata la produzione di documenti di copertura. Edgardo Sogno, Riccardo Lombardi ed altri dirigenti della resistenza circolarono nell'Italia settentrionale con tessere di riconoscimento che li qualificavano come ufficiali o sottufficiali della Guardia di finanza. L'organizzazione "Franchi" arruolò anche il comandante della compagnia di Ponte Chiasso, ten. Antonio Finizio, che si dimostrò prezioso per la realizzazione dei collegamenti e dei trasferimenti clandestini attraverso la frontiera. Accantonati i progetti di trasferimento in massa in montagna, si passò alla stesura di piani per l'impiego dei reparti della Guardia al momento dell'insurrezione, secondo gli ordini impartiti sia dal comando generale del C.V.L. che dal comando piazza milanese. Fu anche organizzata la riassunzione del controllo del confine svizzero per conto del C.L.N., anche utilizzando una parte dei finanzieri internati nella vicina Confederazione (il capitano Vienna, espatriato dall'Ossola a metà ottobre, ebbe l'incarico di costituire un reparto a questo scopo dall'addetto militare presso la R. legazione di Berna, generale Bianchi). Un progetto per la rioccupazione della frontiera fu pure presentato al col. Malgeri dal colonnello Ugo Finizio, capo ufficio servizio del comando generale di Brescia, il quale si era messo a disposizione del movimento clandestino. Il 27 febbraio 1945 il generale Cadorna sanzionò formalmente l'inquadramento della Guardia di finanza nel C.V.L.. Nello stesso mese, però, la resistenza militare subì una serie di colpi piuttosto gravi, quali l'arresto dei tenenti colonnelli Palombi e Bellini e di altri diretti collaboratori di Cadorna nonché dello stesso capo della "Franchi", Edgardo 30 Sogno, catturato mentre in uniforme da ufficiale tedesco tentava di far evadere dal comando delle SS di Milano, nell'albergo "Regina", il presidente della C.L.N.A.I. Ferruccio Parri. Anche il tenente de Laurentiis fu arrestato negli stessi giorni e rinchiuso a S. Vittore. A Brescia, intanto, anche il comando generale della "Guardia repubblicana di finanza" si preparava all'epilogo. Ai comandi di legione fu confermato l'ordine di rimanere in posto per assolvere compiti di polizia, in caso di imminente occupazione "nemica" delle sedi di dislocazione dei singoli reparti. In febbraio fu precisato che gli stessi reparti dovevano essere esclusi dai piani di difesa e di ripiegamento che i comandi dell'esercito repubblicano stavano predisponendo per l'imminente emergenza. Il 9° comando militare provinciale di Genova ad esempio, fu costretto a diramare l'ordine nr. 407/417, con il quale dal piano di difesa elaborato nel precedente giugno, veniva sottratta la forza di 3 ufficiali, 40 sottufficiali e 160 militari di truppa, che costituiva il concorso della G.R.F. L'ostilità degli uomini della G.R.F. nei confronti dei nazifascisti si andava ormai facendo palese. L'8 marzo, ad esempio, un gruppo di "marò" della X MAS si presentò al magazzino automobilistico legionale di Magenta per requisire i materiali che vi erano custoditi esibendo un ordine del capo della provincia. Il sottufficiale responsabile dispose gli uomini a difesa e chiese istruzioni al comando di legione, ricevendo l'ordine di opporsi con qualsiasi mezzo. I repubblicani si ritirarono limitandosi a proferire minacce. La necessità di organizzarsi per far fronte alla crisi finale apparve evidente anche al vertice della R.S.I.. Per iniziativa del segretario del partito fascista, Pavolini, fu così prevista la costituzione di un "ridotto" in Valtellina, dove i dirigenti politici e militari e quanto restava delle forze armate avrebbero dovuto concentrarsi per resistere ad oltranza in attesa dell'arrivo degli alleati, conservando aperta, nello stesso tempo, la via di scampo del passaggio in Svizzera e, attraverso lo Stelvio e l'Alto Adige, quella del ripiegamento nel territorio che si supponeva sarebbe rimasto sotto controllo tedesco. Premessa per la realizzazione del "ridotto" era, ovviamente, l'annientamento o almeno l'allontanamento delle formazioni partigiane operanti in Valtellina, compito questo 31 affidato al generale della G.N.R. Onorio Onori, ai cui ordini avrebbero dovuto porsi tutti i reparti militari presenti nella valle, e quelli che vi stavano affluendo da tutta l'Italia settentrionale. Il 7 aprile l'ordine, impartito personalmente dal maresciallo Graziani, raggiunse anche il comando generale della G.R.F., che decise di opporre un rifiuto ed impartì istruzioni al colonnello Malgeri affinché ne desse notizia al generale repubblicano. Il colonnello si recò a Tirano, accompagnato dal tenente Macaluso, affiliato alla resistenza e già comandante della compagnia allievi finanzieri dislocata a Villa di Tirano ed allontanata in novembre per iniziativa dello stesso segretario fascista Pavolini, che l'aveva accusata formalmente di fornire appoggio ai partigiani. Macaluso aveva il compito di rimanere all'esterno dell'albergo dove Onori aveva stabilito il suo comando, per dare l'allarme e provocare il passaggio ai partigiani dei finanzieri di tutta la Valtellina, se il suo superiore non avesse fatto ritorno. Ma non accadde nulla. Il generale repubblicano, che apparve al colonnello Malgeri piuttosto sfiduciato, si limitò a prendere atto del rifiuto e chiese di poter avere almeno in prestito un po' di munizioni, delle quali i suoi difettavano. Malgeri affermò di non averne ed il colloquio fini. Nella notte due autocarri provvidero a trasferire prudenzialmente a Milano le oltre centomila cartucce e le numerose bombe a mano depositate nella caserma di Sondrio. Quasi ovunque, i C.L.N. emanavano istruzioni che riconoscevano l'appartenenza al movimento di liberazione della Guardia di finanza e ne prevedevano l'impiego all'atto dell'insurrezione. A metà aprile la linea gotica fu rotta ed il collasso dell'apparato militare tedesco in Italia apparve evidente. generale Wolff, plenipotenziario della Wehrmacht e contemporaneamente capo delle SS e delle forze di polizia, stava del resto già trattando la resa con il comando del XV gruppo di armate alleato. Il 23 aprile le avanguardie alleate costituirono le prime teste di ponte oltre il Po e nello stesso giorno iniziò lo sgombero di Genova da parte del presidio tedesco. A sera, il gen. De Filippis ed il tenente colonnello Tacchini, comandante interinale della legione, si misero a disposizione del C.L.N., e per tutto il 24 i finanzieri parteciparono ai 32 combattimenti di strada per l'eliminazione dei residui nuclei fascisti, nonché al blocco dei marinai tedeschi asserragliati nel porto. Nella stessa giornata del 24 aprile l'insurrezione si estese oltre l'Appennino ligure alla provincia di Alessandria, dove la sera precedente il comando tedesco aveva ordinato il concentramento di tutte le forze nella cittadella. I finanzieri, agli ordini del capitano Raffaele Valentino e del tenente Carlo Valle non ubbidirono e si misero a disposizione del C.L.N. La resa della guarnigione tedesca di Genova fu firmata alle ore 19,30 del 25 aprile dai rappresentanti del generale Meinhold. A quell'ora l'intera organizzazione della Guardia di finanza operava già alle dipendenze del prefetto partigiano della città, Martino. Le unità tedesche e repubblicane dell'armata "Liguria", tra le quali quasi intatta la divisione "San Marco", si andavano intanto raccogliendo nella zona di Acqui, mentre a Cuneo si concentrava la divisione "Littorio" proveniente dal confine francese. Il centro di gravità dell'insurrezione si spostava a Milano, dove in previsione della crisi si era riunito da qualche giorno il vertice della R.S.I. con lo stesso Mussolini. Dopo il riconoscimento formale da parte del gen. Cadorna, i contatti tra il gruppo cospirativo all'interno del comando di legione e gli esponenti militari della resistenza si erano intensificati, in particolare ad opera del capo di stato maggiore del comando piazza clandestino, magg. Liberti, che aveva stabilito una delle proprie sedi nella caserma della compagnia allievi finanzieri del ten. Macaluso, in piazzale Sicilia. Era stato compilato - ed approvato dal comando generale del C.V.L. - un piano insurrezionale, il quale prevedeva la costituzione di un piccolo reggimento di formazione, su quattro battaglioni, con il concorso di tutti i reparti presenti a Milano, per una forza complessiva stimata di circa cinquecento uomini, ovviamente tutti volontari. Il progetto era stato messo a punto in una riunione tenuta nel pomeriggio dell'8 aprile nell'abitazione del colonnello Finizio, del comando generale. Il 21 aprile, mentre la situazione andava ormai precipitando, Malgeri riunì il personale nel cortile della caserma "Cinque giornate" di via Melchiorre Gioia, e lo orientò, ormai esplicitamente, sul comportamento da tenere. Il giorno dopo il colonnello fece altrettanto con i reparti esterni, diramando ai comandi di circolo di Como, Varese, Sondrio, Pavia e 33 Brescia il fonogramma n. 16852: "Invito tutti i comandi e reparti dipendenti a rimanere compatti sul posto nell'interesse del Paese, dico del Paese, del Corpo e di noi stessi, qualunque piega prendano gli avvenimenti militari". Nella sede del comando di legione intanto si avvicendavano i dirigenti della resistenza, ora anche politici, come i comunisti Falletti, delle brigate garibaldine e Galassi, capo - dei G.A.P., e gli azionisti Riccardo Lombardi, designato prefetto di Milano, e Leo Valiani, che avrebbe dovuto presiedere il futuro governo provvisorio dell'Alta Italia. Sia la prefettura che il governo provvisorio avrebbero dovuto utilizzare la caserma della Guardia di finanza come sede protetta, al momento dell'insurrezione. In attesa che si chiarissero gli intendimenti delle forze tedesche e repubblicane presenti numerose in città, i finanzieri avrebbero dovuto raccogliersi nelle caserme di via Melchiorre Gioia (comando di legione) Via Valtellina (2^ compagnia), piazzale Sicilia (compagnia allievi finanzieri) - una quarta in piazza Fiume, sede del nucleo di polizia economica, avrebbe dovuto essere sgombrata perché con-siderata non difendibile - ed organizzarsi per la difesa ad oltranza, il che fu fatto fin dal giorno 23. In un secondo tempo, il reggimento di formazione avrebbe agito come massa dl manovra verso gli obiettivi che sarebbero stati indicati dal comando piazza. In ogni caso, dopo l'acquisizione del controllo della città, la Guardia di finanza sarebbe passata agli ordini del prefetto nominato dal C.L.N. per assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico. In città cominciavano intanto a verificarsi le prime azioni partigiane. Il 23 un gruppo di finanzieri con i brigadieri Rocco e Bazzano e due automezzi, agli ordini del magg. Liberti, effettuò un colpo di mano contro un autoparco tedesco nella zona della fiera campionaria, impadronendosi di tre autoblindo. Il 25 lo stesso brigadiere Rocco guidò un'azione contro la caserma della polizia ausiliaria in via Palmieri, catturando numerose armi automatiche. Nel pomeriggio una pattuglia al comando del tenente Ognibene riuscì ad impadronirsi con uno stratagemma di un fondo di quaranta milioni che stava per essere prelevato dalla Banca d'Italia dalle autorità fasciste. In quelle stesse ore si svolgeva nel palazzo dell'Arcivescovado il celebre colloquio tra i vertici della R.S.I. ed i rappresentanti del C.L.N.A.I., al termine del quale, sfumata l'ipotesi di un passaggio dei poteri "indolore", Mussolini decise di abbandonare Milano. 34 Per i finanzieri asserragliati nelle caserme cominciò l'attesa degli ordini del comando piazza. Verso le 22, a richiesta telefonica del magg. Liberti, un reparto fu inviato ad occupare la sede del "Popolo d'Italia" per consentire, il giorno successivo, l'uscita di un quotidiano del movimento di liberazione; il compito fu portato a termine senza incidenti di rilievo, salvo una leggera ferita per il brigadiere Pieragostini. Dopo un'ora e mezza, nuova telefonata del maggiore Liberti, e questa volta era il preavviso per l'azione principale. L'ordine fu recapitato poco dopo dal tenente de Laurentiis, evaso da S. Vittore quella stessa mattina. Il reggimento si mise in marcia. Il palazzo del governo in corso Monforte fu raggiunto dopo scontri a fuoco di lieve entità con pattuglie fasciste ed occupato senza difficoltà; i pochi agenti di P.S. rimasti dopo l'allontanamento delle autorità repubblicane si lasciarono disarmare senza opporre resistenza. Alle 6 del mattino del 26 aprile la prefettura era ormai posta in stato di difesa ed alle otto il colonnello Malgeri che aveva diretto personalmente l'azione, fu in grado di ricevere Riccardo Lombardi, il quale non ebbe quindi bisogno dell'ospitalità dei finanzieri. A quell'ora erano già stati anche inviati distaccamenti ad occupare il palazzo della provincia, il municipio e il comando militare repubblicano. Il comandante della compagnia del comando generale, sottotenente Diretto, postosi a disposizione del colonnello Malgeri dalla sera prima, fu inviato a presidiare la sede dell'E.I.A.R. in corso Sempione. L'insurrezione si estese intanto a tutta la Lombardia, ed ovunque i finanzieri parteciparono attivamente agli scontri finali, all'occupazione degli uffici pubblici, al disarmo delle forze tedesche e fasciste. L'episodio più grave accadde a Pavia, dove in uno scontro con un gruppo di ufficiali della G.N.R. furono uccisi il tenente Francesco Lillo, l'appuntato Tommaso Coletta ed il finanziere Roberto Spirito. Il tenente Finizio ottenne la resa del presidio tedesco di Ponte Chiasso e fece innalzare il tricolore sul valico; nel pomeriggio scortò a Milano Ferruccio Parri, rientrato dalla Svizzera. 35 Combattimenti di una certa intensità si svolsero in Valtellina, dove, a Madonna di Tirano, si arrese il comando generale della G.N.R. di frontiera. I finanzieri concorsero anche ad attivare i controlli destinati ad impedire l'espatrio dei dirigenti della R.S.I. in fuga verso la Svizzera. Una pattuglia della tenenza di Porlezza, sempre nel pomeriggio del 26 aprile, arrestò i ministri Buffarini Guidi e Tarchi. Nella cattura della colonna di cui facevano parte lo stesso Mussolini ed il principale gruppo di gerarchi, poi fucilati a Dongo, giocarono un ruolo importante un gruppo di sottufficiali della guardia di finanza, appartenenti ad una rete clandestina organizzata dal tenente colonnello Luigi Villani, già comandante del gruppo di Menaggio, rimasto nella zona dopo lo scioglimento del reparto imposto dalle autorità fasciste in ottobre, e divenuto presidente del C.L.N. locale. Il 29 aprile il comando generale del Corpo volontari della libertà dispose che tutti i comandi della Guardia di finanza dell'Italia settentrionale passassero agli ordini del colonnello Malgeri nominato "comandante generale provvisorio per l'Alta Italia". Anche a Torino, dove in previsione dell'insurrezione era stata costituita una compagnia di pronto intervento agli ordini del tenente Zocchi, i finanzieri parteciparono attivamente ai combattimenti con due distaccamenti dislocati ai "docks piemontesi" ed alla manifattura tabacchi. Il nucleo di polizia economica, dopo aver difeso la propria caserma in corso Valdocco attaccata dai repubblicani anche con l'appoggio di due carri armati, occuparono per ordine del comando partigiano la sede della "Gazzetta del Popolo". Ai primi di maggio in tutta l'Italia settentrionale la Guardia di finanza aveva ripreso le proprie normali attribuzioni, agli ordini delle autorità nominate dai C.L.N. e successivamente riconosciute dall'amministrazione militare alleata. Il 4 maggio il comportamento dei finanzieri nella clandestinità, nella lotta partigiana e nell'insurrezione aveva ottenuto riconoscimento formale dal gen. Cadorna, comandante generale del C.V.L.. Pochi giorni dopo fece altrettanto, dalla Capitale, il generale Oxilia. Furono rapidamente ripristinati i normali rapporti con Roma, ed alla fine di giugno anche il comando generale provvisorio fu sciolto. 36 Le ostilità ebbero un tragico seguito per i finanzieri in servizio nella venezia Giulia. Nel territorio del "Litorale Adriatico", sottratto di fatto alla sovranità della repubblica sociale, la massiccia presenza delle formazioni partigiane jugoslave e le profonde divisioni esistenti nel movimento di resistenza italiano avevano determinato una situazione confusa, nella quale gli schieramenti erano meno definiti e più vive le preoccupazioni per quanto sarebbe accaduto dopo il collasso germanico. Anche a Trieste e nei principali centri dell'Istria i comandanti della Guardia di finanza avevano stretto con i comitati di liberazione accordi simili a quelli stipulati nelle altre regioni. Nel capoluogo giuliano il colonnello Persirio Marini, da parecchi mesi in contatto con la Resistenza, aveva concordato la costituzione di un battaglione, destinato ad occupare due dei cinque settori nei quali la città era stata ripartita secondo il piano insurrezionale; in un secondo tempo, la Guardia di finanza avrebbe assunto la responsabilità del mantenimento dell'ordine pubblico, in attesa della ricostituzione dell'organizzazione dei Carabinieri. Il 27 aprile, d'intesa con il comando piazza clandestino, l'unità fu costituita, e fu diramato a tutti i reparti esterni l'ordine di concentrarsi nel capoluogo. Il mattino successivo furono occupati gli obiettivi previsti dal piano, sostenendo anche conflitti a fuoco con le truppe tedesche, che tuttavia si risolsero ad asserragliarsi nel castello di S. Giusto, per arrendersi agli alleati. La guarnigione del porto si consegnò invece ai finanzieri che il 30 aprile presidiavano tutti i punti sensibili della città, ormai in mano agli insorti. Com'è noto, nel tentativo di creare un fatto compiuto che ponesse un'ipoteca sul futuro della città, le truppe dell'Esercito di Liberazione jugoslavo raggiunsero Trieste prima delle avanguardie della 2^ divisione neozelandese provenienti da occidente. 1 partigiani italiani furono disarmati e numerosi esponenti della Resistenza scomparvero dopo l'arresto da parte della polizia segreta. Il mattino del 2 maggio le caserme della Guardia di finanza furono circondate; undici ufficiali e 250 sottufficiali e finanzieri furono catturati ed avviati alla deportazione. Vicende analoghe vissero i finanzieri che, per tutta la durata dell'occupazione tedesca, erano rimasti al loro posto a Pola, a Fiume ed in alcuni centri minori dell'Istria e del 37 goriziano. Nel maggio 1945 scomparvero dalla legione di Trieste circa 500 militari della Guardia di finanza, uccisi e gettati nelle "foibe", come con ogni probabilità accadde per i tre ufficiali ed i 93 finanzieri catturati nella caserma Campo Marzio di Trieste, oppure morti di stenti nei campi di concentramento sloveni o croati. Furono gli ultimi caduti di una lotta durata venti mesi, nel corso della quale la Guardia di finanza riuscì a mantenere intatta la propria organizzazione nel territorio occupato, riducendo al minimo la compromissione con il regime della Repubblica Sociale e contribuendo invece in misura significativa alla Resistenza, fino a presentarsi al momento dell'insurrezione come l'unico organismo militare "regolare" a disposizione del comitato di liberazione nazionale, nella delicatissima fase della transizione verso il ristabilimento del potere legittimo. Per quel che valgono le cifre, il prezzo pagato fu di 1.100 caduti e di seimila internati nei campi di concentramento tedeschi. Per fatti attinenti alla Resistenza ed alla guerra di Liberazione, furono concesse alla Bandiera della Guardia di finanza due medaglie d'oro, una d'argento ed una di bronzo al Valor Militare; altre due medaglie d'oro, 12 d'argento e 38 di bronzo, sempre al Valor Militare, premiarono il comportamento dei singoli militari. Numerose sono state, infine, le Medaglie al Valore della Guardia di Finanza ed al Merito Civile, fra le quali meritano particolare menzione quelle concesse ai militari del Corpo sacrificatisi per aver tratto in salvo i profughi ebrei ed i perseguitati dal nazi-fascismo. 7. GLI AIUTI AI PROFUGHI EBREI ED AI PERSEGUITATI. E’ mio compito, in questa sede, parlarvi delle tipologie degli aiuti umanitari assicurati dai finanzieri in quel triste contesto storico, in un momento in cui la Guardia di Finanza, pur rimanendo integra, essendo un Corpo di Polizia, come prevedevano le leggi di guerra, dovette decidere se aderire “anima e corpo” alla Repubblica Sociale Italiana, oppure si schierarsi – come in realtà fece – in favore della Resistenza. In estrema sintesi, gli aiuti ai profughi ebrei ed ai perseguitati furono assicurati dagli appartenenti alla Guardia di Finanza mediante: 38 a. Il favoreggiamento, ovvero la materiale esecuzione, degli espatri clandestini, sia via terra che via mare (ricostruiti molti episodi verificatesi lungo la frontiera con la Svizzera e gli espatri via mare avvenuti a Genova - Voltri); b. l'ospitalità nelle caserme, ovvero nelle abitazioni private (verificatesi principalmente a Roma); c. la fornitura di documenti d'identità opportunamente falsificati; d. l'arruolamento dei ricercati in qualità di Finanzieri Ausiliari (episodi accaduti a Roma, Genova, Milano e Madonna Tirano (SO), ove furono appositamente organizzati dei corsi); e. la sottrazione dalla deportazione di individui già catturati e pronti a partire per ignota destinazione (fenomeno verificatosi in larga misura a Roma, ma anche in alcune località di frontiera); f. l'avvertimento della popolazione nei casi di operazioni di rastrellamento già pianificate dalle autorità di polizia e/o tedesche d'occupazione (ruolo ricoperto principalmente dagli appartenenti al Comando R. Guardia di Finanza per la città Aperta di Roma); g. il mancato sequestro o confisca dei beni ebraici (casi verificatesi soprattutto a Roma); h. il servizio di corriere in favore delle famiglie già espatriate (non pochi casi si verificarono lungo il confine con la Svizzera). In tutto questo, molto determinante fu l’apporto umano assicurato dai nostri militari. Il fenomeno riguardò: a. i singoli appartenenti al Corpo, i quali, spesso coadiuvati dalle proprie famiglie, si adoperarono nel portare aiuto ai perseguitati sfruttando i propri compiti istituzionali; b. i reparti territoriali, specialmente quelli dislocati in zone di confine. La ricerca ha consentito di ricostruire le vicende legate a circa: 100 ufficiali; 30 sottufficiali; 30 appuntati e finanzieri. 90 comandi di Circolo, Nucleo Polizia Tributaria, Compagnia, Tenenza, Brigata e 39 Distaccamento. Aree geografiche interessate In via principale il Centro Nord d'Italia, corrispondente al territorio della Repubblica Sociale Italiana, ma anche i territori d'occupazione, come ad esempio la Francia meridionale ed i Balcani. Perdite fra i militari del Corpo Sono state ricostruite le posizioni di n. 12 militari del Corpo, distintisi per l'attività svolta in favore degli ebrei e dei perseguitati, caduti in tale contesto storico in quanto fucilati sul posto, ovvero morti nei campi di sterminio o per causa di tale internamento. I caduti furono: App. AMATO Domenico. In servizio presso la Brigata di Casamoro, tratto in arresto il 17 febbraio 1944 a Porto Ceresio, accusato di aver collaborato "con alcuni cittadini a far passare il lago a molti ricercati". Deportato in Austria, morì il 27 febbraio 1945 nel campo di lavoro di Gusen (prossimo a quello di concentramento di Mauthausen, a 39 anni d'età, lasciando sconsolati la moglie e tre figli. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia d’Oro al Merito Civile. Brig. ANTEZZA Michele. Comandante del posto di controllo della R. G.di Finanza di Novel, presso St. Gingolph in Alta Savoia, dipendente dalla Compagnia di Thonon, si prodigò in difesa degli ebrei e di chiunque intendeva sottrarsi alle inique leggi italiane e francesi. Fu ucciso nella notte fra 40 il 1° ed il 2 agosto 1943, in seguito all'assalto della caserma da parte di alcuni renitenti di leva, comunisti e franchi tiratori, mossi dall'odio contro gli occupanti italiani. App. ARENARE Paolo. In servizio presso la Compagnia di Santa Maria Maggiore (NO). Già distintosi durante il primo periodo degli aiuti che il Corpo aveva offerto, in quella zona, sia in favore degli ebrei che dei perseguitati, il 10 settembre 1944, l'appuntato Arenare, che unitamente al Cap. Arcangioli, aveva preso possesso dell'albergo "Oscella", sede del Comando tedesco di S. Maria Maggiore, rimase ucciso nel corso di una rappresaglia condotta sul posto da una squadra delle Brigate Nere. Brig. richiamato BURATTI Mariano. In servizio presso la Compagnia di Viterbo. Il sottufficiale, datosi alla macchia dopo l'8 settembre 1943, diede vita ad una banda partigiana destinata ad operare nel viterbese. Fra i membri della cosiddetta "Banda Buratti" furono, quindi, accolti non pochi militari sbandati, ex prigionieri di guerra e internati, alcuni dei quali appartenenti alle forze armate anglo-americane. Arrestato - dietro delazione - dalla Gestapo, il brigadiere Buratti fu fucilato a Forte Bravetta il 31 gennaio 1944. Alla sua memoria fu concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Fin. CENTURIONI Tullio. Appartenente alla Brigata di Porto Ceresio, fu arrestato il 21 marzo 1944 per le sue responsabilità in merito agli espatri clandestini e successivamente deportato a Mauthausen, ove morì nell’aprile-maggio 1945. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia d’Oro al merito Civile. Fin. CORRIAS Salvatore. 41 In servizio presso la Brigata di Bugone ed aderente alla Brigata partigiana "Giustizia e Libertà-Artom". Distintosi, assieme agli altri colleghi, in numerose azioni eroiche, il fin. Corrias fu arrestato mentre ritornava dalla Svizzera ove aveva accompagnato un ex prigioniero inglese. Fu fucilato da elementi delle Brigate Nere il 28 gennaio 1945, nel recinto della stessa caserma di Bugone. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia d’Oro al Merito Civile e quella di “Giusto tra le Nazioni”. Mar.llo Magg. CORTILE Luigi. Comandante della Brigata di Clivio, fu catturato dai tedeschi l'11 agosto 1944, per le responsabilità avute nel espatrio clandestino degli ebrei. Deportato in Austria vi morì il 9 gennaio 1945. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia d’Oro al Merito Civile. Fin. DIAMANTI Virginio. In servizio presso la Brigata Volante di Como. Dopo essersi adoperato in favore dei profughi, perse la vita il 18 giugno 1945 presso l'Ospedale Civile di Camerata (BG), a causa della T.B.C. polmonare che aveva contratto durante la prigionia in Germania. Fin. OCCHI Pietro. In servizio alla Legione di Milano. In seguito agli avvenimenti dell'8 settembre, si era dato alla macchia, entrando subito a far parte di un'organizzazione partigiana operante in Lombardia. Catturato dai nazi-fascisti, l'8 aprile 1945 fu deportato a Mauthausen, ove cessò di vivere di lì a poco, ad appena ventuno anni d'età. Per il suo eroico comportamento, l'Occhi fu decorato della Croce di Guerra al Valor Militare, con la seguente motivazione: "Giovane e attento partigiano, all'atto dell'armistizio aderiva al movimento della Resistenza prodigando tutte le sue energie per il trionfo della libertà della Patria. Catturato a seguito di un capillare rastrellamento nemico, sopportava 42 stoicamente atroci torture senza nulla svelare che potesse tradire la causa partigiana. Deportato nel campo di sterminio di Mauthausen l'8 aprile 1945, concludeva nella camera a gas il suo cosciente sacrificio. Mauthausen (Austria), giugno 1945". Ten. PAOLINI Gianmaria. Già comandante della Tenenza e del Presidio di Stretto (Dalmazia), il Paolini aveva raggiunto l'Italia all'indomani dell'8 settembre '43. Raccogliendo sul posto i tanti militari sbandati, civili perseguitati dai nazifascisti (con molta probabilità anche ebrei), ma soprattutto ex prigionieri fuggiti dai campi di internamento, l'Ufficiale sostenne per un ciclo operativo numerosi scontri con i nazi-fascisti, distinguendosi per coraggio, ardimento e sprezzo del pericolo. Catturato dai tedeschi il 24 marzo 1944, nel mentre si recava in missione nel Nord, il tenente Paolini fu fucilato all'alba del 24 aprile 1944 in San Giovanni Valdarno. Alla sua memoria fu concessa la Medaglia d'Argento al Valor Militare. Fin. SACCHELLI Claudio. In servizio a Milano dal 1940. Compromessosi con gli espatri clandestini fu arrestato dalle SS ed internato nel campo di concentramento di Mauthausen, ove morì di stenti il 26 aprile 1945, a trentadue anni d'età, lo stesso giorno in cui Milano veniva liberata dai suoi colleghi. Fin. TOLIS Giovanni Gavino. Appartenente alla Compagnia di Chiasso. Postino delle organizzazioni partigiane, per le quali effettuava il servizio di staffetta trasportando clandestinamente lettere e messaggi riservati da o per la Svizzera, svolse un insostituibile opera in favore di ebrei ed antifascisti che tentavano la fuga dai rastrellamenti tedeschi. Denunziato al controspionaggio tedesco, fu catturato nella stessa Ponte Chiasso nel mentre trasportava 43 valuta destinata alle organizzazioni clandestine. Deportato in Austria il 14 aprile 1944, il venticinquenne finanziere morì il 28 dicembre dello stesso anno nel campo di concentramento di Mauthausen - Gusen e la sua salma bruciata nel forno crematorio. Episodi più significativi Nel settore degli aiuti agli ebrei si distinsero, in maniera decisiva, i sotto notati militari: a. Capitano Leonardo Marinelli, già Comandante della Compagnia di Madonna di Tirano, il quale, il 12 settembre 1943, favorì l'espatrio di circa 300 ebrei di origine slava, dopo averli liberati dal campo di internamento dell'Aprica; b. Finanziere Scelto Giulio Massarelli, appartenente alla Brigata di Busto Arsizio, il quale operò attivamente nella zona di Biancone, il Tenente Giorgio Cevoli, in servizio a Gironico, il Tenente Giuseppe Pollo, il Maggiore Tani e la moglie Mafalda, operanti in Roma, i quali, per aver favorito l'espatrio di numerosi ebrei, ovvero per averli ospitati nelle proprie abitazioni, hanno meritato, unitamente al citato Finanziere Salvatore Corrias, la Medaglia di “Giusto tra le Nazioni”;ù c. Finanziere Rino Dalla Pria, appartenente alla Brigata di Somneggio, il quale si adoperò lungo la rete di confine, lasciando passare in Svizzera sia i profughi ebrei che i militari alleati fuggiti dai campi d'internamento; d. Alcuni esponenti della banda partigiana "Fiamme Gialle", capeggiata dal Generale Filippo Crimi ed operante in Roma e nel Lazio, i quali ospitarono nelle caserme o nelle loro abitazioni private diversi ebrei scampati alla retata del 16 ottobre 1943. Fra questi si distinse principalmente il Brigadiere Salvatore Serra, che in più occasioni favorì la fuga di migliaia fra militari, civili, ebrei e perseguitati politici già caricati sui treni in partenza verso la Germania. L'internamento dei militari del Corpo La deportazione nei campi d'internamento tedeschi interessò 5.192 militari del Corpo, catturati sia nei territori d'occupazione, sia in quello nazionale. 44 Le perdite subite dalla Guardia di Finanza in tale ambito ed accertate ufficialmente ammontano a 236 unità. Come ritengo di aver dimostrato, l’azione umanitaria che le Fiamme Gialle seppero portare avanti, seppure fra mille difficoltà, rischi personali ed estremi sacrifici, salvò migliaia di vite umane da sicura morte. Non sempre, però, la riconoscenza nei riguardi dei salvatori è stata unanime e, soprattutto, puntuale. Se è vero, come è vero, che chi “salva un solo uomo salva il mondo intero”, come ricorda il Talmud, chi dovette la vita a questi splendidi soldati di frontiera ha il dovere di ricordarli per sempre, ma soprattutto di condividere i sentimenti di gratitudine con i giovani e con le generazioni future, le quali spesso stentano a credere che la Shoah sia mai esistita, ovvero non ne conoscono l’effettiva entità. Grazie, 45