507-512:Layout 3 5-09-2012 15:34 Pagina 507 S tudi e commenti | FILOSOFIA L’identità personale: il contributo delle neuroscienze Lucia Urbani Ulivi al XX Convegno della Pontificia università della Santa Croce I «Filosofi e scienziati hanno molto da imparare gli uni dagli altri, da ultimo anche una lezione di umiltà: imparano che (…) nel vasto affresco del conoscere nessuna disciplina ha la parola definitiva né sul suo oggetto, né sul mondo». Nel corso dell’ultimo Convegno di Filosofia della Pontificia università della Santa Croce (Roma, 27-28.2.2012; cf. Regno-att. 6,2012,191ss) la prof.ssa Lucia Urbani Ulivi, docente all’Università Cattolica di Milano, si è occupata delle condizioni per un corretto confronto tra filosofia e neuroscienze. Partendo dal presupposto che «il paradigma della separazione non è più sostenibile», la Ulivi propone di integrare nell’indagine antropologica il metodo analitico delle scienze con un «approccio sistemico». Esso offre «almeno due indicazioni teoriche importanti. La prima: l’essere umano è un’unità di elementi in relazione e la sua identità non può essere cercata a livello immediatamente fenomenizzato. La seconda: ci sono proprietà emergenti dell’umano». In tale prospettiva il filosofo non cercherà l’identità umana nelle parti, «ma si sforzerà di rintracciarla nel nucleo relazionale, che Aristotele avrebbe chiamato “principio di identità”, o “natura”, o “anima”». Stampa da supporto digitale in nostro possesso. IL REGNO - DOCUMENTI 15/2012 l mio intervento si articolerà in tre nodi tematici, lasciando alla discussione l’approfondimento di molte questioni che qui sarà solo possibile sfiorare. Primo punto: c’è un rapporto tra la filosofia e le discipline scientifiche, in particolare tra antropologia filosofica e neuroscienze, e, se c’è, come va pensato? Secondo punto: in che cosa consiste l’approccio sistemico, quali ne siano gli antecedenti storici e come renda più completa la nostra comprensione della realtà. Terzo punto: come vada ripensata l’antropologia filosofica se tiene conto e valorizza i contributi delle neuroscienze e l’approccio sistemico. Concluderò con una revisione lessicale e concettuale dei termini «coscienza» e «autocoscienza». 1. Rappor to filosofia-scienze 1. Si tratta di un tema intricato, spinoso, dibattuto nel corso degli ultimi cento anni da autorevoli interlocutori. È una questione che ha interessato per lo più i filosofi, preoccupati di attribuire all’umano conoscere in tutte le sue declinazioni un oggetto e dei confini. Oggi entrano in campo anche gli scienziati, in particolare i fisici teorici, per i quali gli aspetti interpretativi delle teorie proposte diventano parte della teoria stessa o sono necessari per una sua comprensione. I vecchi schemi non sono più adeguati e occorre riconsiderare l’intera questione quanto meno al fine di facilitare la reciproca comprensione di filosofi e scienziati e il passaggio e arricchimento di conoscenze da un ambito all’altro. Occorre dunque riconoscere e salvaguardare l’identità e l’oggetto proprio sia della filosofia sia delle scienze, e dunque l’indipendenza di ambito di ricerca, metodo, definizione dei risultati; ma occorre anche riconoscere quei legami e quelle influenze che nel corso del pensiero sia filosofico sia scientifico hanno legato con molte relazioni i due grandi comparti del sapere. Il paradigma della separazione tra filosofia e scienze non è più sostenibile: anche la filosofia che più si pensa indipendente dalle scienze in realtà finisce per includere una visione scientifica (pensiamo a quanto la concezione kantiana di spazio e tempo come trascendentali sia debi- 507 507-512:Layout 3 5-09-2012 15:34 Pagina 508 S tudi e commenti trice della teoria newtoniana dello spazio e tempo assoluti), di solito quella del momento; sappiamo anche che il fare scientifico è sorretto anche da tesi filosofiche o da assunti cripto-filosofici di senso comune che entrano e talvolta guidano e orientano i programmi di ricerca scientifici (esempi recenti sono il progetto dell’«Intelligenza artificiale forte» che ha adottato l’equiparazione della ragione alla logica; la medicina occidentale classica che vede il corpo come una macchina fisico-chimica autonoma).1 Ci troviamo di fronte al duplice, impegnativo compito da un lato di riconoscere e giustificare l’autonomia di ciascuna disciplina, sia scientifica sia umanistica, dall’altro di rendere conto del fatto documentato che la filosofia e le scienze non si muovono su ipotetici piani paralleli, ma intrattengono rapporti d’interazione, scambio, influenza. Occorre dunque riprendere e reimpostare l’intera questione dei rapporti tra filosofia e scienze. L’ipotesi di lavoro che propongo è di dare una collocazione gerarchica (anticipando e sfruttando una teoria sistemica della conoscenza) ai diversi ambiti dell’umano conoscere, anziché considerarli come complanari e quasiindipendenti. Nell’assetto gerarchico del conoscere troviamo a un primo livello di acquisizione cognitiva i dati sensoriali, grezzi e ordinari, ma già carichi di teoria.2 A un livello più alto vanno collocate le scienze, che accumulano dati sperimentali a integrazione e correzione di quelli sensoriali e li organizzano in teorie: si pongono a un meta-livello rispetto al livello sensoriale. La filosofia passa di livello rispetto alle scienze: riflette sul dominio oggettivo descritto dalle scienze e si colloca su un piano meta-scientifico. I diversi livelli appartengono tutti allo stesso sistema del conoscere, dunque intrattengono rapporti di relazione e di interferenza. Se ora ci collochiamo al livello del filosofo dobbiamo riconoscere che la filosofia, pur collocata a un meta-livello rispetto alle scienze, trae anche dalle scienze il suo sapere sul mondo. È lavorando su tale base oggettiva che il filosofo avanza problemi, saggia ipotesi, elabora proposte teoriche. È dunque importante che il filosofo sia contemporaneo della scienza del suo tempo; il colloquio e il confronto con lo scienziato gli eviterà di commettere errori scientifici. Mentre il dialogo interdisciplinare con il filosofo aiuterà lo scienziato a non mettere pezzi di filosofia o di metafisica non controllati nei suoi programmi di ricerca. Filosofi e scienziati hanno molto da imparare gli uni dagli altri, da ultimo anche una lezione di umiltà: imparano che nessuna disciplina può pretendere di essere del tutto autonoma e indipendente dalle altre e che nel vasto affresco del conoscere nessuna disciplina ha la parola definitiva né sul suo oggetto, né sul mondo. 2. Se ora mettiamo alla prova l’ipotesi proposta sul rapporto tra antropologia filosofica e neuroscienze, credo che si ottengano alcuni risultati interessanti. La prima domanda che il filosofo si pone sull’umano è se ci sono motivi perché l’antropologia esca dalla biologia, che è la domanda posta da Aristotele in De anima. In altre parole: le descrizioni scientifiche esauriscono la questione antropologica? Tale domanda si colloca a un 508 IL REGNO - DOCUMENTI 15/2012 meta-livello rispetto alle scienze perché se anche dicessimo che l’antropologia svanisce nella biologia, questa non sarebbe un’affermazione biologica, ma filosofica (di un certo tipo, cioè riduzionista). Nel meta-livello filosofico siamo per così dire «gettati»: ce ne serviamo anche per negarlo. Dunque inutile insistere sulla questione se l’antropologia filosofica sia o no possibile, utile, necessaria, visto che comunque in qualche modo la facciamo; meglio chiedersi se oggi le discipline scientifiche hanno da dirci sull’umano qualcosa che ribalti o corregga la visione ordinaria, sia di terza sia di prima persona, che la filosofia per troppo tempo ha preso come unico riferimento. La risposta è senz’altro affermativa; le neuroscienze in particolare costituiscono un comparto disciplinare che ha accumulato in tempi recenti risultati spettacolari (e spesso fin troppo spettacolarizzati), accumulo di dati e di teorie che hanno del tutto trasformato la nostra visione dell’essere umano in quanto essere naturale. Mi riferisco alle ricerche e scoperte di Edelman, di Damasio, di Rizzolatti (se ne potrebbero aggiungere altri), dai cui studi esce un uomo per molti aspetti «nuovo». Edelman ha dato almeno due contributi importanti alle discipline dell’umano: plasticità cerebrale e conoscenza come attività selettiva. Il cervello non è un organo fisso, una macchina computazionale, ma si modifica e si struttura, fatti salvi i vincoli di specie, a seconda delle esperienze; è l’esito di una storia personale fatta di scelte, di ricordi, di rifiuti, di attenzione negata o concessa alle possibilità con cui entriamo in contatto. Ognuno ha la sua unica, speciale, irripetibile storia, ognuno ha il suo cervello. Il mondo stesso per Edelman è indeterminato; la conoscenza umana lo determina in quanto seleziona, specifica, focalizza l’attenzione su certi aspetti e proprietà del mondo, e così facendo ne esclude numerosi, forse infiniti, altri. Conoscere vuol dire tracciare mappe e categorie esposte a conferme o smentite, mobili e duttili. Il filosofo impara che la fissità computazionale del modello meccanicistico della conoscenza non è più sostenibile e che l’asserzione della libertà umana almeno come libero arbitrio non troverà un immediato ostacolo nella struttura biologica. Certo plasticità non è ancora libertà. È però un riferimento utile, che segnala almeno una compatibilità tra fisiologia cerebrale e libero arbitrio. Damasio ha dimostrato che alcuni tratti e comportamenti umani, cioè corpo, emozioni, pensiero, convergono nel mantenimento dell’individuo operando in modo integrato e sinergico; certamente l’uomo è diverso dagli altri viventi per le sue capacità di ragione alta (memoria estesa, attenzione, linguaggio, logica, apprendimento), ma la ragione è incarnata, è sostenuta dal corpo e dalle emozioni. Le emozioni orientano e sostengono l’attività razionale, il corpo costituisce il riferimento di base della mente. Corpo, mente, emozioni risultano legate da fitti vincoli di interazione e interferenza, da connessioni profonde che convergono a realizzare quell’individuo pensante e attivo che è l’essere umano. Dopo Damasio per il filosofo sarà arduo sostenere posizioni dualistiche: il corpo come macchina da una parte, la mente nella sua infinita libertà dall’altra, le emozioni 507-512:Layout 3 5-09-2012 15:34 Pagina 509 non si sa bene dove. Molto più plausibile l’antica posizione dell’unità dell’essere umano indicata da Aristotele, ripresa e teorizzata da Tommaso d’Aquino.3 Damasio ci ha anche invitati a correggere l’identificazione di ragione e di logica: scoprendo comportamenti logici, ma irrazionali (vedasi l’ormai celebre caso Cage), ci fa capire che i comportamenti guidati solo dalla logica sono insufficienti a produrre comportamenti razionali. Il filosofo è invitato a rivedere i concetti di logica e di ragione, è invitato a ridisegnare i loro rapporti. I risultati di Rizzolatti e della sua équipe sono molto noti: le aree cerebrali che si attivano quando facciamo un’azione vengono attivate anche quando vediamo qualcuno fare la stessa azione attraverso gli ormai celebri «neuroni specchio». A conferma dell’antica intuizione filosofica che ben poco è passivo nel conoscere: la conoscenza è sempre un’attività. Da queste e altre ricerche neuroscientifiche risulta un essere umano come individuo unitario e complesso, centro integrato di strategie di comprensione, di scelta, con obiettivi che liberamente si pone, profondamente incarnato in una corporeità tacitamente e profondamente intelligente. Va detto che una tale descrizione dell’umano non costituisce un riferimento vincolante per il filosofo; che dal suo meta-livello può tranquillamente ignorare tutto ciò e continuare a costruire antropologie di ogni genere, rifiutandosi di fare i conti con i risultati sia delle scienze sia delle neuroscienze. Una tale filosofia, praticabile e praticata, paga un prezzo molto alto: spezza il rapporto con il mondo, diventa completamente autoreferenziale, si priva del radicamento e riferimento empirico, controlla le sue proposte, che sono idee, con altre idee, senza mai confrontarle con dati dell’esperienza; si espone a quel fallimento teorico che ha caratterizzato l’antropologia del Novecento. Ritengo invece che l’esperienza, sensoriale, ma soprattutto scientifica, sia il grounding che alla filosofia non può mancare e che comunque, lo voglia o no, di fatto non le manca; è la strada del conoscere indicata con chiarezza da Aristotele, ripresa da Tommaso, variamente tradita da correnti successive. È la strada che ritengo più feconda, interessante e dotata di carico informativo per un filosofo che voglia capire il mondo che lo circonda, sia con i suoi aspetti permanenti e stabili, sia con quelli soggetti a trasformazioni, ampliamenti e precisazioni storiche. Perché gli scienziati dovrebbero sedersi con noi ai tavoli interdisciplinari, siano essi convegni, come questo, o «seminari creativi» come quelli praticati da Frith? Che contributo si aspettano dai filosofi? Credo che possano ragionevolmente aspettarsi che ricambiamo loro la cor- tesia: come loro evitano a noi di commettere errori scientifici, noi possiamo aiutarli a evitare errori filosofici e, soprattutto, a identificare quanto di filosofico c’è nei loro assunti, progetti, conclusioni. Non che gli scienziati non debbano fare filosofia, la fanno, come tutti gli esseri umani, ma non devono introdurre mescolanze di ambiti e livelli, facendo intervenire pezzi di metafisica, o di ontologia, o di etica, nei loro programmi di ricerca. È avvenuto nel passato, continua oggi come cattiva pratica scientifica. Mi bastano pochi esempi. L’intelligenza artificiale forte era minata dall’assunto filosofico erroneo che l’intelligenza è riducibile a computazione e che per produrre una macchina intelligente fosse sufficiente produrre una macchina capace di manipolare simboli secondo regole. Quando Edelman a più riprese sostiene che la metafisica è falsa non sta facendo un’affermazione scientifica, perché la scienza non può sostenere che qualcosa di non osservabile è falso. Quando Frith a sua volta ripetutamente afferma che al mondo c’è solo materia si sta impegnando in ambito filosofico, visto che non è certo oggetto di prova sperimentale, dunque scientifica, l’esistenza della sola materia. E si potrebbe continuare. In breve, vorrei mettere in guardia gli scienziati dal non scientifico errore riduzionistico, che spesso li porta a sostenere che esiste solo ciò che è oggetto di osservazione sperimentale. Il profilo dell’umano che sta emergendo dalle ricerche neuroscientifiche sembra smentire, paradossalmente, l’orientamento condiviso e corrente nella comunità scientifica, che per lo più si dichiara materialista, meccanicista, riduzionista (nelle sue varie declinazioni). Anche su questo il dialogo con i filosofi può aiutare tutti a rivedere assunti ereditati, non più sostenuti dai risultati delle ricerche scientifiche; a chiarire lessico e concetti spesso inadeguati. Non ritengo affatto utile, invece, che i filosofi dettino l’agenda di ricerca agli scienziati e propongano modelli e metodi di sperimentazione e di controllo: ogni disciplina scientifica ha il suo statuto epistemologico; quello che vale in fisica non vale in biologia e quello che vale in paleoantropologia è considerato falso o insufficiente in biologia. La pretesa di stabilire una mathesis universalis di cartesiana memoria s’ispira a un’univocità metodologica tramontata, che è bene non riproporre. Direi dunque che il dialogo tra antropologia filosofica e neuroscienze vada pensato e proposto come un momento di arricchimento, correzione, approfondimento problematico in cui le diverse competenze possono collaborare nell’affascinante e complesso percorso del conoscere che come esseri umani ci caratterizza e ci identifica. 1 Imre Lakatos (Lipsitz) ha messo in evidenza il fatto che le teorie scientifiche contengono un «nocciolo duro» di ipotesi fondamentali immuni dalla confutazione. Il materialismo delle discipline scientifiche attuali può essere un buon esempio di tale nucleo metafisico inglobato nei programmi di ricerca scientifica. Cf. I. LAKATOS, «Falsification and the Methodology of Scientific Research Programmes», in I. LAKATOS, A. MUSGRAVE (a cura), Criticism and the Growth of Knowledge, Cambridge University Press, Cambridge 1970, trad. it. (a cura di G. Giorello) «La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifici», in Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976. 2 La theory ladeness afferma che nulla può essere considerato un fatto puro, ma che le strutture sensoriali fisiche elaborano la realtà secondo strutture cognitive implicite, sia biologiche che culturali. La theory ladeness fu elaborata da Kuhn e da Feyerabend, anche se con esiti diversi, in chiave antipositivistica. Oggi si preferisce dire che le teorie sovradeterminano i dati o, inversamente, che i dati sono sottodeterminati dalle teorie. 3 TOMMASO D’AQUINO espone la sua antropologia in diverse sedi, tra cui: Summa theologiae, I, q. 75 e q. 76; Summa contra Gentiles, II, cc. 49, 51, 55, 56, 59; Quaestiones Disputatae de Anima, art. 1, 2, 9. IL REGNO - DOCUMENTI 15/2012 509 507-512:Layout 3 5-09-2012 15:34 Pagina 510 S tudi e commenti 2 . Approccio sistemico Le discipline scientifiche cosiddette di base hanno fatto proprio il terzo precetto del Discorso sul metodo, che prescrive che per conoscere qualcosa è necessario e sufficiente ridurlo ai suoi costituenti semplici. Hanno introiettato e assunto in un colpo solo il metodo analitico e il riduzionismo metodologico. Il metodo analitico sostiene che la conoscenza di un oggetto viene ottenuta attraverso la scomposizione dell’oggetto nei suoi costituenti semplici; il riduzionismo metodologico afferma che c’è un tipo di conoscenza che esaurisce totalmente la conoscenza di un oggetto, che è per lo più stata identificata con la scomposizione nei componenti semplici. Tale approccio attribuisce naturalmente un primato alla fisica, che è la disciplina che rintraccia i costituenti semplici del mondo fisico, e agisce anche all’interno del suo programma di ricerca orientandola a cercare i mattoni ultimi della realtà. Idealmente gli oggetti di altre discipline saranno pienamente compresi nel momento della loro riconduzione e riduzione alle leggi della fisica. L’approccio analitico ha mietuto grandi successi, ma si è dimostrato incapace di prendere in considerazione alcune importanti questioni, quali: i fenomeni di ordine e di regolarità presenti nel mondo; l’individualità e identificabilità degli oggetti; la complessità, nel senso dei diversi e molteplici punti di vista da cui un oggetto può essere studiato. Occorre integrare e completare, o addi- GIUSEPPE BARBAGLIO Gesù ebreo di Galilea Indagine storica P er lo storico è impossibile scrivere una biografia di Gesù, ebreo figlio del suo tempo e della sua terra, ma tante sono le fonti documentarie disponibili. Con rigore critico l’autore propone un’ipotesi di ricostruzione fondata. Il volume, il cui grande successo riconferma l’inesauribile interesse attorno al Nazareno, è ora riproposto in versione economica. «ECONOMICA EDB» Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna pp. 688 - € 26,00 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 rittura sostituire, l’approccio analitico con un diverso modello in grado di gestire tali questioni. Viene alla ribalta l’approccio sistemico, con una proposta teorica impegnativa, la cui elaborazione è work in progress, storia di oggi. Tale approccio prende in considerazione gli oggetti del mondo considerandoli come sistemi, cioè come unità ordinate e organizzate di parti (o elementi) vincolati da relazioni interne. Il sistema esibisce relazioni che vincolano il comportamento di elementi fluttuanti, cioè li sopraordina. Tale organizzazione unitaria ha consistenza ontologica in quanto presenta delle proprietà che le sue parti non hanno; come si sente spesso dire, un sistema è di più della somma delle sue parti, cioè non è sommativo o, anche, presenta proprietà emergenti. L’emergenza è il carattere distintivo di un sistema, che lo rende irriducibile ai suoi componenti e ne rende impossibile la deduzione o la predicibilità a partire dai componenti. Altre caratteristiche dei sistemi sono: la resistenza alle perturbazioni, che nel caso dei viventi è chiamata autopoiesi, ed è la capacità dei viventi di sostituire le parti mantenendo e riproducendo continuamente l’organizzazione, cioè i vincoli tra le parti; l’equifinalità, per la quale un certo scopo può essere raggiunto a partire da punti di avvio diversi e con procedure diverse; la storicità: un sistema ha uno stato attuale che si è stabilizzato in funzione delle perturbazioni subite e superate; l’omeostasi, come tendenza a recuperare l’equilibrio perturbato secondo modalità proprie, le relazioni intrattenute con l’ambiente; l’istituzione di un ordine gerarchico tra sistemi. Su questi aspetti c’è un sostanziale accordo tra i teorici dei sistemi, i «sistemici puri». Ci sono questioni dibattute, controverse, sulle quali ferve la ricerca: occorre conciliare l’invarianza dell’organizzazione con una certa trasformazione delle relazioni, che consente il dinamismo dei sistemi. L’organizzazione rappresenta la finalità intrinseca del sistema? Come emergono nuove forme di ordine? Che cosa è l’emergenza? In questo momento ci sono due modi di affrontare tali questioni. Da un lato ci sono i sostenitori della necessità di rinforzare la sistemica, come disciplina che ha il sistema come suo oggetto formale; tra i simpatizzanti di questo approccio di ricerca ci sono per lo più matematici, ingegneri, logici. Dall’altro c’è chi sostiene che una teoria formale è in qualche modo riduzionistica e che il concetto di sistema, se deve essere interdisciplinare, si verrà arricchendo e precisando grazie al contributo di molte e diverse discipline, pur salvaguardandosi un isomorfismo di prospettiva. Faccio qualche esempio di arricchimenti del concetto di sistema che sono stati ottenuti da specifiche discipline e che solo da quelle discipline potevano provenire. La fisica teorica sottolinea l’importanza delle relazioni tra particelle e ambiente in un modo che nessuna teoria formale dei sistemi poteva prevedere e includere (ce l’hanno fatto vedere con chiarezza Emilio Del Giudice e Giuseppe Vitiello in alcuni importanti seminari all’Università Cattolica del Sacro Cuore). La biologia per bocca di Marta Bertolaso, sempre in un seminario alla Cattolica, ha dato prova convincente della necessità di ordinare gli elementi www.dehoniane.it 510 IL REGNO - DOCUMENTI 15/2012 507-512:Layout 3 5-09-2012 15:34 Pagina 511 di un sistema secondo un ordine gerarchico, perché ci sono proprietà presenti a certi livelli, non ad altri. I filosofi, dal canto loro, hanno mostrato che la conoscenza umana va vista come un sistema di elementi che interagiscono e interferiscono (su questo è stata esemplare Roberta Corvi), indebolendo la visione sistemica classica del reciproco isolamento degli elementi rispetto al sistema. Hanno anche rintracciato gli antecedenti storici del concetto di sistema, in particolare nel concetto di sostanza di Aristotele (su questo punto ha parlato con chiarezza Alessandro Giordani). Questi contributi non potevano che venire da discipline speciali. Dunque, come appare certamente chiaro, io sono propensa a praticare questa seconda linea di ricerca, ma ritengo che anche il lavoro formale possa essere utile, purché non si pensi come esclusivo o migliore. Che contributo dà l’approccio sistemico all’antropologia filosofica? E inoltre: come l’antropologia filosofica arricchisce il concetto di sistema? Le teorie della persona hanno mostrato nel secolo scorso un notevole smarrimento teorico e spesso hanno fatta propria la conclusione amara di Rorty; l’uomo è «un groviglio di contingenze». Conclusione annunciata dall’approccio analitico, che ha ridotto l’umano ai costituenti via via più semplici e materiali e ha dovuto negarne l’unità, la complessità, la ricchezza che nei costituenti materiali non si trovavano. L’approccio sistemico ci consente l’uscita dallo scetticismo antropologico e ci dà almeno due indicazioni teoriche importanti. La prima: l’essere umano è un’unità di elementi in relazione e la sua identità non può essere cercata a livello immediatamente fenomenizzato. La seconda: ci sono proprietà emergenti dell’umano. Considerare l’essere umano come un’unità di elementi in relazione ci consente di rendere conto del fatto, indiscutibile, che le parti di cui siamo composti, siano esse fisico-chimiche, siano biologiche, psichiche e mentali, cambiano continuamente, ma restano vincolate all’organizzazione propria dell’umano. Il filosofo non cercherà l’identità umana nelle parti, che Aristotele avrebbe chiamato «accidenti», ma si sforzerà di rintracciarla nel nucleo relazionale, che Aristotele avrebbe chiamato «principio d’identità», o «natura», o «essenza» o «anima». Dalla sistemica saprà anche che mentre le parti sono fenomenizzate e attingibili con gli strumenti di osservazione empirici, l’organizzazione non è osservabile direttamente, ma va rintracciata come l’ordine tacito del fenomenico. Come dice Michael Polanyi,4 non è la materia che detta legge all’organizzazione, ma è l’organizzazione che imbriglia la materia. Nessuno stupore se i filosofi che hanno guardato ai soli costituenti fenomenici dell’essere umano non hanno potuto scorgere in essi nessuna razionalità, nessun ordine, condannando l’antropologia filosofica al fallimento. La razionalità si trova con la ragione, che è capace di scorgere legami, vincoli, relazioni che nessun microscopio, nessun telescopio potranno evidenziare, ma solo l’intelligenza del biologo, dell’astrofisico, del filosofo saprà indicare e rintracciare. Una seconda indicazione teorica importante che viene dall’approccio sistemico è l’impossibilità di dedurre le proprietà emergenti di un sistema a partire dai suoi costituenti; le proprietà emergenti si osservano, si descrivono, si constatano, non si prevedono, non si deducono. Tra le proprietà esclusive dell’umano c’è certamente la libertà; sappiamo quanto i filosofi abbiano cercato di dimostrare o di negare che l’uomo è libero, sappiamo quanto sia la dimostrazione sia la negazione siano sfuggite a tutti i tentativi di prova. Ora possiamo capire perché; la libertà è una proprietà di sistema che c’è quando c’è l’unità umana, non c’è nelle sue parti. Può essere capita, approfondita, descritta, ma non può essere dimostrata. Inutile tentare di farlo. Così come è inutile tentare di dedurre il linguaggio dagli organi fonatori, il pensiero dal cervello, la filosofia dalle scienze naturali. Quanto al contributo che l’antropologia filosofica può dare per rendere più completo il concetto di sistema, direi che in questo momento della ricerca è urgente un approfondimento e un ripensamento del ruolo delle parti. Von Bertalannfy5 aveva insisto sulla sostituibilità delle parti senza che ciò interferisse sull’identità del sistema; questo è certamente vero, visto che l’identità di un sistema anche dinamico è stabilizzata da certi valori entro cui le variabili vanno mantenute. Però l’osservazione dell’essere umano mostra che le parti di cui è composto, pur assunte dall’ambiente (inteso in senso molto ampio, come ambiente non solo fisico, ma anche culturale), non restano identiche, indifferenti e inerti, ma sono trasformate e adattate dai vincoli cui sono sottoposte nel sistema «essere umano»; vengono in un certo senso «umanizzate». Ricevono l’impronta del tutto di cui sono parte. Questa impronta dall’alto non era sfuggita a Tommaso d’Aquino, ma neppure a Kant. 4 Che ci sia un rapporto di «imbrigliamento» del materiale da parte dell’immateriale è tesi proposta e sostenuta da M. POLANYI, che la ribadisce e la spiega a fondo ripetutamente nei suoi scritti. In proposito cf. in particolare Personal Knowledge, Routledge and Keagan, London 1958; trad. it. (a cura di E. Rivers), La conoscenza personale, Rusconi, Milano 1990; The Tacit Dimension, Anchor, New York 1966; trad. it. (a cura di F. Voltaggio) La conoscenza inespressa, Armando, Roma 1979; Knowing and Being, University of Chicago, Chicago 1969; trad. it. (a cura di A. Rossi) Conoscere ed essere, Armando, Roma 1988. 5 L. VON BERTALANFFY, General System Theory. Foundations, Development, Applications, George Braziller, New York 1967; trad. it. Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano 1983. 3. Proposta antropologica La collaborazione con le neuroscienze e con l’approccio sistemico è una potente fonte sia di rinnovamento sia di recupero di istanze tradizionali in ambito antropologico e costituisce una fonte di chiarimento di molti problemi altrimenti ingestibili. Provo a tirare le fila di quanto detto sopra. Gli esseri umani sono presenti e attivi nel mondo come individui sottoposti a vincoli di specie. Entro tali vincoli ogni soggetto umano esprime la propria individualità. Le neuroscienze ci dicono che il corpo, le emozioni e le capacità razionali agiscono in sinergia e in collaborazione, mantenendo l’identità senza perdere in IL REGNO - DOCUMENTI 15/2012 511 507-512:Layout 3 5-09-2012 15:34 Pagina 512 S tudi e commenti capacità di adattamento e risposta alle perturbazioni dell’ambiente; ci dicono cioè che l’essere umano è dotato di fondamentale, indissolubile unità e di dinamismo plastico e adattativo. Mostrano anche la plasticità del cervello, la sua capacità di percezione attiva, la sua continua relazione selettiva ad aspetti e proprietà del mondo. Per molti autori, tra cui Libet, l’essere umano manifesta comportamenti liberi. La sistemica ci propone di intendere l’essere umano come un sistema, che vincola le diverse parti di cui è composto, che cambia i componenti mantenendo l’organizzazione, che nell’assetto attuale mostra i segni delle scelte passate, che intrattiene vincoli con l’ambiente, dal quale è sostenuto. All’essere umano in quanto sistema vanno attribuite proprietà che le parti non hanno. Tali proprietà non possono essere dedotte o previste; emergono contestualmente a quell’assetto specifico e speciale che è l’essere umano. Con l’umanità sorgono la libertà, l’autocoscienza, il linguaggio, il pensiero, la morale, il bello, la religione, quel corpo che è caratteristico degli esseri umani, la creatività. Sono proprietà che vanno osservate, descritte, per le quali nessuna spiegazione deduttiva è possibile; nascono con quel principio dall’antico nome di «anima» che in un modo speciale ed esclusivo pone in relazione parti transeunti e mutevoli e che organizza e rende tale l’individuo umano. DIRETTORE RESPONSABILE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa REDAZIONE p. Marco Bernardoni / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi / Daniela Sala / Piero Stefani / Francesco Strazzari / Antonio Torresin EDITORE Centro Editoriale Dehoniano, spa PROGETTO GRAFICO Scoutdesign Srl IMPAGINAZIONE Omega Graphics Snc - Bologna STAMPA italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara Registrazione del Tribunale di Bologna N. 2237 del 24.10.1957. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana 512 IL REGNO - DOCUMENTI 15/2012 DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 - 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] PER LA PUBBLICITÀ Ufficio commerciale CED-EDB e-mail: [email protected] tel. 051/4290023 - fax 051/4290099 ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2012 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2012 - Italia € 63,00; Europa € 102,00; Resto del mondo € 114,00. Il Regno - attualità + documenti Italia € 61,00; Europa € 100,00; Resto del mondo € 112,00. 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Vecchi schemi si mostrano insufficienti, vecchi problemi vanno lasciati cadere: il corpo come macchina, il dualismo anima-corpo, il pensiero come manipolazione di simboli secondo regole date, la ragione ridotta alla logica, la pretesa di una dimostrazione della libertà, il mondo come particelle in campi di forza, governato dal caso e dalla necessità. E si potrebbe continuare. I contributi e le scoperte delle neuroscienze e dell’approccio sistemico imprimono una precisa direzione al modo di pensare l’umano; la filosofia non si è mai espressa in tal senso? È sempre stata dualista, materialista, logicista? Certamente no; possiamo rintracciare un filo non dominante, ma vivo, in Aristotele e Tommaso, Leibniz e Spinoza, Hegel e Husserl, Cassirer e Whitehead, che hanno cercato di intendere l’uomo nella sua ricchezza e complessità. Tra tutte, l’antropologia filosofica più completa e meglio compatibile con la cultura scientifica dei nostri giorni è quella di Aristotele e di Tommaso d’Aquino. Hanno entrambi avuto il merito di riconoscere e apprezzare gli aspetti biologici e naturali dell’umano, ma di farli esplicitamente derivare da un principio non riducibile al biologico e al naturale. Hanno aperto la strada all’affermazione e dimostrazione della spiritualità dell’anima; anche di questa hanno cercato le tracce in ciò che l’uomo fa: pensa per universali, conosce il mondo, conosce se stesso. Anche su questo punto l’antropologia filosofica può riflettere: l’umano è riducibile al naturale? Mostra significative eccedenze? Come le possiamo scorgere e capire? La mia proposta è di riprendere le indicazioni di Aristotele e di Tommaso, renderle contemporanee e adeguate con l’aiuto dei dati e dei modelli oggi disponibili, in modo da delineare un’antropologia filosofica attuale, completa e rispettosa della complessità dell’umano. Con un dialogo improntato alla revisione, allo scambio, alla collaborazione con le neuroscienze e con l’approccio sistemico. Nota conclusiva: coscienza e autocoscienza Concludo con una nota lessicale. I significati di «coscienza» e «autocoscienza» sono incerti e fluttuanti, a seconda degli autori e delle epoche e sono spesso intercambiati. Ritengo utile distinguerli e identificarli, con un suggerimento che sarà correttivo di molti usi, dunque a sua volta correggibile. Per «coscienza» intendo la capacità dei viventi di sentire e di reagire alle perturbazioni dell’ambiente, sia esterno che interno, con modificazioni e adattamento. Per «autocoscienza» intendo la capacità che è esclusivamente dell’uomo di prendere come oggetto di riflessione se stesso e i propri dati di coscienza, inclusi quelli che vengono attribuiti intenzionalmente alla realtà come altro dal soggetto. In sintesi suggerirei di considerare la coscienza come una proprietà emergente del vivente, l’autocoscienza come proprietà emergente dell’umano. LUCIA URBANI ULIVI