La prova di Fisica per il Liceo Scientifico Brocca

M. Macchioro - La prova di fisica per la maturità scientifica
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Esame di stato di liceo scientifico maxisperimentazione Brocca
Tema di fisica, anno 2014
Il candidato svolga una relazione su uno solo dei seguenti due temi, a sua scelta, prestando particolare
attenzione al corretto uso della terminologia scientifica e delle cifre significative nella presentazione dei
risultati numerici.
Primo tema
Arthur Compton vinse nel 1927 il premio Nobel per la Fisica per la scoperta dell’effetto che porta il suo
nome.
Il candidato:
1. descriva l’effetto Compton ed analizzi le equazioni che lo caratterizzano;
2. esponga il concetto di lunghezza d’onda di Compton;
3. si soffermi sul motivo per cui l’effetto in esame è considerato una delle più importanti prove `
sperimentali dell’interpretazione quantistica delle radiazioni elettromagnetiche;
4. esponga, quindi, cosa si intende per aspetto corpuscolare delle radiazioni elettromagnetiche;
5. risolva infine il seguente problema:
Un fotone urta un elettrone libero che ha una velocità iniziale che può essere considerata
trascurabile. Dopo l’urto si rileva un fotone diffuso che ha un’energia pari a 101 keV e che presenta
un angolo di deviazione dovuto all’ effetto Compton di 30° 00’.
Ricavare l’energia del fotone incidente e l’energia cinetica dell’elettrone di rimbalzo sempre
espresse in eV.
Si ricorda che:
1 eV = 1,60 · 10−19 J
h = 6,63 · 10−34 J·s (costante di Planck)
m0 = 9,11 · 10−31 kg (massa a riposo dell’elettrone)
c = 3,00 · 108 m/s (velocità della luce)
Secondo tema
Nel circuito riportato in figura V = 3,60·102 V, R1 = 1,20·102 Ω, R2 = 2,40∙102 Ω, R3 = 3,60∙102 Ω, R4 è un
resistore variabile di resistenza massima pari a 1,80 · 102 Ω.
Considerando il potenziometro costituito da un conduttore omogeneo di sezione costante e di lunghezza l
calcolare quale deve essere la posizione del cursore, espressa come frazione di l, per far sì che sul resistore
R3 vengano dissipati 40,0 W per effetto Joule. La posizione deve essere valutata considerando A come
punto di inizio del potenziometro.
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Il candidato inoltre:
1. descriva i concetti di tensione e di corrente;
2. dia una definizione delle unita di misura delle grandezze utilizzate per risolvere il problema `
proposto;
3. descriva la prima e la seconda legge di Ohm;
4. descriva l’effetto Joule dandone anche una interpretazione microscopica;
5. descriva il fenomeno della conduzione nei metalli e lo metta a confronto con il comportamento
degli isolanti.
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1.
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Il candidato descriva l’effetto Compton ed analizzi le equazioni che lo caratterizzano
Nel 1923 il fisico statunitense Compton svolse una serie di ricerche riguardo alla diffusione subita da
radiazione di alta frequenza da parte di un metallo. Questo fenomeno presentava aspetti non spiegabili
con la fisica classica: infatti dalle evidenze sperimentali era emerso che, inviando un fascio di raggi X contro
un blocco di grafite, il fascio diffuso presentava, oltre a una componente di lunghezza d’onda λ pari a
quella della radiazione incidente, una seconda componente di lunghezza d’onda λ’ ≥ λ , il cui valore
dipende dall’angolo di diffusione. La fisica classica, invece, prevede che gli elettroni bersaglio dovrebbero
oscillare alla frequenza della radiazione incidente, per poi riemettere nuovamente alla stessa frequenza:
quindi la radiazione incidente e quella diffusa dovrebbero avere la stessa lunghezza d’onda,
indipendentemente dall’angolo di diffusione. Per spiegare questo fenomeno, Compton utilizzò il modello a
fotoni di Einstein della radiazione e ipotizzò che i fotoni del fascio incidente, considerati come vere e
proprie particelle di energia E = hf e quantità di moto p = h/λ, urtassero elasticamente gli elettroni liberi del
metallo, considerati inizialmente in quiete, cedendo loro una parte della propria energia e subendo al
contempo una diminuzione della frequenza (infatti se E’ < E , allora f’ < f e λ’ > λ).
Applicando il principio di conservazione della quantità di moto, avendo indicato con θ l’angolo di diffusione
del fotone e con quello dell’elettrone, si ottengono le seguenti equazioni:
relativamente all’asse x:
’
relativamente all’asse y:
’
è il fattore relativistico
e
è la quantità di moto relativistica dell’elettrone diffuso.
Imponendo inoltre la conservazione dell’energia cinetica:
’
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dove
è l’energia cinetica relativistica dell’elettrone diffuso, e combinando opportunamente le
tre equazioni così ottenute, Compton ottenne una relazione tra la lunghezza d’onda del fotone diffuso e
l’angolo di diffusione θ:
’
dove me è la massa a riposo dell’elettrone, e la grandezza
, il cui valore è 2,43 ∙ 10-12 m, prende il nome
di lunghezza d’onda Compton dell’elettrone.
Esaminiamo in dettaglio la formula precedente. Osserviamo che, partendo dal caso di urto radente ( θ =
0°), nel quale la radiazione non viene praticamente diffusa e non subisce alcuna variazione di λ, la
variazione della lunghezza d’onda della seconda radiazione cresce al crescere di θ , fino a raggiungere il
massimo valore per θ = 180° (urto centrale), nel quale essa è pari al doppio della lunghezza d’onda
Compton. La presenza di una parte della radiazione diffusa che conserva la lunghezza d’onda iniziale può
essere spiegata considerando che un certo numero di fotoni interagisce con gli elettroni più interni della
grafite, che essendo fortemente legati al nucleo diffondono i fotoni senza però sottrarre energia alla
radiazione: in pratica è come se il fotone interagisse con l’intero atomo, essendo la massa dell’atomo
molto maggiore di quella dell’elettrone, la quantità
2.
diventa trascurabile, pertanto λ’ = λ.
Il candidato esponga il concetto di lunghezza d’onda di Compton
Per definizione, si chiama lunghezza d’onda Compton di una particella la grandezza
dove m0 è la massa a riposo della particella considerata. Nel caso dell’elettrone, essendo m0 = 9,11 · 10-31
kg, si ottiene il valore λC = 2,43 · 10-12 m. Come già esposto prima, il doppio della lunghezza Compton
rappresenta la massima differenza tra la lunghezza d’onda della radiazione secondaria e quella della
radiazione principale, valore che si ottiene per θ = 180°. La formula di Compton ci suggerisce inoltre che
per avere una differenza pari proprio a λC si deve avere cosθ = 0, cioè θ = 90°.
Dalla definizione di λC emerge che questa grandezza è inversamente proporzionale alla massa a riposo
della particella bersaglio, divenendo pertanto sempre più piccola al crescere di essa.
Una proprietà fisica di λC è che un fotone di lunghezza d’onda pari a λC ha la stessa energia a riposo della
particella, infatti
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3.
Il candidato si soffermi sul motivo per cui l’effetto in esame è considerato una delle
più importanti prove sperimentali dell’interpretazione quantistica delle radiazioni
elettromagnetiche
L’interpretazione del 1905 di Einstein dell’effetto fotoelettrico, confermata dagli esperimenti di Millikan del
1916, conferiva alla radiazione una natura corpuscolare. Essa, infatti, era concepita come un insieme di
quanti di energia, detti fotoni, aventi energia hf, ovvero hc/λ, dove f e λ sono rispettivamente la frequenza
e la lunghezza d’onda della radiazione. I fotoni hanno la caratteristica di possedere massa nulla e di
viaggiare nel vuoto alla velocità c. Inoltre il fotone possiede una quantità di moto p = h/λ.
L’interpretazione di Compton della diffusione della radiazione conferisce al fotone un significato fisico più
profondo, infatti ora il fotone diventa una vera e propria particella in grado di interagire, obbedendo al
principio di conservazione della quantità di moto e secondo lo schema di un urto elastico, con le particelle
materiali. Per la sua scoperta, a Compton venne assegnato il premio Nobel per la Fisica nel 1927.
4. Il candidato esponga, quindi, cosa intende per aspetto corpuscolare delle radiazioni
elettromagnetiche
Per aspetto corpuscolare della radiazione elettromagnetica possiamo intendere che, in tutti i fenomeni nei
quali la radiazione interagisce microscopicamente con la materia, essa va pensata come costituita da un
insieme di fotoni aventi massa nulla, energia E = hf = hc/λ, quantità di moto p = h/λ e dotati, nel vuoto, di
velocità uguale a c. Storicamente, la quantizzazione dell’energia era stata ipotizzata per la prima volta da
Planck nel 1900 per dare una spiegazione alla curva di emissione del corpo nero; l’ipotesi di Planck
prevedeva la quantizzazione dell’energia della radiazione limitatamente agli scambi di energia tra
radiazione e materia, secondo la relazione E = nhf, con n intero positivo. Successivamente, per spiegare
l’effetto fotoelettrico, Einstein nel 1905 ipotizzò la quantizzazione della radiazione elettromagnetica
introducendo il concetto di fotone. Con l’effetto Compton, infine, il fotone diventa una vera e propria
particella in grado di interagire con le particelle di materia mediante veri e propri urti.
Le proprietà del fotone possono essere giustificate partendo dall’ipotesi che essi devono viaggiare nel
vuoto alla stessa velocità della radiazione, cioè
e devono possedere la stessa quantità di moto trasportata da un’onda elettromagnetica, che secondo la
teoria di Maxwell è
ma, essendo E = hf = hc/λ:
Infine, dalla relazione relativistica
p2c2 = E2 + m02c4
discende che, essendo E = pc, la massa a riposo del fotone dev’essere necessariamente nulla.
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5.
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Il candidato risolva infine il seguente problema
Un fotone urta un elettrone libero che ha una velocità iniziale che può essere considerata trascurabile.
Dopo l’urto si rileva un fotone diffuso che ha un’energia pari a 101 keV e che presenta un angolo di
deviazione dovuto all’ effetto Compton di 30° 00’.
Ricavare l’energia del fotone incidente e l’energia cinetica dell’elettrone di rimbalzo sempre espresse in
eV.
Si ricorda che:
1 eV = 1,60 · 10−19 J
h = 6,63 · 10−34 J·s (costante di Planck)
m0 = 9,11 · 10−31 kg (massa a riposo dell’elettrone)
c = 3,00 · 108 m/s (velocità della luce)
Trasformiamo l’energia E’ del fotone diffuso in joule, sapendo che 1 eV = 1,60 ∙ 10 -19 J:
Conosciamo inoltre l’angolo di diffusione θ = 30,0° e l’energia cinetica iniziale dell’elettrone k i el = 0.
I dati a disposizione ci permettono di ricavare la lunghezza d’onda λ’ del fotone diffuso:
per cui
Dalla formula di Compton è possibile risalire alla lunghezza d’onda del fotone incidente:
Possiamo ora ricavare l’energia del fotone incidente
e, infine, l’energia cinetica finale dell’elettrone
k’f el = E – E’ = (104 – 101) keV = 3 keV
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Secondo tema
Nel circuito riportato in figura V = 3,60·10 2 V, R1 = 1,20·102 Ω, R2 = 2,40∙102 Ω, R3 = 3,60∙102 Ω, R4 è un
resistore variabile di resistenza massima pari a 1,80 · 10 2 Ω.
Considerando il potenziometro costituito da un conduttore omogeneo di sezione costante e di lunghezza
l calcolare quale deve essere la posizione del cursore, espressa come frazione di l, per far sì che sul
resistore R3 vengano dissipati 40,0 W per effetto Joule. La posizione deve essere valutata considerando A
come punto di inizio del potenziometro.
Osservando la figura e considerando la posizione del generatore, possiamo affermare che le resistenze R 1 e
R2 sono sottoposte alla stessa differenza di potenziale, e altrettanto avviene per le resistenze R3 e R4.
Siamo in presenza, pertanto di due sistemi in parallelo per i quali è possibile ricavare la resistenza
equivalente:
Ω
Ω
Ω
In questo modo, il circuito è così semplificato:
R1,2
V
R3,4
Essendo a loro volta R1,2 e R3,4 in serie, essendo attraversati dalla stessa corrente, si può scrivere, in
funzione di R4, la resistenza equivalente del circuito:
Ω=
Ω
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Con i dati a disposizione, è possibile ricavare la differenza di potenziale ai capi di R 3,4 , infatti dalla formula
della potenza:
e considerandone la formula inversa
si ottiene
osserviamo che V3,4 può essere identificata con V3 proprio perché R3 e R4 sono in parallelo.
Per differenza con la tensione fornita dal generatore, possiamo ricavare la d.d.p. ai capi di R 1,2
Con la prima legge di Ohm ricaviamo la corrente che attraversa R1,2 che, essendo R1,2 e R3,4 in serie,
coincide con la corrente totale del circuito
Ω
Sempre con la prima legge di Ohm, applicata all’intero circuito, posso ricavare R 4:
Risolvendo l’equazione, si ottiene
Ω
Infine, considerando che in un conduttore omogeneo di sezione costante e di lunghezza l la resistenza è
direttamente proporzionale alla lunghezza (seconda legge di Ohm), e tenendo conto della posizione iniziale
A, alla quale corrisponde resistenza nulla, possiamo ricavare la posizione x del cursore con la proporzione:
quindi
Ω
Ω
pertanto il cursore va posizionato, a partire dal punto A, a ¼ della lunghezza della resistenza.
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1.
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Il candidato descriva i concetti di tensione e di corrente
La tensione elettrica, o differenza di potenziale (d.d.p.), è una grandezza scalare così definita:
data una carica elettrica Q e presi due punti A e B dello spazio, si definisce differenza di potenziale tra i
punti A e B l’opposto del lavoro compiuto dalle forze elettriche per spostare una carica di prova q, positiva
e tale che q<<Q, dal punto A al punto B fratto la carica di prova q stessa:
Ricordando che il lavoro LA,B coincide con la differenza di energia potenziale UA – UB, si ha altresì:
In un circuito elettrico, La differenza di potenziale ai capi dei vari utilizzatori si ottiene mediante particolari
dispositivi detti generatori di tensione.
Per corrente elettrica si intende un moto ordinato di cariche in un conduttore, ottenibile solo se ai capi del
conduttore è presente una d.d.p. La grandezza che caratterizza la corrente si chiama intensità di corrente
ed è definita dalla relazione
dove Δq è la quantità di carica che attraversa nel tempo Δt una qualunque sezione perpendicolare del
conduttore.
Il verso convenzionale della corrente è sempre quello che va da punti a potenziale maggiore verso punti a
potenziale minore, cioè lo stesso del campo elettrico, indipendentemente dal segno dei portatori mobili di
carica. Per esempio, nei conduttori metallici i portatori di corrente sono elettroni che si muovono in senso
opposto al campo elettrico e quindi da potenziali minori verso potenziali maggiori. Nelle soluzioni ioniche,
invece, i portatori di corrente sono ioni di entrambi i segni che si muoveranno in versi discordi.
2.
Il candidato dia una definizione delle unita di misura delle grandezze utilizzate per
risolvere il problema proposto
La differenza di potenziale si misura in volt (V):
quindi tra due punti dello spazio esiste una d.d.p. di 1V se le forze elettriche compiono un lavoro di 1J per
spostare da A a B una carica di 1C.
L’intensità di corrente si misura in ampere (A)
quindi si dice che una corrente ha un’intensità di 1A se una qualunque sezione perpendicolare del
conduttore è attraversata nel tempo di 1s da una quantità di carica di 1C.
E’ da osservare che, con la scoperta dell’effetto magnetico della corrente, è stata data una nuova
definizione dell’ampere:
dati due fili paralleli infinitamente lunghi e posti nel vuoto alla distanza di 1 m, percorsi dalla stessa
corrente, si dice che la corrente ha un’intensità di 1 A se ciascun filo interagisce con un elemento di
lunghezza di 1 m dell’altro con una forza pari a 2 ∙ 10-7 N. Questa definizione si basa sulla legge
elettrodinamica di Ampere:
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che stabilisce il modulo della forza per unità di lunghezza di interazione tra 2 fili paralleli indefiniti, percorsi
da correnti i1 e i2 e posti, nel vuoto, alla distanza d. La costante μ0 è la permeabilità magnetica del vuoto, il
cui valore è 4π ∙ 10-7 Tm/A.
Nel testo del problema compaiono anche la resistenza R e la potenza P.
La resistenza elettrica si misura in ohm (Ω):
Ω
si dice che un conduttore ha resistenza di 1Ω quando, sottoposto a una d.d.p. di 1V, è attraversato da una
corrente di intensità 1A.
La potenza è una grandezza della meccanica che si misura in W:
si dice che la potenza di una forza è di 1W se essa compie un lavoro di 1 J in 1 s.
3.
Il candidato descriva la prima e la seconda legge di Ohm
La 1ª legge di Ohm stabilisce una relazione tra tensione elettrica e corrente in un conduttore e vale solo
per una certa categoria di conduttori, detti ohmici. Un esempio notevole di conduttore ohmico è costituito
da tutti i metalli. Secondo questa legge, l’intensità della corrente che attraversa un conduttore è
direttamente proporzionale alla d.d.p. applicata ai suoi capi:
la costante di proporzionalità R è chiamata resistenza elettrica e rappresenta l’opposizione esercitata da un
corpo al passaggio della corrente. Come già detto, la resistenza si misura in Ω. Il grafico i-V della 1ª legge di
Ohm è una semiretta uscente dall’origine di coefficiente angolare 1/R.
i
V
La 2ª legge di Ohm ci spiega da quali fattori dipende la resistenza. Dato un conduttore di forma cilindrica,
di lunghezza l e sezione S, la resistenza è direttamente proporzionale a l e inversamente proporzionale a S,
e inoltre dipende dalla natura del corpo mediante un parametro ρ detto resistività:
La resistività
si misura in Ω∙m e dipende, oltreché dalla natura del materiale, dalla temperatura. Si
osserva che per i conduttori metallici la resistenza aumenta linearmente con la temperatura, mentre il
contrario avviene nei semiconduttori.
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4.
Il candidato descriva l’effetto Joule dandone anche una interpretazione
microscopica
L’effetto Joule consiste nella dissipazione dell’energia, sotto forma di calore, in un conduttore attraversato
da corrente. La potenza dissipata in un conduttore può essere calcolata con una delle seguenti relazioni:
P = V·i
P = Ri2
P = V2/R
la seconda relazione, in particolare, afferma che la potenza dissipata è proporzionale al quadrato della
corrente.
La relazione P = V·i può essere facilmente dimostrata considerando che una carica che attraversa una
resistenza, ai cui capi è applicata la d.d.p. V, diminuisce la propria energia potenziale di una quantità pari al
lavoro compiuto su essa dalle forze elettriche:
ΔE = V∙ΔQ
essendo ΔQ = i∙Δt, si ottiene:
ΔE = V∙i∙Δt
dividendo ambo i membri per Δt si ottiene la relazione cercata. Mediante la 1ª legge di Ohm, poi, è
possibile ottenere le altre 2.
In realtà, quella che avviene nel conduttore attraversato da corrente è una trasformazione di energia, da
elettrica a termica, causata dai continui urti tra gli elettroni di conduzione e gli ioni del reticolo cristallino.
Gli elettroni, accelerati dal campo elettrico, cedono l’energia acquisita agli ioni del reticolo, che iniziano a
vibrare più intensamente. L’aumento dell’agitazione termica degli ioni provoca un aumento della
temperatura del conduttore. A regime, il flusso di energia termica dal conduttore verso l’ambiente esterno
si stabilizza e la temperatura del conduttore raggiunge una caratteristica temperatura di funzionamento.
Questo effetto è comunemente sfruttato in molti dispositivi di uso comune (asciugacapelli, ferro da stiro,
ecc.)
5.
Il candidato descriva il fenomeno della conduzione nei metalli e lo metta a
confronto con il comportamento degli isolanti
Il fenomeno della conduzione nei metalli può essere spiegato con un semplice modello. Consideriamo una
sbarretta metallica di forma cilindrica e immaginiamo che il metallo sia costituito da un reticolo cristallino,
nel quale gli ioni positivi occupano posizioni fisse, avvolto da un gran numero di elettroni liberi, detti
elettroni di conduzione, in moto continuo e disordinato a causa dell’agitazione termica. In assenza di
campo elettrico, gli elettroni attraversano una generica sezione del conduttore in ambo i versi, metà in un
senso e metà nell’altro, per cui si può ritenere nulla la carica netta che attraversa la sezione (i = 0).
Applicando una d.d.p. ai capi del conduttore, il campo elettrico accelera gli elettroni liberi in verso opposto
a esso, ma i ripetuti urti contro il reticolo cristallino conferiranno agli elettroni un moto d’assieme che può
essere assimilato a rettilineo uniforme, con una velocità caratteristica detta velocità di deriva. Questo
movimento d’assieme farà sì che la generica sezione del conduttore sia attraversata da una certa quantità
di carica.
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VA
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VB
Negli isolanti (dielettrici), invece, tutti gli elettroni sono fortemente legati ai rispettivi atomi, per cui, non
essendoci cariche libere, non si può avere passaggio di corrente. Tuttavia per ogni isolante esiste un
particolare valore del campo elettrico, detto rigidità dielettrica, al di sopra del quale il campo elettrico
rompe i legami tra gli atomi, permettendo così il passaggio di corrente. In questo caso si assiste a una vera
e propria rottura del dielettrico e si produce una scarica elettrica, cioè una corrente molto intensa, di breve
durata e accompagnata da emissione di luce. Un notevole esempio è dato dalle scintille che si possono
provocare in aria tra due elettrodi o, su grande scala, i fulmini.